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L’“ospedale che cura con cura”, quando i servizi sanitari sono a misura del paziente e dei suoi familiari
L’Ospedale di Tione ha adottato da qualche tempo un nuovo approccio nell’accoglienza e nella cura dei pazienti, incentrato sull’attenzione alla persona e alle sue esigenze e sul coinvolgimento diretto degli stessi familiari nel processo di cura. Ne abbiamo parlato con Silvia Strimmer, responsabile della sede di Tione dell’Unità operativa multizonale direzione delle professioni sanitarie.
In che cosa consiste questo nuovo tipo di approccio alla persona e alle cure?
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Nel 2017 l’Apss ha avviato un progetto di umanizzazione, denominato “Ospedale che cura con cura”, per rispondere in particolare alle situazioni di cronicità e fragilità dei pazienti. L’approccio centrato sulla persona e la famiglia (person and family centred), è quello considerato il più adatto per migliorare la presa in carico delle persone malate. Partendo dall’analisi dello scenario organizzativo, sono stati realizzati dei modelli comportamentali e di cura centrati sul paziente-famiglia e questi modelli sono stati poi applicati all’interno dell’ospedale. Alla base degli standard sono stati posti i valori della persona-famiglia e della loro dignità.
Cosa si intende in particolare con “person and family centred”?
I servizi sanitari tradizionali prevedono che siano le persone ad adattarsi alle routine, alle pratiche e ai ritmi che i fornitori di servizi ritengono più appropriati. Ma questo è un approccio ormai superato, in particolare per i pazienti fragili. Di qui la necessità di un nuovo tipo di approccio più attento alle esigenze delle persone. E la risposta è appunto il modello “person and family centred”, che vede la persona e la famiglia posti al centro del sistema sanitario, dove i pazienti sono visti come partner nella pianificazione, nello sviluppo e nella valutazione del- l’assistenza.
Cosa significa che la famiglia ha un ruolo centrale?
Significa soprattutto valorizzare l’esperienza del paziente e della famiglia nella gestione della malattia cronica: sia favorendo l’autonomia del paziente nel suo rapporto con la malattia, sia allo stesso tempo cercando di coinvolgere il familiare o caregiver nelle pratiche di assistenza già all’interno dell’ospedale. Si propone al parente, senza però obbligarlo, di partecipare ad alcune attività come l’igiene, la mobilizzazione, l’assunzione del pasto, la gestione dei farmaci, per essere in grado di prendersi cura del proprio caro in previsione della dimissione. L’obiettivo è un rientro al domicilio sereno sia per il paziente sia per chi se ne prende cura, favorendo la continuità ospedale-territorio e attivando, se necessari, i servizi delle cure domiciliari.
In quali comportamenti si traduce l’attenzione verso il paziente?
Il primo obiettivo è il mantenimento delle autonomie residue. Il momento dell’ospedalizzazione rischia di peggiorare il grado di autonomia e la fragilità dei pazienti anziani affetti da patologie croniche, poiché si interrompono le normali abitudini. Occorre quindi mantenere e recuperare il più possibile l’indipendenza del paziente nel movimento e in alcuni momenti della vita quotidiana, optando per esempio per l’accompagnamento in bagno ed evitando rimedi per l’incontinenza e l’uso di altri device non necessari, soprattutto evitando l’allettamento quando non è strettamente necessario.
Come ha influito l’emergenza Covid in questo nuovo tipo di approccio?
Non è stato facile. All’improvviso il modello incentrato sul paziente e sulla famiglia non si poteva più applicare e gli operatori sanitari si sono trovati di fronte alla necessità di garantire l’umanizzazione delle cure senza più poter contare sul sostegno dei familiari. Siamo corsi ai ripari facendo ricorso alla tecnologia, acquistando cellulari e tablet per garantire un minimo di contatto tra pazienti e la famiglia. Il periodo dell’emergenza Covid ci ha fatto però capire quanto fosse stato importante il lavoro fatto sino a quel momento e quanto il nuovo approccio sia prezioso per pazienti, familiari e operatori sanitari.