L’incoronazione di Poppea Opera in un prologo e tre atti
Libretto di Giovan Francesco Busenello Musica attribuite a Claudio Monteverdi e Francesco Cavalli Finale composto da Francesco Sacrati e Benedetto Ferrari
Collazione acritica, revisione, completamento ed edizione dei manoscritti cosidetti di Venezia e di Napoli a cura di Rinaldo Alessandrini
Nuova produzione Teatro alla Scala In coproduzione con OpĂŠra National de Paris
EDIZIONI DEL TEATRO ALLA SCALA
TEATRO ALLA SCALA PRIMA RAPPRESENTAZIONE
Domenica 1 febbraio 2015, ore 20 - Turno E REPLICHE
febbraio Mercoledì 4 Ore 20 Sabato 7 Ore 20 Martedì 10 Ore 20 Venerdì 13 Ore 20 Martedì 17 Ore 20 Venerdì 20 Ore 20 Venerdì
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– Turno A – Turno N - Turno B - Turno D - Turno C - Turno G LaScalaUNDER30 Ore 20 - ScalAperta
SOMMARIO
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L’incoronazione di Poppea. Il libretto
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Il soggetto Argument – Synopsis – Die Handlung – ࠶ࡽࡍࡌ – Сюжет
Alberto Bentoglio
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L’opera in breve
Emilio Sala
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La musica
Federico Lazzaro
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Nerone innamorato
Dinko Fabris
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Lincoronazione di Poppea alla Scala
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La presente edizione
Rinaldo Alessandrini
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Alcune riflessioni sul libretto di Busenello e sulla scenografia di Robert Wilson
Ellen Hammer
115 The Watermill Center 118 Robert Wilson 120 Annick Lavallée-Benny 121 Jacques Reynaud 122 A.J. Weissbard 123 Allen Hammer 124 Rinaldo Alessandrini 126 L’incoronazion edi Poppea. I personaggi e gli interpreti 129 Claudio Monteverdi. Cronologia della vita e delle opere
Franco Pavan
135 Francesco Cavalli. Cronologia della vita e delle opere
Raffaele Mellace
140 I musicisti cui si deve il manoscritto 142 Letture
Marco Emanuele
146 Ascolti
Luigi Bellingardi
152 Organico strumentale della presente edizione de L’incoronazione di Poppea 153 Orchestra del Teatro alla Scala 154 Teatro alla Scala
Bernardo Strozzi (attribuito a). Ritratto di Claudio Monteverdi (Innsbruck, Tiroler Landesmuseum).
L’incoronazione di Poppea Opera in un prologo e tre atti Libretto di Giovan Francesco Busenello Musica attribuita a Claudio Monteverdi e Francesco Cavalli finale composto da Francesco Sacrati e Benedetto Ferrari
PERSONAGGI La Fortuna soprano La Virtù soprano L’ Amore soprano Ottone, cavaliero principalissimo controtenore o baritono Due Soldati tenori Poppea, dama nobilissima favorita da Nerone, che da lui viene assunta all’imperio soprano Nerone, imperator romano soprano o tenore Arnalta, vecchia nutrice e consigliera di Poppea tenore (en travesti) o contralto Ottavia, imperatrice regante, che viene repudiata da Nerone mezzosoprano La nutrice di Ottavia imperatrice mezzosoprano o contralto Seneca, filosofo, maestro di Nerone basso Il valletto, paggio dell’imperatrice tenore Pallade soprano Drusilla, dama di corte innamorata di Ottone soprano Mercurio basso Liberto, capitano de’ la guardia de’ Pretoriani baritono Famigliari di Seneca Mezzosoprano, tenore e baritono Damigella dell’imperatrice soprano Lucano, poeta famigliare di Nerone tenore Littore basso Consoli Tribuni Coro di Amori Venere Mezzosoprano Prima rappresentazione assoluta: Venezia, Teatro SS. Giovanni e Paolo – Grimani, carnevale 1643
Collazione acritica, revisione, completamento ed edizione dei manoscritti cosidetti di Venezia e di Napoli a cura di Rinaldo Alessandrini
PROLOGO La Fortuna, la Virtù e Amore nell’aria contrastano di superiorità, e ne riceve la preminenza Amore. Fortuna Deh, nasconditi, o virtù, già caduta in povertà, non creduta Deità, Nume ch’è senza tempio, Diva senza devoti, e senza altari. Disprezzata, disusata, aborrita, mal gradita, ed in mio paragon sempre schernita. Chi professa virtù non speri mai di posseder ricchezza, o gloria alcuna, se protetto non è dalla fortuna. Virtù Deh, sommergiti, malnata, rea chimera delle genti, fatta Dea dagl’imprudenti. Io son la vera scala, per cui natura al sommo ben ascende. lo son la tramontana che sola insegno agl’intelletti umani l’arte del navigar verso l’Olimpo. Può dirsi senza adulazione alcuna il puro, incorruttibil esser mio termine convertibile con Dio: che ciò non si può dir di te, Fortuna... Amore Che vi credete; o Dee, divider tra di voi del mondo tutto la signoria, e’l governo escludendone Amore, Nume ch’è d’ambe voi tanto maggiore? lo le virt’udi insegno, io le fortune domo; questa bambina età vince d’antichità il tempo e ogn’altro Dio: gemelli siam l’eternitade ed io. Riveritemi, adoratemi, e di vostro sovrano il nome datemi. Fortuna e Virtù Uman non è, non è celeste core, che contender ardisca con Amore. Amore Oggi in un sol certame l’una e l’altra di voi da me abbattuta dirà, che’l mondo a’ cenni miei si muta. Ad un cenno di Amore il cielo svanisce.
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ATTO PRIMO Scena prima Si muta la scena nel palazzo di Poppea. Ottone, due soldati della guardia di Nerone, che dormono. Ottone, amante di Poppea, al schiarir dell’alba visita l’albergo della sua amata, esagerando le sue passioni amorose, e vedendo addormentate in strada le guardie di Nerone, che in casa di Poppea dimora in contenti, compiange le sue miserie. Ottone E pur io torno qui, qual linea al centro, qual foco a sfera, e qual ruscello al mar, e se ben luce alcuna non appare ahi, so ben io, che sta il mio sol qui dentro. Caro tetto amoroso, albergo di mia vita, e del mio bene, il passo, e’l cor ad inchinarti viene. Apri un balcon, Poppea, col bel viso in cui son le sorti mie, previeni, anima mia, precorri il die. Sorgi, e disgombra omai da questo del caligini, e tenebre con il beato aprir di tue palpebre. Sogni portate a volo, su l’ali vostre, in dolce fantasia questi sospir alla diletta mia. Ma che veggio, infelice? Non più fantasmi, o pur notturne larve, son questi i servi di Nerone; ahi, dunque a l’insensati venti io diffondo i lamenti. Necessito le pietre a deplorarmi. Adoro questi marmi, amoreggio con lacrime un balcone, e in grembo di Poppea dorme Nerone. Ah perfida Poppea, son queste le promesse, e i giuramenti, ch’accesero il mio cor? Questa è la fede, o Dio? lo son quell’Ottone, che ti seguì, che ti bramò, che ti servì, che t’adorò, che per piegarti e intenerirti il core di lagrime imperlò prieghi devoti gli spirti a te sacrificando in voti. Ma l’aria, e’l cielo a’ danni miei rivolto, tempestò di rune il mio raccolto.
Scena seconda
Se gl’occhi non si fidan l’un dell’altro, e però nel guardar van sempre insieme:
(Ottone), Primo soldato, Secondo soldato. Primo soldato Chi parla, chi va lì? Ohimè, ancor non è dì? Sorgono pur dell’alba i primi rai. Non ho dormìto in tutta notte mai. Secondo soldato Camerata, che fai? Par che parli sognando! Su, risvegliati tosto, guardiamo il nostro posto. Primo soldato Sia maledetto Amor, Poppea, Nerone, e Roma, e la Milizia! Soddisfar io non posso alla pigrizia un giorno un’ora sola. Secondo soldato La nostra Imperatrice stilla se stessa in pianti, e Neron per Poppea la vilipende. L’Armenia si ribella, ed egli non ci pensa. La Pannonia dà all’armi, ed ei se ne ride. Così per quanto io veggio, l’impero se ne va di male in peggio. Primo soldato Di’ pur che il prence nostro ruba a tutti per donar ad alcuni: l’innocenza va afflitta, e i scellerati stan sempre a man dritta. Secondo soldato Sol del pedante Seneca si fida.
Primo, Secondo soldato Impariamo dagl’occhi, a non trattar da sciocchi. Ma già s’imbianca l’alba e vien il dì; tacciam, Nerone è qui. Scena terza Poppea, Nerone. Poppea e Nerone escono al far del giorno amorosamente abbracciati, prendendo commiato l’uno dall’altro con tenerezze affettuose. Poppea Signor, deh, non partire, sostien che queste braccia ti circondino il collo, come le tue bellezze circondano il cor mio. Nerone Poppea, lascia ch’io parta. Poppea Non partire, Signor, deh non partire. Appena spunta l’alba, e tu che sei l’incarnato mio sole, la mia palpabil luce, e l’amoroso dì de la mia vita, vuoi sì repente far da me partita? Deh non dir di partir, che di voce sì amara a un solo accento, ahi perir, ahi spirar quest’alma io sento.
Primo soldato Di quel vecchio rapace?
Nerone La nobiltà de nascimenti tuoi non permette che Roma sappia che siamo uniti, in sin che.
Secondo soldato Di quel volpon sagace!
Poppea In sin che?
Primo soldato Di quel reo cortigiano, che fonda il suo guadagno, sul tradire il compagno.
Nerone ... in sin ch’Ottavia non rimane esclusa col repudio da me.
Secondo soldato Di quell’empio architetto, che si fa casa sui sepolcri altrui... Primo soldato Non ridir quel che diciamo, nel fidarti va’ scaltro.
Poppea Vanne, ben mio. Nerone In un sospir che vien dal profondo del cor, includo un bacio, o cara, ed un addio. Ci rivedrem ben tosto, idolo mio.
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Poppea Signor, sempre mi vedi, anzi mai non mi vedi. Perché s’è ver, che nel tuo cor io sia entro al tuo sen celata, non posso da’ tuoi lumi esser mirata. Nerone Adorati miei rai, deh restatevi omai. Rimanti, o mia Poppea, cor, vezzo, e luce mia. Poppea Deh, non dir di partir, che di voce sì amara a un solo accento, ahi perir, ahi mancar quest’alma io sento. Nerone Non temer, tu stai meco a tutte l’ore: splendor negl’occhi, e deità nel core. Se ben io vo, pur teco io sto. Il cor dalle tue stelle mai, mai non si disvelle. Io non posso da te viver disgiunto se non si smembra la unità dal punto. Poppea Tornerai? Nerone Tornerò. Poppea Quando? Nerone Ben tosto. Poppea Ben tosto, me’I prometti? Nerone Te’l giuro. Poppea E me l’osserverai? Nerone E se a te non verrò, tu a me verrai. Poppea Addio Nerone, addio. Nerone Poppea, Poppea addio. Poppea Addio Nerone, addio.
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Nerone Addio Poppea, ben mio. Scena quarta Poppea, Arnalta. Poppea con Arnalta, vecchia sua consigliera, discorre della speranza sua alle grandezze; Arnalta la documenta, e ammaestra a non fidarsi tanto de’ grandi, né di confidar tanto nella Fortuna. Poppea Speranza, tu mi vai il cor accarezando. Speranza tu mi va il genio lusingando, e mi circondi intanto di regio sì, ma immaginario manto, No, no, non temo, no, di noia alcuna, per me guerreggia Amar, e la Fortuna. Arnalta Ah! figlia, voglia il cielo, che questi abbracciamenti non siano un giorno i precipizi tuoi. Poppea No, no, non temo, no, di noia alcuna. ArnaIta L’Imperatrice Ottavia ha penetrati di Neron gli amori, ond’io pavento e temo ch’ogni giorno, ogni punto sia di tua vita il giorno, il punto estremo. La pratica coi Regi è perigliosa, l’Amor e l’odio non han forza in essi: sono gli affetti lor puri interessi. Se Neron t’ama, è mera cortesia, s’ei t’abbandona non teu’ puoi dolere: per minor mal ti converrà tacere. Con lui tu non puoi mai trattar del pari. E se le nozze hai per oggetto e fine, mendicando tu vai le tue ruine. Mira, mira, Poppea: dove il prato è più ameno e dilettoso, stassi il serpente ascoso. Dei casi le vicende son funeste: la calma è profezia de le tempeste. Ben sei pazza, se credi che ti possano far contenta e salva un garzon cieco, ed una donna calva.
Scena quinta Si muta la scena nella città di Roma. Ottavia, Nutrice. Ottavia Imperatrice esagera gl’affanni suoi con la Nutrice, detestando i mancamenti di Nerone suo consorte. La Nutrice scherza seco sopra novelli amori per traviarla da’ cupi pensieri; Ottavia resistendo constantemente persevera nell’afflizioni. Ottavia Disprezzata Regina, del monarca romano afflitta moglie, che fo, ove son, che penso? Oh, delle donne il miserabil sesso! Se la natura e ’l cielo libere ci produce, il matrimonio c’incatena serve. Se concepiamo l’uomo, o delle donne miserabil sesso, al nostr’empio tiran formiam le membra, allattiamo il carnefice crudele, che ci scarna e ci svena, e siam costrette per indegna sorte a noi medesme partorir la morte. Nerone, empio Nerone, marito, o Dio, marito bestemmiato, pur sempre, maledetto dai cordogli miei, dove, ohimè, dove sei? In braccio di Poppea, tu dimori felice e godi, e intanto il frequente cader de’ pianti miei pur va quasi formando un diluvio di specchi, in cui tu miri, dentro alle tue delizie, i miei martiri. Destin, se stai là su, Giove, ascoltami tu, se per punir Nerone fulmini tu non hai d’impotenza t’accuso, d’ ingiustizia t’incolpo! Ahi, trapasso tropp’oltre, e me ne pento. Sopprimo, e seppellisco in taciturne angoscie il mio tormento. O ciel, o ciel, deh l’ira tua s’estingua! Non provi i tuoi rigori il fallo mio... Nutrice Ottavia, o tu dell’universe genti unica Imperatrice... Ottavia Errò la superficie: il fondo è pio. Innocente fu il cor: peccò la lingua.
Nutrice Odi di tua fida nutrice, odi gli accenti. Se Neron perso ha l’ingegno di Poppea nei godimenti, sciegli alcun, che di te degno d’abbracciarti si contenti. Se l’ingiuria a Neron tanto diletta, abbi piacer tu ancor nel far vendetta. E se pur aspro rimorso dell’onor ti arreca noia, fa’ riflesso al mio discorso, ch’ogni duol ti sarà gioia. L’infamia sta gli affronti in sopportarsi, e consiste l’onor nel vendicarsi. Ottavia No, mia cara nutrice: la donna assassinata dal marito per adultere brame, resta ingannata sì, ma non infame! Per il contrario resta lo sposo inonorato, se il letto marital gli vien macchiato. Nutrice Figlia, e Signora mia, tu non intendi della vendetta il principal arcano. L’offesa sopra il volto d’una sola guanciata si vendica col ferro e con la morte. Chi ti punge nel senso, pungilo nell’onore, se bene a dirti il vero, né pur così sarai ben vendicata; Nel senso vivo te punge Nerone, e in lui sol pungerai l’opinione. Fa’ riflesso al mio discorso, ch’ogni duol ti sarà gioia. Ottavia Se non ci fosse né l’onor, né Dio, sarei Nume a me stessa, e i falli miei con la mia stessa man castigherei. E però lunge dagli errori, intanto divido il cor tra l’innocenza, e’l pianto. Scena sesta Seneca, Ottavia, Valletto. Seneca consola Ottavia ad esser constante. Valletto, paggio d’Ottavia, per trattenimento dell’Imperatrice burla Seneca al quale Ottavia si raccomanda, e va a porger preghiere al tempio. Seneca Ecco la sconsolata donna, assunta all’impero,
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per patir il servaggio. O gloriosa del mondo Imperatrice, sovra i titoli eccelsi degl’insigni avi tuoi conspicua e grande, la vanità del pianto degl’occhi imperiali è ufficio indegno. Ringrazia la Fortuna, che con i colpi suoi t’accresce gli ornamenti. La cote non percossa non può mandar faville; tu dal destin colpita produci a te medesma alti splendori di vigori, di fortezza: glorie maggiori assai che la bellezza. Ottavia Tu mi vai promettendo balsamo dal veleno, e glorie da’ tormenti. Scusami: questi son, Seneca mio, vanità speciose, studiati artifizi, inutili rimedi agl’infelici. Valletto Madama, con tua pace io vo’ sfogar la stizza che mi muove il filosofo astuto, il gabba Giove. M’accende pur a sdegno, questo miniator di bei concetti! Non posso stare al segno, mentre egli incanta altrui con aurei detti. Queste del suo cervel mere invenzioni le vende per misteri, e son canzoni. Madama, s’ei sternuta o sbadiglia presume d’insegnar cose morali; e tanto l’assottiglia, che moverebbe il riso a’ miei stivali. Ottavia Neron tenta il ripudio de la persona mia per isposar Poppea: si divertisca, se divertir si può sì indegno esempio. Tu per me prega il popol e ‘I Senato, ch’io mi riduco a porger voti al tempio. Scena settima
sotto forma di veste sono il martirio a prencipi infelici; le corone eminenti servono solo a indiademar tormenti. Delle Regie grandezze si veggono le pompe e gli splendori, ma stan sempre invisibili i dolori. Scena ottava Pallade, Seneca. Pallade in aria predice la morte a Seneca, promettendoli che se dovrà certo morire glielo farà di nuovo intender per bocca di Mercurio, e ciò per esser come uomo virtuoso suo caro e diletto; venendo ringraziata sommamente da Seneca. Pallade Seneca, io miro in cielo infausti rai, che minacciano te d’alte ruine. S’oggi verrà della tua vita il fine, pria da Mercurio avvisi certi avrai. Seneca Venga la morte pur: costante e forte, vincerò gli accidenti e le paure. Scena nona Nerone, Seneca. Nerone con Seneca discorre, dicendo voler adempire alle sue voglie. Seneca moralmente, e politicamente gli risponde dissuadendolo; Nerone si sdegna, e lo scaccia dalla sua presenza. Nerone Son risoluto insomma, o Seneca, o maestro, di rimover Ottavia dal posto di consorte, e di sposar Poppea. Seneca Signor, nel fondo alla maggior dolcezza spesso giace nascosto il pentimento: consiglier scellerato è il sentimento, ch’odia le leggi, e la ragion disprezza.
Seneca solo. Seneca fa considerazioni sopra le grandezze transitorie del mondo. Seneca Le porpore regali e imperatrici, d’acute spine, e triboli conteste
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Nerone La legge è per chi serve, e se vogl’io, posso abolir l’antica e indur le nove; è partito l’impero: è ‘l ciel di Giove, ma del mondo terren lo scettro è mio.
Seneca Sregolato voler non è volere, ma (dirò con tua pace) egli è furore.
e d’Ottavia, e del cielo, e dell’abisso, siansi giuste od ingiuste le mie voglie, oggi, oggi Poppea sarà mia moglie.
Nerone La ragione è misura rigorosa per chi obbedisce e non per chi comanda.
Seneca Il partito peggior sempre sovrasta, quando la forza alla ragion contrasta.
Seneca Anzi l’irragionevole comando distrugge l’ubbidienza.
Scena decima
Nerone Lascia i discorsi: io voglio a modo mio!
Poppea con Nerone discorrono de’ contenti passati, restando Nerone preda delle bellezze di Poppea, promettendole volerla creare imperatrice, e da Poppea venendo messo in disgrazia di lui Nerone adirato gli decreta la morte. Ottone, che se ne sta in disparte, intende e osserva il tutto.
Seneca Non irritar il popolo e il Senato. Nerone Del Senato e del popolo non curo. Seneca Cura almeno te stesso, e la tua fama. Nerone Trarrò la lingua a chi vorrà biasmarmi. Seneca Più muti che farai, più parleranno. Nerone Ottavi a è infrigidita e infeconda. Seneca Chi ragione non ha cerca pretesti. Nerone A chi può ciò che vuoI ragion non manca. Seneca Manca la sicurezza all’opre ingiuste. Nerone Sarà sempre più giusto il più potente. Seneca Ma chi non sa regnar sempre può meno. Nerone La forza è legge in pace... e spada in guerra, e bisogno non ha della ragione. Seneca La forza accende gli odi, e turba il sangue. La ragione regge gli uomini e gli Dei. Nerone Tu mi sforzi allo sdegno: al tuo dispetto, e del popol in onta, e del Senato,
Poppea, Nerone, Ottone in disparte.
Poppea Come dolci, Signor, come soavi riuscirono a te la notte andata di questa bocca i baci? Nerone Più cari i più mordaci. Poppea Di questo seno i pomi? Nerone Mertan le mamme tue più dolci nomi. Poppea Di queste braccia i dolci amplessi? Nerone Idolo mio, deh in braccio ancor t’avessi. Poppea, respiro appena; miro le labbra tue, e mirando recupero con gl’occhi quello spirto infiammato, che nel baciarti, o cara, in te diffusi. Non è, non è più in cielo il mio destino, ma sta dei labbri tuoi nel bel rubino. Poppea Signor, le tue parole son sì dolci, ch’io nell’anima mia le ridico a me stessa, e l’interno ridirle necessita al deliquio il cor amante. Come parole le odo, come baci io le godo. Son de’ tuoi cari detti i sensi sì soavi, e sì vivaci, che, non contenti di blandir l’udito, mi passano al stampar sul cor i baci.
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Nerone Quell’eccelso diadema ond’io sovrasto degl’uomini e de’ regni a la fortuna, teco divider voglio: e allor sarò felice quando il titolo avrai d’imperatrice. Ma che dico, o Poppea, troppo picciola è Roma ai merti tuoi, troppo angusta è l’Italia a le tue lodi, e al tuo bel viso è basso paragone l’esser detta consorte di Nerone. Ed han questo svantaggio i tuoi begli occhi, che, trascendendo i naturali esempi, e per modestia non tentando i cieli, non ricevon tributo d’altro onore, che di solo silenzio, e di stupore. Poppea A speranze sublimi il cor inalzo perché tu lo comandi, e la modestia mia riceve forza. Ma troppo s’attraversa ed impedisce delle regie promesse il fin sovrano. Seneca, il tuo maestro, quello stoico sagace, quel filosofo astuto, che sempre tenta persuader altrui, che il tuo scettro dipende sol da lui. Nerone Che? Quel decrepito pazzo ha tanto ardire? Olà, vada un di voi a Seneca volando e imponga a lui, ch’in questo giorno ei mora! Vuo’ che da me l’arbitrio mio dipenda, non da concetti, e da sofismi altrui. Rinegherei per poco le potenze dell’alma, s’io credessi, che servilmente indegne si movessero mai col moto d’altre. Poppea, sta’ di buon care: oggi vedrai ciò che sa far Amore. Scena undicesima
Neron felice i dolci pomi tocca, e il solo pianto a me bagna la bocca. Poppea A te le calve tempie, ad altri il crine la Fortuna diede, s’altri i desiri adempie ebbe di te più fortunato piede. La disventura tua non è mia colpa: te solo dunque il tuo destino incolpa. Ottone Sperai che quel macigno, bella Poppea, che ti circonda il care, fosse d’Amor benigno intenerito a pro’ del mio dolore. Or del tuo bianco sen la selce dura di mie morte speranze è sepoltura. Poppea Deh, più non rinfacciarmi! Porta, deh porta il martellino in pace. Cessa di più tentarmi: al cenno imperial Poppea soggiace. Ammorza il foco omai, tempra li sdegni: io lascio te per arrivar ai regni. Ottone E così l’ambizione sovra ogni vizio tien la monarchia! Poppea Così la mia ragione incolpa i tuoi capricci di pazzia. Ottone È questo del mio amor il guiderdone? Poppea Modestia olà ... Non più, son di Nerone. Ottone Ahi! Chi si fida in un bel volto fabbrica in aria, e sopra il vacuo fonda: tenta palpare il vento ed immobili afferra il fumo, e l’onda.
Ottone, Poppea, Arnalta in disparte. Ottone con Poppea palesa le sue morte speranze con lei e da passione la rinfaccia. Poppea si sdegna e sprezzandolo parte dicendo esser soggetta a Nerone. Ottone Ad altri tocca in sorte bere il licor, e a me guardar il vaso! Aperte stan le porte a Neron, ed Otton fuori è rimaso.
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Scena dodicesima Armalta e Ottone. [Armalta compiange la passione di Ottone] Ottone, amante disperato, imperversa con l’animo contro Poppea. Ottone Otton, torna in te stesso!
Il più imperfetto sesso non ha per sua natura altro d’uman in sé, che la figura. Mio cor, torna in te stesso. Costei pensa al comando, e se ci arriva la mia vita è perduta! Ella temendo che risappia Nerone i miei passati amori, ordirà insidie all’innocenza mia; indurrà colla forza un che m’accusi di lesa maestà, di fellonia. La calunnia da grandi favorita distrugge agl’innocenti onor e vita. Vo’ prevenir costei col ferro o col veleno, non mi vuo’ più nutrir il serpe in seno. A questo, a questo fine dunque arrivar doveva l’amor tuo, perfidissima Poppea! Scena tredicesima Drusilla, Ottone. Ottone, già amante di Drusilla, dama di corte, vedendosi sprezzato da Poppea rinnova seco gl’amori promettendole lealtà. Drusilla resta consolata del ricuperato suo affetto, e finisce l’atto primo. Drusilla Pur sempre di Poppea, o con la lingua, o col pensier discorri. Ottone Discacciato dal cor viene alla lingua, e da la lingua è consignato a’ venti il nome di colei, ch’infedele tradì gli affetti miei. Drusilla Il tribunal d’amor tal’or giustizia fa: di me non hai pietà, altri si ride, Otton, del tuo dolor. Ottone A te di quanto son, bellissima donzella, or fo libero don; ad altri mi ritolgo, e solo tuo sarò, Drusilla mia.
che a questo fido cor il tuo s’unì? Ottone È ver, Drusilla, è ver, sì, sì. Drusilla Temo, che tu mi dica la bugia ... Ottone No, no Drusilla, no. Drusilla Otton, non so, non so. Ottone Teco non può mentir la fede mia. Drusilla M’ami? Ottone Ti bramo. Drusilla E come in un momento? Ottone Amor è foco, e subito s’accende. Drusilla Sì subite dolcezze gode, lieto il mio cor, ma non l’intende. M’ami, m’ami? Ottone Ti bramo, ti bramo; ti dican l’amor mio le tue bellezze: per te nel cor ho nova forma impressa, i miracoli tuoi credi a te stessa. Drusilla Lieta m’en vado, Otton, resta felice. M’indrizzo a riveder l’imperatrice. Ottone Le tempeste del cor tutte tranquilla: d’altri Otton non sarà che di Drusilla! (E pure al mio dispetto, iniquo Amore, Drusilla ho in bocca, ed ho Poppea nel core.)
Drusilla Già l’oblio seppelì gli andati amori... è ver, Otton, è ver,
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ATTO SECONDO Scena prima Si muta la scena nella villa di Seneca. Seneca, Mercurio. Mercurio, in terra mandato da Pallade, annunzia a Seneca dover egli certo morire quel giorno; il quale, senza punto smarirsi degli orrori della morte, rende grazie al Cielo; e Mercurio dopo fatta l’ambasciata, se ne vola al Cielo. Seneca Solitudini amate, eremo della mente, romitaggio a’ pensieri; delizie all’intelletto, che discorre e contempla le immagini celesti sotto le forme ignobili e terrene: a te l’anima mia lieta s’en viene, e lunge dalla corte, ch’insolente e superba fa della mia pazienza anatomia, qui, tra le frondi e l’erbe, m’assido in grembo della pace mia. Mercurio Vero amico del cielo, appunto in questa solitaria chiostra visitati io volevo. Seneca E quando, quando mai le visite divine io meritai? Mercurio La sovrana virtù, di cui sei pieno, deifica i mortali: e perciò son da te ben meritate le celesti ambasciate. Pallade a te mi manda, e ti annunzia vicina l’ultim’ora di questa frale vita, e il passaggio all’eterna ed infinita. Seneca O me felice! Adunque ho vissuto sin’ora degl’uomini la vita, vivrò dopo la morte la vita degli dei. Nume cortese, tu il morir mi annunzi? Or confermo i miei scritti, autentico i miei studi: l’uscir di vita è una beata sorte, se da bocca divina esce la morte.
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Mercurio Lieto dunque t’accingi al celeste viaggio, al sublime passaggio. T’insegnerò la strada, che ne conduce allo stellato polo, Seneca, or colà su io drizzo il volo. Scena seconda Seneca, Liberto. Seneca riceve da Liberto, Capitano della Guardia di Nerone, l’annunzio di morte d’ordine di Nerone. Seneca costante si prepara all’uscir di vita. Liberto Il comando tiranno esclude ogni ragione, e tratta solo o violenza, o morte. lo devo riferirlo, e nondimeno relatore innocente mi par esser partecipe del male che a riferire io vado. Seneca, assai m’incresce di trovarti, mentre pur ti ricerco. Deh, non mi riguardar con occhio torvo se a te sarò d’infausto annuncio il corvo. Seneca Amico, è già gran tempo, ch’io porto il seno armato contro i colpi del Fato. La notizia del secolo in cui vivo, forestiera non giunge alla mia mente. Se mi arrechi la morte, non mi chieder perdono. rido, mentre mi rechi un sì bel dono. Liberto Nerone a te mi manda. Seneca Non più! T’ho inteso, ed obbedisco or ora. Liberto E come intendi pria ch’io m’esprima? Seneca La forma del tuo dir e la persona ch’a me ti manda son due contrassegni, minacciosi e crudeli del mio fatal destino. Già, già, son indovino: Nerone a me t’invia a imponermi la morte.
Liberto Signor, indovinasti: mori, mori felice, che, come vanno i giorni all’impronta del sole a marcarsi di luce, così alle tue scritture verran per prender luce gli scritti altrui. Mori, e mori felice. Seneca Vanne, vattene omai: e se parli a Nerone avanti sera, ch’io son morto e sepolto gli dirai. Scena terza Seneca, Famigliari. Seneca consola i suoi famigliari, i quali lo dissuadono a morire, e ordina a quelli di prepararli il bagno per ricever la morte. Seneca Amici, è giunta l’ora di praticare in fatti quella virtù che tanto celebrai. Breve angoscia è la morte: un sospir peregrino esce dal core, ove è stato molt’anni quasi in ospizio, come forestiero, e se ne vola all’Olimpo della felicità soggiorno vero. I Famigliari Non morir Seneca, no. lo per me morir non vo’. Questa vita è dolce troppo, questo ciel troppo è sereno, ogni amaro, ogni veleno finalmente è lieve intoppo. Se mi corco al sonno lieve mi risveglio in sul mattino, ma un avel di marmo fino mai non dà quel che riceve. lo per me morir non vo’. Non morir, Seneca, no. Seneca Itene tutti a prepararmi il bagno, che se la vita corre come il rivo fluente, in un tepido rivo questo sangue innocente io vo’ che vada a imporporarmi del morir la strada.
Scena quarta Si muta la scena nella città di Roma. Valletto, Damigella. Valletto paggio, e Damigella dell’Imperatrice scherzano amorosamente insieme. Valletto Sento un certo non so che, che mi pizzica e diletta: dimmi tu, che cosa egli è, damigella amorosetta. Ti farei, ti direi, ma non so quel ch’io vorrei. Se sto teco il cor mi batte, se tu parti io sto melenso: al tuo sen di vivo latte, sempre aspiro e sempre penso. Damigella Astutello garzoncello: bamboleggia Amor in te. Se divieni amante, affè, perderai tosto il cervello! Tresca Amor per sollazzo coi bambini, ma siete Amor, e tu, due malandrini. Valletto Dunque Amar così comincia? È una cosa molto dolce? lo darei per goder un tal diletto, i ciregi, le pere, ed il confetto. Ma se amaro divenisse questo mieI che sì mi piace l’addolciresti tu? Dimmelo, vita mia, dimmelo su! Damigella S’a te piace così, l’addolcirei, sì, sì. Valletto Mi par che per adesso se mi dirai che m’ami io mi contenterò. Dimmelo, dunque, o cara, e se vivo mi vuoi non dir di no. Damigella T’amo, caro Valletto, e nel mezzo del cor sempre t’avrò. Valletto Non vorrei, speme mia,
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starti nel core: vorrei starti più in su ... Non so se sia mia voglia o saggia o sciocca: io vorrei che il mio cor facesse nido nelle fossette belle e delicate che stan poco discoste alla tua bocca.
a cui l’India e l’Arabia le perle consacrò, donò gli odori. Bocca, ahi destin, che se ragiona, o ride, con invisibil arme punge, e all’alma dona felicità mentre l’uccide. Bocca che se mi porge lasciveggiando il tenero rubino m’inebria il cor di nettare divino!
Damigella Se ti mordessi poi? Ti lagneresti in pianti tutt’un dì.
Lucano Tu vai, Signor, tu vai nell’ estasi d’amor deliciando, e ti piovon dagl’occhi stille di tenerezza, lacrime di dolcezza.
Valletto Mordimi quanto sai, mai non mi lagnerò: morditure si dolci vorrei sempre goderle, purché baciat’ io sia da’ tuoi rubini mi mordan pur le perle. Damigella O caro Valletto. O caro, ti amo. Godiamo, o caro. O caro, godiamo! Valletto O cara mia vita. O cara, ti amo. Godiamo, o cara. O cara, godiamo! Scena quinta
Nerone Idolo mio, celebrar ti io vorrei, ma son minute fiaccole e cadenti dirimpetto al tuo sole i detti miei. Son rubini amorosi i tuoi labri preziosi, il mio core costante è di saldo diamante: così le tue bellezze ed il mio core di care gemme ha fabbricato Amore. Son rose senza spine le guance tue divine ... gigli e ligustri eccede il candor di mia fede: così tra ‘l tuo bel viso ed il mio core la primavera sua divide Amore, ond’io lieto m’en vivo or tra gli amanti.
Nerone, Lucano. Nerone, intesa la morte di Seneca, canta amorosamente con Lucano, poeta suo famigliare delirando nell’amore di Poppea. Nerone Or che Seneca è morto, cantiam, cantiam, Lucano, amorose canzoni, in lode di quel viso, che di sua mano Amor nel cor m’ha inciso. Lucano Cantiam, Signor, cantiamo. Nerone e Lucano Contiamo di quel viso ridente che spira glorie ed influisce amori. Cantiam di quel viso beato in cui l’idea d’Amor se stessa pose, che seppe su le nevi con nova maraviglia animar, incarnar la granatiglia. Cantiam di quella bocca
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Scena sesta Ottavia sola. [Ottavia Imperatrice, struggendosi d’amore e gelosia, trapassa dall’ira alla disperazione.] Ottavia Eccomi quasi priva dell’Impero e consorte ma lassa me non priva del ripudio e di morte. Martiri, o m’uccidete, o speranze, alla fin non m’affliggete. Neron, Neron, ben mio, chi mi ti toglie, oh Dio, come ti perdo, ohimè! Cadde l’affetto tuo, mancò la fe’, Poppea crudel, cruda Poppea, se lo stato mi togli, se de’ miei Regni e d’ogni ben mi spogli non me ne curo! Prendi ‘l in pace, ch’io cedendoli a te
credo che son fuor d’ogni strazio rio. Priva di tutto nulla pretendo e ti concedo il tutto ma non mi niegar no il mio sposo gradito, rendimi il mio marito, lasciami questo sol... soffri a ragione: se mi togli l’Imper dammi Nerone. Speranze, speranze, e che chiedete? Se disperata son, non m’affliggete.
Ottone Che uccida chi? Ottavia Poppea! Ottone Poppea? Che uccida Poppea? Ottavia Poppea, perché? Dunque ricusi quel che già promettesti?
Scena settima Ottone solo. Ottone s’adira contro a se medesimo delli pensieri avuti di voler offendere Poppea, nel disperato affetto della quale si contenta viver soggetto. Ottone Sprezzami quanto sai, odiami quanto vuoi: voglio esser Clizia al sol degl’occhi tuoi. Amerò senza speme al dispetto del Fato: fia mia delizia l’amarti disperato. Blandirò i miei tormenti, nati dal tuo bel viso: sarò dannato sì, ma in paradiso.
Ottone lo ciò promisi? (Urbanità di complimento umile, modestia di parole costumate, a che pena mortaI mi condannate!) Ottavia Che discorri fra te? Ottone Fo voti alla fortuna che mi doni attitudine a servirti. Ottavia E, perché l’Opra tua quanto più presta fia tanto più cara, precipita gli indugi. Ottone Se Neron lo saprà?
Scena ottava Ottavia, Ottone. Ottavia imperatrice comanda ad Ottone che uccida Poppea sotto pena della sua indignazione, e che per sua salvezza si ponga in abito feminile. Ottone tutto si contrista e parte confuso. Ottavia Tu che dagli Avi miei avesti le grandezze, se memoria conservi de’ benefici avuti, or dammi aita. Ottone Maestade che prega è destin che necessita: son pronto ad ubbidirti, o Regina, quando anche bisognasse sacrificar a te la mia ruina. Ottavia Voglio che la tua spada scriva gli obblighi miei col sangue di Poppea: vuo’ che l’uccida.
Ottavia Cangia vestiti: abito muliebre ti ricopra e con frode opportuna sagace esecutor t’accingi all’opra. Ottone Dammi tempo, ond’io possa inferocir i sentimenti miei, disumanare il core, imbarbarir la mano. Assuefar non posso in un momento il genio innamorato nell’arti del carnefice spietato. Ottavia Se tu non m’ubbidisci, t’accuserò a Nerone, ch’abbi voluto usarmi violenze inoneste, e farò sì, che ti stancheranno intorno il tormento e la morte in questo giorno. Ottone Ad obbedirti, o Imperatrice, io vado.
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(O ciel, o Dei, in questo punto orrendo ritoglietemi i giorni, e i spirti miei!) Scena nona Ottavia sola. [Ottavia imperatrice assapora la gioia della vendetta, figurandosi la morte della rivale Poppea.] Ottavia Vattene pure, la vendetta è un cibo che col sangue inimico si condisce e uccisa te, o malnata, non sarà più tiranno il mio consorte e tornerà giocondo il popolo, il senato e Roma e ‘l mondo. Scena decima Drusilla, Valletto, Nutrice. Drusilla vive consolata dalle promesse amorose di Ottone, e Valletto scherza con la Nutrice sopra la sua vecchiaia. Drusilla Felice cor mio, festeggiami in seno: dopo i nembi e gli orror godrò il sereno. Oggi spero che Ottone mi riconfermi il suo promesso Amore. Felice cor mio, festeggiami nel sen, lieto mio core. Valletto Nutrice, quanto pagheresti un giorno d’allegra gioventù com’ha Drusilla? Nutrice Tutto l’oro del mondo io pagherei, l’invidia del ben d’altri, l’odio di sé medesma, la fiacchezza dell’alma, l’infermità del senso son quattro ingredienti, anzi quattro elementi di questa miserabile vecchiezza, che canuta e tremante dell’ossa proprie è un cimeterio andante. DrusiIla Non ti lagnar così; sei fresca ancora. Non è il sol tramontato se ben passata è la vermiglia aurora.
Nutrice Il giorno femminil trova la sera sua dal mezzo dì: dal mezzogiorno in là sfiorisce la beltà. Col tempo si fa dolce il frutto acerbo e duro, ma in ore guasto vien quel ch’è maturo. Credete pure a me, o giovinette fresche in sul mattin: primavera è l’età ch’ Amor con voi si sta. Non lasciate che passi il verde april o ‘l maggio: si suda troppo in luglio a far viaggio. Valletto Andiam andiam a Ottavia omai Signora nonna mia... venerabile, antica... del buon Caronte idolatrata amica... Andiam, che in te è passata la mezzanotte nonché il mezzodì. Nutrice Ti darò una guanciata... bugiardello, bugiardello... che sì, bugiardello insolente, che sì, che sì... Scena undicesima Ottone, Drusilla. Ottone palesa a Drusilla dover egli uccidere Poppea per commissione di Ottavia Imperatrice, e chiede, per andare sconosciuto all’impresa, gl’abiti di lei, la quale promette non meno gl’abiti che secretezza ed aiuto. Ottone lo non so dov’io vada; il palpitar del core, ed il moto del pie’ non van d’accordo... L’aria che m’entra in seno, quand’ io respiro, trova il cor mio sì afflitto, ch’ella si cangia in subitaneo pianto. E così mentr’ io peno, l’aria per compassion mi piange in seno. Drusilla E dove, Signor mio? Ottone Drusilla, te sola io cerco. Drusilla Eccomi a tuoi piaceri.
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Ottone Drusilla, io vuo’ fidarti un secreto grandissimo: prometti e silenzio, e soccorso?
Ottone Andiam, andiam omai, che con alto stupore il tutto udrai.
Drusilla Ciò che del sangue mio, non che dell’oro può giovarti e servirti, è già tuo più che mio. Palesami il secreto, che del silenzio poi ti do l’anima in pegno e la mia fede.
Scena dodicesima
Ottone Non esser più gelosa di Poppea. DrusilIa No, no. Felice cor mio, festeggiami in seno. Ottone Senti, io devo or ora per terribile comando immergerle nel sen questo mio brando. Per ricoprir me stesso in misfatto sì enorme io vorrei le tue vesti. DrusilIa E le vesti e le vene io ti darò, Ottone Se occultarmi potrò, vivremo poi uniti sempre in dilettosi amori! Se morir converammi, nell’idioma d’un pietoso pianto di mie esequie, o Drusilla, se dovrò fuggitivo scampar l’ira mortaI di chi comanda, soccorri a mie fortune. Drusilla E le vesti e le vene, ti darò volentieri; ma circospetto va’, cauto procedi. Nel rimanente sappi che le fortune e le ricchezze mie ti saran tributarie in ogni loco. E proverai Drusilla nobile amante e tale, che mai l’antica età non ebbe uguale. Andiam andiam pur. Felice cor mio, festeggiami in seno. Andiam pur, ch’io mi spoglio e di mia man travestirti io voglio. Ma vuo’ saper da te più a dentro e a fondo di così orrenda impresa la cagione.
Si muta la scena nel giardino di Poppea. Poppea, Arnalta. Poppea, godendo della morte di Seneca, perturbatore delle sue grandezze, prega Amor che prosperi le sue fortune, e promette ad Arnalta sua nutrice continuato affetto; ed essendo colta dal sonno si fa adagiar [per] riposo nel giardino dove da Arnalta con manna soave viene addormentata. Poppea Or che Seneca è morto, Amor, ricorro a te, guida mia speme in porto, fammi sposa al mio Re. ArnaIta Pur sempre sulle nozze canzoneggiando vai. Poppea Ad altro, Arnalta mia, non penso mai. ArnaIta Il più inquieto affetto è la pazza ambizione! Ma se arrivi agli scettri e alle corone, non ti scordar di me, tiemmi appresso di te. Non ti fidar giammai di cortigiani, perché in due cose sole Giove è reso impotente: ei non può far che in cielo entri la morte, né che la Fede mai si trovi in corte. Poppea Non dubitar che meco sarai sempre la stessa, e non fia mai che sia altra che tu la secretaria mia. Amor, ricorro a te, guida mia speme in porto, fammi sposa... Par che ‘l sonno m’alletti a chiuder gli occhi alla quiete in grembo. Qui nel giardin, o Arnalta, fammi apprestar del riposare il modo, ch’alla fresc’ aria addormentarmi godo.
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Arnalta Adagiati, Poppea, acquietati, anima mia: sarai ben custodita. Oblivion soave i dolci sentimenti in te, figlia, addormenti. Posatevi, occhi ladri, aperti, deh, che fate, se chiusi ancor rubate! Poppea, rimanti in pace: luci care e gradite, dormite omai, dormite. Scena tredicesima Amore solo. Amor scende dal Cielo mentre Poppea dorme per impedirle la morte, e si nasconde vicino a lei. Amore Dorme, l’incauta dorme. Ella non sa, ch’or verrà il punto micidiale. Così l’umanità vive all’oscuro, e quando ha chiusi gli occhi, crede essersi dal mal posta in sicuro. O sciocchi, o frali sensi mortali: mentre cadete in sonnacchioso oblio sul vostro sonno è vigilante dio. Siete rimasi gioco de’ casi, oggetti al rischio e del periglio prede. Amor genio del mondo non provvede. Dormi, o Poppea, terrena Dea: ti salverà dall’arma altrui rubelle, Amor che move il sol e l’altre stelle. Già s’avvicina la tua ruina; ma non ti ??ocerà strano accidente ch’ Amor picciolo è sì, ma onnipotente.
quel giorno imperatrice, se ne vola al Cielo, e finisce l’Atto secondo. Ottone Eccomi trasformato non d’Ottone in Drusilla, ma d’uom in serpe, al cui veleno e rabbia non vide il mondo, e non vedrà simile. Ma, che veggio, infelice? tu dormi, anima mia? Chiudesti gli occhi per non aprirli più? Care pupille, il sonno vi serrò, affinché non vediate questi prodigi strani: la vostra morte uscir dalle mie mani. Ma che tardo? Che bado? Costei m’aborre e sprezza, e ancor io l’amo? Ho promesso ad Ottavia: se mi pento, accelero a’ miei dì funesto il fine. Esca di corte chi vuoI esser pio. Colui che ad altro guarda, ch’ all’interesse suo, merta esser cieco. Il fatto resta occulto, la macchiata coscienza si lava con l’oblio. Poppea, t’uccido: Amor, rispetti, a Dio. Amore Forsennato, scellerato inimico del mio Nume, tanto dunque si presume? Fulminarti io dovrei, ma non merti di morire per la mano degli Dei. Illeso va’ da questi strali acuti, non tolgo al manigoldo i suoi tributi. Poppea Drusilla, in questo modo? Con l’armi ignude in mano, mentre nel mio giardin dormo soletta? Arnalta Accorrete, accorrete, o servi, o damigelle, a inseguir Drusilla, dalli, dalli, tanto mostro a ferir non sia chi falli.
Scena quattordicesima
Scena quindicesima
Ottone, Amore, Poppea, Arnalta.
Amore solo.
Ottone, travestito da Drusilla, capita nel giardino dove sta addormentata Poppea per ucciderla, e Amor lo vieta. Poppea nel fatto si sveglia e Ottone (creduto Drusilla) inseguito dalle serventi di Poppea fugge. Amor, protestando voler oltre la difesa di Poppea incoronarea in
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Amore Ho difesa Poppea, vuo’ farla Imperatrice.
ATTO TERZO Scena prima Si muta la scena nella città di Roma. Drusilla sola. Drusilla gioisce sperando in breve intender la morte di Poppea sua rivale per godere degl’amori di Ottone. Drusilla O felice Drusilla, o che sper’io? Corre adesso per me l’ora fatale, perirà, morirà la mia rivale, e Otton finalmente sarà mio. Se le mie vesti avran servito per ben coprirlo, con vostra pace, o dei, adorar io vorrò gli arnesi miei. O felice DrusilIa, o che sper’io?
lei, per salvar dall’ira di Nerone Ottone suo amante, confessa per odio antico (benché innocente) aver voluto uccidere Poppea, ove da Nerone vien sentenziata a morte. Arnalta Signor, ecco la rea, che trafigger tentò la matrona Poppea. Dormiva l’innocente nel suo proprio giardino, sopraggiunse costei col ferro ignudo: se non si risvegliava la tua devota ancella, sopra di lei scendeva il colpo crudo. Nerone Onde tanto ardimento? E chi t’indusse, rubella, al tradimento? Drusilla Innocente son io, lo sa la mia coscienza, e lo sa dio.
Arnalta, Littore con molti simili, e Drusilla.
Nerone No, confessa omai, s’attentasti per odio o se ti spinse l’autoritade, o l’oro al gran misfatto.
Arnalta nutrice di Poppea, con Littore e molti simili, fa prendere Drusilla, la quale si duole di se medesima.
Drusilla Innocente san io, lo sa la mia coscienza, e lo sa Dio.
Arnalta Ecco la scelerata che pensando occultarsi di vesti s’è mutata.
Nerone Flagelli, funi, fochi, cavino da costei il mandante, e i correi.
Drusilla E qual peccato mi conduce a morte?
Drusilla Signor, io fui la rea, ch’uccider volli l’innocente Poppea.
Scena seconda
Littore Fermati, morta sei! Ancor t’infingi, sanguinaria indegna? A Poppea dormiente macchinasti la morte. Drusilla Ahi, caro amico, ahi, sorte, ahi, mie vesti innocenti, di me doler mi deggio e non d’altrui; credula troppo, e troppo incauta fui.
Nerone Conducete costei al carnefice omai, fate ch’egli ritrovi con una morte a tempo qualche lunga amarissima agonia, ch’in difficili forme inasprisca la morte a questa ria. Scena quarta
Scena terza Arnalta, Nerone, Drusilla, Littore.
Ottone, Nerone, Drusilla, [Littore], Coro di Romani.
Nerone interroga Drusilla del tentato omicidio;
Ottone, vedendo rea l’innocente Drusilla, palese
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sé medesmo colpevole del fatto, confessando aver voluto commettere il delitto per commissione d’Ottavia imperatrice. Nerone, inteso ciò, gli salva la vita, dandogli l’esilio e spogliandolo di fortune. Drusilla chiede in grazia d’andare in esilio seco, e partono consolati. Nerone decreta il ripudio d’Ottavia imperatrice, e che, oltre all’esilio, sia posta in una barca nel mare a discrezione de’ venti. Ottone No, no, questa sentenza cada sopra di me, che ne son degno. Drusilla lo fu io la rea, ch’uccider volli l’innocente Poppea. Ottone Siatemi testimoni o ciel, o Dei: innocente è costei. Drusilla Quest’alma e questa mano fur le complici sole. A ciò m’indusse un odio occult’antico, non cercar più la verità ti dico. Ottone Innocente è costei. lo con le vesti di Drusilla andai, per ordine d’Ottavia l’imperatrice ad attentar la morte di Poppea. Dammi, Signor, con la tua man la morte. Ottone E se non vuoi, che la tua mano adorni di decoro il mio fine, mentre della tua grazia io resto privo, all’infelicità lasciami vivo. Nerone Vivi, ma va’ ne’ più remoti deserti di titoli spogliato e di fortune, e serva a te mendico e derelitto, di flagello e spelonca il tuo delitto. E tu ch’ardisti tanto, o nobile matrona, per ricoprir costui sopportar salutifere bugie, vivi alla fama della mia clemenza, vivi alla gloria della tua fortezza, e sia del sesso tuo nel secol nostro la tua costanza un adorabil mostro. Drusilla In esilio con lui, deh, signor mio, consenti,
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ch’io tragga i giorni ridenti. Nerone Vanne, come a te piace. Ottone Signor, non san punito, anzi beato. La virtù di costei sarà ricchezza e gloria a’ giorni miei. Drusilla Ch’io viva o mora teco: altro non voglio. Dono alla mia fortuna tutto ciò che mi diede, purché tu riconosca in cor di donna una costante fede. Nerone Orsù, finiamola, andate alla malora. Delibero e risolvo con editto solenne il ripudio d’Ottavia, e con perpetuo esilio da Roma io la proscrivo. Mandisi Ottavia al più vicino lido, le si appresti in un momento qualche spalmato legno e sia commessa al bersaglio de’ venti. Convengo giustamente risentirmi! Volate ad ubbidirmi. Scena quinta Poppea, Nerone. Nerone giura a Poppea che sarà in quel giorno sua sposa. Poppea Signor, oggi rinasco ai primi fiori di questa nova vita. voglio che sian sospiri che ti facciano fede che rinata per te languisco e moro e morendo e vivendo, ogn’or t’adoro. Nerone Non fu, non fu Drusilla, ch’ucciderti tentò. Poppea Chi fu, chi fu il fellone? Nerone Il nostro amico Ottone.
Poppea Egli da sé? Nerone D’Ottavia fu il pensiero. Poppea Or hai giusta cagione di passar al ripudio. Nerone Oggi come promisi, mia sposa tu sarai. Poppea Sì caro dì veder non spero mai. Nerone Per il trono di Giove e per il mio, oggi sarai, ti giuro, di Roma Imperatrice: in parola regal te n’assicuro. Poppea Idolo del cor mio, giunta è pur l’ora, che del mio ben godrò. Nerone e Poppea Né più s’interporrà noia o dimora. Cor nel petto non ho: me’l rubasti sì, sì, dal cor me lo rapì de’ tuo’ begli occhi il lucido sereno, per te, ben mio, non ho più core in seno. Stringerò tra le braccia innamorate, chi mi trafisse, ohimè! Non interrotte avrò l’ore beate. Se son perduta in te, in te mi troverò, e tornerò a riperdermi, ben mio, che sempre in te perduto/a mi troverò, in te perduto/a esser vogl’io. Scena sesta Arnalta sola. Arnalta, nutrice e consigliera di Poppea, gode in vedersi assunta al grado di confidente d’una imperatrice, e giubila de’ suoi contenti.
gorgheggierammi il vostra signoria. Chi m’incontra per strada mi dice: fresca donna, e bella ancora, e io pur so, che sembro delle Sibille il leggendario antico, ma ogn’un così m’adula, credendo guadagnarmi, per interceder grazie da Poppea. Ed io fingendo di non capir le frodi, in coppa di bugia bevo le lodi. lo nacqui serva e morirò matrona. Mal volentier morrò; se rinascessi un dì, vorrei nascer matrona e morir serva. Chi lascia le grandezze, piangendo a morte va, ma chi servendo sta, con più felice sorte, come fin degli stenti ama la morte. Scena settima Ottavia sola. Ottavia ripudiata da Nerone, deposto l’abito imperiale, parte sola miseramente, piangendo in abbandonare la patria ed i parenti. Ottavia Addio Roma, addio patria, amici addio. Innocente da voi partir conviene. Vado a patir l’esilio in pianti amari, navigo disperata i sordi mari... L’aria che d’ora in ora riceverà i miei fiati, li porterà, per nome del cor mio a veder, a baciar le patrie mura, ed io starò solinga, alternando le mosse ai pianti, ai passi, insegnando pietade ai tronchi e ai sassi... Remigate oggi mai, perverse genti! Allontanatemi omai dagli amati lidi! Ahi, sacrilego duolo, tu m’interdici il pianto, quando lascio la patria né stillar una lagrima poss’io, mentre dico ai parenti, e a Roma: addio.
ArnaIta Oggi sarà Poppea di Roma Imperatrice! Io, che son la nutrice, ascenderò delle grandezze i gradi: no no col volgo io non m’abbasso più. Chi mi diede del tu, or con nova armonia
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FINALE Scena ottava Si muta la scena nella reggia di Nerone. Nerone, Poppea, Consoli, Tribuni, Amore Venere in Cielo e Choro di Amori. Nerone solennemente assiste alla Coronazione di Poppea, la quale a nome del popolo e del senato romano vien indiademata da Consoli e Tribuni. Amor parimenti cala dal Cielo con Venere, Grazie ed Amori, e medesimamente incorona Poppea come dea delle bellezze in terra; e finisce l’opera. Nerone Ascendi, o mia diletta, della sovrana altezza all’apice sublime. Blandita da le glorie ch’ambiscono servirti come ancelle. Acclamata dal mondo e da le stelle, scrivi del tuo trionfo tra i più cari trofei, adorata Poppea, gli affetti miei. Poppea Il mio genio confuso al non usato lume quasi perde il costume, Signor, di ringraziarti. Su quest’eccelse cime, ove mi collocasti, per venerarti a pieno, io non ho cor che basti. Doveva la natura al sopra più degli eccessivi affetti, un core a parte fabbricar nei petti. Nerone Per capirti negli occhi il sol s’impicciolì; per albergarti in seno l’alba dal ciel partì, e per farti sovrana a donne, e a Dee, Giove nel tuo bel volto stillò le stelle e consumò l’idee. Poppea Da’ licenza al mio spirto, ch’esca dall’amoroso laberinto di tante lodi, e tante. E che s’umilii a te, come conviene, mio re, mio sposo, mio signor, mio bene.
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Nerone Ecco vengono i Consoli e i Tribuni a rinverirti, o cara! Nel sol rimirarti, il popolo, e’I senato omai comincia a divenir beato! Consoli e Tribuni A te sovrana augusta con il consenso universaI di Roma indiademiam la chioma; a te l’Asia, a te l’Africa s’atterra; a te l’Europa e’I mar che cinge e serra quest’impero felice, ora consacra e dona questa del mondo imperial corona. Coro di Amori Scendiam compagni alati, voliam ai sposi amati. Amore AI nostro volo risplendano assistenti i sommi divi. Coro Dall’alto polo si veggian fiammeggiar raggi più vivi. Amore Madre, sia con tua pace: tu in cielo sei Poppea, questa è Venere in terra. Venere lo mi compiaccio, o figlio, di quanto aggrada a te. Diasi pur a Poppea il titolo di Dea. Cori di Amori Or cantiamo giocondi, in terra e in cielo il gioir sovrabbondi in ogni clima, in ogni regione e senta rimbombar, Poppea e Nerone. Nerone e Poppea Pur ti miro, pur ti godo, pur ti stringo, pur ti annodo, più non peno, più non moro, o mia vita, o mio tesoro. lo son tua, tuo son io, speme mia dillo, di’, l’idol mio, tu sei pur, sì mio ben, sì mio cor, mia vita, sì, sì.
A sinistra: Giovanni Francesco Busenello. Autore del libretto di L’incoronazione di Poppea. Di famiglia patrizia veneziana esercitò l’avvocatura ma non tralasciò gli otia letterari e frequentò l’ambiente teatrale. In basso: Facciata del Studio di Padova. Giovanni Francesco Busenello conseguì il dottorato in legge allo “Studio” di Padova nel 1619. Incisione in Francesco Scoto, Nuovo itinerario d’Italia, Per Mattio Cadorin, Padova 1670.
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Il soggetto Alberto Bentoglio
Prologo Fortuna e Virtù disputano la loro ascendenza sul genere umano. Amore le sfida, proclamando la sua superiorità. Atto primo Dalla presenza dei soldati di Nerone a guardia della dimora dell’amata Poppea, Ottone comprende che l’imperatore ha trascorso con lei una notte d’amore. Infatti, poco dopo, Nerone si congeda da Poppea, la quale, spinta da grande ambizione, non bada alle prudenti parole di Arnalta. Abbandonata da Nerone, l’imperatrice Ottavia lamenta la sua sorte: a nulla valgono i consigli della Nutrice che la incita a trovarsi un amante, né le parole del precettore di Nerone, il filosofo Seneca, al quale la dea Pallade preannuncia la prossima morte. Nerone comunica a Seneca il proposito di ripudiare Ottavia per sposare Poppea. A tale decisione il precettore si oppone con fermezza, ma Nerone, infastidito dalle sue rimostranze, lo allontana bruscamente. Ormai padrona dell’animo dell’imperatore, Poppea lo persuade a ordinare la morte di Seneca. Ottone rimprovera a Poppea il stio tradimento, ma la donna lo respinge con fermezza. Per dimenticare l’amata infedele – dopo essersi vanamente proposto di ucciderla – Ottone promette il suo cuore a Drusilla. Atto secondo Inviato da Pallade, il dio Mercurio annuncia a Seneca la morte. Di lì a poco, infatti, il capitano delle guardie reca al filosofo l’ordine di Nerone: entro sera egli dovrà suicidarsi. Congedati i discepoli, Seneca si uccide. Alla notizia della morte del precettore, Nerone canta con Lucano la bellezza di Poppea. Decisa a vendicare l’affronto subìto, Ottavia comanda a Ottone di uccidere la rivale: per agire indisturbato e non essere riconosciuto, egli dovrà indossare abiti femminili. Ottone si reca da Drusilla e, dopo averle svelato il progetto omicida, indossa le sue vesti e si dirige nel giardino dove Poppea sta dormendo. Ma il piano omicida è sventato dal sùbito intervento di Amore. Arnalta dà l’allarme, mentre Ottone fugge. Atto terzo Guidati da Arnalta, i soldati dell’imperatore arrestano Drusilla, accusata dalle sue vesti di avere attentato alla vita di Poppea. Tradotta innanzi a Nerone, Drusilla, per salvare la vita dell’amato, si proclama colpevole, ma Ottone interviene, confessando di avere agito per ordine dell’imperatrice. Nerone condanna all’esilio Ottone e Drusilla, dopo aver ripudiato la consorte. Mentre Arnalta gioisce per la vittoria della padrona, Ottavia sconsolata abbandona Roma. Alla presenza di consoli e tribuni, Nerone incorona Poppea imperatrice.
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Argument
Prologue La Fortune et la Vertu discutent de leur ascendant respectif sur le gerne humain. L’Amour les défie, proclamant sa supériorité. Premier acte En voyant les soldats de Néron qui montent la garde devant la demeure de sa bien-aimée Poppée, Othon comprend que Néron a passé la nuit auprès d’elle. Peu après, en effet, l’empereur prend congé de Poppée. Celle-ci, poussée par une grande ambition, ne prête aucune attention aux paroles d’Arnalta l’incitant à la prudence. Abandonnée par Néron, l’impératrice Octavie se lamente sur son sort; les conseils de son ancienne Nourrice qui l’incite à prendre un amant sont vains, comme sont vaines les paroles du précepteur de Néron, le philosophe Sénèque, à qui la déesse Pallas annonce sa mort prochaine. Néron fait part à Sénèque de sa décision de répudier Octavie et d’épouser Poppée. Le précepteur s’oppose avec fermeté à cette décision, mais Néron, agacé par ses remontrances, le renvoie brusquement. Maintenant maîtresse du cœur de Néron, Poppée le persuade d’ordonner la mort de Sénèque. Othon reproche à Poppée sa trahison, mais elle le repousse avec brusquerie. Pour oublier son amante infidèle – après s’être vainement proposé de la tuer – Othon promet son cœur à Drusilla. Deuxième acte Envoyé par Pallas, le dieu Mercure annonce à Sénèque qu’il va mourir. Peu après le capitaine des gardes arrive et remet au philosophe l’ordre de Néron: il doit se suicider avant la nuit. Sénèque renvoie ses disciples puis il s’ôte la vie. À la nouvelle de la mort de Sénèque, Néron chante avec Lucain la beauté de Poppée. Décidée à se venger de l’affront subi, Octavie ordonne à Othon de tuer sa rivale: pour agir sans être dérangé et sans être reconnu, il devra s’habiller en femme. Othon se rend chez Drusilla, puis, après lui avoir révélé le pIan homicide, il lui emprunte ses vêtements et se dirige vers le jardin où Poppée est en train de dormir. Mais le pIan homicide échoue grâce à l’intervention rapide de l’Amour. Arnalta donne l’alerte tandis qu’Othon s’enfuit. Troisième acte Guidés par ArnaIta, les soldats de l’empereur arrêtent DrusiIla, accusée, parce que reconnue à ses habits, d’avoir attenté à la vie de Poppée. Conduite devant Néron, DrusiIla se déclare coupable pour sauver la vie de son bien-aimé. Othon intervient alors et avoue avoir agi sur ordre de l’impératrice. Après avoir répudié sa femme, Néron condamne Othon et DrusiIla à l’exiI. Tandis qu’Arnalta se réjouit de la victoire de sa maîtresse, Octavie éplorée quitte Rome. À la présence des consuls et des tribuns, Néron couronne Poppée impératrice. (Traduzione di G. Viscardi)
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Synopsis
Prologue Fortune and Virtue are quarrelling about their ascendancy over humankind. Cupid challenges them, proclaiming his superiority. Act I From the presence of Nero’s soldiers guarding the residence of his beloved Poppaea, Ottone realizes that the emperor has spent a night of love with her. Shortly afterwards, in fact, Nero is seen taking his leave of Poppaea. Meanwhile Poppaea, spurred by unbridled ambition, pays no heed to the prudent words of ArnaIta. Abandoned by Nero, the empress Ottavia bemoans her fate. The advice of her nurse, who incites her to get herself a lover, falls on deaf ears, as does that of Nero’s tutor, the philosopher Seneca, to whom the goddess Pallas Athene announces his imminent death. Nero tells Seneca of his intention to repudiate Ottavia in order to marry Poppaea. The tutor resolutely opposes this decision but Nero is annoyed by bis remonstrances and dismisses him brusquely. By now mistress of the emperor’s soul, Poppaea persuades bim to order Seneca’s death. Ottone reproaches Poppaea for her betrayal, but she fIrmly rejects him. To forget his faithless beloved, whom he cannot bring himself to kill, Ottone promises his heart to Drusilla. Act II Sent by Pallas Athene, the god Mercury announces to Seneca that he is to die. Soon afterwards the captain of the guards brings Nero’s order to Seneca that he is to commit suicide before dusk. After bidding farewell to his pupiIs, Seneca kiIls himself. When Nero receives news of the tutor’s death, he sings praise with Lucano to the beauty of Poppaea. Having decided to avenge the affront, Ottavia orders Ottone to slay her rival. In order to act undisturbed and unrecognized, he must wear a woman’s clothes. Ottone goes to Drusilla and, after revealing the murder project to her, puts on her clothes and goes to the garden where Poppaea is sleeping. But the pIan of murder is thwarted by the sudden intervention of Cupid. Arnalta raises the alarm, while Ottone fIees. Act III Led by Arnalta, the emperor’s soldiers arrest DrusiIla, who is accused, on the evidence of her clothes, of having attempted to murder Poppaea. Brought before Nero, Drusilla, to save the life of her beloved, pleads guilty. But Ottone steps forward, confessing that he personally acted on orders from the empress. After repudiating his wife, Nero condemns Ottone and Drusilla to exile. While Arnalta rejoices at her mistress’ victory, Ottavia disconsolately leaves Rome. In the presence of consuls and tribunes, Nero crowns Poppaea empress. (Traduzione di Rodney Stringer)
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Die Handlung
Prolog Fortuna und Tugend streiten über ihren Einfluss auf das menschliche Geschlecht. Amor fordert sie heraus: Der größte Einfluss gehört ihm. Erster Akt Als er die Soldaten Neros sieht, die vor dem Haus der geliebten Poppea Wache halten, begreift Otho, dass der Kaiser mit ihr eine Liebensnacht verbracht hat. Bald darauf verabschiedet sich Nero von Poppea. In ihrem Ehrgeiz befangen hört Poppea nicht auf die klugen Worte von Arnalta. Die von Nero verlassene Kaiserin Ottavia beklagt ihr Los; sie h6rt nicht auf den Rat der Amme, sie solle sich ebenfalls einen Liebhaber suchen, und sie hört auch nicht auf Neros Lehrer, den Philosophen Seneca, dem dann Pallas Athene sein baldiges Lebensende verkündet. Nero teilt Seneca mit, er beabsichtige Ottavia zu verstoßen, um Poppea zu heiraten. Seneca stellt sich diesem PIan mit seiner ganzen Autorität entgegen, aber Nero gerallt die unbeugsame Haltung des Philosophen ganz und gar nicht und entlässt ihn brüsk. Poppea beherrscht Nero so sehr, dass sie ihn überreden kann, den Tod Senecas zu befehlen. Otho wirft Poppea Verrat vor, wird aber ebenfalls scharf zuriickgewiesen. Um die ungetreue Geliebte zu vergessen (vergeblich nimmt er sich vor, sie zu töten), verspricht Ottone seine Liebe Drusilla. Zweiter Akt Von Pallas Athene gesandt, verkündet der Gott Merkur Seneca den Tod. Kurz darauf erscheint der Hauptmann der Prätorianergarde mit dem Befehl Neros: noch am selben Abend müsse der Philosoph Selbstmord begehen. Seneca entlässt seine Schüler und gibt sich den Tod. Als ihm die Nachricht vom Tod seines Lehrers gebracht wird, besingt Nero mit Lucano die Schönheit der Poppea. Ottavia hat sich inzwischen zur Rache entschlossen und befiehlt Otho, die Rivalin zu töten. Um ungestört handeln zu können, wird er Frauenkleider tragen. Otho geht zu DrusiIla, enthüllt ihr den Plan und wechseIt dann die Kleider mit ihr. Er begibt sich in den Garten, wo Poppea schläft, aber Amor vereitelt den Mordplan. Arnalta schlägt Alarm, und Otho fIüchtet. Dritter Akt Von Arnalta geführt, verhaften die Soldaten des Kaisers DrusiIla, deren Kleider sie des versuchten Mordes an Poppea anklagen. Vor dem Kaiser erklärt Drusilla ihre Schuld, um das Leben des GeIiebten zu retten, aber Otho greift ein und gesteht, er habe auf Befehl der Kaiserin gehandelt. Nero verurteilt Otho und Drusilla zum Exil und verstößt die Gattin. Während Arnalta über den Sieg ihrer Herrin jubelt, verlässt Ottavia traurig Rom. In Gegenwart der Konsuln und Tribunen krönt Nero Poppea zur Kaiserin. (Traduzione di Lieselotte Stein)
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(Traduzione di Wakae Ishikawa)
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СЮЖЕТ ИЗЛОЖЕНИЕ Коронация Поппеи
Пролог Фортуна и Добродетель cпорят о том, кто из них более важен для рода человеческого. Любовь бросает им вызов, заявив, что она куда значительнее их обеих. Действие первое Увидев солдат Нерона, охраняющих жилье возлюбленной Поппеи, Оттон догадывается, что император провёл с ней ночь. И действительно, вскоре Нерон прощается с Поппеей, а она, движимая безмерным честолюбием, не придаёт значения предострегающим словам Арнальты. Покинутая Нероном, императрица Октавия ропщет на судьбу; она не слушает ни советов Кормилицы, которая подсказывает ей найти любовника, ни слов наставника Нерона, философа Сенеки, которому богиня Паллада шлёт весть о близкой кончине. Нерон рассказывает Сенеке, какой он придумал предлог, чтобы избавиться от Октавии и жениться на Поппее . Наставник решительно против такого поступка, но Нерон раздражён его словами и просит убраться. Покорившая сердце императора Поппея убеждает его приказать Сенеке умереть. Oттон упрекает Поппею в измене, но та его решительно отталкивает. Чтобы забыть неверную возлюбленную, после того, как напрасно помышлял убить её, Оттон обещает свою любовь Друзилле. Действие второе Посланный Палладой бог Меркурий предвещает Сенеке смерть. И действительно, вскоре капитан охранников передаёт Сенеке приказ Нерона: к вечеру он должен покинуть сей мир. Отпустив учеников, Сенека кончает жизнь самоубийством. Получив известие о смерти наставника, Нерон вместе с Луканом воспевает красоту Поппеи. Решив отомстить за нанесённое ей оскорбление, Октавия приказывает Оттону убить соперницу. А чтобы действовать безпрепятственно и чтобы его не узнали, он должен одеться в женское платье. Oттон отправляется к Друзилле, открывает ей план убийства, одевается в её одежды и направляется к саду, где спит Поппея. Но замысел убийства пресекается моментальным вмешательством Любви. Арнальта поднимает тревогу, а Оттон пускается в бегство. Действие третье По подсказке Арнальты солдаты императора схватили Друзиллу, на которую из-за её одежд пало подозрение в покушении на жизнь Поппеи. Друзилла, которую приводят на ковёр к Нерону, чтобы спасти жизнь любимого, берёт вину на себя, но появляется Оттон и признаётся, что действовал по приказу императрицы. Нерон приговаривает Оттона и Друзиллу к изгнанию после того, как прогнал супругу. И в то время, когда Арнальта радуется победе своей хозяйки, безутешная Октавия покидает Рим. А Нерон в присутствии консулов и трибунов коронует Поппею на царство. (Traduzione di Margarita Sosnizkaja)
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L’opera in breve Emilio Sala
“Un enigma. Un rompicapo. Un puzzle scompagnato. Nessun’altra opera famosa, nella storia del melodramma, presenta quesiti paragonabili a quelli che ci pone L’incoronazione di Poppea.” Queste parole di Lorenzo Bianconi enfatizzano un aspetto fondamentale dell’ultima opera di Monteverdi: la sua problematicità – una problematicità che vale tanto sul versante testuale e filologico quanto su quello ermeneutico e contenutistico. Partiamo dal primo. L’opera andò in scena a Venezia, al Teatro di SS. Giovanni e Paolo, nel 1643, ma di quella première non possediamo nessuna fonte, tranne lo Scenario dell’opera reggia intitolata La coronatione di Poppea, che contiene un mero riassunto della trama scena per scena e non indica né il nome del compositore né quello del librettista. Anche nell’edizione “ufficiale” del libretto, quella pubblicata da Giovan Francesco Busenello nella raccolta Delle hore ociose (1656), manca il nome del compositore. Quest’ultimo non è presente neppure nelle due partiture manoscritte, una conservata a Venezia e l’altra a Napoli, che di quest’opera ci hanno tramandato la musica. Alcuni musicologi hanno dunque posto in dubbio l’attribuzione della sua paternità, o della sua paternità integrale, a Monteverdi. In effetti, se prendiamo il celebre duetto finale tra Nerone e Poppea, “Pur ti miro, pur ti godo”, esso non compare né nello Scenario del 1643, né nel libretto pubblicato da Busenello (1656). Facile pensare allora che il brano più famoso dell’opera non sia di Monteverdi, tanto più che il suo testo era già presente nel duetto conclusivo del Pastor regio di Benedetto Ferrari (Bologna 1641) e ricomparirà pure nel Trionfo della Fatica di Filiberto Laurenzi (Roma 1647). Sebbene di queste due rappresentazioni non si sia conservata la musica, è piuttosto verosimile ipotizzare che ci si trovi di fronte sempre allo stesso duetto, passato dal Pastor regio all’Incoronazione e da questa al Trionfo della Fatica. D’altra parte, sia Ferrari sia Laurenzi erano impegnati nel Teatro di SS. Giovanni e Paolo proprio nella stagione del carnevale 1643. Tra i brani spuri dell’Incoronazione c’è anche la Sinfonia introduttiva che si trova nel manoscritto di Venezia: essa corrisponde a una Sinfonia della Doriclea di Francesco Cavalli, un’opera andata in scena nel carnevale 1645 (quando Monteverdi era già morto). La cosa non sorprende se si pensa che il manoscritto di Venezia proviene dalla biblioteca personale di Cavalli. Insomma: dal punto di vista filologico e testuale l’opera è piena di problemi ancora aperti. Passando al piano ermeneutico e contenutistico, il discorso non cambia. Qual è infatti il significato o la morale di un’opera in cui la virtù è punita e la malvagità premiata? In cui la lascivia più spudorata trionfa su tutto? Molto si è insistito negli ultimi anni sull’influenza, nella drammaturgia dell’opera, dell’ideologia libertina della veneziana Accademia degli Incogniti di cui faceva parte Gian Francesco Busenello. Su questo contesto culturale, vale la pena segnalare un recente saggio di Edward Muir (Guerre culturali, Laterza, Bari 2008). In effetti, l’ambiguità interpretativa sembra un dato costante nell’opera. La prima scena del secondo atto Aulmina con la rappresentazione della
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morte di Seneca, la cui voce di basso, con la sua connotazione sacramentale, avvalora l’idea di auctoritas morale connessa al personaggio. Il suo stoicismo proverbiale, con la sua nobile rassegnazione davanti alla morte, viene però contraddetto e quasi irriso dai “famigliari” del filosofo, che inneggiano all’energia vitale e alla joie de vivre (“Non morir Seneca no: / io per me morir non vo’”). Da che parte dobbiamo stare noi? Ecco una domanda alla quale non è facile rispondere. Nella scena successiva, Nerone gioisce della morte di Seneca e “canta amorosamente con Lucano poeta suo famigliare delirando nell’amor di Poppea”. Il contrasto ha qualcosa di sconcertante e di inquietante (“Or che Seneca è morto, / cantiam…”), anche perché la scena culmina con una serie di tetracordi discendenti che accompagnano il crescendo di eccitazione di Nerone, culminante in una vera e propria “estasi d’amor” (per dirla con le parole di Lucano). La presenza del tetracordo discendente e il profilo melodico delle parole “Bocca, bocca” (parole con cui questa sequenza incomincia) anticipano chiaramente il “Pur ti miro” conclusivo, il quale, anche se non fosse di Monteverdi, come si vede, è perfettamente al suo posto in un’opera che celebra, come prefigurato nel Prologo, il trionfo dell’Amore nella sua accezione erotica, terrena. Come dobbiamo prenderla noi questa esaltazione dell’amore carnale? Sappiamo infatti che nella realtà storica, arcinota, il trionfo d’amore fu, per Poppea, alquanto effimero: anche se l’opera di Monteverdi non ne fa cenno alcuno, tutti sanno, da Tacito, che Poppea sarebbe stata uccisa dallo stesso Nerone con un violento calcio mentre era in corso la sua seconda gravidanza…
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La musica Federico Lazzaro
Le due partiture manoscritte dell’Incoronazione di Poppea che la storia ci ha lasciato (una a Venezia, l’altra a Napoli) divergono su più punti, dal numero e ordine delle sezioni alle note vere e proprie. Se una cosa hanno in comune, è la libertà che lasciano agli interpreti: quali e quanti strumenti utilizzare, se far cantare certi ruoli da uomini o da donne, come armonizzare la linea del basso che sostiene generalmente da sola la parte del canto. L’esecutore è chiamato da subito a scegliere: far cominciare l’opera con la sinfonia della partitura di Venezia o di quella di Napoli? Dopotutto, i personaggi allegorici del Prologo (Fortuna, Virtù e Amore) esplicitano che il tema di quest’opera è giustappunto la scelta: non è la sorte che governa il destino degli uomini, né la virtù dettata dall’alto. Sono le scelte che fanno i personaggi spinti dalla passione, dalla gelosia o dal dolore – tutte forme dell’amore – a determinare lo snodarsi degli eventi. Che le diverse forme dell’amore dettino non solo le scelte dei personaggi ma anche quelle del compositore lo si capisce a partire dalla prima scena, che presenta un catalogo delle possibilità espressive messe a punto da Monteverdi. Ottone modula il suo canto secondo la sfumatura della passione che lo governa: canta su una melodia ritmata e regolare (aria) quando crede di ritornare ben presto tra le braccia di Poppea, si esprime in un recitativo rallentato al ritmo dei suoi sospiri, mima con melismi svolazzanti la sua euforia, infine rompe ogni regolarità melodica accorgendosi che Poppea non è sola e non lo aspetta (stile rappresentativo). Poppea e Nerone si accommiatano infatti dopo una notte di adulterio. Il recitativo è frantumato tra i due personaggi e ci presenta il carattere musicale dei protagonisti. Sicura di sé e decisa a diventare imperatrice, Poppea insiste su alcune parole chiave, abbandonandosi spesso a frasi melodiche che le sottolineano. Questi ariosi che sorgono spontaneamente dal recitativo (mezz’arie o cavatine), evidenziano il lato sentimentale di Poppea, che non è solo una fredda calcolatrice, ma una donna che la passione spinge e sostiene (cfr. I.4: “Per me guerreggia Amor e la Fortuna”, in stile concitato – invenzione monteverdiana che ricrea con note rapidissime il carattere della battaglia). Nerone, in generale, cede: quando è con Poppea, non conclude mai una frase; con Seneca, diverrà irascibile perché incapace di ribattere (I.9). Si lascia andare al canto solo dopo una decisione presa (in I.2, ripudiare Ottavia) o un evento liberatorio (in II.5, la morte di Seneca: “Or che Seneca è morto, cantiam, cantiam”). In due scene successive si incontrano le nutrici di Poppea e Ottavia. La prima, Arnalta, è una figura protettiva: la sua unica aria sarà una ninna-nanna per Poppea (II.11). Altrove si esprime soprattutto in recitativo: la comicità di questo personaggio popolare si realizza infatti attraverso il suo realismo. I consigli civettuoli della nutrice di Ottavia prendono invece la forma della canzonetta, e un ritornello contrasta con il silenzio che circonda i lunghi monologhi della sua padrona (ritornelli strumentali accompagnano certe arie, ma
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molto più raramente che nell’Orfeo). Il silenzio dà voce alla desolazione sentimentale di Ottavia, ripudiata e infine esiliata: due lunghi monologhi, uno all’inizio (I.5, “Disprezzata regina”) e uno alla fine dell’opera (III.6-7, “A Dio Roma”), esprimono in un recitativo irto di dissonanze il dolore di questa donna per cui l’unica scelta possibile (uccidere Poppea) non potrebbe, neanche se andasse a buon fine, eliminare la fonte della sua pena: Nerone non vuole più duettare con lei. La Fortuna non è dunque estranea alle vicende d’Amore: Poppea lo canta chiaro e tondo a Ottone (I.11, Ottone: “Ad altri tocca in sorte / bere il liquor, a me guardar il vaso”; Poppea: “Chi nasce sfortunato / Di se stesso si dolga”), in una struttura strofica impermeabile e antidialogica, dove gli interventi dei due ex amanti sono separati da due ritornelli distinti. La scelta che fa Ottone è di consolarsi con un’altra: Drusilla, come Poppea con Nerone, spezza il suo recitativo constringendo Ottone a rispondere al suo incalzare (“M’ami? M’ami?”). Ma Ottone, a differenza di Nerone, non è in preda alla passione, e le sue risposte calcolatissime si abbandonano all’arioso solo strategicamente, per convincere Drusilla della sua sincerità. La sua musica, falsa come le sue parole, ritornerà a essere sincera e a esprimere ogni sfumatura del suo sentire quando Ottone tenterà di uccidere Poppea e sarà bloccato da Amore. Le voci gravi dominano l’episodio del suicidio di Seneca (II.1-3). Simbolo della Virtù, il filosofo si esprime in un recitar cantando chiaro e posato, che illustra con lucidità i suoi principi stoici e la sua tranquillità interiore. I suoi famigliari esprimono il dolore tutto umano di questa situazione tramite una progressione cromatica, simbolo musicale del pianto tanto nel Seicento quanto ai nostri giorni. Questo madrigale è l’unico episodio corale della partitura di Venezia. L’ultima scelta lasciata agli interpreti della Poppea è la sua conclusione: inserire un secondo episodio corale, il coro d’Amori della partitura di Napoli? Finire con il duetto “Pur ti miro” – che quasi sicuramente non è di Monteverdi – dove Poppea e Nerone celebrano la loro unione con una musica che mima l’abbraccio? La sensualità delle due voci che si compenetrano, benché apocrifa, ha fatto di questo brano uno dei momenti più emblematici della Poppea.
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Nerone innamorato Dinko Fabris
Claudio Monteverdi. Incisione ottocentesca (Milano, Museo Teatrale alla Scala).
La riscoperta di un capolavoro Nel libro Les Enchanteresses (trad. italiana di C. Gazzelli, Le Incantatrici, EDT, Torino 2007) di Jean Starobinski, uno dei grandi intellettuali del nostro tempo, un capitolo è dedicato alla Poppea vittoriosa di Monteverdi, l’opera in cui “illusoriamente, ma gloriosamente, il canto d’amore ha conquistato il cielo” (p. 182). Se si considera che gli altri compositori presi in esame in questo libro sono Händel, Richard Strauss e soprattutto Mozart, appare evidente il ruolo fondamentale attribuito a Monteverdi nella storia dell’opera europea. In tale storia, L’incoronazione di Poppea ha del resto da sempre goduto di uno status speciale: ultimo melodramma del compositore cremonese rappresentato pochi mesi prima della sua morte, Poppea (useremo questa abbreviazione del titolo in questo scritto) cominciò a essere rieseguita subito dopo la scoperta della prima partitura veneziana, nel 1888, ed è rimasta una delle pochissime opere del Seicento nei cartelloni dei teatri d’opera di tutto il mondo, accanto all’Orfeo dello stesso autore e a Dido and Aeneas di Purcell. Fin dal primo Ottocento, infatti, Claudio Monteverdi era stato oggetto di un intenso recupero da parte della appena nata musicologia tedesca, in quanto precursore dei grandi operisti settecenteschi (Gerber lo aveva definito “Mozart dei suoi tempi”), e fin dal 1904 Hugo Goldschmidt aveva fornito una edizione della prima partitura, ritrovata a Venezia, seguito nel 1908 dal compositore francese Vincent d’Indy e solo negli anni Trenta dai primi musicologi italiani: Gian Francesco Malipiero (1931) e Giacomo Benvenuti (1937). Quest’ultimo aveva approntato l’edizione per una storica esecuzione al Giardino di Boboli nell’ambito del Maggio Musicale Fiorentino il 3 giugno 1937, con Gino Marinuzzi come direttore d’orchestra. Nella prima metà del Novecento si interessavano di musica antica soprattutto i compositori delle avanguardie, più sensibili ad individuare in Monteverdi o Gesualdo degli antesignani della modernità. Non stupisce dunque trovare edizioni della Poppea curate da Ernst Krenek o Giorgio Federico Ghedini, mentre Luigi Dallapiccola o Hans Werner Henze si occupavano contemporaneamente del Ritorno di Ulisse in Patria, penultima opera dello stesso Monteverdi. Anche quando cominciarono le esecuzioni che oggi si definiscono “storicamente informate”, con l’avvento dell’Early Music Revival, lo status guadagnato da Poppea non mutò e l’opera restò comunque anche nel repertorio dei teatri che utilizzavano orchestre
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tradizionali e cantanti non specializzati, come dimostrano le numerose incisioni discografiche che, accanto ai paladini del “movimento della musica antica” (Raymond Leppard nel 1963, poi Alan Curtis nel 1966 e infine Harnoncourt e i suoi tanti successori), riportano esecuzioni dirette da personalità del mondo musicale in genere, come Nino Sanzogno (1954), Carlo Franci (1966), Herbert Von Karajan (1967) e Alberto Zedda (1988). Tuttavia si può osservare che sulla lunga distanza il modello delle esecuzioni “storiche” si è imposto, anche per la trasformazione dell’Early Music Revival da moda in sistema didattico interpretativo riconosciuto in tutto il mondo: le edizioni critiche oggi disponibili sono state approntate da specialisti come Alan Curtis e Rinaldo Alessandrini (quest’ultimo in una speciale serie monteverdiana a lui affidata dall’editore Bärenreiter), così come le incisioni in CD e video più recenti recano i nomi di John Eliot Gardiner, René Jacobs, Gabriel Garrido, Sergio Vartolo, Marc Minkovski, Christophe Rousset, Claudio Cavina, William Christie. In Italia la riscoperta di Monteverdi, e di conseguenza dei suoi melodrammi, arrivò molto più tardi che in altri paesi europei, rimanendo inizialmente legata all’esaltazione dell’“italianità” fattane da Gabriele D’Annunzio, che si vantava di possedere al Vittoriale una rara edizione del Lamento di Arianna stampata a Venezia nel 1623.1 L’avversione degli intellettuali italiani per il melodramma, considerato tra le due guerre un prodotto popolare, aveva consentito soltanto a colti compositori il compito di occuparsi delle prime opere secentesche, recuperate, come abbiamo detto, per esaltare le caratteristiche di Monteverdi come anticipatore delle avanguardie del Novecento. Anche per questo le pur numerose esecuzioni monteverdiane, in festival o in produzioni per alcuni teatri lirici, non sembrarono lasciare il segno per oltre trent’anni dopo le edizioni di Malipiero e Benvenuti. La vera riscoperta della grandezza di Monteverdi operista avvenne invece con l’arrivo anche in Italia, ma con vent’anni di ritardo, dell’Early Music Revival. Possiamo indicare anche un anno di nascita: Milano 1980, quando furono allestite al Teatro alla Scala, in tre sere consecutive, le tre opere superstiti di Monteverdi (la “trilogia”): Orfeo, Ritorno di Ulisse in Patria e Incoronazione di Poppea. Si trattava di una produzione dell’Opernhaus di Zurigo di qualche anno prima, con la direzione di Nikolaus Harnoncourt, uno dei padri del movimento della musica antica, e con la sfarzosa e probabilmente mai più uguagliata regia di JeanPierre Ponnelle, di cui fu pubblicato un cofanetto discografico e il relativo video. Se il pubblico scoprì allora le lusinghe di un’esecuzione che esaltava le diversità esotiche dei timbri di strumenti “storici” e di voci meno roboanti rispetto al repertorio operistico in uso, un elemento creava evidente disturbo: la scarsa attenzione alla pronuncia delle parole italiane, che nel caso di Monteverdi risultava una assurda contravvenzione alla base della sua “seconda prattica”, la musica al servizio del senso delle parole. Fu questo il terreno su cui gli interpreti italiani, dopo aver maturato una sufficiente esperienza nel campo della prassi esecutiva storica, scesero finalmente in campo per riappropriarsi nella giusta maniera di Monteverdi e degli altri compositori del Seicento. L’incisione discografica della Poppea diretta da Sergio Vartolo, pubblicata da Brilliant Classic nel 2004, restituisce quella che è finora la versione
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più attenta alla retorica della parola e della probabile prassi esecutiva in un teatro veneziano del 1643 (pochi strumenti si affiancano alle tastiere per accompagnare il canto, rispetto alle immotivate orchestrazioni, ripiene di strumenti e ritmi esasperati, predilette dai direttori specialisti non italiani), anche se proprio il suo spirito minimalista non l’ha resa molto popolare. Come ha spiegato Rinaldo Alessandrini a un colto intervistatore americano, la cura della pronuncia italiana ha rivoluzionato l’ascolto delle opere di Monteverdi: “Molti ascoltatori dicevano: ‘È straordinario ascoltare Monteverdi cantato dagli italiani’”.2 Alessandrini ha appunto interpretato meglio di chiunque altro la cura per la pronuncia italiana dei testi messi in musica da Monteverdi, dapprima nelle sue esplorazioni dei libri di madrigali e della musica sacra, con il suo complesso specializzato Concerto Italiano, poi con la trilogia avviata alla Scala nel 2009 con Orfeo, proseguita con il Ritorno di Ulisse in patria nel 2011 e ora completata con l’Incoronazione di Poppea.3
L’ultima opera di Claudio Monteverdi a Venezia Può apparire strano che a mano a mano che il grande pubblico riscopriva il valore di capolavoro assoluto della Poppea, la musicologia internazionale negli ultimi trent’anni abbia avviato una severa revisione delle fonti e dei documenti, giungendo addirittura a mettere in dubbio la paternità monteverdiana delle due partiture che oggi si conoscono. Prima di ripercorrere queste posizioni, che recentemente Lorenzo Bianconi ha chiamato “un puzzle smontato”, ricordiamo l’ambiente in cui nacquero le ultime opere di Claudio Monteverdi in un momento cruciale per la storia della musica. A Venezia, nel carnevale 1637, una compagnia di attori-musicisti romani, guidata da Benedetto Ferrari e Francesco Manelli, aveva rappresentato nel teatro di San Cassiano (in precedenza usato solo da compagnie di commedianti) Andromeda, melodramma che inaugurava una nuova maniera di proporre l’opera, inventata quasi quattro decenni prima a Firenze come teatro di corte riservato a una élite di invitati: l’opera impresariale o pubblica. In questo innovativo sistema produttivo veneziano, un impresario si accordava con il proprietario di una sala (teatro) e rischiava del danaro scritturando compositore, interpreti e tutte le maestranze necessarie a un allestimento scenico; quindi si vendevano i biglietti di ingresso, che consentivano a chiunque ne avesse la capacità economica di assistere a uno “spettacolo da principi”. Nonostante le ripetute delusioni degli impresari (e degli artisti coinvolti) sulle aspettative di incasso, le prime opere in musica, rappresentate dalla stessa compagnia Ferrari-Manelli e poi da altre concorrenti, scatenarono una corsa all’apertura di nuovi teatri, che moltiplicarono l’offerta di spettacoli durante il carnevale nella già affollata meta turistica veneziana, dove si riversavano viaggiatori da ogni parte d’Europa. Una figura a parte è quella dell’autore del dramma da musicare, ossia il librettista, un letterato proveniente dal mondo dell’avvocatura o a volte un aristocratico, che spesso era coinvolto nella gestione amministrativa del teatro. Dopo alcuni titoli rappresentati in
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In alto: Venetia, dove Claudio Monteverdi fu Maestro di Cappella della Basilica di San Marco dal 1613 fino alla morte nel 1643. Incisione da Francesco Scoto, Nuovo itinerario d’Italia, Per Mattio Cadorin, Padova 1670. In basso: Venezia, “Piazza di San Marco” e Piazzetta. Incisione da Francesco Scoto, Nuovo itinerario d’Italia, Per Mattio Cadorin, Padova 1670. 40
Joseph Heintz il Giovane. Carnevale in Piazza San Marco. Particolare (Roma, Galleria Doria Pamphili).
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Cammeo di sardonice con il profilo dell’imperatore Ottaviano Augusto; di lui, e della ‘gens Julia’, Nerone era l’ultimo discendente (Londra, British Museum). Dopo aver fatto avvelenare Britannico, s uo fratellastro e possibile rivale, Nerone avrebbe detto che “lui solo era rimasto di una famiglia destinata al sommo potere, e tanto più doveva esser caro ai Senatori e al Popolo” (Tacito, ann. XIII 17).
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vari teatri veneziani (La maga fulminata, Armida, Il pastor regio, La ninfa avara, Il principe giardiniero), Benedetto Ferrari, che aveva avviato la tradizione dell’opera a Venezia, abbandona la laguna dal 1644 apparentemente senza più farvi ritorno, probabilmente inseguito dai debiti. Era emerso nel frattempo come dominatore delle scene teatrali veneziane Francesco Cavalli, che aveva fatto il suo esordio con propria compagnia nel 1639 al San Cassiano con Le nozze di Teti e di Peleo, seguita da Gli amori d’Apollo e di Dafne e quindi da Didone, quest’ultima suo primo autentico capolavoro, nel 1641. È a questo punto dell’opera veneziana, ancora ai suoi esordi, che Claudio Monteverdi decide inaspettatamente di scendere in campo. Nato a Cremona nel 1567, ha settantatré anni nel 1640, una età molto avanzata per quell’epoca, e dal 1613, abbandonata Mantova per Venezia, occupa il prestigioso posto di maestro della cappella musicale della basilica di San Marco; per giunta ha preso gli ordini minori e nel 1632 è ordinato sacerdote. Chi o che cosa può aver convinto il rispettato anziano compositore a misurarsi con l’ambiente poco austero dei teatri e con tematiche esplicitamente amorose? Si vanta di aver convinto a questa scelta Monteverdi, evidentemente titubante, il librettista del Ritorno di Ulisse in patria, Giacomo Badoaro e, come evidenzia Ellen Rosand nel suo fondamentale studio sulla trilogia veneziana di Monteverdi (2007), questa decisione ebbe un successo straordinario, se si pensa che quattro delle dieci opere rappresentate a Venezia nei primi due anni – 1640 e 1641 – della discesa in campo del maestro di San Marco erano sue e che il Ritorno di Ulisse in patria ebbe una accoglienza davvero insolita per quell’epoca, essendo stata replicata nella stagione successiva alla prima del 1640. In realtà, prima dell’opera scritta per lui da Badoaro, Monteverdi aveva già fatto rappresentare, per l’inaugurazione del teatro di San Moisè nel 1640, una ripresa dell’Arianna, l’opera che aveva composto per Mantova nel lontano 1608, resa celebre dal Lamento più volte ristampato negli anni. Inoltre l’interesse per il genere “rappresentativo” era stato ribadito dalla pubblicazione solo pochi anni prima, nel 1638, dei suoi Madrigali guerrieri et amorosi. Libro ottavo, che contenevano il micro-melodramma Il combattimento di Tancredi e Clorinda (già rappresentato in forma scenica nel palazzo veneziano dei Mocenigo nel carnevale 1624). Dopo il successo del Ritorno di Ulisse in patria, Monteverdi aveva poi allestito al teatro dei Santi Giovanni e Paolo Le nozze d’Enea e Lavinia (con libretto probabilmente di Michelangelo Torcigliani), e infine per lo stesso teatro nel 1643 l’Incoronazione di Poppea su testo di Giovan Francesco Busenello, prima di morire il 29 novembre dello stesso anno.
Considerando Arianna semplicemente una dichiarazione d’intenti, una preparazione di terreno necessaria per ricordare al pubblico veneziano che in città era attivo il compositore che più di ogni altro aveva contribuito alla prima fase dell’opera di corte, oltre trent’anni prima, i tre titoli successivi appaiono legati da una ben diversa coerenza interiore, che ne fa appunto una trilogia, come evidenziato da Rosand. Questa scelta non fu casuale, ma si inseriva in un complesso gioco tra impresari, finanziatori e intellettuali, membri di un’accademia che determinava la maggior parte delle scelte dei soggetti da trasformare in drammi per musica, e alla quale appartenevano tutti i librettisti di Monteverdi: gli Incogniti.
Il mito di Venezia da Troia a Roma Venezia, poco prima della metà del Seicento, aveva coscienza di scivolare verso una crisi inarrestabile. Pur essendo uscita indenne dalla guerra dei trent’anni, andavano maturando le condizioni per una ripresa del conflitto con l’Impero ottomano, che sarebbe scoppiato nel 1645 e che avrebbe portato, dopo quasi venticinque anni di guerra, alla perdita del dominio più simbolico della Serenissima nel Mediterraneo, Creta. Questa situazione di crisi latente impose nei governanti il ricorso a una forma di esaltazione del proprio glorioso passato, partendo dal mito di fondazione della città e contemporaneamente denigrando l’immagine di Roma e dei papi corrotti e depravati. Se lo scontro con la corte romana aveva avuto un apice nello scisma del 1606 con la scomunica dei veneziani e la cacciata da Venezia dei Gesuiti, il mito di Venezia tendeva a sottrarre alla città rivale addirittura la sua stessa derivazione dalla Troia omerica. Non soltanto si riscopre la figura di Antenore, mitico guerriero in fuga dall’incendio di Troia che sarebbe approdato nell’attuale laguna veneta, fondandovi Padova e altri siti poi confluiti nei primi insediamenti veneziani, ma si estende la figura del troiano Enea: questi, dopo aver abbandonato Didone a Cartagine per eseguire il suo compito di fondatore, avrebbe dato origine a Roma attraverso il suo matrimonio con Lavinia, ma il vero compimento del piano divino sarebbe venuto con la creazione della Repubblica di Venezia, che avrebbe surclassato la seconda Troia per splendore, potere e gloria, attuando la terza fase della storia del Mediterraneo. Del resto anche l’Inghilterra di Elisabetta I aveva parallelamente riscoperto il proprio mito di fondazione da Albalonga e dai discendenti di Enea, per dimostrare la propria superiorità sulla degradata Roma papale. E si può aggiungere a questa complessa ricostruzione mitica anche la figura di Ulisse, vincitore di Troia, che, dopo una lunga peregrinazione che tocca in più punti l’Italia, ritorna nella sua isola, Itaca, che era ancora saldamente nei territori veneziani “da mar”. Ognuna di queste tappe del mito ha un riscontro in un titolo di dramma musicato da Monteverdi: il ritorno di Ulisse a Itaca, le nozze di Enea e Lavinia, il decadimento morale di Roma sotto Nerone che prelude al trionfo di Venezia. Se poi inseriamo le tre opere monteverdiane nel più ampio contesto della prima produzione operistica veneziana, scopriamo una ulteriore corrispondenza con i titoli di altri autori, in particolare di Francesco Cavalli, secondo questo schema:
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La scultura ritrattistica della Roma imperiale ci ha trasmesso le effigi dei protagonisti della Incoronazione di Poppea sia nell’aspetto che ebbero in vita, sia in quello idealizzato per corrispondere ai caratteri loro attribuiti nella tradizione storica e letteraria. Nerone tra le due spose: a sinistra Ottavia, a destra Poppea (Roma, Museo Nazionale Romano). Nerone “aborriva la moglie Ottavia, benché nobile e di mirabile onestà” e fu attratto dalla affascinante Poppea Sabina “che ogni cosa ebbe, all’infuori dell’onestà: vanto della più bella donna del suo tempo, ricchezza pari alla nobiltà della stirpe, piacevole conversazione, non poca astuzia, apparente modestia ma lascivi costumi” (Tacito, ann. XIII 12; XIII 45).
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Due contrastanti ritratti: Seneca e il Pseudo-Seneca (Roma, Museo Nazionale Romano). Si ritiene che la vera effigie di Seneca sia quella - qui, a sinistra- di un uomo prospero e pingue (nella Incoronazione di Poppea un Soldato lo definisce: “volpon sagace”). Ma un’altra consuetudine iconografica lo raffigura emaciato e consunto, sia perché immagine ideale del filosofo sia perché Tacito lo descrive: “dal corpo, per vecchiezza e poco cibo, risecco” (ann. XV 63).
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a) 1637-1640 Soggetti mitologici-pastorali: opere di Ferrari, Manelli, e inoltre: CAVALLI Le nozze di Teti e di Peleo Gli amori d’Apollo e di Dafne
MONTEVERDI L’Arianna
b) 1640-41 Ciclo troiano CAVALLI La Didone
MONTEVERDI Il ritorno di Ulisse in patria Il ritorno di Ulisse in patria (ripresa 1641) Le nozze d’Enea e Lavinia
c) 1643-45 Soggetti romani CAVALLI
MONTEVERDI L’incoronazione di Poppea
Il Romolo e Remo (incerto)
In altra sede ho cercato di dimostrare come Cavalli, allievo e collaboratore di Monteverdi in quanto organista della cappella di San Marco, avesse instaurato con l’anziano e venerato maestro una sorta di sfida tematica, probabilmente concordata con i rispettivi impresari per poter sfruttare commercialmente il clamore suscitato. Se si guarda infatti ai temi trattati, risulta un perfetto gioco d’incastri: Dafne riportava alla prima opera fiorentina, riproposta a Mantova nel 1608 in gara con la monteverdiana Arianna; il Ritorno di Ulisse e Didone presentavano le conseguenze della fine della guerra di Troia viste dalle due opposte angolature, del re acheo vincitore e del troiano sconfitto e fuggitivo, con le compagini degli stessi dèi schierati sui due fronti, benevoli all’uno e contrari all’altro; infine, in virtù delle Nozze d’Enea e Lavinia, la fondazione di Roma avrebbe portato alla rapida degenerazione sotto Nerone, il cui amore trionfante per Poppea sembra simboleggiare la nascita della nuova repubblica del sole, Venezia. La partita è chiusa, quasi senza gioco, a favore di Monteverdi da Poppea, ma quest’ultima opera non si potrebbe capire senza la bizzarra presenza della Virtù de’ strali d’Amore di Cavalli nel 1642, primo tentativo di affermazione dell’“Amor vincit omnia” come emblema della perfezione della Serenissima Repubblica di Venezia. La coerenza di tutto questo meccanismo di incastri è assicurata, come ha chiarito Ellen Rosand, dal legame che univa tutti i librettisti coinvolti in queste produzioni (Badoaro, Torcigliani, Busenello, Strozzi), amici tra loro e convinti membri dell’Accademia degli Incogniti, che sulla tematica amorosa aveva impostato la propria poetica.
Busenello Incognito L’accademia degli Incogniti era stata fondata a Venezia nel 1630 dal patrizio Giovan Francesco Loredano (infatti era chiamata in un primo tempo “loredana”), con l’approvazione e l’appoggio del poeta Giulio Strozzi, che a sua vol-
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ta era animatore dell’altra accademia veneziana degli Unissoni, alla quale intorno al 1638 Monteverdi aveva appositamente dedicato delle musiche. Anche Strozzi, negli stessi anni 1643-45, era intervenuto nel gioco che abbiamo descritto, fornendo i libretti di un’altra trilogia tematica incentrata sul mito di fondazione di Venezia attraverso Enea e Roma (La finta pazza, La finta savia e Romolo e Remo). Riuniti sotto il motto “Ex ignoto motus” (esplicitato dall’emblema del Nilo, fiume di cui nel Seicento si ignorava la fonte e che si riversa nel gran mare Mediterraneo come simbolo dei tanti membri, pur modesti, che concorrono nell’insieme alla fama di ciascuno), gli accademici avevano individuato nell’opera in musica rappresentata durante il carnevale il luogo ideale in cui esprimere i propri talenti di scrittori “libertini”. In aggiunta alla mera dimensione letteraria, la meravigliosa sinestesia dello spettacolo operistico poteva miscelare con assoluta libertà la visione patriottica e di esaltazione nazionale con una presentazione accattivante, condita da erotismo e ogni tipo di travestimenti e doppi sensi. A riprova di quanto detto finora, osserviamo che Busenello è il librettista di due dei primi drammi di Cavalli (Amori d’Apollo e Didone) e contemporaneamente dell’ultimo di Monteverdi, Poppea. Probabilmente non è un caso che alcuni anni dopo lo stesso poeta abbia creato un altro libretto “romano”, La prosperità infelice di Giulio Cesare dittatore, prima di Statira, opera che appartiene a un nuovo ciclo, questa volta “persiano”. “Zuan” Francesco Alvise Busenello era nato a Venezia nel 1598 da una famiglia patrizia presente in città da quasi mille anni, nel cui albero genealogico spiccava già la personalità del fratello maggiore, Marcantonio, ambasciatore e gran cancelliere della repubblica, per la cui morte nel 1651 Giovan Francesco pubblicherà una Lettera panegirica. Allievo con altri futuri Incogniti di fra’ Paolo Sarpi e soprattutto dei corsi padovani di Cesare Cremonini, apprese l’efficacia delle figure allegoriche presenti nelle antiche “favole”, ossia nei miti, per creazioni poetiche contemporanee che, anche per l’influsso di Strozzi, cominciavano a orientarsi verso l’esaltazione di Venezia. Avviata la carriera di avvocato cui era indirizzato dallo status della famiglia, Busenello non tralasciò mai una parallela attività di scrittore e di poeta, favorita dalla sua entusiastica adesione agli Incogniti. La scoperta dell’Adone di Marino (1623) accomunò tutti i giovani letterati dell’Accademia verso una dimensione stilistica che esaltava le bizzarrie e la sensualità; ma fu la consapevolezza delle potenzialità espressive del nuovo genere del dramma musicale, inaugurato a Venezia nel 1637, a far scendere in campo come librettista il quarantenne avvocato, subito affiancato a Cavalli dalla sua seconda opera, Gli amori d’Apollo al San Cassiano. Nel 1656, dopo la produzione di Statira, Busenello si decise a dare alle stampe tutti i suoi cinque libretti d’opera (quattro dei quali musicati da Cavalli oltre alla Poppea monteverdiana) con il titolo Le Hore Ociose (Venezia, Giuliani, 1656), dedicando la raccolta ad un colto musicofilo della curia romana, il cardinale Ottoboni. Fu questa la prima edizione ufficiale, sotto il controllo del poeta, del testo del melodramma qui presentato come: L'incoronatione di Poppea di Gio. Francesco Busenello. Opera musicale rappresentata nel Teatro Grimani l’anno 1642.
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Le monete ci hanno tramandato i ritratti di tre personaggi della Incoronazione di Poppea: Nerone, Poppea, Ottone. Le incisioni qui riprodotte sono tratte da: Johannis Vaillant, Numismata imperatorum romanorum praestantiora, Bernabò & Lazzarini, Roma 1743. In alto: Denaro d’argento. ritratto di Nerone da poco salito al trono (recto) e raffigurazione della Vittoria con la scritta ‘Armeniac(us)’ (verso). La moneta commemora la campagna contro i Parti che avevano invaso l’Armenia. In basso: Sesterzio. Ritratto di Nerone (recto) e ‘adlocutio’ di Nerone togato all’esercito (verso). 48
In alto: Dramma (= denaro) d’argento, coniata in Grecia con le effigi di Nerone e Poppea. In basso: Sesterzio con l’effigie di Ottone.
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Le fonti di Poppea e Nerone e l’attribuzione a Monteverdi L’anno indicato nel titolo, 1642, era da intendersi “more veneto”, ossia 1643 (Venezia manteneva l’antico calendario romano, che faceva iniziare l’anno dal 1° marzo, subito dopo il carnevale), ma Busenello non indica che l’opera fosse stata musicata da Monteverdi. A differenza del Ritorno di Ulisse in patria, per il quale lo stesso librettista Badoaro specifica di aver sollecitato le musiche di Monteverdi, Busenello non pensò di associare la sua opera al grande cremonese, e la prima menzione della paternità monteverdiana fu proposta molti anni più tardi, nelle Memorie teatrali di Venezia inserite come appendice alla raccolta epistolare La Minerva al tavolino di Cristoforo Ivanovich (Venezia 1681): “1643-A ’ss.Gio:e Paolo. La Poppea del Businello. Musica del Monteverde”. Ivanovich non indica la sua fonte, ma la data da lui indicata è confermata dallo Scenario dell’opera reggia intitolata La coronatione di Poppea che si rappresenta in musica nel Teatro dell’Illustr. Sig. Giovanni Grimani (Venezia 1643). Invece la data 1646, indicata da Ivanovich per una ripresa della Poppea nello stesso teatro dei Santi Giovanni e Paolo, non ha trovato finora altri riscontri documentari ed è stata posta in dubbio dalla maggior parte degli studiosi. Una lettera inviata da Parigi al marchese Bentivoglio di Ferrara dal cantante Stefano Costa (che aveva interpretato il ruolo di Nerone nella prima veneziana) sembra far riferimento a una ripresa dell’opera col titolo di Nerone a Parigi nel 1647, prima della celebre rappresentazione dell’Orfeo di Luigi Rossi: “…et si crede che faremo il Nerone sicuro inanzi, però nel piciol tatro senza machine, solo con li abbiti belli et doppo poi faremo l’opera grossa”. In ogni caso l’opera fu ripresa proprio col titolo di Nerone ovvero L’incoronatione di Poppea a Napoli nel 1651, all’inizio della prima stagione d’opera in quella città subito dopo Didone di Cavalli (riproducendo ancora, dieci anni dopo, il gioco di incastri di Venezia). Entrambe le partiture manoscritte che sopravvivono, nella raccolta Contarini della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia (It. IV, 439 [=9963]) e presso la Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli (Rari 6,4, 1), sono state redatte dopo la morte di Monteverdi e non riportano il nome del compositore. La partitura napoletana corrisponde al libretto stampato a Napoli nel 1651 e dovrebbe dunque riflettere con probabilità il testo-spettacolo di quella rappresentazione; appare più ampia e con più parti musicali rispetto alla partitura veneziana, da cui tuttavia sembra dipendere per una serie di indizi. Tra le sette mani di copisti riconosciute in questa fonte di Venezia, la più importante è quella di Maria Cavalli, moglie del compositore, che scriveva tra il 1650 e il 1652; vi sono inoltre numerosi interventi autografi dello stesso Francesco Cavalli, in parti che si ritrovano poi copiate in Napoli. Studiando in profondità le due partiture, Ellen Rosand ha proposto una ricostruzione avvincente: dopo la morte di Monteverdi, Cavalli potrebbe aver avuto il compito di rielaborare la Poppea per una riesecuzione, forse quella fantasma di Venezia nel 1646 o forse quella ipotizzata a Parigi, utilizzando una terza fonte oggi scomparsa e più vicina alla volontà all’originale dell’autore. Seguendo le sue indicazioni, la moglie Maria e altri collaboratori della loro bottega avrebbero realizzato prima la versione di Venezia e poi, per una ripresa prevista a Napoli, la partitura napoletana. Rosand non esclude che l’opera fosse presentata, almeno nella ripresa napoletana, con il nome di Cavalli e non di Monteverdi.
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Il fatto che, come nelle due partiture, anche nello Scenario del 1643 e nei sei libretti (tutti manoscritti) allora conosciuti non si riportasse mai il nome di Monteverdi aveva indotto nel 1989 Alan Curtis a ritenere l’opera – nella quale con una certa evidenza erano intervenute aggiunte di altri compositori – un pasticcio basato solo in parte su musiche monteverdiane.4 Tuttavia un settimo libretto manoscritto, scoperto a Udine da Paolo Fabbri nel 1993, riportava nell’ultima pagina: “Fine della coronatione di Poppea. Del Sig. Busenello. Recitata in musica del Sig Monte Verde nel theatro da cha Grimani a San Gio. e Paolo l’anno 1642”. Infine nel 2013 Alan Curtis ha potuto aggiungere alla lista un ottavo libretto manoscritto, custodito a Hannover e risultante già in un antico catalogo del 1655 come Il Nerone del “Monteverde”, indizio forse di una ripresa in Germania, oppure nuova evidenza di riprese intermedie tra il 1643 e il 1651. Nonostante continuino le prudenziali raccomandazioni di chi, come Lorenzo Bianconi, giudica non provata l’attribuzione monteverdiana, da considerarsi in qualche modo simile alla paternità mitica di Omero per i grandi poemi dell’antichità, gli indizi finora raccolti ed elementi puramente musicali spingono ormai la maggior parte degli studiosi ad ammettere che, anche se il contributo di Claudio Monteverdi alla Poppea o Nerone fosse solo parziale, sarebbe comunque un capolavoro assoluto tra i grandi pilastri dell’opera lirica di tutti i tempi.
L’azione e i personaggi, dal testo alla musica Una delle ragioni della qualità superlativa di quest’opera è la meravigliosa intesa tra librettista e compositore, che realizza un secolo e mezzo prima quella “araba fenice” che Mozart riconosceva nel suo lavoro con Da Ponte. Eppure, come abbiamo detto, non abbiamo certezza che Monteverdi abbia davvero tutta la responsabilità della musica che troviamo nelle due partiture superstiti, dove, peraltro, molto spesso il libretto più tardi pubblicato da Busenello appare cambiato e a volte stravolto. Non parliamo ovviamente di una intesa basata sul rispetto di ogni singola parola, ma della capacità della musica di seguire ed esaltare i caratteri del testo, sia per quanto riguarda le azioni, sia per il carattere dei personaggi. Una estrema coerenza lega l’opera dall’inizio alla fine: Poppea ha il maggior numero di liaisons de scènes (ben nove solo nel primo Atto) tra i melodrammi veneziani del suo tempo. Abbiamo già detto in che cosa potesse consistere l’interesse degli accademici Incogniti per i temi affrontati nel libretto: la Roma di Nerone è ormai nel pieno decadimento morale che porterà alla distruzione dell’Impero, mentre Amore si dimostra il grande vincitore, preparando il passaggio simbolico della supremazia alla nuova repubblica, incarnata da Venezia. Questi temi erano stati preparati dai testi letterari di alcuni accademici, come la Messalina e I dodici Cesari di Francesco Pona, L’imperatrice ambiziosa di Federico Malipiero, Il Nerone Cesare di Francesco Maidalchini e altri successivi. Quanto alle fonti storiche del dramma, esse si riconducono ovviamente agli Annali di Tacito (libri XII-XVI) oltre che all’Ottavia attribuita nel Seicento a Seneca. Busenello manipola abilmente gli elementi storici, con piccole modifiche che gli permettono di creare un perfetto meccanismo teatrale: nei testi antichi Nerone dovrebbe avere ventun anni quando incontra Poppea, più grande di lui e
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sposata con Ottone, che l’imperatore manda subito in missione lontano per sbarazzarsi del rivale. In Busenello Ottone è invece solo il fidanzato di Poppea, facilmente spodestato e convinto a vendicarsi dell’amata colpendola nel sonno nelle vesti della dama Drusilla, da lui corteggiata. Anche Seneca nella realtà muore solo dopo l’esilio della moglie ripudiata Ottavia, mentre nel dramma musicale la sua fine consente un più rapido epilogo positivo per i due amanti. I personaggi sono raggruppati in coppie o gruppi con precise appartenenze sociali o di categoria: Personaggi divini ed allegorici: Fortuna (Prologo) Amore (Prologo)
Virtù (Prologo)
Venere Pallade Mercurio Coro di Amori
Coro di Virtù
Personaggi nobili: Nerone Poppea Lucano
Ottavia Ottone Drusilla (dama di corte) Seneca famigliari di Seneca
Personaggi di sfera sociale bassa: Damigella Arnalta nutrice di Poppea Due soldati del seguito di Nerone Liberto Capitano Tribuni Consoli e altri personaggi
Valletto Nutrice di Ottavia
Dei personaggi nobili, ciascuno assume un ruolo specifico: Nerone esprime il potente sopraffatto dal desiderio e dalla lascivia, completamente in balía di Poppea; Poppea rappresenta l’ambizione femminile sfrenata, disposta a tutto per diventare imperatrice, ma a lungo incerta sul suo destino; Drusilla è l’ingenua fanciulla iperottimista, che può credere realmente che Ottone si consoli così presto del perduto amore di Poppea volgendosi verso di lei; Seneca è quasi antipatico nella sua superiore sicurezza morale, che rende necessaria la sua eliminazione fisica. Tra tutti, come osservato da molti studiosi, il ruolo più complesso e in qualche modo più importante dell’intera vicenda è assegnato a Ottone, colui che, scoperto il tradimento di Poppea con Nerone fin dall’inizio del dramma, cerca di ritrovare la ragione per salvarsi dall’inevitabile catastrofe invocando la sua propria ragione: “Otton, Otton,
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torna, torna in te stesso”. Escludendo per il momento il Prologo e la conclusione (il duetto finale celeberrimo ma dalla paternità dibattuta), i tre Atti dell’opera si articolano in una sequenza logica di azioni principali e secondarie che non servono a raccontare una storia, ma a variare un unico tema, caro ai libertini Incogniti: la vittoria finale di amore è ineluttabile, ma deve passare attraverso una serie di prove. Anche le tonalità prescelte dal compositore, che non possiamo qui riportare, contribuiscono a legare scene e personaggi in una catena coerente. Fin dall’inizio del primo Atto, al duetto dei due amanti Nerone e Poppea nella casa dove hanno passato la notte, fa da contraltare il satirico dialogo dei due soldati che si lamentano della loro vita passata al freddo e negli stenti, ed è a questo punto che lo spettatore conosce Ottone, attratto a sua volta fatalmente proprio alla casa di Poppea, dove dovrà constatare l’avvenuto tradimento: “E pur io torno qui, qual linea al centro”. Il sole che si accendeva per lui ora è di un altro. Drusilla lo ascolta dapprima incredula poi subito rassicurata e non più dubbiosa del rapido reinnamoramento di Ottone nei suoi confronti. La centralità e anche lo spessore del personaggio di Ottone derivano dal suo essere totalmente preda dell’amore, incapace di frenare anche i più torbidi atti (ingannare Drusilla, prenderne gli abiti e apprestarsi a colpire la donna che ama alla follia), riscattato però, come un personaggio wagneriano, dalla costanza di Drusilla (a lei Nerone rivolge la sua ammirazione nel finale: “Vivi alle glorie della tua fortezza, / e sia del sesso tuo nel secol nostro / La tua costanza un adorabil mostro”). Già alla fine del primo Atto sono prese tutte le decisioni fondamentali per lo sviluppo del dramma: Nerone sposerà Poppea, e per far questo dovrà far morire Seneca, mentre Ottavia disperata impone col ricatto a Ottone di uccidere la rivale Poppea, la quale a sua volta pensa alla sua vittoria finale pur dissuasa dalla saggia nutrice. In questa catena di affetti umanissimi, poco spazio c’è per interventi ultraterreni. Nel secondo Atto Seneca è visitato da Mercurio, inviato da Pallade a rendere meno doloroso il suo ultimo passo. Il filosofo non se ne meraviglia (“Nume cortese, tu il morir m’annunzi? / Or confermo i miei scritti, autentico i miei studi”) e va incontro alla morte come all’attesa liberazione, ma sembra una ironica presa in giro il coro dei suoi famigliari che intonano “Non morir, Seneca, no”, dapprima in contrappunto cromatico, poi con deliziose ariette che negano il senso della filosofia stoica del maestro (“Io per me morir non vò”). Altro intervento divino è quello ben più rilevante di Amore, che si pone accanto a Poppea addormentata per impedire a Ottone di colpirla. A questo punto tutto è già compiuto: senza l’impiccio di Seneca e con la confessione di Ottone, Nerone può esiliare Ottavia (non ne avrebbe avuto il pretesto altrimenti), originando uno dei più grandi lamenti musicali mai scritti: “Addio Roma, addio patria, amici addio”. Il perdono parziale accordato a Ottone (andrà in esilio, ma con Drusilla) prepara il trionfo finale della coppia imperiale. Non bisogna però trascurare che questo epilogo è preparato accuratamente per tutta la durata del dramma, anche grazie ai continui riferimenti degli stessi amanti e dei loro vicini (Arnalta, Lucano), ma soprattutto riprodotto nella ministoria parallela della scoperta dell’amore fisico del Valletto, iniziato dalla esperta Damigella: una mise en abyme straordinaria che riproduce ovviamente la coppia NeronePoppea e che vuole esaltare la purezza della scoperta dell’amore nell’età più acerba. Grazie a fonti diverse, visto che, come si è detto, non esistono libretti stampati prima della ripresa di Napoli del 1651, conosciamo alcuni nomi dei primi interpreti
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di Poppea a Venezia: il ruolo di Nerone fu cantato da Stefano Costa, un giovane castrato al servizio del marchese ferrarese Cornelio Bentivoglio, che ebbe un ruolo importante nella protezione delle attività del teatro dei SS. Giovanni e Paolo in quegli anni (dalla sua corrispondenza sono infatti emersi molti dettagli interessanti). Da un sonetto encomiastico di Benedetto Ferrari, pubblicato nel volume di Giulio Strozzi Le glorie della signora Anna Renzi romana (Venezia 1644), sappiamo che il ruolo di Ottavia era stato affidato alla più grande cantante del momento, la romana Anna Renzi, la cui straordinaria abilità canora aveva colpito l’uditorio nel lamento finale, come risulta da un altro sonetto pubblicato nella stessa raccolta delle Glorie “Per la Signora Anna Renzi romana unica Cantatrice nel Teatro dell’Illustrissimo Signor Grimani”, importante perché descrive la maniera del suo canto: O di celeste spirto aspetto, e voce, Del paradiso sol vaga Sirena, Che repudiata da Neron in scena, Formi armonico misto, e dolce, e atroce. Hor con tremula, hor lenta, hor con veloce Fugga, e pausa si turba, e rasserena L’alma tua d’armonia tutta ripiena, Che se ben punge i cor, già pur non nuoce […] e in tanto In ruggiada stillasi il tuo lamento
Attraverso la corrispondenza del marchese Bentivoglio conosciamo anche il nome dell’interprete di Poppea, un’altra cantante romana, ma in questo caso molto giovane e al suo debutto: Anna di Valerio. È facile osservare che il ruolo di Ottavia, pur avendo una splendida aria-lamento, è troppo corto per una cantante celebre come la Renzi. Mettendo a confronto i cast che conosciamo per le opere rappresentate a Venezia nella stessa stagione 1643 (in particolare la Finta Savia rappresentata nello stesso teatro) con quelli disponibili negli anni intorno a Poppea, Magnus Tessing Schneider ha proposto di applicare all’opera di Monteverdi una prassi tipica dei teatri veneziani del tempo, ossia assegnare più ruoli agli stessi interpreti. Ne deriva una ricostruzione plausibile (ma sempre ipotetica) della distribuzione delle parti alla prima veneziana della Incoronazione di Poppea: Anna di Valerio (S) Anna Renzi (S) Stefano Costa (S castrato) Rabacchio (S castrato) Ponzanino (S castrato) Fritellino (A) Non identificata “vecchia” (A) Non identificato romano (T) Don Giacinto Zucchi (B) Non identificato fiorentino (B)
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Fortuna e Poppea Virtù, Ottavia, Drusilla Nerone Amore, Valletto Pallade, Damigella, Venere Ottone Arnalta, Nutrice di Ottavia, Famigliari di Seneca Soldato 1, Famigliari di Seneca, Lucano Seneca, Littore, Tribuno 2 Mercurio, Famigliari di Seneca, Tribuno 1
Scenario dell’Opera reggia Intitolata la Coronatione di Poppea. Che si rappresenta in Musica nel Theatro dell’Illustriss. Sig. Giovanni Grimani. Illustrazione in Venetia, Gio. Pietro Pinelli, 1643. Il frontespizio (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana). In basso. Giovanni Francesco Busenello. L’incoronatione di Poppea opera musicale rappresentata nel Teatro Grimano l’Anno 1642. Tratta da Delle hore ociose, in Venetia, Andrea Giuliani, 1656. Il Teatro Grimano è il Teatro di SS. Giovanni e Paolo (Milano, Biblioteca Nazionale Braidense).
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Giacomo Piccini e Antonio Zanchi, Incisione di antiporta in Giovanni Francesco Busenello, Delle hore ociose, in Venetia, Andrea Giuliani,. Nel volume è compreso il testo poetico della Incoronazione di Poppea (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana).
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Questa lista permetterebbe molte considerazioni sulla ricostruzione di una possibile esecuzione moderna di Poppea, a cominciare dalla possibilità di raddoppiare anche ai nostri giorni i ruoli per gli interpreti (con conseguente lavoro di regia mirato). Sarebbe anche opportuno ricordare che i teatri veneziani del tempo, come quello dei SS. Giovanni e Paolo detto Grimani, utilizzavano un organico orchestrale molto ridotto rispetto alle nostre abitudini moderne, sia per la loro piccola dimensione sia per questioni meramente economiche: si sa che per esempio La Calisto di Cavalli, nel 1651, fu accompagnata da appena sei strumenti. Ma questo discorso è reso inutile dalla constatazione, già riportata, che le due uniche partiture che sopravvivono non possono essere in alcun modo riferite alla prima veneziana di Poppea del 1643. La partitura napoletana, più completa e generalmente utilizzata come riferimento per le moderne ricostruzioni, è sicuramente in collegamento con la ripresa a Napoli nel 1651, che ebbe tutt’altro cast (la compagnia itinerante dei Febi Harmonici, appositamente giunta in città per le prime rappresentazioni operistiche) e anche diversa compagine orchestrale, contando sull’intera cappella vicereale, che comprendeva una ventina di strumenti a corde e a fiato; ma in questo caso non si potrebbe affermare che il “suono” risultante a Napoli nel Nerone avesse davvero a che fare con la volontà creatrice di Claudio Monteverdi. Per concludere, restano da esaminare ancora alcuni aspetti dell’itinerario progettato da Busenello e Monteverdi (assumo volentieri la responsabilità di questa attribuzione) nella Poppea veneziana. Alcuni dipendono da caratteristiche intrinseche dei personaggi, altri dal disegno generale del dramma; per esempio, Monteverdi sottolinea la caratteristica di un personaggio assegnandogli una specifica tonalità. Seneca rappresenta la forza della ragione, senza dubbi o cedimenti, e la sua tonalità è il do, alla quale giunge anche Ottone almeno in un momento, quando cerca di tornare padrone della sua mente (“torna in te stesso”). Poppea innamorata e seducente canta in re minore. Nerone è dominato dalla tonalità di sol. Ma quest’ultimo è davvero il filo conduttore di tutto il dramma, con un gioco caro ai compositori del madrigale rinascimentale: il sol è infatti la raffigurazione immediata della luce (Sole), e anche Ottone ricorda che Poppea è il “mio sol”, il
suo centro. Compositore e librettista predispongono un avvincente itinerario che conduce lo spettatore a seguire i suoi insoliti eroi (un tiranno nevrotico e una donna spregiudicata e infedele) nella rapida evoluzione della loro storia in un solo giorno, dalla notte al sole – in perfetto accordo con le convenzioni aristoteliche –, dal buio del privato alla luce del completo trionfo pubblico. Il buio è parte essenziale dell’incantamento sensuale che avvolge Nerone. Gli storici romani avevano ben evidenziato l’accorta strategia di conquista di Poppea, che girava per Roma in una carrozza chiusa da tende e non faceva mai vedere il suo volto, in modo da accrescere l’interesse e il desiderio. Il saggio di Jean Starobinski da cui avevamo iniziato il nostro racconto concentra il suo interesse sul volto “solare” e soprattutto sulle labbra di Poppea. Sono queste a scatenare l’eccitazione canora di Nerone in duetto con Lucano, ed è attraverso le labbra che passa la parola cantata: il melodramma prende dal poeta Marino quest’enfasi, per autocelebrare la potenza incantatrice del canto. La bocca bacia e morde mentre canta, e questa ulteriore esaltazione contemporanea di più sensi, nel trionfo del piacere, è espressa dai personaggi “specchio” della coppia imperiale, ossia da Damigella e Valletto. La scena finale, dopo il triste addio di Ottavia a Roma e al suo potere di un tempo, è tutta un tripudio di luci e splendori perché il sole di Nerone, la sua Poppea, può brillare allo scoperto sul firmamento dell’impero. Perché allora non far concludere qui questo capolavoro già compiuto? La presenza del duetto finale, la parte più celebre e probabilmente la meno autentica della Poppea monteverdiana, da un quarto di secolo almeno ha provocato pagine e pagine di studi, analisi e ipotesi. Com’è ormai abbastanza noto, il duetto non esiste nei libretti che conosciamo, sia nei manoscritti sia in quelli prodotti per Napoli 1651 e per la raccolta di Busenello del 1656, ma si trova in entrambe le partiture manoscritte di Venezia e Napoli, che abbiamo già indicate come posteriori al 1650 almeno. Poiché la prima traccia di questo identico testo si trova in un libretto, stampato nel 1640, di un’opera di Benedetto Ferrari (Il pastor regio), Lorenzo Bianconi e poi altri hanno proposto che, nell’arrangiare la partitura dopo la morte di Monteverdi, Cavalli o chi per lui abbia utilizzato il brano musicato da Ferrari. Il ritrovamento nel libretto di Udine (il più vicino alla prima veneziana del 1643) del duetto ha consentito recentemente a Ellen Rosand di riproporre che non si possa escludere la paternità monteverdiana (con musica diversa sullo stesso testo di Ferrari) anche per questo brano conclusivo. In fondo, aggiungiamo noi, il breve duetto finale del Ritorno di Ulisse in patria è identico per collocazione e funzione, e non v’è ragione di dubitare che Busenello e Monteverdi potessero approvare vicendevolmente l’aggiunta di queste poche parole su un basso ostinato, ma tanto significative, per suggellare il modello incognito del trionfo d’amore, previsto in maniera perfettamente speculare dal Prologo, dove Fortuna e Virtù si arrendono di buon grado di fronte al potere di Amore. Finalmente alla luce del mondo, i due amanti possono guardarsi e ampliare così alla vista la gamma dei sensi implicati nel piacere: “Pur ti miro / Pur ti godo / Pur ti stringo / Pur t’ annodo”.
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Nerone: un personaggio molto di moda nel Seicento e oltre. Dopo l’Incoronazione di Poppea numerose opere in musica veneziane si ispirarono ai fatti della vita di Nerone e della sua corte; alcune di esse furono riprese in teatri di altre città . Il Nerone. poesia di Giulio Cesare Corradi, musica di Carlo Pallavicino, Genova, Teatro del Falcone, 1681. Frontespizio del libretto. L’opera era stata in precedenza rappresentata a Venezia, Teatro di S. Giovanni Grisostomo, nel 1679 (Venezia, Fondazione Giorgio Cini). Per gentile concessione della Fondazione Giorgio Cini.
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Nerone fatto Cesare. Poesia di Matteo Noris, musica di Giacomo Perti, Venezia, Teatro di S. Salvatore, 1693. Frontespizio del libretto (Venezia, Fondazione Giorgio Cini). Per gentile concessione della Fondazione Giorgio Cini.
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Il ripudio di Ottavia. Poesia di Matteo Noris, musica di Carlo Francesco Pollaroli, Venezia, Teatro di S. Giovanni Grisostomo, 1699. A destra: Frontespizio del libretto (Milano, Museo Teatrale alla Scala). In basso: Incisione di antiporta raffigurante Poppea in figura di Venere, portata in trionfo da un coccodrillo.
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Agrippina. Poesia di Vincenzo Grimani, musica di Giorgio Federico Haendel, Venezia, Teatro di S. Giovanni Grisostomo, 1709 (Venezia, Fondazione Giorgio Cini). Per gentile concessione della Fondazione Giorgio Cini. A sinistra: Frontespizio del libretto. In alto: Argomento e personaggi.
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Manoscritto di L’incoronazione di Poppea (atto II, Nerone e Tigellino) con cancellature e varianti, apportate per una successiva rappresentazione e attribuite a Francesco Cavalli (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana). Nella pagina accanto: Vincenzo Coronelli, Pianta iconografica di Venezia, 1693. Particolare, con l’indicazione del luogo in cui sorgeva il Teatro Grimani di SS. Giovanni e Paolo (Venezia, Civico Museo Correr).
IBLIOGRAFIA
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Lorenzo Bianconi, Il Seicento, Storia della musica vol.V, EDT, Torino 19912 Tim Carter, Re-Reading Poppaea: Some Thoughts on Music and Meaning in Monteverdi’s Last Opera, “Journal of the Royal Music Association”, 122 (1997), pp.173-204 Paolo Fabbri, Monteverdi, EDT, Torino 1985 Jean-François Lattarico, Busenello. Un théâtre de la rhétorique, Garnier, Paris 2013 Ellen Rosand, Opera in Seventeenth-Century Venice: The Creation of a Genre, University of California Press, Berkeley 1991; tr. it. L’opera a Venezia nel XVII secolo. La nascita di un genere, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2013 L’Incoronazione di Poppea di Francesco Cavalli, in Francesco Cavalli. La circolazione dell’opera veneziana nel Seicento, a cura di Dinko Fabris, Turchini, Napoli 2005, pp. 119-146 Ellen Rosand, Monteverdi’s Last Operas. A Venetian Trilogy, University of California Press, Berkeley 2007 (tr. it. Le ultime opere di Monteverdi. Trilogia veneziana (a cura di F. Lazzaro, San Giuliano Milanese, Ricordi 2012). Magnus Tessing Schneider, Seeing the Empress Again. On Doubling in L’Incoronazione di Poppea, “Cambridge Opera Journal”, 24/3 (2012), pp. 249-291
1 “Bisogna glorificare il più grande degli innovatori, che la passione e la morte consacrarono veneziano, colui che ha il sepolcro nella chiesa dei Frari, degno di un pellegrinaggio: il divino Claudio Monteverde – Ecco un'anima eroica, di pura essenza italiana!” (Gabriele d’Annunzio, Il Fuoco, Treves, Milano 1900, p. 161). Segue nel romanzo l’esecuzione al clavicembalo da parte della cantante Fornarina del Lamento di Arianna. 2 Bernard D. Sherman, Inside Early Music: Conversations with Performers, Oxford University Press, Oxford 1997, p. 143 (tr. it. Interviste sulla musica antica. Dal canto gregoriano a Monteverdi, EDT, Torino 2002, p. 173). 3 Oltre alla citata edizione Bärenreiter della trilogia monteverdiana, Rinaldo Alessandrini ha offerto un sunto della sua lunga esperienza monteverdiana nella biografia Monteverdi (Actes Sud, Arles 2004). 4 Alan Curtis, La Poppea Impasticciata or, Who Wrote the Music to L’Incoronazione (1643)?, “Journal of the American Musicological Society”, 42/1 (1989).
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T
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Giovanni Michelucci, Mario Chiari, Impianto scenico per L’incoronazione di Poppea a Firenze, Giardino di Boboli, III Maggio musicale fiorentino. Modello plastico, da: Visualità del Maggio, bozzetti figurini e spettacoli 1933-1979, catalogo della mostra, Firenze 1979. Dopo quasi tre secoli dalla sua creazione L’incoronazione di Poppea tornò nel repertorio operistico il 3 giugno 1936 in un “sensazionale spazio scenico”. Il progetto mirava a “rendere scenico un luogo storico architettonico negli esatti rapporti in cui era definito come tale” (Visualità del Maggio).
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Come li videro i posteri I personaggi storici della Incoronazione di Poppea sono raffigurati dagli artisti delle età successive con aspetti e in episodi che ne definiscono il carattere . Di Nerone si fanno risaltare la crudeltà (le uccisioni, da lui ordinate, della madre Agrippina e del fratellastro Britannico) o l’incoscienza (il canto durante l’incendio di Roma). Per Seneca domina il momento della morte, con varianti dettate da due tradizioni iconografiche che lo rappresentano come intellettuale favorito di corte o viceversa come filosofo austero e ascetico. Ad Ottavia si collega una traccia tutta teatrale che inizia con l’Octavia, tragedia latina per lungo tempo erroneamente attribuita a Seneca: da questa fonte dipendono alcuni tratti della Incoronazione di Poppea, poi il melodramma Il ripudio di Ottavia (1699), in seguito l’Ottavia di Vittorio Alfieri, a sua volta modello dell’omonimo ballo di Gaetano Gioja rappresentato alla Scala nel 1823.
Luca Ferrari, detto Luca da Reggio. Nerone con la madre Agrippina da lui fatta uccidere (Modena, Pinacoteca Estense).
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La morte di Seneca. Xilografia da Hartmann Schedel, Liber Chronicarum, Anton Koberger, Norimberga 1493.
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La morte di Seneca. Al suo fianco la moglie, anch’essa avrebbe voluto morire ma fu salvata. Xilografia da Heinrich SteinhÜvel, versione tedesca da Giovannini Boccaccio, De claris mulieribus, Johannes Zainer, Ulm 1474.
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Nerone accusato d’aver ordinato l’avvelenamento di Britannico. Incisione di J. Lempereur da un dipinto di Henri Gravelot, illustrazione per la tragedia Britannicus di Jean Racine.
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Martino Altomonte (Hoheberg). La morte di Seneca. Il filosofo è qui rappresentato come uomo ancora vigoroso e robusto (Sibiu, Museul National Brinkental).
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L’incoronazione di Poppea alla Scala
La circolazione mondiale dell’opera è iniziata solo nel Novecento: dopo alcune esecuzioni in Francia e Germania tra il 1904 e il 1914, Poppea venne infatti presentata in prima italiana dei tempi moderni al Liceo Musicale di Torino nel 1917. Alla Scala è giunta per la prima volta solo nell’estate del 1953, col primo allestimento dei quattro andati in scena fino alla presente edizione, la quinta, curata per la musica da Rinaldo Alessandrini e pubblicata da Bärenreiter di Kassel, il principale editore musicale di edizioni critiche. Trattandosi di un’opera tutta da ricostruire – come scelta delle voci, armonizzazione, strumentazione completa e aggiunte belcantistiche –, le esecuzioni hanno seguito il cambiamento di gusto e di prospettiva filologica del secolo scorso, in base alle differenti modalità interpretative della musica antica. Per fare un esempio, se il ruolo di Ottone è stato affidato a un baritono nelle prime due edizioni, in quella del 1978 si è usato un controtenore e in quella del 1994 un contralto. Arnalta è un tenore nell’edizione del 1978, mentre nelle altre è una voce femminile. Oppure, l’assenza dal cartellone dei personaggi di Fortuna e Virtù nell’edizione del 1953, a differenza delle altre in cui sono presenti, lascia intendere che il prologo fosse stato tagliato. L’opera è sempre stata annunciata sui manifesti della Scala come L’incoronazione di Poppea e mai col titolo spesso proposto dalla moderna filologia La coronatione di Poppea. I quattro allestimenti scaligeri hanno avuto altrettanti revisori, ma se si dovesse estendere l’osservazione alla sola Italia, gli allestimenti in differente edizione musicale sarebbero quanto meno triplicati. Nel 1953 l’opera andò in scena con la revisione e la strumentazione del compositore Giorgio Federico Ghedini, allora direttore del Conservatorio di Milano. Le scene erano di Gianni Ratto, con colonnati e scalinate, per una Roma classica; costumi di conseguenza, dai figurini di Dimitri Bouchène. La regia era di Margherita Wallmann. Dirigeva Carlo Maria Giulini. I principali interpreti vocali erano Clara Petrella (Poppea), Renato Gavarini (Nerone), Marianna Radev (Ottavia), Rolando Panerai (Ottone), Mario Petri (Seneca), Anna Maria Canali (Arnalta), Silvana Zanolli (Drusilla).
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Nel 1967 l’opera venne rappresentata con la vecchia revisione e strumentazione di Giacomo Benvenuti, già utilizzata nel 1937 per un’esecuzione a Firenze. C’era sempre la regia di Margherita Wallmann, ma con scene e costumi di Attilio Colonnello, ispirati a maggiore sontuosità barocca. La dirigeva Bruno Maderna, il grande compositore noto per la sua bravura sul podio. Il cast era d’eccezione, comprendendo Grace Bumbry (Poppea), Renato Gavarini, poi Giuseppe Di Stefano (Nerone), Leyla Gencer (Ottavia), Alberto Rinaldi (Ottone), Carlo Cava (Seneca), Gloria Lane (Arnalta), Anna Novelli (Drusilla). Nel 1978 si vide uno spettacolo totalmente importato dall’Opernhaus di Zurigo: una sola recita nella stagione del bicentenario della Scala. Anche l’orchestra era quella del teatro svizzero. Si trattava di una produzione con revisione, strumentazione e direzione di Nikolaus Harnoncourt, il celebre curatore di musiche antiche con strumenti originali. Lo spettacolo, molto conosciuto poiché ne esiste anche una versione in forma di film, è quello con regia e scene di Jean-Pierre Ponnelle, con costumi di Pet Halmen. Il cast internazionale comprendeva Rachel Yakar (Poppea), Vincenzo Taramelli (Nerone), Trudeliese Schmidt (Ottavia), il controtenore Paul Esswood (Ottone), Matti Salminen (Seneca), il tenore Alexander Oliver (Arnalta), Janet Perry (Drusilla). Amore era interpretato da una voce bianca (Klaus Brettschneider), mentre in tutte le altre edizioni si utilizza una voce di soprano. Nel 1994 si vide un’edizione musicalmente italiana, con revisione, strumentazione e direzione di Alberto Zedda, e interpreti come Anna Caterina Antonacci (Poppea), William Matteuzzi (Nerone), Paoletta Marrocu (Ottavia), Bernadette Manca di Nissa (Ottone), Carlo Colombara (Seneca), Lucia Rizzi (Arnalta), Nuccia Focile (Drusilla). L’allestimento, di gusto opportunamente barocco, era tuttavia dell’Opéra di Montpellier, con regia di Gilbert Deflo, scene e costumi di William Orlandi. Alcune recite di questa produzione andarono in scena al Teatro Ponchielli di Cremona. Per ulteriore completezza aggiungiamo in coda gli altri interpreti delle varie edizioni: 1953: Elda Ribetti (Valletto), Angela Vercelli (Damigella), Maria Amadini (Nutrice), Giuseppe Zampieri (Mercurio), Carla Gavazzi (Pallade), Luciano Della Pergola (Liberto Capitano), Enrico Campi (Littore), Sandra Ballinari (Amore), Mariano Caruso (Primo Soldato), Gino Del Signore (Secondo Soldato). 1967: Maria Casula (Valletto), Maria Maddalena (Nutrice), Regolo Romani (Mercurio), Mirella Fiorentini (Pallade), Lorenzo Testi (Liberto Capitano), Alfredo Giacomotti (Littore), Edith Martelli (Amore), Piero De Palma (Primo Soldato), Mario Carlin (Secondo Soldato), Maddalena Bonifaccio (Damigella), Walter Brighi (Lucano), Angelo Mercuriali (Petronio), Leonardo Monreale (Tigellino), Jeda Valtriani, Pio Bonfanti, Laura Londi (Fortuna), Emma Renzi (Virtù).
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1978: Renate Lenhart (Fortuna), Helrun Gardow (Virtù), Maria Minetto (Nutrice), Philippe Huttenlocher (Lucano), Francisco Araiza (Famigliare di Seneca), Werner Gröschel (Famigliare di Seneca), Rudolf A. Hartmann (Liberto Capitano), Peter Keller (Valletto), Suzanne Calabro (Damigella), Peter Straka (Primo Soldato), Franz Peter (Secondo Soldato). 1994 (con specificato ruoli alterni nelle varie recite, oltre che doppi ruoli): Debora Beronesi (Fortuna, Pallade, Venere), Laura Cherici (Virtù, Damigella, Amore), Monica Bacelli (Amore, Valletto), Sara Mingardo (Nutrice, Famigliare di Seneca, Amore), Mario Bolognesi (Lucano, Primo Soldato), Ernesto Gavazzi (Liberto Capitano, Secondo Soldato), Pietro Spagnoli (Mercurio, Primo Console, Littore), Antonio De Gobbi (Secondo Console, Famigliare di Seneca), Emanuele De Checchi (Primo Tribuno), Massimo Crispi (Secondo Tribuno, Famigliare di Seneca).
Per ulteriori notizie, informazioni, consultazioni di foto e manifesti, riguardanti gli allestimenti dagli anni Cinquanta del Novecento, può essere consultato il sito del Teatro http://www.archiviolascala.org/archivio_online.html
(a cura della redazione)
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La presente edizione Rinaldo Alessandrini
La possibilità di una edizione critica che riassuma le due versioni dell’Incoronazione di Poppea dai manoscritti di Venezia e Napoli diviene sempre più remota man mano che se ne studiano le differenze. Pur accettando una filiazione del manoscritto napoletano da quello veneziano (testimoniata già a partire dalla ricopiatura acritica delle incongruenze armoniche e di notazione della prima scena del primo Atto), è giocoforza accettare la perdita di uno o più manoscritti intermedi, nei quali la versione approntata dall’entourage Cavalli per una ripresa veneziana si trasforma gradualmente nella versione napoletana del 1651, attraverso progressivi ma vistosi cambiamenti del libretto e inserimenti di nuova musica. Ci rimangono oggi due diverse versioni dell’opera, divergenti non solo quantitativamente in numerosissimi luoghi della partitura, ma anche qualitativamente: vengono alla luce dettagli che testimoniano usi e costumi musicali di carattere assai divergenti. Riassumendo brevemente alcune tra le differenze, si potrà citare la diversa orchestrazione dei ritornelli strumentali, a tre parti nella versione veneziana, a quattro in quella napoletana; l’allungamento di numerose scene nella versione napoletana, grazie all’inserzione di monologhi (Ottavia, Ottone) o all’adozione di un testo totalmente differente (Valletto e Damigella nel secondo Atto); una miriade di piccole differenze ritmiche e melodiche sparse lungo l’intera durata dell’opera. In particolare la scena finale, vistosamente allungata nella versione napoletana, differisce ampiamente dai libretti a stampa e vede confluire per la musica i possibili nomi, tra gli altri, di Ferrari, Sacrati, Laurenzi oltre al consueto Cavalli, fino al duetto finale, ormai definitivamente espunto dalla vena compositiva di Claudio Monteverdi. L’attribuzione dell’opera al musicista cremonese, già evidente nel manoscritto veneto e suffragata nel 1681 dalla Minerva a tavolino di Cristoforo Ivanovich, potrà essere istintivamente confermata per non oltre il 60% della musica rimastaci. Alcuni elementi di notazione contribuiscono a far luce sulla paternità monteverdiana: le misure in tempo ternario, ad esempio, che Monteverdi fino alla fine della sua vita nota in 3 semibrevi, contrariamente all’uso di metà secolo sempre più propenso all’utilizzazione di valori più brevi; alcu-
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ne caratteristiche armoniche, come l’accordo maggiore/minore, già usato dai tempi del Sesto Libro de’ madrigali. Rimaniamo però definitivamente impossibilitati a sovrapporre le due versioni, sperando in una quadratura del cerchio: troppe le divergenze alle quali una edizione critica dovrebbe far fronte, senza ricorrere a scelte personali e di gusto. La versione eseguita in questa produzione riflette dunque alcune mie scelte personali, frutto di una lunga frequentazione con i manoscritti e figlia di riflessioni successive ad altre produzioni che ho avuto l’onore e l’onere di dirigere in questi ultimi vent’anni. Lungi, dunque, dal volere imporre una presunta Urfassung, credo di non essermi distaccato dall’abito seicentesco, che nelle successive manipolazioni di una partitura vedeva la soddisfazione di un esigenza connessa alla palpitante e cangiante vita quotidiana di un teatro di tale secolo.
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Alcune riflessioni sul libretto di Busenello e sulla scenografia di Robert Wilson Ellen Hammer
Monteverdi, dopo aver tratto dalla mitologia greca il protagonista dell’Orfeo e dall’epopea omerica le figure eroiche del Ritorno d’Ulisse in patria, si rivolse alla storia per la sua ultima opera, L’incoronazione di Poppea. I sei personaggi principali vissero a Roma nel primo secolo della nostra era. Nerone, imperatore romano dal 54 al 68 d.C., fu allievo del filosofo Seneca sin dall’età di 12 anni; a 16 anni gli fu fatta sposare la cugina Ottavia, che ne aveva 13. Verso la fine dell’anno 58, si innamorò di Poppea Sabina, che gli ingiunse di ripudiare Ottavia. In capo a tre anni l’imperatore accusò la moglie, che ancora non gli aveva dato figli, di avere una relazione con uno schiavo, e la esiliò, per sposare Poppea dodici giorni dopo. Il filosofo, scrittore e poeta Seneca era stato richiamato a Roma dall’esilio in Corsica per intercessione della madre di Nerone; dopo essere stato per cinque anni precettore del futuro imperatore, rimase a corte per altri cinque anni in qualità di alto funzionario. Benché dotato di un cospicuo patrimonio, che aveva incrementato in modo non sempre onorevole, Seneca conduceva una vita ascetica. Tale contraddizione tra il suo accumulare ricchezze e i suoi appelli alla moralità – ovvero l’impegno a favore della filosofia stoica, che, in vita, gli valse parecchi nemici – nel libretto è molto attenuata e presentata in modo aneddotico per bocca del personaggio del Valletto, paggio di Ottavia, moglie di Nerone. E se Friedrich Nietzsche, nella sua Gaia scienza (Die fröhliche Wissenschaft), ha deriso la sua filosofia, definendola “sciocchezze insopportabilmente sagge”, Seneca, ai suoi tempi, veniva già etichettato come un “ipocrita opportunista”. Nel 65 d.C., allorché Nerone, allora imperatore, intimò a Seneca di darsi la morte, questi obbedì senza esitare; tuttavia, dal punto di vista storico, sembra che l’ordine di suicidarsi non avesse a che fare con l’opposizione di Seneca al matrimonio di Nerone e Poppea. Analogamente, l’incendio di Roma che, alla fine dell’opera, tinge di rosso l’orizzonte della scena il giorno delle nozze, non ebbe luogo quel giorno, bensì tre anni più tardi, quando Nerone non si trovava a Roma. Il poeta e librettista Giovanni Francesco Busenello ha sapientemente integrato nel libretto tali circostanze erronee con il preciso scopo di intensificare l’aspetto drammatico dello svolgimento. Nell’opera troviamo un altro personaggio storico: si tratta del poeta Marco
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Anneo Lucano, il poeta romano nipote di Seneca, il quale fu amico di Nerone finché l’imperatore, geloso del suo talento, non ordinò anche a lui di suicidarsi. Nel libretto compare in un’unica scena, in cui i due inneggiano concordi alla bellezza di Poppea. Ottone, che storicamente fu il secondo marito di Poppea, è presentato nel libretto di Busenello non come suo sposo, ma come suo amante. Discendeva da una famiglia patrizia ed era in rapporti amichevoli con Nerone, finché questi non s’innamorò di Poppea; allora, per liberarsi dell’importuno rivale e avere mano libera con sua moglie, l’imperatore lo spedì rapidamente in Lusitania in qualità di governatore. La prima scena dell’opera mostra il ritorno di Ottone e il momento in cui egli scopre che Nerone ha passato la notte con l’amata, a casa di lei. Il personaggio principale che figura nel titolo dell’opera, Poppea Sabina, era una matrona di buona famiglia, anche se non di nobile stirpe. Prima di sposare Nerone in terze nozze, aveva avuto altri due mariti. Per conquistarlo, mise in atto tutte le astuzie dell’arte della seduzione, giocando la carta della gelosia, servendosi del proprio fascino per provocarlo e poi sottraendosi ai piaceri della carne, o magnificando il proprio amore per lui. Ai suoi tempi, Poppea era considerata una delle più belle donne di Roma: aveva capelli rossi con riflessi dorati – color dell’ambra, aveva scritto Nerone in un poema in cui ne lodava la bellezza – e la pelle candida; si diceva che facesse regolarmente il bagno nel latte d’asina per mantenerla morbida e liscia. Tacito riferisce che era affabile nel parlare e che non mancava di intelligenza; tuttavia, aveva tutto tranne un animo onesto. Essa non fu mai schiava della propria passione o di quella di un altro, ma rivolgeva il suo desiderio verso colui dal quale poteva chiaramente ottenere maggior vantaggio, e fu così che finse di essere soggiogata dalla passione e affascinata dalla bellezza di Nerone; inoltre sapeva essere crudele e vendicativa. Morì, incinta, per un calcio sferratole da Nerone nel ventre. Questi sono i fatti, così come li riferiscono gli storici. Il veneziano Busenello, insigne letterato e giurista, scrisse vari libretti d’opera, tra cui quello per L’incoronazione di Poppea di Monteverdi, per il quale si ispirò ampiamente allo storico romano Tacito, quasi contemporaneo di Nerone (aveva 12 anni quando l’imperatore morì). Busenello descrive i suoi personaggi con mirabile delicatezza e lirismo: le loro gioie e passioni, i loro timori, la loro disperazione e sete di vendetta, il desiderio omicida, il tentativo di assassinare Poppea. Il libretto alterna in continuazione slanci d’amore appassionato e scoppi di crudeltà feroce, senza fare distinzioni di classe sociale tra i personaggi. Che Busenello abbia “falsificato” alcuni dati storici o modificato il contesto dal punto di vista temporale poco importa, poiché, così facendo, ha creato una tensione drammatica che nessuno aveva mai raggiunto prima di lui. I suoi personaggi sono degni di biasimo? Senza dubbio: agiscono spinti dall’opportunismo, dall’astuzia, dalla perversità e dalla crudeltà – non solo Poppea e Nerone, ma anche Ottavia, Ottone, la Nutrice, Arnalta... Eppure, alla fine non è il male che trionfa, ma l’Amore, questo dio più potente di ogni altro, che aveva predetto sin dal Prologo che avrebbe aiutato Poppea e Nerone a trovare un esito felice. Persino mentre Roma brucia, Amore mantiene la sua promessa.
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Non sorprende quindi che l’opera si concluda con il duetto lirico più bello e più estatico della storia della musica – anche se è impossibile oggi individuarne la paternità, se sia di Busenello e del suo libretto, o di Monteverdi e della sua musica. Forse ciò avviene perché il Male è seducente, pieno di fantasie e molto più vicino alla realtà di quanto non sia il Bene: il trionfo dell’Amore... Il librettista e il compositore non sono i soli ad aver fatto ricorso ai documenti storici: anche Robert Wilson ha attinto all’antichità per elaborare la sua visione dell’opera. I quadri scenici variano continuamente tra ampi spazi che si dilatano in lontananza e ambienti chiusi e delimitati, a seconda che si tratti di spazi pubblici o privati. All’apertura del sipario, si rivela un atrium romano, il cui muro esterno presenta tre aperture rettangolari. Nel Prologo, il muro è in parte ricoperto dalle radici di un fico, come nel celebre tempio di Angkor, in Cambogia. La natura ha invaso la cultura, ma non l’ha distrutta del tutto. Laggiù, il mito vuole che, se si toccano le radici, ci si innamora. In questa scena le tre divinità allegoriche, Fortuna, Virtù e Amore, litigano per sapere chi sarà la più forte, la più potente, la più influente, e naturalmente è Amore a trionfare. Nella prima scena dell’opera si vedono la casa di Poppea e l’atrium intatto, con il suo colonnato, senza le radici dell’albero. Man mano che le scene cambiano, gli alberi sostituiranno progressivamente le colonne, per finire come nel dipinto di Veronese Betsabea al bagno. Il palazzo di Nerone è uno spazio ampio e aperto, delimitato a sinistra da sei colonne, mentre a destra, sul proscenio, è collocato un grande blocco di pietra incrinato, segno evidente, per Nerone ma anche per Ottavia, dell’ambivalenza dei loro sentimenti. Successivamente, sulla destra sorgeranno delle colonne, non più di pietra ma in lucido metallo dai riflessi bianco-argentei, mentre il sole brillerà di luce metallica. L’intero spazio della scena è qui aperto, senza quinte. La casa di Seneca, nella campagna romana, mostra una corte interna il cui muro esterno di fondo presenta un’arcata, dietro la quale s’intravvede un albero le cui apparenti radici non toccano il suolo. A sinistra, in primo piano, un sedile in pietra scolpita. In una scena di strada romana vediamo un altro reperto storico legato a Nerone: un obelisco. Si tratta dell’obelisco proveniente dall’Egitto che ancora oggi s’innalza in piazza San Pietro (un tempo il Circo di Nerone): un monolite di pietra che si assottiglia verso l’alto a forma di piramide. In un’altra scena figura un gigantesco capitello proveniente dal foro romano. L’ultimo quadro scenico mostra, in modo astratto, le stanze palatine, così come sono tuttora visibili nelle rovine del palazzo di Nerone, la Domus Aurea. La presenza dei diversi elementi scenici è intensificata dalla forza dell’illuminazione creata da quell’artista delle luci che è Robert Wilson: quadri luminosi dai colori pastello, dai quali si stagliano ed emergono le forme scultoree dei cantanti. Occhi e orecchie possono così assistere in perfetta armonia al trionfo dell’Amore. (traduzione dal francese di Arianna Ghilardotti)
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Foto Lucie Jansch
The Watermill Center
The Watermill Center è un laboratorio performativo fondato da Robert Wilson allo scopo di dare ad artisti di tutto il mondo, emergenti e affermati, uno spazio dove poter esplorare nuove idee con il sostegno di una rete internazionale di istituzioni e sedi che abbracciano impostazioni interdisciplinari innovative. Il Watermill è una comunità globale che trae ispirazione da tutte le arti, come pure dalle scienze sociali, umane e naturali. Gli artisti vivono e lavorano insieme tra quasi ottomila opere d’arte altamente particolari ed eclettiche, che spaziano dall’età della pietra a oggi. Quest’ampia collezione di arte e oggetti è il cuore dell’esperienza del Watermill. Il Watermill Center è unico nel panorama globale della performance teatrale sperimentale e raduna regolarmente le menti più brillanti di tutte le discipline per fare, secondo le parole di Wilson, “quello che nessun altro sta facendo”. Nel corso dell’anno, il Watermill offre un’ampia scelta di programmi, comprendenti mostre, film, un ciclo estivo di conferenze e attività didattiche e per famiglie. L’importante International Summer Arts Program riunisce ogni anno durante l’estate 60-80 artisti provenienti da oltre 25 Paesi, per 5-6 settimane di intensa ricerca creativa. Per il Residency Program, che si svolge da settembre a giugno, un comitato di professionisti delle arti e degli studi umanistici sceglie gruppi, singoli e studiosi che risiederanno al centro per un periodo di 2-6 settimane.
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La Byrd Hoffman Water Mill Foundation ringrazia: Marina Abramovi , Alexander Acquavella, Ian & Lindsey Adelman, Mariam Al-Sabah, Shaikha Paula Al-Sabah, Fawzi M. Al-Saleh, American Friends of the Paris Opera and Ballet, The Annenberg Foundation, The Giorgio Armani Corporation, Asian Cultural Council, Aventis Foundation, Agnes B, Dianne B, Bacardi USA, Inc., Maria Bacardi, Gabriele Baer, Stephan Balzer, Raymond & Gabriele Bär, Jean-Paul & Monique Barbier-Mueller, Thierry & Lucienne Barbier-Mueller, BC Partners, Irving & Naomi Benson, Pierre Bergé, Withers Bergman, André Bernheim, Luciano & Giancarla Berti, Jörg Bittel, Karolina Blaberg, Ross Bleckner, Mark Borghi, Martin Brand, Cristiana Brandolini & Antoine Lafont, Michael Braverman, Bridges Larson Foundation, Clifford & Lea Carpenter Brokaw, Brooks Brothers, The Brown Foundation, Cecily Brown, Bruno Brunet & Nicole Hackert, Stanley Buchthal & Maja Hoffmann, Troy Buckner, The Martin Bucksbaum Family Foundation, Henry Buhl, Ed Bulgin, Janna Bullock, Franz & Bettina Burda, Gabriela Cadena, William I. Campbell & Christine Wächter-Campbell, Margaret A. Cargill Foundation, Chanel, Sarah Christian & Jason Vartikar, Alain Coblence, Claudia Cohen, Melissa Cohn, Richard D. (in memoriam) & Lisa Colburn, Wynne Comer, Stewart F. Lane & Bonnie Comley, Elaine Terner Cooper (in memoriam), Paula Cooper & Jack Macrae, The Cowles Charitable Trust, Lewis & Louise Hirschfeld Cullman, Zora Danon (in memoriam), Cecile David-Weill, Hélène David-Weill, De Buck Gallery, Anne de Carbuccia, Ethel de Croisset (in memoriam), Lisa de Kooning (in memoriam), Adelaide de Menil & Ted Carpenter (in memoriam), Elide de Manente, Christophe de Menil, Simon & Michaela de Pury, Baron Eric de Rothschild & Beatrice Caracciolo, Baroness Philippine de Rothschild, Robert de Rothschild, Deutsche Bank Na, Margherita Di Niscemi, Robert Louis Dreyfus (in memoriam), Asher Edelman, David & Susan Edelstein, Lisa & Sanford Ehrenkranz, David Ehrlich, Christian Eisenbeiss, Richard & Eileen Ekstract, Marina Eliades, The Elkins Foundation, The Empire State Development Corporation, Jan Fabre, Prudence Fairweather, Harald Falckenberg & Larissa Hilbig, Philip & Lisa Maria Falcone, Roger & Wendy Ferris, Forum Associates, Florence Gould Foundation, Maxine & Stuart Frankel Foundation for Art, Betty Freeman (in memoriam), Jürgen & Anke Friedrich, The Fridolin Charitable Trust, Morris & Gertrude Furman Foundation, Lady Gaga, Larry Gagosian, John Gallaher, Jolmer Gerritse, Cindy Glanzrock, Nan Goldin, Barbara L. Goldsmith Foundation, Marino & Paola Golinelli, Douglas Gordon, Deborah Green & Clayton Aynsworth, Catherine & Martin Gruschka, Audrey & Martin Gruss, Guild Hall, Carole & Frederick Guest, Agnes Gund, Dan Gundrum, The Guttman Family, Stein-Erik Hagen, Han Wilhelm Hanson Foundation, Gary Hattem, Veronica Hearst, Mary Heilmann, Gabriele Henkel, Paul & Josefin Hilal, David Hockney, Ana Hollinger, Ikepod Timepieces, Tony Ingrao & Randy Kemper, Yves-André Istel & Kathleen Begala, Carola & Robert Jain, Ilya & Emilia Kabakov, Donald Kahn, Gene Kaufman, Holm Keller, Jan Kengelbach, Wendy Keys & Donald Pels, Theodore Kheel, Anselm Kiefer, Lummi U. Kieren, Calvin Klein Family Foundation, Eileen & William Kornreich, Joseph Kraeutler, Ken Kuchin, Oleg Kulik, L’Oreal USA, Thomas H. Lee & Ann Tenenbaum, Frederick Lehmann, Annie Leibovitz, Heide Leiser, Ann Lewis (in memoriam), Lexington Partners, L.P., Lexus, Dorothy Lichtenstein, Peter Lindbergh, Eugenio Lopez, American Friends of the Louvre, LUMA Foundation, Dr. Johann Borwin Lüth, LVMH Moët Hennessy - Louis Vuitton, Judy Lybke, Louise T. Blouin MacBain, The Mach Foundation,
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The Honorable Earle & Carol Mack, Donna MacMillan, MAP Fund, The Robert Mapplethorpe Foundation, Constantinos Martinos, Diane & Adam Max, Giovanna Mazzocchi, Margaret McDermott, Jay McInerney & Anne Hearst McInerney, Kristen & Patrick McMahon, Henry McNeil, Michael Meagher, Jonathan Meese, Andrew W. Mellon Foundation, Bruce & Julie Menin, Richard & Marcia Mishaan, Montblanc, Eric Moran, Philip Morris Companies, Inc., Alexandra Munroe & Robert Rosenkranz, Ali Namvar, Soleil Nathwani, The National Endowment For The Arts, Leslie Negley, Nancy Negley, Daniel Neidich & Brooke Garber Neidich, Net-A-Porter, Samuel I. Newhouse Foundation, The New York State Council on the Arts, The New York State Urban Development Corporation, Lizabeth Newman, Lyndon L. Olson Jr., Dennis Oppenheim (in memoriam), Joël-André Ornstein & Gabriella Maione Ornstein, Katharina Otto-Bernstein & Nathan Bernstein, Maren Otto, Christl & Michael Otto, The Overbrook Foundation, Paddle8, The Park Avenue Charitable Fund, John & Jenny Paulson, Laura Pels, Simone Perele, Richard & Lisa Perry, Steven & Michele Pesner, Campion & Tatiana Platt, Madame Claude Pompidou, The Prince Claus Fund, Dr. Edgar Quadt, William & Katharine Rayner, Alfred Richterich, The Jerome Robbins Foundation, Vincent Roche, Rockefeller Brothers Fund, The Felix & Elizabeth Rohatyn Foundation, Rolex, Thaddaeus Ropac, Edward Rose, Dieter Rosenkranz, The Rudin DeWoody Family, May & Samuel Rudin Family Foundation, The Rudkin Family Foundation, Mark Rudkin, The Mortimer D. Sackler Family, David Salle, Louisa Stude Sarofim, Kimihiro Sato, The Scaler Foundation, Alex Scarsini, Bradford Schlei, Henry & Elizabeth Segerstrom, The Evelyn Sharp Foundation, The Peter J. Sharp Foundation, Roberta Sherman, Carla Emil & Richard Silverstein, The Juliet Lea Hillman Simonds Foundation, The Simonds Foundation, Raka Singh, Barbara Slifka, Joseph & Sylvia Slifka Foundation, Jessica Smith & Kevin Brine, The Soros Family, Sotheby’s, The Alexander C. & Tillie S. Speyer Foundation, Stanley Stairs & Leslie Powell, John Stewart, Melville & Leila Straus, Suffolk County Office Of Cultural Affairs, Suffolk County Department of Economic Development and Workforce Housing, Jay & Kelly Behun Sugarman, Stephen & Ellen Susman, Taipei Cultural Center, Nader Tavakoli, David Teiger, Angela E. Thompson, Trust For Mutual Understanding, Spencer Tunick, Robert Turner & Peter Speliopoulos, Prinz Von Bayern, Diane von Furstenberg, Baroness Nina von Maltzahn, Brigitte von Trotha-Ribbentrop, Voom HD Networks, Jörn Weisbrodt & Rufus Wainwright, Larry Warsh, Franz Wassmer, Robert Weil, Gregory & Regina Weingarten, The Karan Weiss Foundation, Robert M. Wilson, Robert W. Wilson (in memoriam), Robert Wilson Stiftung, Bettina & Raoul Witteveen, The Laura Lee W. Woods Foundation, Works & Process At The Guggenheim, Neda Young, Katharine Zarrella, Nina & Michael Zilkha, Antje & Klaus Zumwinkel e molti altri stimati donatori.
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Robert Wilson
Il “New York Times” lo ha definito “una figura gigantesca nel mondo del teatro sperimentale, che esplora gli usi del tempo e dello spazio sulla scena. Superando le convenzioni teatrali, integra nei suoi lavori arti grafiche e performative, in un armonioso tessuto di immagini e suoni”. I suoi spettacoli, di grande impatto estetico ed emotivo, hanno raccolto consensi da parte del pubblico e della critica in tutto il mondo. Nato a Waco (Texas), ha frequentato l’Università del Texas e il Pratt Institute di Brooklyn, ove ha seguito i corsi di architettura e design; ha poi studiato pittura con George McNeil a Parigi e ha lavorato con l’architetto Paolo Solari in Arizona. Verso la metà degli anni Sessanta si è trasferito a New York, ove ha conosciuto i lavori dei coreografi George Balanchine, Merce Cunningham e Martha Graham, tra gli altri, e nel 1968 ha fondato il gruppo di artisti The Byrd Hoffman School of Byrds, con sede a Manhattan. Nel 1969 sono andati in scena le sue prime regie, The King of Spain e The Life and Times of Sigmund Freud. Nel 1971, a Parigi, ha riscosso il suo primo successo internazionale con l’opera muta Deafman Glance (Le regard du sourd), realizzata in collaborazione con Raymond Andrews, un ragazzo sordomuto da lui adottato. Sono seguiti altri lavori di grande portata, tra cui l’opera muta della durata di dodici ore The Life and Times of Joseph Stalin (1973) e A Letter for Queen Victoria (1974). Nel 1976, insieme al compositore Philip Glass, ha realizzato la monumentale opera Einstein on the Beach, cambiando le formule convenzionali di una forma d’arte ormai in declino; lo spettacolo, della durata di cinque ore senza intervallo, è stato presentato al Festival di Avignone e al Met prima di essere portato varie volte in tournée in tutto il mondo, l’ultima delle quali nel 2014. Dopo Einstein, ha lavorato sempre di più in teatri europei di prosa e d’opera. In collaborazione con noti scrittori e interpreti, ha ideato memorabili spettacoli che sono stati presentati, tra l’altro, al parigino Festival d’Automne, alla Schaubuhne di Berlino, al Thalia Theater di Amburgo e al Festival di Salisburgo. Alla Schaubuhne ha messo in scena Death Destruction & Detroit I e II (1979 e 1987); al Thalia, quattro innovativi spettacoli musicali: The Black Rider (1991), Alice (1992), Time Rocker (1996) e POEtry (2000). Nel 1984, in collaborazione con un gruppo internazionale di artisti, ha ideato il suo progetto più grandioso, destinato ad accompagnare le Olimpiadi di Los Angeles: the CIVIL warS: a tree is best measured when it is down. Lo spettacolo, in sei sezioni, non è ancora stato eseguito integralmente. Ha creato allestimenti per i più importanti teatri lirici del mondo, quali la Scala, il Met, l’Opéra-Bastille, il Bol’šoj, la Staatsoper di Amburgo, l’Opernhaus di Zurigo, la Lyric Opera di Chicago, applicando il suo linguaggio innovativo anche a opere di repertorio come Parsifal (Amburgo, 1991), Lohengrin (Zurigo, 1998), Madama Butterfly (Parigi, 1993), Pelléas et Mélisande (Salisburgo, 1997), Der Ring des Nibelungen (Zurigo, 2000-02), Aida (Bruxelles, 2002), Faust (Varsavia, 2008), Norma (Zurigo, 2011), Macbeth (Bologna e São Paulo, 2013), nonché la trilogia monteverdiana in coproduzione tra la Scala e l’Opéra di Parigi. Nell’ambito del teatro di prosa, oltre ai grandi classici, ha curato la regia di originali adattamenti di capolavori della letteratura e della poesia, come l’Odissea andata in scena ad Atene nel 2013. Il suo amore per l’Indonesia lo ha portato aad allestire I La Galigo, uno spettacolo basata su un testo sacro dell’isola di Sulawesi, presentato al Lincoln Center Festival nell'estate del 2005. Nel 2007, ad Atene, ha creato Rumi: in the Blink of the Eye, ispirato alla poesia mistica Sufi. Ha collaborato con numerosi artisti, scrittori, compositori e interpreti di fama interna-
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Foto RW Lucie Jansch 2011
zionale, quali il drammaturgo Heiner Müller, il poeta Allen Ginsberg, la scrittrice Susan Sontag o la cantante Jessye Norman, con la quale ha sviluppato un lungo sodalizio. Oltre a lavorare per il teatro, è attivo anche nel settore dell’arte contemporanea e ha esposto i suoi disegni, dipinti e sculture in varie mostre collettive e personali in tutto il mondo, oltre a creare originali installazioni. Le sue opere fanno parte delle collezioni dei musei più prestigiosi, quali il MoMA, il Museum of Fine Arts di Boston il Centre Pompidou, il Whitney Museum o il Vitra Design Museum. Nel 2004 ha iniziato la serie dei Video Portraits, videoritratti ad alta definizione, con colonna sonora, di personaggi dello spettacolo e celebrità, nonché di animali di varie specie. Il suo straordinario tributo al lavoro di Isamu Noguchi è stato presentato a Basilea, Madrid, Rotterdam, New York, Seattle, Los Angeles, mentre la sua installazione per la retrospettiva dedicata a Giorgio Armani dal Guggenheim è stata vista a Londra, Roma, Tokyo, Shangai e Milano. È rappresentato dalla Galleria Paula Cooper di New York. Nel corso della sua carriera ha ricevuto innumerevoli premi e onorificenze, tra cui il primo premio al Festival di San Sebastián per Stations (1984), la nomination al Pulitzer per il teatro (1986) per the CIVIL warS, due Premi Abbiati (1989 e 1995), il Leone d’Oro per la scultura alla Biennale di Venezia (1993), due Premi Ubu (1992 e 1994), il premio “Dorothy and Lillian Gish” alla carriera (1996), il Premio Europa di Taormina Arte (1997), il Premio Puškin (1999), il National Design alla carriera (2001), il Thomas Jefferson Award (2002), la Texas Medal of Arts (2005), la Medaglia per le Arti e le Scienze dalla Città di Amburgo, il Premio Hein Heckroth alla carriera per la scenografia, il Jerome Robbins Award (2009), l’International Design and Communication Award (2012), l’Olivier Award (2013). È Commandeur des arts et des letters e membro dell’American Academy of Arts and Letters; inoltre detiene numerose lauree ad honorem, tra cui quella della Sorbona, della City University di New York, delle Università di Bucarest e di Toronto e del California College of Arts and Crafts.
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Annick Lavallée-Benny Colloboratore alla scenografia
Nata in Québec, Annick Lavallée-Benny ha studiato scenografia ed esordito professionalmente nel suo Paese natale, prima di attraversare l’Atlantico per venire a specializzarsi in creazione contemporanea alla Norwegian Theatre Academy. Nel 2011 ha ottenuto la medaglia d’oro per il talento più promettente alla Quadriennale di Praga per la presentazione di una installazione in situ intitolata Erase the Play. Attualmente si divide tra l’Europa e l’America; il suo lavoro si colloca all’incrocio tra l’architettura, le arti visive e le arti sceniche. Negli ultimi anni ha collaborato a diversi allestimenti di Robert Wilson, tra cui la grandiosa creazione The Life and Death of Marina Abramovic, ˇ interpretata dall’artista serba in persona e da Willem Dafoe, la cui più recente presentazione ha avuto luogo alla Park Avenue Armory a New York; The Old Woman, ancora con Willem Dafoe e con Mikhail Baryshnikov, premio dell’Associazione francese dei critici di musica, teatro e danza per il miglior spettacolo straniero della stagione 2013-14; Macbeth di Verdi a Bologna e a São Paulo, e la serie di videoritratti di Lady Gaga esposta al Louvre. Nei prossimi mesi entrerà a far parte dell’équipe creativa di un nuovo spettacolo basato sui racconti di Puškin, che andrà in scena a Mosca.
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Jacques Reynaud Costumista
Nato a Milano, ha studiato belle arti a New York. Ha debuttato come costumista con il Peer Gynt allestito da Luca Ronconi al Teatro Argentina di Roma nel 1995. Ha poi lavorato per numerosi teatri e festival, tra cui la Scala, il Festival di Salisburgo, l’Opera di Chicago e il Lincoln Center di New York. Collaboratore di Robert Wilson da quasi vent’anni, ha realizzato i costumi dei molti dei suoi allestimenti di maggior successo: Woyzeck (Copenhagen, 2000), Leonce und Lena (Berlino, 2003), Aida (Londra, Covent Garden, 2003), Osud di Janácek ˇ (Madrid, Teatro Real, 2003), L’Orfeo (Teatro alla Scala, 2009), Die Dreigroschenoper (Baden Baden, 2009), Il ritorno di Ulisse in patria (Teatro alla Scala, 2011), The Life and Death of Marina Abramovicˇ (Madrid, 2012), Macbeth (São Paulo, 2012). Ha collaborato a più riprese anche con Luca Ronconi, disegnando i costumi, tra l’altro, per Medea di Euripide (1996), Lolita, da Nabokov (2001), Inventato di sana pianta, ovvero Gli affari del barone Laborde di Broch (2007) al Piccolo Teatro, e per il Don Carlo andato in scena al Maggio Musicale Fiorentino nel 2013.
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A.J. Weissbard Light designer
Americano di nascita, ha lavorato in tutto il mondo per il teatro, la moda, il video, ma anche per eventi, mostre e installazioni architettoniche permanenti. Ha collaborato, tra gli altri, con Robert Wilson, Peter Stein, Luca Ronconi, Daniele Abbado, Marina Abramovic, ˇ Bernard Sobel, Peter Greenaway, William Kentridge, David Cronenberg, Andriy Zholdak, Shirin Neshat, Gae Aulenti, Fabio Novembre, Pierluigi Cerri, Richard Gluckman, Matteo Thun, Giorgio Armani, Hugo Boss e con la Martha Graham Dance Company. Ha collaborato con i più importanti teatri e festival internazionali in oltre 40 Paesi, tra cui il Lincoln Center di New York, la Los Angeles Opera, la Brooklyn Academy of Music, il Teatro alla Scala, la parigina Opéra Garnier, il Théâtre de La Monnaie di Bruxelles, il Teatro Real di Madrid, l’antico teatro di Epidauro, la Deutsche Oper di Berlino, l’Esplanade a Singapore, il Bunka Kaikan di Tokyo, il Teatro Municipal di São Paolo; ha lavorato per prestigiosi musei quali il Guggenheim di New York/Bilbao, Royal Academy of London, il Petit Palais e il Louvre a Parigi, Vitra Design Museum di Basilea, la Triennale di Milano, le Scuderie del Quirinale a Roma, il Kunstindustrimuseum di Copenhagen, lo Shanghai Art Museum; e per importanti mostre e fiere quali l’Aichi World Expo 2005, il Salone del Mobile di Milano e la Biennale di Venezia. Nel 2014 ha ottenuto la Golden Mask come migliore light designer per il teatro musicale e il primo IFSArts Award for Lighting Design. Insegna in numerose università.
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Ellen Hammer
Foto Marco Brescia
Drammaturga
Nata a Monaco di Baviera, ha studiato letteratura e storia del teatro. Dal 1967 al 1978 ha lavorato come assistente drammaturga prima al Kammerspiele di Monaco e poi alla Schaubühne di Berlino, dove ha iniziato a collaborare con Peter Stein e Klaus Michael Grüber. Ha curato la regia di Aus der Fremde di Er nst Jandl (Schaubühne, 1980), Quartett e Philoktet di Heiner Müller a Bonn, Eine Unbekannte aus der Seine di Ödön von Horváth al Piccolo Teatro, Caligula di Camus e Richard II di Shakespeare a Graz. Dal 1987 collabora con Robert Wilson in qualità di drammaturga; insieme hanno allestito La Nuit d’avant le Jour, spettacolo inaugurale dell’Opéra-Bastille nel 1989, Alcesti, da Euripide ˇ (Heiner Müller, Robert Wilson), King Lear, Il canto del cigno di Cechov, Die Zauberflöte, il balletto Le martyre de Saint Sébastien di Debussy all’Opéra di Parigi, Les Fables di La Fontaine alla Comédie Française, la Johannes-Passion di Bach al Théatre du Châtelet. Ha collaborato a numerosi allestimenti di Klaus Michael Grüber, tra cui Parsifal, Otello e Aida ad Amsterdam, L’incoronazione di Poppea a Aix-en-Provence, Da una casa di morti di Janácek ˇ (Festival di Salisburgo, Opéra Bastille), Tannhäuser (Maggio Musicale Fiorentino), Diario di uno scomparso di Janácek ˇ (Wiener Festwochen), Elektra (Teatro di San Carlo e Teatro la Fenice), Il ritorno di Ulisse in patria, Idomeneo e Doktor Faust di Busoni (Zurigo). Ha lavorato anche con Luc Bondy per The Turnscrew di Britten al Festival di Aix nel 2001. Nel 2009 ha collaborato con Anselm Kiefer per Am Anfang, allestito per celebrare il ventesimo anniversario dell’Opéra-Bastille.
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Rinaldo Alessandrini
Clavicembalista, organista e fortepianista, oltre che fondatore e direttore dell’ensemble Concerto Italiano, è da oltre venti anni sulla scena internazionale della musica barocca, preclassica e classica, privilegiando nelle scelte del suo repertorio la produzione italiana, e cercando di riattribuire alle esecuzioni tutte quelle caratteristiche di cantabilità e di mobile espressività che furono proprie dello stile italiano dei secoli XVII e XVIII. Ha inoltre una intensa attività solistica ed è ospite di festival in tutto il mondo: negli USA, in Canada, in Giappone oltre che in Europa. Tra le città che lo hanno ospitato regolarmente alla guida di Concerto Italiano: Utrecht (Oude Muziek Festival), Rotterdam, Anversa, Londra (Lufthansa Festival, Queen Elisabeth Hall), Edimburgo (Edinburgh Festival), Aldeburgh, Glas-gow, Vienna (Konzerthaus), Graz (Styriarte), Amsterdam (Concertgebouw), Bruxelles, Madrid, Barcellona (Festival de Música Antigua, Palau de la Música), Valencia, Bilbao, Siviglia, San Sebastián, Salamanca, Santander, Oslo (Chamber Mùsic Festival), Bergen, Vantaa, Turku, Parigi (Cité de la Musique, Théâtre de la Ville), Beaune, Lione, Montpellier (Festival de Radio France), Metz (Arsenal), Ambronay, Saintes, Colonia (Conservatorio e WDR), Stoccarda, Darmstadt, Roma (Accademia di Santa Cecilia, Accademia Filarmonica Romana), Milano, Ravenna, Ferrara, Torino, Spoleto (Festival dei Due Mondi), Palermo (Festival Scarlatti), Istanbul, Tel Aviv, Gerusalemme, Varsavia, Buenos Aires (Teatro Colón), Rio de Janeiro (Teatro São Paulo), New York (Metropolitan Museum, Lincoln Center), Washington (Library of Congress), Tokyo… Nominato Principal Guest Conductor della Norske Opera di Oslo (gennaio 2007), è spesso impegnato come direttore ospite d’orchestre sinfoniche quali l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, l’Orchestra Sinfonica della Ciudad de Granada, la Detroit Symphony Orchestra, la Scottish Chamber Orchestra, la Northern Symphonia, l’Orchestra of the Age of the Enlightenment, la Boston Handel & Haydn Society, la Freiburger Barockorchester, l’Orchestre Symphonique de La Monnaie di Bruxelles, la Philharmonia Baroque Orchestra di San Francisco, la Royal Liverpool Philharmonic di Liverpool, l’Orchestra Filarmonica Toscanini di Parma e l’Orquesta Nacional de España di Madrid. Fra i successi delle passate stagioni si annoverano le direzioni di Semele di Händel (Festival di Spoleto), Catone in Utica di Vinci (Lugo Opera Festival), L’incoronazione di Poppea (Welsh National Opera, Frankfurt Oper, Teatro Valli di Reggio Emilia, Teatro Comunale di Bologna, Opéra du Rhin), L’isola disabitata di Jommelli (Accademia Filarmonica Romana e Teatro dell’Opera di Roma), L’Olimpiade di Vivaldi (Teatro Rendano di Cosenza), La serva padrona di Pergolesi (Freiburg Konzerthaus), Alcina di Händel (Liceu di Barcellona), Artaserse di Hasse (Lugo Opera Festival), Le nozze di Figaro di Mozart (Welsh National Opera), Giulio Cesare di Händel (Teatro Real di Madrid, Teatro Comunale di Bologna, Norske Opera), Amadigi di Händel (Teatro San Carlo di Napoli, Edinburgh Festival), Zaide di Mozart (Festival Mozart di La Coruña) e Il trionfo del tempo e del disinganno (Queen Elisabeth Hall a Londra). Nel luglio 2005, presso il Teatro Liceo di Salamanca, ha firmato la regia e al contempo la direzione musicale di un nuovo allestimento dell’Incoronazione di Poppea. Tra le ultime produzioni dell’ensemble ricordiamo Theodora di Händel (Salamanca e Bilbao), La Vergine dei dolori di Scarlatti (Napoli), i Vespri solenni per la festa dell’Assunzione della Vergine di Vivaldi (Siena e Ambronay). Fra gli altri impegni ricordiamo Il ritorno di Ulisse in patria e La clemenza di Tito alla Welsh National Opera e alla Norske Opera di Oslo, La Vergine dei dolori alla Monnaie di Bruxelles e alla Cité de la Musique di Parigi, Giulio Cesare di Händel, L’Orfeo alla Norske Opera di Oslo, L’incoronazione di Poppea al Grand Théâtre de Bordeaux, Juditha Triumphans a Madrid con l’Orquesta Nacional de España, Die Entführung aus
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Foto Eric Larrayadieu
dem Serail alla Welsh National Opera di Cardiff, Stabat Mater di Pergolesi all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma. Fra i successi della stagione 2010-11 si segnalano le direzioni di Messiah di Händel con la Portland Baroque Orchestra, alla Norske Opera di Oslo e al Kennedy Center di Washington con la National Symphony Orchestra, L’inimico delle donne di Galuppi all’Opéra Royal de Wallonie de Liège, Die Entführung aus dem Serail all’Opéra du Rhin de Stras-bourg. Annovera fra i suoi prossimi impegni L’incoronazione di Poppea al Teatro alla Scala, Semele con la Canadian Opera Company a Toronto, L’Orfeo, Il ritorno d’Ulisse in patria e L’incoronazione di Poppea all’Opéra National de Paris. Salirà inoltre sul podio della Handel & Haydn Society Orchestra di Boston, dell’Orchestra “A. Toscanini” di Parma, dell’Orchestra Sinfonica della RAI di Torino, della San Francisco Symphony Orchestra e della Seattle Symphony Orchestra. La sua vastissima discografia – che comprende sia il repertorio italiano, sia quello di scuola tedesca – gli ha valso una messe notevole di distinzioni e riconoscimenti da parte della critica discografica (tra cui il Grand Prix du Disque, il Premio della Critica Discografica Tedesca, nonché ben tre Gramophone Awards con Concerto Italiano). Ancora con Concerto Italiano ha inciso recentemente un recital rossiniano (con Maria Bayo), La Senna festeggiante, Le quattro stagioni, l’opera L’Olimpiade, la monumentale ricostruzione dei Vespri di Vivaldi, i Vespri di Monteverdi e i Concerti Brandeburghesi di Bach. La sua incisione dell’Orfeo monteverdiano (2007) ha vinto il Diapason d’oro e il Preis der Deutschen Schallplattenkritik. Nel 2003 è stato nominato, dal Ministro francese della Cultura, Chevalier dans l’ordre des Artes et des Lettres ed è stato insignito del Premio Abbiati per l’intensa attività svolta assieme all’ensemble Concerto Italiano. È inoltre accademico dell’Accademia Filarmonica Romana. È curatore dell'edizione critica, in corso di pubblicazione presso l’editore Bärenreiter, delle maggiori opere di Monteverdi: L’Orfeo, Il ritorno d'Ulisse in patria, L’incoronazione di Poppea e Vespro della Beata Vergine (1610). Un suo libro dal titolo Monteverdiana è stato pubblicato in Francia (2004) e in Italia (2006).
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L’incoronazione di Poppea. I personaggi e gli interpreti La Fortuna / Poppea, dama nobilissima favorita da Nerone, che da lui viene assunta all’imperio
La Virtù / Ottavia, imperatrice regnante, che viene repudiata da Nerone
Miah Persson
Monica Bacelli
Ottone cavaliero principalissimo
Silvia Frigato
Sara Mingardo
Lucano, poeta famigliare di Nerone / 1° Soldato / 2° Famigliare di Seneca / 2° Console
2° Soldato / Liberto, capitano de’ la guardia de’ Pretoriani / 1° Tribuno
Foto B&W portrait
L’Amore
Luca Dordolo
Furio Zanasi
Nerone, imperator romano
Arnalta, vecchia nutrice e consigliera di Poppea
Leonardo Cortellazzi
Adriana Di Paola
La nutrice di Ottavia imperatrice
Seneca filosofo, maestro di Nerone
Giuseppe De Vittorio
Andrea Concetti
Il valletto, paggio dell’imperatrice / 2° Console
Drusilla, dama di corte innamorata di Ottone
Mirko Guadagnini
Maria Celeng
L’incoronazione di Poppea. I personaggi e gli interpreti Mercurio / Littore / 3° Famigliare di Seneca / 2° Tribuno
Damigella dell’imperatrice
Luigi De Donato
Monica Piccinini
1° Famigliare di Seneca
Andrea Arrivabene
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CLAUDIO MONTEVERDI CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE Franco Pavan
1567 Claudio viene battezzato il 15 maggio nella chiesa dei Santi Nazaro e Celso; è figlio di Baldassare, cerusico, e in seguito medico e speziale, e di Maddalena Zignani, sposatisi agli inizi del 1566. Claudio avrà una sorella, Clara Massimilia, battezzata il 16 maggio 1571, e un fratello, Giulio Cesare, che sarà anch’esso musicista, battezzato il 31 gennaio 1573. 1576
Morte della madre. Il padre si risposa con Giovanna Gadio.
1582 All’età di quindici anni Claudio pubblica a Venezia presso Angelo Gardano la sua prima opera: le Sacrae cantiunculae, una raccolta di ventitré mottetti a tre voci. Nell’intestazione del volume si proclama discepolo di Marcantonio Ingegneri. 1583 Vedono la luce in Brescia, per Vincenzo Sabbio, i Madrigali spirituali a quattro voci. 1584 A Venezia, presso gli editori Giacomo Vincenzi e Ricciardo Amadino, viene licenziato alle stampe il primo libro delle Canzonette a tre voci. 1587 È l’anno della prima prova come compositore di madrigali da parte di Claudio Monteverdi. Angelo Gardano cura infatti a Venezia la stampa dei Madrigali a cinque voci di Claudio Monteverdi cremonese discepolo del sig. Marc’Antonio Ingigneri novamente composti et dati in luce. 1589 Viaggio a Milano, alla ricerca di una sistemazione. Suona la viola da gamba, il suo strumento, per Giacomo Ricardi, presidente del Senato. 1590 All’età di ventitré anni Claudio presenta Il secondo libro de madrigali a cinque voci. Cura l’edizione a Venezia Alessandro Ravera. 1592 Monteverdi è a Mantova. Da questa città firma infatti il 27 giugno la dedica di Il terzo libro de madrigali a cinque voci. La dedica a Vincenzo Gonzaga contenuta in questo volume è la prima testimonianza relativa a un suo impegno presso la corte mantovana. 1594 Viene chiamato a contribuire a un’antologia curata da Antonio Morsolino e pubblicata a Venezia: Il primo libro delle canzonette a tre voci. 1595
Intraprende un viaggio in Ungheria al seguito di Vincenzo Gonzaga.
1596 In luogo di Giaches de Wert, scomparso nel corso dell’anno, a Mantova viene nominato maestro di cappella Benedetto Pallavicino. Monteverdi cerca di intensificare i rapporti con la corte di Ferrara. 1599
Il 20 maggio Claudio sposa a Mantova Claudia Cattaneo, impiegata
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Domenico Feti. Ritratto presunto di Claudio Monteverdi (Venezia, Galleria dell’Accademia).
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come cantante presso la corte di Mantova e figlia di un violinista. Nel mese di giugno Monteverdi parte al seguito del duca Vincenzo alla volta di Spa, nelle Fiandre. 1600 Avvampa la polemica sulla seconda pratica, accesa dal canonico bolognese Giovanni Maria Artusi. Quest’ultimo pone in luce infatti alcune riflessioni sullo stile dei nuovi compositori, coinvolgendo Monteverdi con la citazione di sequenze di suoi madrigali senza però mai nominarlo. La querelle avrà uno strascico nel corso del 1603. 1601 Il 27 agosto nasce a Mantova il primogenito di Claudio e Claudia, Francesco Baldassarre. Il 20 novembre muore Benedetto Pallavicino, maestro di cappella presso la corte mantovana. Due giorni dopo, Monteverdi ne reclama il posto. 1603 Ricciardo Amadino pubblica a Venezia Il quarto libro de madrigali a cinque voci di Claudio Monteverdi maestro della musica del ser.mo sig.r duca di Mantova nuovamente composto. 1605 È l’anno di Il quinto libro de madrigali a cinque voci di Claudio Monteverdi maestro della musica del serenissimo sig.r duca di Mantoa col basso continuo per il clavicembalo, chitarrone o altro simile istromento; fatto particolarmente per li sei ultimi et per li altri a beneplacito, pubblicato a Venezia da Ricciardo Amadino. Il volume contiene un’importante prefazione, nella quale Monteverdi difende i risultati raggiunti dalla seconda pratica. 1607 Rappresentazione della “prima” dell’Orfeo. Essa avviene a Mantova, presso Palazzo Ducale, nelle stanze che un tempo erano state di Margherita Gonzaga: il successo è grande. Nel corso dell’estate escono a Venezia a cura di Giulio Cesare Monteverdi gli Scherzi musicali a tre voci. Nel mese di agosto Claudio si reca a Cremona, dove il 10 viene ammesso tra gli Accademici Animosi. Successivamente è a Milano, dove mostra la partitura dell’Orfeo all’amico Cherubino Ferrari. Ma il 10 settembre muore a Cremona Claudia Cattaneo, la moglie di Monteverdi; viene sepolta in San Nazaro, Claudio è costretto a tornare a Mantova per ricominciare il suo lavoro. 1608 Il 28 maggio, in occasione delle feste realizzate per celebrare il matrimonio del principe Francesco Gonzaga con Margherita di Savoia, viene messa in scena L’Arianna. Il libretto è di Ottavio Rinuccini. Di questo lavoro sopravvive oggi solamente il lamento Lasciatemi morire, definito da Monteverdi stesso «la più essential parte dell’opera». Al poeta e al compositore viene commissionata inoltre la stesura del Ballo delle ingrate, rappresentato il 4 giugno, e pubblicato solo nel 1638 nel corpo dei Madrigali guerrieri e amorosi. Il musicista compone inoltre la musica per il prologo di L’idropica di Battista Guarini. Nel periodo estivo Monteverdi torna a Cremona: la sua salute risente negativamente dell’immensa mole di lavoro prodotta nel corso dell’ultimo anno. Il padre si rivolge al duca di Mantova per cercare di alleviare il carico di lavoro di Claudio; ma per contro quest’ultimo viene richiamato a Mantova per dedicarsi nuovamente alla composizione di musiche teatrali. 1610 Viaggio a Roma, nel mese di novembre. Sosta a Firenze sulla via del ritorno. A Venezia Ricciardo Amadino pubblica i Vespri della Beata Vergine congiuntamente alla Missa da Capella a sei voci, fatta sopra il motetto ‘in illo tempore’ del Gombert. Il volume è dedicato al pontefice Paolo V. 1611
Nel corso di quest’anno, secondo una testimonianza indiretta, Batti-
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sta Guarini, poeta copiosamente musicato da Monteverdi, afferma di non apprezzare affatto lo stile e il gusto del compositore; gli contrappone il Principe di Venosa, Claudio Gesualdo, come seguace della vera conoscenza in campo musicale. 1612 Il 18 febbraio muore il duca Vincenzo Gonzaga. Gli succede Francesco II, che licenzia Monteverdi dalla corte di Mantova il 31 luglio. Claudio torna a Cremona con pochissimi averi. Cerca una collocazione presso il Duomo di Milano, senza successo. 1613 Il 19 agosto Monteverdi è a Venezia, dove dirige una sua messa quale prova di ammissione al posto di maestro di cappella della basilica di San Marco. I procuratori concordano unanimemente sull’assunzione del musicista; Claudio prende servizio il 10 ottobre. Si apre una nuova, importante fase della sua vita. 1614 Senza alcuna dedica, quasi segno di un compositore libero e ormai definitivamente affermato, appare Il sesto libro de madrigali a cinque voci. Sono ancora una volta i torchi veneziani di Amadino a inchiostrare i volumi monteverdiani. 1617 Muore Baldassarre, il padre di Claudio. Quest’ultimo scrive il prologo e un ritornello strumentale a cinque voci e basso continuo per La Maddalena. Sacra rappresentazione di Giovanni Battista Andreini. 1619 Presso la stampa veneziana del Gardano appare Concerto. Settimo libro de madrigali a 1, 2, 3, 4 e sei voci, con altri generi de canti di Claudio Monteverdi maestro di Capella della Serenissima Repubblica. 1620 Francesco, figlio primogenito di Claudio, abbandona gli studi giuridici e prende i voti entrando nell’ordine dei carmelitani scalzi. Il compositore lo raggiunge a Bologna. In suo onore viene convocata il 13 giugno una seduta dell’Accademia dei Floridi. 1623 I torchi del Gardano danno alla luce il volume Lamento d’Arianna del signor Claudio Monteverdi maestro di cappella della Serenissima Repubblica. E con due lettere amorose in stile rappresentativo. 1624 Compaiono a Venezia tre antologie comprendenti brani di Monteverdi: arie, scherzi, mottetti. A Palazzo Mocenigo, a Venezia, viene rappresentato per la prima volta il Combattimento di Tancredi e Clorinda, su testo di Torquato Tasso: nasce così lo “stile concitato”, utilizzato in seguito dallo stesso Monteverdi e da numerosi altri musicisti. La composizione sarà inclusa nei Madrigali guerrieri e amorosi del 1638. Nel corso dell’estate Claudio viene coinvolto in una fastidiosa vicenda giudiziaria riguardante l’eredità del suocero. 1626 Massimiliano, figlio minore del musicista, ottiene la laurea in medicina. Il padre si adopera per trovargli una sistemazione a Mantova. L’anno seguente, però, Massimiliano viene incarcerato dal Sant’Uffizio per aver letto un libro proibito. 1627 Iniziano i contatti di Monteverdi con la corte di Parma, contatti che si concretizzano verso la fine del 1628 in occasione della concertazione delle musiche dell’apparato preparato per accogliere Margherita di Toscana, duchessa di Parma e Piacenza.
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1630 Il musicista cremonese si dedica alla composizione dell’opera Proserpina rapita, rappresentata il 1° aprile a Venezia presso Palazzo Mocenigo, su libretto di Giulio Strozzi; ne rimane a oggi un solo frammento: la canzonetta Come dolce oggi l’auretta, pubblicata postuma.
Cremona. città natale di Claudio Monteverdi. Incisione da Francesco Scoto, Nuovo itinerario d’Italia, Per Mattio Cadorin, Padova 1670.
1631 Al termine dell’ondata pestilenziale che sconvolge Venezia nel corso del 1630 e del 1631 vengono eseguite il 28 novembre a San Marco composizioni sacre di Monteverdi durante una messa solenne di ringraziamento. 1632 Le stampe del Gargano offrono al pubblico una nuova collezione monteverdiana: gli Scherzi musicali. Nel mese di maggio viaggio a Mantova. Nei documenti comincia ad apparire l’indicazione “don” innanzi al nome del compositore: Claudio accede dunque agli ordini, anche se non pare che goda di un canonicato presso San Marco. Si dedica alla stesura di un trattato, intitolato Seconda pratica, che però non terminerà mai. 1638 È l’anno dei Madrigali guerrieri, et amorosi con alcuni opuscoli in genere rappresentativo, che saranno per brevi episodi fra i canti senza gesto, Libro ottavo di Claudio Monteverde […], pubblicato a Venezia da Alessandro Vincenti. Un’importante prefazione del musicista delinea e chiarifica la poetica del nuovo genere “concitato”. La raccolta rappresenta il vertice dell’attività madrigalistica di Monteverdi. 1639
L’Arianna inaugura il Teatro d’opera di San Moisè a Venezia.
1640 La creatività del musicista pare non conoscere soste. Vede la luce a Venezia per i tipi di B. Magni la grande raccolta di musica sacra Selva morale e spirituale, somma dell’esperienza compositiva in ambito religioso di Monteverdi. L’opera Il ritorno di Ulisse in patria, su libretto di Giacomo Badoaro, viene rappresentata nella stagione di carnevale al Teatro San Cassiano. 1641 In occasione della nascita di Ottavio, settimo figlio di Odoardo Farnese, viene commissionata a Monteverdi la musica per il balletto Vittoria d’Amore, rappresentato a Piacenza il 7 febbraio. La musica è perduta. A Venezia, presso il Teatro dei Santi Giovanni e Paolo, viene messa in scena l’opera Le nozze di Enea con Lavinia. Anche la musica di questo lavoro è andata perduta. 1643 L’avvocato veneziano Gian Francesco Busenello fornisce a Monteverdi il libretto di La coronatione di Poppea. L’opera viene rappresentata a Venezia nel corso del carnevale presso il Teatro dei Santi Giovanni e Paolo. Claudio viaggia nel corso dell’estate; torna a Cremona e a Mantova. Giunge ancora a Venezia; nel mese di novembre si ammala e dopo nove giorni muore. È il 29 novembre. Il musicista viene sepolto ai Frari, nella Cappella dei Lombardi.
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FRANCESCO CAVALLI CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE Raffaele Mellace
Francesco Cavalli.
1602 Pietro Francesco Caletti-Bruni nasce a Crema giovedì 14 febbraio, terzogenito di Giovanni Battista di Bruno e Vittoria Bertolotti (dagli anni Trenta si farà chiamare Francesco Cavalli, in segno di riconoscenza verso il mecenate che ne aveva avviato la carriera). Lo stesso giorno viene battezzato nella parrocchia di San Benedetto. Il padre, musicista e in seguito maestro di Cappella del Duomo di Crema, nonché autore nel 1604 di un libro a stampa di madrigali, gli fornisce i primi rudimenti musicali. Francesco si segnala già da bambino per una promettente voce sopranile. 1616 Al termine del proprio mandato, Federico Cavalli, rettore veneziano di Crema, convince il padre di Francesco a portare con sé il ragazzo in Laguna per curarne l’istruzione musicale. Il 18 dicembre, Francesco entra a far parte della Cappella Ducale di San Marco, con lo stipendio annuale di 80 ducati; è ingaggiato come soprano, benché la muta della voce del quattordicenne non potrà aver tardato molto. Il 18 febbraio successivo viene ufficialmente presentato al doge. Maestro della Cappella di San Marco è in quegli anni Claudio Monteverdi, col quale Cavalli stringe dunque sin da ragazzo rapporti stabili e continuativi. 1620 Affianca al servizio come cantore nella Cappella Ducale quello, prestigioso, di organista ai SS. Giovanni e Paolo, un posto, retribuito con 30 ducati annui, al quale viene nominato il 18 maggio. Vive in affitto in una casa di proprietà del nobile Alvise Mocenigo. 1625 Esce, nella raccolta Ghirlanda sacra di Leonardo Simonetti, la prima composizione nota di Cavalli, il mottetto Cantate Domino per voce sola e basso continuo. 1627 Il 1° febbraio viene confermato nell’organico della Cappella Ducale, col ruolo ormai di tenore. Accanto alle attività professionali stabili, prende parte come libero professionista e in congiunzione con la Cappella Ducale alle manifestazioni musicali legate a feste cittadine, in alcuni casi organizzandole. In anni diversi è documentata la sua presenza alla Scuola di San Rocco e alla Chiese di San Geremia, di San Francesco, dello Spirito Santo e di Santa Caterina. 1630 È l’anno della peste. Il 7 gennaio sposa Maria Sozomeno, vedova di Alvise Schiavina, che gli porta una dote cospicua e numerose proprietà, consentendogli di astenersi dal viaggiare fuori Venezia e d’investire nel teatro d’opera. La moglie aiuta Cavalli anche nella copiatura dei manoscritti (la grafia della donna è individuabile in diversi testimoni di opere di Cavalli e nella fonte veneziana dell’Incoronazione di Poppea di Monteverdi). Il 4 novembre lascia ufficialmente l’incarico di organista ai SS. Giovanni e Paolo, dove ha interrotto l’attività già dalla Quaresima.
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1634 Esce, nella raccolta Arie de diversi autori raccolte da Alessandro Vincenti, la canzonetta Son ancor pargoletta, dichiarata di «Francesco Bruni detto il Cavalli». 1635 Con decorrenza 1° gennaio lo stipendio da cantore è portato a 100 ducati. 1639 Il 23 gennaio, alla morte del titolare del posto, Giovan Pietro Berti, Cavalli viene nominato secondo organista della Cappella di San Marco. Lo stipendio, di 140 ducati, arriverà a raggiungere i 200 nel 1653. Negli anni successivi svolgerà funzioni di organista principale, senza tuttavia assumere la titolarità del primo organo, se non nel 1665. Il giorno dopo la nomina, 24 gennaio, s’inaugura la carriera teatrale di Cavalli, in quella che è la terza stagione in assoluto del teatro pubblico a Venezia e in tutta Europa. Vanno in scena al San Cassiano Le nozze di Teti e di Peleo, festa teatrale di Orazio Persiani e più antica opera veneziana giunta fino a noi. Il legame col Teatro di San Cassiano, continuativo fino al 1650, vede Cavalli coinvolto anche nella gestione impresariale della sala: il 14 aprile il compositore firma, con il librettista Persiani, la cantante Felicita Uga e il maestro di ballo Giovanni Battista Balbi, un contratto per la produzione di «accademie in musica» al San Cassiano. Anche indipendentente da questo accordo, che ha vita breve, Cavalli comporrà ancora per il San Cassiano otto opere in un decennio. 1640 Vanno in scena al San Cassiano Gli amori d’Apollo e di Dafne, prima opera di Cavalli su libretto di Giovan Francesco Busenello, arguto intellettuale dell’Accademia degli Incogniti, come anche altri futuri librettisti di Cavalli. 1641 La Didone propone una seconda collaborazione con Busenello, sempre sulle assi del San Cassiano: è la prima trasposizione operistica del mito virgiliano. 1642 Viene allestita al San Cassiano La virtù de’ strali d’amore, opera inaugurale del ferace sodalizio, interrotto soltanto dalla morte del librettista e fondamentale per i destini dell’opera veneziana, con Giovanni Faustini, del quale Cavalli intonerà in un decennio 11 drammi. Lavora, forse anche con funzioni impresariali, al Teatro di San Moisè, dove il 1° gennaio è andata in scena la perduta Amore innamorato, su libretto di Giovan Battista Fusconi. Rifiuta l’eredità paterna, in quanto gravata da un eccesso di debiti. 1643 Va in scena L’Egisto, «favola dramatica musicale» su libretto di Faustini, destinata a diventare una delle opere più fortunate di Cavalli; l’anno dopo, il medesimo tandem produrrà, sulle stesse scene, L’Ormindo. Alla morte di Monteverdi, succede a quest’ultimo, nella carica di maestro di cappella, Giovanni Rovetta, più anziano e noto di Cavalli. 1645 La Doriclea, su libretto di Faustini, è in scena al San Cassiano. L’Egisto inizia la sua vasta fortuna nazionale, portato nei teatri della Penisola dalle compagnie di giro, già da quest’anno a Genova, o dal successivo a Firenze. Giovanni Battista Volpe, dedicando a Cavalli il terzo libro dei Madrigali concertati di Giovanni Rovetta, dichiara «l’organo di S. Marco reso divino dalla dotta mano» del musicista. 1646 L’Egisto è in scena a Parigi, Gli amori di Apollo e di Dafne vengono allestiti a Bologna. 1647
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Paul Hainlein compara in una lettera Cavalli a Frescobaldi, rammari-
candosi che non sia possibile ascoltare il primo frequentemente all’organo. Si stabilisce (vi rimarrà fino alla morte) in una casa sul Canal Grande, affittata per 108 ducati annui. 1649 Il Giasone, una delle opere più fortunate e importanti del secolo, su libretto di Giacinto Andrea Cicognini dagli Argonautica di Apollonio Rodio, va in scena il 5 gennaio al San Cassiano. L’8 luglio è ripreso a Milano in occasione della visita di Maria Anna d’Austria. 1650 L’Orimonte (Faustini) debutta il 20 febbraio al San Cassiano. Il conte d’Oñate, viceré di Napoli, inaugura la tradizione del teatro d’opera in città con un allestimento della Didone il 10 ottobre. Esce, con ogni probabilità per le cure di Cavalli, una raccolta postuma di Monteverdi, la Messa a 4 e Salmi, completata dal Magnificat a sei voci dello stesso Cavalli. In questi stessi anni il compositore è coinvolto nell’allestimento della monteverdiana Incoronazione di Poppea, la cui partitura veneziana porta annotazioni autografe di Cavalli (nella Sinfonia del Prologo risuona un basso della Doriclea). 1651 Inaugura il Teatro di Sant’Apollinare con L’Oristeo di Faustini, che è coinvolto nella gestione della sala. Nel giro di due anni presenta sulle stesse assi altre tre opere, sempre su libretto di Faustini: La Rosinda, La Calisto e L’Eritrea. Vanno in scena a Napoli L’incoronazione di Poppea di Monteverdi, probabilmente curata da Cavalli, e, il 2 settembre, Il Giasone. La serie di opere di Cavalli allestite nella città di Partenope proseguirà negli anni successivi, prima presso Palazzo Reale e poi al San Bartolomeo. Nel dicembre Il Giasone va in scena anche al Teatro Formigliari di Bolgona, a inaugurare la fortuna di Cavalli nella città felsinea. Barbara Strozzi, nelle sue Cantate op. II, dichiara Cavalli «uno de’ più celebri di questo secolo, già dalla fanciullezza mio cortese precettore». 1652 Nel settembre muore la moglie, che lo rende erede universale, riconoscendo nelle volontà testamentarie il sostentamento assicurato dal marito, per gli oltre vent’anni di matrimonio, all’intera famiglia della donna. Il compositore, che da allora vivrà con due sorelle, intensifica i rapporti con mecenati e istituzioni al di fuori di Venezia. 1653 Il 28 gennaio debutta al Teatro dei SS. Giovanni e Paolo, dov’è approdato in collaborazione con Nicolò Minato (avvocato del compositore e destinato a divenire il librettista principale della fase più matura della produzione di Cavalli), con Veremonda, l’amazzone di Aragona di Luigi Zorzisto (Giulio Strozzi), da Cicognini, forse scritta per Napoli, dov’era già stata allestita il 21 dicembre dell’anno prima. L’elezione a imperatore di Ferdinando IV viene festeggiata nel giugno a Milano con un’opera scritta appositamente da Cavalli, L’Orione, su libretto di Francesco Melosio. 1654 Invia a Firenze, al cardinale Giovanni Carlo de’ Medici, la festa teatrale L’Hipermestra, su libretto di Giovanni Andrea Moniglia, che verrà allestita per un’occasione di primo piano solo quattro anni dopo. 1655 Xerse, titolo fondamentale nella produzione di Cavalli, su fortunato libretto di Minato, va in scena ai SS. Giovanni e Paolo il 12 gennaio; il 30 dicembre è la volta di L’Erismena, su libretto di Aurelio Aureli. Nelle Cose notabili, et maravigliose della città di Venezia di Nicolò Doglioni, Giovanni Zitto sentenzia che «Francesco Cavalli veramente in Italia non ha pari, e per esquisitezza del suo canto, e per valore del suono dell’organo, e per le rare di lui composizioni musicali». Un’affermazione che coglie la complessità della figu-
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ra di un musicista poliedrico (figura che scomparirà nel secolo successivo), al tempo stesso, e ad altissimo livello, cantante, organista e compositore; veste, quest’ultima, in cui ricopriva un ruolo centrale l’opera di continua revisione/adattamento delle partiture, mai scritte una volta per tutte, da cui la dichiarata reticenza di Cavalli verso la stampa: «Il mio genio è stato sempre lontano dalle stampe: et ho più tosto aconsentito a lasciar correre le mie debolezze dove le portò la fortuna col mezo della penna, che con quello de torchi». 1656 Esce la prima raccolta a stampa di Cavalli: le Musiche sacre concernenti Messa, e Salmi Concertanti con Istromenti, Imni, Antifone e Sonate, dedicate al cardinale Giovanni Carlo de’ Medici. Il compositore afferma nella prefazione, ora citata, di essere restìo a ricorrere alla stampa: pubblicherà infatti soltanto un altro volume, a un anno dalla morte, benché la sua produzione di musica sacra, attestata da un inventario settecentesco, ma ora quasi interamente perduta, dovette essere ingente. Sempre ai SS. Giovanni e Paolo viene allestita La Statira, principessa di Persia, su libretto di Busenello. Tre mottetti di Cavalli (O bone Jesu, Plaudite, cantate e In virtute tua) escono nella Sacra Corona di Bartolomeo Marcesso. 1657 Il 10 gennaio debutta ai SS. Giovanni e Paolo L’Artemisia, su libretto di Minato. 1658 Nel giugno va in scena al Teatro della Pergola di Firenze la festa teatrale L’Hipermestra, a sontuosa celebrazione della nascita dell’infanta di Spagna. Cavalli è definito per l’occasione «il primo compositore d’Italia». Assicura all’impresario del San Cassiano, Marco Faustini (fratello del defunto librettista), l’esclusiva di tre opere in altrettanti anni: ne realizzerà solo due (Elena e il perduto Antioco). 1659 Il cardinale Mazarino, su suggerimento del castrato Atto Melani, invita Cavalli a comporre l’opera celebrativa per le nozze di Luigi XIV e l’infanta di Spagna, Maria Teresa, evento dinastico dal rilievo politico eccezionale. Cavalli sulle prime, con una lettera del 22 agosto, declina l’invito, ma l’insistenza del prelato, che muove tutte le proprie pedine in Laguna (a Cavalli vengono assicurati la conservazione del posto in San Marco e il relativo stipendio per tutta la durata della sua assenza), convince, entro la fine dell’inverno, il compositore recalcitrante ad accettare. Il 26 dicembre va in scena al San Cassiano Elena, su libretto di Minato derivato da un soggetto di Faustini. 1660 Il 25 gennaio, sempre nel quadro della strategia suasoria di Mazarino, l’ambasciatore di Francia fa dirigere a Cavalli un Te Deum (scritto dal compositore stesso) ai SS. Giovanni e Paolo, in onore delle armi francesi. In primavera Cavalli parte per Parigi con cinque collaboratori. Lungo il percorso si ferma a Innsbruck (dove riceve in dono un «Pellicone d’argento indorato in forma di struzzo», che nominerà ancora nel testamento), e forse a Monaco di Baviera. In luglio è a Parigi, dove si tratterrà per quasi due anni. Non essendo ancora pronto il teatro destinato a ospitare i festeggiamenti nuziali, il 22 novembre va in scena nella Grande Galerie del Louvre Xerse, radicalmente rivisitato (in cinque atti, con la parte del protagonista trasposta per baritono e gli intermedi danzati scritti da Lully), allestita con scene mobili di tappezzeria. Nell’agosto l’organista François Roberday richiede a Cavalli il soggetto d’una fuga che elaborerà contrappuntisticamente nel suo volume di Fugues, et caprices, uscito quello stesso anno. Cavalli nel frattempo lavora all’opera nuziale.
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1662 Il 7 febbraio va in scena L’Ercole amante su libretto di Francesco Buti, in una sala dall’acustica problematica. L’esito dell’opera, rappresentata dopo la morte di Mazarino, intercorsa l’anno prima, è tiepido, sia per il risentimento anti-italiano che serpeggia a Corte, sia per oggettiva estraneità dell’uditorio rispetto all’orientamento estetico di quel prodotto culturale veneziano. Terminate il 6 maggio le recite dell’opera, durante l’estate, passando per la natia Crema, Cavalli fa ritorno a Venezia. L’impresario Marco Faustini gli richiede due nuove opere per il Teatro dei SS. Giovanni e Paolo, nonostante l’intenzione del compositore, generosamente ricompensato per i suoi servigi parigini, «di non affaticarsi più in oppere teatrali». Invano Cavalli propone una ripresa dell’Ercole amante. 1664 Il 9 febbraio calca le scene dei SS. Giovanni e Paolo Scipione Africano, su libretto di Minato. 1665 L’11 gennaio Cavalli viene promosso ufficialmente a primo organista, sanzione formale d’una realtà di fatto. Il 26 dello stesso mese al Teatro di San Salvador va in scena Mutio Scevola, sempre su poesia di Minato. 1666 Pompeo Magno su libretto di Minato è allestito il 20 febbraio al San Salvador. 1668 Il 20 novembre assume la carica di maestro di cappella di San Marco, succedendo a Monteverdi e a Rovetta. Sulla base d’un contratto dell’anno prima, è previsto l’allestimento di Eliogabalo su libretto di Aureli; Marco Faustini cede tuttavia l’impresa, e viene scelto un compositore differente. Cavalli, ormai sessagenario, non avrebbe più rappresentato opere proprie a Venezia. I mottetti O bone Iesu e Plaudite, cantate vengono ristampati nei Sacri Concerti pubblicati da Marino Silvani a Bologna. 1669 Ultima opera di Cavalli a calcar le scene, Il Coriolano su libretto di Cristoforo Ivanovich, viene allestito il 27 maggio a Piacenza in occasione della nascita di Odoardo II Farnese, alla presenza dei duchi di Modena. 1673 Compone per il Carnevale Massenzio, oggi perduto, che non vedrà le scene. Scrive in questi anni la Missa pro defunctis a otto voci. Riceve la visita del giovane collega tedesco Johann Philipp von Krieger. 1674 Va forse in scena a Londra L’Erismena, prima opera italiana in terra d’Albione. 1675 Esce l’edizione a stampa dei tre Vesperi a 8 voci. Il 12 marzo fa testamento, disponendo l’esecuzione della propria Missa pro defunctis ogni anno in San Marco e in San Lorenzo. Non avendo eredi diretti, lascia la sua raccolta di partiture operistiche all’allievo sopranista Giovanni Caliari (la collezione passerà in seguito al nobile Marco Contarini e da lui alla Biblioteca Marciana) e i suoi beni alle monache di San Lorenzo, due delle quali, le nobili Fiorenza Grimani e Betta Mocenigo, erano state sue allieve. 1676 Muore martedì 14 gennaio. Viene sepolto in San Lorenzo, nella tomba di Claudio Sozomeno, vescovo di Pola e zio della moglie, accanto a quest’ultima e alle sorelle. L’inventario dei mobili effettuato il 16 gennaio testimonia la condizione agiata raggiunta dal compositore.
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I musici cui si deve il manoscritto
FRANCESCO PAOLO SCARTI (Parma, 1605 - Modena, 1650)
Compositore probabilmente allievo di Manelli, noto aver inaugurato nel 1639, con la sua Delia, il teatro veneziano intitolato ai santi Giovanni e Paolo, su commissione del suo maestro, al quale si sostituì ogni tanto nella stesura delle musiche. Divenuto lui stesso impresario del Teatro Nuovissimo, lo inaugurò nel 1641 con l’opera La finta pazza, tra le prime opere con personaggi comici, e che fu pure il primo titolo operistico italiano rappresentato a Parigi. Prima della sua morte prematura, fece parte delle compagnie d’opera viaggianti i “Febi armonici” e gli “Accademici discordanti”, per divenire infine maestro alla cappella ducale di Modena. La sua opera, che comprendeva una decina di titoli, è andata quasi totalmente perduta, sebbene egli fosse considerato fra i primi importanti operisti, con Monteverdi, Cavalli e Manelli. Si ricordano Il Bellerofonte, La Venere gelosa, Semiramide in India, e altre dedicate a Ulisse, Proserpina, Alcina, Ergasto. Vi sono numerose testimonianze del suo talento inventivo. Fortunosamente La finta pazza è stata ritrovata.
FRANCESCO MANELLI (Tivoli ca. 1595 - Parma, 1667)
Conosciuto anche come Manelli, fu cantore e compositore, socio di Benedetto Ferrari nella fondazione dell’opera impresariale a Venezia (San Cassiano, 1637, Andromeda). Sposato a una celebre cantante, di nome Maddalena, fu impresario e organizzatore. Le sue opere sono spesso di dubbia attribuzione, perché utilizzava anche lo pseudonimo Il Fasolo, creando confusione con altro musicista dell’epoca chiamato appunto Fasolo. Ai suoi tempi ebbe una straordinaria notorietà, pari quasi a quella di Monteverdi e di Cavalli. Concluse la carriera come cantore e maestro di cappella a Parma.
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BENEDETTO FERRARI (Reggio Emilia 1597 - Modena 1681)
Compositore, poeta, librettista, organizzatore teatrale e suonatore di tiorba, un liuto basso dal lungo manico. Fu musicista e uomo di teatro noto in tutta Europa. C’è l’ipotesi che la sua effettiva data di nascita sia il 1604, a causa di un quadro datato che lo raffigura. Studiò musica a Roma, fu bambino cantore, e per la sua abilità strumentale era soprannominato “Ferrari della tiorba”. Musico di corte a Parma (1619-23), fu contrappuntista, ma soprattutto compositore di pagine per voce sola, accompagnata dal basso. Il suo nome è passato alla storia per aver iniziato, con Francesco Manelli e un gruppo di cantori, la prima esperienza di un teatro musicale pubblico, con vendita di biglietti, che avvenne nel 1637 al Teatro di San Cassiano a Venezia, di cui ebbero l’appalto dalla famiglia Tron. L’inaugurazione avvenne con la Andromeda, di cui Ferrari arrangiò il libretto preesistente, con sonetti aggiunti, sonando in orchestra come tiorbista, e Manelli la musica. Due anni dopo la coppia di musicisti si trasferì in uno spazio teatrale più grande nella contrada dei santi Giovanni e Paolo. La compagnia passò in seguito a Bologna, dove nacquero i titoli La maga fulminata, Pastor Regio (1641) e Ninfa avara (1645). Viaggiò e divenne artista conosciuto in Svezia, nelle Fiandre, in Polonia e in Sassonia. A Vienna era stato nel 1651 musico e direttore delle feste. Morirà a Modena, dove era stato per anni maestro di cappella.
FILIPPO LAURENZI (Bertinoro, Forlì ca. 1620 - dopo il 1651)
Compositore che lavorò a Venezia, con la compagnia di Ferrari e Manelli, all’iniziativa del primo teatro impresariale. Con lui lavorava anche la celebre cantante Anna Renzi, sua allieva. Gli sono attribuite le partecipazioni alle stesure di due opere: La finta savia e Esiglio d’amore.
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Letture Marco Emanuele
1. Lo studio nel complesso più esauriente sull’opera veneziana, dalle modalità di produzione alle fonti musicali e letterarie, alla politica dei teatri e all’ideologia sottesa all’industria del divertimento, è quello pubblicato nel 1991 da una illustre specialista d'oltreoceano, Ellen Rosand: da poco è stato tradotto in italiano (L’opera a Venezia nel XVII secolo. La nascita di un genere, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2013). Accanto a questo studio fondamentale, si possono leggere la monografia di Beth e Jonathan Glixon, Inventing the Business of Opera: the Impresario and His World in SeventeenthCentury Venice (Oxford University Press, New York 2006), e i contributi della silloge Studies in Seventeenth-Century Opera, curata dalla stessa Beth Glixon (Aldershot, Ashgate 2010): vi compaiono due saggi dedicati alla Poppea, di Ellen Rosand e di Wendy Heller. La storia materiale, politica e sociale (condizione del musicista, editoria, collezionismo) della musica del Seicento è illustrata da Lorenzo Bianconi (Il Seicento, EDT, Torino 1991, 1a ed. 1982), intrecciata alla storia degli stili e delle forme, incluse le convenzioni drammaturgiche del teatro d’opera; in particolare è dato risalto alla forma del lamento, spesso impiegato nelle opere veneziane in connessione con il genere letterario della “lettera eroica”, di moda all’epoca. Uno sguardo all’opera del Seicento in generale si trova anche nella sintesi di Paolo Fabbri (Origini del melodramma, Caratteri e funzioni dell'opera, Diffusione dell’opera, in Musica in scena. Storia dello spettacolo musicale, I. Il teatro musicale dalle origini al primo Settecento, a cura di A. Basso, UTET, Torino 1995, pp. 59-129), e nello studio specifico che lo stesso autore dedica al ricco patrimonio di libretti (Il secolo cantante. Per una storia del libretto d'opera nel Seicento, il Mulino, Bologna 1990): nella cartografia che risulta dallo spoglio dei testi, ampiamente citati, sono indagati fonti, soggetti, caratteri metrici e formali, assunti impliciti e dichiarati nelle prefazioni, contesto politico sociale, trasformazioni nell'arco del secolo. 2. Accanto a una monografia un po’ datata, ma scritta con piacevole stile divulgativo (Domenico De’ Paoli, Monteverdi, Rusconi, Milano 1979, 1a ed. 1945) e a quella veloce e raffinata di un volumetto di Claudio Gallico (Monteverdi. Poesia musicale, teatro e musica sacra, Einaudi, Torino 1979), cui si deve anche l'Autobiografia di Claudio Monteverdi (LIM, Lucca 1995), lo strumento più appuntito e completo per conoscere vita e opere del compositore è sempre il volume di Paolo Fabbri (Monteverdi, EDT, Torino 1985), diviso, dopo il capitolo sugli anni di apprendistato, in due ampie sezioni (Alla corte dei Gonzaga e Il periodo veneziano), intessute di citazioni tratte da documenti d'epoca e lettere del compositore, da integrare con l’edizione dell’epistolario curata da Éva Lax (Lettere, Olschki, Firenze 1994). Il volume è arricchito da un catalogo dettagliato delle opere e da una puntigliosa bibliografia, mentre la breve introduzione fa il punto sulla rinascita dell’interesse per Monteverdi agli albori del Novecento, quando il musicista è assunto come
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“esempio preclaro di una civiltà musicale arcaica da contrapporre ai gusti ‘popolari’ del presente: si pensi all’evocazione [...] ospitata tra il bric-à-brac antico-veneziano del Fuoco di D’Annunzio”. Altri testi di riferimento sono quelli di Silke Leopold (Claudio Monteverdi und seine Zeit, Laaber, Laaber 1982, tr. ingl. Monteverdi. Music in Transition, Clarendon, Oxford 1991), Tim Carter (Monteverdi and his Contemporaries, Ashgate, Aldershot 2000), Denis Stevens (Monteverdi in Venice, Associated University Presses, CranburyLondon-Mississauga 2001); e i volumi a più voci The New Monteverdi Companion (a cura di Denis Arnold e Nigel Fortune, Faber and Faber, London 1985) e The Cambridge Companion to Monteverdi (Cambridge University Press, Cambridge 2007). Circa il modo di eseguire la musica antica, si possono leggere le annotazioni di Nikolaus Harnoncourt (Il discorso musicale. Scritti su Monteverdi, Bach, Mozart, Jaca Book, Milano 1987, e. o. SalzburgWien 1984), e quelle di un altro interprete del repertorio antico, Rinaldo Alessandrini, a cui si deve l’agile Monteverdiana (L’Epos, Palermo 2006), “chiacchierata cordiale su quello che d’interessante ma essenziale si potesse dire” sul compositore. 3. Il musicologo Nino Pirrotta ha impostato lo studio dell’opera secentesca su moderni criteri filologici; si leggono ancora con grande piacere Monteverdi e i problemi dell’opera e Teatro, scene e musica nelle opere di Monteverdi (in Scelte poetiche di musicisti. Teatro, poesia e musica da Willaert a Malipiero, Marsilio, Venezia 1987, pp.197-217 e 219-41), Inizio dell’opera e aria (in Li due Orfei. Da Poliziano a Monteverdi, Einaudi, Torino 1981, 1a ed. 1975, e.o. ERI 1969, pp. 276-333), Forse Nerone cantò da tenore (in Poesia e musica e altri saggi, La Nuova Italia, Scandicci [Firenze] 1994, pp. 179-93). La già citata Ellen Rosand, che ha scritto sulle opere monteverdiane e in particolare su Poppea diversi saggi, nel 2007 ha pubblicato un ampio studio interamente dedicato alle opere veneziane del compositore, tradotto in italiano con il titolo Le ultime opere di Monteverdi. Trilogia veneziana (a cura di F. Lazzaro, San Giuliano Milanese, Ricordi 2012). In questo denso volume, Rosand studia i capolavori del tardo stile monteverdiano in parallelo con la terza opera veneziana del compositore, Le nozze di Enea con Lavinia (1641), di cui ci è pervenuto solo il libretto, e offre spunti interpretativi inediti circa il messaggio che Monteverdi consegna al pubblico. Altre monografie sul teatro monteverdiano si devono a Tim Carter (Monteverdi’s Musical Theatre, Yale University Press, New Haven & London 2002) e a Mark Ringer (Opera’s First Master. The Musical Dramas of Claudio Monteverdi, Amadeus Press, Newark 2006). 4. Riguardo a Poppea, a parte le pagine che le dedicano Rosand, Carter e Ringer nei testi citati, sulla questione dell’incerta attribuzione a Monteverdi ha fatto nuovamente il punto Lorenzo Bianconi (Indagini sull’Incoronazione,
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in “Finché non splende in ciel notturna face”. Studi in memoria di Francesco Degrada, a cura di C. Fertonani, E. Sala, C. Toscani, LED, Milano 2009, pp. 53-72). Lo stesso musicologo ha curato l’edizione del libretto di Busenello, che si legge insieme al facsimile del manoscritto napoletano della partitura e ai due saggi introduttivi di Gino Benzoni e Alessandra Chiarelli (Drammaturgia Musicale Veneta, Ricordi, Milano 2011). Qualche veloce, perspicua annotazione sulla figura – la pelle, la bocca, le labbra – della protagonista femminile monteverdiana non poteva mancare nel libro di Jean Starobinski dedicato alle Incantatrici (EDT, Torino 2007 [Paris 2005]), che raccoglie le pagine sul melodramma scritte occasionalmente dal critico letterario. Cesare Questa dedica un saggio, ora compreso nel suo L’aquila a due teste. Immagini di Roma e dei romani (QuattroVenti, Urbino 1998, pp. 191-203), alla presenza dei Romani nell’immaginario operistico, al quale segue un’appendice che riguarda specificamente libretto e musica della Poppea. Una pubblicazione interamente dedicata alla Poppea è quella della collana francese “L’Avant-scène Opéra” (n. 115, 1988), che comprende una guida all’ascolto parallela al libretto, saggi sulle fonti letterarie e sulla musica, e una sezione dedicata alla discografia e alla cronologia delle esecuzioni moderne dell’opera. 5. Terminiamo la rassegna con alcuni libri non tradotti in italiano, utili ad approfondire questioni e prospettive tra loro assai differenti. Nello studio di Gary Tomlinson, Monteverdi and the End of the Renaissance (University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1990), la figura del musicista è calata in un panorama di ampio respiro: nel primo capitolo, che illustra esempi di conflitti e tensioni nella cultura scientifica, letteraria, musicale del tempo, il compositore si trova in compagnia di Galileo Galilei e Giambattista Guarini, mentre nell’ultimo Tomlinson traccia una sintesi della cultura italiana tra il 1550 e il 1700. Un capitolo è dedicato all’incontro, anzi al compromesso, tra ideali che derivano da Petrarca e quelli sottesi al marinismo, nelle ultime opere; se Badoaro e Busenello erano fieri marinisti, Monteverdi immette “a large admixture of Petrarchan introspection and passion”. Fondato sull’analisi del linguaggio musicale, tra modalità e tonalità moderna, il libro di Eric Chafe, Monteverdi’s Tonal Language (Schirmer Books, New York 1992) riserva alcuni capitoli alle opere teatrali: uno in particolare all’Ulisse, di cui vengono illustrate le corrispondenze tra Prologo e azione drammatica nei termini di un’“allegoria tonale”. Bonnie Gordon, in Monteverdi’s Unruly Women. The Power of Song in Early Modern Italy (Cambridge University Press, Cambridge 2004), sulla scorta di una prospettiva critica che confronta linguaggio e identità di genere (di cui i primi esempi si leggono in Susan McClary, Constructions of Gender in Monteverdi’s Dramatic Music, nel suo fondamentale Feminine Endings. Music, Gender, and Sexuality, University of Minnesota Press, Minneapolis 1991, pp. 35-52), esamina il contesto sociale e musicale, i trattati di canto, medicina, acustica, che risalgono al tempo in cui vivevano le
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prime interpreti della musica monteverdiana. Le donne che cantavano erano in qualche modo ribelli: il canto femminile è specchio della loro unruliness. Il libro cerca di far riascoltare la loro voce, anche attraverso l’esame dei personaggi femminili del Ballo delle ingrate e dell’Arianna: purtroppo l’indagine, a parte un rapido accenno alla Poppea, non è estesa alle opere veneziane. Infine, Gesine Manuwald indaga la presenza del personaggio storico di Nerone nei libretti d’opera, partendo dal libretto di Busenello per arrivare a quello scritto da Giovanni Targioni Tozzetti nel 1935 per Mascagni (Nero in Opera. Librettos as Transformations of Ancient Sources, De Gruyter, Berlin 2013).
Claudio Monteverdi nella sua carica di Maestro di Cappella della Basilica di San Marco a Venezia. Miniatura in un codice settecentesco (Venezia, Civico Museo Correr).
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Ascolti Luigi Bellingardi*
La prima registrazione storica dell’Incoronazione di Poppea è quella firmata nel 1952 da Walter Goehr in studio a Zurigo con i complessi artistici della Tonhalle. Gli interpreti vocali sono Sylvia Gähwiller (Poppea), Friedrich Brückner-Rüggeberg (Nerone), Maria Helbing (Ottavia), Mabelle Ott-Penetto (Ottone), Franz Kelch (Seneca), Heidi Juon (Drusilla), Margarete Witte-Waldbauer (Arnalta), Fred Reburg (Lucano). Pubblicata nel 1954, l’incisione vinse il Grand Prix du Disque, oltre a legarsi a esecuzioni pubbliche con la medesima distribuzione (Concert Hall, Classic). Altra registrazione storica è quella realizzata nel 1954 a Milano con il Coro e l’Orchestra Sinfonica della RAI sotto la bacchetta di Nino Sanzogno, con i cantanti Maria Vitale, Carlo Bergonzi, Oralia Domínguez, Rolando Panerai, Mario Petri, Anna Maria Canali, Vincenzo Maria Demetz, Elvina Ramella (un Valletto), Angela Vercelli (una Damigella), Vincenzo Maria Demetz (Primo soldato), Enzo Guagni (Secondo soldato). Trasmessa per radio il 7 marzo 1954, adotta la versione a cura di Gian Francesco Malipiero (Arkadia). Tra le incisioni dell’Incoronazione di Poppea degli anni Sessanta si rammentano quelle condotte da Herbert von Karajan nel 1963 a Vienna, da John Pritchard nel 1963 a Glyndebourne, da Bruno Bartoletti nel 1966 a Chicago, da Carlo Franci a Firenze nel 1966, tutte con prassi esecutiva, organici e strumenti tradizionali. Nella ripresa dal vivo dello spettacolo del 1° aprile 1963 alla Staatsoper di Vienna, sotto la guida di Karajan cantano: Sena Jurinac, Gerhard Stolze, Margarita Lilowa, Otto Wiener, Carlo Cava, Gundula Janowitz, Hilde Rössl-Majdan, Murray Dickie, Siegfried Rudolf Frese (Liberto), Murray Dickie, Olivera Miljakovic, Ermanno Lorenzi, Erich Majkut, Gundula Janowitz (Pallade). Edizione “tutt’altro che autentica” a detta della stampa viennese (Deutsche Grammophon – Premiere Opera). Al Festival di Glyndebourne del 1964, in studio, Pritchard dirige la Royal Philharmonic Orchestra, il Coro del Festival e i cantanti Magda László, Richard Lewis, Frances Bible, Walter Alberti, Carlo Cava, Lydia Marimpietri, Oralia Domínguez, Hugues Cuénod, John Shirley-Quirk, Duncan Robertson, Soo-Bee Lee, Dennis Brandt, Gerald English. L’incisione adotta la versione abbreviata e l’orchestrazione firmate da Raymond Leppard (EMI). Sotto la direzione di Bartoletti, nel 1966 alla Lyric Opera di Chicago si ascoltano dal vivo le voci di Evelyn Lear, André Montal, Teresa Berganza, Lothar Ostenburg, William Wildermann, Sylvia Stahlman, Oralia Domínguez, Flavia Acosta, Frederic Mayer, Howard Nelson, Margaret Roggero, Ermanno Lorenzi, Jeff Morris (Lyric Distribution). Egualmente nel 1966 al Teatro Comunale si ascolta la ripresa dal vivo della recita condotta da Franci con i complessi artistici del Maggio Musicale Fiorentino, i cantanti Claudia Parada, Mirto Picchi, Mirella Parutto, Renato Cesari, Boris Christoff, Oralia Domínguez, Nicola Monti (Opera d’Oro). Nel 1967 al Teatro alla
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Scala Bruno Maderna ha diretto un’importante esecuzione dell’Incoronazione di Poppea, ma in disco ne esiste soltanto una scarna antologia, dall’ascolto precario (Myto Records). Il vero e proprio giro di boa nella traiettoria fonografica dell’Incoronazione di Poppea ha avuto luogo in studio a Vienna nel 1973-74, con l’orchestra del Concentus Musicus sotto la direzione di Nikolaus Harnoncourt: edizione integrale con l’impiego della prassi esecutiva barocca e di strumenti d’epoca. Cantano Jane Gartner (La Fortuna), Rotraud Hansmann (La Virtù), Helen Donath, Elisabeth Söderström, Cathy Berberian, Paul Esswood, Giancarlo Luccardi, Rotraud Hansmann, Carlo Gaifa, Maria Minetto, Philip Langridge, Philip Langridge, Kurt Equiluz (Teldec “Das alte Werk”). Un altro importante pilastro della diffusione discografica dell’Incoronazione di Poppea coincide con la ripresa dal vivo della performance al Teatro La Fenice di Venezia nel 1980, sotto la guida di Alan Curtis. Suona il Complesso Barocco, si ascoltano le voci di Carolyn Watkinson, Judith Nelson, Peter Ratincky, Carmen Balthrop, Andrea Bierbaum, Henri Ledroit, Ulrik Cold, Judith Nelson, Carlo Gaifa, Guy de Mey, Ben Holt, Philip Schuddeboom, Harry van der Kamp (Warner Fonit). Tra le altre registrazioni significative degli anni Ottanta, si ricordano quelle condotte da Malgoire, Zedda e Hickox. Nel 1984 in studio, accanto al complesso strumentale La Grande Écurie et La Chambre du Roy di Jean-Claude Malgoire, gli interpreti di canto sono Martine Masquelin, Catherine Dussaut, Dominique Visse, Catherine Malfitano, John Elwes, Zehava Gal, Gérard Lesne, Gregory Reinhart, Colette Alliot-Lugaz, Ian Honeyman, Guy de Mey, Michael Goldthorpe, Françoise Destembert, Philippe Cantor (Sony Classical). Nella ripresa dal vivo della performance a Martina Franca nel luglio 1988, sotto la vigile direzione di Alberto Zedda suona l’Orchestra Pro Arte Bassano e si ascoltano le voci di Kamiko Yoshi, Vittoria Mazzoni, Anna Caterina Antonacci, Daniela Dessì, Josella Ligi, Adelisa Tabiadon, Susanna Anselmi, Armando Caforio, Maria Angela Peters, Carmen Gonzales, Nicoletta Ciliento, Michele Farruggia, Barbara Lavarian, Cristina Jannicola, Pietro Spagnoli: un’edizione davvero eccellente (Nuova Era). Realizzata in studio a Londra, dopo alcune esecuzioni pubbliche, è l’incisione diretta da Richard Hickox sul podio della City of London Baroque Sinfonia nel 1988, con i cantanti Catherine Pierard, Juliet Booth, Samuel Linay, Arleen Auger, Della Jones, Linda Hirst, James Bowman, Gregory Reinhart, Sarah Leonard, Adrian Thompson, Catherine Denley, Mark Tucker, John Graham-Hall, Janice Watson, Lynton Atkinson, Brian Bannatyne-Scott (Virgin Classics). Tra le registrazioni dell’Incoronazione di Poppea degli anni Novanta meritano di esser segnalate per il rigore stilistico e l’efficacia espressiva
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quelle condotte da Jacobs, Gardiner e Bolton. In studio nel 1990 René Jacobs, alla guida dell’Orchestra Concerto Vocale, ha diretto le voci di Hanne Mari Orbaek, Maria-Cristina Kiehr, Martina Bovet, Danièle Borst, Guillemette Laurens, Jennifer Larmore, Axel Köhler, Michael Schopper, Lena Lootens, Christoph Homberger, Dominique Visse, Guy de Mey, Christina Hügman, Gerd Türk, Regina Jacobi (Harmonia Mundi). Nel 1993 si ascolta dal vivo la ripresa di un’esecuzione in forma di concerto alla Queen Elizabeth Hall di Londra sotto la direzione di John Eliot Gardiner con gli English Baroque Soloists, i cantanti Sylvia McNair (Poppea), Dana Hanchard (Nerone), Anne Sofie von Otter (Ottavia), Michael Chance (Ottone), Francesco Ellero d’Artegna (Seneca), Catherine Bott (Drusilla), Bernarda Fink (Arnalta), Roberto Balconi (la Nutrice), Mark Tucker (Lucano), Constanze Backes (un Valletto), Marinella Pennicchi (una Damigella). La versione non è integrale (Archiv). Dal Prinzregententheater di Monaco di Baviera si ascolta nel 1997 la ripresa dal vivo diretta da Ivor Bolton con le voci di Silvia Fichtl, Jennifer Trost, Klaus von Gleissenthal, Anna Caterina Antonacci, David Daniels, Nadja Michael, Axel Köhler, Kurt Moll, Dorothea Röschmann, Dominique Visse, Marita Knobels, Claes H. Ahnsjö, Hans Jörg Mammel, Christian Baumgärtel, Caroline Maria Petrig. L’esecuzione si è svolta nell’ambito del Festival di Monaco di Baviera con l’Orchestra della Bayerische Staatsoper (Farao). Naturalmente dall’inizio del 2000 figurano varie nuove incisioni dell’Incoronazione di Poppea; meritano di esser ricordate almeno quelle dirette da Garrido, da Vartolo, da Bicket, da Rousset, da Cavina. Sul podio del Coro Ensemble Elyma e dell’Orchestra dello Studio di musica antica Antonio il Verso nel 2000 Gabriel Garrido, se non indica il nome per la parte della Fortuna, annovera nell’ordine quelli di Emanuela Galli, Adriana Fernández, Guillemette Laurens, Flavio Oliver, Gloria Banditelli, Fabian Schofrin, Ivan Garcia, Emanuela Galli, Martin Oro, Alicia Borges, Mario Cecchetti, Elena Cecchi-Fedi, Adriana Fernández, Furio Zanasi, Philippe Jaroussky, Alicia Borges (K 617). Alla guida del complesso Instrumentalists, nel 2004 Sergio Vartolo firma la registrazione che fa ascoltare le voci di Angela Bucci, Lia Serafini, Ilaria Zanetti, Patrizia Bucciré, Liliana Rugiero (negli Atti I e III con Giampaolo Fagotto nel II), Angela Di Bucci, William Matteuzzi, Raffaele Costantini, Lia Serafini, Gabriella Martellacci, Alessandra Vavasori, Makoto Sakurada, Ilaria Zanetti, Lia Serafini, Makoto Sakurada, Giampaolo Fagotto, Walter Testolin, (Brilliant Classics). Dal vivo di una rappresentazione del novembre 2006, Harry Bicket, assieme ai complessi artistici dell’Opera di Los Angeles, dirige i cantanti Tonna Miller, Stacey Tappan, Hanan Alatter, Susan Graham, Kurt Streit, Frederica Von Stade, David Daniels, Reinhard Hagen, Christine Brandes, Christopher Gillet, Jill Grove, Nicholas Phan,
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Keith Jameson, Hanan Alatter, Daniel Montenegro, Levi Hernández (Premiere Opera). Dalla ripresa dal vivo di una recita del 29 settembre 2007 al Muziektheatre di Amsterdam con l’Orchestra Les Talens Lyriques sotto la guida di Christophe Rousset si ascoltano le voci di Machteld Baumans, Wilke Te Brummeltroete, Gaële Le Roi, Danielle De Niese, Malena Ernman, Christianne Stotijn, Bejun Mehta, Giovanni Battista Parodi, Anne Marie Panzarella, Emiliano González-Toro, Christopher Gillet, Anders Jerker Dahlin, Ed Lyon, Judith van Wanroij, Panajotis Iconomou (Premiere Opera). Da segnalare ancora l’incisione realizzata in studio nel 2009 sotto la direzione di Claudio Cavina con il complesso La Venexiana, con Pamela Lucciarini, Francesca Cassinari, Alena Dantcheva, Emanuela Galli, Roberta Mameli, Xenia Meijer, José Maria Lo Monaco, Makoto Sakurada, Raffaele Costantini, Ian Honeyman, Mario Cecchetti, Andrea Favari. Di notevole originalità la scelta di Cavina di adottare la versione di Napoli del 1651 (Glossa). Tra la fine del XX secolo e l’avvio del XXI, in correlazione al diffondersi dei video, parecchi maestri del podio e ricercatori nell’ambito musicologico hanno privilegiato la sintesi di audio e visione nelle loro registrazioni dell’Incoronazione di Poppea, a cominciare dalle esecuzioni, per così dire, storiche, legate cioè ai nomi di Harnoncourt, di Leppard, di Jacobs e di Rousset. Del 1979 è l’edizione condotta da Nikolaus Harnoncourt alla guida del Monteverdi Ensemble dell’Opera di Zurigo con i cantanti Renate Lenhart (La Fortuna), Helrun Gardow (La Virtù), Klaus Brettschneider (Amore), Rachel Yakar (Poppea), Eric Tappy (Nerone), Trudeliese Schmidt (Ottavia), Paul Esswood (Ottone), Matti Salminen (Seneca), Janet Perry (Drusilla), Alexander Oliver (Arnalta), Maria Minetto (la Nutrice), Philippe Huttenlocher (Lucano), Peter Keller (Valletto), Suzanne Calabro (Damigella). Di marcato risalto il sobrio allestimento, firmato per la regia da Jean-Pierre Ponnelle (Deutsche Grammophon DVD). Del 1984 è il video, registrato in studio a Glyndebourne, della London Philharmonic Orchestra, con Ann Howard, Helen Walker, Maria Ewing, Dennis Bailey, Cynthia Clarey, Dala Duesing, Robert Lloyd, Elizabeth Gale, Anne-Marie Owens, Lesley Garrett, Keith Lewis, sotto la guida di Raymond Leppard e con la regia di Peter Hall (Warner DVD). Del 1993 è il video con la ripresa dal vivo dello spettacolo allestito al Festival di Schwetzingen con René Jacobs alla direzione del Concerto Köln e dei cantanti Patricia Schuman (Poppea), Richard Croft (Nerone), Kathleen Kuhlmann (Ottavia), Jeffrey Gall (Ottone), Harry Peters (Seneca), Daria Brooks (Drusilla), Curtis Rayam (Arnalta), Dominique Visse (Nutrice), John La Pierre (Lucano), Etsuko Kanoh (Valletto), Andrea Andonian (Damigella), Petra Pendzich (Amore), Anne Schwanewilms (Pallade). Firma la regia Michael Hampe: la sua versione esclude il Prologo (Arthaus Musik). Del 1994 è il video che riprende dal vivo la rappresentazione
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del capolavoro monteverdiano nel Teatro di Amsterdam con l’Orchestra Les Talens Lyriques diretta da Christophe Rousset e la regia di Pierre Audi, con Elena Fink, Wilke Brummeltroete, Sandrine Piau, Cynthia Haymon, Brigitte Balleys, Ning Liang, Michael Chance, Harry van der Kamp, Heidi Grant Murphy, Jean-Paul Fouchécourt, Dominique Visse, Mark Tucker, Lynton Atkinson, Claron McFadden, Nathan Berg (Opus Arte). Tra gli indubbi protagonisti della rénaissance della prassi esecutiva d’epoca per L’incoronazione di Poppea meritano d’esser ricordati, con le loro recenti registrazioni in video, Rinaldo Alessandrini, Marc Minkowski, William Christie, Alessandro De Marchi, Emmanuelle Haim. Hanno firmato esecuzioni integrali, esemplari nel rigore stilistico e nell’efficacia drammaturgica. Elenchiamo, nell’ordine, i cantanti delle loro apprezzatissime esecuzioni musicali e teatrali. A cominciare dal video del 1998, realizzato alla Welsh National Opera di Cardiff con la direzione musicale di Rinaldo Alessandrini e la regia di David Arden: cantano Alice Coote, Julie Unwin, Linda Tuvás, Catrin Wyn-Davies, Paul Nilon, Sally Burgess, Michael Chance, Gwynne Howell, Linda Kitchen, Neil Jenkins, Linda Ormiston, Nicholas Sears, Wynne Evans, Alice Coote, Julie Unwin, Nicholas Sears, Wynne Evans, Richard Halton (House of Opera DVD). Del 2000 è il video che riprende la performance dal vivo dello spettacolo allestito a Aix-en-Provence con la regia di Michael Grüber, l’Orchestra dei Musiciens du Louvre-Grenoble diretta da Marc Minkovski e le voci di, Mireille Delunsch, Anne Sofie von Otter, Sylvie Brunet, Charlotte Hellekant, Denis Sedov, Nicole Heaston, Jean-Paul Fouchécourt, François Piolino, Michael Bennett (Bel Air Classiques DVD) Il video con la regia di Pier Luigi Pizzi riprende dal vivo la rappresentazione del 2010 al Teatro Real di Madrid con l’Orchestra Les Arts Florissants diretta da William Christie, con Claire De Bono, Katherine Watson, Hanna Bayodi-Hirt, Danielle de Niese, Philippe Jaroussky, Anna Bonitatibus, Max Emanuel Cencic, Antonio Abete, Ana Quintans, Robert Burt, José Lemos, Mathias Vidal, Andreas Wolf, Suzana Ograjenšek (Virgin Classics DVD). A Glyndebourne nel 2008 va in scena un nuovo spettacolo con la regia di Robert Carsen, ma il video lo riprende l’anno dopo; con l’Orchestra of the Age of Enlightenment, sotto la guida di Emmanuelle Haim, cantano Sonya Yoncheva, Simona Mihai, Amy Preston, Danielle de Niese, Alice Coote, Tamara Mumford, Iestyn Davies, Paolo Battaglia, Marie Arnet, Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, Dominique Visse, Andrew Tortise, Peter Gijsbertsen, Lucia Cirillo, Claire Ormshaw, Trevor Scheunemann (Decca DVD). Nel 2010 a Oslo, con la regia di Ole Anders Tandberg, Alessandro De Marchi dirige i complessi artistici dell’opera Nazionale Norvegese; nel cast Ina Kringlebor, Marita Solberg, Amelie Addenheim, Brigitte Christensen, Jacek Laszczcowski, Patricia
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Bardon, Tim Mead, Giovanni Battista Parodi, Marita Solberg, Emiliano González-Toro, Tone Kruse, Magnus Staveland, David Fielder (EuroArts DVD). Nel 2012 vi è il brillante ritorno di Emmanuelle Haim, con la regia di Jean-François Sivadier e l’orchestra Le Concert d’Astrée, nella ripresa dal vivo di uno spettacolo all’Opera di Lille con i cantanti Anna Wall, Khatouna Gadelia, Camille Poul, Sonya Yoncheva, Max Emanuel Cencic, Ann Hallenberg, Tim Mead, Paul Whelan, Amel Brahim Djelloud, Emiliano González-Toro, Rachid Ben Abdeslam, Mathias Vidal, Nicholas Mulroy, Nicholas Mulroy (Virgin Classics DVD).
Ritratto Claudio Monteverdi nel frontespizio di Fiori poetici Raccolti nel Funerale del molto illustre e molto reverendo Signor Claudio Monteverdi, Venezia 1644 (Venezia, Biblioteca Marciana).
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ORGANICO STRUMENTALE DELLA PRESENTE EDIZIONE DE L’INCORONAZIONE DI POPPEA
2 violini 2 viole 1 violoncello 1 contrabbasso 2 cornetti 3 tromboni 3 chitarroni 2 arpe doppie 2 cembali 1 percussione (con strumenti d’epoca)
Basso continuo realizzato dal gruppo Concerto Italiano Ugo Di Giovanni Craig Marchitelli Franco Pavan (3 chitarroni) Mara Galassi Loredana Gintoli (2 arpe doppie) Luca Peverini (violoncello) Francesco Moi (cembalo) Rinaldo Alessandrini (cembalo)
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Primo Maestro collaboratore James Vaughan Maestri collaboratori: James Vaughan - Massimiliano Bullo - Mzia Bakhtouridze Beatrice Benzi - Paolo Berrino - Nelson Calzi - Roberto Curbelo Maurizio Magni - Antonella Marotti - Ilaria Morotti - Marco Munari Bruno Nicoli - Ovidio Pratissoli - Stefano Salvatori - Paolo Spadaro Maestri ai video libretti: Roberto Perata - Renato Principe - Stefano Colnaghi
ORCHESTRA DEL TEATRO ALLA SCALA Violini primi Francesco Manara (di spalla) Francesco De Angelis (di spalla) Laura Marzadori (di spalla) Daniele Pascoletti (concertino) Eriko Tsuchihashi (concertino) Mariangela Freschi Alessandro Ferrari Andrea Leporati Rodolfo Cibin Corine van Eikema Andrea Pecolo Gianluca Turconi Elena Faccani Fulvio Liviabella Gianluca Scandola Dino Sossai Duccio Beluffi Alois Hubner Agnese Ferraro Kaori Ogasawara Enkeleida Sheshaj Violini secondi Pierangelo Negri* Giorgio Di Crosta* Anna Longiave Anna Salvatori Paola Lutzemberger Emanuela Abriani Gabriele Porfidio Silvia Guarino Stefano Dallera Roberto Nigro Elisa Citterio Damiano Cottalasso Evguenia Staneva Alexia Tiberghien Stefano Lo Re Antonio Mastalli Francesco Tagliavini Roberta Miseferi Estela Sheshi
Viole Danilo Rossi* Simonide Braconi* Emanuele Rossi Marco Giubileo Giuseppe Nastasi Luciano Sangalli Giorgio Baiocco Maddalena Calderoni Francesco Lattuada Carlo Barato Joel Imperial Giuseppe Russo Rossi Matteo Amadasi Olga Gonzalez Cardaba Thomas Cavuoto Violoncelli Sandro Laffranchini* Massimo Polidori* Alfredo Persichilli* Jakob Ludwig Martina Lopez Marcello Sirotti Alice Cappagli Gabriele Zanardi Simone Groppo Cosma Beatrice Pomarico Massimiliano Tisserant Tatiana Patella Gabriele Garofano Contrabbassi Giuseppe Ettorre* Francesco Siragusa* Claudio Pinferetti Claudio Cappella Emanuele Pedrani Alessandro Serra Attilio Corradini Gaetano Siragusa Roberto Benatti Omar Lonati Roberto Parretti
Flauti Marco Zoni* Giovanni Paciello (ottavino) Oboi Fabien Thouand* Renato Duca (corno inglese) Augusto Mianiti Gianni Viero Clarinetti Mauro Ferrando* Fabrizio Meloni* Denis Zanchetta (clarinetto piccolo) Christian Chiodi Latini Stefano Cardo (clarinetto basso) Fagotti Valentino Zucchiatti* Gabriele Screpis* Nicola Meneghetti Maurizio Orsini Marion Reinhard (controfagotto) Corni Danilo Stagni* Jorge Monte De Fez* Roberto Miele Stefano Alessandri Claudio Martini Stefano Curci Piero Mangano Giovanni Hoffer
Trombe Francesco Tamiati* Mauro Edantippe Gianni Dallaturca Nicola Martelli Tromboni Torsten Edvard* Daniele Morandini* Riccardo Bernasconi Renato Filisetti Giuseppe Grandi Basso tuba Brian Earl Javier Castaño Medina Arpe Luisa Prandina* Olga Mazzia* Percussioni Gianni Massimo Arfacchia Giuseppe Cacciola Organo Lorenzo Bonoldi Ispettore dell’Orchestra Vittorio Sisto Addetti all’Orchestra Eugenio Salvi Werther Martinelli Edmondo Valerio
*Prime parti
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Fondazione di diritto privato
SOVRINTENDENZA
DIREZIONE GENERALE
Sovrintendente Alexander Pereira Responsabile Relazioni Esterne e Assistente del Sovrintendente Donatella Brunazzi Responsabile Ufficio Stampa Paolo Besana Responsabile Controllo di Gestione Enzo Andrea Bignotti
Direttore Generale Maria Di Freda Responsabile Archivio Storico Documentale Dino Belletti Coordinatore Segreteria e Staff Andrea Vitalini Responsabile Ufficio Promozione Culturale Carlo Torresani Responsabile Segreteria Organi e Legale Germana De Luca Responsabile Provveditorato Antonio Cunsolo Direzione Tecnica Direttore Tecnico Marco Morelli Responsabile Manutenzione Immobili e Impianti Persio Pini Responsabile Prevenzione Igiene Sicurezza Giuseppe Formentini Direzione del Personale Direttore del Personale Marco Aldo Amoruso Responsabile Amministrazione del Personale e Costo del Lavoro Alex Zambianchi Responsabile Servizio Sviluppo Organizzativo Rino Casazza Responsabile Servizio Tecnologie dell’Informazione Massimo Succi Responsabile Ufficio Assunzioni e Gestione del Personale Marco Migliavacca Responsabile Ufficio Lavoro Autonomo Giusy Tonani
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Direzione Marketing e Fund Raising Direttore Marketing e Fund Raising Cristina Paciello Responsabile Ufficio Marketing Francesca Agus Responsabile Biglietteria Annalisa Severgnini Responsabile di Sala Achille Gozzi Direzione Amministrazione e Finanza Direttore Amministrazione e Finanza Claudio Migliorini Capo Contabile Sefora Curatolo Museo Teatrale alla Scala Direttore Museo Teatrale alla Scala Renato Garavaglia
DIREZIONE ARTISTICA
DIREZIONE ALLESTIMENTO SCENICO
Direttore Artistico Alexander Pereira Responsabile Compagnie di Canto Toni Gradsack Responsabile Servizi Musicali Andrea Amarante Responsabile Controllo di Gestione Artistica Manuela Cattaneo Direttore Editoriale Franco Pulcini Responsabile Archivio Musicale Cesare Freddi Regista Collaboratore Lorenza Cantini
Direttore Allestimento Scenico Franco Malgrande Assistente Direttore Allestimento Scenico Elio Brescia Responsabile Reparto Macchinisti Cosimo Prudentino Responsabile Realizzazione Luci Marco Filibeck Realizzatore Luci Andrea Giretti Responsabile Reparto Elettricisti Roberto Parolo Responsabile Cabina Luci Antonio Mastrandrea Responsabile Audiovisivi Nicola Urru Responsabile Reparto Attrezzisti Luciano Di Nicuolo Responsabile Reparto Meccanici Castrenze Mangiapane Responsabile Parrucchieri e Truccatori Francesco Restelli Responsabile Calzoleria Alfio Pappalardo
Direzione Ballo Direttore del Corpo di Ballo Makhar Vaziev Coordinatore del Corpo di Ballo Marco Berrichillo Direzione Organizzazione della Produzione Direttore Organizzazione della Produzione Andrea Valioni Assistente Direttore Organizzazione della Produzione Maria De Rosa Responsabile Direzione di Scena Luca Bonini Direttore di Scena Andrea Boi
Capi Scenografi Realizzatori Stefania Cavallin Emanuela Finardi Luisa Guerra Capo Reparto Scultura Venanzio Alberti Scenografi Realizzatori Claudia Bona Verena Redin Flavio Erbetta Carlo Spinelli Barrile Costanzo Zanzarella Scenografo Realizzatore Scultore Silvia Rosellina Cerioli Responsabile Laboratori Scenografici Roberto De Rota Responsabile Reparto Costruzioni Paolo Ranzani Responsabile Reparto Sartoria Cinzia Rosselli Responsabile Sartoria Vestizione Patrizia D’Anzuoni
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EDIZIONI DEL TEATRO ALLA SCALA DIRETTORE EDITORIALE
Franco Pulcini
Ufficio Edizioni del Teatro alla Scala REDAZIONE
Anna Paniale Giancarlo Di Marco RICERCA ICONOGRAFICA
Mercedes Viale Ferrero PROGETTO GRAFICO
Emilio Fioravanti G&R Associati
Le immagini degli spettacoli scaligeri provengono dall’Archivio Fotografico del Teatro alla Scala Realizzazione e catalogazione immagini digitali: “Progetto D.A.M.” per la gestione digitale degli archivi del Teatro alla Scala Si ringrazia per la collaborazione il Museo Teatrale alla Scala Il Teatro alla Scala è disponibile a regolare eventuali diritti di riproduzione per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte Pubblicità: A.P. srl - Str. Rigolino, 1 bis 10024 Moncalieri (TO) - Tel. 011/6615469 Finito di stampare nel mese di gennaio 2015 presso Pinelli Printing srl © Copyright 2015, Teatro alla Scala
In copertina: Fidelio di Ludwig van Beethoven. Titolo d’apertura della stagione scaligera 2014-15. Un momento delle prove. (Foto Marco Brescia e Rudy Amisano)
Prezzo del volume € 15,00 (IVA inclusa)