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“Amo viaggiare, lo faccio con i libri”

realizzato tra un paziente e l’altro: riempivo le pause lavorative costruendo i personaggi, pensando ai dialoghi e agli sviluppi della trama.

Focalizziamoci su questa tua pubblicazione, puoi spiegare ai nostri lettori di cosa parla?

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Chi ti ha spinto a pubblicare questo tuo scritto?

Ho dedicato il libro alla mia compagna Chiara che è colei che mi ha incentivato a fare il complicato passo di sentirmi pronto per la pubblicazione.

Un piede nel suo studio dentistico, la valigia sempre pronta per partire, le mani ben salde sulla tastiera e nella testa un vortice di storie. Stiamo parlando di Paolo Bonetti, 31 anni compiuti da poco, odontoiatra tionese che nel tempo libero ama fare lo scrittore. Nel 2012 si trasferisce in Spagna dove inizia i suoi studi ed una vita abbastanza diversa da quella a cui era abituato nel suo paesino delle Giudicarie. Dopo aver conseguito la laurea quinquennale in Odontoiatria torna in Italia nel 2018 e comincia a praticare la sua professione presso lo studio del padre. È proprio durante la permanenza all’estero che il giovane Bonetti, ispirato dalla vivacità e dallo slancio creativo dell’affascinante Madrid, scopre una delle sue più grandi passioni: la scrittura. Quando e come hai capito di essere portato per la scrittura?

Diciamo che devo questa scoperta ad una mia altra passione, quella della musica. Durante il primo anno di università, ascoltando la mia playlist mi balzavano alla mente delle scene. Ho iniziato a gettare su carta ciò che mi correva nella mente, componendo più o meno dieci pagine. Per circa un triennio ho abbandonato la penna sino al quarto anno quando ho ripreso in mano questo passatempo. Mi sono trasferito da un piccolo pae- sino ispanico alla capitale spagnola: qualcosa in me è cambiato. Ho avuto una vera esplosione, mi sentivo molto ispirato. Scrivevo nei momenti liberi dallo studio per fotografare ciò che accadeva e custodire i ricordi con il tentativo di rivivere le emozioni che provavo. Entro l’ultimo anno di università riesco a finire il mio primo libro in segreto: “Habla de tu libro”, mai pubblicato poiché frenato dalla vergogna e dal timore del giudizio altrui.

Ma non ti sei fermato qui. Hai di recente pubblicato “Per quel 5% di istinto”. Da cosa nasce questo romanzo?

Il ritorno a Tione non è stato per me traumatico, ma naturalmente una delle mie due vite, ossia quella che conducevo all’estero, è venuta meno. Colmavo così questo vuoto buttandomi a capofitto nella scrittura. A ciò si è aggiunto un periodo critico che ho dovuto affrontare, in cui mi sentivo demotivato e mai soddisfatto. Mi accorsi che la mia vita era divenuta inodore, insapore, incolore ed ero caduto nella monotonia. Ho capito che la soluzione stava nell’andare controcorrente, nell’intraprendere strade nuove, lasciando da parte le mie paure: in pratica seguire il mio 5% d’istinto. Questo è stato un momento chiave per me e per mia la scrittura. Ho approfondito i temi cardine del mio stile: introspezione, cambiamento, rinascita. A livello pratico un ingrediente fondamentale è stata l’anti-costanza, c’erano periodi in cui scrivevo moltissimo e alcuni in cui non lo facevo affatto, ciò facilitava la mia creatività. Dopo quasi tre anni mi sono ritrovato con il mio secondo libro tra le mani. Lo definirei un romanzo

È la notte di capodanno quando Anto decide di dare una svolta alla propria vita, fatta di scarse motivazioni, un lavoro che non lo stimola e il pilota automatico inserito a scandire le proprie giornate. Il protagonista capisce che per ritrovare l’entusiasmo perso deve andare in profondità delle proprie paure. Il percorso di cambiamento verso la vita che desidera, lo porterà a mollare le proprie certezze e seguire il suo 5% di istinto: quella voce interiore che gli ha sempre sussurrato la strada da seguire, ma che lui non era pronto ad accogliere. Il primo passo per non essere vittima ma padrone della propria vita sarà fare i conti con quel passato che lo ha segnato in maniera particolare e che non ha mai avuto il coraggio di affrontare.

Calandosi nella lettura, la curiosità sorge spontanea. Quanto della tua vita reale c’è nei personaggi e nella narrazione?

C’è molto di Paolo nel protagonista, soprattutto a livello caratteriale. Poi ci sono anche alcuni dei miei luoghi e lo stacco che io stesso ho vissuto tra città e paesino di montagna.

A proposito del titolo invece, come è stata la decisione?

Inizialmente il titolo doveva essere “Il coefficiente di sensibilità”, ma non mi convinceva del tutto. La scelta definitiva risale al momento in cui ho fatto il mio outing con la scrittura durante il viaggio di laurea fatto a Mykonos, quando ho regalato ai miei amici le copie della prima versione. Ad ora credo che il racconto non potesse avere titolo migliore.

Che difficoltà hai incontrato? La parte più bella invece?

Oltre all’ostacolo di aprirsi al pubblico, la cosa su cui ho faticato è stato il finale. Personalmente tendo a non essere mai concreto su una cosa sola, ma a tenermi più possibilità aperte. Proprio per tale motivo ho dovuto riscrivere la conclusione in quanto quella precedente risultava essere un finale in sospeso poco appagante.

L’emozione più grande per me coincide invece con la telefonata della casa editrice , quando mi è stato riferito che il mio lavoro era stato apprezzato e che poteva essere edito.

Progetti futuri?

Arrivato fin qui ho capito che pubblicare non basta. Amo viaggiare e il mio prossimo obiettivo sarebbe quello di farlo con il libro. Il giudizio non mi fa più paura, ora prevale in me la voglia di condivisione, la consapevolezza della grande ricchezza che risiede nello scambio. Ho fatto una presentazione a Brescia e sto organizzando altre tappe del book tour: Milano a marzo, Roma ad aprile e poi in estate anche qua in valle. Nel frattempo sto già lavorando al mio terzo scritto. Questa volta si tratta di un giallo, un nuovo stile in cui devo essere abile ad ordinare il flusso delle idee e non posso concedermi di andare avanti a tastoni.

Quali consigli ti senti di dare ai principianti?

Direi che innanzitutto bisogna partire scrivendo per se stessi. Mettere nero su bianco ciò che si prova è sempre vincente. Focalizzarsi dunque più su ciò che sta dentro rispetto a ciò che sta fuori, dando voce alle emozioni che per definizione sono vere.

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