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Addio a Gianni Poletti
di Giuliano
Beltrami
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Aveva 83 anni. Insegnante e preside, scrittore e traduttore, impegnato nella vita culturale e amministrativa della vallata.
conciliari, che probabilmente alla maggior parte dei lettori di oggi non dicono niente, ma erano carichi di speranze, di utopie. E per contro, come di fronte a tutte le innovazioni, ci sono i tentativi di tornare indietro, di rifugiarsi all’ombra delle vecchie e comode certezze. Il dibattito nella Chiesa in quegli anni è fortissimo, e Gianni si ritira. Decide di tornare a casa. Lo fa con Silvana, insegnante come lui, con la quale mette su famiglia e cresce due figli, Stefano e Piero.
Insegna alla scuola media di Storo, di cui diventerà preside, prima di diventare dirigente dell’Istituto comprensivo del Chiese, insignito (per sua volontà) del nome di don Lorenzo Milani.
Ma Gianni è molto altro. E’ di quelli che pensano: il docente non può essere solo casa e lavoro. Deve sporcarsi le mani con il materiale di cui è fatta la comunità. Ecco che costruisce, insieme ad alcuni amici, il Gruppo storico-culturale “Il Chiese”, sul finire degli anni Settanta, la cui evoluzione sarà, nel 1983, la nascita della Cooperativa culturale con lo stesso nome. E’ un contenitore dentro il quale si collocano le attività di animazione culturale: l’università della terza età e del tempo disponibile (portato a Storo e gestito direttamente dalla Cooperativa), la scuola musicale, il teatro dialettale, e poi le serate su temi di attualità, le pubblicazioni di storia locale, la rivista (chiamata con un pizzico di civetteria “forse mensile”) La Civetta. E potremmo andare avanti. Andiamo avanti con l’impegno politico. Sì, perché fare cultura in periferia (nel senso critico del termine) è fare politica. Gianni e i suoi amici fanno politica culturale e poi trasferiscono parte dei contenuti nell’amministrazione comunale, dove entrano all’opposizione. E lì rimangono per quindici anni, finché i tempi maturano per il passaggio al governo. Maturano per lo sfascio generale subito da chi aveva governato negli ultimi decenni in Italia, in Trentino e nelle valli, ma anche perché i contenuti portati avanti da un’opposizione intelligente vengono premiati. Però in quel momento (è il giugno del 1995)
Gianni Poletti fa il defilato: non partecipa alla campagna elettorale. Dopo quindici anni si ritira dal ruolo amministrativo. Ma continuerà per almeno altri vent’anni ad avere un ruolo di animatore, oltre che di dirigente scolastico, di traduttore di opere filosofiche e teologiche dal tedesco, di editorialista sui giornali e di ricercatore sto- rico. 130 opere ha calcolato Gianfranco Giovanelli, erede di Gianni alla presidenza dell’Associazione culturale “Il Chiese”, a sua volta erede della Cooperativa. Una mole difficilmente eguagliabile, soprattutto per qualità. Infatti esistono “grafomani” capaci di scrivere, pardon, di imbrattare carte, ma lontani dalla qualità. Il suo rigore è stato ricordato da Danilo Mussi, presidente del Centro Studi Judicaria, cui Poletti ha dato una parte del suo impegno: ricordiamo il voluminoso corpus di studi sulla famiglia dei conti Lodron. Finite le varie stagioni pubbliche (scuola, associazione “Il Chiese”, Amministrazione comunale), si era ritirato, non a vita privata, perché continuava a sfornare libri e articoli di giornali. Non si era isolato nella torre d’avorio dell’aristocratico intellettuale. Semmai occorre dire che hanno cercato di fare di tutto per isolarlo nella sua vita. Altrove ho scritto che se fosse stato democristiano sarebbe potuto andare in carrozza verso il palazzo municipale di Storo e anche oltre. Ma ha vissuto in un’epoca in cui per gli spiriti liberi non c’erano targhe. Poi è vero che non si è aiutato con il carattere, sulle sue da apparire talvolta altero. Però su un punto aveva ragione: l’indipendenza è una trincea da difendere, costi quello che costi.