PATRIMONIO E CREATIVITÀ AGRIGENTO, LA VALLE E IL PARCO a cura di MAURIZIO CARTA
DO.RE.MI.HE. PROJET DE DOCTORAT DE RECHERCHE POUR LA MISE EN VALEUR DE L’HÉRITAGE NATUREL ET CULTUREL BENEFICIARIO: Université de Tunis Yassine Khaled, COORDINATORE DEL PROGETTO Abdelhamid Fenina, RESPONSABILE SCIENTIFICO Lotfi Kaabi, RESPONSABILE FINANZIARIO Sobhi Bouderbala, VICE RESPONSABILE SCIENTIFICO Abdelhamid Fenina, RESPONSABILE DELLA FORMAZIONE Mohamed Tahar, RESPONSABILE STAGE Fakher Kharrat, RESPONSABILE CAMPUS Roberto Albergoni, ASSISTENZA TECNICA Salwa Trabelsi, TUTOR CAMPUS Hayet Badrani, TUTOR CAMPUS Zohra Asmi Jallouli, TUTOR CAMPUS Yassine Halwani, TUTOR CAMPUS Soukaina Ben Ammar, ASSISTENTE AMMINISTRATIVO Hounaida Jendoubi, ASSISTENTE CONTABILE Paola Castro, ASSISTENTE AMMINISTRATIVO PARTNER: Università degli Studi di Palermo - Polo Didattico di Agrigento Dipartimento di Architettura - Dipartimento di Culture e Società Lucio Melazzo, COORDINATORE DEL PROGETTO Maurizio Carta, RESPONSABILE SCIENTIFICO Ettore Castorina, RESPONSABILE FINANZIARIO Valeria Scavone, VICE RESPONSABILE SCIENTIFICO Angela Alessandra Badami, RESPONSABILE DELLA FORMAZIONE Elisa Chiara Portale, RESPONSABILE DELLA FORMAZIONE Daniele Ronsivalle, RESPONSABILE STAGE Barbara Lino, RESPONSABILE CAMPUS Margherita Orlando, SEGRETARIATO TECNICO E COMUNICAZIONE Eliana Messineo, TUTOR FORMAZIONE Carmelo Galati Tardanico, TUTOR CAMPUS Francesco Scrudato, TUTOR CAMPUS Vincenzo Spataro, TUTOR CAMPUS Francesca Montagna, TUTOR CAMPUS Maria Grillo, ASSISTENZA FINANZIARIA Giuseppe Caramazza, ASSISTENTE AMMINISTRATIVO Calogero Daunisi, ASSISTENTE CONTABILE ASSOCIATO: Université de Évora - Cidehus - Unesco Chaire pour le Patrimoine Culturel Filipe Themudo Barata, RESPONSABILE ASSOCIATO: Università degli Studi di Foggia - Dipartimento di Studi umanistici. Beni culturali, Lettere, Scienze della Formazione Giuliano Volpe, RESPONSABILE
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INDICE INTRODUZIONE DOREMIHE: formazione e progetto per la valorizzazione integrata del patrimonio culturale e naturale Maurizio Carta, Lucio Melazzo
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PATRIMONIO E CREATIVITÀ Patrimonio e Creatività: la nuova alleanza tra identità e innovazione Maurizio Carta
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I paesaggi, l’immateriale e la connettività del territorio Filipe Themudo Barata
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Tra architettura e archeologia. Il progetto per il Tempio-Duomo di Pozzuoli Andrea Sciascia
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Interculturalità come risorsa 43 Caterina Greco Il Parco e il progetto Giuseppe Parello
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Le mani (sapienti) sulla città Gianfranco Tuzzolino
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Caratteri urbanistici del sito archeologico di Akragas. Dal sito archeologico al Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento 63 Angela Alessandra Badami Un gioiello tra la città e il territorio Valeria Scavone Conoscenza e valorizzazione del patrimonio archeologico. Dare senso e prendere senso dai resti del passato: il caso di Agrigento Elisa Chiara Portale Agrigento: la Carta Archeologica della città antica e del suburbio Aurelio Burgio
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Responsabilità è pianificazione Daniele Ronsivalle
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I Piani di Gestione UNESCO: retorica o strumento di sviluppo locale? Barbara Lino
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IL FORUM - UN PIANO D’AZIONE CONDIVISO E PROATTIVO Tavolo 1 -Le questioni della sostenibilità economica Carmelo Galati Tardanico Report Tavolo 1 Francesco Scrudato Tavolo 2 - Le questioni della sostenibilità sociale Alessandra Badami Report Tavolo 2 Vincenzo Spataro Tavolo 3 - Le questioni della sostenibilità culturale e ambientale Valeria Scavone Report Tavolo 3 Francesca Montagna La Valle dei Templi di Agrigento come i Giardini della Biennale di Venezia Andrea Bartoli
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VISIONI - NUOVE VISIONI PER LA VALLE DEI TEMPLI Il dividendo culturale nella Società della Conoscenza Maurizio Carta
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La Valle come bene comune Barbara Lino
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Il valore della prossimità per una nuova interfaccia metabolica Carmelo Galati Tardanico
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Il Parco vivo Vincenzo Spataro
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Strategie di raccordo urbano Francesca Montagna
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Il margine urbano, cerniera Città-Parco Francesco Scrudato
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WORKSHOP - STUDI, STRATEGIE, PROGETTI 01 | Studi Analisi di contesto/Valori e criticità/Cicli di vita/Trasformazioni/SWOT
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02 | Strategie Osmosi, connettori e interfacce/Le quattro “dimensioni del Parco/ Innovazione sociale e rigenerazione urbana/Il Territorio è il Parco
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03 | Progetti L’asse, l’interfaccia, il Parco “vivo”
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Gli autori
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DO.RE.MI.HE.: FORMAZIONE E PROGETTO PER LA VALORIZZAZIONE INTEGRATA DEL PATRIMONIO CULTURALE E NATURALE MAURIZIO CARTA, LUCIO MELAZZO
Eredità culturale e patrimonio naturale, territorio creativo ed economia dell’esperienza, progettazione integrata ed efficace governance sono le parole chiave, con i corrispettivi strumenti operativi, che oggi devono guidare i processi di sviluppo di quei territori che vogliano alimentarsi della loro matrice culturale, ma al contempo devono costituire risorse e procedure del nuovo progetto di futuro che leghi insieme l’eredità culturale e l’innovazione sociale, il patrimonio archeologico e il paesaggio, l’identità e l’evoluzione. È quindi necessaria una nuova alleanza tra politiche e progetti, tra norme e forme, tra decisori ed esperti per perseguire una conservazione e valorizzazione integrate dell’eredità culturale materiale e immateriale. È questo lo scenario entro cui agisce il progetto di cooperazione transfrontaliera DO.RE.MI.HE. (Projet de Doctorat de Recherche pour la Mise en valeur de l’Héritage naturel et culturel). Il progetto, finanziato con fondi comunitari nell’ambito del programma ENPI Italie-Tunisie, è finalizzato alla stesura di un modello condiviso per l’attivazione sperimentale di percorsi di alta formazione e ricerca multidisciplinare dedicati alla gestione e valorizzazione innovativa dei siti archeologici nell’ambito dei contesti urbani e paesaggistici. Il partenariato del progetto è composto dalla Faculté des Sciences Humaines et Sociales dell’Université de Tunis (con il ruolo di capofila, Yassine Khaled, coordinatore del progetto, e Abdelhamid Fenina, responsabile scientifico), dai Dipartimenti di Architettura (Maurizio Carta, responsabile scientifico, e Valeria Scavone, vice-responsabile) e di Scienze Umanistiche (Lucio Melazzo, coordinatore del progetto) dell’Università degli Studi di Palermo, con il supporto del Centro di Gestione del Polo Didattico di Agrigento (Ettore Castorina) e da due istituzioni associate: la Cattedra Unesco per il Patrimonio Culturale dell’Universidade de Évora, Cidehus (Filipe Barata) e il Dipartimento degli Studi Umanistici, Lettere, Beni Culturali, Scienze della Formazione dell’Università di Foggia (Giuliano Volpe). Un partenariato forte
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e competente, di matrice accademica, che ha lavorato per tutto il 2015 con l’obiettivo di verificare le condizioni di fattibilità, culturale prima e gestionale poi, per istituire un Dottorato di Ricerca multidisciplinare, un Master o una Scuola di Alta Formazione, congiunti tra le Università di Tunisi e Palermo, al fine di rafforzare la cooperazione culturale nel Mediterraneo anche come strumento di pace e dialogo. Il progetto, oltre a uniformare il sistema dei crediti e della valutazione, nonché le procedure amministrative, ha agito entro una dimensione sperimentale che ha consentito di verificare sul campo le convergenze e le differenze di approccio e di percorso formativo tra le due Università. Un gruppo di 20 studenti (10 siciliani e 10 tunisini), selezionato dalle rispettive Università, ha partecipato a un percorso multidisciplinare di formazione avanzata articolato in tre fasi: Formazione, Stage e Campus. La fase di Formazione (240 ore) è stata svolta in Sicilia (Agrigento e Palermo sotto la responsabilità di Angela Alessandra Badami ed Elisa Chiara Portale) nel mese di aprile 2015, per tre settimane, e a Tunisi nel mese di maggio 2015 per tre settimane. I venti studenti hanno frequentato corsi in discipline di sei macroaree (Conoscenza del patrimonio culturale e ambientale; Diritto internazionale e legislazione di settore; Piani di interpretazione; Tutela e conservazione; Valorizzazione e promozione del patrimonio culturale; Patrimonio e creatività), tenuti da docenti dell’Università di Palermo e dell’Università di Tunisi. Gli Stage, finalizzati alla conduzione di un periodo di apprendistato e di esercitazione professionale degli allievi (responsabile Daniele Ronsivalle), sono stati svolti in strutture pubbliche o private, di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale con le quali le Università hanno stipulato accordi specifici (per un totale di 250 ore da giugno a settembre). Tra le strutture in Sicilia si segnalano: l’Ente Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento, la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Agrigento, il Dipartimento Regionale Beni Culturali e la Soprintendenza del Mare. Tra le strutture in Tunisia si segnalano: l’Institut National du Patrimoine e la Municipalité de Zaghouan. Il Campus ha mirato all’applicazione degli apparati metodologici e teorici comuni, acquisiti nell’ambito delle attività didattiche, attraverso una fase laboratoriale di sperimentazione di strategie di gestione e valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale applicate a due contesti territoriali differenti, rispettivamente uno siciliano, Agrigento, e uno tunisino, Zaghouan. Il Campus si è svolto a settembre tra Tunisi e Agrigento (per un totale di 200 ore) ed è consistito in attività seminariali, in sopralluoghi nei siti di interesse, in attività di lavoro in gruppo con l’assistenza di tutor. Le due aree archeologiche, il sito di Agrigento inserito nella WHL dal 1997, e il sito di Zaghouan, il cui processo di candidatura è in corso, pur nelle rispettive
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peculiarità locali, si offrono come occasioni per sviluppare due esperienze di progettazione tese alla conservazione e valorizzazione in chiave creativa di un patrimonio culturale di eccezionale valore. Concorrono alla comprensione delle relazioni tra i contenuti dei Piani di Gestione UNESCO, le politiche di valorizzazione e tutela e gli strumenti di pianificazione territoriale, al fine di elaborare indirizzi, strategie e visioni capaci di integrare gli strumenti esistenti e di armonizzare i processi di gestione e di messa in valore del patrimonio. Il Campus (responsabile Barbara Lino) si è svolto in tre fasi: una prima fase di tre giorni mirata all’indagine sui siti e orientata all’elaborazione di analisi preliminari al progetto in cui gli studenti tunisini hanno approfondito il sito di Zaghouan e gli studenti italiani quello di Agrigento. Una seconda fase si è svolta ad Agrigento attraverso workshop e seminari in cui gli studenti, italiani e tunisini insieme, hanno progettato con la supervisione e la guida di quattro docenti-tutor italiani su Agrigento e un docente-tutor tunisino su Zaghouan. Infine la terza fase di due settimane in cui, al termine delle attività di laboratorio, ogni studente ha lavorato alla redazione del prodotto finale composto dalle conoscenze apprese durante la fase di formazione e da quelle messe in pratica durante le fasi del Campus. Sia la prima che la seconda fase del Campus sono state alimentate dagli interventi didattici di docenti ed esperti delle Università di Palermo, Tunisi ed Évora, della Soprintendenza di Agrigento e del Parco Archeologico della Valle dei Templi, attraverso lectures, presentazioni di buone pratiche o discussioni seminariali. Gli esiti intermedi e finali del Campus, infine, sono stati discussi con i soggetti a vario titolo coinvolti nei processi di gestione e valorizzazione dei siti, i quali hanno potuto acquisire le visioni e le strategie elaborate dai gruppi di lavoro con ricaduta concreta degli esiti del progetto DO.RE.MI.HE. sui contesti territoriali scelti per la fase di sperimentazione. Il Sito Archeologico di Zaghouan, che si trova a circa 100 km a sud di Tunisi ed è sede del famoso acquedotto romano che giungeva fino a Cartagine, ha offerto l’occasione di sperimentare politiche e progetti di valorizzazione integrata in un’area in cui è in corso una procedura di tutela e di candidatura nella WHL dell’UNESCO. L’area archeologica, infatti, non è ancora delimitata ufficialmente nella sua totalità e un’associazione culturale la gestisce in autonomia. Il tema prescelto per la sperimentazione progettuale ha riguardato i prodotti preliminari alla redazione di Linee Guida per la valorizzazione del caso studio (in vista di un futuro Piano di Gestione del sito). L’articolazione degli obiettivi e
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delle attività di progettazione su Zaghouan sono stati curati dell’Università di Tunisi, sotto la responsabilità di Faker Karrhat. Il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi, invece, è stato istituito come ente autonomo con la Legge Regionale 20/2000 ed è già sito iscritto, per una estensione di circa 1.400 ha, nella WHL UNESCO “Area Archeologica di Agrigento” (coincidente con il perimetro della zona A definita dal Decreto Ministeriale Gui-Mancini del 16 maggio 1968 “Determinazione del perimetro della Valle dei Templi di Agrigento, delle prescrizioni d’uso e dei vincoli di inedificabilità”). La sua buffer zone coincide con la zona B del Decreto del Presidente della Regione Sicilia del 16 giugno 1991. Oggetto delle sperimentazioni del Campus ad Agrigento (coordinate da Barbara Lino, con Angela Alessandra Badami e Valeria Scavone) è quindi una realtà archeologica, culturale e territoriale più matura, la quale ha consentito l’elaborazione di un progetto integrato di valorizzazione del patrimonio capace di generare, con un approccio reticolare, una stretta integrazione tra il sito archeologico, la Valle e il suo paesaggio e il sistema urbano e territoriale (ordinamento scientifico di visita, relazioni culturali e tematiche di sistema a scala regionale, nazionale e internazionale, ricostruzione di percorsi materiali e immateriali di fruizione del territorio, ecc.). In particolare le analisi sono state orientate a: lettura delle relazioni funzionali e paesaggistiche esistenti tra il sito archeologico, la Valle, il contesto urbano e territoriale e la buffer zone UNESCO; comprensione dei contenuti del Piano di Gestione (in merito alle misure di protezione, al sistema di gestione, alle strategie di valorizzazione) e alle eventuali necessità di aggiornamento e adeguamento; comprensione dei contenuti del Piano del Parco e del Piano Regolatore di Agrigento con particolare attenzione alle loro necessarie integrazioni. Durante le attività di laboratorio sono stati condotti seminari di approfondimento mirati al confronto con la dimensione della conservazione e della valorizzazione del patrimonio archeologico e paesaggistico e del progetto urbano, oltre ad attività pubbliche (Forum) volte all’interazione tra i gruppi di lavoro con la popolazione locale e alcuni portatori di interesse del territorio. Le analisi del sito e le opzioni progettuali proposte si sono basate anche sui sei criteri individuati dall’UNESCO per l’iscrizione nella WHL, i quali, in maniera differenziata, hanno costituito la base concettuale su cui fondare l’approccio integrato alla conservazione e valorizzazione. Di seguito si ricordano i sei criteri: 1. rappresentare la testimonianza del genio creativo dell’umanità; 2. mostrare l’interscambio di valori umani sugli sviluppi nell’architettura, nella tecnologia, nelle arti, nell’urbanistica e nel paesaggio;
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3. essere testimonianza unica o eccezionale di una tradizione culturale o di una civiltà; 4. costituire un esempio straordinario di una tipologia edilizia, di un insieme architettonico o tecnologico, o di un paesaggio; 5. essere un esempio eccezionale di un insediamento umano tradizionale, dell’utilizzo di risorse territoriali o marine, rappresentativo di una cultura, o dell’interazione dell’uomo con l’ambiente; 6. essere direttamente o materialmente associato con avvenimenti o tradizioni viventi, opere artistiche o letterarie, dotate di un significato universale. Gli output prodotti hanno riguardato una strategia di valorizzazione integrata del sito che agisca sui valori materiali e immateriali, nonché sulle relazioni con i sistemi insediativi di contesto e sulle relazioni paesaggistiche, alimentata dai contributi contenuti nella prima parte del volume. Il conseguente sistema di norme, volte a integrare le disposizioni in materia di tutela, conservazione e valorizzazione attiva del sito, è stato elaborato a partire dagli esiti del Forum con i portatori d’interesse, di cui si dà conto nella seconda parte. Le nuove visioni per la Valle dei Templi, di cui discutono i contributi della terza parte, sono orientate a definire un sistema di linee guida per il sito UNESCO, volte a integrare la dimensione della gestione e della governance territoriale del sito con particolare attenzione all’implementazione dei processi di partecipazione e all’armonizzazione tra i contenuti del Piano di Gestione, del Piano del Parco, del Piano Regolatore di Agrigento e di altri eventuali strumenti di pianificazione. Infine la quarta parte è dedicata al workshop che ha prodotto dispositivi progettuali di alcune porzione del sito, o di specifici edifici, o di una componente paesaggistica, che potenzino la dimensione della valorizzazione culturale e della fruizione sociale del sito (un visitor center, un percorso pedonale di connessione, uno spazio pubblico connettivo, un living lab archeologico per la fruizione innovativa del sito, ecc.). L’esperienza del Progetto DO.RE.MI.HE., di cui qui si presentano gli esiti focalizzati su Agrigento, consente di intravedere le prime tracce di un nuovo territorio culturale creativo, capace di offrire preziose occasioni di reale sviluppo sostenibile, capace di produrre effetti sia nel dominio della conservazione delle risorse culturali materiali e immateriali, sia nel dominio delle risorse territoriali identitarie, sia nel dominio dei beni collettivi che nel dominio del partenariato pubblico-privato-società civile.
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PATRIMONIO E CREATIVITÀ: LA NUOVA ALLEANZA TRA IDENTITÀ E INNOVAZIONE MAURIZIO CARTA
Sicilia patrimonio dell’Umanità La Sicilia è uno straordinario, profondo, ramificato palinsesto di beni culturali materiali e immateriali. Il Parco Archeologico della Valle dei Templi ad Agrigento, l’Etna, la Villa Romana del Casale, le città tardo barocche del Val di Noto (Caltagirone, Militello Val di Catania, Catania, Modica, Noto, Palazzolo, Ragusa e Scicli), le Isole Eolie, Siracusa e le Necropoli rupestri di Pantalica, Palermo arabo-normanna con il Duomo di Cefalù e quello di Monreale, insieme alla vite ad alberello di Pantelleria, alla Dieta Mediterranea e all’Opera dei Pupi sono i beni che l’UNESCO ha riconosciuto come eredità culturale mondiale. Ma a questi 22.000 ettari di eccellenza planetaria, va aggiunta una estesa e ramificata armatura culturale di parchi e siti archeologici – Selinunte, Segesta, Hymera, Eraclea Minoa, Megara Hyblea tra tutti – una miriade di castelli e torri, chiese e monasteri, bagli, masserie e opifici,testimoni di una ricchezza produttiva, e una estesa rete di centri storici (Gangi e Montalbano Elicona primeggiano tra i borghi più belli d’Italia) che caratterizzano il tessuto insediativo di una terra che è stata madre dei popoli. Sono questi le migliaia di capitoli della nostra infinita storia di civiltà: una ricchezza di beni culturali che fa dell’intera Sicilia un “patrimonio culturale dell’umanità”, titolo autorevolmente riconosciuto dal British Museum con la straordinaria mostra “Sicily. Culture and Conquest”. Davanti a questa straordinaria eredità e diversità culturale la Sicilia non può continuare a perseguire politiche dei beni culturali che sembrano somigliare all’esperimento effettuato da Luigi Galvani nel XVIII secolo con le cosce di rane morte, che, attraversate da una corrente elettrica, si muovevano facendo pensare – o sperare – che avessero preso vita e sconfitto la morte. Anche i territori siciliani in declino, le
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città sfigurate dal degrado della modernità incompiuta o i paesaggi agricoli abbandonati hanno spesso tentato di sconfiggere la morte attraverso l’immissione di una energia esterna derivata talvolta dal riconoscimento dell’UNESCO, altre volte dall’attrattività turistica di massa, altre volte ancora dai grandi eventi culturali o sportivi. L’effetto è stato spesso tragicamente identico all’esperimento sulla rana: il dinamismo iniziale indotto dall’evento ha simulato una parvenza di vitalità, spesso scambiata – consolatoriamente – con il ritorno alla centralità culturale, con una riattivazione del sistema produttivo o con la rinascita delle città. Niente di più illusorio! Perché il patrimonio culturale è matrice e motrice dello sviluppo solo se gestito in maniera strategica e integrata, senza vane illusioni e facili entusiasmi. La valorizzazione dell’identità culturale, la conservazione del paesaggio e la qualità dell’ambiente non possono limitarsi alla protezione passiva, ancorché indispensabile, ma richiedono impegno politico, culturale e tecnico per affrontarle come beni collettivi, come generatori di nuova identità e non solo testimoni della storia, come creatori di valore e non solo attrattori di turisti (Carta, 1999). In un mondo che voglia riconquistare la dimensione culturale dello sviluppo – l’UNESCO la invoca da più di venti anni (UNESCO, 1994) – la Sicilia si propone come laboratorio in grado di ricomporre il conflitto tra una società dinamica e un ambiente a misura d’uomo, tra l’onere della conservazione e l’impegno della valorizzazione. I beni protetti dall’UNESCO e i loro contesti chiedono nuove politiche culturali e urbanistiche, nuovi modi di abitare, di muoversi e di produrre. Chiedono di ripensare la pedonalizzazione dei centri storici come un nuovo modo di viverli e non solo di attraversarli, chiedono una adeguata qualità dello spazio pubblico come occasione di incontro, reclamano una mobilità sostenibile e chiedono una fruizione turistica rispettosa dei luoghi, richiedono una cura attenta dell’arredo urbano e domandano adeguate strutture narrative che ci raccontino il passato prefigurandoci il futuro. Reclamano musei che ne comunichino la storia in forme nuove e con linguaggi adatti a diversi tipi di pubblico. I patrimoni materiali e immateriali della Sicilia «pretendono di non essere isole di qualità protette da una bolla di bellezza in mezzo al degrado, ma chiedono di interagire con i cicli di vita del territorio e con i modelli di sviluppo, pretendendo modelli di gestione efficienti in grado di farli agire come propulsori della qualità della vita degli abitanti, e non solo dei turisti. Chiedono di essere il genoma territoriale su cui ricostruire un futuro migliore» (Carta, 2014a). Considerare la Sicilia Patrimonio dell’Umanità è quindi un’occasione per discutere e progettare un modello che non guardi solo ai grandi
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attrattori culturali, ma che includa anche i territori limitrofi, i centri storici e le periferie, i boschi e i paesaggi agrari, i fiumi e le strade, i porti e gli aeroporti, e soprattutto le persone. Servono azioni che siano capaci di intervenire anche sul capitale sociale, soprattutto sui giovani che potranno trovarvi occasioni di lavoro. Occorre utilizzare le aree di protezione dei beni per attività innovative da proporre alle comunità di cittadini più responsabili e in cerca di luoghi dell’abitare e del produrre più in sintonia con le loro sensibilità culturali. Ho già scritto che dobbiamo cogliere ogni occasione per proporre «un nuovo meridionalismo fondato sulla qualità e non sulla rivendicazione, più consapevole, responsabile e attivo, che inserisca nell’agenda politica la conservazione delle risorse culturali, la sostenibilità ambientale, la cura delle identità e la valorizzazione dei talenti. Ma dobbiamo sfuggire all’illusione della resurrezione della rana, sostituendo l’energia esogena prodotta troppo spesso da clientelismo e assistenzialismo, con l’energia vitale del capitale culturale materiale e immateriale. Una nuova politica capace di riattivare e accompagnare lo sviluppo del Mezzogiorno chiede una nuova classe dirigente che sappia essere generatrice di visioni, attuatrice di azioni e tessitrice di strategie, anche a partire da quei dieci scrigni di eccellenza» (Carta, 2014b). Il territorio creativo 3.0 Le riflessioni teoriche e le sperimentazioni sulla creatività urbana come fattore qualitativo, rigenerativo e competitivo elaborate negli ultimi anni, a partire dai lavori di Landry (2000) e di Florida (2002), hanno originato ulteriori riflessioni teorico-pratiche mirate a fornire una maggiore dimensione territoriale alla creatività (Landry, 2006). Già nel mio libro “Creative City. Dynamics, Innovations, Actions” (Carta, 2007) ho individuato la necessità di una evoluzione del concetto selezionando i fattori che permettono alla creatività territoriale di diventare paradigma di sviluppo sostenibile, creatrice di nuovo paesaggio, custode della memoria e tutore della storia, generatrice di nuove economie della cultura e non semplice attrattrice di risorse intellettuali o di investimenti. Oggi il paradigma della creatività territoriale chiede un salto evolutivo per produrre effetti moltiplicativi e rigenerativi sullo sviluppo sostenibile fondato sulla dimensione culturale dello sviluppo. La creatività diventa quindi un fattore abilitante dello sviluppo sostenibile, grazie anche alla promozione politica e culturale condotta del Creative Cities Network dell’UNESCO, il quale può oggi vantare un
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panorama di esperienze concrete portate avanti da 116 città in tutto il mondo, sia grandi metropoli creative, come Shanghai, Berlino e Roma, che più piccole ma dinamiche città, come Saint-Etienne, Dakar o Fabriano. E spesso è il paradigma del metabolismo creativo che viene proposto come un potente selettore di strategie e di progetti, poiché agisce scegliendo i cicli da riattivare per alimentarne di nuovi, esplorando le ricadute operative del metabolismo urbano creativo attraverso progetti di rigenerazione e la attivazione di nuovi cicli di vita. Il territorio del metabolismo creativo, quindi, interagisce con grande capacità connettiva con il patrimonio culturale, alla ricerca di luoghi ancora vitali ma sottoutilizzati, di luoghi potenti dell’identità culturale ma sconnessi dalle dinamiche di sviluppo, di luoghi fragili ma di rinomanza globale e li reintegra nel sistema territoriale in quanto strategicamente rilevanti e necessari a consolidare il ruolo culturale e sociale, nonché a ottimizzarne la gestione e ad attivarne la funzione produttiva nell’economia della conoscenza. Il nuovo territorio creativo di terza generazione (Carta, 2011) dovrà offrire preziose occasioni di reale sviluppo, capace di produrre effetti sia nel dominio della conservazione delle risorse culturali materiali e immateriali, sia nel dominio delle risorse territoriali identitarie, sia nel dominio dei beni collettivi che nel dominio del partenariato pubblico-privato. Nella transizione verso il territorio creativo 3.0 i nuovi fattori di sviluppo umano sostenibile sono la Cultura, la Comunicazione e la Cooperazione (Carta, 2009). La Cultura è il fattore primario della creatività poiché è una risorsa che affonda le radici nel palinsesto della storia delle città, dei territori e dei paesaggi e che protende i suoi rami nel futuro. La cultura mediterranea è un rizoma composto da luoghi e da persone, da patrimoni tangibili e intangibili, ma anche da identità civica e visione di futuro. L’armatura culturale mediterranea costituisce la struttura fibrosa dei luoghi e delle comunità, il loro carattere distintivo capace di resistere alle tentazioni della globalizzazione omologante. Le risorse culturali, quindi, non si limitano ad attraversare le reti immateriali della storia, dell’arte o della formazione, non si accontentano di attivare eventi e manifestazioni temporanee, ma pretendono di concretizzarsi in luoghi e occasioni di incontro per la comunità, di consolidarsi in servizi e di vivere attraverso le nuove centralità culturali. La cultura come fattore di creatività e sostenibilità richiede un poderoso progetto di territorio. Il secondo fattore di creatività territoriale è la Comunicazione, cioè la capacità di informare, divulgare e coinvolgere in tempo reale gli abitanti e, sempre di più, i molteplici fruitori che attraversano i territori
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della cultura, che li permeano, che li connettono con altre realtà, in un sempre più vasto reticolo culturale globale. La città mediterranea è sempre stata un potente strumento comunicativo, e la sua funzione informativa e dialogica è uno dei più potenti fattori di creatività, poiché consente di far addensare il milieu – l’ambiente fisico e umano – entro cui agiscono gli attori della trasformazione, orientando risorse e attori verso obiettivi comuni e verso orizzonti condivisi. Infine, il terzo fattore è la Cooperazione, intesa come forma attiva della partecipazione, nuova dimensione progettuale del cosmopolitismo mediterraneo. La sfida del territorio creativo richiede sempre più una integrazione cooperativa delle differenze, nella comune tensione verso la collaborazione delle diverse culture al progetto di futuro. Il territorio creativo non è solo più aperto, multiculturale e multietnico, ma è capace di mobilitare le sue diversità verso il nuovo progetto di territorio, attivando forum, realizzando luoghi di prossimità dove agevolare il confronto e la visione collettiva, localizzando nuove centralità multiculturali. Gli ambienti più creativi sono quelli che generano una piattaforma permanente di cooperazione, un ecosistema fertile che genera una miriade di innovazioni a partire dalla cooperazione tra le parti, come avviene, ad esempio, nella barriera corallina: ecosistema di inesauribile energia creativa e cooperativa. Patrimonio culturale e territorio creativo, economia dell’esperienza e progettazione integrata, efficace governance e condivisione sono oggi i necessari strumenti per guidare i processi di sviluppo dei territori fondati sulla loro matrice culturale, ma al contempo devono costituire risorse e procedure del nuovo progetto di futuro che leghi insieme l’eredità culturale e l’innovazione sociale, il patrimonio archeologico e il paesaggio, l’identità e l’evoluzione, il patrimonio e la creatività. Re-immaginare le politiche culturali “Re-shaping Cultural Policies” (2015) è il nuovo rapporto dell’UNESCO sulle politiche attive per il patrimonio culturale materiale e immateriale come motore di sviluppo sostenibile, creativo e intelligente. Il Rapporto attualizza e valuta l’impatto della “Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural Expressions” (2005) sulle politiche, piani e programmi orientati allo sviluppo culturale sostenibile. Il Rapporto sostiene la necessità che le industrie culturali e creative siano integrate nelle politiche per la sostenibilità. La pianificazione deve, con sempre maggiore impegno, riconoscere il contesto culturale in cui
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i piani di sviluppo sono messi in atto, attivando, nelle scelte localizzative e di riqualificazione ambientale, il ruolo dinamico che le industrie culturali e creative possono svolgere nel raggiungimento degli obiettivi economici e sociali sia a livello locale che regionale. Un principio essenziale dello sviluppo culturalmente sostenibile sottolineato dall’UNESCO è l’equità nei confronti dei gruppi più vulnerabili della società, attuando strategie mirate per superare lo svantaggio nell’accesso alla partecipazione culturale, ma anche incrementando la vigilanza per garantire che le politiche culturali in alcuni settori – soprattutto quelle relative alla valorizzazione – non abbiano effetti collaterali negativi, riducendo l’ampiezza degli effetti nei confronti del capitale sociale. Il Rapporto, quindi, invita i governi, i tecnici e le comunità a re-immaginare le politiche culturali, rimodellandone le componenti costitutive al fine di attivare adeguati ecosistemi culturali e creativi in grado di produrre i necessari fattori abilitanti dello sviluppo sostenibile. Possiamo individuare quattro livelli di azione di politiche urbane e territoriali capaci di attivare ecosistemi che connettano i diversi cluster e distretti culturali (Caroli, 2004), sempre più frequenti sul territorio, e che ricompongano le dimensioni materiali e immateriali della cultura. Innanzitutto un’efficace politica urbana deve rafforzare la competitività dei distretti attraverso l’adozione di strategie capaci di valorizzare le potenzialità della città (storia, risorse, connessioni, brand) e di favorirne l’integrazione con la dimensione metropolitana per aumentarne sia la massa che l’ampiezza, e quindi la potenza. È quindi indispensabile il rafforzamento delle infrastrutture di mobilità e di comunicazione, intervenendo soprattutto sui nodi di connessione alle grandi reti transnazionali (porti e aeroporti), nonché lo sviluppo dell’offerta di servizi alle imprese, soprattutto di servizi innovativi e ad alto valore aggiunto che ne facilitino l’azione di networking. Non va trascurata l’importanza degli interventi per l’ampliamento e il rafforzamento del capitale umano e dei livelli di competenze e professionalità disponibili, agendo sulla formazione e sulla ricerca nonché sulla facilitazione dell’interazione tra gli attori all’interno dei cluster e tra quelli inter-cluster, anche attraverso la nascita di soggetti di intermediazione (agenzie, società miste, advisor, patti). Infine, è indispensabile l’attivazione di strumenti di incentivazione fiscale e finanziaria che indirizzino la connessione al cluster di attività già forti nel panorama della creatività o lo stimolo di nuove attività latenti a partire dal capitale sociale delle aree meno centrali. Il secondo livello riguarda le politiche urbane per la distribuzione degli
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effetti dei cluster creativi all’intera città in un’ottica geo-ecosistemica, rivolte soprattutto alle agevolazioni per la riduzione dell’impatto ambientale ed energetico, e allo stimolo alla responsabilità sociale delle imprese insediate, ad esempio prevedendo nei piani e nei progetti urbani norme per l’incentivazione della compensazione monetaria degli oneri urbanistici e per la redistribuzione negoziata di parte degli utili in interventi per la qualità urbana. Il progetto urbanistico consapevole deve saper guidare e regolare la localizzazione delle attività e delle imprese nell’ecosistema creativo in modo da ridisegnare i flussi generati, ma soprattutto per riequilibrare le centralità, evitando il rischio di una congestione prodotta dalla nuova domanda di suolo e di servizi. Il trasferimento degli effetti del successo di un cluster deve essere attuato attraverso azioni di trasferimento sull’immagine complessiva della città, sul rafforzamento del brand ai fini del potenziamento della credibilità e della conseguente attrattività di investimenti, popolazione e fruitori, anche attraverso flagship projects utilizzati come elementi di accreditamento (Bilbao ha ormai fatto scuola). Naturalmente non sappiamo ancora come saranno ridefiniti alcuni dei più noti progetti urbani a causa delle crisi economica globale, ma non vi è dubbio che in tempo di interventi anti-crisi sul versante infrastrutturale ed edilizio il possesso da parte di alcune città di una precisa strategia e di piani di ampio respiro e coerenza agevola l’incardinamento delle risorse pubbliche laddove esiste già un interesse del privato a non perdere gli investimenti iniziali (la continuità e il rilancio dei progetti di Nantes, di Marseille o di Hamburg ne sono una evidenza empirica). Al terzo livello appartengono le azioni per ridurre gli effetti negativi prodotti dalla presenza di un cluster creativo, sia attraverso azioni nei confronti delle dinamiche del mercato immobiliare – per evitare fenomeni di gentrification, che ridurrebbero la necessaria diversità culturale e generazionale comprimendo la creatività – sia attraverso politiche compensative (controllo degli affitti, quote di riserva per l’edilizia sociale, agevolazioni fiscali per le giovani coppie, ecc.). Anche il miglioramento delle condizioni della mobilità urbana, attraverso una pianificazione delle infrastrutture, il potenziamento dell’intermodalità e una adeguata gestione dei sistemi di trasporto pubblico, contribuisce in maniera attiva a evitare l’aggravio della congestione e il consumo di suolo e a rafforzare l’ottica ecosistemica. Infine, è necessario agire sul capitale sociale, non solo in termini di miglioramento della qualificazione del mercato del lavoro, ma promuovendo l’empowerment e agevolando l’autoimprenditorialità e i reticoli
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associativi, in modo da facilitare la trasformazione verso i settori della creative economy. L’intensità e la prossimità delle relazioni tra i soggetti istituzionali e i portatori di interessi che agiscono nell’ecosistema è infatti un fattore determinante del successo, che richiede all’urbanistica il progetto e la regolazione di luoghi e condizioni che facilitino il manifestarsi di tali relazioni. In questo senso, la presenza di luoghi di prossimità e di relazione (urban center e living lab, centri di municipalità e incubatori, co-housing e co-working) e la localizzazione di servizi culturali, sportivi o di loisir, rappresentano una condizione importante per il rafforzamento del capitale sociale tra gli attori che agiscono nell’ecosistema. Il nuovo ecosistema culturale chiede nuove politiche pubbliche, le quali possono essere sintetizzate in alcune opzioni operative che compongono una necessaria Agenda Urbana dello sviluppo culturalmente sostenibile: • utilizzare la cultura come “motore ecologico” per rinnovare la politica culturale delle città europee e mediterranee attraverso il potenziamento del ruolo propulsivo delle città nella diffusione della nozione e dei principi della sostenibilità culturale; • diffondere il ruolo degli “agenti culturali di prossimità” per migliorare il governo del patrimonio e delle attività culturali, attraverso l’impegno delle autorità locali nel rafforzamento della sussidiarietà come pre-condizione per uno sviluppo centrato sull’identità culturale e basato su specifici strumenti di governo; • estendere la “diversità culturale” come fattore abilitante per potenziare la diffusione delle culture, attraverso la diffusione dei principi di sostenibilità considerati come componenti di un processo creativo, locale e teso all’integrazione; • assicurare il “diritto alla cultura” per potenziare il processo di responsabilizzazione culturale, attraverso l’assunzione di un protagonismo sociale come una delle componenti della sostenibilità culturale, rafforzando il coinvolgimento della popolazione come fattore chiave dello sviluppo; • intercettare le “neo-economie della cultura” per ampliare le opportunità economiche, attraverso la promozione di un’economia che tenda verso la sostenibilità culturale delle decisioni e degli investimenti allo scopo di assegnare al settore pubblico il compito di incentivare il mercato verso l’incremento degli investimenti orientati alle politiche culturali; • promuovere una vera “governance culturale” per verificare l’efficacia gestionale, attraverso la promozione da parte delle autorità locali di strate-
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gie maggiormente sostenibili nei confronti dei paesaggi culturali. Le azioni che compongono l’Agenda urbana per uno sviluppo culturalmente sostenibile non offrono solo un set di politiche, processi e strumenti, ma inducono una vera e propria metamorfosi della governance della dimensione culturale dello sviluppo, nella quale patrimonio culturale e creatività non sono più solo matrici delle rispettive connotazioni (l’identità e l’innovazione) o delle rispettive opzioni operative (la conservazione e la trasformazione). Diventano, invece, il genoma dello sviluppo sostenibile, le componenti di un nuovo metabolismo culturale del territorio. Sono azioni in grado di attivare nuovi processi osmotici, di tessere connettori e di generare interfacce in grado di riconnettere le politiche culturali alle politiche di sviluppo, rimodellandole verso un rinnovato protagonismo del capitale culturale nella transizione economica e sociale che stiamo attraversando.
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Ciò che la piccola comunità di Assumar (Alentejo) è stata in grado di costruire nel 1509 (Armas, Duarte de. Livro das Fortalezas, Lisboa: Inapa, 2ª ed. p. 35).
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I PAESAGGI, L’IMMATERIALE E LA CONNETTIVITÀ DEL TERRITORIO FILIPE THEMUDO BARATA
Dedica Vorrei dedicare questo testo agli studenti italiani e tunisini del Corso di Dottorato di DO.RE.MI.HE., un progetto di ricerca per la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale al quale partecipano le Università di Palermo e Tunisi, e anche la Cattedra UNESCO di cui sono responsabile. Ecco per quale motivo questo testo aspira allo stesso tempo sia a discutere la questione del ruolo del patrimonio immateriale ai giorni nostri, sia a individuare delle possibilità di lavoro e di ricerca per il futuro e, ancora più importante, la necessità di un intervento da parte dei cittadini, poiché si tratta di una responsabilità che tocca tutti noi. Un concept e un progetto verso una politica mirata all’intervento Qualche decina di anni fa il cosiddetto patrimonio culturale era più facile da capire. Al di là di quello che si è soliti definire Belle Arti, la nozione di patrimonio culturale era limitata alla struttura edificata. Per patrimonio si intendeva un edificio, fosse esso un palazzo, un monastero, una chiesa, un forte o un castello, ovvero, tutto ciò che fosse costruito. A partire dai lontani anni ‘30 del XX secolo, in seguito a svariate riunioni di architetti e conservatori nei diversi quadranti geografici, sono state prese decisioni importanti riguardo all’utilizzo dei materiali, i metodi di recupero, i principi di reimpiego, i criteri di classificazione, ecc. Certamente, negli anni Cinquanta del secolo scorso, altri tipi di patrimonio hanno acquisito dignità e importanza. È il caso, ad esempio, del patrimonio archeologico, dopo i grandi scavi che hanno avuto luogo dopo l’inizio degli anni Venti; così come nel caso dei paesaggi, la cui bellezza è stata registrata come un valore da tenere in considerazione secondo la Raccomandazione di Parigi del 1962 per la “Protezione della bellezza
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e del carattere dei paesaggi e dei siti”. Particolarmente significativo anche il caso del patrimonio naturale, la cui consacrazione ha dato inizio alla delimitazione delle riserve naturali, ha proseguito con lo sviluppo di politiche per il riassetto territoriale e ha raggiunto il suo apice nel 1972 con la firma della Convenzione per la “Protezione del patrimonio mondiale, culturale e naturale”. Tuttavia già da molto tempo il concetto di immateriale ha iniziato a svilupparsi. A volte toccava l’ambito della proprietà intellettuale, altre volte della protezione della cultura tradizionale e popolare, spesso attraverso l’organizzazione di programmi mirati, come quello del 1993 riguardante i Tesori Umani Viventi. Sicuramente tutto questo è diventato più complicato da capire e amministrare. Ma in che modo la situazione del patrimonio culturale è diventata più complessa? Come uscire da questa difficoltà? Nel presente documento non sarà possibile trovare una risposta a queste domande, ma è importante sottolineare le grandi linee di una risposta articolata, perché ci sarebbero numerose prospettive, alcune più chiare di altre, ma sempre difficili da spiegare. In effetti, nonostante tutto, alcune conclusioni che riguardo il patrimonio in generale sono diventate piuttosto evidenti. Un primo passo si riscontra nella legge francese del patrimonio culturale del 1962, quando si è convenuto che il patrimonio ha un rapporto indissolubile con il territorio e le comunità che lo abitano. Un secondo passo è la definizione del patrimonio come risorsa, la quale, come le altre, non è rinnovabile e quindi va osservata e amministrata con competenza, ossia da specialisti. La terza caratteristica viene forse dagli anni Sessanta del XX secolo, quando il concetto di patrimonio inizia a estendersi toccando tutti i tipi di patrimonio, e anche la vita stessa. Questa tendenza, collegata alle politiche di conservazione e pianificazione del territorio e di protezione ambientale, condiziona molto l’utilizzo degli spazi delle nostre città e del suolo. In questa sede si cercherà di rispondere partendo da un’osservazione pratica: l’acqua intesa come elemento centrale per l’organizzazione dei paesaggi culturali, il patrimonio idrico che resta sempre in loco e le pratiche sociali che preservano questi paesaggi. In qualche modo si tratta di una proposta di guardare al territorio come a un organismo vivente, nel quale antiche strutture restano visibili e rimangono in uso mentre altre scompaiono, ma sarà l’insieme che ci permetterà di conoscere e organizzare il Paese. Questo approccio, piuttosto teorico, permetterà a tutti coloro che la-
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vorano sui paesaggi culturali di trovare una cornice concettuale molto utile. Forse sarà il caso di Zaghouan (Tunisia), uno dei soggetti di un Corso di Dottorato in costruzione. Consideriamo quindi i paesaggi dell’acqua. La connettività dei paesaggi e il ruolo dell’acqua San Isidoro, Vescovo di Siviglia nell’ VIII secolo, nelle sue Etimologiae (2000) ha spiegato in modo esauriente gli impieghi dell’acqua. Questi ha scrupolosamente notato come l’acqua aiuti a guarire i malati, a far crescere le piante, a pulire la sporcizia, a estinguere la sete e, infine, a cancellare i peccati. In sintesi, secondo lui, l’acqua è il nucleo della vita stessa. Se si considerano i numerosi approcci proposti da San Isidoro si capisce come, studiando l’acqua, ci si trovi davanti a un tema sorprendente perché ci spinge attraverso un numero infinito di percorsi e un territorio illimitato. Io considero solo due delle funzioni che il Vescovo di Siviglia aveva identificato, ovvero, la capacità di far crescere le piante e di estinguere la sete. Tuttavia, dal punto di vista del patrimonio immateriale propongo un approccio un pò diverso: i rapporti tra gli impieghi dell’acqua e la costruzione del paesaggio. Questi paesaggi costituiscono il contesto fisico in cui vive l‘uomo, oggi come nel passato. A volte, soprattutto al Nord, i popoli devono difendersi dall’eccesso di acqua, altre volte, solitamente al Sud, è stato necessario rispondere alla necessità d’acqua. Placare la sete e l’agricoltura erano l’obiettivo finale. Ecco perché la gestione di sistemi di protezione contro gli eccessi d’acqua, o la buona organizzazione delle strutture per ottenerla e distribuirla, hanno sempre contribuito a creare delle potenze, a prescindere dal fatto che si trattasse di piccole comunità o di grandi imperi. In conclusione, non esiste società che possa organizzarsi e sopravvivere senza l’acqua. Utilizzando una terminologia vicina all’antropologia e all’ecologia, si potrebbe dire che da sempre l’acqua è alla base della connettività del territorio, intendendo con questo che le comunità sono in condizione di sopravvivere specialmente in funzione delle capacità e conoscenze tecniche nella gestione dei sistemi idraulici; in fondo, l’acqua dà bere all’uomo, ma è anche la condizione di esistenza dell’agricoltura. Ci si rende conto di questo fenomeno quando si viaggia nell’area mediterranea perché è facile trovare o indentificare delle vestigia, per esempio romane, che presentano una grandezza e un’evidente perfezione
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tecnica nei loro grandi acquedotti e dighe, le magnifiche terme, i giardini con stagni, i fossati delle fortificazioni, le cisterne; anche i sistemi di distribuzione dell’acqua delle città provocano grande stupore nei turisti e negli storici. Per quanto riguarda il Medioevo, la nostra percezione, mi permetto di generalizzare, sarà opposta. A parte alcune eccezioni, per esempio i lavori per contrastare il mare nelle Fiandre, le vestigia di quell’epoca non posseggono la magnificenza dei tempi classici. È vero che in numerose regioni del nord Europa i lavori di bonifica delle paludi che inondavano la campagna o i tentativi di sfruttare le maree per costruire dei mulini sono descritti perfettamente nelle fonti scritte e nei paesaggi d’Europa. Sorprendentemente, con i tempi moderni, i grandi lavori idraulici hanno ricominciato a essere realizzati per affrontare i bisogni delle grandi città o di un’agricoltura più esigente. Questa tendenza continuerà dopo il XIX secolo con grandi lavori di costruzione nei quali la competenza tecnica ha guadagnato una dimensione, si può dire sbalorditiva. Ma lo scopo qui non è tanto fare confronti estetici, quanto di organizzare un terreno di riflessione. L’obiettivo, lo ripeto, è tenere in considerazione e valutare la constatazione di Peregrine Horden e Nicholas Purcell (Horden, Purcell, 2001), secondo i quali l’acqua organizza la connettività del territorio. E Horden ha annunciato (Horden, 2002) il criterio di tale connettività: in primo luogo, in quanto i lavori di irrigazione e drenaggio devono essere considerati come strategie globali, ciò significa adeguarsi al rischio e sfruttare le opportunità offerte dall’ambiente. In secondo luogo, l’irrigazione e il drenaggio alla fine hanno avuto un effetto limitato tanto in importanza quanto in scala, poiché per il paesaggio sono state scelte le produzioni secche e anche i mulini non sono così numerosi, almeno nel Mediterraneo. In terzo luogo, i lavori avevano come obiettivo il miglioramento e la regolarizzazione del sistema idrico in inverno, piuttosto che la ricerca per l’estate (poiché non si tratta di avere dei fiumi perenni). Infine, Horden espone un’idea interessante: nella storia del Mediterraneo c’è stata una vera e propria “burocrazia idrica”, che sosteneva un dispotismo di stampo orientale, molto meno importante dei lavori delle piccole comunità. È vero che il concetto di connettività non si esaurisce nell’acqua, perché le società non vivono sole e isolate, ma, al contrario, avevano bisogno e volevano scambiarsi prodotti; per questo hanno bisogno di sistemi di comunicazione e di interagire con altri per sopravvivere; ecco per quale motivo le vie e le strade sono strutture che sostengono la connettività del territorio. Tuttavia, da un lato, i sistemi di comunicazione si allargano con il tempo. Come spiegano Mazoyer e Roudart (Mazo-
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yer, Roudart, 2002) i sistemi di trasporto dei giorni nostri hanno assunto una prospettiva globale, anzi mondiale, nella misura in cui il mercato è anch’esso globalizzato, tanto che c’è un rapporto proporzionale tra la struttura delle vie, spesso più ristrette, e i limiti più o meno variabili della regione. Certamente non sono solo l’acqua e i paesaggi che condizionano il profilo e la struttura dei paesaggi, perché la disponibilità della terra, la struttura demografica, la competizione per l’accesso alla terra, le caratteristiche fisiografiche del territorio, i know-how e la conoscenza tecnica sono variabili molto importanti. Manca un ultimo elemento per poter studiare il paesaggio nel modo qui proposto: i punti di riferimento del territorio (landmark). In effetti, soprattutto prima del XVIII secolo, cioè prima della rivoluzione industriale, gli individui, così come le comunità, si organizzavano in un paese solitamente partendo da una sorta di centro, il punto da cui iniziavano a costruire case, proprietà, infrastrutture primordiali, fossero esse stagni, mulini o strade; i paesaggi, bisogna ricordarlo, hanno un senso di occupazione storico di cui è necessario tener conto. È proprio questo che Aplin intende quando scrive che i paesaggi sono un “palinsesto di elementi dal passato e dal presente” (Aplin, 2007). Questa logica di occupazione e organizzazione del territorio è fondamentale per tutti coloro che studiano i paesaggi e il territorio, perché ogni epoca, o meglio, ogni società, lascia le sue forme e “criteri” d’occupazione inscritte nel paesaggio. A questa realtà si riferisce la legge della persistenza dei piani. Tutto questo significa che, al di là delle caratteristiche di ogni paese, l’Uomo – ogni società – fa le sue scelte non solo sulla base del livello di conoscenze tecniche che ha, ma anche in funzione dei suoi valori culturali. Allora decide le specie naturali che resteranno, o le forme di proprietà che utilizzerà, o ancora i criteri di organizzazione del lavoro. Un esempio interessante si può ritrovare nel bacino del Mediterraneo. Durante l’epoca romana, l’agricoltura delle sponde era basata sulle colture di cereali secchi, in particolare il grano. Dopo la caduta dell’Impero le differenze sono diventate evidenti: nelle campagne del Nord il grano ha mantenuto la sua predominanza, mentre al Sud la comparsa di società di influenza islamica ha cambiato le opzioni principali in favore di specie irrigate: la coltivazione di alberi da frutto, zucca, fagioli, cetrioli e altri. L’idea di oasi e di purezza, l’immagine dell’acqua che cancella i peccati e come ricchezza più grande per la vita umana è più forte del lavoro che bisogna compiere per ottenere l’acqua. È anche in questo scarto che si costruisce un rapporto diverso con il territorio e il paese e una memoria e un’identità ancora diverse, e che
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vengono proiettati in rituali, pratiche sociali e concezioni di coesione sociale molto diverse tra loro (Barata et al., 2014); ora quello è l’ambito del patrimonio immateriale. Partire dallo studio per arrivare all’azione L’esempio dei paesaggi che ho appena descritto ha anche un altro vantaggio, perché ci permette di osservare come il patrimonio culturale costruito o le pratiche culturali associate, al di là del fatto che sono una risorsa, ci permettono di “leggere” meglio il territorio. Essi sono un ambito di lavoro che obbliga lo studente e il suo maestro a riflettere, ovviamente, ma anche a interessarsi come cittadini alle risorse disponibili e che le società devono saper amministrare. Per questa lettura è necessario lo sguardo di molteplici operatori: storici, antropologi, architetti e altri. Ma bisogna ricordare che: fino ai giorni nostri, le domande per sapere come amministrare le risorse del territorio che riguardano il paesaggio hanno ricevuto risposte diverse. Ecco perché la conoscenza del patrimonio non deve limitarsi a un’osservazione storica dei popoli e delle comunità, poiché, ovunque nel mondo, le società hanno tentato esperienze molto diverse per rispondere alla stessa sfida. Ma dopo aver studiato un paesaggio bisogna decidere le strategie di valorizzazione e conservazione; ecco un nuovo crocevia: museo classico, centro di interpretazione, ecomuseo, economusée, galleria d’esposizione, evento speciale? Tutto dipende dagli obiettivi che ci si prefigge e dai mezzi a disposizione. D’altra parte, al giorno d’oggi l’economia culturale e delle arti figurative non è legata solamente al turismo, ma è anche uno dei settori più dinamici delle nostre società. Ovviamente questo paper è alquanto tematico, ovvero non ha tagli cronologici, perché gli argomenti che tratta riguardano la connettività del territorio e soprattutto gli impieghi dell’acqua. Tali impieghi si realizzavano nelle società del passato come in quelle di oggi. Ma per questo tema bisogna considerare che non è possibile fare tutto in una volta. Bisogna stabilire degli obiettivi di ricerca, di conoscenza e di intervento per segnalare i risultati che si vogliono ottenere. Trasformare lo studio e la conoscenza in azione è uno degli obiettivi centrali di questo tipo di attività e quindi ecco una proposta di progetto e di lavoro a lungo termine rivolta agli studenti e agli esperti stessi di qualsiasi tipo di patrimonio, sempre tenendo i paesaggi dell’acqua come esempio.
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Conoscere – Le costruzioni e gli utilizzi pratici dell’acqua Si comincia dal primo argomento fondamentale: conoscere e riconoscere le strutture legate agli impieghi dell’acqua che le società lasciano, ancora ai nostri giorni, sul terreno dal passato. Si tratta di un tema in cui la riflessione è meno impegnativa, poiché l’obiettivo è comprendere il funzionamento delle strutture legate all’utilizzo dell’acqua, identificare i materiali, conoscere, per quanto possibile, gli autori di ogni opera e trarre conclusioni sulle tecniche utilizzate. Chiaramente questo lavoro perde il suo senso se manca la comparazione delle strutture e dei risultati. Si sa, e si può essere certi, che a livello della terra la regola sia la varietà. I paesaggi rappresentano di solito delle risposte a problemi specifici che ogni società ha dovuto affrontare. La capacità di investimento non è sempre stata la stessa, il tempo disponibile cambia da un luogo all’altro, le esigenze a livello demografico non sono state le stesse. Le popolazioni asiatiche per esempio, hanno costruito dei magnifici paesaggi a gradoni, le terrazze, sulle montagne che costeggiavano i fiumi, non per abbellirle ma per rispondere alla rapida crescita demografica tenendo conto allo stesso tempo del regime irregolare dei fiumi (Mazoyer, Roudart, 2002). I lavori possibili sono innumerevoli e il limite è l’immaginazione, ma questo sarà forse il tema delle tesi di laurea, perché il tempo per scriverli diminuisce costantemente. Riflettere – I know-how, le conoscenze acquisite e la conoscenza istituzionale Il secondo approccio cerca di andare un po’ più lontano, in quanto ha come scopo aiutarci a capire le informazioni di base necessarie che giustificano gli impieghi dell’acqua. Il punto cruciale è rispondere a domande più complesse: che tipo di conoscenze devono avere (hanno) i costruttori? Perché a volte sono architetti, altre volte ingegneri, spesso militari, ma anche persone che non riusciamo a identificare, che non hanno una conoscenza riconosciuta e organizzata, le loro conoscenze si tramandano di generazione in generazione nel corso del tempo. Qui la portata del lavoro è enorme. Prendiamo un lavoro di Mohamed El Faiz, ad esempio “Maestri dell’acqua – Storia dell’idraulica araba” (El Faiz, 2005). Il suo obiettivo è stato studiare l’idraulica e l’agronomia nella civiltà arabo-musulmana poiché l’autore riteneva che questo argomento fosse rimasto ai margini dell’interesse degli storici delle scienze, dei tecnici e delle arti. Il suo lavoro parte dal riconoscimento dell’esistenza di più strutture legate agli impieghi dell’acqua, ma, in seguito,
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ÉVORA
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Sopra/Circa 25 anni dopo, solo con gli investimenti e la direzione tecnica e personale della Corona è stato possibile costruire una struttura così complessa (photo: José Manuel Mascarenhas, 2005). Sotto/Immagine tratta da Google earth 2015.
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egli analizza le opere dei grandi autori arabi che si sono occupati, nel corso dei secoli, dell’impiego dell’acqua. Inizia con l’analisi del “Trattato di meccanica” prodotto a Bagdad nel IX secolo e termina con un manuale su “La scienza delle acque correnti della città di Damasco” scritto nel XVIII secolo. Nel caso di El Faiz il lavoro ha preso una strada più complessa, quasi difficile, perché la maggioranza degli autori scriveva fuori da un sistema convenzionale di formazione come le università. Questo esempio mostra l’importanza di risalire alle fonti e ai testi antichi che devono stare alla base della riflessione sugli impieghi dell’acqua. Anche in Europa è importante fare riferimento ai testi classici. Nel vecchio continente una parte delle conoscenze è stata sviluppata nelle università, ma ci sono dei testi che sono il risultato di un sapere non istituzionale. Ecco due esempi che non sono legati direttamente agli impieghi dell’acqua, ma che ci aiutano a comprenderli. Il primo riguarda l’opera di un agrimensore medievale, Bertrand Boysset, che è stato oggetto di un magnifico studio di Pierre Portet per il suo dottorato, diretto da Pierre Bonnassié e discusso nel 1995 all’Università di Tolosa II Le Mirail (Bertrand Boysset, agrimensore arlesiano della fine del XIV secolo, 1355-1415). La cosa interessante in questo caso è della forma di intervento dell’agrimensore quando si rende necessario dividere la proprietà vicina all’acqua. Nel secondo caso, forse più interessante, si tratta di un lavoro di Guillaume Revel ordinato da Carlo duca di Borbone, che gli aveva richiesto di catalogare tutti i blasoni delle famiglie più importanti delle sue proprietà (l’Armoriale degli Auvergne, dei Borbone e dei Forez di Guillaume Revel, 1998, conosciuto come l’Armoriale di Revel). I preziosi disegni delle città e delle fortezze sono una fonte incredibile per studiare le strutture e le tecniche utilizzate nell’impiego dell’acqua. Seguire tutti i lavori che si svolgono all’interno dei gruppi di discussione e di studio, come quello di Valladolid o i lavori di gruppo di Carmen Trillo dell’Università di Granada, sempre sull’utilizzo dell’acqua, deve essere un impegno che appartiene a questa prospettiva di lavoro. Nel caso di Boysset, come in altri casi di architetti e ingegneri, è essenziale conoscere la sua opera in generale, ma anche il suo percorso personale e professionale e la sua formazione, in quanto ci troviamo nell’ambito della storia delle tecniche, quindi le capacità di risolvere problemi nuovi e innovare i metodi è un argomento che avvicina gli interessi dello storico a quelli dell’antropologo e dell’architetto. Questo lavoro di ricerca e riflessione è molto simile a quello che si richiede agli studenti universitari, in alcuni casi, ma soprattutto ai dottorandi.
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Intervenire – L’acqua, il contesto sociale e la costruzione dei poteri Sempre legato al patrimonio, questo terzo livello di lavoro prevede il percorso delle società in relazione alle loro risorse. È il territorio di quest’ultima possibilità. Ovviamente c’è uno spessore storico, ma il ricercatore, incluso lo storico, con il suo lavoro si interessa velocemente al futuro delle risorse che ha accompagnato. È stato lui a capire, perché è l’osservatore più adatto, come dei grandi imperi, siano essi romani, ottomani o cinesi, hanno facilmente collegato il potere all’amministrazione delle risorse e, certamente, hanno sempre avuto osservazioni da fare sull’impiego dell’acqua. Dall’altro lato, si notano degli sforzi enormi da parte delle piccole comunità per costruire la loro connettività del territorio e in questo modo assicurare la propria sopravvivenza. Allora, questo ricercatore sarà capace di dare un senso storico alla lotta contro l’acqua, nel caso di eccesso di quest’ultima, soprattutto al nord, ma anche di comprendere i risultati della lotta contro l’acqua, soprattutto al sud. Ecco perché avrà sempre un’opinione essenziale da esporre a proposito della sorte di tali strutture e di tale patrimonio; alla fine della giornata sarà questo specialista, il quale a volte proviene dall’architettura, altre dalla storia o dall’archeologia, altre ancora dall’antropologia, a poter stabilire i principi per la preservazione, la conservazione e soprattutto la valorizzazione delle strutture che sono i testimoni privilegiati della costruzione dei paesaggi. In questo senso, il genere del lavoro di studio e di ricerca è una scuola di cittadinanza. Esiste infine un’altra forma d’intervento al di fuori dell’ambiente accademico. Si verifica quando si hanno le capacità di individuare un buon progetto e vi si partecipa. A seguito di ciò che si è appena dimostrato, nello strutturare questi progetti legati al patrimonio culturale, la creatività collettiva deve essere stimolata sulla base di tre pilastri: l’innovazione territoriale, la creazione di partenariati a misura di comunità e la difesa degli ecosistemi sociali ed economici locali. Le proposte di attività sul patrimonio hanno dunque un ancoraggio culturale sul territorio e contemplano la condivisione dei valori, delle conoscenze e l’utilizzo della tecnologia; si basano sui nuovi tipi di attività e, naturalmente, sono aperte alle reti personali.D’altro canto, la creazione di un progetto prevede fasi e regole: parte da una visione, ma è anche necessario stabilire una coerenza tra le azioni da intraprendere e le misure a cui ricorrere. Dal punto di vista delle procedure d’implementazione, vanno considerati il sistema di governo e gli strumenti “politici” innovatori del lavoro, oltre che individuati gli indicatori per valutare e misurare ciò che si sta facendo, cioè i risultati.
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In sintesi, quanto abbiamo appena riassunto è ciò che, ai giorni nostri, si definisce “specializzazione intelligente” (smart specialization), una forma differente d’intervento nelle nostre società valida, per chi lavora nella cultura e nello spettacolo, compreso il grande settore del patrimonio culturale.
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«La qualità esiste in ogni luogo abitato, il poeta la svela e la fa conoscere agli uomini sensibili. L’architetto di fronte ai suoi compiti, se è educato a farlo, lo svela con l’architettura»1. Pasquale Culotta
Vista del Rione Terra di Pozzuoli da sud-ovest con inserimento del volume di progetto.
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TRA ARCHITETTURA E ARCHEOLOGIA. IL PROGETTO PER IL TEMPIO-DUOMO DI POZZUOLI ANDREA SCIASCIA
Il rapporto tra architettura e archeologia ha seguito il destino delle tante soluzioni di continuità provocate dai conflitti accademici, per cui la distinzione in settori scientifico disciplinari ha determinato barriere insuperabili. In particolare, per descrivere il rapporto tra progetto di architettura e archeologia, restano di esempio le parole di Francesco Venezia. «Tempo fa ho avuto una conversazione con un archeologo alto funzionario, e ricordo che si discuteva del Mausoleo di Augusto, e io naturalmente cercavo di sostenere la mia idea circa il fatto che questo monumento – quello che ne rimane – dovesse riconquistare un suo giusto diritto a rientrare nel circolo della vita. Ma l’archeologo alto funzionario mi diceva: “Ma, per Dio, questa è la Tomba di Augusto!”, come a dire: “nessuno osi mettere le mani sulla Tomba di Augusto”»2. Nel percorso di ricerca effettuato, questa distanza è stata fortunatamente infranta in due specifiche occasioni coordinate da Pasquale Culotta: il Concorso internazionale di progettazione per il restauro del Tempio – Duomo di Pozzuoli3 (2004), vinto dal gruppo di Marco Dezzi Bardeschi4; e il concorso nazionale per la Riqualificazione e valorizzazione delle aree Bagni, piazza Pacca, Teatro Romano e Calata Olivella nel Centro Storico di Benevento5 (2005), vinto dal nostro gruppo di progettazione. Nonostante la vittoria a Benevento, per necessità di sintesi, ci si limiterà a descrivere la prima delle due esperienze, anche se entrambe sono, seppur in modo diverso, paradigmatiche per comprendere il rapporto inestricabile tra progettazione architettonica, archeologia e restauro. Il concorso del Tempio–Duomo, aveva come obiettivo la riconfigurazione della chiesa Cattedrale, dopo che una serie incessante di eventi funesti aveva scomposto e, in buona parte, distrutto la fabbrica. Tale architettura domina il Rione Terra dal II secolo a.C., cioè da quando prese forma il podio
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repubblicano sul quale, in seguito, è stato realizzato, nel primo secolo d. C., il Tempio esastilo Augusteo (27 a.C. – 14 d.C.). Il podio e soprattutto il tempio, posto a una quota più alta, sono le parti, i “materiali”, su cui, a sua volta, si innesta il primo nucleo di chiesa per la quale si registrano le trasformazioni maggiori tra il XII e il XVII secolo. Rispetto alla dimensione iniziale dell’edificio sacro pagano, si assiste inizialmente, ad una azione centrifuga, con l’inserimento di una serie di cappelle sui lati, e dopo, nel XVII secolo, ad un consistente ampliamento della pianta a nord, una elongazione, dove si strutturano: un nuovo presbiterio, l’aula capitolare e la Cappella del SS. Sacramento; mentre a sud, in particolare sullo spigolo sud-ovest, è dislocata la sagrestia. Quando questa sarà spostata sull’angolo opposto, si realizza una saldatura della chiesa con la cappella del SS. Corpo di Cristo. Molti degli ampliamenti descritti si devono al periodo barocco e al Vescovo Martino de León y Cárdenas (1632). «Nella relazione ad limina del 16 maggio 1635, il predetto vescovo [Martino de León y Cárdenas] fa un’accurata ed interessante descrizione delle opere compiute: ampliamento della navata – aprendo ampi varchi nelle pareti laterali della cella, scalpellando, tagliando e demolendo le colonne del prospetto principale del tempio romano – con la creazione di otto cappelle, nuova facciata con finestrone centrale e porta marmorea, innalzamento del soffitto con la costruzione sulla trabeazione laterale del tempio romano di due pareti in muratura aventi quattro finestre ciascuna. Il tutto coperto da una volta a botte unghiata ad incannucciata, protetta da un tetto in legno a due spioventi con tegole. Nuovo e vasto coro con altare maggiore in marmo, fiancheggiato da due porte marmoree con epigrafi che immettono nella retrostante sagrestia. Questi elementi furono uniti alla navata centrale mediante l’abbattimento della parte centrale del muro di fondo della cella del tempio romano, propriamente due colonne, tre intercolumni con relativa trabeazione e frontone. Rifacimento del campanile con cupoletta rivestita di scaglie maiolicate e sormontate dalla croce. Costruzione, accanto ad esso, di quattro camere per l’abitazione del sacrista. Elegante portale in marmo all’ingresso laterale del duomo con epigrafe»6. Dopo la mutazione da tempio in chiesa si susseguono, nel corso dei secoli, soprattutto nel XVI e poi nel XX, alcuni eventi catastrofici: il cataclisma del 1538, l’incendio del 1964, il bradisismo del 1970, il terremoto del 1980 che determinano lo stato dei luoghi constatato dai vari gruppi di progettazione nel 2004, in occasione del concorso. Infatti, raggiunto il Rione Terra o dalla strada del Duomo, sul margine nord, alle spalle della sala del Capitolo, o dalla parte opposta, cioè dalla via Crocevia, l’architettura del Duomo, in buona parte scomposta, si presentava divisa orizzontalmente in due parti.
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Ad operare tale separazione era un recente e possente solaio in acciaio, esito dei lavori di restauro, non conclusi, avviati con risorse finanziarie europee. In basso, si trovava ciò che rimaneva del podio repubblicano; in alto la chiesa, priva di copertura a causa dell’incendio, e dove i movimenti tellurici avevano disarticolato e messo in evidenza soprattutto alcune parti: i resti del sistema esastilo del tempio, parte del presbiterio, con gli spazi retrostanti, e la cappella del SS. Sacramento. La navata sub divo, o meglio parzialmente coperta da una provvisoria struttura metallica, rendeva l’area soprastante “archeologica” quanto quella sottostante, in un cantiere continuo in cui soltanto un rilievo accurato, poteva permettere di discernere fra le parti. Decisivo, infatti, è stato il rilievo svolto da Riccardo Florio, prezioso componente del gruppo di progettazione, e dai suoi collaboratori perché, fra i vari elementi, hanno scoperto, al di sotto della quota della attuale sacrestia, «[…] un ambiente in cui è stata rinvenuta un’ipotetica cisterna, che non risultava essere individuata in nessun elaborato documentale, posto alla stessa quota del podio repubblicano»7. Grazie ai dati raccolti dalla campagna di rilievo, è sembrato consequenziale “convertire” la cisterna, in fonte battesimale ampliando, di fatto, la spazialità liturgica dalla quota dell’aula a quella del podio. Proprio il battistero lega il complessivo progetto della chiesa, con il sistema archeologico posto in continuità con il suolo urbano. Se il progetto ha costruito una relazione tra il sedime archeologico, la città e la chiesa, è forse opportuno alzare il punto di vista e osservare l’esito architettonico del progetto dall’alto descrivendo, questa volta, il rapporto tra il Duomo e la città. L’aula della Cattedrale, dall’esterno, si presenta, come una grande teca di vetro; un parallelepipedo puro che esalta la complessiva composizione di volumi del Rione Terra. L’architettura trasparente, ritmata da un sistema strutturale in acciaio, svolge una doppia azione: dall’interno e dall’esterno. All’esterno trasforma, ad uno solo sguardo, in “contemporanee” le varie stratificazioni susseguitesi nel corso dei secoli; all’interno rende concretamente compatibile l’impianto liturgico, adeguato secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II, ai condizionamenti spaziali esercitati dalle membrature architettoniche del tempio e delle preesistenti chiese. L’involucro si legge dall’esterno con chiarezza, grazie anche alla scelta di demolire la fabbrica, di modesto valore architettonico, della sagrestia che avrebbe compromesso la riconoscibilità del Duomo e, in particolar modo, della parete d’ingresso. Questa, liberata dall’accostamento ritenuto improprio, si staglia con nitidezza, per la posizione sopraelevata rispetto alla via Crocevia, e per la sua particolare composizione. Nella parte del basamento e del paramento si riadopera la vecchia struttura muraria, mentre il coronamento trova completamento in
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un’ampia superficie vetrata retta da una struttura metallica. Entrando, e quindi oltrepassando il prospetto sud, ci si accorge come questo contenga in larghezza, due nuove navate laterali che rendono leggibile la forma del tempio, trasformando l’architettura della chiesa in un nuovo strato con la particolare qualità di sovrapporsi senza nascondere le preesistenze. Del tempio «[…] viene rimontato, per anastilosi, parte del frontone su una struttura d’acciaio posta fra le due colonne esterne. Delle quattro colonne che componevano, insieme alle due angolari, il tempio esastilo viene incisa la traccia della sola pianta nella nuova pavimentazione. Questa operazione recupera, seguendo il modus operandi del caso per caso, la memoria della sezione orizzontale delle colonne senza spingersi nella ricostruzione dei fusti»8. Quindi sul pavimento della chiesa resta interamente leggibile, in parte impressa, l’architettura del tempio esastilo e a questa limpidezza d’impianto contribuiscono tanto le navate laterali, quanto le due pause spaziali presenti longitudinalmente. La prima, posta dopo il prospetto sud, dà forma ad un endonartece, dove si trova la penitenzeria; la seconda, situata prima del presbiterio, è caratterizzata dalla presenza dell’ambone seguito, in direzione dell’altare, dall’omphalos. Nella logica della sequenza narrativa, dovrebbe succedere la spiegazione del presbiterio, mentre si ritiene necessaria una riflessione sulla cappella del SS. Sacramento. Questa, valutata la sua integrità strutturale, è stata traslata in avanti, in diretta connessione con l’area celebrativa. Tale spostamento ha liberato la parte angolare del Tempio augusteo e del presbiterio barocco dove, sul margine ovest, una nuova apertura consente al celebrante di accedere direttamente alla cappella della custodia eucaristica. L’altare è il fuoco assoluto dell’aula ed ha, sullo sfondo, il coro e la cattedra. Ribaltando lo sguardo e scegliendo come prospettiva quella che si distende dalla cattedra verso l’aula è opportuno ricordare che quest’ultima è completata da tende in teflon®, utili a schermare i raggi solari e a proporre, all’interno dello spazio liturgico, le immagini della vita di San Procolo, a cui è dedicato il Duomo. L’aula, quindi, può essere almeno in parte oscurata o, all’opposto, se immersa nella luce assoluta farà apprezzare pienamente la differenza tra tempio e chiesa. Su questa diversità, tutta contenuta nelle radici etimologiche delle parole tempio e chiesa, si rimanda ad una precedente riflessione9 ma, in estrema sintesi, l’architettura del primo costringe ad una netta separazione tra il dentro e il fuori, mentre la seconda implica, in linea teorica, una comunità senza soluzioni di continuità. Seguendo sino alle estreme conseguenze l’idea di ecclesia, cioè di chiesa – assemblea, la trasparenza dell’architettura, tema ricorrente del Movimento Moderno e, più in generale, dell’architettura
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contemporanea, si connota di una valenza ancora maggiore perché tende a rendere palese quella tensione utopica, presente in molte architetture di Ludwig Mies van der Rohe, esplicitata dal motto del progetto Ludus absentiae et presentiae, dove è costantemente in gioco la tensione fra limen e limes. Nel progetto proposto è proprio il concetto di confine, di margine, di limite, per l’appunto, ad essere scosso alle radici. Il volume della chiesa comprende, racchiude, protegge e, al contempo, si apre alla comunità dei fedeli. Tale disponibilità va oltre i possibili ragionamenti sulla differenza tra trasparenza letterale o fenomenica10, perché la Cattedrale, nel suo essere ecclesia, supera i suoi stessi limiti fisici divenendo, ad esempio nelle ore serali, una fonte di luce per l’intera Pozzuoli. Note 1. Culotta P., L’architettura pertinente delle stratificazioni, in P.Culotta, R. Florio, A. Sciascia, Il Tempio–Duomo di Pozzuoli. Lettura e progetto, Officina edizioni, Roma, 2006, p. 32. 2. Venezia F., Che cosa è l’architettura, Electa, Milano, 2011, p. 16. 3. Capogruppo: Prof. Arch. Pasquale Culotta, architetto progettista. Componenti: Prof. Arch. Riccardo Florio, architetto progettista; Prof. Arch. Andrea Sciascia, architetto progettista; Arch. Tania Culotta, architetto progettista; Arch. Giuseppe Vele, architetto progettista; Dott. Filippo Demma, Archeologo; Arch. Tiziana Capasso, architetto restauratore; Prof. Ing. Luigi Palizzolo, ingegnere strutturista. Consulenti: Prof. Crispino Valenziano, liturgista; Prof. Cettina Militello, liturgista; Prof. Arch. Maria Giuffrè, storico dell’architettura; Prof. Ing. Angelo Milone, ingegnere impiantista; Arch. Valeria Procaccini, architetto; Arch. Giuseppe Bruno, architetto restauratore; Claudia Tedeschi, specialista in marmi; Valentina Piovan, specialista in affreschi, Prof. Pietro Marescalchi, topografo. Collaboratori: Arch. Teresa Della Corte, architetto; Arch. Carmela Acanfora, architetto; Arch. Vincenzo Guadagno, architetto; Maria Anna Martignetti. Cfr. Pasquale Culotta, Riccardo Florio, Andrea Sciascia, Il Tempio–Duomo di Pozzuoli. Lettura e progetto, op. cit. 4. Cfr. Gianfrano A. (a cura di), Tempio–Duomo di Pozzuoli. Progettazione e restauro, Giannini editore, Napoli, 2006. 5. Capogruppo: Prof. Arch. Pasquale Culotta, architetto progettista. Componenti: Prof. Arch. Riccardo Florio, architetto progettista; Prof. Arch. Andrea Sciascia, architetto progettista; Arch. Tania Culotta, architetto progettista; Arch. Teresa Della Corte, architetto progettista; Arch. Valeria Procaccini, architetto progettista. Consulenti: Ing. Gioacchino Di Giorgio, contabilità dei lavori; Dott. F. Cavaliere, restauro dei beni archeologici e architettonici; Arch. Rosario Morena, elaborazione grafica. Collaboratori: M. A. Martignetti, M. Liparuolo, A. D’Ursi, R. Ciccarelli. Cfr.: Palmieri P. (a cura di), Città di Benevento, Riqualificazione e valorizzazione piazza Cardinal Pacca, Bagni, Teatro Romano e calata Olivella, Clean edizioni, Napoli, 2006, pp. 40–47; Cabestan J. F., Requalification du centre historique. Benevent, Italie, in «Le Moniteur», 2007, pp. 116-119. 6. D’Ambrosio A., Giamminelli R., Il Duomo di Pozzuoli. Evoluzione del tempio augusteo in chiesa cristiana “episcopium sancti proculi”, Diocesi di Pozzuoli, Pozzuoli, 2000, p. 22. 7. Florio R., Rilevare per svelare, in P. Culotta, R. Florio, A. Sciascia, op. cit., p. 18. 8. Culotta P., Florio R., Sciascia A., op. cit., p. 54. 9. Sciascia A., “Il grande nel piccolo, il piccolo nel grande. Gli adeguamenti liturgici di Pasquale Culotta e Giuseppe Leone”, in A. Sciascia, G. Cuccia, E. Palazzotto, A. Sarro (a cura di), Architettura cultuale nel Mediterraneo, FrancoAngeli, Milano, 2015, p. 76. 10. Sciascia A., La trasparenza e la contemporaneità del Tempio–Duomo di Pozzuoli, in P. Culotta, R. Florio, A. Sciascia, op. cit., p. 37.
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«Le seul véritable voyage, le seul bain de jouvence, ce ne serait pas d’aller vers de nouveaux paysages, mais d’avoir d’autres yeux, de voir l’univers avec les yeux d’un autre, de cent autres, de voir les cent univers que chacun d’eux voit, que chacun d’eux est». M. Proust
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INTERCULTURALITÀ COME RISORSA CATERINA GRECO
Proprio oggi che “multiculturalità” e “interculturalità” sono diventate parole correnti del linguaggio della nostra cronaca e ancor più motivo di costante richiamo nella pratica didattica e accademica, nello stesso tempo in cui il ripensamento metodologico e organizzativo delle strutture che amministrano, in Italia e in Sicilia, il patrimonio culturale favorisce l’affermarsi di modelli di gestione interdisciplinari (le Soprintendenze Uniche), le riflessioni che scaturiscono dalla realizzazione del progetto DO.RE.MI.HE. possono risultare quanto mai stimolanti e attuali, per alcuni ordini di ragioni che proverò brevemente a elencare. Innanzitutto perché il lavoro comune cui si sono dedicati studenti italiani e tunisini, guidati da un’eccellente squadra di docenti e affratellati da un’unica esperienza che si è rivelata ben più mobilitante di quella che si sarebbe potuta sperimentare in qualunque altro pur prestigioso campus internazionale, ha portato alla nascita di un serio team professionale, che ha affrontato la progettualità site-specific di Agrigento e Zaghouan utilizzando la stessa metodologia di approccio e che ha alla fine elaborato modelli praticabili e variamente e liberamente mutuabili, in entrambi i sensi e in entrambi i contesti culturali. Non era scontato che accadesse, non era automatico che si creasse il clima giusto a enfatizzare al massimo grado empatia, solidarietà, creatività, e perciò il risultato ci appare tanto più apprezzabile. Il secondo punto che mi preme sottolineare è la “pariteticità” dell’apporto di architetti, archeologi, specialisti di messa in valore del patrimonio culturale, alle varie elaborazione progettuali che hanno costituito la “prova d’orchestra” dei gruppi di lavoro. Il senso e l’esperienza concreta (di analisi, prima, e di proposta, poi) di una progettualità realmente interdisciplinare e condivisa costituisce, a mio modo di vedere, il valore aggiunto e il fine autentico di questa vivace e appassionante
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vicenda scientifica, che si è anche umanamente legata – e non avrebbe potuto accadere diversamente – alle contemporanee drammatiche vicende che hanno segnato nel corso del 2015 la Tunisia e che i giovani protagonisti del progetto hanno vissuto in qualche modo nel vivo della propria storia personale, rendendo ancora più evidente, per tutti loro, la consapevolezza di far parte di un mondo mediterraneo realmente “comune”. È importante che questi ragazzi abbiano sperimentato in un lavoro di gruppo cosa significa guardare uno stesso oggetto di ricerca con sguardi diversi, interrogandolo e interrogandosi man mano che il confronto dialettico faceva lievitare prospettive e intravedere soluzioni e traguardi per ciascuno dei problemi affrontati e per ciascuno dei casi-studio esaminati, provando cioè ad analizzare e progettare “insieme”, e non ad allineare al compimento del progetto su uno stesso tavolo il frutto, magari singolarmente valido, di ciascuna elaborazione e specificità disciplinare. Di tutte le esperienze maturate nel corso del progetto, la dimestichezza a praticare un approccio “olistico”, cioè sistemico e interconnesso, del patrimonio culturale considerato come un organismo vivo e complesso sarà, spero, il risultato che ciascuno di questi ragazzi porterà d’ora innanzi nel suo futuro percorso professionale, qualunque esso possa essere. Perché questo era il vero scopo del Campus: innestare in questi ragazzi, che hanno sperimentato in DO.RE.MI.HE. un segmento significativo del proprio percorso di formazione specialistica, l’abitudine a concepire la progettazione di interventi nel paesaggio culturale nel quale siamo immersi, ad ogni latitudine spazio-temporale, e che acquisisce ancora maggiore pervasività e rilevanza in siti con forte connotazione storica e monumentale, come un necessario confronto tra saperi scientifici e metodologici diversi che debbono saper convergere verso un unico risultato, il quale a sua volta dovrà essere il prodotto inscindibile del lavoro di tutti e non di quello di ciascuno. Un ulteriore filo rosso, all’interno di questa elaborazione condivisa che è partita e si è nutrita del confronto fra le due distinte “diversità” culturali, siciliana e tunisina, in realtà percorse da molte e fertili trasversalità sul piano della tradizione storica di lungo periodo che tocca entrambe le sponde del Mediterraneo, è stato la ricerca di parametri e di livelli di progettualità standardizzabili come “buone pratiche” in siti UNESCO – quello di Zaghouan ancora allo stadio di candidabilità, quello della Valle dei Templi di Agrigento tra i primi ad essere stati riconosciuti in Italia e la cui eccellenza costituisce un esempio polarizzante nell’intero panorama mediterraneo-, in siti, cioè, sottoposti a particolari regimi
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di conservazione e di valorizzazione integrata, con piani di gestione territoriale che dettagliano con norme molto stringenti i criteri di trasformabilità e di adattabilità alle esigenze molteplici, complesse, tendenzialmente globalizzanti, della nostra vita contemporanea. E tutto ciò deve però saper convivere con l’esigenza di non sfigurare l’identità storico-paesaggistica e la fisionomia individuale che i luoghi UNESCO recano come marchio irrinunciabile della loro stessa esemplarità culturale, riconosciuta a livello mondiale. È questo il tema più sensibile e il caso di Agrigento può rappresentarne un test assai efficace: il più avvincente per chi si accosta alla programmazione progettuale con le armi della creatività e dell’innovazione; il più spinoso per chi deve gestire la tutela e la valorizzazione (da noi ad Agrigento Soprintendenza e Parco, essenzialmente) districandosi tra una serie di norme vincolanti, oggettivizzate su parametri che hanno una loro precisa ragion d’essere storica, ma di cui oggi non possiamo non rilevare alcune evidenti contraddittorietà teoriche, specie se raffrontate alla percezione positiva di cui ormai il sito gode stabilmente nella valutazione corrente della cittadinanza e della comunità nazionale e internazionale. Su alcuni aspetti si soffermeranno nelle pagine che seguono con maggiore precisione e ampiezza di argomenti vari colleghi e studiosi, ma io vorrei intanto provare a sottolineare qui, toccandole solo fuggevolmente, alcune criticità con le quali occorre confrontarci quotidianamente. In questo momento, ad esempio, l’atteso Piano del Parco, strumento di programmazione e gestione territoriale dell’ambito della zona A e cioè il cuore del sito UNESCO che coincide in toto con il perimetro del Parco, non è ancora divenuto operativo perché si attende l’esito di alcuni passaggi autorizzatori di tipo urbanisticoambientale (la Valutazione d’Impatto Ambientale). Già previsto dalla L. R. 20/2000 come norma attuativa che dovrà regolare ogni tipo di attività e di uso consentiti all’interno del Parco – che com’è noto accanto a una vastissima area monumentale di proprietà del demanio regionale direttamente gestita dall’Ente comprende zone altrettanto estese costituite da proprietà private, il Piano del Parco, dopo anni di attività di studio e ricerca, è stato definito nel 2008, ma ancora oggi se ne attende l’approvazione finale, che dovrà avvenire con decreto dell’Assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana. Sicché in questo momento vigono nel territorio archeologico del Parco, soggetto a un regime fondiario essenzialmente pubblico-privato, le norme della L. R. 20/2000 e quelle dei Decreti Gui-Mancini , che nell’art. 3 della stessa legge costituiscono elemento tracciante e significante stabilendo che
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«Nella zona è fatto divieto di eseguire nuove costruzioni, impianti e in genere opere di qualsiasi specie, anche se di carattere provvisorio»1. I criteri, i divieti e le attività consentite da questo impianto normativo sono state recepite dal Piano Territoriale Paesaggistico della provincia di Agrigento che, all’ambito di tutela 28, include, nella corrispondente unità di paesaggio locale, il perimetro del Parco Archeologico, soggetto a livello di tutela 3, ovvero il più rigido e conservativo tra i livelli previsti. In base a tali norme, essendo il territorio del Parco sottoposto a tutela integrale, si applica pertanto il regime di inedificabilità assoluta, che preclude a priori qualunque nuova attività edificatoria, anche provvisoria, seppure finalizzata a scopi di valorizzazione e fruizione ritenuti pienamente compatibili con l’attività del Parco. Il Piano del Parco, per quanto tuttora non decretato, si adegua allo stesso dettato legislativo. Il principio cui si ispira tale regime di tutela, fortemente conservativo, preordinato quasi esclusivamente all’attività di ricerca, scavo, restauro dei monumenti, orientato a inibire le azioni sul territorio piuttosto che a stabilirne una loro ragionata regolamentazione, è “storicamente” comprensibile e per l’epoca e per le circostanze in cui determinò l’adozione di una normativa speciale, divenuta poi un modello insuperato e cogente di tutela (la fine degli anni ’60 del secolo scorso), esso fu certamente giusto e necessario. Di più: se oggi godiamo del paesaggio archeologico e naturalistico della Valle come di un insieme coerente e sostanzialmente integro – e se ciò è compiutamente vero per la dimensione pubblica e monumentale del Parco, non lo è affatto se invece consideriamo la topografia complessiva della zona A che include vastissimi areali sfregiati dall’edilizia abusiva della fine del ‘900, è perché quello strumento di tutela per la sua stessa radicalità, perentorierà ed estensione si rivelò efficace, non tanto come fattore compiutamente riuscito di deterrenza nell’assicurare il controllo edilizio del territorio, quanto perché produttivo di effetti giuridici permanenti e validi ancora oggi (ne sono una testimonianza le demolizioni, sulle quali l’anno 2015 ha segnato una pagina nuova e irreversibile). E tuttavia il fatto che oggi quello che dovrebbe essere strumento di pianificazione degli usi e quindi di “trasformabilità” possibile, intelligente, storicamente diacronica del territorio, ciò insomma che fa del “paesaggio” il valore costituzionale e teorico che ad esso tutti riconosciamo – il contesto delle trasformazioni antropiche succedutesi nell’ambiente naturale attraverso il tempo, individuate come fattori attivi e permanenti di culturalità – che ciò al contrario diventi ad Agrigento elemento di cristallizzazione e di mummificazione passiva,
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solo apparentemente nobilitata dall’esigenza di assicurare adeguate condizioni di decoro al perpetuarsi dell’immagine incorrotta di un patrimonio storico-architettonico straordinario, costituisce a mio avviso un’insanabile aporia, teorica prima che pratica, rispetto allo stesso concetto di “paesaggio culturale”, di cui il parco-istituzione rappresenta, viceversa, il più riuscito manifesto di una efficiente macchina organizzativa, un modello operativo concepito in Sicilia e che adesso anche lo Stato ha mutuato nella sua nuova riforma dell’amministrazione del patrimonio culturale. Tocco un punto cruciale, e dunque è il caso di essere molto, molto chiari, perché non vorrei che le mie parole dessero luogo a malintesi maliziosamente utilizzati a fini strumentali. Non intendo spezzare alcuna lancia a favore della “trasformazione” se questa è intesa come un ritorno generalizzato e indiscriminato all’edificazione massiccia, intanto perché penso che quel modello di sviluppo, sostanzialmente antitetico rispetto ai valori di bellezza condivisa evocati dal paesaggio archeologico e naturalistico di un sito unico nel Mediterraneo, sia economicamente oltre che culturalmente sorpassato, e soprattutto perché ne conosco gli esiti accumulatisi nei decenni in cui l’abusivismo investì anche le zone pur strettamente tutelate della Valle dei Templi, imponendosi con le sue forme degenerate di marginalità e povertà percettiva ed estetica, oltre che di illegalità diffusa e apertamente tollerata da quelle stesse istituzioni che avrebbero dovuto, per legge, controllare e preservare il territorio. Un disastro paesaggistico che se non ha per fortuna intaccato i luoghi centrali e il cuore monumentale del Parco, rimasto sostanzialmente intatto per l’azione vigile di una Soprintendenza Archeologica che presidiava anche fisicamente il sito, ha però corroso le cerniere urbanistiche con le altre aree della città antica e moderna (le colline di Girgenti e della Rupe Atenea), ne ha occupato disordinatamente la fascia costiera e le zone di transizione ai paesaggi limitrofi, minando la comprensione del contesto ambientale nella sua interezza e originando – in tutte le direzioni – una proliferazione caotica di entità urbane disseminate negli spazi interstiziali della maglia geografica, che rappresentano i tanti volti delle Agrigento che conosciamo. Per questo la perimetrazione del Parco imposta dal decreto Nicolosi del 1991, poi ripresa dall’art. 2 della L. R. 20/2000, ha salvato, letteralmente, la Valle dei Templi facendone il centro pulsante attorno al quale ruota e può essere ripensato il sistema-città, e per la stessa ragione gli immobili costruiti abusivamente all’interno dell’area del Parco, essendo insanabili, devono essere demoliti: le regole fissate
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dalle norme non possono essere né eluse né raggirate, ed essere a favore di una modernizzazione intelligente non può e non deve prescindere dal rispetto praticato ed effettivo della legge. Ciò posto, io mi chiedo tuttavia se non vi sia un’evidente contraddizione nel concepire uno strumento di pianificazione qual è il Piano del Parco, destinato a regolare con efficacia la vita del territorio per i decenni a venire, che si limita a registrare asetticamente il regime di una “immodificabilità” pressoché totale, ovvero, e forse peggio, finalizzato a concepire la “trasformabilità” unicamente in funzione delle esigenze di ricerca, di fruizione, di valorizzazione dell’ente preposto a gestire il demanio pubblico e a disciplinare le attività dei terreni in mano ai privati, come se si trattasse di un immenso laboratorio archeologico a cielo aperto invece che di un paesaggio-territorio vivo, e che, facendo ciò, vede il presente e il passato ma non immagina, né consente di immaginare, il futuro. Il concetto stesso di immodificabilità cozza con quello di paesaggio: visto che tutti noi “leggiamo il tempo nello spazio”, perché «leggiamo i paesaggi come un mosaico di compresenze sincroniche, e insieme come uno stratificato palinsesto diacronico» (Karl Schlögel). Ed è da questo confronto che acquisiamo consapevolezza della nostra identità culturale. Ho riflettuto perciò anch’io, nei momenti di condivisione della presentazione degli elaborati progettuali frutto del lavoro di questi ragazzi, alcuni dei quali molto interessanti e innovativi, su questo insanabile paradosso, che propone un approccio dogmatico, non scientifico né tantomeno storicistico ma malinconicamente “burocratico” – e mi spiace dirlo, perché è parola ormai vituperata del linguaggio corrente che proprio io non dovrei usare – al tema della programmazione territoriale nell’ambito del Parco Archeologico. E che è figlio della stessa stagione in cui si immaginava che la costituzione del Parco dovesse procedere attraverso una progressiva “demanializzazione”, estensiva e concentrica, dell’intero territorio archeologico del Parco: un recinto entro il quale proteggere il complesso monumentale e il suo incomparabile scenario paesaggistico dalla pressione scomoda di una contemporaneità che tutt’intorno mostrava il volto del degrado urbanistico e dell’abusivismo, gestendolo dal di dentro e tenendo il mondo fuori; qualcosa di simile a una riserva indiana. In definitiva, un approccio sostanzialmente pessimista e rinunciatario, che si nega a ogni possibile forma di flessibilità, a ogni genere di pur cauta progettualità, anch’essa da normare e da discutere, per timore che entrambe possano generare nuove occasioni di abusi e di usi degenerativi del territorio. Una
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paura fondata, se guardiamo al territorio solo con gli occhi della storia recente, ma che dovremmo provare ad avere il coraggio di lasciarci alle nostre spalle, invece che rinchiuderci nella trincea rassicurante dei divieti assoluti, paralizzanti e comodamente anonimi. Chi scrive non ha certezze precostituite, né soluzioni immediate da offrire; il nostro mestiere è applicare le norme esistenti e di cercare di farlo il più rigorosamente possibile. Trovo però sia una perdita il solo fatto che degli audaci, bellissimi padiglioni ecosostenibili e del tutto smontabili (le strutture precarie, anch’esse proibite) che l’ingegno e l’estro creativo di architetti del calibro di Wolfgang Buttress, di Norman Foster o di Daniel Libeskind hanno realizzato per l’Expo di Milano 2015 non si possa, ad Agrigento, nemmeno coltivare il sogno di vederli, un giorno e anche per un tempo limitato, librarsi come astronavi in qualche angolo della Valle, per una qualche occasione degna del valore e dell’importanza che tutti noi riconosciamo al sito UNESCO… E penso che c’è qualcosa di profondamente sbagliato, di ideologicamente incomprensibile, nel ritenere che sia valorizzazione compatibile con gli scopi perseguiti dal Parco aprire alla realizzazione di “eventi” mondani che capitalizzano in senso economico l’immagine del patrimonio monumentale – con modalità tuttora incerte e ambivalenti, su cui non si è riusciti a varare una disciplina uniforme – e negarsi poi anche la sola possibilità di valutare un progetto di architettura contemporanea che potrebbe interferire con la concezione stereotipata e fissa del paesaggio della Valle. Di quello che questo paesaggio “deve” o “dovrebbe” essere. Di un tale tema mi pare valga la pena di continuare a discutere.
Note 1. La normativa specifica in vigore per la Valle dei Templi è frutto di una legge speciale (D.L. 30 luglio 1966 n. 590, convertito in L. 28 settembre 1966 n. 749), il cui articolo 2 bis contiene la dichiarazione della Valle dei Templi come “Monumento Archeologico di interesse nazionale”, e di appositi regolamenti attuativi interministeriali (Ministeri dei Lavori Pubblici e della Pubblica Istruzione, all’epoca titolare anche per le Antichità e Belle Arti) che disciplinano minutamente ogni genere di attività ammissibile nella zona A soggetta a inedificabilità assoluta (DD.MM. 16-5-1968 e 7-10-1971, cosiddetti Gui-Mancini; DPRS 13-6-1991, c.d. Decreto Nicolosi, quest’ultimo emanato ai sensi dell’art. 25 della L.R. 37/1985). L’istituzione del Parco è avvenuta con la Legge Regionale n. 20 del 3 novembre 2000. Il Piano Territoriale Paesaggistico della Provincia di Agrigento, adottato con D.A. n. 7 del 29 luglio 2013, include nell’ambito del paesaggio locale n. 28 “Akragas” il territorio del Parco Archeologico.
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PATRIMONIO E CREATIVITÀ
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IL PARCO E IL PROGETTO GIUSEPPE PARELLO
Il coinvolgimento del Parco della Valle dei Templi di Agrigento all’interno del progetto DO.RE.MI.HE. – promosso nell’ambito del Programma di Cooperazione Transfrontaliera ENPI Italie-Tunisie, finanziato dall’Unione Europea, guidato dall’Università di Tunisi come soggetto beneficiario e dal Polo di Agrigento dell’Università di Palermo come partner – ha rappresentato un’occasione di incontro con il mondo della formazione e della ricerca e una ricca esperienza di confronto con i giovani studiosi che di questo progetto sono stati i protagonisti. Nel progetto sono state sperimentate formule e modalità finalizzate all’elaborazione di un modello condiviso per l’istituzione di un dottorato di ricerca multidisciplinare sulla gestione e valorizzazione innovativa dei siti archeologici. La Valle dei Templi, unico sito italiano insieme al sito tunisino di Zaghouan, è stata inserita come caso studio da proporre ai giovani studiosi che si sono cimentati nella redazione di ambiziosi progetti di fruizione e valorizzazione durante lo stage svolto presso l’Ente Parco. Sono stati ospiti del Parco tre studenti in archeologia e un giovane architetto che, nel periodo compreso tra maggio e agosto, hanno partecipato con interesse alle attività ordinarie degli uffici del Parco secondo le indicazioni fornite loro dal personale interno all’Ente. Hanno infatti preso parte a diverse iniziative di tipo didattico e divulgativo, dando un buon contributo di competenze e conoscenze e dimostrandosi sempre aperti al dialogo e al confronto. Su indicazione del tutor hanno inoltre lavorato a un progetto di valorizzazione dell’area del cardo I, importante arteria di collegamento tra la via Sacra e il Quartiere ellenisticoromano, oggetto in anni recenti di notevoli interventi mirati al miglioramento della fruizione.
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PARCO
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Sopra/ Turisti in visita al Parco. Sotto/Attività didattiche organizzate dal Parco Valle dei Templi: visita al Telamone del tempio di Zeus Olympios.
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L’esperienza formativa svolta nel Parco ha offerto ai giovani protagonisti del progetto un’occasione di confronto con una realtà nella quale i temi della gestione e della valorizzazione sono parte integrante del piano di sviluppo portato avanti da diversi anni e ha offerto loro l’opportunità di misurarsi sul terreno della concretezza progettuale anche attraverso il confronto con i tecnici che hanno fornito indirizzi e materiali. Il Parco si è proposto anche come sede per altre attività del progetto DO.RE.MI.HE., quali il Forum dei soggetti territoriali – che ha visto la presenza di una grande quantità di enti, associazioni e singoli soggetti che si sono confrontati sulle politiche di valorizzazione e di tutela rivolte alla costruzione di sviluppo e crescita di un territorio in cui la Valle è centro propulsore e modello per l’attuazione di piani di gestione relativi ad altre realtà culturali del territorio – e l’evento di chiusura dei lavori, dedicato alla discussione dei lavori finali degli allievi. Ancora una volta dunque il Parco, per il suo patrimonio, è stato al centro di un’ampia analisi, motore di una costruttiva discussione sulle potenzialità insite in ciascun bene culturale. Il confronto con la vicina Tunisia, a cui ci lega un passato di culture condivise, in un momento molto difficile per la sua storia, ci rende particolarmente orgogliosi di un’amicizia già esternata in altre occasioni di collaborazione e di incontro tra persone. Vorrei dire grazie agli amici delle Università di Tunisi e Palermo e del CUPA di Agrigento e grazie ai ragazzi che sono stati protagonisti di un’occasione importante di dialogo – tra Enti di natura diversa e appartenenti a Paesi diversi – che hanno voluto dedicare le loro ricerche al Parco che si è aperto, come sempre, ai bisogni formativi del territorio, alle idee e ai progetti di innovazione.
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G. Tuzzolino, Agrigento. Schizzo del piazzale Aldo Moro.
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LE MANI (SAPIENTI) SULLA CITTÀ GIANFRANCO TUZZOLINO
Uno degli obiettivi della ricerca architettonica consiste nel comprendere i processi attraverso i quali il progetto costruisce nuove identità per la città contemporanea esprimendo una compiuta modificazione dello spazio fisico. Si tratta, infatti, di restituire rinnovata coerenza ai luoghi dell’accumulazione, che hanno smarrito il senso e la misura, o ai luoghi antichi, sommersi come sono da incessanti ed eterogenee stratificazioni. Così, ogni volta che ci si volge ad Agrigento con sguardo autentico, finalmente interessati all’interpretazione radicale della sua forma e, quindi, alle ragioni molteplici del suo sviluppo, credo che s’individui per questa città una potenziale prospettiva di modernità. Essa consiste essenzialmente nella riappropriazione dei principi insediativi originari e nella ricerca di un equilibrio nuovo tra storia e contemporaneità. Per questo ho sempre pensato che sia opportuno rimettere “Le mani sulla città”1, non per continuare a travisare i suoi valori insediativi o perpetrare razzie sulla sua ricchezza spaziale e paesaggistica, ma per arrivare a un rapporto più vero con la sua struttura fisica, tornando a favorire quell’appartenenza che può ancora produrre l’armonia dell’abitare2. Credo che frequentare questo grande “patrimonio di senso”, che l’uomo ha soffocato e frainteso, voglia dire ridestare tutta la bellezza nascosta. È per questo che, da anni ormai, ho assunto Agrigento come una sorta di laboratorio vivo in cui portare avanti un percorso di ricerca che vuole sperimentare il progetto nel costruito3. Ma il progetto è, soprattutto, uno strumento ermeneutico e positivo, capace di generare un cambiamento radicale operando il riconoscimento e la messa a punto di nuove relazioni. Ecco perché presuppone uno “sguardo” amorevole verso i luoghi4. La città, poi, è per eccellenza il luogo dell’artificio, la struttura composita a estensione continua che produce “forme, spazi, paesaggio”. Questa triade, che comprende categorie critiche ampie e prive di pregiudizi
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storicistici o linguistici di sorta, permette diverse variazioni interpretative dello stesso organismo (o, se si vuole, di acquisire differenti verità della medesima vicenda urbana). Così Agrigento è città molteplice che comprende diverse città: la “città storica”, il cui impianto arabo è stato ampiamente trasformato e arricchito tra ‘700 e ‘800; è la “città contemporanea” derivante dall’espansione del secolo appena concluso; è, infine, la “città archeologica”, matrice prima dell’insediamento e compendio fertile di valori artistici e urbani. Si tratta, pertanto, di capire tracce e significati, di individuare i capisaldi fondativi e resistenti di un luogo complesso per elaborarvi nuove visioni e scenari di cambiamento. In tal senso, mi pare interessante illustrare alcune affascinanti esperienze di elaborazione didattica scaturite da un’approfondita consapevolezza dei luoghi e in seguito ad alcune riflessioni teoriche e progettuali5. Esse hanno permesso di individuare vere e proprie soglie d’accesso, chiavi di lettura condivise (per certi versi volutamente arbitrarie) ma utili per definire un campo di lavoro e un approccio alla conoscenza e alla trasformazione. La prima tematica ha individuato nelle reti (ideali, fisiche o virtuali), da sovrapporre al disegno della città come un reticolo sovrastrutturale, un labirinto ragionato, un apparato leggero in grado di svelare nuove relazioni, collegamenti o rimandi, rafforzando alcune linee del tessuto consolidato e suggerendone altre di nuova concezione, prefigurando sistemi di risalita o insinuando inedite traiettorie dentro l’organismo costruito. I progetti che hanno sperimentato questo approccio, hanno riguardato la nuova accessibilità al Parco dell’Addolorata (riqualificato, trasformato e connesso alla viabilità storica e a quella più recente), mettendo a punto un rapporto più diretto e funzionale tra questa importante infrastruttura verde, oggi atrofizzata ed esclusa dalla fruibilità urbana, e il tessuto della città, nel tentativo di inserire nel circuito delle possibilità spaziali un luogo denso di qualità e aperto al paesaggio. La struttura delle reti consente, inoltre, di legare con opportune maglie viarie, passerelle sospese, risalite meccaniche e attraversamenti pedonali, gran parte del centro storico ai quartieri cresciuti negli anni ’50, in prossimità delle mura chiaramontane e a ridosso dell’invaso ferroviario della Stazione centrale. Le reti, infine, svelano un ulteriore, ma non meno importante, modo di abitare la città. Potenziando, infatti, alcuni percorsi esistenti e attivando nuovi collegamenti strategici in direzione monte-valle, dal piazzale Aldo Moro verso la zona dello Stadio Esseneto, si attiva finalmente quella permeabilità urbana al Parco Archeologico che non è mai stata efficacemente espressa.
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La seconda tematica ha riguardato il margine urbano nord, in prossimità della via Imera e il parcheggio degli autobus di piazzale Rosselli. Questi luoghi appaiono irrisolti e fanno pensare a straordinarie occasioni di progetto clamorosamente mancate nelle politiche di completamento dell’assetto urbano. Suggeriscono in particolare la necessità di un chiarimento del rapporto tra la natura minerale della città e quella vegetale, data dai boschi che la stringono in più parti. Il dialogo tra natura e artificio ha ispirato il progetto di nuove architetture pubbliche (contenenti funzioni ludiche, culturali, commerciali e infrastrutturali) in cui gli spazi aperti trascolorano e si perdono nel bosco, prefigurando nuovi accessi urbani e un’inedita fruibilità degli spazi verdi. Si è così
SCHIZZI
G.F. Tuzzolino, Agrigento, Studi progettuali per Piazzale Aldo Moro.
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SCHIZZI
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
Sopra/G.F. Tuzzolino, Agrigento. Schizzo del margine Nord e dell’accesso alla città. Sotto/G.F. Tuzzolino, Agrigento. Schizzo di una nuova centralità urbana
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pervenuti alla configurazione di architetture misurate e mai eclatanti per linguaggio, che esaltano i significati estetici del vuoto e un orizzonte troppo spesso trascurato, quello della campagna e dell’entroterra siciliano. La città, infatti, nella sua crescita ha sempre privilegiato il rapporto visivo e strutturale verso sud, verso la costa e il mare. Il nuovo margine può essere interpretato come un insieme di spazi intermedi, rappresentati da edifici lineari che alludono a frammenti di mura e che contengono sistemi di risalita dal bosco, parcheggi sotterranei posti sotto nuove piazze-belvedere, piani leggermente inclinati che modulano e alleggeriscono la materialità del suolo. Una terza tematica ha cercato di interpretare la “cerniera” costituita dal vuoto del cosiddetto Taglio di Empedocle, nel punto esatto in cui si incontrano la Collina di Girgenti e la Rupe Atenea, dove nei primi decenni del ‘900 si realizzò la più grande “piazza metafisica” della città (l’attuale piazza Aldo Moro), destinata alle affollate adunanze fasciste e nata come spazio complementare alle due preziose architetture che hanno segnato (e tuttora segnano) in maniera indelebile la vicenda linguistica moderna di Agrigento: l’edificio delle Poste di Mazzoni6 e la Casa del Balilla di Del Debbio7. Il progetto riporta questa piazza al ruolo di eccezionale vuoto urbano che, liberato dal traffico veicolare e dagli alberi che attualmente ne turbano l’integrità dell’immagine, torna a mostrare tutta la potenza della sua estensione (coinvolgendo lo spazio retrostante della Casa del Balilla) a vantaggio di una più chiara riconoscibilità. Il progetto interviene sul recupero della continuità figurale e dell’omogeneità materica alla superficie dell’invaso nonché sull’elaborazione architettonica del suo perimetro, prevedendo la sostituzione di alcuni edifici d’angolo e il potenziamento di alcune torri con le quali costituire fuochi prospettici e nuovi landmark urbani. Una quarta tematica ha, invece, sviluppato il concetto di “interfaccia” tra città e Parco nell’ampia area oggi occupata dallo Stadio Esseneto, dal palazzetto dello sport, da un edificio per attività sportive (fuori misura e mai completato), da un grande parcheggio e dalla piazza del mercato. Si tratta di un ambito strategico per Agrigento, un vero e proprio luogo di “confine” sito all’interno del sistema urbano, una terrazza sulla Valle che, duplicando il dispositivo spaziale del viale della Vittoria, rappresenta una fascia di raccordo tra il tessuto vivo della città e il Parco Archeologico. Si ritiene che le funzioni e gli edifici che, allo stato attuale, sono qui insediati possano essere sapientemente modificati, dando vita a nuove piazze, luoghi per lo svago, edifici per lo shopping, orti aromatici, giardini e, soprattutto, a un’articolazione orizzontale di
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architetture atte a favorire l’accesso e la piena fruizione del Parco. Gli edifici di questa interfaccia urbana consentono la duplice relazione (fisica ma anche visiva) tra la città contemporanea e quella archeologica. Sprigionano un forte potenziale didascalico e simbolico per esplicitare al meglio i rimandi e le informazioni sull’antica Ἀκράγας e contenere tutti i servizi (parcheggi, biglietterie, bar, librerie) necessari alla piena funzionalità del Parco, sgravando le zone più interne di ulteriori costruzioni. Il progetto prevede anche il ripensamento dell’odierna configurazione dello stadio, trasformandone l’involucro in una struttura luminosa capace di arricchire il paesaggio urbano e articolando lo spessore del recinto esterno con una serie di spazi pubblici e commerciali, tesi a rigenerare lo scambio sociale in questa particolarissima parte di città. Fin qui ho provato a descrivere il senso di una ricerca che ha espresso esiti verificabili e ha tracciato traiettorie percorribili per il progetto. Ho tentato, poi, di spiegare come le questioni riguardanti la città, la sua dimensione paesaggistica, ma anche il suo potenziale di relazioni interne siano tutte riconducibili a una sorta di azione di “riconoscimento minuzioso” e di “modificazione” conseguente da svolgere dentro il territorio denso e molteplice del presente. A partire dallo stato di fatto, pieno di contraddizioni o di errori che hanno condizionato il determinarsi della forma urbana e delle sue identità spaziali, da esplorare senza pregiudizi è ancora possibile inventare una insperata bellezza e trovare un nuovo senso.
Note 1. Il tema è ispirato al film di Francesco Rosi “Le mani sulla città” (1963), ma il senso è ovviamente invertito. L’opera, infatti, racconta la devastazione urbana, la sovrabbondanza e l’incoerenza costruttiva derivante dal boom economico degli anni ’60. La didascalia del film specifica che «i personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce». Credo che occorra rimettere le mani sulla città con una prospettiva felice, prefigurando una nuova azione di ricostruzione sociale ed estetica. 2. Per approfondire il concetto di appartenenza rimando alla lettura di: Tuzzolino G.F., “Progetto e appartenenza”, in La poetica del limite. Otto riflessioni sul progetto di architettura, coll. Progetto e architettura, la Palma, Palermo, 2001, p. 23. 3. Mi riferisco alle ricerche che ho condotto nel corso di un decennio sulla città di Agrigento, a proposito delle strategie di riqualificazione formale e spaziale e sul rapporto tra città contemporanea, paesaggio e archeologia. 4. Si veda: Tuzzolino G.F., La misura e lo sguardo. L’architettura nel paesaggio delle differenze, coll. Mosaico, Libria, Melfi, 2012.
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5. L’esperienza didattica cui mi riferisco in questo scritto riguarda, in particolare, il Laboratorio di progettazione IV che ho tenuto nell’a.a. 2014/2015 nel Corso di Studi di Architettura LM4, presso la sede di Agrigento. 6. L’edificio delle Poste di Agrigento è stato progettato e realizzato da Angiolo Mazzoni (18941979) tra il 1931 e il 1939. 7. La casa del Balilla (o sede della Gioventù Italiana del Littorio) di Agrigento è stato progettato e realizzato da Enrico Del Debbio (1891-1973) tra il 1929 e il 1931.
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Robert Koldewey, Otto Puchstein, Die griechischen Tempel in Unteritalien und Sicilien, Asher, Berlin 1899, Vol. 2, Table 29 right side. La cartografia evidenzia il sistema dei rilievi – Colle di Girgenti, Rupe Atenea, Collina dei Templi – che ha predeterminato il tracciato delle mura urbiche di Akgragas.
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CARATTERI URBANISTICI DEL SITO ARCHEOLOGICO DI AKRAGAS. DAL SITO ARCHEOLOGICO AL PARCO ARCHEOLOGICO E PAESAGGISTICO DELLA VALLE DEI TEMPLI DI AGRIGENTO ANGELA ALESSANDRA BADAMI Tipologia del caso studio Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento (Italia, Sicilia, Agrigento). Parco Archeologico Regionale, iscritto nella WHL dell’UNESCO dal 1997 con compresenti rilevanti valori relativi a: patrimonio materiale e immateriale, paesaggistico e ambientale, centri storici e territorio urbanizzato. Sintesi Il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento ha una superficie complessiva di circa 1.400 ha all’interno dei quali sono tutelati sia i cospicui resti dell’antica città di Akragas, fondata nel VI sec. a.C. da coloni rodio-cretesi provenienti dalla colonia di Gela in Sicilia, sia il paesaggio agricolo e forestale di contesto. La particolare natura giuridica del Parco prevede, unitamente alla tutela dei reperti archeologici, anche la salvaguardia dei valori paesaggistici e ambientali del territorio, espressione dei paesaggi agricoli siciliani tradizionali caratterizzati dalla presenza di vigneti, oliveti e mandorleti, riconoscendo la salvaguardia del contesto nel quale i reperti sono inseriti come condizione essenziale alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio archeologico. Il testo analizza le varie fasi che hanno caratterizzato la tutela del patrimonio archeologico e paesaggistico della Valle, conteso tra le esigenze della salvaguardia e le pressioni dello sviluppo edilizio, molto spesso di natura abusiva. Caratteri urbanistici del sito archeologico di Akragas La città di Akragas occupava l’ampia vallata compresa tra i rilievi della Collina di Girgenti e della Rupe Atenea a nord, il ciglio del costone calcarenitico che scende a pareti verticali sul pianoro verso il mare a sud e le cime dei dirupi ad est ed ovest che, connettendo il sistema dei rilievi, ha
UN’ALLEANZA NECESSARIA
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ARCHEOLOGIA
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
Sopra/Agrigento. Parco Archeologico,Telamone del Tempio di Zeus Olimpio, uno dei più grandi edifici religiosi della grecità edificato sul costone roccioso della Collina dei Templi in posizione sopraelevata rispetto al territorio pianeggiante prospiciente il mare. Sotto/Agrigento. Parco Archeologico, Agorà superiore della città di Akragas, Ekklesiasterion.
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prederminato il tracciato delle mura urbiche. Il circuito murario, lungo circa 12 km, cingeva l’insediamento che, con la sua estensione di circa 250 ha, ha costituito non solo una delle più grandi città dell’antichità, ma anche una tra le più ricche e monumentali, come testimoniato da Pindaro: «bellissima fra le città mortali» (Pindaro, Pitica XII, A Mida d’Agrigento Auleta, 490 a.C.). L’opulenza e la sontuosità della città vengono inoltre citate da Empedocle che, secondo quanto riportato da Diogene Laerzio, sottolineava che «gli Agrigentini si danno alla mollezza come se dovessero morire domani, mentre costruiscono case come se fossero destinati a vivere per l’eternità» (Diogene Laerzio, Vita e dottrine di coloro che si segnalarono nella filosofia [titolo incerto] III sec. d.C.). La maggior parte degli edifici monumentali (templi di Hera Lacinia, c.d. Concordia, Eracle, Zeus Olimpio e santuario delle Divinità Ctonie) sono allineati lungo la cosiddetta Collina dei Templi, attraversata da una strada con andamento est-ovest sul ciglio del costone calcarenitico che definisce i confini della città a sud (fig. p. 62); le pareti a strapiombo del costone roccioso garantivano un posizionamento strategico di tali edifici religiosi conferendone una ampia visibilità dal mare, allora la principale via di accesso e trasporto, e amplificandone la monumentalità (con particolare enfasi del tempio di Zeus Olimpio che, con i sui 112,70x56,30 metri allo stilobate, è stato uno dei più grandi edifici religiosi della grecità) (fig. p. 64, sopra). Altri complessi di edifici pubblici erano allocati nel centro dell’abitato (complesso dell’Agorà superiore, Bouleuterion, Ekklesiasterion, c.d. tempio di Falaride) (fig. p. 64, sotto) presso cui è stato realizzato negli anni ‘60 il Museo Archeologico Regionale di Agrigento, e sull’acropoli della città – secondo alcuni studiosi identificabile con la Rupe Atenea, per altri invece con la Collina di Girgenti – (Tempio di Atena Lindia e Zeus Atabyrios). Gli edifici pubblici erano ordinatamente inseriti all’interno del tessuto urbano scandito da 6 plateiai con andamento circa est-ovest (seguendo la pendenza naturale del terreno per un migliore defluvio delle acque piovane) (fig. p. 66) e circa 30 stenopoi ortogonali; della complessiva estensione dell’abitato solo una piccola porzione dell’area residenziale è stata attualmente scavata (c.d. Quartiere ellenistico-romano) (figg. p. 68). Extra moenia si trovavano due santuari e diverse necropoli. A sud della città presso il santuario di Asclepio, dio della medicina, affluivano i devoti (in maggior misura gli ammalati) per partecipare ai rituali terapeutici; ad est, presso il Tempio di Demetra, era il santuario rupestre di San Biagio con un complesso sistema di grotte, gallerie e cunicoli scavati
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Agrigento. Parco Archeologico, Stenopos dell’impianto urbano di Akragas; in fondo, il Tempio della Concordia sulla Collina dei Templi. Allo stato attuale, l’area occupata dalla zona residenziale di Akgragas – non ancora scavata – e coltivata a oliveto e mandorleto.
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nella roccia e un acquedotto che conduceva le acque di una sorgente all’esterno del santuario, probabilmente dedicato alla cerimonia dei culti legati alla fertilità dei campi. Quattro erano le necropoli, risalenti al VI e V secolo a.C., che circondavano la città: Montelusa, Mosè, Pezzino e Poggio Giache in località Villaseta; al periodo romano (fino al III sec d.C.) risale la necropoli Giambertoni posta a sud del costone roccioso sotto la Collina dei Templi. Al periodo paleocristiano risalgono, invece, le necropoli intra moenia, in particolare sulla Collina dei Templi lungo la cosiddetta Via dei Sepolcri, dove si allineano arcosoli, loculi e tombe a fossa e la catacomba detta Grotta di Fragapane. Un ingegnoso complesso idraulico, realizzato sotto il dominio del tiranno Terone nel V sec. a.C., ha dotato la città di canali di approvvigionamento e smaltimento delle acque, sfruttando numerosi ipogei e convogliando le acque nella piscina artificiale della Kolymbetra, di cui fonti letterarie risalenti al I sec. d.C. riportano la descrizione: «una grande vasca […] del perimetro di sette stadi […] profonda venti braccia […] dove sboccavano gli Acquedotti Feaci, vivaio di ricercata flora e abbondante fauna selvatica» (Diodoro Siculo, Bibliotheca Historica, libro XI, 25). Il sito dove sorgeva l’acropoli è oggi occupato dal centro storico della città di Agrigento che si è sviluppato a partire dal IX secolo d.C. (fig. p. 69); la città contemporanea (circa 60.000 abitanti) è estesa per una superficie notevolmente minore rispetto a quella della città greca (popolazione stimata in età classica circa 300.000 persone, comprendenti i residenti nella città e la popolazione rurale che abitava la vasta khora dal Platani all’Imera meridionale) (fig. p. 70). Il centro urbano consolidato occupa prevalentemente la Rupe Atenea e la Collina di Girgenti, mentre le espansioni urbane più recenti hanno prodotto, verso sud, gli insediamenti a bassa densità edilizia di Villaseta, Villaggio Pirandello, Maddalusa, Villaggio Peruzzo e Villaggio Mosè; all’interno del Parco Archeologico sono presenti alcuni episodi edilizi, alcuni di origine abusiva. Lungo la costa sul Canale di Sicilia, dove confluivano i due fiumi Akragas e Hypsas che delimitavano ad est e ad ovest la città di Akragas per ricongiungersi nell’odierno fiume San Leone sotto il costone calcarenitico a sud, sorgeva il porto commerciale della città; oggi sono presenti insediamenti prevalentemente dedicati ad attività portuali (Porto Empedocle, già Molo di Girgenti), residenziali e balneari (San Leone, antico porto di Akragas).
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ARCHEOLOGIA
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Agrigento. Parco Archeologico, il c.d. Quartiere ellenisticoromano, l’unica area archeologica della zona residenziale di Akgragas che è stata oggetto di scavi archeologici. Il quartiere è testimonianza della ricchezza del potenziale archeologico del sito.
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Strumenti di salvaguardia e pianificazione per il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento L’individuazione di un perimetro territoriale che delimitasse con certezza l’ambito archeologico e paesaggistico della città di Akragas da sottoporre a tutela è stata oggetto di numerosi interventi legislativi (tra decreti presidenziali, decreti ministeriali, decreti legge e leggi) che si sono succeduti dal 1957 ad oggi. Si può far risalire il riconoscimento complessivo del perimetro della città alle interpretazioni dei reperti archeologici riconoscibili in situ condotte da Julius Schubring tra il 1865 e il 1866, riportare nella carta storico-topografica di Akgras pubblicata nel 1886 da Ermanno Loescher (Topografia storica di Agrigento, del D. Giulio Schubring. Traduzione dal tedesco con note ed aggiunte del Prof. Guglielmo Toniazzo col consenso dell’autore) (fig. p. 72). Gli studi di Schubring vennero suc-
ARCHEOLOGIA
Pianta della città di Girgenti e suoi dintorni alla scala 1 a 10.000, Milano Dr. Francesco Vallardi Tipografo Editore, 1868. Nella cartografia è rappresentato l’insediamento urbano di Agrigento, l’attuale centro storico, nella sua estensione alla metà del XIX secolo; l’insediamento è stato costruito sul Colle di Girgenti, l’antica acropoli della città di Akragas.
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La città di Agrigento vista dalla Collina dei Templi; a sinistra il Tempio della Concordia. La città contemporanea di Agrigento ha un’alta intervisibilità dalla Valle dei Templi e costituisce uno degli elementi di maggiore impatto sul paesaggio archeologico. PATRIMONIO E CREATIVITÀ
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cessivamente ripresi nel 1957 da Giulio Schmiedt, Generale, docente e direttore dell’IGM, che, avvalendosi delle potenzialità della fotografia aerea per la fotointerpretazione dei reperti archeologici e grazie anche alla sua precedente esperienza di ufficiale osservatore di aeroplano durante la Seconda Guerra Mondiale, ha cartografato, con la collaborazione di Pietro Griffo, le intuizioni di Schubring con maggiore precisione, confermandole in gran parte, ed ha integrato la carta archeologica con l’individuazione del tessuto urbano del centro abitato antico che occupava l’area a valle della Collina di Girgenti e della Rupe Atenea (Schmiedt G. e Griffo P., “Agrigento antica dalle fotografie aeree e dai recenti scavi”, in L’Universo, XXXVIII, 1958) (fig. p. 74). I primi provvedimenti per la tutela del territorio della Valle dei Templi di Agrigento si devono alla Commissione Provinciale per la tutela delle bellezze naturali della provincia di Agrigento, nominata ai sensi della L. 1497/39 per la formazione degli elenchi delle bellezze naturali individue e d’insieme, che nella riunione del 26 maggio 1948 riconosce la necessità di pronunciarsi per l’apposizione di un vincolo panoramico sulla Valle dei Templi, individuata come “bellezza naturale”. Nel 1954 la Commissione giungerà a determinare sei “punti di vista belvedere” nella parte alta della città di Agrigento, dai quali si poteva godere del panorama sulla Valle dei Templi, e l’individuazione dell’area di interesse paesistico da sottoporre a vincolo ex lege 1497/39. Successivamente ai lavori della Commissione, interviene il Ministro della Pubblica Istruzione che, con Decreto Ministeriale 12 giugno 1957, sottopone a “vincolo panoramico la zona del territorio comunale di Agrigento, comprendente la Valle dei Templi, ed alcuni punti di vista siti nello stesso territorio comunale”1. La Commissione provinciale apporta successivamente alcune modifiche al perimetro (verbali delle sedute del 14 giugno 1962, dell’8 gennaio 1964, del 26 febbraio e dell’8 marzo 19652), tendenti ad ampliare l’area vincolata, incontrando però forti resistenze da parte della popolazione residente che ne richiede, di contro, la riduzione. È l’inizio di un’azione di disturbo, sollecitata da interessi speculativi rispetto a quelli scientifici e culturali: il perimetro del vincolo panoramico viene continuamente eroso dalle pressioni speculative e l’abusivismo edilizio irrompe entro le aree vincolate. Interrompe bruscamente questo processo di continua aggressione del territorio della Valle, alla cui difesa erano impotenti gli strumenti di tutela e pianificazione. La “frana di Agrigento”, un importante cedimento dei suoli che il 19 luglio 1966 interessa parte del centro abitato
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ARCHEOLOGIA
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
Topografia storica di Agrigento, di D. Giulio Schubring. Traduzione dal tedesco con note e aggiunte del Prof. Guglielmo Toniazzo col consenso dell’autore, Julius Schubring, 1866, Ermanno Loescher. Julius Schubring, tra il 1865 e il 1866, ha disegnato una delle più importanti cartografie per la ricostruzione dell’area archeologica di Akragas basandosi sull’osservazione e l’interpretazione dei reperti archeologici in situ.
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costruito sulla Collina di Girgenti all’estremità occidentale della città. Ben 5.000 cittadini vengono fatti sgombrare dai quartieri dell’Addolorata e di San Michele, parti dell’insediamento urbano che si erano sviluppate, con sovraccarico di sopraelevazioni edilizie concesse sulla base di aumenti indiscriminati degli indici di fabbricabilità previsti dal Programma di Fabbricazione, su un terreno costituito prevalentemente da successioni argilloso-sabbiose inglobanti intercalazioni calcarenitiche che avevano prodotto, nel tempo, diversi sistemi di discontinuità, accentuate da processi di erosione e dissoluzione con la formazione di forme di sottoescavazione. A seguito della frana, il Parlamento italiano si espresse, nell’emergenza, emanando il Decreto Legge 30 luglio 1966 n. 590, “Provvedimenti a favore della città di Agrigento, in conseguenza del movimento franoso verificatosi il 19 luglio 1966”, nel quale dispose interventi di pronto soccorso nei confronti dei sinistrati, la redazione di “studi ed indagini tendenti ad accertare le cause e l’evoluzione del fenomeno, delimitare le zone ad esso interessate, indicare quelle da sottoporsi a vincoli di carattere idrogeologico ed urbanistico nonché le parti di abitato da consolidare e quelle eventualmente da trasferire” e “la costruzione di alloggi a totale carico dello Stato da mettere a disposizione delle famiglie rimaste senza tetto e la costruzione delle relative opere di urbanizzazione primaria e secondaria”. La frana, pur non interessando direttamente l’area archeologica, aveva comunque scosso l’opinione pubblica sulla fragilità del contesto archeologico della Valle dei Templi, esposto come territorio di conquista alla dilagante espansione edilizia della città di Agrigento, che in quegli anni registrava un tasso di crescita esponenziale. Anche la risposta della Regione Siciliana, regione a statuto speciale, non tardò a mancare in occasione dell’emergenza della frana: la visibilità dell’evento calamitoso a livello nazionale aveva disvelato, in particolare, le eccessive lungaggini nell’ottemperare ai compiti della tutela della Valle dei Templi, “universalmente nota [...] (che) forma un quadro naturale di non comune bellezza panoramica e (che) presenta un caratteristico aspetto di valore estetico e tradizionale per la spontanea concordanza tra l’espressione della natura e quella del lavoro umano”3. Dopo soltanto una settimana dal D. L. n. 590 del 30 luglio 1966, riprendendo i lavori della Commissione Provinciale per la tutela delle bellezze naturali della Provincia di Agrigento, il Presidente della Regione Siciliana emana il Decreto Presidenziale n. 807 del 6 agosto 1966, “Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona della
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“Agrigento antica dalle fotografie aeree e dai recenti scavi”, Schmiedt G. e Griffo P., in L’Universo, XXXVIII, 1958. Giulio Schmiedt, avvalendosi delle potenzialità della fotografia aerea per la fotointerpretazione dei reperti archeologici, nel 1957 ha ripreso i lavori di Schubring e, con la collaborazione di Pietro Griffo, ha cartografato con maggiore precisione i reperti in situ e ha integrato la carta archeologica con l’individuazione del tessuto urbano del centro abitato antico che occupava l’area a valle della Collina di Girgenti e della Rupe Atenea. Successivi sondaggi archeologici hanno confermato le ipotesti della fotointerpretazione.
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Valle dei Templi e dei punti di vista del belvedere del comune di Agrigento”. Il Decreto viene emanato nelle more dell’approvazione delle norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana, in attesa delle quali “le funzioni statali dell’Amministrazione centrale in materia di tutela artistica e paesistica sono, in Sicilia, esercitate dal Presidente della Regione, quale organo decentrato dello Stato”4. Con il decreto la zona del territorio del comune di Agrigento, comprendente la Valle dei Templi (riportata in cartografia) (figg. pp. 76-77), viene dichiarata di “notevole interesse pubblico” ai sensi della L. 1497/39, dunque sottoposta a vincolo paesistico ma non archeologico, e vengono dichiarati “di notevole interesse pubblico e sottoposti alle medesime disposizioni i punti di vista della città accessibili al pubblico dai quali si gode la visione della predetta Valle dei Templi, appresso indicati: 1) Piazza Bibbirria; 2) Tratto di via Porta di Mare compreso tra piazza Sinagra ed angolo ovest del Palazzo Vita; 3) Belvedere all’interno della città sulla via Atenea dirimpetto al Palazzo Contarini-Galluzzo”5. Il Decreto Legge 30 luglio 1966 n. 590 viene convertito in Legge n. 749 del 28 settembre 1966, con importanti integrazioni relative all’area archeologica riportate all’articolo 2 bis: “La Valle dei Templi di Agrigento è dichiarata zona archeologica di interesse nazionale. Il Ministro per la pubblica istruzione, di concerto con il Ministro per i lavori pubblici, determina, con proprio decreto, il perimetro della zona, le prescrizioni d’uso e i vincoli di inedificabilità”. Con la conversione del Decreto Legge in Legge emerge anche a livello nazionale, insieme alla necessità di provvedere a una pianificazione urbanistica più compatibile con la natura dei luoghi, la questione della necessità di tutelare i reperti archeologici, anch’essi minacciati dalla natura geolitologica dei suoli, con la duplice finalità di salvaguardare il valore di sito archeologico dichiarato di “interesse nazionale” e di fronteggiare la pressione dell’espansione edilizia che era già diretta a valle verso il contesto dell’antica città di Akragas. In esecuzione alla Legge n. 749/66, viene emanato il Decreto Ministeriale 16 maggio 1968, “Determinazione del perimetro della Valle dei Templi di Agrigento, delle prescrizioni d’uso e dei vincoli di inedificabilità” (c.d. Gui-Mancini, Ministro della Pubblica Istruzione di concerto con il Ministro per i Lavori Pubblici). Tra le considerazioni in premessa, viene riportato che “la Valle dei Templi di Agrigento è costituita dal comprensorio che include i famosi templi e gli altri monumenti archeologici dell’antica città di Agrigento e le aree che ne sono cornice insostituibile e ambiente integrante sino alle colline circostanti e, verso sud, fino al
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Decreto del Presidente della Regione Siciliana 6 agosto 1966 n. 807 Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona della Valle dei Templi e dei punti di vista del belvedere del comune di Agrigento
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mare”: viene posto in evidenza che la tutela del patrimonio archeologico della Valle è inscindibile dalla salvaguardia dei valori paesaggistici del contesto. La delimitazione della Valle dei Templi di Agrigento viene definita da un perimetro suddiviso in cinque zone: una zona A, nella quale insistono le evidenze archeologiche, nella quale è fatto divieto di eseguire nuove costruzioni, alterare lo stato dei luoghi o modificare i tipi e le forme tradizionali di colture; zone B, C, D ed E nelle quali è consentita una “edificabilità limitata, graduata tenendo presenti non solo la loro varia distanza dai monumenti archeologici, ma anche la necessità di non danneggiare la prospettiva dei singoli monumenti o del loro complesso e di non alterare le caratteristiche generali dell’ambiente della Valle dei Templi”6 (figg. pp. 78-79). Detta perimetrazione ministeriale, che interessa gran parte del territorio del comune di Agrigento, viene impugnata con ricorso del Presidente della Regione Siciliana nel
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Estensione dell’area archeologica corrispondente all’antica città di Akragas individuata tramite fotointerpretazione dal ten. col. Giulio Schmiedt nel 1957 sulla base della carta Topografia storica di Agrigento elaborata da Julius Schubring e pubblicata nel 1887 Circuito delle mura urbiche dell’antica città di Akragas Area sottoposta a vincolo paesistico ai sensi della L. 1497/39 dal D.P.R.S. 6 agosto 1966 n. 807
Individuazione del perimetro urbano di Akragas sulla base delle interpretazioni di Schubring e Schmiedt e determinazione del perimetro del vincolo paesistico ai sensi del Decreto del Presidente della Regione Siciliana 6 agosto 1966 n. 807 “Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona della Valle dei Templi e dei punti di vista del belvedere del comune di Agrigento”. Elaborazione grafica di Stefania Piazza.
luglio del 19687 richiedente l’annullamento per incostituzionalità del Decreto Gui-Mancini in quanto avrebbe invaso la competenza regionale (art. 4, lettera “n” dello Statuto speciale): “il decreto impugnato avrebbe esorbitato dai limiti imposti dallo stesso art. 2 bis della Legge n. 749 del 1966, in quanto, per ragioni di tutela paesistica, e perciò estranee a quelle per le quali il potere era stato conferito, ha esteso i vincoli a zone non interessate alla ricerca archeologica. Atteggiandosi come provvedimento di vincolo panoramico e non archeologico, il decreto ha anche usurpato la competenza dell’Assessore Regionale al Turismo, perché, essendo Agrigento una località dichiarata stazione di cura, soggiorno e turismo, si richiedeva il concerto col detto Assessore, a cui erano state trasferite le competenze statali in virtù del Decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 1956, n. 510”8. Il ricorso viene rigettato con la motivazione che “l’estensione del vin-
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Decreto Ministeriale 16 maggio 1968 (c.d. Gui-Mancini) Determinazione del perimetro della Valle dei Templi di Agrigento, delle prescrizioni d’uso e dei vincoli di inedificabilità, in esecuzione della L. 794/66, modificato con D.M. 7 ottobre 1971
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colo alla zona limitrofa all’archeologica non è stata infatti adottata per ragioni di tutela dell’ambiente paesistico, ma per ragioni di tutela e di miglior valorizzazione del complesso archeologico”, sottolineando che, essendo stata la Valle dei Templi dichiarata zona archeologica di interesse nazionale “la competenza esclusiva della Regione di cui all’art. 14, lettera “n”, dello Statuto speciale, non si estende ai beni archeologici o artistici interessanti servizi di carattere nazionale”9. Il Decreto Gui-Mancini, a seguito della nota del Consiglio Superiore dei LL.PP. del 3 giugno 1970, viene modificato dal Decreto Ministeriale 7 ottobre 1971, “Modifiche del decreto ministeriale 16 maggio 1968, concernente la determinazione del perimetro della Valle dei Templi di Agrigento, prescrizioni d’uso e vincoli di inedificabilità” (c.d. Misasi-Lauricella). Con il secondo decreto il perimetro della Valle dei Templi viene
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Zona A: ... è fatto divieto di eseguire nuove costruzioni, impianti e, in genere, opere di qualsiasi specie, anche se di carattere provvisorio. (...)
Zona B: sono consentite costruzioni di un piano fuori terra, con un indice di fabbricabilità fondiaria non superiore a due centesimi di metro cubo per metro quadrato, con un volume non superiore a 770 metri cubi e con altezza non superiore a metri 4,50 (...) Zona C: sono consentite costruzioni di un piano fuori terra, con un indice di fabbricabilità fondiaria non superiore a cinque decimi di metro cubo per metro quadrato e con altezza non superiore a metri 4,50 (...) Zona D: sono consentite costruzioni di non più di due piani fuori terra, con un indice di fabbricabilità fondiaria non superiore a otto decimi di metro cubo per metro quadrato e con altezza non superiore a metri 7,50 (...) Zona E: sono consentite costruzioni con un indice di fabbricabilità territoriale non superiore a un metro cubo per metro quadrato, in base ad un apposito piano planivolumetrico interessante la intera zona (...)
Circuito delle mura urbiche dell’antica città di Akragas
Determinazione del perimetro della Valle dei Templi di Agrigento ai sensi del Decreto Ministeriale 16 maggio 1968 (c.d. Gui-Mancini) “Determinazione del perimetro della Valle dei Templi di Agrigento, delle prescrizioni d’uso e dei vincoli di inedificabilità”, in esecuzione della L. 794/66, modificato con D.M. 7 ottobre 1971. Elaborazione grafica di Stefania Piazza.
ampliato estendendo la zona A all’area compresa tra piazza Esculapio e il Santuario di Demetra in località San Biagio, contesto comprendente altre aree di interesse archeologico e ricadente sulla direttrice di importanti punti di vista dalla Rupe Atenea e dal Tempio di Giunone. All’art. 2 il Decreto prevede, inoltre, la realizzazione di infrastrutture urbanistiche, sempre previo nulla osta della Soprintendenza, tra cui i collegamenti viari fra l’attuale abitato di Agrigento e le zone E (Villaseta, località nella quale erano stati trasferiti molti dei cittadini rimasti senza tetto a causa della frana) in quanto rispondenti “ad accertate esigenze di ordine urbanistico”, il raccordo a raso e i collegamenti fra la strada di scorrimento veloce Porto Empedocle-Caltanissetta e la SS115, il raccordo tra la strada di scorrimento veloce Porto Empedocle-Caltanissetta e la strada panoramica Bonamorone-Vallone San Biagio. Realizzati negli anni ‘70, i
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PAESAGGIO
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Sopra/Agrigento. Parco Archeologico, vista dalla Collina dei Templi verso il mare. Il territorio compreso tra la Collina dei Templi e il mare era esterno alla città di Akragas; sono presenti rinvenimenti archeologici relativi al santuario extra-moenia di Asclepio e alcune necropoli. Il perimetro della Valle dei Templi di Agrigento, così come individuato ai sensi del Decreto Ministeriale 16 maggio 1968, prescinde dalla presenza delle evidenze archeologiche per ricomprendere il contesto dell’antica città al fine di garantire la tutela del paesaggio nella sua integrità. Sotto/Impatto paesaggistico del Viadotto “Morandi” sul Parco Archeologico. Alcuni dei piloni del viadotto sono stati costruiti al di sopra di una delle più importanti necropoli di età classica della città di Akragas.
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nuovi collegamenti viari tra Agrigento, i suoi nuovi borghi satelliti e Porto Empedocle, hanno compromesso pesantemente il contesto paesaggistico della Valle dei Templi, intervenendo anche direttamente sulle aree con presenze archeologiche (costruzione di piloni del Viadotto “Morandi” sopra la necropoli Pezzino) (fig. p. 80). Nonostante l’imponente impalcato normativo speciale allestito dal Governo per la tutela della Valle dei Templi e del territorio di contesto, i fenomeni edilizi – spesso abusivi – che si moltiplicano tra gli anni ‘60 e ‘70 (non solo in Sicilia ma in tutta l’Italia) continuano ad interessare anche le aree vincolate del territorio di Agrigento. La drammatica “soluzione” al problema dell’abusivismo, introdotta dalle leggi sulla sanatoria degli abusi edilizi, produce in Sicilia l’approvazione della L. R. 37/85 “Nuove norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive”. La Legge introduce, con l’articolo 25, una clausola speciale per il Parco Archeologico di Agrigento che prevede che “l’esame delle richieste di concessione o autorizzazione in sanatoria per le opere eseguite nell’ambito delle zone vincolate con Decreto Ministeriale 16 maggio 1968 modificato con Decreto Ministeriale 7 ottobre 1971 rimane sospeso fino all’emanazione” da parte del Presidente della Regione del “decreto di delimitazione dei confini del Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento ed all’individuazione dei confini delle zone da assoggettare a differenziati vincoli”10. Il decreto di delimitazione dei confini del Parco che si sarebbe dovuto emanare, ai sensi della L.R. 37/85, entro il 31 ottobre 1985, viene emanato il 13 giugno 1991 (Decreto del Presidente della Regione Siciliana 13 giugno 1991, “Delimitazione dei confini del Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento”, c.d. Nicolosi), sulla spinta delle numerose richieste di sanatoria delle opere edilizie costruite entro le aree vincolate (figg. pp. 82-83). È alla luce di tale premessa che l’art. 1 del decreto, “il confine del Parco archeologico di Agrigento coincide con il confine della zona A delimitata con l’art. 2 del decreto ministeriale 16 maggio 1968, modificato con decreto ministeriale 7 ottobre 1971”, appare chiaro nelle sue finalità. Le zone B, C, D ed E vengono dichiarate “zone costituenti il territorio di completamento e di rispetto necessario all’esistenza ed al godimento del parco e dei suoi valori”, escludendole dal perimetro del Parco e nei fatti dando la liberatoria alle procedure di sanatoria degli abusi edilizi. Il Decreto prevede inoltre, da un lato, l’ampliamento della zona B fino ad includere Cozzo S. Biagio, contrada Chimento e una zona a nord della contrada Mosè; dall’altro, l’innalzamento dell’indice massimo di
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fabbricabilità fondiaria della stessa zona B da 0,02 mc/mq dei precedenti decreti a 0,03 mc/mq, con previsione di costruzioni di 1 piano fuori terra e altezza massima di 4,50 m. Per la zona C, corrispondente all’espansione edilizia di San Leone, il provvedimento modifica le prescrizioni, omologandole a quanto previsto dai decreti ministeriali per le zone D, ovvero prevede l’innalzamento dell’indice di fabbricabilità fondiaria da 0,5 mc/mq a 0,8 mc/mq e l’aumento dell’altezza degli edifici da 4,50 m a 7,50 m. A favore della tutela e, soprattutto, della valorizzazione del patrimonio archeologico presente in Sicilia, un importante atto legislativo operato dall’Assemblea Regionale Siciliana è stato la scrittura dell’art. 107 della L.R. 25/93 dedicato alla costituzione di un “Sistema regionale di parchi archeologici”, abrogato e sostituito dalla più esaustiva L.R. 3
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si) Zona A: Il confine del Parco archeologico di Agrigento coincide con il confine della zona “A” delimitata con l’art. 2 del decreto ministeriale 16 maggio 1968, modificato con decreto ministeriale 7 ottobre 1971 (...). Il territorio compreso nel perimetro (...) è soggetto a tutte le prescrizioni stabilite per la zona “A” (...) Zona B: zona costituente il territoiro di completamento e di rispetto necessario all’esistenza ed al godimento del parco e dei suoi valori (insieme alle zone C, D, E). (...) Valgono le medesime prescrizioni stabilite per la zona “B” con l’articolo 3 dei decreti ministeriali 16 maggio 1968 e 7 ottobre 1971 (...) con la modifica del limite massimo di fabbricabilità fondiaria, il cui indice viene elevato da due a tre centesimi di metro cubo per metro quadrato Zona B: (...) aggiunta del territorio compreso entro il perimetro esterno delle particelle appresso indicate (...) Zona C: (...) valgono le medesime prescrizioni stabilite per la zona “D” con l’articolo 3 dei decreti ministeriali 16 maggio 1968 e 7 ottobre 1971 Zona D: (...) valgono le medesime prescrizioni stabilite per la zona “D” con l’articolo 3 dei decreti ministeriali 16 maggio 1968 e 7 ottobre 1971 Zona E: (...) valgono le medesime prescrizioni stabilite per la zona “E” con l’articolo 3 dei decreti ministeriali 16 maggio 1968 e 7 ottobre 1971 Circuito delle mura urbiche dell’antica città di Akragas
Delimitazione dei confini del Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento ai sensi del Decreto del Presidente della Regione Siciliana 13 giugno 1991 (c.d. Nicolosi) “Delimitazione dei confini del Parco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento”. Elaborazione grafica di Stefania Piazza.
novembre 2000 n. 20, redatta su iniziativa dell’Assessore Regionale ai Beni Culturali Fabio Ganata, il cui titolo primo è dedicato alla “Istituzione del Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento”. Ai sensi della legge, il Parco ha assunto “autonomia scientifica e di ricerca, organizzativa, amministrativa e finanziaria” e per la sua gestione è stata prevista la redazione di un apposito piano, a cura dell’Ente Parco, sovraordinato rispetto agli strumenti urbanistici (allo stato attuale, il Piano del Parco Archeologico e Paesaggistico è in fase istruttoria) (fig. p. 84). La doppia valenza del Parco della Valle dei Templi, archeologica e paesaggistica, pone la questione della necessità di approntare uno strumento adeguato alla tutela e alla valorizzazione di un bene culturale complesso, nel quale coesistono emergenze archeologiche di ecce-
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zionale rilievo con terreni agricoli, attività residenziali, commerciali, produttive e culturali. Sin dal 1939 per la gestione dei vincoli paesistici (le cosiddette “bellezze” naturali, diverse e distinte dalle “cose” di interesse storico, artistico e archeologico) con Legge 1497 è stato istituito il Piano Paesistico, riconoscendo l’opportunità di poter disporre di uno strumento più flessibile, capace di gestire le dinamiche complesse di un territorio in evoluzione, per la salvaguardia dei beni paesistici. Per il territorio della Valle dei Templi, assoggettato a vincolo paesistico dal 1957 e successivamente a vincoli speciali fino a coprire oggi circa 1.400 ha, sarebbe stato necessario predisporre uno strumento di
VINCOLI
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Piano per il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento (in fase istruttoria). Carta della destinazione d’uso dei suoli.
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piano contestualmente all’apposizione dei vincoli, sia al fine di gestire puntualmente le situazioni di conflitto tra le necessità della conservazione archeologica e paesaggistica e le esigenze dello sviluppo sociale, economico e urbanistico, sia per coniugare le azioni di tutela con le attività di valorizzazione e promozione culturale, sia ancora per declinare il concetto di vincolo da ipotesi sottrattiva, come sommatoria di divieti imposti alla popolazione residente, a tesi propositiva di certificazione di valore da promuovere anche per lo sviluppo locale. Nel 1997 la zona archeologica di Agrigento è entrata a far parte della Lista del Patrimonio Mondiale (WHL) dell’UNESCO, sia per la vasta gamma di templi presenti – che compone uno dei più notevoli insiemi di monumenti dell’arte e della cultura greca considerati tra i più straordinari spettacoli di architettura dorica in tutto il mondo – sia come una delle più grandi città del mondo antico che, con il suo eccezionale stato di conservazione, testimonia l’influenza greca nel mondo mediterraneo e l’interscambio di valori umani. Come sito iscritto alla WHL, per l’area del Parco è stato redatto nel 2005 il Piano di Gestione sulla scorta delle elaborazioni analitiche del Piano del Parco Archeologico e Paesaggistico e secondo le indicazioni delle Linee-Guida del Piano Territoriale Paesistico della Regione Sicilia (approvate nel 2000). Attualmente, nelle more dell’approvazione del Piano del Parco Archeologico e Paesaggistico, il Parco è gestito attraverso il suddetto Piano di Gestione che individua due ambiti territoriali: l’ambito territoriale iscritto (fig. p. 87, sopra), compreso all’interno del perimetro del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi, articolato in quattro sub ambiti (l’acropoli, la Collina dei Templi, la zona extramuraria – coincidenti con il perimetro della zona A definita dal D.P.R. 16 giugno 1991 – e la buffer zone – coincidente con la zona B del medesimo decreto); l’ambito territoriale esteso (fig. p. 87, sotto), che prende in considerazione i contesti dei fenomeni culturali, delle dinamiche e delle spesso spontanee logiche di aggregazione dei fenomeni economici legati alla valorizzazione delle risorse culturali del territorio, che si estendono oltre i confini del Parco e interessano i territori circostanti, facendo riferimento a un territorio più vasto. All’ambito territoriale esteso appartengono i comuni di: Agrigento, Aragona, Joppolo Giancaxio, Montallegro, Porto Empedocle, Raffadali, Realmonte, Santa Elisabetta, Siculiana (comuni che partecipano al P.I.T. Valle dei Templi, le cui finalità si pongono in stretta sinergia con il Piano di Gestione). A questi comuni ne vengono aggiunti altri, in parte costituenti aree di interesse archeologico che hanno avuto importanza per lo sviluppo dell’antica Akragas e
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in parte costituenti mete di possibili itinerari culturali che da Agrigento si potrebbero sviluppare fino a interessare il Parco di Selinunte, tra cui Piazza Armerina (sito UNESCO), Gela (madrepatria di Akragas), Licata e Palma di Montechiaro (sul percorso di fondazione di Akragas), Naro (con aree archeologiche paleocristiane e architettura barocca), Favara (aree archeologiche paleocristiane), i comuni costieri di Cattolica Eraclea (nel cui territorio ricade il sito di Eraclea Minoa, fondazione contesa tra Selinunte e Akragas), Ribera, Sciacca, Menfi e Castelvetrano; e inoltre i comuni di Sambuca di Sicilia, Santa Margherita Belice, Montevago, Burgio e Caltabellotta che hanno intessuto relazioni storicoculturali con l’antica khora akragantina. Il Piano di Gestione, dispositivo di tutela del patrimonio archeologico e del contesto territoriale e prerequisito per il mantenimento del bene nella WHL, ha la finalità di individuare le strategie che devono essere messe in atto per conciliare le esigenze poste dalla tutela e dalla conservazione del patrimonio archeologico con le azioni di valorizzazione e promozione dello stesso. Nel caso della Regione Siciliana, in virtù della vigenza della L.R. 20/2000, sarà il Piano del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi che, una volta approvato, andrà in sostituzione del Piano di Gestione e potrà garantire una più pregnante azione di pianificazione del territorio della Valle in qualità di strumento attuativo, di gestione, di promozione e “di sistema” con il patrimonio archeologico regionale della Sicilia.
Note 1. D.P.R.S. n. 807 del 6 agosto 1966. 2. Ibidem. 3. Ibidem. 4. Ibidem. 5. Ibidem. 6. Decreto Ministeriale 16 maggio 1968. 7. Ricorso del Presidente della Regione Siciliana, notificato il 17 luglio 1968, depositato in cancelleria il 23 successivo e iscritto al n. 14 del Registro ricorsi 1968. 8. Sentenza della Corte Costituzionale n. 74 del 27 marzo 1969. 9. Ibidem. 10. L.R. 37/85, art. 25.
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SITO UNESCO
Sopra/Piano di Gestione del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento. Ambito territoriale iscritto e buffer zone. L’ambito territoriale iscritto alla WHL coincide con la zona A del DPRS 13 giugno 1991; la buffer zone coincide con la zona B del predetto decreto. Sotto/Piano di Gestione del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento. Ambito territoriale esteso. L’ambito ricomprende una zona territorialmente molto vasta in considerazione dei fattori storici, culturali e relazionali che hanno caratterizzato la khora akragantina nell’antichità e delle potenzialità in atto espresse da nuovi sistemi di valorizzazione del patrimonio culturale.
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UN GIOIELLO TRA LA CITTÀ E IL TERRITORIO VALERIA SCAVONE
Premessa Nella magnificenza della Valle dei Templi, patrimonio UNESCO dal 1997, nota per i resti archeologici ma anche per il paesaggio agrario nel quale questi sono inseriti, emerge un’incongruenza: Agrigento e il suo territorio, non riescono a beneficiare appieno dell’effetto della presenza del suo gioiello1, il grande “vuoto”2 ancora oggi apprezzabile nonostante gli episodi di abusivismo. Il leggero risveglio culturale che si è avvertito in questi ultimi anni è certamente frutto del cambiamento innescato dall’attivazione di alcuni Corsi di Laurea dell’Università degli Studi di Palermo3 ma anche, e soprattutto, per la lungimiranza di chi ha deciso di “investire” (tempo, risorse economiche, energie) sul proprio territorio4, a dispetto delle classifiche in merito alla qualità della vita che pongono la città sempre tra gli ultimi posti nel panorama nazionale. In questo contesto, quindi, emerge l’esigenza di un’azione integrata, multidisciplinare e multilivello che coinvolga la regione agrigentina nel suo complesso, a partire dal suo cuore. Un patrimonio culturale per la città e il territorio. DNA e valorizzazione Ricordando Argan e la sua affermazione circa la strettissima relazione esistente tra storia e città «tanto è vero che città e civiltà sono parole che hanno la stessa radice» (Argan, 1984, 248) e consapevoli che la cultura deve divenire modello di sviluppo delle comunità, ci si sofferma a comprendere il valore del concetto di “patrimonio culturale” che «ha conosciuto, nei cinquanta anni dall’istituzione di un Ministero dedicato, una profonda rivoluzione» (Volpe, 2015, 16). La “visione settoriale, puntiforme, selettiva” non é più rispondente alle sfide del patrimonio culturale nella città contemporanea (ibidem), le
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varie Carte e i documenti, italiani ed europei, che si sono succeduti da allora, si soffermano sull’improcrastinabile necessità di un approccio multisettoriale ai temi sottesi. Infatti, se il termine valorizzazione mira alla “attribuzione di un valore”, e quindi di un senso che s’intende assegnare a un determinato oggetto o contesto, il ruolo dell’archeologo (Ricci, 2006, 147) è fondamentale per rendere comprensibile e riconoscibile il valore della preesistenza e le relazioni che intercorrono tra i singoli frammenti, ma è altrettanto fondamentale il ruolo dell’architetto e dell’urbanista per comprenderne appieno, a vasta scala, le relazioni territoriali e paesaggistiche delinaendone le potenzialità. In considerazione che il Patrimonio è «della comunità, in quanto creazione di un gruppo umano eterogeneo e complesso che vive su un territorio» (De Vareine, 2005, 29) e ne condivide storia, passato, presente, futuro, esso è la “carta d’identità della comunità” (op. cit., 30) e ne costituisce il DNA. Un patrimonio genetico – materiale e immateriale5 – che non si può disconoscere e con il quale bisogna relazionarsi, consapevoli che non è «un dato metafisico, fissato una volta e per tutte (ma che) rigenera continuamente i suoi significati e si riconfigura secondo le tendenze di sviluppo di una società» (Volpe, 2015, 104). La definizione di “bene culturale”6, infatti, implica l’attribuzione di un ruolo di promozione sociale, un “valore di civiltà” (Ricci, 2006), così come espresso dall’esito dei lavori
GIRGENTI
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Pianta monografica del territorio di Girgenti (divenuta Agrigento nel 1927), del 1838 (conservata presso l’Archivio Storico di Agrigento), dalla quale si evince la dimensione contenuta dell’insediamento connesso fortemente con i comuni limitrofi.
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della Commissione Franceschini (1967). Il “racconto urbano” (Ricci, 2006, 133) e territoriale deve quindi mirare a una “nuova alleanza” che permetta ai tessuti contemporanei di riappropriarsi del loro spessore temporale e alle “isole del passato” (ibidem) di ritrovare un senso nel presente proiettato verso il futuro, in un’azione interpretativa che metta insieme soggetto, identità e comunità, ristabilendo una connessione tra passato e presente, imprescindibile azione in territori sì delicati. Tale connessione passa dalla valorizzazione7, ma questa non può esistere se non si comprende che «l’identità di un luogo, così come l’esistenza di un milieu, è l’esito durevole di questo lungo processo di coevoluzione tra comunità insediata e ambiente» (Magnaghi, 2000, 83). E la variabile identitaria costituisce la chiave di volta per comprendere le dinamiche che caratterizzano Agrigento e il suo territorio e per innescare un processo di cambiamento e di “innamoramento” (Volpe, 2015) dei cittadini del “loro” patrimonio culturale, affinché questo attivi circoli virtuosi di sviluppo anche in termini turistico-culturali. Turismo culturale Il turismo è un settore trainante perché porta crescita economica e occupazione ma anche e, soprattutto, per i benefici socio-culturali che ne derivano. Fra i comparti economici più rilevanti a livello mondiale, il turismo dovrà indirizzare lo sviluppo verso una maggiore sostenibilità, riconoscendo limiti e capacità delle risorse turistiche. Nei prossimi anni, dunque, comunità, amministratori e operatori del settore avranno la responsabilità di garantire uno sviluppo duraturo che minimizzi gli impatti negativi e che valorizzi il patrimonio ambientale, culturale e sociale delle destinazioni turistiche soprattutto lungo le regioni costiere del Mediterraneo8 (territori fragili, dove maggiormente sono allocate risorse naturali e culturali). La sostenibilità è indispensabile per proteggere il territorio da trasformazioni, conseguenti alla pressione turistica, non in armonia con il territorio. La Commissione Europea, infatti, ha messo il turismo sostenibile al centro delle sue strategie (Com. 352/2010) e nel 2013 ha presentato il Sistema Europeo degli Indicatori per la Gestione Sostenibile delle Destinazioni Turistiche. Questi costituiscono un processo – da condursi a livello locale – allo scopo di monitorare, gestire e migliorare la sostenibilità delle destinazioni turistiche e per influenzare scelte politiche adeguate. Tra i ventisette indicatori principali, si segnala – rilevante per il contesto in esame – la necessità di una “Politica pubblica per un turismo sostenibile”. Tale strumento dovrebbe tenere conto delle questioni ambientali
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e sociali, nonché di quelle inerenti la qualità, la salute e la sicurezza; dovrebbe altresì avere obiettivi chiari, essere condiviso da tutte le parti interessate, “essere reso pubblico e comunicato”. La comunicazione, infatti, rappresenta la discriminante per gli effetti che produce in termini identitari e di efficacia, come ampiamente dimostrato in letteratura. La priorità «deve andare sempre alla popolazione, alle sue esigenze abitative, alla qualità dello stile di vita, ai suoi bisogni di servizi», in quanto il patrimonio culturale e i flussi turistici che ne derivano «non possono bastare da soli allo sviluppo» (De Vareine, 2005, 190). Lungi dall’essere relegata a solo studio di marketing, la programmazione turistica dovrebbe rientrare di diritto nelle esigenze della città e dei suoi cittadini, cui la pianificazione urbanistica si riferisce. Lo strumento previsto dagli indicatori (in sinergia con la pianificazione urbanistica) sarebbe auspicabile in una realtà vocata come quella in esame nella quale il turismo è la maggiore opportunità, nonostante il 41,14 % delle attività produttive sia ancora legato al settore agricolo. I dati provinciali sul turismo (balneare, ambientale, relazionale) indicano un calo del 2,82% con diminuzione della presenza media giornaliera da 4.19 a 3.44 giorni (Report provinciale, 2014). Un settore, quello del turismo, che non riesce a innescare un circolo virtuoso nonostante la forza attrattiva del polo, costituito dalla Valle dei Templi ma anche dei tesori che ospita il suo centro storico (di epoca medievale, tardo-rinascimentale, manierista, barocco, neoclassico), della valenza del suo paesaggio agrario e dell’ambiente costiero (in parte con dune naturali e in parte con marne bianche a picco sul mare); un mix di risorse che potrebbero attivare diversi tipi di turismi, culturale, balneare, relazionale. Cenni sui processi di trasformazione urbana Agrigento è nota nel mondo per il suo patrimonio archeologico e paesaggistico, ma è altresì nota per l’episodio della frana del 19 luglio 1966 che ne ha condizionato irreversibilmente, molto di più di quanto hanno saputo (o “non” saputo) fare gli strumenti urbanistici, il sistema urbano. Girgenti (fino al 1927 così denominata) – adagiata sulla collina e governata da un Regolamento Edilizio (1858), da un Regolamento per l’ornato e la polizia edilizia della città (1863), da un Piano Regolatore del piazzale della stazione (1915) conseguente allo sventramento operato per realizzare la linea ferrata – diviene, con il secondo dopoguerra, preda degli speculatori. Nonostante il Regolamento Edilizio e il Programma di Fabbricazione del 1958, sulla collina vengono realizzati edifici di notevole altezza e dimensione, alcuni ancora esistenti (fig. p. 96), le cui fondazioni gravavano (e
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gravano tuttora) sugli ipogei, grandiosa opera di ingegneria idraulica realizzata intorno al V secolo per fornire acqua (Arnone, 1948) ad Akragas. L’evento, incredibilmente incruento, è conosciuto dagli studiosi di discipline urbanistiche come lo “scandalo” di Agrigento (De Lucia, 2013, 79), per le tematiche di malgoverno e malaffare che racconta nel quadro urbanistico nazionale, messe in luce grazie alla reazione forte del Governo che istituì una Commissione di Indagine presieduta da Martuscelli9 (fig. p. 101). Nel settembre del 1966, evacuata la zona interessata, le 7.541 persone rimaste senza casa (Gucciardo, 1999) furono trasferite nei quartieri di Villaseta10 e Villaggio Peruzzo, innescando così un’apertura verso le aree agricole circostanti che porterà i redattori degli strumenti urbanistici successivi a prefigurare anche espansioni verso nord con Fontanelle, San Giusippuzzo e San Michele (cfr. PRG 1975) insieme ad un potenziamento di infrastrutture viarie spesso ridondanti, invadenti11 e che hanno innescato nel tempo numerosi insediamenti abusivi12 (Cannarozzo, 2009). La tragedia della frana riuscì ad arginare il processo di addensamento edilizio attorno alla Rupe di Girgenti ma l’urbanizzazione, in quegli anni, divenne un «accerchiamento del perimetro tutelato della Valle dei Templi e l’assedio dello stesso con incursioni all’interno» (Rossi Doria, 2007, 212), nella speranza di “una revisione dei confini delle zone di tutela” (ibidem). Le conseguenze del crollo, causato dal sovraccarico edilizio di 8.500 vani (Salzano, 2003) costruiti in contrasto con le norme esistenti, sono state la nascita o all’ampliamento di “periferie” esterne al perimetro della città consolidata; ed è proprio in queste parti del sistema urbano che risiedono oggi, a cinquant’anni dall’evento (secondo i dati dell’ultimo censimento Istat), circa il 60% degli abitanti. Lo sbilanciamento verso nord (Scavone, 2007), nonostante vi si riscontrino le aree più impervie dal punto di vista orografico, ha portato alla realizzazione di attrezzature e servizi (l’Ospedale, il Tribunale, l’Università, diverse scuole secondarie), innescando la “invivibilità” dell’intera città (grafico 1, p. 94). Un’azione questa, tipica della città post-industriale, che ha trascurato le relazioni con il territorio agricolo e ha sottovalutato l’inestricabile relazione con il palinsesto culturale (Carta, 2007). Vasta e frammentata, la città si è insediata “attorno” al grande patrimonio culturale senza comprenderne appieno significati e valenze e senza dialogare in chiave produttiva con la complessità che caratterizza il sistema urbano. Agrigento contemporanea è una città la cui geometria impazzita ha dovuto fare i conti con alcuni elementi strutturanti – l’andamento orografico, le infrastrutture viarie che, ridondanti, ne identificano e innervano la città, il mare – e, tra questi, il Parco Archeologico
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e Paesaggistico della Valle dei Templi costituisce il principale. Ne è derivato un sistema potenzialmente policentrico (Scavone, 2009b) che caratterizza «ogni città limitata da mare e monti e diffusa su un territorio collinare» che impone «una visione per parti, una mobilità avventurosa e una fruizione paziente» (Gazzola, 2003, 181). Come nel caso di Genova, infatti, Agrigento non potrà diventare un sistema urbano compatto, sia per le difficoltà morfologiche sia per la presenza dell’area archeologica. La frammentazione e articolazione che, altrove, è definita “identità urbana” e “fascino” per la presenza di “particolari stili di vita” (ibidem) qui si traduce in invivibilità, mobilità energivora, disagio sociale, nonostante si registri una discreta crescita demografica, in controtendenza rispetto al quadro regionale (fig. p. 99). Al potenziale policentrismo, fa da contraltare oggi un marcato monocentrismo che porta a considerare “città” solo l’insediamento storico sulla collina (in particolare, l’asse portante dell’impianto urbano) e la Rupe Atenea (la città novecentesca), ma nello stesso tempo a frequentare, come altrove nel territorio italiano, i centri commerciali artificiali (Scavone, 2013) che divengono luoghi collettivi, nuove centralità (Ricci, 2003), nuovi landmark territoriali. Oggi la città pare aver “abbandonato” l’antica Akragas (così come fecero nel passato i suoi abitanti, rifugiandosi sulla collina di Girgenti) non solo fisicamente, ma anche nell’immaginario collettivo. La presenza del “vincolo”, della virtuale linea di demarcazione, non adeguatamente comunicato e partecipato, ha di fatto portato a un vissuto “negativo” e non alla consapevolezza dell’incredibile occasione che tale risorsa implica. Il vasto Parco Archeologico e Paesaggistico – nonostante negli ultimi anni ci sia stata una forte azione di sensibilizzazione e di apertura all’opinione pubblica da parte della dirigenza dell’Ente Parco – rappresenta un “peso”: si è avuto quello che Giuliano Volpe definisce una «vero e proprio divorzio tra cittadini e patrimonio» (Volpe, 2015, 16).
GRAFICO 1 Dall’istogramma si evince che, nonostante le classifiche sulla qualità della vita la releghino sempre agli ultimi posto, Agrigento ha avuto un incremento del numero degli abitanti, a fronte, però, di un calo del dato provinciale; segno questo del forte spopolamento che caratterizza i centri urbani minori (elaborazione dell’autore su dati Istat).
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La geografia e il territorio Il territorio13 in esame, «giacimento di lunga durata che precisa la propria identità e i propri caratteri nel modo in cui si integrano le sue componenti ambientali [...] con le componenti edificate [...] e con le componenti antropiche» (Magnaghi, 2000, 82), da un punto di vista geografico presenta una zona orientale (verso Favara e Naro), una zona settentrionale (che comprende i comuni di Joppolo Giancaxio e Raffadali) caratterizzata da un andamento orografico articolato e un’ampia regione costiera. Il territorio della (ex) Provincia di Agrigento rappresenta la realtà provinciale con il fronte costiero più ampio (circa 136 Km di coste) rispetto alle altre province che si affacciano sul mare. Sciacca e Licata sono i centri di inizio e fine del sistema insediativo costiero provinciale, di cui Agrigento e Porto Empedocle sono il baricentro; mentre Agrigento dialoga – al di là di Porto Empedocle, sua appendice naturale – soprattutto con i centri limitrofi dell’interno, la sua conurbazione (Favara e Aragona), Sciacca dialoga con il trapanese (quale, geograficamente, appendice meridionale della Valle del Belice) e Licata con il sistema Gela-Siracusa. Il territorio comunale del cuore della regione costiera ospita le foci di due fiumi i cui bacini idrografici comprendono comuni che ricadono quasi interamente all’interno della provincia di Agrigento. Il maggiore14 – il fiume Naro – attraversando Camastra, Canicattì, Castrofilippo, Favara, Faro, Racalmuto, sfocia ad Agrigento, in località Cannatello. Il San Leone15, invece, generato dalla confluenza di due fiumi (il Drago o Ypsas e il San Biagio), attraversa i territori di Santa Elisabetta, Aragona, Comitini, Favara, Grotte, Joppolo Giancaxio, Porto Empedocle, Racalmuto, Raffadali, e sfocia nella borgata marinara di San Leone. Le tre componenti dell’approccio territorialista, tracciano un ricchissimo quadro – storicamente determinato (fig. p. 90) – che rileva una precisa identità. La regione costiera in esame infatti presenta ancora emergenze storico-architettoniche, beni isolati, luoghi di interesse ambientale, paesaggistico, archeologico, ambientale, turistico (ci si riferisce ai piccoli approdi) ma altrettanto potrebbe dirsi per i territori più interni della medesima regione geografica. Tra le componenti edificate (se si escludono gli episodi di edilizia illegale che si sono perpetrati per anni), il paesaggio agrario, i monumenti, i centri storici, i beni isolati, le aree archeologiche (il cui quadro è in continuo divenire per le scoperte) rappresentano – insieme alle componenti antropiche – quel patrimonio materiale e immateriale da connettere alla Valle dei Templi in un network territoriale (Scavone, 2009a). La città di Agrigento, in atto, dialoga per lo più con i comuni di Aragona, Favara e Porto Empedocle (quest’ultima una vera e propria appendice della città); è verso (e da) questi centri urbani minori che si riscontrano i maggiori flussi quotidiani. Nel caso di Porto Empedocle (comune autonomo solo dal 1861),
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Agrigento, centro storico. In alto si evince il taglio operato dalla linea ferrata e la presenza di alcuni dei Palazzi “fuori misura” costruiti nella seconda metà degli anni Cinquanta, ancora esistenti. Fonte: Agrigento, il tessuto urbano del centro storico. Volo Rossi 1989, fg. 271, str. 2, ft. 170 in CRICD (2010, 107).
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i flussi riguardano la presenza del porto turistico e commerciale (di recente anche crocieristico) e, nel caso di Favara, la zona industriale e soprattutto, una delle realtà più dinamiche nel panorama culturale della Sicilia, nata quasi per reazione all’abusivismo e all’illegalità, la Farm Cultural Park. Riflessioni e prospettive Nella consapevolezza che non si innescherà alcun cambiamento fino a quando i cittadini non si innamoreranno del “loro” patrimonio culturale (Volpe, 2015, 15), si condivide l’affermazione che il protagonista assoluto di una nuova vision per la Valle non è il Parco Archeologico, ma la comunità che deve vivere pienamente e consapevolmente l’eredità «ricevuta dal passato [...] arricchendola di nuovi significati» (ivi, 16); in un approccio progettuale che integri il patrimonio culturale e innervi città e territori, con una nuova concezione del “vincolo” che diviene un elemento attivo da cui partire per incrementare creatività (Carta, 1999). Il policentrismo che caratterizza il sistema urbano può trovare soluzione nel ridare valore al paesaggio agrario residuo: l’idea di connettere i frammenti della città mediante il Parco agricolo-territoriale (Lo Piccolo, 2009), che annulli le distanze fisiche, risulta pertinente sia per garantire ai residenti una maggiore vivibilità, sia per la multifunzionalità delle aree agricole – promossa dall’Unione Europea – che può innescare. Tale Parco territoriale, in sinergia con il Parco Archeologico e Paesaggistico, potrebbe divenire quindi il fulcro di un sistema reticolare più ampio che comprenda tutti i tasselli del puzzle di cui è costituito il sistema urbano, compresi i centri isolati. Per tali territori, infatti, bisognerebbe evitare progetti occasionali e poco coerenti tra loro per mirare a una città come “opera aperta” che ritrovi il suo milieu e sviluppi un milieu creativo (Carta, 2014). La città attende un’azione urbanistica forte che agisca aggregando e consolidando il sistema urbano, che riscopra i valori del regionalismo di Geddes in cui il modello insediativo diventi un “territorio urbano a rete” (Carta, 2007). La forza del nodo urbano (grazie anche al marchio UNESCO) potrebbe consentire anche la messa in rete dei centri urbani della regione geografica di riferimento (che comprende circa 12 piccoli comuni), delle risorse diffuse, delle riserve naturali, in connessione con gli attrattori - naturali e culturali – presenti a livello regionale. In considerazione della «armoniosa integrazione città-campagna, patrimonio culturale-paesaggio» (Settis, 2010, 84) e del fatto che il patrimonio culturale è diffuso in modo capillare nell’intero contesto geografico, l’approccio proposto – partendo dalla presa di coscienza del valore identitario di tali testimonianze – considera il «paesaggio quale elemento comune, tessuto connettivo,
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filo unificante dei vari elementi del patrimonio culturale» (Volpe, 2015, 28). Un filo che inneschi un processo di rinascita “collettiva” al fine di proteggere e conservare il genius loci, rendendone concreta «l’essenza in contesti storici sempre nuovi» (Norberg-Schulz, 1992, 18).
Note 1. Definizione della Valle dei Templi data da L. Zevi (2007). 2. Il termine (Scavone, 2005) indica provocatoriamente il grande “pieno” costituito dalle risorse archeologiche disseminate nel paesaggio agrario. 3. Si ritiene rilevante il ruolo svolto dal Corso di Laurea in Archeologia e dal Corso di Laurea Magistrale in Architettura (per la sensibilizzazione alle tematiche del paesaggio e del progetto, per l’approccio alla creatività). 4. Studiosi, imprenditori, mecenati (alcuni dei quali intervenuti in occasione del Forum territoriale, i cui esiti sono pubblicati in questo testo), ma anche giovani che hanno dato vita a vivaci Associazioni culturali. 5. Per il ruolo del “patrimonio immateriale, che tutela le espressioni culturali”, si rimanda alla Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale nel 2003 e la Convenzione UNESCO sulla protezione e la promozione delle diversità di espressioni culturali del 2005. 6. Circa la definizione, cfr. la Convenzione de L’Aja (1954). 7. L’art. 111 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio definisce la valorizzazione una «costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all’esercizio delle funzioni ed al perseguimento delle finalità» (indicate nell’art. 6). 8. Circa la fragilità del territorio costiero sulle spinte del turismo cfr. gli studi di Plan Blue: www.planblue.org. 9. Per approfondimenti, si rimanda alla rivista INU, Urbanistica, n. 48 del 1966. 10. Trasferimento avvenuto con la Legge 749 del 28 settembre 1966 (la stessa nella quale veniva dichiarata la Valle dei Templi di Agrigento “zona archeologica di interesse nazionale”, prima dell’emanazione del D.M. Gui-Mancini del 16 maggio 1968). Furono chiamati a progettare per Villaseta (348 nuovi alloggi, una chiesa, un centro commerciale e scuole dell’obbligo) gli architetti: Bonafede, Calandra, Calzolai e Lenci, coordinati dall’ing. Mario Ghio. 11. Il riferimento è al Viadotto Morandi che - per collegare Villaseta alla città - è stato realizzato a discapito di una necropoli di epoca greca in contrada Pezzino (per realizzare la quale fu necessario andare in deroga al decreto Gui-Mancini, con un D.M. del 1971). 12. Ad Agrigento, in particolare, nel periodo antecedente alla frana 1951-1961, la popolazione è passata da 40.491 a 47.919 (dati Istat), con conseguente incremento del numero delle abitazioni. Dal 1951 al 1965 furono costruiti 25.689 vani pari al 118% della consistenza del patrimonio al 1951 (Gucciardo, 1999, 58). 13. Cfr. il Piano Paesaggistico della Provincia di Agrigento (iter in corso) che ne delinea compiutamente le peculiarità. 14. La lunghezza dell’asta principale è di km.31, la superficie totale kmq 262,3 (SITR, Bacino idrografico del fiume Naro), in www.sitr.regione.sicilia.it/PAI/BACINI.html 15. La lunghezza dell’asta principale è km26, la superficie totale del bacino è kmq 217,4 (SITR, Bacino idrografico del fiume San Leone).
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SPRAWL
Sprawl che caratterizza il sistema urbano frammentato di Agrigento: al centro - in verde - il confine del Parco Archeologico (elaborato grafico tratto, a cura dell’autore, dalla tesi di Laurea in Architettura di Giusj Careca, a.a. 2013-14, relatori prof. V. Scavone e prof. G.F. Tuzzolino).
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ABUSIVISMO
Frana di Agrigento, in arancio le porzioni dei fabbricati costruiti in difformità allo strumento urbanistico vigente. Selezione (a cura dell’autore) di immagini tratte dalla rivista Urbanistica n. 48, 1966.
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Ferdinand Georg Waldmüller, Rovine del tempio di Giunione Lacinia presso Girgenti (1845 ca.) (Vienna, Liechtenstein Museum)
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CONOSCENZA E VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO. DARE SENSO E PRENDERE SENSO DAI RESTI DEL PASSATO: IL CASO DI AGRIGENTO ELISA CHIARA PORTALE Il progetto DO.RE.MI.HE. ha dato l’occasione di vagliare le potenzialità della valorizzazione di un contesto, Agrigento, tra i più rilevanti per la conoscenza e percezione dell’antico attraverso le “rovine”. Un vincolo condizionante è dato dal secolare background della disciplina archeologica – con la mole di cognizioni, sistematizzazioni dei dati e ricostruzioni nonché di procedure e interventi volti alla tutela e conservazione – consolidatosi insieme all’esperienza contemplativa delle rovine (dapprima come parte significativa dell’educazione delle élites occidentali, quindi come passaggio obbligatorio del turismo scolastico e di massa) (figg. pp. 102 e 106), e a una concezione del cultural heritage di cui oggi si avvertono i limiti e che si tende a superare con approcci più moderni, e talvolta post-moderni, ai beni e testimonianze materiali del passato. Nella fattispecie, la visione tradizionale delle antichità di Agrigento (o, per meglio dire, della Valle dei Templi, sottratta alla dilatazione incontrollata della città attraverso l’oculata attività legislativa sfociata nella creazione con L.R. 20/2000 del primo Parco Archeologico e Paesaggistico della Sicilia dotato di autonomia gestionale e scientifica) può apparire stantia e poco attraente anche perché connessa a lungo, per ragioni storiche e per prioritarie esigenze di tutela, a un approccio prescrittivo e proibizionistico (con l’acquisizione dei principali beni nella proprietà e amministrazione pubblica, e la conseguente segregazione delle aree archeologiche rispetto al quotidiano) che solo lentamente e con difficoltà è stato accettato dai residenti. La conoscenza e percezione di tale patrimonio è ancorata alle ricostruzioni elaborate dagli studiosi nelle edizioni scientifiche, improntate agli interessi preminenti nel panorama culturale in cui sono maturate le stesse indagini archeologiche. D’altro lato, più a monte, essa è frutto dell’elezione dei templi dorici sulla cresta meridionale della Valle a icona culturale del
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classico, modello estetico assoluto e reliquia di un passato nobile da ereditare (riappropriandosene attraverso lo studio dei testi e dell’arte antica, il collezionismo, la competenza dotta), e poi – nella civiltà dei consumi del XX-XXI secolo, fattosi sempre più debole il legame ideologico delle classi dirigenti con la tradizione classica – a “luogo famoso” da visitare, fotografare, filmare, condividere sui social. Di conseguenza, se i templi catalizzano l’attenzione, resta in ombra la restante, amplissima e suggestiva area di interesse archeologico primario all’interno del Parco (compreso il Museo al suo centro, che risente dell’intensa frequentazione turistica della Valle solo per una percentuale pari a circa un nono delle presenze registrate). Tutto ciò, con un’oscillazione nell’enfasi, a guida delle politiche e degli atteggiamenti della comunità nei confronti del patrimonio, ora sulle valenze identitarie dei beni (preponderanti in alcune fasi salienti dell’organizzazione statale, e poi regionale, della tutela e ricerca, e riemergenti nel più recente filone dell’Archeologia pubblica), ora sul ritorno economico della gestione e valorizzazione dei “giacimenti” culturali. Nelle ultime generazioni si è peraltro accentuata la distanza tra l’approccio specialistico – con contenuti e linguaggi settoriali scarsamente comprensibili fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori – e la fruizione più diffusa. Quest’ultima appare generalmente passiva (il pubblico, cioè, non ha i mezzi o non è messo in grado di appropriarsi a livello più profondo delle rovine che percepisce visivamente, o persino subisce compulsivamente nei tour de force del turismo “mordi e fuggi”), ovvero è destinataria di una divulgazione progettata per un target statico e mediamente modesto. La divulgazione, in sostanza, tende ad attestarsi su uno standard prefissato senza variazioni di rilievo – se si eccettua l’attenzione recente per i bambini in età pre-scolare e scolare – e al contempo si limita a semplificare e banalizzare gli stessi contenuti specialistici, generalmente focalizzati sulle esigenze e gli interessi del momento e del contesto culturale in cui detti contenuti sono stati introdotti nel dibattito scientifico. Di conseguenza l’offerta di informazioni e conoscenze assai di rado sopperisce alle curiosità di un pubblico diversificato o differente dal pubblico ideale che potevano immaginare gli archeologi del secolo scorso (quelli, cioè, che hanno determinato con le loro scoperte e interpretazioni l’immagine “accreditata” dei monumenti e delle evidenze archeologiche da cui viene desunta, per semplificazione, la divulgazione). In generale, le informazioni ritenute indispensabili nelle pubblicazioni divulgative (guide, brochures, pannelli didattici, ecc.) sono i dati descrit-
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tivi (spesso espressi con un lessico altamente specializzato) e metrici e quelli inerenti cronologia e fasi (certo basilari per un corretto approccio a testimonianza di carattere storico e non meramente estetico), nonché eventuali corrispondenze con gli avvenimenti noti dalle fonti letterarie. Tutti dati di primaria importanza, naturalmente, ma per nulla esaustivi rispetto al ben più esteso e anche più concreto spettro di interessi che può suscitare la comprensione guidata di un contesto archeologico. La documentazione illustrativa, poi, presenta per lo più piante o rilievi schematici o in scala inadeguata, al pari delle immagini di reperti e resti, per lo più a bassa definizione (di contro alle pubblicazioni scientifiche cui si richiedono standard qualitativi elevati). La divulgazione equivale quindi a una semplice sottrazione di complessità e precisione rispetto all’optimum costituito dalle edizioni scientifiche. Il punto di riferimento resta la comunità degli studiosi con i suoi linguaggi e procedure sedimentati nella pratica accademica, rispetto a cui il materiale informativo per il pubblico più ampio costituisce una banalizzazione. Non considerare il punto di vista e le esigenze di un’utenza di non specialisti porta, tutt’al più, a usare un linguaggio quasi esoterico di scarsa permeabilità e appeal presso i non addetti ai lavori, ma anche a fare un uso molto limitato di ausili alla comprensione come ricostruzioni virtuali (utili solo se supportate da un faticoso e capillare controllo dei dati di partenza) o disegni ricostruttivi di oggetti conservati in stato frammentario. Contro queste falle della divulgazione si è, giustamente, levato un movimento d’opinione che sollecita la ridefinizione di apparati didattici, siti e postazioni informatiche, testi e strumenti per consentire anche una percezione sensoriale e creare un impatto emozionale del materiale presentato. Tuttavia, il problema non riguarda solo le modalità di presentazione dei dati (per cui basterebbe un uso più esteso di strumenti come il 3D o le app messi a disposizione dalle nuove tecnologie), né la sola capacità (peraltro fondamentale) di creare emozioni nel visitatore. Si tratta del modo stesso di accostarsi ai resti antichi, di dare loro senso e di recepirli nel profondo come creatori di senso, che è il livello più efficace, più pervasivo e più consono allo statuto di patrimonio culturale dei beni culturali e del paesaggio (culturale anch’esso) in cui essi sono integrati, e da cui non possono essere scissi. I resti archeologici e i paesaggi con cui essi fanno sistema – nella fattispecie, il paesaggio della Valle dei Templi – non sono mai stati realtà statiche e non possono esserlo neanche adesso, che li si intenda come oggetto di studio autoreferenziale o come icone di un passato nobile, o anche come cornice prestigiosa di eventi di richiamo
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o foto ricordo. Né può essere statica la conoscenza che noi siamo in grado di produrre intorno ad essi e che essi sono in grado di produrre per noi fruitori. La società moderna ha fatto dei resti antichi un efficace strumento di costruzione culturale, identitaria, sociale e politica (nell’affermazione e consolidamento delle élites, nelle pratiche sociali quali il collezionismo o l’associazionismo elitario, nelle dinamiche di formazione e risveglio di coscienze nazionali, di orgogli municipali, di istanze di affermazione di realtà locali con le “proprie” antichità, il “proprio” sito archeologico o museo), acquisendo una sua familiarità ed elaborando un suo bagaglio di conoscenze sulle testimonianze del passato, che è stato assorbito e strumentalizzato per costruire il presente e progettare il futuro. D’altro lato, tali conoscenze, funzionali alla società che le ha conseguite e sfruttate, per la loro inevitabile aderenza a un discorso contemporaneo e attuale non possono ritenersi definitive (non solo per l’ovvio incremento dei dati con nuove scoperte
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Turisti in visita al Tempio della Concordia (25/09/15).
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e tecniche di indagine, ma proprio perché ogni società elabora le sue conoscenze e matura i suoi interessi verso il passato) né esaustive dell’immenso potenziale che i beni culturali sono in grado di sviluppare intorno a sé, appunto perché culturali (testimonianza materiale di una cultura antica, strumento culturale delle società successive fino all’ultima che ne sta rilevando l’eredità). Quindi, tanto l’unidirezionalità della trasmissione culturale effettuata con una divulgazione non aggiornata o sciatta, mera semplificazione di un unico approccio specialistico fermo al momento (magari remoto) della scoperta/edizione di uno scavo o monumento, quanto gli interventi di valorizzazione non sorretti da un impianto culturale adeguato (l’idea forte di base e le competenze forti di chi progetta e realizza) non possono che mortificare la molteplicità di conoscenze, suggestioni, emozioni, curiosità, stimoli, ovvero il valore che il patrimonio può invece far scaturire se se ne riannoda il filo con le istanze dell’attualità. Altrimenti detto: se lo si sottopone a interrogativi attuali, letture diverse, metodi di analisi nuovi, intersezioni con altre conoscenze ed esperienze, a vantaggio di pubblici diversificati per fasce d’età, interessi, background storico-culturale, condizioni e situazioni dell’esperienza conoscitiva che ha per oggetto i resti antichi (fig. p. 109, sopra). Quest’ultima, in quanto “esperienza conoscitiva”, consiste in un arricchimento di conoscenza e produzione di conoscenza che l’aspetto emozionale o edonistico può e deve intensificare, ma senza sostituirsi all’aspetto cognitivo e formativo. Un parco archeologico è altra cosa da un parco divertimenti o da un belvedere, senza nulla togliere alla giusta ricerca di piacere e benessere per il fruitore del parco archeologico (che tanto più sarà favorevolmente predisposto verso l’esperienza conoscitiva godibile in quell’unico sito, quanto più sarà a suo agio e coinvolto emotivamente nell’esperienza). Ma punto sia di partenza che di arrivo è la conoscenza: a) conseguita e messa a disposizione da chi promuove, mette in valore, suggerisce, indirizza e incentiva la fruizione culturale, al fine di produrre e far produrre altra conoscenza; b) promossa e creata nei fruitori e dai fruitori (al di là dei mezzi di trasmissione, ausili didattici e illustrativi, facilitazioni alla visita, cura del godimento e del senso di soddisfazione del pubblico, pur tutti elementi fondamentali per la messa in valore, cioè per il conferimento di valore e la promozione di valore aggiunto del patrimonio). Nel progetto, in relazione al caso Valle dei Templi, si è perciò in primo luogo supportato con una base di conoscenze condivisa – indispensabile per qualsivoglia progetto di valorizzazione – il gruppo misto di allievi
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italiani e tunisini, in modo che le variegate competenze disciplinari di partenza s’intrecciassero e si armonizzassero arricchendosi reciprocamente; ma al contempo si è voluto dare un input per un approccio meno convenzionale, più attuale e più dialettico alle antichità della Valle. Partendo dalle fondamenta delle grandi ricerche del secolo scorso, lo studio e l’osservazione autoptica degli artefatti nel loro contesto spaziale hanno inteso ridare spessore, vita e dinamismo ai resti archeologici, per recuperare il loro valore di segni culturali e veicolo permanente di arricchimento culturale: valore e arricchimento che non sono dati una volta per tutte ma, al contrario, per esplicarsi devono necessariamente porsi in relazione con l’uditorio attuale, con la nostra società, con le questioni che a noi stanno a cuore (così come le epoche che ci hanno preceduto hanno saputo porre al patrimonio le domande che stavano loro a cuore). A titolo di esempio, tra i tanti temi suscettibili di coinvolgere a vari livelli l’interesse di fruitori diversi, si possono citare le tecniche, la cultura dell’acqua, la trasformazione dei paesaggi, la dimensione immateriale e le tradizioni, l’immaginario, le dinamiche di costruzione di identità, ruoli sociali e status, l’educazione e il gender, l’aspetto rituale, il rapporto con l’ambiente e le risorse, il quotidiano, il lavoro e l’economia, le relazioni interetniche o interculturali, la concezione della morte; e ancora, i nessi che possono rendere familiari all’osservatore straniero le antichità di Agrigento, evidenziandone la fortuna nei Paesi occidentali (dispersione di reperti agrigentini nei maggiori musei, resoconti di viaggiatori illustri, vedute pittoriche, ripresa del dorico nell’architettura neoclassica) o l’affinità con altre evidenze monumentali di ambito mediterraneo. Quel che preme recuperare è una concezione più “viva” dei monumenti e dei resti, non come reliquie in mostra da contemplare, o rovine pittoresche da usare quale sfondo per fotografie o location per eventi, bensì come elementi di un discorso, dapprima attivato nel quadro socio-culturale della polis arcaico-classica e quindi riformulato nelle trasformazioni di età ellenistico-romana, tardo- e post-antica, moderna, e da riformulare ancora nell’attualità. Tale discorso, difatti, non può darsi per chiuso in un determinato momento che ha decretato la fine di quella civiltà (classica) che ci ha lasciato le tracce più macroscopiche, ma è stato via via rinnovato, alterato e rielaborato, proprio in forza della permanenza dei resti materiali e dell’intreccio di tradizioni e nozioni immateriali ancorati a “quel” paesaggio nei diversi momenti di vita, fruizione, abbandono e destrutturazione, ripresa e recupero, fino alla contemporaneità. Oggigiorno, l’approccio post-moderno consueto nella società globa-
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Sopra/Scavo a cantiere aperto, zona sud del Santuario di Zeus Olympios (Università di Palermo, Parco Valle dei Templi). Sotto/Veduta della città dal Santuario delle divinità ctonie nella parte SO della Valle dei Templi: in evidenza l’angolo NO del c.d. Tempio dei Dioscuri ricostruito nell’anastilosi ottocentesca.
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lizzata e l’abitudine a collazionare con facilità informazioni, immagini, componenti di diversa origine associabili in un melting pot variegato non devono far perdere di vista – decontestualizzando gli oggetti o proponendone semplici abbinamenti a fini estetici con altre opere d’arte (per quanto interessanti, e anche utili a volte) – il rapporto del patrimonio archeologico con un tessuto connettivo che è l’ambiente (non mero spazio fisico, ma paesaggio culturale), la cultura immateriale (antica e moderna) intrecciatasi intorno e addentro ai resti materiali, la società (antica e moderna) di riferimento: quel miscuglio speciale, insomma, che fa del contesto agrigentino un unicum irriproducibile e non esperibile altrove se non nell’habitat della Valle e – ancora da recuperare nei fili che lo allacciavano e lo allacciano alle rovine meglio conservate del paesaggio vallivo – della città storica sul Colle di Girgenti (fig. p. 109, sotto). Bibliografia Carlino A. (a cura di) (2009), La Sicilia e il Grand Tour. La riscoperta di Akragas. 1700-1800, Gangemi, Roma. Carlino A. (2011), “Tutela e conservazione dei monumenti agrigentini (1779-1803)”, in Sicilia Antiqua, n. 8, pp. 101-142. Costantino G. (a cura di) (2005), Il monumento nel paesaggio siciliano dell’Ottocento, Regione Siciliana, Assessorato BBCCAA, Palermo. De Miro E. (1994), La Valle dei Templi tra iconografia e storia, Assessorato Regionale Beni Culturali e P.I., Palermo. De Miro E., Calì V., Falcone D., Gullì D., Sturiale S.C., Trombi C., Vanaria M.G. (a cura di) (2000), Agrigento I. I santuari urbani. L’area sacra tra il tempio di Zeus e porta V, L’Erma di Bretschneider, Roma. De Miro E., Calì V., Sturiale S.C., Oteri E. (a cura di) (2003), Agrigento II. i santuari extraurbani. L’Asklepieion, Rubbettino, Soveria Mannelli. De Miro E. (2009), Agrigento IV, Agrigento. L’abitato antico. Il quartiere ellenistico-romano, Gangemi, Roma. De Miro E., Fiorentini G. (2011), Agrigento VI. Agrigento romana. Gli edifici pubblici civili, Fabrizio Serra Editore, Pisa-Roma. Fiorentini G. (1998), Introduzione alla Valle dei Templi, Assessorato Regionale Beni Culturali e P.I., Palermo. Fiorentini G. (2005), “Monumenti e luoghi classici della Sicilia nelle testimonianze dei viaggiatori stranieri tra la metà del XVIII e la metà del XIX secolo”, in Sicilia antiqua, n. 2, pp. 193- 218. Fiorentini G., Calì V., Trombi C. (a cura di) (2009) , Agrigento V. Le fortificazioni, Gangemi, Roma. Griffo P. (1961), Nuovissima guida per il visitatore dei monumenti di Agrigento. La zona archeologica e la città moderna, Soprintendenza alle Antichità, Agrigento. Marconi P. (1929), Agrigento. Topografia e arte, Vallecchi, Firenze. Marconi P. (1933), Agrigento arcaica. II Santuario delle divinità ctonie e il tempio detto di Vulcano, Libreria dello Stato, Roma. Parello C., Rizzo M.S. (a cura di) (2014), “Archeologia pubblica al tempo della crisi”, Atti delle Giornate gregoriane VII edizione, 29-30 novembre 2013, Edipuglia, Bari. Rausa F. (2014), “Julius Schubring, pioniere degli studi sulla topografia storica di Akragas”, in
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C. Capaldi, T. Fröhlich, C. Gasparri (a cura di), Archeologia italiana e tedesca in Italia durante la costituzione dello Stato Unitario, Atti delle giornate internazionali di studio, Roma 20-21 settembre - Napoli 23 novembre 2011, Naus Editoria, Pozzuoli, pp. 349-362. Schmidt G., Griffo P. (1958), “Agrigento antica dalle fotografie aeree e dai recenti scavi”, in L’Universo, n. 38, pp. 289-308. Sojc N. (a cura di) (2014), “Akragas: current issues”, Proceedings of the International Conference Leiden, 5-6 march. Varrica A. (2010), Siti archeologici e management pubblico in Sicilia. L’esperienza del Parco Valle dei Templi, FrancoAngeli, Milano.
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Tracce archeologiche nell’area a Nord di Casa S. Marco (da Belvedere, Burgio, 2012, fig. 155).
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AGRIGENTO: LA CARTA ARCHEOLOGICA DELLA CITTÀ ANTICA E DEL SUBURBIO AURELIO BURGIO
Negli ultimi decenni è stata acquisita la consapevolezza che presupposto indispensabile per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione dei siti antichi è la Carta Archeologica. Essa permette l’integrazione tra i dati noti da tempo e le informazioni acquisite più di recente. Da queste premesse deriva il progetto di Carta Archeologica intrapreso dal Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento e dall’Università degli Studi di Palermo. La Carta (Belvedere, Burgio, 2012) si fonda sulla acquisizione diretta dei dati archeologici, a seguito di ripetute prospezioni sistematiche condotte nell’area urbana della città antica e nel suo immediato comprensorio, limitatamente all’area del Parco. I dati sono confluiti nel Sistema Informativo Territoriale (SIT), o Geographical Information System (GIS), archeologico del Parco, e sono integrati con l’esame di dettaglio dell’assetto geomorfologico, topografico, ambientale e paesaggistico, possibile proprio grazie alle potenzialità e alla versatilità delle applicazioni in ambito informatico. Come è noto, il SIT contribuisce a trasformare tutte le informazioni da elementi di conoscenza a strumenti per la tutela, conservazione e pianificazione di attività mirate alla ricerca, salvaguardia e valorizzazione del patrimonio archeologico; il SIT del Parco è dunque uno strumento di conoscenza continuamente aggiornabile e implementabile, e la Carta Archeologica così strutturata potrà essere integrata con i risultati delle ricerche future. La Carta è stata realizzata a partire dalla ricerca bibliografica e documentaria. La presenza di imponenti ruderi è un aspetto peculiare del paesaggio urbano della città greca, oggetto di dettagliate osservazioni e di studio sin dal XVI secolo da parte di viaggiatori e studiosi di antichità, in particolare Cristoforo Scobar (1522), Tommaso Fazello (1558) e Filippo Cluverio (1629). Le rovine di Akragas entrarono così ben presto tra i siti del Grand Tour, e tra XVIII e XIX secolo i templi di Agrigento furono ripetutamente illustrati,
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anche se è stato necessario attendere l’opera di Giuseppe Maria Pancrazi (Pancrazi, 1751-1752) per una sistematica illustrazione dei resti della città, e ancora un altro secolo per una vera planimetria. La prima planimetria di Akragas risale infatti al 1867, e fu pubblicata in scala 1:10.000 (Foglio 271, “Girgenti e i suoi templi”, edizioni 1863-1867) dallo Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, quindi rielaborata da Giulio Schubring nel 1870 (sempre a scala 1:10.000) e ripubblicata in traduzione italiana alcuni anni dopo (Schubring, 1887). In questa planimetria si delinea con chiarezza per la prima volta la struttura della città antica, della quale si coglie l’aspetto unitario, con i colli di Girgenti e della Rupe Atenea che chiudono l’orizzonte nord, e l’abitato che digrada moderatamente a sud verso la collina dei templi. Nell’elaborazione della Carta Archeologica, all’esame della cartografia storica è stato associato quello delle fotografie aeree: proprio da foto aeree realizzate dopo la Seconda Guerra Mondiale è stato ricavato il primo studio analitico e sistematico sulla topografia e urbanistica della città, da parte di Pietro Griffo e Giulio Schmiedt. I due studiosi elaborarono una planimetria in scala 1:10.000 (Schmiedt, Griffo, 1958), che riporta non solo i dati archeologici frutto dell’intenso periodo di ricerche archeologiche dell’immediato dopoguerra, ma anche le nuove ipotesi ricostruttive – a tratti forse schematiche – del tessuto urbano derivate dalla lettura delle fotografie aeree. L’immagine che si ricava dal lavoro di Schmiedt e Griffo
TOPOGRAFIA
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A sinistra/L’area della città di età classica e di età romana (da Belvedere, Burgio, 2012, fig. 41). A destra/I siti archeologici nel suburbio (da Belvedere, Burgio, 2012, tav. I).
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è quello di una città strutturata per terrazze, digradanti verso SE dalle pendici del Colle di Girgenti e della Rupe Atenea. L’impianto urbano per strigas è scandito da sei plateiai parallele, orientate NE-SO (larghe ca. 7 m), incrociate ortogonalmente da numerosi stenopoi (larghi ca. 5,5 m); gli isolati sono molto allungati, hanno dimensioni leggermente variabili (300/340x35 m), e sono orientati NO-SE. Questo schema mostra una anomalia nel settore nord-occidentale della città, a monte della collina di S. Nicola: qui gli isolati hanno una leggera divergenza di orientamento, con rotazione verso ovest. A questo impianto urbano si lega strettamente il sistema difensivo, caratterizzato da più fasi costruttive, legate alle vicende che interessarono Akragas tra età tardo-arcaica ed ellenistica (Fiorentini, 2009). Altri elementi fortemente caratteristici del paesaggio urbano sono la disposizione dei Templi lungo la collina meridionale (una sorta di “cintura sacra”), e la Kolymbetra. Quest’ultima è un ampio bacino idrico ubicato nel settore sud-occidentale, tra il terrazzo alle spalle del Tempio di Zeus e il c.d. Tempio di Efesto: nella Kolymbetra confluivano sia le acque di due piccoli torrenti che attraversano la città, sia quelle incanalate attraverso i cosiddetti “acquedotti di Feace”, un sistema di captazione e distribuzione sotterranea, in parte ispezionato da Griffo e Schmiedt e graficamente documentato nella planimetria pubblicata nel 1958. Parte integrante della ricerca documentaria è stato l’esame sistematico delle foto aeree storiche e attuali, e delle immagini da satellite: sono state utilizzate in particolare immagini ad alta risoluzione dei voli ERAS 1955 (Città di Agrigento), IGM 1955 e 1966, MPI 1970, ATA 1987 e Regione Sicilia 2000. Per alcune zone è stato utile confrontare le tracce archeologiche reperite nelle foto aeree con le scene di Google Earth. Tutte le tracce sono state successivamente sottoposte a verifica diretta sul campo. Sono state rintracciate solo alcune delle tracce segnalate da Griffo e Schmiedt, ma ne sono state individuate altre, sia nell’area urbana che nel suburbio, prova che la trasformazione del paesaggio cancella irrimediabilmente tracce e resti sul terreno, e al tempo stesso, porta alla luce nuovi elementi (fig. p. 112). Di pari passo con la ricerca documentaria, e con le problematiche che andavano emergendo, è stata progettata la prospezione archeologica, condotta su tutta l’area del Parco, sia all’interno della città antica (indagine intra-site, con esclusione dei Colli di Girgenti e della Rupe Atenea, quasi del tutto urbanizzati), sia all’esterno delle mura, su una superficie ampia complessivamente circa 15 kmq (Belvedere, Burgio, 2012). Per la prospezione si è adoperata la metodologia intensiva e sistematica: è stata percorsa a piedi tutta l’area del Parco, procedendo ove possibile in linea a intervalli regolari, variabili secondo la visibilità
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del terreno (da 10 a 20 m con visibilità ottima o buona, da 5 a 10 m con visibilità media o scarsa), osservando la presenza di reperti archeologici in superficie, posizionati con il GPS. Per registrare la visibilità del suolo si è adoperata una scala simile a quella adottata nella prospezione del territorio di Himera (Alliata et al., 1988), utilizzando cinque gradi di visibilità, dal più visibile al meno visibile (1- ottima, 2- buona, 3- media, 4- cattiva, 5- nulla), e una scala cromatica variabile dal giallo al verde intenso, oltre al grigio per le aree inaccessibili. Esito finale è stata la realizzazione della Carta Archeologica e della Carta della visibilità del suolo, entrambe a scala 1:10.000, elaborate attraverso il GIS come tutta la cartografia del progetto sulla base della Carta Tecnica Regionale. Tutti i dati sono confluiti nella costruzione della piattaforma GIS, per la quale è stato utilizzato il software ArcGIS (versione 8.3). Quest’ultimo è stato relazionato a un Database Access, composto da Scheda Unità Topografica (UT), Scheda Tombe, Scheda Elemento Architettonico; alla documentazione di base sono stati associati altri livelli, rappresentati da Idrografia, Geologia, Pedologia, Viabilità storica (Regie Trazzere). Tramite la piattaforma GIS sono stati realizzati modelli cartografici specifici e specifiche analisi spaziali e contestuali: di particolare interesse si sono rivelate la mappa che illustra l’elaborazione diacronica della campionatura dei reperti nell’area urbana (fig. p. 114, a sinistra) e la carta del soleggiamento con sovrapposti i livelli archeologici (Belvedere, Burgio, 2012, fig. 28). Aspetto peculiare della ricerca è stata la prospezione archeologica, sia l’indagine intra-site, che quella condotta nel suburbio. Obiettivo del survey nell’area urbana è stato il riconoscimento della destinazione d’uso delle varie zone, l’individuazione di aree funzionali, la definizione di aree con cronologie differenti. Sono state adottate strategie di raccolta dei dati e di documentazione tipiche dell’indagine intra-site, ed è stata rivolta particolare attenzione ai seguenti aspetti: densità, distribuzione, caratteristiche tipologiche e cronologia dei reperti; posizionamento tramite GPS degli elementi architettonici (colonne, capitelli, cornici) e strutturali riferibili alla struttura urbana (allineamenti di muri; altre tracce da sopravvivenza, come confini di campi, filari di alberi, viabilità storica). Per esaminare e annotare direttamente sul campo la densità, elevatissima, dei frammenti ceramici sul terreno, è stata costruita una quadrettatura virtuale, inserita all’interno del progetto sul GPS palmare utilizzato durante la prospezione (Belvedere, Burgio, 2012, 58-59): in questo modo è stata riconosciuta con immediatezza l’evoluzione dell’insediamento urbano nel tempo, cogliendo la contrazione dell’abitato tra la città greca e la città romana (fig. 2). L’indagine nel
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suburbio ha richiesto un approccio diverso, a causa della presenza di un elevato “rumore di fondo” (cioè ampia e costante dispersione di frammenti fittili sul terreno): qui è stata registrata sistematicamente la densità dei reperti al suolo, realizzando una carta della densità, che riporta per ciascun campo i valori di concentrazione dei reperti. Sono state individuate 42 Unità Topografiche (UT), cioè aree che si distinguevano dal “rumore di fondo” per la presenza di resti archeologici (soprattutto ceramica, ma non solo), interpretabili come segni della presenza umana in antico (fattorie, case isolate, necropoli, aree artigianali, aree sacre) (fig. p. 114, a destra). Molte UT non erano note in precedenza e di ciascuna sono stati tracciati con il GPS i limiti. La raccolta del materiale non è stata totale, ma limitata ai reperti più rappresentativi per ogni fase attestata. I siti individuati sono databili da età preistorica al periodo tardo-antico, e ciò offre un esaustivo quadro del popolamento del comprensorio agrigentino, sia prima della fondazione della città, sia in seguito alla costituzione della colonia rodiocretese. Di particolare interesse sono i siti a carattere artigianale di età arcaico-classica ed ellenistica destinati alla produzione di grandi contenitori per derrate e materiali da costruzione, caratterizzati dalla presenza di scarti di lavorazione (UT 5, 28). Alcune UT sono interpretabili come insediamenti a carattere rurale, vere e proprie fattorie, che fin da età arcaica e classica sembrano disporsi attorno alla colonia, in particolare nella fascia a sud della città (UT 1, 3, 4, 16, 19, 36); tale fenomeno si accentua in età ellenistica (UT 1-4, 6, 8, 11, 16, 39). In età romano-repubblicana e imperiale sopravvivono solo alcuni degli insediamenti ellenistici preesistenti (UT 4, 8, 16), e vengono occupati altri siti (UT 9, 34, 37) posti lungo i principali corsi d’acqua, in particolare lungo il fiume S. Anna. Uno di essi raggiunge dimensioni considerevoli (UT 9), mentre un secondo, per la presenza di reperti di lusso e tessere musive, potrebbe interpretarsi come villa suburbana (UT 8: da rilevare che il luogo è frequentato già in età ellenistica). Pochi altri (UT 7, 11) sembrano avere continuità di vita in età bizantina. Bibliografia Alliata V., Belvedere O., Cantoni A., Cusimano G., Marescalchi P., Vassallo S. (1988), Himera III.1, Prospezione archeologica nel territorio, L’Erma di Bretschneider, Roma. Belvedere O., Burgio A. (2012), Carta archeologia e Sistema Informativo Territoriale del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento, Palermo. Fiorentini G. (2009), Agrigento. Le fortificazioni, Gangemi, Roma. Pancrazi G.M. (1751-1752), Antichità Siciliane spiegate, I-II, Napoli. Schmiedt G., Griffo P. (1958), Agrigento antica dalle fotografie aeree e dai recenti scavi, L’Universo, Firenze. Schubring G. (1887), Topografia storica di Agrigento (ἈΚΡΆΓΑΣ), trad. it. con note ed aggiunte di G. Toniazzo, Loescher, Torino.
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RESPONSABILITÀ È PIANIFICAZIONE Edipo pianificatore della città del presente1
DANIELE RONSIVALLE
Responsabilità storiche Le spinte propulsive di sviluppo, crescita e competitività dei nostri territori – catalogati spesso con l’eufemismo “a sviluppo lento” – sembrano troppo spesso vittima di una strana maledizione che li attanaglia e da cui con difficoltà cercano di liberarsi. Una peste che non ha apparenti spiegazioni se si considera quanto è stato fatto negli ultimi venticinque anni al fine di far partire una volta per tutte la macchina dello sviluppo fondato sulle risorse territoriali locali, orientato alla valorizzazione delle identità, sviluppato attraverso processi virtuosi. Tuttavia ricercando nella storia di questi luoghi, si scopre che il territorio è stato ancora troppo spesso trattato come oggetto indifferente alle scelte di trasformazione e non come autorevole soggetto silenzioso ed eloquente. Cosa è successo? Perché la centralità del soggetto territorio indicata da Carta (2002) non è stata adeguatamente attuata? Come è possibile che il moto perpetuo della programmazione europea e della progettazione locale sembra sempre ritornare al punto di partenza, con spostamenti troppo limitati rispetto allo sforzo che viene esercitato? Questo fenomeno, a detta delle più recenti ricerche nel campo disciplinare, dipende da un corollario del “complesso di Edipo” già descritto da Freud. Recenti ricerche negli scritti del padre della psicanalisi moderna hanno rivelato che Freud abbia descritto questo corollario del suo più famoso “complesso” con forti ricadute nell’ambito della qualità delle politiche territoriali, soprattutto laddove le risorse culturali del territorio non sempre vengono attivate come propulsori di sviluppo. Ma cerchiamo di leggere i fatti. Edipo nasce figlio del re di Tebe, ma un oscuro presagio di morte, conduce il padre re Laio ad allontanare il piccolo Edipo. Salvato da morte
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sicura, viene affidato a Polibo re di Corinto e presso di lui il piccolo Edipo cresce nella certezza di conoscere i propri genitori naturali. Ma l’oracolo di Delfi predice al giovane Edipo una terribile verità: ucciderà il padre e si unirà incestuosamente con la madre. Questa certezza divina fa fuggire Edipo dalla sua casa di Corinto in cerca di un luogo sicuro e lontano dal terribile destino predetto dalla Pithia. Tuttavia Edipo, in viaggio per una città lontana, si imbatte in un gruppo di viandanti e un improvviso e sciagurato alterco porta all’uccisione di un vecchio: si tratta di Laio il vero padre di Edipo, ucciso dal suo stesso figlio. Una parte dell’oracolo, all’insaputa dei protagonisti, si era avverato. Edipo giunge a Tebe. Una grave calamità minaccia la città che non può più pensare serenamente al suo futuro, rischiando di perdere tutte le sue menti più giovani e brillanti a causa della mostruosa Sfinge che divora tutti coloro che non siano in grado di dare soluzione al suo intricato enigma. Il giovane Edipo, forte della sua formazione, attento al peso delle parole del mostro dalla testa di donna, dal corpo di leone, dalla coda di serpente e dalle ali di rapace trova la soluzione e grazie alla lucidità della sua intelligenza diviene re di Tebe, su indicazione del saggio consigliere reale Creonte, sposando la regina Giocasta e generando con lei dei figli. L’oracolo si era interamente avverato. Ecco dunque la pestilenza... Edipo è il pianificatore che nei decenni passati ha troppo spesso guardato il territorio solo con la forza del suo ragionamento, dimentico delle sue origini e fin troppo preso dal suo sapere esperto che lo conduce a non vedere quali enormità sta compiendo. Uccidere il padre, ovvero cercare volontariamente di cancellare la propria origine, e unirsi incestuosamente con la madre, ovvero progettare e produrre trasformazioni ignare dell’identità e della storia dei luoghi, è la colpa che si può attribuire a una lunga generazione di urbanisti e pianificatori. Troppo spesso questo “complesso di Edipo della pianificazione” si è realizzato e gli occhi della mente razional-comprensiva non sono stati sufficienti per leggere la realtà vibrante e pulsante di territori che hanno subito trasformazioni violente non più sanabili. Come proporre un ritorno indietro di quarant’anni per la piana di Imera? Come annullare cinquant’anni di inquinamento alla penisola e al mare di Augusta? Come rivedere i diffusi attacchi da parte dell’urba-
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nizzazione delle aree periurbane di Agrigento come di molti altri centri sul territorio nazionale? Gli occhi della razionalità non sono bastati; serve una nuova “razionalità di cuore” che lasci spazio a un sentire più vasto, serve onestà intellettuale che garantisca obiettivi di sviluppo misurabili e accettabili. Occhi nuovi Sono quindi questi occhi nuovi che la disciplina della pianificazione sta cercando di allenare, ponendosi da un nuovo punto di vista e facendo in modo che la formazione del più giovane pianificatore territoriale possa essere aperta alla lettura di segni apparentemente senza significato. La relazione tra la “scuola” e i soggetti che operano sul territorio è un punto cruciale in questo senso perché consente di avviare percorsi di conoscenza reciproca: • nel metodo, sulla modalità con cui la prassi delle amministrazioni opera nell’ambito della programmazione e progettazione dei futuri basati sull’uso delle risorse culturali, naturalistiche, paesaggistiche e identitarie; • nel merito, sull’approccio che inevitabilmente le strutture amministrative hanno sulla qualità del progetto, soprattutto nella impossibilità di svolgere costante attività di sviluppo progettuale, a causa della necessità di amministrare la quotidianità. L’apporto di giovani progettisti di territorio, educati a guardare con occhi nuovi le risorse culturali, è quindi un punto di svolta soprattutto per quelle amministrazioni che per loro natura e missione devono far fronte sia agli aspetti di controllo e gestione, sia agli aspetti di progettazione e programmazione dello sviluppo delle risorse – economiche e territoriali – loro affidate. Gli strumenti che cambiano lo sguardo nell’ambito disciplinare sono, in sintesi, quelli che consentono di integrare e inserire all’interno del quadro strumentale del Pianificatore Territoriale le cosiddette “esternalità” (paesaggio, ambiente, relazioni con i processi di tutela del patrimonio culturale, ambientale e paesaggistico) attraverso la selezione strategica delle risorse territoriali che poi vengono impiegate nei processi di sviluppo integrato. Di seguito ad exemplum alcuni strumenti che nell’ambito della pianificazione orientata alle risorse culturali, ambientali e paesaggistiche possono dare un contributo importante ai territori particolarmente caratterizzati da queste realtà.
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La ri-generazione dei paesaggi: nuovi sensi, nuovi nessi progettuali Quando la Convenzione Europea del Paesaggio (2000) introduce e annuncia la necessità di obiettivi di qualità paesaggistica e moltiplica la unitarietà monolitica del “paesaggio” in “paesaggi” attiva un approccio pervasivo nei confronti del paesaggio che per conseguenza non necessità più di giustapposizioni tra confini di aree tutelate e aree di trasformazione indistinta, ma di integrazione tra paesaggi con maggiore valore e qualità e paesaggi che necessitano di incrementare i loro valori intrinseci e di identità. La condizione paradigmatica del territorio di Agrigento, ad esempio, dimostra in che modo paesaggi tutelati possono prestarsi a un atteggiamento “muro contro muro” lungo linee armate di filo spinato e cavalli di frisia contro aree non tutelate o ancora tra aree tutelate con strumenti, livelli e organismi di tutela differenti in una guerra fratricida che non giova alla qualità della tutela. Il terreno di condivisione diventa quindi quello della costruzione comune di obiettivi di ri-generazione (Ronsivalle, 2007) dei paesaggi che presentano livelli differenziati di conservazione e compromissione da trasformazioni incompatibili e sui quali, quindi, è possibile operare in modo da: 1. definire orizzonti di pianificazione di largo respiro rendendo coerenti le trasformazioni in atto e programmando un processo di progressiva convergenza delle politiche di trasformazione all’interno di quadri strategici di medio e lungo temine; 2. rendere attuabili tutti gli obiettivi individuati nel processo di pianificazione generale, anche quelli non specificamente legati alla tutela dei paesaggi generati dall’interazione tra le risorse naturali, le risorse culturali e la presenza dell’Uomo come soggetto dell’interpretazione; 3. adoperare il quadro di conoscenze e valutazioni prodotto all’interno degli strumenti di settore (ad esempio il Piano del Parco della Valle dei Templi), al fine di identificare chiaramente tendenze in atto e opportunità da cogliere; 4. fondare gli obiettivi prioritari sulle risorse locali come individuate in un processo di pianificazione/programmazione dello sviluppo che non separa, ma integra le scelte di pianificazione con le opportunità della programmazione economica nell’orizzonte almeno decennale; 5. costruire cooperazione tra i soggetti che siano in grado di convergere su obiettivi comuni capaci di restituire incremento di qualità. Il processo analitico e ricognitivo, che è premessa al quadro progettua-
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
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le, quindi, si pone in stretta relazione con le finalità della tutela attiva e si relaziona con un sistema di elaborati e di fasi di lavoro che ha come obiettivo la costruzione di un sistema di tutele che siano in grado di supportare le scelte strategiche di sviluppo. A questo processo analitico segue un atteggiamento progettuale che guarda al paesaggio in tre modi diversi: • la concezione della forma del territorio come rete di relazione tra luoghi riconoscibili per identità specifiche2 (il paesaggio come matrice di identità); • la concezione della ricerca progettuale come interpretazione della forma del territorio e del senso del luogo3 (il paesaggio come strumento analitico-progettuale); • il piano come forma di riconoscimento e regolamentazione della comunità insediata, attraverso la costruzione di armature cognitive nel piano che possano garantire l’argomentazione del piano attraverso forti valenze multidisciplinari4 (il paesaggio come patrimonio culturale e naturale). Valutare è pianificare Il secondo strumento messo in campo per la nuova visione delle risorse territoriali da finalizzare al progetto è la valutazione delle risorse ambientali in chiave strategica che porta con sé importanti valutazioni in merito alla relazione che sussiste tra piano e valutazione e, quindi, che questo Piano adotta in merito a un nuovo punto di vista perché: • adotta la valutazione come strumento argomentativo e partecipativo per accrescere la sostantività e la condivisibilità del Piano; • integra la normativa del Piano e dei processi valutativi aprendo il piano alle esternalità ambientali, culturali e sociali; • esplicita i processi valutativi nelle politiche urbane e territoriali con la diversificazione e integrazione nei processi di pianificazione; • rivede i processi organizzativi del Piano dalla sua formulazione alla sua attuazione con strumenti di gestione amministrativa integrata del Piano con maggiore riconoscibilità e tracciabilità. La valutazione che viene condotta sulla rilevanza e sulle sensibilità delle risorse culturali, naturalistiche e paesaggistiche è primariamente una valutazione strategica delle trasformazioni con qualificazione e caratterizzazione ambientale sicché è orientata alla costruzione di strategie: persino un piano di natura regolativa, ad esempio, non è uno strumento privo di relazioni esterne e di ricadute, anche nell’ambito delle strategie di trasformazione e sulla qualità ecologica delle trasformazioni.
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Se intendiamo il termine “ecologico” non come una pura osservazione, valutazione e protezione delle risorse naturali e ambientali, ma come un modo di interpretare la ciclicità delle azioni sul territorio, allora è molto probabile che anche il nesso (operativo) tra Valutazione e Piano possa essere rivisto. Solo una valutazione preventiva – e parallela al processo di redazione del piano – potrà definire effetti e orientare gli obiettivi di sviluppo territoriale. Questa visione si arricchisce ulteriormente se guardiamo alla realtà territoriale animata da cicli di vita che l’azione umana, nel tempo, genera, modifica, alimenta o abbandona: non è più tempo di mettere nei PRG un retino verde a indicare il mitico “verde pubblico” o un tratto largo di ugual colore per segnalare le aree agricole E (con tutte le sue cavillose variazioni sul tema). In particolare, nel momento in cui si ipotizza la materializzazione progettuale degli effetti della valutazione ambientale, occorre produrre un ultimo passaggio relativo al modo in cui i valori numerici e quantitativi possano essere trasformati in forma, in qualità dei luoghi e in capacità di tutela attiva delle risorse, come avviene nelle politiche recenti del Parco della Valle dei Templi e nelle attività della Soprintendenza Bb.Cc. di Agrigento. Il rischio è che le Antigone e le Ismene (figlie dell’incesto della crescita senza cuore) non siano più messe in condizione di vivere la pietas e l’elaborazione del lutto per territori ormai compromessi e non siano in condizione di guardare avanti a futuri che possano risolvere le ferite del passato. Edipo, quindi, scoperta la tragica verità si acceca perché i suoi occhi di pianificatore razional-comprensivo non sono stati in grado di guardare. Oltre. Note 1. Il contributo nasce dalla riflessione teorica e metodologica applicata alle attività che sono state svolte dagli allievi dell’Attività di Formazione Avanzata in Gestione e Valorizzazione del Patrimonio Naturale e Culturale (PO Italia-Tunisia 2007-2013 DOREMIHE) dal 01/06/2015 al 10/09/2015 per un totale di 250 ore. Chi scrive, in qualità di tutor accademico, insieme ai tutor aziendali individuati dalle strutture che hanno accolto gli allievi, ha definito il progetto formativo e ha individuato i temi da affrontare di seguito elencati: Ente Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento. Valorizzazione di un’area campione del Parco, in relazione alle sue integrazioni nel territorio, sia all’esterno sia all’interno del perimetro del Parco; Dipartimento Regionale Bb.Cc. Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Agrigento. Analisi, valutazione e indicazioni per la valorizzazione del centro storico di Agrigento, in particolare nelle sue potenziali relazioni territoriali derivanti dalla presenza di stratificazioni “a vita continua” sin dalla presenza della città greca e fino al periodo arabo-
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normanno; Dipartimento Regionale Bb.Cc. Soprintendenza del Mare. Analisi, valutazione e indicazioni per la valorizzazione per un tema e di un’area sulla costa meridionale potenzialmente connessa alla vita della città di Akragas e in relazione alle attività già svolte di ricerca e recupero nei fondali prospicienti la costa meridionale della Sicilia. 2. Si veda: Magnaghi A., Rappresentare i luoghi, Alinea, Firenze, 2001. 3. Si veda: Gregotti V., Il territorio dell’architettura, Feltrinelli, Milano, 1966. 4. Si vedano: Gambino R., Conservare Innovare, Utet Libreria, Torino, 1997; Carta M. L’armatura culturale del territorio, FrancoAngeli, Milano, 2002, seconda edizione.
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S. Munster, De Italia/Siciliae insulae/atque totius regni eius descriptio/Secundum variam eius habitudinem, Basilea 1550. Immagine tratta da: Bucchieri, F. (2006), La Sicilia di carta. Le Carte della Sicilia, Fondazione Banco di Sicilia, Palermo, p. 21.
I PIANI DI GESTIONE UNESCO: RETORICA O STRUMENTO DI SVILUPPO LOCALE?
I siti UNESCO siciliani e la Valle dei Templi di Agrigento
BARBARA LINO
Piani di Gestione e patrimonio mondiale in Sicilia La Sicilia conta ben 7 siti iscritti nella Word Heritage List (WHL): due siti naturalistici (Etna, sito iscritto nel 2013 e isole Eolie, iscritto nel 2000), due parchi archeologici (Agrigento e Piazza Armerina, siti iscritti nel 1997), le città tardo-barocche della Val di Noto (2002), Siracusa e la necropoli di Pantalica (2005), Palermo Arabo-Normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale (2015). Dopo la Lombardia con 9 siti iscritti, di cui però due in condivisione (uno transnazionale e uno interregionale) e insieme alla Toscana con 7 siti, la Sicilia si classifica tra le regioni italiane con la maggiore densità di siti inseriti nella WHL. Ai sette siti esclusivi appartenenti al patrimonio materiale si aggiungono i beni del patrimonio immateriale: a fronte dei sei siti di patrimonio immateriale riconosciuti all’Italia, in Sicilia ne sono presenti ben due, l’Opera dei Pupi (2008) e la Vite ad alberello di Pantelleria (2014). Inoltre, la Regione condivide con altre nazioni e con tutto il territorio nazionale il patrimonio della Dieta Mediterranea, della cui candidatura la Sicilia è stata una delle regioni italiane promotrici, rivendicando una centralità geografica e culturale in quanto depositaria per eccellenza di saperi e tradizioni riconducibili a questo bene (tab. 1, p. 128). Un’ampia letteratura ha argomentato le ragioni per cui l’iscrizione di un sito nella Lista del Patrimonio dell’Umanità può rappresentare un importante fattore di sviluppo territoriale. In primo luogo, il marchio UNESCO, per la sua rilevanza internazionale, incide su diversi fattori socio-economici che possono rappresentare una leva per lo sviluppo territoriale, contribuendo, ad esempio, all’incremento della consapevolezza identitaria delle comunità, all’affermazione dell’immagine del sito a livello internazionale con ricadute sul turismo (Van der Aa, 2005).
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Regione*
Siti culturali esclusivi
Siti culturali condivisi
Siti naturali esclusivi
Siti naturali condivisi
Patrimonio immateriale**
TOT
Abruzzo
-
-
-
-
-
0
Basilicata
1
-
1
-
-
2
Calabria
-
-
1
-
1
2
Campania
4
1
1
-
1
7
Emilia Romagna
3
-
-
-
-
3
Friuli-Venezia Giulia
1
2
1
-
-
4
Lazio
4
-
-
-
1
5
Liguria
2
-
-
-
-
2
Lombardia
4
3
-
2
1
10
Marche
1
-
-
-
-
1
Molise
-
-
-
-
-
0
Piemonte
1
2
-
1
-
4
Puglia
2
1
-
-
-
3
Sardegna
1
-
1
-
2
5
Sicilia
5
-
2
-
2
9
Toscana
6
-
1
-
Trentino Alto-Adige
-
1
-
1
-
2
Umbria
1
1
-
-
-
2
Valle D’Aosta
-
-
-
-
-
0
Veneto
4
1
-
1
-
6
7
TABELLA 1 Presenza regionale di siti del patrimonio materiale e immateriale UNESCO per tipologia. *La lista italiana comprende 51 siti fisici (tangibili) e 6 Patrimoni Immateriali dell’Umanità. A questi beni si aggiungono 6 beni inseriti nel Registro della Memoria del Mondo: Biblioteca Malatestiana di Cesena (2005); Collezioni della Biblioteca Corviniana - 2005; Archivio storico diocesano di Lucca (2011); Archivio storico dell’Istituto Luce (2013); Collezione almanacchi Barbanera, conservata presso la Fondazione Barbanera (2015); Codex Purpureus Rossanensis (2015). **L’intero territorio nazionale condivide il patrimonio della Dieta Mediterranea: per tale ragione il sito non è stato computato nella tabella. Inoltre, le Regioni Calabria, Sardegna, Campania e Lazio condividono il sito “Celebrazione delle grandi strutture processionali a spalla”.
Rispetto al tema della visibilità, un’indagine nazionale del 2011 – promossa dalla Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO e intitolata “Il Valore del Brand UNESCO” – propone la comparazione con altre organizzazioni internazionali, evidenziando l’estrema visibilità del marchio UNESCO il cui dato sulla conoscenza (98%) risulta in linea con quello delle Nazioni Unite, di altre agenzie dell’ONU (Unicef 99%, FAO 99%), e delle principali organizzazioni internazionali non governative (Croce Rossa 99%, Medici Senza Frontiere 99%, WWF 99%, ecc.) rispetto alle quali però c’è una minore consapevolezza sulla mission; mentre, la notorietà dell’organizzazione risulta nettamente superiore a Fonda-
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
[ 128
zioni che operano a livello nazionale nell’ambito della cultura (FAI 88% e Italia Nostra 61%). Rispetto alle implicazioni di ordine socio-antropologico, le relazioni che si vengono a creare tra i siti iscritti nella WHL e i territori in cui questi sono inseriti contribuiscono a rafforzare il legame dell’identità locale e la conservazione della memoria di una comunità con implicazioni su maggiori livelli di conservazione dei beni culturali e sull’incremento di forme di turismo più sostenibili e alimentate da una preponderante dimensione culturale (Van der Aa, 2005; Lyon, 2007; Yang et al., 2010; Jimura, 2011; Boati, Lombardi, 2011). Gli impatti positivi che l’iscrizione nella Lista produce sul territorio, inoltre, innescano una sorta di “circolo virtuoso” territoriale tale che, a partire dal valore del patrimonio culturale locale come fattore per l’ottenimento dell’iscrizione nella WHL, deriva un successivo e conseguente incremento del turismo a sua volta in grado di promuovere sviluppo locale (Prud’homme, 2008). L’inclusione dei siti nella WHL agevola l’attuazione da parte delle amministrazioni locali di politiche di tutela che vincano le conflittualità generate dalle tensioni all’incremento dell’insediamento, sia a livello economico diretto (attraverso il World Heritage Fund), sia a livello economico indiretto (attraverso l’incremento della domanda turistica), sia a livello di garanzia internazionale di intervento e controllo (attraverso l’interesse dell’UNESCO) (Carta, 2002). Non mancano le osservazioni sul valore controverso dell’inserimento nella WHL, in alcuni casi assunto in una chiave retorica. Infatti, lo sviluppo economico e turistico del territorio di un sito inserito nella WHL è spesso considerato un effetto “automatico” così come le ricadute dell’iscrizione stessa sono spesso sopravvalutate (Prud’homme, 2008; Brattli, 2009). In Sicilia, a quasi venti anni dall’iscrizione dei primi siti, manca un’analisi organica su quanto abbia “pesato” la presenza dei Patrimoni UNESCO nello sviluppo regionale tanto a livello economico indiretto quanto in termini turistici e culturali, su quanti siano stati gli investimenti indirizzati al sostegno della valorizzazione del patrimonio e sul sistema della gestione. Sebbene parzialmente, o in maniera indiretta, alcune recenti indagini hanno rilevato che, a fronte dell’ingente patrimonio, sono presenti diffuse criticità connesse alla gestione dei siti e alla valorizzazione del patrimonio culturale regionale. Una recente ricerca curata dall’OTIE (Observatory on Turism in the European Islands, 2015), promossa da Confesercenti, descrive il turismo nei siti UNESCO siciliani, analizzando i dati di offerta e domanda, l’andamento dei flussi e le performance dei comuni in cui ricadono i territori iscritti.
129
La ricerca ha calcolato la spesa turistica legata ai siti UNESCO che per il 2015 è stimata di 19.800.000 euro, registrando un trend positivo di incremento turistico nei comuni sede dei siti UNESCO al confronto con gli altri comuni regionali ma, attraverso indagini sul campo, ha anche individuato notevoli criticità legate al soddisfacimento turistico a causa di insufficienti servizi di base, segnaletica e trasporti inefficienti. L’indagine promossa da RES (Bonacini, 2012) sul patrimonio culturale siciliano e sulla sua visibilità sul web rivela, invece, un’altra delle componenti deboli del sistema. I risultati della ricerca hanno messo in evidenza la mancanza generale, a livello di politiche culturali regionali, di un unico core strategico in grado di coinvolgere in forme di comunicazione e valorizzazione avanzata persino quei musei e quei siti di interesse storico-artistico che nel panorama culturale e turistico siciliano sono considerati eccellenze, tra cui i siti UNESCO. Appare evidente, inoltre, che a livello regionale, alle difficoltà del modello turistico e del settore della valorizzazione del patrimonio culturale, si aggiungono altri problemi di natura strutturale legati ai trasporti, all’economia e al livello occupazionale e che concorrono alla generale fragilità del sistema territoriale. Un ruolo determinate nel sostegno a uno sviluppo locale sostenibile dei territori dei siti iscritti nella WHL è quello assunto dai Piani di Gestione (PdG) introdotti in ambito nazionale con la Legge 20 febbraio 2006, n. 77 “Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella ‘lista del patrimonio mondiale’, posti sotto la tutela dell’UNESCO” e la cui redazione deve essere contemporanea al processo di candidatura. L’art. 3 della Legge 77/2006, ai commi 1 e 2, recita così: “1. Per assicurare la conservazione dei siti italiani UNESCO e creare le condizioni per la loro valorizzazione sono approvati appositi piani di gestione. 2. I piani di gestione definiscono le priorità di intervento e le relative modalità attuative, nonché le azioni esperibili per reperire le risorse pubbliche e private necessarie, in aggiunta a quelle previste dall’articolo 4, oltre che le opportune forme di collegamento con programmi o strumenti normativi che perseguano finalità complementari, tra i quali quelli disciplinanti i sistemi turistici locali e i piani relativi alle aree protette”. Il PdG ha come obiettivo tanto quello di analizzare lo stato della conservazione dei beni proposti, nell’ottica della salvaguardia del loro valore storico-culturale “eccezionale”, quanto quello di orientare le forze di cambiamento e di modificazione che si manifestano non solo nel conte-
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
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sto culturale, ma anche in quello socio-economico di riferimento dei siti. Il PdG è anche lo strumento che dovrebbe connettere le visioni espresse dai diversi strumenti di pianificazione e dalle politiche locali per indirizzare lo sviluppo delle risorse sociali ed economiche, preservando nel tempo l’integrità e la conservazione dei beni e stimolando un processo decisionale capace di coinvolgere i diversi attori territoriali (Palo, 2007). In Italia le indicazioni metodologiche per la redazione dei PdG sono contenute nelle Linee Guida del maggio 2004, proposte dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Commissione Nazionale Siti UNESCO e Sistemi Turistici Locali e intitolate “Il modello del Piano di Gestione dei Beni Culturali iscritti alla Lista del Patrimonio dell’Umanità” (MIBACT, 2004). Le Linee Guida sottolineano la natura operativa del Piano di Gestione definito come “una sequenza di azioni ordinate nel tempo in cui sono identificate le risorse disponibili per conseguire gli obiettivi, individuate le modalità attraverso cui essi si conseguono e predisposto il sistema di controllo per essere certi di raggiungerli”. Sulla base delle Linee Guida, la Società Ernst & Young ha definito, su incarico del MIBACT, lo studio intitolato “La metodologia ed un modello per la realizzazione dei Piani di Gestione”, che non deve essere un semplice documento da presentare all’UNESCO, bensì rappresenta un vero e proprio processo che coinvolge nel tempo tutti gli stakeholder del sito (Ernst & Young, 2005). Nel caso dei siti UNESCO siciliani, sono evidenti alcune anomalie. In quanto strumento dalla duplice natura, strategica e operativa, il PdG dovrebbe subire un continuo processo di aggiornamento mentre, alla prova dei fatti, in tutti i siti siciliani il PdG è stato redatto in fase di candidatura (o successivamente, nel caso dei siti più vecchi) ma non viene aggiornato periodicamente (tab. 2, p. 132). In quanto strumento di natura flessibile, inoltre, il PdG dovrebbe dialogare con gli strumenti di pianificazione territoriale locali e assicurare un livello di governance capace di superare gli approcci separati dei singoli piani. Tuttavia, come documentato in letteratura sia in riferimento al sito di Agrigento che a quello delle isole Eolie, questo strumento è stato declinato localmente in una dimensione prevalentemente conservativa, determinata dall’assunzione “passiva” delle previsioni degli altri strumenti vigenti di pianificazione territoriale (Lo Piccolo et al., 2012). A queste considerazioni si aggiunge un’altra evidenza: dei sette siti UNESCO siciliani, nessuno ha ancora attivato il Comitato di Gestione che è l’organo che può dare effettivo seguito al coordinamento e alla governance multi-livello e multi-attore auspicata ed enunciata nei PdG
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PATRIMONIO IMMATERIALE
PATRIMONIO MATERIALE
per superare i confini tra differenti livelli e competenze territoriali e assicurare l’attuazione degli obiettivi di conservazione e sviluppo. Sito
Anno di iscrizione
Tipologia
Area iscritta
Buffer zone
PdG
Area Archeologica di Agrigento
1997
Sito culturale
934 ha
1869 ha
2005
Villa Romana del Casale di Piazza Armerina
1997
Sito culturale
892 ha
10 ha
2012
Isole Eolie
2000
Sito naturalistico
1216 ha
-
2008
Città Barocche della Val di Noto
2002
Sito culturale
113 ha
306 ha
2002
Siracusa e le Necropoli rupestri di Pantalica
2005
Sito culturale
898 ha
5519 ha
2005
Monte Etna
2013
Sito naturalistico
19237 ha
26220 ha
2009*
Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale
2015
Sito culturale
6,24 ha
483 ha
2015
Opera dei Pupi**
2008
-
-
-
-
Dieta Mediterranea
2010
-
-
-
-
Vite ad alberello di Pantelleria
2014
-
-
-
-
TABELLA 2 Presenza, tipologia e Piani di Gestione dei siti UNESCO in Sicilia. *Il Piano di Gestione del sito Unesco “Monte Etna” è sostanzialmente il Piano di Gestione del Monte Etna adottato nel 2009 e adeguato il 5/10/2012. ** Già riconosciuta Capolavoro del Patrimonio Immateriale dell’Umanità nel 2001.
La Valle dei Templi di Agrigento “L’Area Archeologica di Agrigento” è stato il primo sito siciliano iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità nel Dicembre del 1997, nel corso della XXI riunione annuale del Comitato del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, tenutasi a Napoli (1-6 dicembre 1997). Il contesto territoriale del sito è stato investito da complesse vicende politiche e urbanistiche (Cannarozzo, 2009) che fanno di Agrigento un caso paradigmatico della perenne tensione tra conservazione e sviluppo e del profondo gap tra aspirazioni e reali capacità di gestione degli strumenti di pianificazione del territorio. L’evento della frana di Agrigento del 1966, provocata da un sovraccarico edilizio realizzato illegalmente nel dopoguerra sui fianchi della Collina di Girgenti, segna il culmine di uno sviluppo disgiunto tra insediamento e area archeologica. Al tragico evento seguirono una serie di provvedimenti legislativi, emanati dal Parlamento Nazionale, mirati a contenere l’edifi-
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cazione e a salvaguardare la Valle dei Templi: la Legge Urbanistica Nazionale n. 765 del 1967 e il Decreto Interministeriale n. 1444 sugli standard urbanistici. Il Decreto Ministeriale Gui-Mancini del 16 maggio 1968 definì, invece, il perimetro della Valle dei Templi sancendone l’inedificabilità. Il territorio comunale rimane privo di uno strumento urbanistico fino al 1982, ma rimasero attivi sul territorio i vincoli idrogeologici, urbanistici e paesaggistici scaturiti in seguito alla frana ma che «in buona parte venivano ignorati e aggirati con vari espedienti» (Cannarozzo, 2009, 102). L’area iscritta è coincidente con la zona A del Parco Archeologico definita in base al Decreto Gui-Mancini (e poi confermata dal Decreto del Presidente della Regione del 1991). Con la Legge n. 20 del 2000 nasce l’Ente Parco, che ha la finalità della tutela e valorizzazione dei beni archeologici anche attraverso la redazione di un Piano del Parco. Ad Agrigento il Piano del Parco è approvato dal Consiglio del Parco nel 2003, adottato dallo stesso Consiglio nel 2008 e il suo iter è ancora in corso. Nel 2005, infine, è stato redatto il Piano di Gestione del sito UNESCO. Agrigento oggi è caratterizzata da un assetto policentrico e da nuclei sparsi sul territorio: uno scomposto modello insediativo tenuto insieme da un sistema infrastrutturale invasivo e in molti casi su viadotto. Il centro storico (di circa 80 ha) versa in un carente stato di valorizzazione e conservazione ed è isolato rispetto alla città consolidata: è posto a 230 m dal livello del mare sulla Collina di Girgenti le cui pendici meridionali, rivolte verso la Valle, sono state travolte dalla costruzione del fascio ferroviario e poi edificate in modo intensivo con edifici molto alti. Le pendici settentrionali della collina presentano invece un fitto rimboschimento in virtù dell’esistenza di vincoli idrogeologici che le hanno preservate dall’edificazione. I quartieri “satellite” della città consolidata si presentano sconnessi dal centro storico e sono sede di servizi sportivi non ultimati e non funzionanti (Villaseta), di un campus universitario poco accessibile (Fontanelle), o di una scomposta concentrazione di strutture ricettive e commerciali (Villaggio Mosè), di insediamenti informali e abusivismo edilizio diffuso come nei fragili nuclei costieri (Cannatello e Zingarello) e di insediamenti di seconde case (San Leone). A questo sistema insediativo fa da contraltare il valore paesaggistico smisurato dell’area del Parco Archeologico, interclusa tra gli insediamenti satelliti e il lussureggiante paesaggio agrario della Valle. Le severe misure di protezione che hanno garantito la sopravvivenza delle aree archeologiche e dei campi agricoli non sono state accom-
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pagnate da altrettante efficaci strategie di connessione tra Parco e insediamenti, con una conseguente scarsa interazione tra l’immenso patrimonio archeologico e paesaggistico, l’insediamento e la comunità. Il Parco Archeologico è stato vissuto come un recinto disconnesso dal territorio, come una negazione di opportunità piuttosto che come occasione di orgoglio, riscatto sociale ed economico e sviluppo locale. Agrigento e lo sviluppo turistico Agrigento rappresenta una delle mete turistiche più importanti della Sicilia, con una elevata visibilità nazionale e internazionale in grado di attrarre annualmente un elevato numero di visitatori (il numero di visite annue della Valle dei Templi e del Museo oscilla tra 600.000 e 700.000). Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio dell’Assessorato al Turismo, nel 2014 nel territorio dell’ex Provincia si è registrato un numero complessivo di 1.305.906 presenze con un aumento di 41.622 unità rispetto all’anno precedente. Tra le problematiche principali di cui è affetto il sistema turistico locale si evidenziano sia la stagionalità dei flussi (le punte maggiori sono prevalentemente estive), che una bassa permanenza media che si attesta circa sui tre giorni e mezzo: nell’ex Provincia di Agrigento il dato ha registrato nel 2014 un aumento del 3,29 % contro un calo del 2,82 % nel 2013. La bassa permanenza rivela una scarsa capacità del sito nel trattenere i turisti che, attratti dalla notorietà del Parco, non associano alla visita altre esperienze nel territorio dove, per la varietà delle risorse presenti nei comuni del Distretto Turistico “Valle dei Templi”, è potenzialmente presente un’offerta molto articolata (il turismo balneare costiero, il turismo naturalistico ed enogastronomico). Se si osserva il sistema imprenditoriale legato al turismo, è possibile segnalare un basso numero di imprese nel settore a fronte di un sito inserito nella WHL UNESCO da quasi venti anni. Il numero di imprese per kmq è infatti di 1,02 a fronte di 3,55 del sito di Palermo Arabo Normanna, Cefalù e Monreale il cui inserimento è del 2015 (dati OTIE su dati Camera di Commercio Palermo, 2015). Se si osservano poi le tipologie prevalenti di imprese turistiche è possibile evidenziare come non si sia messo in valore il turismo culturale. I dati descrivono la prevalenza di strutture sportive e di intrattenimento con il 37%, il 26% di strutture artigianali e commerciali, il 16% agenzie di viaggio e tour operator, solo il 2% di imprese nel settore del noleggio
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di autovetture e biciclette e poche strutture culturali: 2% di attività creative e artistiche di intrattenimento e 2% attività culturali e museali (dati OTIE su dati Camera di Commercio Palermo, 2015). Nello sviluppo turistico del sito pesa anche l’inadeguatezza delle reti territoriali del trasporto e dell’accessibilità e la distanza dai principali aeroporti: Agrigento dista dall’Aeroporto Internazionale di Palermo “Falcone e Borsellino” 139 km, dall’Aeroporto Internazionale di Catania “Vincenzo Bellini” 199 km, con una distanza media stimata in termini di tempo di circa 120 minuti da entrambi i poli. A questo si aggiunge un non efficiente sistema stradale e ferroviario che aggrava, occasionalmente, ma in maniera ricorrente, i tempi di percorrenza (Regione Siciliana, 2004). Il Piano di Gestione e gli strumenti di pianificazione del territorio Come sostenuto precedentemente, l’iscrizione nella WHL UNESCO da sola non garantisce automaticamente uno sviluppo locale territoriale autosostenibile, piuttosto servono efficaci azioni di gestione e un corretto sistema di governance locale. Come indicato dalle stesse Linee Guida dell’UNESCO, il Piano di Gestione, in quanto strumento capace di connettere piani e politiche locali, può assumere un fondamentale ruolo nell’indirizzare lo sviluppo delle risorse sociali, economiche e turistiche dei territori iscritti. Il PdG del sito di Agrigento si propone come piano di sviluppo locale con obiettivi che si pongono in stretta relazione con i contenuti del Piano del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi previsto dalla L.R. 20/2000. Gli assi strategici del PdG si concentrano sul rafforzamento della comunicazione e dell’immagine del sito, sull’incremento delle attività economiche, sulla riappropriazione culturale e la partecipazione della comunità locale. Nel campo del turismo il PdG si propone di rispondere alla criticità della bassa permanenza media con la costruzione di un sistema integrato di offerta turistica, la costruzione di una rete di itinerari archeologici e culturali e di una maglia capillare di servizi ricreativi, culturali e per il tempo libero attraverso il recupero dell’edilizia esistente. Una ulteriore azione prevista dal PdG consiste nell’attivazione di pacchetti turistici integrati e di nuovi servizi tesi ad ampliare l’offerta, oltre al perseguimento di un adeguato livello di qualità delle strutture di ristorazione attraverso una Carta della Qualità. In tema di conservazione e ricerca archeologica, i contenuti del PdG sono pienamente coerenti con quelli del Piano del Parco Archeologico.
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Tuttavia si possono evidenziare diverse criticità. Tanto la letteratura (Lo Piccolo et al., 2012), quanto la valutazione dei dati statistici sul turismo evidenziano la scarsa influenza del PdG sullo sviluppo economico del territorio. Sotto il profilo tecnico, il PdG individua i canali di finanziamento dell’Ente Parco, ma non prevede né un Piano finanziario che specifichi in modo puntuale i finanziamenti preposti all’attuazione delle azioni, né un cronoprogramma in cui vengano specificate priorità e tempi delle azioni. Sotto il profilo del modello di governance, l’Ente Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi è il soggetto responsabile della gestione del sito UNESCO: il PdG e il Piano del Parco sono espressione di un analogo punto di vista che, seppure di valore per obiettivi e prospettive, rimane ugualmente disgiunto rispetto a una visione territoriale che superi i confini gestionali del Parco e che torni a ragionare attivamente sul rapporto tra centro abitato e confini dell’area archeologica. Ad oggi i processi di pianificazione del Parco, da un lato, e quelli della città, dall’altro, rimangono nei fatti separati. A testimoniare tale separatezza sono gli stessi contenuti del PRG di Agrigento approvato nel 2009. Pur condividendo gli obiettivi generali del PdG e il valore del Parco Archeologico per lo sviluppo territoriale, il PRG, pur redatto dallo stesso gruppo di progettisti del PdG, rispetto ad alcuni contenuti specifici come il ridisegno del sistema delle infrastrutture e del sistema degli accessi, propone soluzioni addirittura contrastanti (Cannarozzo, 2009). Per attuare gli ambiziosi obiettivi del PdG è necessario mettere in moto un processo di governance più ampio, sostenuto e guidato dal soggetto giuridico responsabile del sito indicato dal PdG nell’Ente Parco, ma al tempo stesso, capace di coinvolgere il sistema ampio degli attori del territorio (Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Sicilia, Soprintendenza di Agrigento, Provincia Regionale di Agrigento, Comune di Agrigento, Camera di Commercio di Agrigento, A.A.P.I.T. , Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Agrigento, Ufficio P.I.T. “Valle dei Templi”, Associazione Albergatori, Associazione Agenzie di Viaggio, Associazione Guide Turistiche). Segnali e prospettive Negli ultimi anni, l’Ente Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi ha svolto un importante ruolo nel promuovere l’apertura del Parco al territorio attraverso attività in grado di ampliare non solo l’offerta culturale ma anche il coinvolgimento delle comunità e dei soggetti istituzionali locali: servizi educativi rivolti alle scuole e alle famiglie, iniziative
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culturali, attività di ricerca applicata in collaborazione con l’Università, produzioni agricole sui terreni demaniali per divulgare le qualità organolettiche dei prodotti e delle colture tradizionali del territorio agrigentino. A questo proposito destano particolare rilievo sia le iniziative svolte in collaborazione con la ex Facoltà di Agraria e la realizzazione del laboratorio per la conservazione del germoplasma, sia le iniziative volte a una nuova forma di gestione agricola dei terreni interni al Parco che, per agevolare la manutenzione, sono stati assegnati attraverso una “manifestazione di interesse” agli ex proprietari per tornare a produrre insieme al Progetto Diodoros, nato per valorizzare i vigneti storici della Valle. Nella stessa direzione di apertura al territorio va anche la riattivazione dei treni storici sulla Ferrovia dei Templi organizzati da Fondazione FS Italiane in collaborazione con Ferrovie Kaos: un tratto ferroviario storico che collega la Stazione Centrale di Agrigento fino alla Valle. Il lavoro svolto ha condotto, nel settembre 2015, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ad attribuire ad Agrigento la Devu (Dichiarazione di eccezionale valore universale) quale prestigioso riconoscimento dell’alto valore simbolico della Valle dei Templi e dell’intelligente lavoro svolto in tema di tutela e valorizzazione del sito archeologico e paesaggistico. Il futuro del Parco, quanto quello del territorio di Agrigento, sono profondamente legati e dipendono sempre più da uno stretto dialogo e dall’integrazione reciproca. Connettere il Parco al territorio è la sfida più complessa, ma anche quella fondamentale. Si tratta di una connessione fisica, funzionale, economica e culturale che richiede una unità di visione politica e culturale sostenuta da un’ampia adesione della comunità e in cui un ruolo determinante potrebbe essere assunto da un PdG realmente proattivo in grado di armonizzazione le visioni espresse dai diversi strumenti di pianificazione e dalle politiche locali ai diversi livelli.
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Bibliografia Angelini A. (2015), Sicilia. Sotto il segno dell’UNESCO, Erre Produzioni - Collana le Sicilie. Boati P., Lombardi P. (2011), “Il “Marchio” Unesco: motore di Sviluppo Locale?”, in Atti della XXXII Conferenza Italiana di Scienze Regionali, 15-17 Settembre, Torino. Bonacini E. (2012), “Cultura e Internet: il patrimonio culturale siciliano e la sua visibilità sul web”, in StrumentiRes, Rivista online della Fondazione Res Anno IV, n. 1, febbraio, disponibile on line su: http://www.strumentires.com/index.php?option=comcontent&view=arti cle&id=357:cultura-e-internet-il-patrimonio-culturale-siciliano-e-la-sua-visibilita-sulweb&catid=3:cultura-a-societa&Itemid=110 Brattli T. (2009), “Managing the archaeological world cultural heritage: Consensus or rhetoric?”, in Norwegian Archaeological Review, 42(1), pp. 24-39. Cannarozzo T. (2009), “Agrigento: Risorse, strumenti, attori: Percorsi verso nuovi orizzonti di sviluppo locale”, in F. Lo Piccolo (a cura di), Progettare le identità del territorio: Piani e interventi per uno sviluppo locale autosostenibile nel paesaggio agricolo della valle dei templi di Agrigento, Alinea, Firenze, pp. 61-133. Carta M. (2002), L’armatura culturale del territorio. Il patrimonio culturale come matrice di identità e strumento di sviluppo, FrancoAngeli, Milano (seconda edizione). Commissione Nazionale Italiana UNESCO (2011), Il Valore del Brand UNESCO, Commissione Nazionale Italiana UNESCO. Ernst & Young (2005), La metodologia ed un modello per la realizzazione dei Piani di gestione, Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Jimura T. (2011), The impact of world heritage site designation on local communities – a case study of Ogimachi, Shirakawa-mura, Japan, Tourism Management, 32 (2), pp. 288-296 Lyon S.W. (2007), “Balancing values of outstanding universality with conservation and management at three United Kingdom Cultural World Heritage Sites”, in Journal of Heritage Tourism, 2 (1), pp. 53-63. Lo Piccolo F., Leone D., Pizzuto P. (2012), “The (controversial) role of the UNESCO WHL Management Plans in promoting sustainable tourism development”, in Journal of Policy Research in Tourism, Leisure and Events, vol. 4, n. 3, pp. 1-28. MIBACT - Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Commissione Nazionale Siti UNESCO e Sistemi Turistici Locali e intitolate (2004), Il modello del Piano di Gestione dei Beni Culturali iscritti alla lista del Patrimonio dell’Umanità, Ministero per i Beni e le Attività Culturali. OTIE - Observatory on Turism in the European Islands (a cura di) (2015), Economia del turismo in Sicilia. Filiera 5: il turismo dei siti UNESCO, Confesercenti, Palermo. Palo M.C. (2007), Lo strumento di piano per la gestione e valorizzazione dei siti UNESCO, Libreria Clup, Milano. Prud’homme R. (2008), Les impacts socio-économiques de l’inscription d’un site sul la Liste du Patrimoine Mondial: trois étude, Rapporto per l’UNESCO. Regione Siciliana - Dipartimento trasporti e comunicazioni (2004), Rapporto Finale, INTERREG III, ACE – Accessibilità ed Intermodalità, Sistemi Informativi Regionali dei Trasporti, Regione Siciliana. UNESCO (2005), Operational guidelines for the implementation of the World Heritage Convention, UNESCO World Heritage Centre, Parigi. Van der Aa B. J.M. (2005), Preserving the Heritage of Humanity? Obtaining World Heritage Status and the Impacts of Listing, Netherlands Organization for Scientific Research, Amsterdam. Yang C.H., Lin H. L., Han C.C. (2010), “Analysis of international tourist arrivals in China. The role of World Heritage Sites”, in Tourism Management, n. 31, pp. 827-837.
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LA VALLE
Sopra/La Valle dei Templi. Sotto/La Valle, immagine tratta dal Piano del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento.
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IL FORUM UN PIANO D’AZIONE CONDIVISO E PROATTIVO
Vincenzo Camilleri (Distretto Turistico Valle dei Templi); Gaetano Pendolino (Distretto Turistico Valle dei Templi); Filipe Themudo Barata (Cattedra UNESCO di Evora); Gianfranco Tuzzolino (CUPA, Università degli Studi di Palermo); Salvatore Palumbo (Studente campus DO.RE.MI.HE.).
Calogero Montalbano (Associazione Guide Turistiche Città di Agrigento); Francesco Picarella (Confcommercio, Federalberghi); Alessio Lattuca (Confimpresa, Camera di Commercio); Emanuele Farruggia (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa).
Gerlando Riolo (Assessore alla coesione sociale, welfare, immigrazione e integrazione, volontariato della città di Agrigento e presidente del Lions Club Agrigento Host); Ettore Castorina (coordinatore dei Poli decentrati, responsabile del Polo Didattico di Agrigento); Beniamino Biondi (Assessore all’istruzione, all’infanzia, all’edilizia scolastica, al centro storico, all’università e alle politiche giovanili della città di Agrigento – Presidente dell’associazione culturale “Laboratorio Vallicaldi”).
ISTITUZIONI
ASSOCIAZIONI
ISTITUZIONI
ECONOMIA
FORUM AGRIGENTO
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CULTURA
ASSOCIAZIONI
ASSOCIAZIONI
AMBIENTE
Daniela Frenna (direttrice della cooperativa di comunità Farmidabile); Luigi Guadagni (Presidente Rotary Club Agrigento); Gerlandina Prestia (dottoranda di ricerca in urbanistica); Tiziana Nozzetti (architetto).
Andrea Bartoli (Farm Cultural Park, Favara); Germano Boccadutri (Presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali della Prov. di Agrigento); Massimo Trapani (Presidente dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della Prov. di Agrigento); Ordine degli Ingegneri della Prov. di Agrigento; Antonio Liotta (Presidente della coop. Farmidabile); Mauro Indelicato (vicepresidente Ferrovie Kaos); Vittorio Nocera (FAI, Agrigento); Daniele Gucciardo (Legambiente Agrigento); Domenico Fontana (Legambiente Sicilia, Assessore all’ambiente del comune di Agrigento).
ISTITUZIONI
Tommaso Guagliardo (Museo Archeologico Regionale “Pietro Griffo”, Agrigento); Bernardo Barone (Liceo Linguistico “Leonardo” e Parco Letterario “Luigi Pirandello”); Roberto Albergoni (Segretario generale HERIMED, Rappresentante dell’Università di Tunisi per il progetto DO.RE.MI.HE.).
Il Forum dei soggetti territoriali Il 19 settembre 2015, presso la sede del Parco Archeologico e Paesaggistico Valle dei Templi, si è svolto il Forum territoriale dedicato al coinvolgimento attivo dei portatori di interesse del territorio di Agrigento chiamati a partecipare a tre tavoli tematici (Sostenibilità economica, Sostenibilità sociale, Sostenibilità culturale e ambientale) coordinati da docenti e con la partecipazione degli allievi del progetto DO.RE.MI.HE. e dei tutor, per discutere, confrontarsi e far emergere proposte operative per la valorizzazione creativa del territorio e della Valle dei Templi in un’ottica che travalichi i rigidi confini amministrativi. Il Forum è stato coordinato dal prof. Maurizio Carta, responsabile scientifico del Progetto, e ha visto, nella parte introduttiva, gli interventi del Sindaco della città di Agrigento, del Vice Prefetto, del Direttore del Parco Archeologico, della Soprintendente ai Beni Culturali e Ambientali della Provincia di Agrigento, del prof. Filipe Themudo Barata (titolare della Cattedra Unesco dell’Università di Évora), del prof. Lucio Melazzo, Direttore del Polo didattico di Agrigento e del prof. Giovanni Francesco Tuzzolino, per il CUPA.
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TAVOLO 1
LE QUESTIONI DELLA SOSTENIBILITÀ ECONOMICA Carmelo Galati Tardanico
Nuovi paradigmi La mancanza di un approccio economico di tipo sistemico, condiviso e partecipativo ha prodotto nell’economia di vaste aree del Mezzogiorno d’Italia una frammentazione di competenze, una scarsa flessibilità e un’insostenibilità dello sviluppo spontaneo, incontrollato e senza identità. Ancor di più questa condizione – accompagnata dagli egoismi e dai personalismi dei soggetti imprenditoriali, ma troppo spesso anche da quelli istituzionali – ha pesato sullo sviluppo delle aree a forte vocazione turistica. L’orientamento strategico dello sviluppo richiede alle comunità residenti, e più in generale a tutti gli stakeholder del territorio (imprese, commercio, imprese sociali, Pubblica Amministrazione), una straordinaria capacità di immaginare il proprio futuro e di scegliere scenari alternativi. Finora lo sviluppo del Mezzogiorno si è basato sull’impellenza della definizione dei piani di sviluppo e delle loro azioni, tralasciando la necessità di individuare innanzitutto e adattare un “modello” di sviluppo sostenibile, basato sulle risorse tangibili e intangibili, e sul coinvolgimento della comunità locale per condividere gli scenari possibili. Da una visione delle politiche pubbliche che prevedeva l’uso di risorse pubbliche per stimolare l’attivazione di relazioni economiche, occorre passare a politiche urbane che sappiano “riattivare i capitali territoriali” (qualità dell’ambiente, cultura, efficienza energetica, mobilità sostenibile, paesaggio) in modo che essi fungano da propulsori di nuove relazioni economiche – anche sovralocali – che siano in grado di ri-alimentare la costituzione di risorse pubbliche necessarie a ricomporre lo stato sociale, frantumato dalla crisi e da una visione erosiva delle risorse (Carta, 2012).
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«Nella Zero Budget Age, caratterizzata dall’assenza di risorse pubbliche per investimenti e per politiche di stimolo, lo scenario che si prospetta davanti alle amministrazioni richiede la forte consapevolezza della necessità di intraprendere politiche “creative” contro il declino e comunque legate allo sviluppo in un contesto di innovazione dei processi decisionali, di valutazione permanente degli effetti, di concertazione delle scelte e co-pianificazione delle azioni» (Carta, 2013, 13). Occorre ormai un necessario cambio dei paradigmi legati allo sviluppo economico di un territorio. Un cambio che, come ci stanno dimostrando i sistemi più dinamici, avviene nella storia prima che nella cultura. La velocità della trasformazione supera la capacità di concettualizzazione. Quindi la società prova il senso dell’apertura di infinite possibilità e, contemporaneamente, uno spiazzamento culturale che induce paura e incomprensione. La rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni e i profondi cambiamenti globali che l’hanno seguita, hanno contribuito a trasformare radicalmente il volto della nostra società, nel bene e nel male. I cicli economici si sono avviluppati in spirali recessive e molti tradizionali strumenti di policy appaiono oggi insufficienti. Occorre affiancare urgentemente a questa trasformazione una massiccia dose di innovazione sociale. Per realizzare il potenziale positivo della rivoluzione tecnologica in atto, accanto alla parola innovazione ci vuole necessariamente, e urgentemente, la parola sociale (Carta, 2013). Un nuovo ecosistema socio-economico L’approccio olistico allo sviluppo, cioè un approccio globale alla pianificazione e alla valutazione, uno sguardo all’insieme come alle parti, un’attenzione particolare al benessere sociale, ecologico ed economico dei vari sottosistemi, allo Stato, alla direzione e alla velocità di cambiamento dei sistemi e delle loro componenti e, soprattutto, all’interazione fra le parti, ha prodotto un approccio in stile green economy che, imponendo costi elevati a consumatori e produttori, è rimasto appannaggio di piccole e facoltose élite (Dall’Ongaro, 2011). La green economy ha dimostrato che non è sufficiente a gestire i problemi derivanti dallo sfruttamento delle risorse e dalla profonda diseguaglianza nelle società e, in ogni caso, si è visto molto chiaro che porta a maggiori costi e minori soddisfazioni. Pertanto, la green economy non è ancora riuscita a spogliarsi della sua connotazione di modello economico che richiede un certo grado di sacrificio (Khosla, 2015). Per superare questa percezione e sviluppare un approccio alle trasformazioni ancora
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più radicale l’economista belga Gunter Pauli ha introdotto il concetto di blue economy. L’economia blu è un modello di business a livello globale dedicato alla creazione di un ecosistema sostenibile grazie alla trasformazione di sostanze precedentemente sprecate in merce redditizia. «Gli ecosistemi offrono la chiave per l’abbondanza e i mezzi per condividerla con tutti. Un sistema economico ispirato agli ecosistemi funzionerebbe con ciò che è disponibile localmente, come le risorse della natura che sono espressione delle leggi della fisica. La fisica descrive le forze fondamentali di cui ogni specie sulla terra si serve in maniera dinamica. Questo assunto traccia la via verso la sostenibilità. La trasformazione dell’attuale ciclo economico negativo, utilizzando la logica che regola gli ecosistemi, ci permetterà di soddisfare bisogni primari e di creare una vera economia, una blue economy, un’economia dell’abbondanza» (Pauli, 2015, 55). Le materie prime dell’economia blu sono locali, in cascata, parte di un sistema integrato, utilizzate in modo massimamente efficiente. L’obiettivo dell’economia blu non è di investire di più sulla tutela dell’ambiente ma, grazie alle innovazioni in tutti i settori dell’economia che utilizzano sostanze già presenti in natura, di effettuare minori investimenti, creare più posti di lavoro e conseguire un ricavo maggiore. Nel mercato economico attuale l’idea di economia della condivisione si sta affermando sempre di più assieme a una nuova consapevolezza su quello che è considerato come l’utilizzo e il possesso dei beni. La sharing economy può essere definita partendo da questo assunto come un ecosistema socio-economico costruito intorno alla condivisione di risorse umane, fisiche e intellettuali tra cui beni e servizi che vengono creati, prodotti, distribuiti, commercializzati e consumati da differenti persone e organizzazioni. Al centro di tutto ci sono le persone: individui, comunità, aziende, organizzazioni e associazioni, ciascuno dei quali è profondamente inserito in un sistema di condivisione altamente efficace al quale contribuisce e del quale beneficia. Le persone diventano anche fornitori di beni e servizi, creatori, collaboratori, produttori e distributori (Matofska, 2015). Il settore produttivo è aperto e accessibile: le tecnologie di internet e le reti permettono di raggiungere uno sviluppo collettivo di prodotti e servizi, andando oltre i confini geografici. Grazie ai suoi positivi (o minimi) impatti sull’ambiente viene favorita la produzione locale. Il valore di questo approccio è legato esclusivamente alla finanza. Altri aspetti economici, ambientali e sociali sono altrettanto importanti, rappresentati e ricercati.
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Agrigento-Valle dei Templi, quale ecosistema Il tavolo dedicato alle questioni della sostenibilità economica del “Forum dei soggetti territoriali”, organizzato nell’ambito del progetto DO.RE.MI.HE. e dedicato al coinvolgimento degli stakeholder del territorio di Agrigento, ha permesso di tracciare i lineamenti della configurazione attuale del sistema socio-economico della città. L’immagine emersa è quella di un ecosistema fortemente debilitato da “patologie” croniche generate soprattutto da una passata assenza di una visione condivisa di sviluppo del tessuto socio-economico della città in relazione alle risorse del suo territorio e in special modo della Valle dei Templi. Assenza di dialogo che è stata generata soprattutto dall’atteggiamento “egoista” e dai personalismi dei soggetti imprenditoriali, delle associazioni di categoria e da quelle professionali, e non di meno dai vari soggetti istituzionali. Il mancato confronto non ha consentito in passato di sviluppare una vision condivisa dello sviluppo di questo territorio. L’assenza di una visione è stata accompagnata da quella che Maurizio Carta definisce, fra le quattro patologie della rigenerazione urbana, “schizofrenia” che consiste «nella modifica costante di indirizzi e politiche prodotta nella volontà dei decisori e degli attuatori di adeguarsi al ritmo elettorale o di inseguire opportunità esogene: flussi del sistema turistico, fonti di finanziamento europeo, intercettazione di eventi o localizzazione di attività di rango globale» (Carta, 2013, 14). Si iniziano a registrare oggi, però, alcune collaborazioni tra soggetti diversi che coinvolgono ad esempio l’Ente Parco Archeologico della Valle dei Templi e le associazioni delle guide turistiche in merito alla formazione continua di questi ultimi. Le criticità maggiori si registrano proprio in merito all’offerta turistica legata alla Valle dei Templi che, prima di essere un Parco Archeologico, è parte integrante del sistema territoriale di Agrigento. Molti turisti non percepiscono questa appartenenza limitando la visita in città al solo Parco. Si registra una forte domanda sulla Valle ma non c’è un’offerta adeguata perché manca un sistema organizzativo territoriale che porti i tour operator ad attuare strategie di offerta turistica integrata (oggi di fatti l’offerta orienta i pernottamenti in città distanti come Taormina, Catania o Palermo). Un dato interessante regista i primi segnali di una nuova vivacità che passa attraverso l’attivazione di un sistema botton-down di offerta turistica vicina al sistema della sharing economy: è quello legato alla disponibilità di alloggi in b&b e case vacanza localizzati nel centro storico della città. Questo tipo di offerta ha avuto come primo risultato
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quello di far aumentare i pernottamenti dei turisti da una presenza media di 1,34 notti nel 2007 a 1,83 nel 2014, con un picco nel 2012 di 2,12 notti. Interessanti alcuni progetti pilota avviati dal Distretto Turistico “Valle dei Templi”. “Access 4 All”, sistema integrato di accessibilità del sistema turistico, volto al miglioramento dell’offerta turistica tramite l’implementazione di sistemi informatici e multimediali di orientamento del visitatore e grazie a oltre 500 segnali che indicheranno e identificheranno il territorio. L’accessibilità passa dall’attenzione alle disabilità motorie alle intolleranze alimentari, dalle allergie alle inabilità sensoriali. “Ospitalità nei Borghi” è invece un progetto pensato per accrescere la consapevolezza tra gli operatori turistici delle opportunità offerte dal Distretto Turistico e configurare offerte integrate su scala distrettuale. Il progetto ha come obiettivo realizzare uno studio per un modello replicabile di ospitalità nei centri storici e nei piccoli centri. Il complesso network che include un elevato numero di attori che confermano la destinazione turistica di questo territorio chiede oggi politiche concertate di integrazione di servizi turistici e culturali. La percezione del turista dell’offerta Agrigento deve oggi essere unitaria con la promozione e valorizzazione della Valle dei Templi. Strategia di marketing territoriale che porta a una richiesta, da parte dei soggetti, di integrare il nome della città in “Agrigento Valle dei Templi”. Anche il ruolo degli enti pubblici inizia a registrare le prime azioni in tal senso. Bibliografia Carta M. (2013), Reimagining Urbanism. Città creative, intelligenti ed ecologiche per i tempi che cambiano, ListLab, Trento-Barcelona. Carta M. (2012), “Reload: riattivare il capitale territoriale per re-immaginare lo sviluppo”, in S. Marini, A. Bertagna, F. Gastaldi (a cura di), L’architettura degli spazi del lavoro nuovi compiti e nuovi luoghi del progetto, Quodlibet, Macerata, pp. 72-81. Dall’Ongaro G. (2011), “Dalla green economy alla blue economy”, in Micron, Anno VIII, n. 16, pp. 31-33. De Biase L. (2007), Economia della felicità, Feltrinelli, Milano. Marini S., Bertagna A., Gastaldi F. (a cura di) (2012), L’architettura degli spazi del lavoro nuovi compiti e nuovi luoghi del progetto, Quodlibet, Macerata. Matofska B. (2015), “Un sistema socio-economico alternativo”, in Formiche, Anno XI, n. 108, pp. 10-11. Pauli G. (2015), Blue economy 2.0, Edizioni Ambiente, Milano. Pauli G. (2010), Blue Economy. 10 anni, 100 innovazioni, 100 milioni di posti di lavoro, Edizioni Ambiente, Milano. Pittella G., Lepore A. (2015), Scusate il ritardo. Una proposta per il mezzogiorno d’Europa, Donzelli Editore, Roma. Social Impact Investment Task Force (2014), La finanza che include: gli investimenti ad impatto sociale per una nuova economia, Rapporto Italiano della Social Impact Investment Task Force istituita in ambito G8, Roma.
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DISCUSSANT Carmelo Galati Tardanico RAPPORTEUR Francesco Scrudato STAKEHOLDERS Calogero Montalbano (Associazione Guide Turistiche Città di Agrigento); Francesco Picarella (Confcommercio, Federalberghi); Vincenzo Camilleri (Distretto Turistico Valle dei Templi); Gaetano Pendolino (Distretto Turistico Valle dei Templi); Alessio Lattuca (Confimpresa, Camera di Commercio);Emanuele Farruggia (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa); Filipe Themudo Barata (Cattedra UNESCO di Évora); Gianfranco Tuzzolino (CUPA, Università degli Studi di Palermo); Salvatore Palumbo (Studente del Campus DO.RE.MI.HE.).
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REPORT TAVOLO 1 a cura di
Francesco Scrudato
Inizia la discussione il discussant del Tavolo Carmelo GalatiTardanico presentando l’attuale situazione del Parco e gli obiettivi, parlando della necessità di creare una struttura che non sia più una sterile sommatoria di elementi fatta a compartimenti stagni ma che inizi a funzionare come un organismo. Alessio Lattuca. Come Confimpresa, Camera di Commercio, vorrei evidenziare che la difficoltà di lavorare sul territorio è data dalla mancanza di un interlocutore, le amministrazioni. Le relazioni tra impresa e parte politica sono un nervo scoperto, uno spartiacque insuperabile, in quanto la politica è ancora basata sul clientelismo. Calogero Montalbano. Come Associazione Guide Turistiche Città di Agrigento ritengo che la presenza delle guide turistiche sul territorio è peculiare in quanto la figura della guida è a metà strada tra l’esperto e il divulgatore. Questo delicato ruolo mette le guide turistiche di fronte a target variabile di turisti. Alla figura della guida turistica i requisiti richiesti nell’ambito dei nuovi concorsi comprendono sempre maggiori competenze. Gaetano Pendolino. Il Distretto Turistico “Valle dei Templi” nasce come strumento di governance territoriale proponendo progetti integrati di valorizzazione che si arricchiscono di eventi come questo. Francesco Picarella. Il compito di Confcommercio e Federalberghi, interessati ai temi delle attività economiche e turistiche, è quello di provare a mantenere in fermento l’economia, considerando soprattutto la ricchezza del patrimonio di cui siamo in possesso. Emanuele Farruggia. Lavoro sia nel settore turistico che dell’artigianato per la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa. Stiamo lavorando a un progetto di collaborazione tra Tunisia, le province di Agrigento e Trapani che coinvolge anche il Distretto Turistico “Valle dei Templi”. Carmelo Galati Tardanico. Affrontando il tema della sostenibilità economica non possiamo che partire dalla consapevolezza che l’essere patrimonio dell’UNESCO fa si che la Valle aumenti il proprio valore, sia culturale che economico. L’esempio è dato dall’aumento dei turisti che si sta registrando nell’area di Palermo, Cefalù e Monreale dopo che il percorso Arabo-Normanno è entrato a far parte della WHL.
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Filipe Themudo Barata. Guido la Cattedra UNESCO di Évora e analizzando l’economia della Valle, noto che il flusso di turisti è giornaliero e che la struttura economica del territorio non riesce a valorizzare la vendita di prodotti locali. Francesco Picarella. Noi da operatori turistici e albergatori soffriamo questa situazione. La Valle prima di essere Parco è parte integrante del territorio di Agrigento. Molti turisti non associano la Valle dei Templi alla città di Agrigento. Si dovrebbe mirare a una strategia di marketing territoriale per potere trattenere il turista giornaliero all’interno della città. Una prima azione potrebbe essere quella di cambiare il nome della città in “Agrigento Valle dei Templi”. Gaetano Pendolino. Il territorio non è stato mai governato, c’è assenza di organizzazione politica che si ponga come obiettivo lo sviluppo del territorio basandolo sul turismo. Non essendoci questa visione non ci sono stati investimenti né culturali né economici. Il territorio “subisce” una domanda turistica e non riesce a strutturare un’offerta perché manca un sistema territoriale organizzato. Il “prodotto Sicilia” è “venduto” usando come immagine principale la Valle dei Templi, ma i turisti si fermano un solo giorno. Il tour Sicilia non è venduto senza la Valle dei Templi. I tour operator passano dalla Valle accontentando il turista ma poi, non avendo interessi economici forti sul territorio, prevedono il pernottamento in altri luoghi come ad esempio Taormina. Un elevato numero di posti letto (circa 1.500 sui 3.000 di Agrigento) si trova a Villaggio Mosè, localizzazione che non favorisce la permanenza in quanto è un luogo non pianificato e inadatto all’ospitalità turistica. Negli ultimi anni si assiste però a un’inversione di tendenza che vede le associazioni che si occupano di turismo e i liberi cittadini tentare di occuparsi concretamente dello sviluppo turistico. Molti b&b e case vacanza stanno nascendo, avendo la duplice valenza di riqualificare il centro storico e migliorare l’offerta turistica, guidando il turista anche all’interno del centro urbano di Agrigento. Carmelo Galati Tardanico. Quali sono le iniziative che voi operatori turistici state promuovendo per lo sviluppo turistico? Gaetano Pendolino. Stiamo lavorando al progetto “Access 4 All” che si propone come portale di accesso per il territorio, dove sarà anche possibile effettuare le prenotazioni senza costi di commissioni, né per il turista, né per l’operatore. È sviluppato dal Distretto Turistico e vedrà la sua nascita entro dicembre 2015 e un primo step ad ottobre. Emanuele Farruggia. C’è un problema di governace che non rilancia lo sviluppo nel settore. Abbiamo un bene importantissimo e gli agrigentini non lo sanno. Agrigento non è presente al salone dei siti UNESCO e questo denota la mancanza di interesse. La carenza di offerta di prodotti da vendere è dovuta a un sistema clientelare che congela e gestisce il mercato. Un altro problema è la mancanza di giovani che lavoravano sul territorio e che fungano da stimolo per la politica. Filipe Themudo Barata. Lavoro in un territorio simile a questo. Anni fa il Sindaco credeva che il modello di sviluppo economico più adeguato per una città antica fosse l’industria pesante. Non era così, ma non si deve aspettare che i problemi vengano sempre risolti dall’alto. Personalmente in un’area archeologica mi piace vedere lo scavo. La gente in realtà vuole questo. Calogero Montalbano. Confermo che ormai è forte la presenza di persone che
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voglio avvicinarsi allo scavo, vedere proprio l’operazione della ricerca. Filipe Themudo Barata. L’artigianato in un contesto turistico è un problema. Si potrebbero iniziare delle collaborazioni con studenti di design per rielaborare l’artigianato tradizionale. Carmelo Galati Tardanico.Sarebbe importante stimolare il dialogo tra l’Università e le componenti imprenditoriali del territorio per qualificare oltre che l’offerta anche la domanda. Gianfranco Tuzzolino. Sono un docente di progettazione architettonica dell’Università di Palermo. Negli ultimi anni si parla dell’Università di Agrigento solo sotto l’aspetto della sopravvivenza economica. La sostenibilità si ricerca solo dal punto di vista contabile e questo fa notare la mancanza di interesse da parte di un territorio che non ha mai cercato di aiutarla. Sostenibilità e progettualità sono dimensioni differenti. Ma se l’Università alimentasse i propri legami con il territorio e con gli operatori assicurerebbe la propria sostenibilità diventando parte di una struttura territoriale viva. La separazione fisica è indice di una mancanza di integrazione nelle strategie. Francesco Picarella. La posizione geografica influisce sulla formazione specialistica degli studenti? Gianfranco Tuzzolino. L’architettura ha la funzione di riposizionare l’uomo nella sua terra, quindi fargli apprezzare Agrigento così per come è, partendo da questo per una progettazione. Francesco Picarella. Ad Agrigento c’è il Collegio dei Filippini che nasce come scuola e che costa attualmente al Comune più di quanto incassa per i biglietti di visita. Perché l’Università non cerca di portare all’interno del tessuto economico e sociale la sua sede? Carmelo Galati Tardanico. Forse bisognerebbe rendere il dialogo tra Università e tessuto economico sempre più strutturato non relegandolo a incontri occasionali. Calogero Montalbano. Noi dovremmo partire da un dato per confrontarci turisticamente con le altre provincie siciliane. Facciamo parte di un’area, l’altopiano gessoso-solfifero, la Sicilia centro meridionale, che storicamente è socio-economicamente più arretrata di altre aree, che non si è mai appropriata del proprio patrimonio. Rispetto al ragusano che si è “tipizzato” sembriamo subalterni. Partire da questa considerazione diventa fondamentale. Filipe Themudo Barata. Non conoscendo la realtà economica per me è difficile parlarne. Va sottolineato che si formano studenti competenti, ma l’attuale struttura economica non gli permette l’accesso impedendo di fatto una implementazione delle competenze e una evoluzione della struttura territoriale. Vedendo il centro storico e volendo comprare qualche oggetto di artigianato locale non si riesce a trovare niente, il centro storico è abbandonato. Secondo me è possibile però ricostruire il tessuto socio-economico investendo sulle forze giovani che si formano sul territorio. Emanuele Farruggia. Parlando con franchezza, qualche tempo fa, cercavo un ragioniere che parlasse l’inglese e non sono riuscito a trovarlo. La formazione è importante. Appreziamo il fatto che l’Università sia sul territorio, ma spesso manca l’interazio-
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ne. La lontananza fisica dell’Università rispecchia una lontananza sociale. Frequentando da studente questa città mi è rimasta nel cuore. Il quartiere di Calcarelle, dove è ubicato il Polo Universitario di Agrigento, vista la sua posizione periferica e la scarsa qualità urbana, non permette agli studenti di apprezzare e vivere la città di Agrigento. Gianfranco Tuzzolino. I comuni hanno gravi problemi a rinnovare gli strumenti urbanistici per mancanza di fondi e perché gli uffici non hanno le competenze adeguate. Perché non utilizzare l’Università? Carmelo Galati Tardanico. Io percepisco un coinvolgimento dei giovani in attività che li stanno portando a impossessarsi del territorio, della città e del centro storico, cosa che ormai si era persa nelle precedenti generazioni. Salvatore Palumbo. Sono uno studente del progetto DO.RE.MI.HE. e il problema non è la lontananza fisica dell’Università, risolvibile con i servizi, ma la mancanza di interazione tra il singolo ragazzo giovane e le amministrazioni. Parlo da fondatore di Vallicaldi, sembra quasi che ci sia la paura di cambiare. Bisogna saper dare fiducia ai giovani. Forse lo spostamento dell’Università oggi aiuterebbe, ma non potrebbe risolvere il problema. Si deve iniziare un dialogo tra amministrazione e giovani. Emanuele Farruggia. Da anni mi occupo della gestione della biglietteria del teatro Pirandello, ma anche facendo abbonamenti per studenti, non li ho mai visti. Carmelo Galati Tardanico. Avete mai investito su esperti di Scienze dalla Comunicazione per le azioni di marketing territoriale? Emanuele Farruggia. Se siamo l’ultima provincia di Italia un motivo ci sarà. Siamo quelli che organizzano la sagra del Mandorlo in Fiore una settimana prima che inizi. Manca la capacità gestionale e una programmazione costante nel tempo. Gaetano Pendolino. I pochi risultati ottenuti sono dovuti non alla governance ma agli operatori che lavorano sul territorio impiegando risorse ed energie. Sul tema dell’Università aggiungo che il Distretto Turistico ha fatto un incontro con il Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Palermo, Roberto Lagalla, chiedendo tre cose di cui due già sono partite. La prima è quella di avere un’interazione più forte con i corsi, inserendo quelli che per le loro specificità si possano integrare meglio con il territorio e interagire con esso, creando professionalià nel campo del turismo, uno dei campi in cui si manifesta una notevole carenza, costituendo un Corso di beni culturali mirato al turismo. La seconda è quella di avere la possibilità di poter inserire i laureandi nelle imprese del turismo del territorio affinché possano portare le loro competenze e novità arricchendo il settore, avendo loro la possibilità di iniziare anche un percorso lavorativo. La terza richiesta che abbiamo fatto è quella di implementare uno spin-off ad Agrigento sul modello del Consorzio Arca, perché le nostre imprese hanno una carenza di sviluppo e di crescita e dopo poco tempo chiudono. A breve, probabilmente, partirà uno spazio di co-working dove il Distretto Turistico avrà uno spazio operativo. La prima sede che avevamo individuato nel Pala-congressi è stata scartata dal prof. Umberto La Commare perché lontana dal centro e probabilmente sarà insediato nell’ex sede dei Vigili del Fuoco in viale della Vittoria. È vero che ci sono delle debolezze, ma si stanno attivando una serie di operazioni e di sinergie che stanno consentendo una programmazione dello sviluppo territo-
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riale. La settimana scorsa abbiamo lanciato una call per la creazione di una long list per il Distretto Turistico. I nostri progetti sono frutto di un forum in cui i giovani hanno contribuito con le loro idee alla creazione. Carmelo Galati Tardanico.Sul territorio c’è una notevole quantità di energia umana che aspetta solo di essere impiegata. Cosa siete disposti a fare in più rispetto a quello che avete fatto fino ad oggi e cosa chiedete all’Istituzione rispetto al rilancio di questo territorio? Gaetano Pendolino. Chiederei all’Università lo sviluppo in cinque anni di un progetto che porti il territorio alla notorietà (progetto di marketing territoriale). Un progetto con una strategia che miri al miglioramento della qualità della vita e con proiezione di comunicazione all’esterno. Il nostro contributo sarà la massima disponibilità nell’interazione con chi progetta. Filipe Themudo Barata. Siamo d’accordo che la domanda del turismo ha bisogno di più prodotti, ma questi prodotti quali dovrebbero essere? Gaetano Pendolino. Noi abbiamo fatto un’indagine sul turismo creativo ma adesso dobbiamo trasformare l’idea teorica in prodotto finito. Gaetano Pendolino. Nel 2020 Agrigento compie 2.600 anni, quindi pensare a un progetto che in cinque anni ci porta a quell’evento diventa l‘obiettivo con la volontà di incrementare le visite da 600.000 a un milione di visitatori l’anno e raddoppiare la presenza nelle strutture ricettive. Un progetto ambizioso che deve coinvolgere tutti i livelli della progettazione. Vincenzo Camilleri. Il progetto per Agrigento 2020 è un progetto che da tempo portiamo avanti. Il territorio inizia ad essere pronto. Sabato presenteremo il nuovo piano strategico della città di Agrigento che prevede il festeggiamento dell’evento dei 2.600 anni con manifestazioni ed venti che si protraggano per un intero anno. Dovremmo far capire che la nostra storia non è relegata solo a quella della Valle ma è anche fatta di stratificazioni di millenni di storia che hanno modellato il territorio e il paesaggio e che vede nelle contaminazioni derivanti dalla posizione centrale nel Mediterraneo un altro grande tema. Innovazione che i giovani devono riuscire a dare grazie alla conoscenza del passato. Emanuele Farruggia. Vi lascio con una riflessione, qualcuno mi sa dire dove è la sede dell’Assessorato al Turismo?
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TAVOLO 2
LE QUESTIONI DELLA SOSTENIBILITÀ SOCIALE Angela Alessandra Badami
Necessità della tutela del patrimonio storico e fabbisogni contemporanei dello sviluppo: un dialogo complesso che vede oggi a confronto la pubblica amministrazione con la società per l’individuazione di strategie innovative per il governo sostenibile del territorio di Agrigento. Lo sviluppo del territorio non può non essere governato da una politica attenta, da un lato, alle prescrizioni derivanti da un sistema vincolistico particolarmente complesso che sovraintende alla salvaguardia dei valori archeologici, paesaggistici e culturali del territorio, e, dall’altro, ai bisogni e ai desideri espressi dalla comunità che abita e che vive questo straordinario contesto in termini di sviluppo sociale, economico e culturale. Il tavolo del Forum promosso ad Agrigento, nella sede del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi, dal Progetto DO.RE.MI.HE. per il coinvolgimento dei soggetti territoriali e dedicato alla partecipazione sociale, ha promosso l’incontro tra i soggetti potenziali catalizzatori di un’azione che possa partire dalla comunità insediata ed essere rivolta verso la valorizzazione e la promozione del patrimonio archeologico, espressione di una società “in attesa” che ha visto gran parte del territorio comunale di Agrigento sottoposto a vincolo sin dal 1957. L’impostazione della politica italiana per il patrimonio di interesse culturale è stata sin dai suoi esordi fortemente ancorata a principi di carattere vincolistico-sottrattivo e di iniziativa centralistico-verticista, poco attenta sia alla comunicazione e al coinvolgimento delle popolazioni locali all’interno dei processi di tutela, sia al necessario corollario della tutela che necessita di esprimersi attraverso la valorizzazione dei beni tutelati e la promozione dei valori culturali che rientrano, nei fatti, nella piena espressione dell’identità di una comunità che abita, vive e lavora in territori ricchi di storia, tradizioni e cultura.
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Gran parte del territorio di Agrigento, l’area potenzialmente più adatta all’espansione urbana e alla produzione agricola e industriale, è stata infatti coperta da vincoli di carattere archeologico e di natura paesistica ai sensi delle Leggi Bottai del 1939, un apparato normativo molto efficiente dal punto di vista della tutela, ma scarsamente adattabile a compatibili e necessarie logiche di sviluppo economico e sociale. In particolare, la determinazione del perimetro dell’area sottoposta a vincolo e le prescrizioni d’uso e di edificabilità sono state definite direttamente dal Governo centrale, che ha dichiarato il sito archeologico di “interesse nazionale”, con Decreto dei Ministri per la Pubblica Istruzione e per i Lavori Pubblici (c.d. Decreto Gui-Mancini). L’apposizione di un vincolo “dall’alto” ha generato nella comunità un atteggiamento di ostilità nei confronti di quello che, in realtà, costituisce il suo patrimonio più importante, la matrice storica della sua identità, producendo una frattura nel processo di costruzione e di trasformazione del paesaggio inteso come rapporto biunivoco tra una popolazione e il suo ambiente. Il territorio della Valle dei Templi è stato, in un certo senso, abbandonato dalla comunità perché percepito come sottratto da un vincolo imposto dal potere centrale e di cui solo le amministrazioni pubbliche potevano avere il controllo. Conseguenze derivate sono state il mancato sviluppo di una politica di valorizzazione integrata tra la città di Agrigento e la Valle dei Templi che, come eccezionalità archeologica riconosciuta Patrimonio Mondiale dell’Umanità, avrebbe potuto costituirne uno degli elementi trainanti; fenomeni di abusivismo edilizio come dichiarato rifiuto al vincolo; netto scollamento tra il governo della città di Agrigento e il territorio della Valle generato dall’aspettativa di finanziamenti da parte della mano pubblica che non ha stimolato investimenti di valorizzazione turistico-culturale da parte del Comune, degenerando in una eterna e infruttuosa condizione di attesa. Nuovi strumenti legislativi adesso completano il panorama della politica italiana per i beni culturali, riassunti e aggiornati dal c.d. Codice Urbani (D.L. 42/2004 e successive modificazioni), arricchito da dispositivi normativi e strumenti di pianificazione approntati dalla legislazione regionale di settore (in particolare, la L.R. 20/2000 dedicata all’istituzione di un Sistema Regionale di Parchi Archeologici e all’Istituzione del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento). Si tratta di strumenti rivolti non soltanto alle esigenze della tutela del patrimonio culturale italiano, ma anche e soprattutto alle necessarie attività di valorizzazione e promozione sociale e culturale che rappresentano la strategia fondamentale da perseguire affinché la
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tutela non rimanga fine a se stessa, sottraendo risorse e territori alle comunità ivi insediate, ma si converta in volano di uno sviluppo sostenibile e culturalmente basato. Tale processo si sostanzia con la piena partecipazione di un’ampia arena di soggetti, non solo pubblici ma anche privati, il cui coinvolgimento è riconosciuto oggi come indispensabile per una efficace politica per i beni culturali. Il sostegno di una rinnovata politica per il patrimonio archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi è il tessuto sociale di Agrigento che esprime, in forme più o meno istituzionalizzate, la volontà di riappropriarsi “culturalmente” del Parco attraverso iniziative volte alla sua valorizzazione, alla promozione e all’uso sociale e pubblico. La partecipazione al Forum di numerosi soggetti istituzionali, di operatori del settore dell’istruzione scolastica e universitaria, di rappresentanti di club service, di promotori sociali, di ricercatori e studenti, ha evidenziato la necessità di dover trovare momenti di incontro, confronto e scambio di idee tra quanti sono ormai pienamente consapevoli della necessità di un’azione sociale collettiva per la promozione di nuove spinte di sviluppo. I diversi punti di vista hanno prodotto una ricca serie di iniziative che occorre mettere a sistema in un costante dialogo tra amministratori e cittadini. Cittadini che si sono già riappropriati di alcuni degli spazi del centro storico di Agrigento attraverso sperimentazioni di recupero “dal basso” per iniziativa di associazioni di volontari, come Artificio, Labmura, NonSoStare e Terranostra, che hanno ridato una nuova dimensione di luogo urbano al rione Vallicaldi, zona del centro storico con profondi problemi di degrado architettonico e sociale. È questa una delle espressioni del desiderio di veder valorizzato il proprio patrimonio e il proprio territorio, tra cui il centro storico, inerpicato sul Colle di Girgenti, che si presume fosse l’acropoli dell’antica città di Akragas, con un’articolata rete viaria in gran parte pedonale dove alle vie a volte strettissime si alternano suggestivi slarghi e inaspettate prospettive; un centro storico che però non ha mai valorizzato il suo forte legame culturale e territoriale con la Valle dei Templi e che soffre di un progressivo processo di abbandono avviato nel 1966 dall’episodio della frana che investì parte del centro urbano. A partire da allora, il centro storico ha cominciato a perdere i suoi abitanti a causa della sensazione di insicurezza per il rischio di altri crolli e la città di Agrigento ha iniziato il suo processo di espansione per borghi satelliti (Villaseta, Villaggio Mosé, Maddalusa, Villaggio Peruzzo, San Leone)
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che hanno urbanizzato gran parte del territorio circondando la Valle dei Templi, ma che nei fatti non hanno mai raggiunto quell’intensità di relazioni, funzioni e servizi che producono l’effetto città. Beniamino Biondi, Presidente dell’Associazione Laboratorio Vallicaldi e Assessore comunale all’Istruzione, all’Infanzia, all’Edilizia scolastica, al Centro Storico, all’Università e alle Politiche giovanili, è il giovane portavoce di una nuova coscienza sociale che serpeggia tra i cittadini di Agrigento in cerca di occasioni per riscattare un immaginario di città che ormai non corrisponde più alla nuova identità della società. I temi della rigenerazione urbana di Agrigento, dello spopolamento e del degrado del centro storico, del difficile dialogo con la Valle dei Templi, richiedono con forza nuove strategie di intervento non solo da inserire nell’agenda dell’amministrazione comunale, ma da condividere con la sensibilità dei cittadini che hanno già dato prova della loro capacità di volere e sapere trasformare la città. A tal fine occorre mettere a sistema e dare espressione al modo in cui la comunità locale percepisce il proprio territorio, individuare i caratteri e i valori nei quali si identifica, rendere esplicita la storia degli uomini e la memoria racchiuse nel patrimonio diffuso, costituito tanto dalle eccellenze classificate come beni culturali quanto dalle reti di rapporti e interrelazioni immateriali tra gli individui, dai saperi tramandati, dal senso di appartenenza ai luoghi. È questo lo scopo della mappatura di comunità, uno strumento per comprendere e rendere espliciti i bisogni e i desideri degli abitanti attraverso il dialogo e l’interrelazione, uno strumento che nell’esperienza condotta a Favara da Daniela Frenna, direttrice della Cooperativa di comunità Farmidabile, ha dato risultati apprezzabili anche ai fini della rigenerazione urbana. Dare voce ai cittadini di Agrigento sulle loro idee per riappropriarsi del Parco Archeologico della Valle dei Templi, in termini di fruizione alternativa rispetto alla visita ai monumenti, con l’uso degli spazi pubblici come nuove piazze della città, come occasione di incontro e socializzazione, come scena per l’organizzazione di eventi culturali, artistici, teatrali, costituisce una strategia valida per abbattere il muro eretto dal vincolo istituzionale tra la città di Agrigento e la sua Valle dei Templi. Restituire permeabilità tra la città antica, il centro storico e la città moderna, reinserire nei circuiti della vita quotidiana la fruizione dei beni archeologici, storici, artistici, architettonici e urbanistici, significa restituire ai cittadini una realtà di vita aumentata dei valori culturali di cui si alimenta una società civile. Il baluardo più inespugnabile per la difesa del patrimonio culturale non sono le leggi, i vincoli e i divieti:
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è la consapevolezza individuale di ciascun membro della società del significato che esso assume in termini di auto-definizione, di appartenenza, di evoluzione storicizzata dell’individuo nel suo ambiente. La conoscenza è il veicolo di tale consapevolezza, e il ruolo che le scuole e l’università sono chiamate a svolgere è, in questo senso, fondamentale. L’attività che le scuole svolgono presso il Parco Archeologico, uno straordinario laboratorio di conoscenza e di scoperta dei valori archeologici, ambientali e paesaggistici, introduce i ragazzi in una dimensione storicizzata dell’evoluzione e familiarizza il patrimonio culturale come componente naturale della vita. Sulla base delle eccellenze archeologiche del territorio della Valle dei Templi, come evidenziato da Ettore Castorina, responsabile del Polo Didattico di Agrigento, l’Università degli Studi di Palermo ha istituito Corsi di Laurea in Archeologia, Beni Culturali e Architettura; sebbene purtroppo oggi il Polo Universitario di Agrigento risenta particolarmente della flessione degli studenti iscritti alle Università del Sud, il presidio degli studi e della ricerca universitaria applicata al patrimonio della Valle dei Templi costituisce un fattore altamente qualificante per lo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio e della società. A sostegno della divulgazione della conoscenza e a supporto della ricerca universitaria sono le attività dei più importanti club service attivi ad Agrigento, il Lions e il Rotary. Gerlando Riolo, presidente del Club Service Lions, partecipando al Forum testimonia l’impegno del club nel coinvolgere anche altri club e istituzioni in attività di divulgazione culturale per la valorizzazione del territorio di Agrigento. Luigi Guadagni, presidente del Rotary Club Agrigento, sottolinea l’importanza della conoscenza e della consapevolezza della propria storia e della propria cultura di cui i beni culturali sono testimonianze materiali, da cui l’impegno profuso dal club nell’organizzazione di incontri e caminetti presso i luoghi della cultura del territorio. Tutti i soggetti che hanno partecipato al Forum hanno espresso il loro apprezzamento verso l’organizzazione di forme di incontro tra amministrazione e cittadinanza al fine di poter prendere parte attiva ai processi di valorizzazione e sviluppo, facendosi anch’essi promotori di azioni di coinvolgimento istituzionale e sociale.
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DISCUSSANT Angela Alessandra Badami RAPPORTEUR Vincenzo Spataro STUDENTI Giovanni Polizzi (archeologo), Marco Longo (archeologo), Bilel Chebbi (architetto e archeologo), Imen Ben Slimane (archeologa) STAKEHOLDERS Gerlando Riolo, Assessore alla Coesione sociale, Welfare, Immigrazione e Integrazione, volontariato della città di Agrigento e Presidente del Lions Club Agrigento Host; Daniela Frenna, Direttrice della Cooperativa di comunità Farmidabile; Luigi Guadagni, Presidente Rotary Club Agrigento; Ettore Castorina, Coordinatore dei Poli decentrati, Responsabile del Polo Didattico di Agrigento; Beniamino Biondi, Assessore all’Istruzione, all’Infanzia, all’Edilizia scolastica, al Centro Storico, all’Università e alle Politiche giovanili della città di Agrigento – Presidente dell’Associazione culturale “Laboratorio Vallicaldi”; Gerlandina Prestia, dottoranda di ricerca in urbanistica; Tiziana Nozzetti, architetto.
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REPORT TAVOLO 2 a cura di
Vincenzo Spataro
Gerlando Riolo. Le azioni intraprese dal Club Service Lions, di cui sono il Presidente, riguardano il miglioramento delle condizioni sociali e di vita delle persone, la conservazione dei beni, il recupero di spazi per la socialità e per lo sport. Negli ultimi tempi l’azione del Club, anche grazie alla collaborazione con altri club service e istituzioni, si sta indirizzando verso la valorizzazione del territorio; in quest’ottica di collaborazione sarebbe auspicabile, intraprendere azioni di concerto con l’Università di Agrigento, anche per dare eco ai progetti e visibilità al Club presente su tutto il territorio nazionale. Grazie alla Soprintendenza che ha tutelato i beni archeologici in un periodo in cui, nella seconda metà degli anni ’60, c’è stato un attacco feroce verso quello che era considerato un limite allo sviluppo urbano, la Valle è stata preservata; a volte però l’azione di salvaguardia è stata talmente rigida da impedire, ad esempio, in un determinato momento il passaggio del campionato mondiale di ciclismo sotto il tempio della Concordia. La tutela dunque, indispensabile in un determinato periodo storico, adesso si sta evolvendo e aprendo a una nuova visione di valorizzazione, alla collaborazione con altri enti, associazioni, cittadini. Daniela Frenna. Come Direttrice della Cooperativa di comunità Farmidabile propongo di inserire nel progetto DO.RE.MI.HE. una mappatura delle comunità, lavoro peraltro già sperimentato a Favara. È indispensabile conoscere da chi è formata la comunità, parlare con le persone e proporre un processo che è replicabile altrove. È uno strumento per capire i bisogni, le necessità e i desideri di un territorio attraverso il dialogo con le persone. A Favara, ad esempio, è stato organizzato un workshop che ha coinvolto studenti e giovani professionisti condividendo giornate di formazione e operazioni sul campo. È indispensabile capire come i residenti possono iniziare a dialogare con il Parco Archeologico ricostituendolo come luogo della socialità della città di Agrigento, come ridare la Valle agli agrigentini e agli abitanti dei territori limitrofi. Il Parco deve ritornare a essere piazza, luogo d’incontro, dove passare del tempo sano attraverso la cultura, le mostre ma grazie anche ad eventi più informali che però ci contaminano di una bellezza altra e alta. Angela Alessandra Badami. L’Ente Parco sta introducendo la “Carta del Parco” che attraverso dei servizi cercherà di fidelizzare i fruitori; si potrebbe implementare questa idea attraverso la creatività per mettere insieme elementi che non sono mai stati accomunati e creare una scintilla di innovazione. La mappatura delle
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comunità, dell’associazionismo serve a creare un sistema attorno a tutte le scintille di creatività, che se vengono lasciate sole inevitabilmente si spengono e non riescono ad attivare un fuoco. Luigi Guadagni. In qualità di Presidente del Rotary Club Agrigento, ricordo che l’attività dell’anno in corso è incentrata sull’avvicinamento dei rotariani e dei cittadini al patrimonio culturale. La consapevolezza della propria storia e della propria cultura è di per sé uno strumento di tutela. Oggi il popolo agrigentino ha un amore per il proprio patrimonio, in particolare per la Valle, che fino a poco tempo fa non aveva. La nostra identità e la nostra cultura sono baluardi verso gli estremismi e le aberrazioni che ogni giorno osserviamo. In questo senso la scuola, dunque l’istruzione, ha un ruolo fondamentale ma non deve compiere l’errore di essere necessaria a se stessa, serve a chi la frequenta, deve abituare i giovani alla fruizione dei beni che possediamo, alla conoscenza del passato. Dai beni culturali si può e si deve generare ricchezza. Se il nostro patrimonio appartenesse solamente a una persona, la giudicheremmo povera o ricca? La risposta è in sé. Lo Stato e la Pubblica Amministrazione devono riuscire a trovare la chiave di volta per mettere a frutto il patrimonio e generare ricchezza. La tutela a oltranza dei beni culturali è stata necessaria in tempi passati, ma oggi le cose sono cambiate parecchio e ci si può aprire al confronto. Un’azione messa in atto dal Rotary Club di Agrigento, per accrescere la conoscenza del nostro patrimonio è quella di delocalizzare gli incontri in luoghi non facilmente fruibili, alla scoperta della città. Ettore Castorina. Come Coordinatore dei Poli decentrati e responsabile del Polo Didattico di Agrigento, sottolineo come sia necessaria una iterazione più organica tra club service e Università; quest’ultima non è autoreferenziale e chiusa in se stessa, ma è aperta al territorio e lo dimostra in queste occasioni. Laddove fosse possibile sarebbe interessante che i club service bandiscano delle borse di studio su aspetti tematici che riguardino i beni culturali di Agrigento. Giovanni Polizzi. Sono uno studente di archeologia dell’Università di Agrigento. È indispensabile non solo valorizzare i beni culturali, ma anche creare delle agevolazioni allo studio come borse di studio, premi per le migliori tesi di laurea per permettere agli studenti di partecipare a momenti di formazione diversi da quelli universitari. L’invito, rivolto anche ai club service è stato ben accolto dai presidenti dei due Club Services presenti al tavolo. Beniamino Biondi. Come Assessore e Presidente dell’Associazione culturale “Laboratorio Vallicaldi”, mi preme ricordare l’evento franoso del 19 luglio del 1966 che ha colpito la zona oltre le mura denominata “Rabbato”, ha prodotto due effetti: da una parte la tutela della Valle dei Templi, dall’altra uno sviluppo urbanistico compulsivo e schizofrenico. La paura di vivere in centro storico è diventata strumento di economia e di speculazione edilizia che ha creato le periferie. Il centro storico si è svuotato, ha perduto la propria identità, il collante sociale, le relazioni, le dialettiche umane, civili e culturali che possedeva. È avvenuta anche una separazione tra Agrigento e la Valle dei Templi. Laddove è tanto ben tutelata la Valle dei Templi, tanto poco è tutelata la città di Agrigento. Il rischio è che queste due “città” contrapposte, non vivano l’una dell’altra. Il centro storico di Agrigento non ha palazzi nobiliari importanti, non ha chiese di grande importanza, ma ha una cosa che più
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di tutte va tutelata: la rete viaria, con le sue scalinate, i suoi odori, i suoi suoni, i suoi sapori. Spesso i turisti che visitano la Valle dei Templi non sanno che la città che vedono sullo sfondo è Agrigento, nonostante il suo centro storico sia nato come Acropoli della città antica. Serve una connessione fisica e funzionale tra la città e la Valle, per questo si sta studiando un biglietto integrato Valle-città; se dei 650.000 visitatori l’anno che ospita la Valle, numero che deve essere implementato, il 10% acquistasse il biglietto unico per Agrigento sarebbe una rivoluzione. Altre iniziative per animare il tessuto socio-economico della città sono la detassazione del suolo pubblico in centro storico per l’apertura delle attività commerciali e per l’allestimento di ponteggi durante le ristrutturazioni. Un’attenzione particolare meritano le manifestazioni culturali in centro storico come motore per la rigenerazione urbana. L’esperienza di via Vallicaldi, ad esempio, ha voluto utilizzare l’arte come pretesto per una rigenerazione sociale dei luoghi, ottenendo due vittorie: essere divenuti gli interlocutori degli abitanti del quartiere e avere permesso agli agrigentini di passare per questa zona per accedere alla via Atenea; una riappropriazione non solo in termini urbani, ma come luogo sicuro. Dopo questa esperienza sono nati nella zona due ristoranti di cucina senegalese e due b&b. La buona riuscita dell’operazione è stata possibile grazie al supporto prezioso delle due associazioni: Artificio, composta da artisti visivi, pittori, scultori e NonSoStare, creata da architetti laureatisi al polo agrigentino.
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TAVOLO 3
LE QUESTIONI DELLA SOSTENIBILITÀ CULTURALE E AMBIENTALE Valeria Scavone
Un Parco del Mediterraneo Nell’intento di recuperare o costruire identità legate alla Valle, è stato organizzato un incontro ad hoc a monte del processo progettuale esplicitato nel Campus del progetto interculturale DO.RE.MI.HE., per definire idee e orientamenti, raccogliere suggestioni, rispondere a esigenze. Nel contesto in specie, l’intento della partecipazione travalica e diviene il fine del processo in sè, non tanto un mezzo e consente di dare voce agli abitanti, dar loro la possibilità di riappropriarsi del proprio contesto di vita, di produrre collettivamente idee e progetti (Cellamare, 2011). La partecipazione dovrebbe proprio lavorare sul sistema di relazione e significati che si sviluppano nell’essere tra gli uomini (Arendt, 2005) per mettere in relazione individui, per «costruire in maniera dinamica e interattiva mondi di significato» (Decandia, 2000, 18). In questo caso l’intento non era ottenere e costruire consenso, pubblicizzare o promuovere scelte fatte a monte, ma dare voce a chi opera già sul territorio con una sorta di “avallo” dell’Amministrazione (presente al tavolo con un rappresentante) nell’augurio che si attivino forme più strutturate di partecipazione, per esempio con la realizzazione di un Urban Center o casa della città, luogo di partecipazione per la costruzione delle politiche locali. L’occasione del Forum, realizzata nell’ambito del progetto DO.RE. MI.HE., è stato uno dei pochi momenti che ha visto intorno allo stesso tavolo più soggetti territoriali, enti e associazioni che a vario titolo operano sul territorio, per immaginare un futuro della città e del territorio a partire dal rilancio del sito UNESCO. I lavori dedicati al tema cultura e ambiente, in considerazione della peculiarità tematica hanno visto una attiva e numerosa partecipazione di
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soggetti, interessati a fare dell’occasione – promossa dall’Università di Palermo – un momento di confronto operativo sottolineando in primo luogo il proprio ruolo svolto quotidianamente nel contesto. Si sottolinea l’assenza degli operatori del settore turistico nonostante siano stati invitati. In generale sono emersi visioni/proposte a macroscala e suggerimenti operativi a microscala. Tra le parole chiave suggerite dagli organizzatori dei tavoli, quelle che hanno sollecitato l’interesse e hanno guidato il confronto sono state “metabolismo territoriale” e “perturbazione”, con una sorta di substrato comune: la creatività. Questi suggestioni sono state esplicitate attraverso altri concetti: ibridazione, formazione (con un riferimento diretto alla questione identitaria), pianificazione, progettazione contemporanea. E da quest’ultima – l’azione contemporanea – è opportuno cominciare l’azione di perturbazione per valutarne la necessità di un ribaltamento da un “limite”, si pensi alla questione della frana o all’abusivismo in generale, a “risorsa”, una reale opportunità di dare un segno positivo dei nostri tempi. In questo senso, il ruolo che dovrebbe svolgere l’arte e l’architettura è stato richiamato da Domenico Fontana in riferimento alla progettazione e realizzazione della passerella pedonale interna al Parco Archeologico della Valle, esito di un concorso internazionale, e da Roberto Albergoni in riferimento all’attività culturale e sociale svolta da Farm Cultural Park a Favara. Dai lavori del tavolo è emersa la rilevanza di una geografia di pratiche e comportamenti diversa da quella pianificata, in qualche modo imposta dall’alto (in questo senso è stato fatto il richiamo al Piano Paesaggistico della Provincia di Agrigento, il cui iter è in fase di definizione). Favara infatti, in quanto simbolo di rinascita sociale e culturale di un contesto difficile, diviene una realtà “appartenente” ad Agrigento, a prescindere dai confini amministrativi, così come lo sono, ad esempio, le risorse costituite dalla scala dei Turchi e dalla Villa romana a Realmonte. Il metabolismo territoriale è stato riconosciuto da tutti quindi un elemento fondante di questa nuova visione nella quale la Valle può divenire il cuore pulsante di un sistema più vasto, ricco non solo di risorse archeologiche, ma di un patrimonio naturale e culturale, materiale e immateriale. Nel merito, particolarmente rilevante tra le visioni, è stato l’intervento di Bartoli che, con la sua proposta della Biennale1, ha voluto innescare un dibattito forte sul futuro del territorio affinché diventi “il centro del mondo” grazie alla compresenza di cultura e arte contemporanea.
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Accogliendo in questo l’adesione di tutti gli intervenuti, a prescindere dalla propria formazione o dal ruolo svolto nella comunità. Trasversalmente, è emersa l’esigenza di ulteriori occasioni di confronto/dibattito tra imprenditori, associazioni di cittadini, enti e amministratori per reagire contro la marginalità economica e sociale del territorio, sottolineando la valenza e il ruolo di collante che l’Università di Palermo – per la sua neutralità – potrebbe svolgere (e ha già svolto in questi anni), con la collaborazione del Consorzio Universitario della Provincia di Agrigento. I rappresentanti degli Ordini Professionali degli Agronomi, degli Ingegneri e degli Architetti hanno posto sul tavolo interessanti questioni operative. I primi in riferimento alla necessità di tutelare i prodotti agricoli locali, in quanto componente identitaria del territorio che ne condiziona il paesaggio agrario. Il riferimento concreto è al Museo del Mandorlo, realtà interna al Parco Archeologico. I secondi hanno sottolineato la valenza economica della cultura, così come esplicitata grazie al co-working già attivo dentro la Farm. Rilevante è la suggestione del Presidente dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Agrigento che propone l’attivazione di un incubatore di idee che stimoli i giovani a confrontarsi facilitando i rapporti con le istituzioni. Tra le proposte operative, si segnala – negli interventi di Albergoni, Indelicato e Fontana – l’importanza della mobilità sostenibile di connessione tra città e Parco. L’attuale assenza di una offerta di mobilità intra ed extra urbana necessita di un profondo intervento non solo a fini turistici (in questo il riferimento è alla linea turistica Stazione Bassa-Porto Empedocle). La proposta operativa di Fontana, che può costituire una reale perturbazione del sistema, consiste nella necessità di collegare luoghi di produzione a luoghi della cultura nel tentativo di cambiare il modo di percepire il territorio anche dei residenti. La variabile identitaria legata al ruolo di Agrigento nel Mediterraneo è stata sottolineata da alcuni e, in particolare, da Antonio Liotta che ha proposto una vision: il Parco Archeologico come Parco del Mediterraneo che produca cultura e, quindi, formazione. Una vision legata alla componente multiculturale di Agrigento è stata sottolineata anche da Roberto Albergoni in termini di posizionamento rispetto all’Europa come interfaccia nel Mediterraneo anche grazie al riconoscimento UNESCO che consente una visibilità globale non utilizzata appieno. La Sicilia deve superare il fatto di essere riferimento di flussi migratori per diventare un riferimento in termini culturali di protezione del pa-
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trimonio, di messa a sistema delle risorse territoriali, di motore metabolico. In questo senso la Valle dei Templi, interfaccia con il continente africano, deve divenire un Parco multiculturale del Mediterraneo non solo per i turisti ma anche per la comunità che ne potrà «rielaborare le componenti generatrici di opportunità» (Carta, 2004, 24). La vision del Parco Archeologico proposta da Daniele Gucciardo prevede, sull’onda delle sollecitazioni ricevute, un organismo metabolico da pianificare non solo con vincoli. L’impegno degli urbanisti (ma non solo), infatti, deve essere pianificare “creativamente” questa “città della memoria” per superare «il conflitto tra conservazione, innovazione e trasformazione (e per costruire un) sistema complesso di relazioni» (Carta, 2004, 26).
Note 1. Per una più approfondita trattazione del tema si rimanda al documento a firma di Andrea Bartoli in questo volume a p. 177. Bibliografia Arendt A. (2005), Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano (ed. orig.: The human condition, University of Chicago Press, Chicago, 1958). Carta M. (2004), Next city: culture city, Meltemi, Roma. Cellamare C. (2011), Progettualità dell’agire urbano. Processi e pratiche urbane, Carocci Editore, Roma.
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DISCUSSANT Valeria Scavone RAPPORTEUR Francesca Montagna STAKEHOLDERS Tommaso Guagliardo (Museo Archeologico Regionale “Pietro Griffo”, Agrigento); Andrea Bartoli (Farm Cultural Park, Favara); Germano Boccadutri (Presidente dell’ Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali della Prov. di Agrigento); Massimo Trapani (Presidente dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della Prov. di Agrigento); Epifanio Bellini (Ordine degli Ingegneri della Prov. di Agrigento); Antonio Liotta (Presidente della Coop. Farmidabile); Mauro Indelicato (Vicepresidente Ferrovie Kaos); Bernardo Barone (Liceo Linguistico “Leonardo” e Parco Letterario “Luigi Pirandello”); Vittorio Nocera (FAI, Agrigento); Daniele Gucciardo (Legambiente Agrigento); Domenico Fontana (Legambiente Sicilia, Assessore all’ambiente del comune di Agrigento); Roberto Albergoni (Segretario generale HERIMED, Rappresentante dell’Università di Tunisi per il progetto DO.RE.MI.HE.).
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REPORT TAVOLO 3 a cura di
Francesca Montagna
La discussant coordinatrice, prof. Valeria Scavone, avvia un primo giro di presentazioni tra tutti i partecipanti al tavolo di discussione e innesca il dibattito culturale attraverso un primo quesito, sulla base del documento fornito a tutti i partecipanti. Quali azioni e visioni per il futuro potrebbe indicare questo tavolo circa il tema dell’identità e la multisettorialità? Quali azioni di perturbazione possono contribuire alla trasformazione di questo territorio in un organismo vivente? Andrea Bartoli. In quanto fondatore di Farm Cultural Park vorrei sottolineare che si dovrebbe puntare sul paradigma del patrimonio e della creatività, aggiungere questo tipo di visione al territorio. In quale Agrigento desideriamo vivere nel 2025? La risposta potrebbe trovarsi in una suggestione, ossia vivere tra 10 anni in un territorio che diventi il centro culturale del mondo, in cui dibattere i problemi e le principali tematiche del pianeta. Questa visione ambiziosa fa riferimento ai Giardini della Biennale di Venezia (idea da mutuare) in cui cultura e arte contemporanea si incontrano e sono in grado di cambiare i territori per sempre. Serve uno sguardo ampio di partecipazione tra i paesi stranieri, in cui la realizzazione di padiglioni costituisca punto di scambio d’idee. Si potrà così ricostruire la centralità di Agrigento, ridare un ruolo significativo alla città per cambiare le cose riferendosi sia al territorio locale che al mondo. Germano Boccadutri. Sono Presidente dell’Ordine degli Agronomi. Ritengo che si debba guardare a una dimensione culturale e dello sviluppo ormai priva di confini, lavorare sulla cooperazione (riferendomi alla figura di Odisseo nel Mediterraneo). I punti del Dossier maggiormente condivisi sono quelli riferibili alla componente identitaria che si lega al territorio (ossia la Valle dei Templi) valorizzandolo come si sta già facendo per il sistema agricolo legato sia alla produzione/filiera agroalimentare, sia allo sviluppo economico e sociale in termini di “cultura dell’alimento”. Il paesaggio agrario deve essere legato al tema dei beni immateriali, preservare la cultura del passato da proiettare nelle visioni per il futuro. Valeria Scavone. In che modo si potrebbe operare sul territorio vasto/esteso dei paesaggi marginali? Germano Boccadutri. Bisognerà intervenire concentrando buona parte delle attenzioni su questi territori abbandonati legando alla pura logica di business la possibili-
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tà di rivalutazione dell’antico sistema di saperi e tecniche agricole ormai dismesse. Roberto Albergoni. Per ciò che concerne la tutela del paesaggio agricolo e la presenza del Museo Vivente del Mandorlo all’interno del Parco, come coadiuvare la logica museale a quella produttiva? Germano Boccadutri. Il “Museo vivente del mandorlo” è un elemento fondamentale, non è musealizzazione ma mantenimento del germoplasma che a sua volta racchiude in sé odori, sapori e saperi antichi. Si deve ritornare a un’agricoltura di qualità che si stava ormai perdendo (in termini pratici, è opportuno lavorare sulla diffusione di innesti per la coltivazione di specie tradizionali del passato). La logica all’interno del Parco è quella di collegare il sistema economico all’alimento per la realizzazione di prodotti di nicchia, di eccellenze da valorizzare e preservare. Roberto Albergoni. Ritengo che si dovrà lavorare dentro il Parco, ma non solo. Si produrranno una serie di alimenti e azioni che dovranno uscire dai confini amministrativi. Non è più una questione di “vincoli” ma di messaggi che devono fluire. Massimo Trapani. Anche l’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Agrigento propone una maggiore presenza delle professionalità sul territorio favorendo il ridisegno di questo (ed evitando una sovrapposizione e/o conflitto di competenze). Si dovrà lavorare sul tema della trasformazione del paesaggio a partire dagli strumenti di pianificazione come il Piano Paesaggistico. In termini concreti l’Ordine chiede la realizzazione di un incubatore di idee che accolga le richieste della società civile e funga da elemento mediano nei rapporti con le istituzioni. Bisogna prestare maggiore attenzione alla concertazione. Epifanio Bellini. Come Ordine degli Ingegneri della Provincia di Agrigento si avanzano le stesse proposte dell’Ordine degli Architetti, puntando sulla promozione di sempre più frequenti occasioni di confronto tra imprenditori/associazioni/ enti statali. Il co-working potrebbe rappresentare un buon punto di partenza come del resto la sperimentazione dei “Sette cortili” portata avanti da Farm Cultural Park. Questi riferimenti riescono a dimostrare come il sistema di beni delle città può essere messo a disposizione della cittadinanza e incrementare il processo di osmosi. Si dovrà lavorare nel futuro in una logica di riduzione del consumo di suolo e riciclo del patrimonio edilizio esistente, focalizzando l’attenzione sul centro storico e sul recupero di spazi socialmente utili. L’idea del metabolismo urbano e territoriale, proposta dal progetto DO.RE.MI.HE., è ampiamente condivisa. Antonio Liotta. I temi condivisi riguardano il concetto di organismo metabolico e di armonia che insieme possono influire positivamente sul territorio “vivo”. L’uso della comunicazione (che non può essere esclusiva di una casa editrice) porta poi all’informazione e alla formazione, allo sviluppo delle progettualità. Si dovrà lavorare sulle risorse letterarie-identitarie (riferendosi a scrittori del passato, ma anche contemporanei che hanno abitato e descritto i nostri territori).Una proposta potrebbe riguardare la creazione di una “strada degli scrittori” da cui partire per creare una serie di integrazioni con il tema del Mediterraneo. La casa editrice Medinova ha già all’attivo una collana orientata alla pubblicazione di autori del bacino del Mediterraneo, in cui la circolarità delle idee favorisce l’integrazione culturale. Il Parco deve diventare reale patrimonio dell’umanità, in cui tutti i paesi possano incontrarsi e avere uno spazio anche di tipo materiale, un Parco del Mediterra-
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neo che valorizzi i suoi confini e che crei una rete in termini di progetto culturale (“informazione” che diventa “formazione”). Medinova, come casa editrice, si rende disponibile a eventuali collaborazioni per pubblicazioni in merito. Mauro Indelicato. L’associazione Ferrovie Kaos ha sempre lavorato per favorire la mobilità sostenibile proponendo un collegamento tra il centro storico e la zona industriale riutilizzando un binario esistente della ex linea ferroviaria CastelvetranoPorto Empedocle e riattivando anche la tratta Agrigento-Favara (a scartamento ridotto), lavorando appunto con le parole chiave mobilità/cultura/territorio. Bernardo Barone. Il Liceo Scientifico e Linguistico “Leonardo” e il Parco letterario “Luigi Pirandello” da me rappresentati, propongono un lavoro basato sul tema “identità e cultura” utilizzando il treno storico già attivo dentro la Valle dei Templi, prolungandone il percorso e introducendo una fermata alla casa di Pirandello in contrada Kaos. L’idea è quella di riqualificare la stazione e coinvolgere le scuole. Sia il Liceo Scientifico che il Linguistico potrebbero svolgere attività di presidio e infopoint, riallacciandosi all’operato già in atto in parte degli istituti attraverso azioni sia di tipo conoscitivo (educando i ragazzi alla conoscenza del territorio) che progettuale (favorendo occasioni di animazione/guida turistica multilingue) da intendere tanto come servizio al territorio che come strumento di autovalutazione nei confronti dei propri studenti. Valeria Scavone. In che modo il Parco Letterario dialoga con il Parco Archeologico? Bernardo Barone. Attraverso la collaborazione con gli studenti dell’Università del territorio, aiutandoli nella redazione delle loro tesi di laurea. È un rapporto che dovrà diventare incrementale. Il Parco Letterario potrebbe contribuire in termini di animazione sociale e creatività della Valle. Il territorio va animato non solo con grandi eventi, ma anche con progetti continuativi nel tempo come i “viaggi sentimentali”. L’obiettivo è costituire una città/teatro in cui il Parco Letterario e il Parco Archeologico abbiano tra loro ruoli di sincronismo e comunicazione diretta. Un altro obiettivo potrebbe essere fare “formazione” sul territorio locale e cooperare con la rete dei Parchi Letterari in Sicilia. Vittorio Nocera. Le azioni del documento che potrebbero interessare l’operato del FAI riguardano il tema della perturbazione, da intendere non come rottura ma come costruzione del territorio. Si potrebbe realizzare un nuovo accesso al Parco proprio partendo dal giardino della Kolymbetra, facendo leva anche sul sistema di azioni tra FAI e Legambiente che dimostrano la fattibilità del cambiamento (demolizione di ecomostri e di opere abusive). Si potrebbe lavorare anche in centro storico riferendosi al luogo del cuore del FAI più votato, ossia la Cattedrale di Agrigento, ripartendo dai giovani e dalla loro formazione come strumento di ritorno al passato in ottica rigenerativa e perturbativa. L’Università potrebbe assumere il ruolo di collante tra società e istituzioni, attualmente alcuni stage universitari si svolgono presso la Kolymbetra. Daniele Gucciardo. L’idea di Legambiente è quella di trasformare la Valle in un organismo metabolico cercando di immaginare una pianificazione che guardi ad un territorio vivo superando il problema dei vincoli. Si dovrà lavorare per stabilire un dialogo, una visione omnicomprensiva fatta di sensibilità diverse che provino a confrontarsi superando il limite pianificatorio, il limite progettuale e il limite della cittadinanza (dell’uso scorretto di luoghi e territori). È necessario capire
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come gli abitanti, e non solo i turisti, vivono la Valle. Domenico Fontana. Come Dirigente Regionale di Legambiente Sicilia, nonché Assessore all’Ambiente del Comune di Agrigento, vorrei evidenziare che tra le proposte del documento il focus di progetto dovrebbe riferirsi al tema della “perturbazione” e al ruolo che l’architettura contemporanea di qualità (il riferimento è alla passerella pedonale nel Parco da intendere come “piccola opera di architettura contemporanea”) potrebbe assumere per la prima volta all’interno del Parco, capace di innestarsi su di un territorio fragile e promuovere opera di “perturbazione inconsapevole”. Oggi la contemporaneità ha la capacità di sfidare il passato (riferimento a Farm) e genera vitalità. Il recupero dei “sette cortili” a Favara e altre forme di perturbazione propongono una rottura intelligente dell’equilibrio territoriale che produce nuova identità, cosa che manca al territorio di Agrigento a causa del fallimento generatosi dalla speculazione edilizia che ha provocato perdita di identità e mancanza di rapporto con la storia. La mobilità sostenibile fatta di connessioni tra Parco e città potrebbe essere un altro fenomeno perturbante, collegando i luoghi di produzione a quelli della cultura cambiando il modo di percepire il territorio sia degli abitanti che dei turisti (produzione culturale). Questo territorio avrà un futuro solo se sceglierà di aprirsi anche al Mediterraneo creando un sistema/rete di cultura tra le sponde. Agrigento deve ritornare a essere l’Akragas di 2.600 anni fa che si confrontava con Cartagine e tutto il Nord Africa: questa potrebbe essere un’ambizione da tradurre in progetto. Far rete tra istituzioni, esperti del settore e cittadini in grado di generare senso d’appartenenza ai luoghi ed al Mediterraneo intero. Roberto Albergoni. Il rapporto tra patrimonio e creatività spesso è dato per scontato pensando infatti che l’esistenza di un patrimonio ampio e mediaticamente forte sia la sola base necessaria allo sviluppo. In realtà in Italia manca ancora la componente creativa e l’attenzione al processo politico (inteso come buone pratiche necessarie al cambiamento di una determinata visione). Come trasformare l’eredità che abbiamo (che è stata essa stessa vincolo alla creatività)? Come superare il limite del patrimonio vincolato in “risorse” che generino creatività? Partendo dall’identità, si dovrà puntare sulle scuole ponendo il problema di una identità europea che dovrà tenere conto del Mediterraneo e lavorare su una logica di identità molteplici. La Sicilia oggi è centro del Mediterraneo perché luogo di riferimento dei flussi migratori ma potrebbe invece assumere un ruolo forte in termini culturali/identitari. Si dovrà capire se nella costruzione di una vision metabolica Agrigento e la sua Università voglia porsi come riferimento di ciò che accade nel Mediterraneo (riferimento al caso di Palmira) in termini di protezione del patrimonio, di messa a sistema delle risorse territoriali, di motore per nuove azioni. Il tema è il “posizionamento di mercato” di Agrigento rispetto al Mediterraneo e all’Europa, valorizzando le risorse che si possiedono a partire dal riconoscimento UNESCO e cercando di capire come utilizzare la visibilità acquisita. Il ruolo dell’Università dovrà passare dalla concertazione e dal dialogo tra i vari soggetti. L’Università, per il sua neutralità, potrà svolgere un ruolo importante di supporto al dialogo.Un altro problema di Agrigento è costituito dall’assenza di mobilità intra ed extra urbana e dalla mancanza di una puntuale mappatura delle risorse e delle esperienze concrete presenti sul territorio.
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LA VALLE DEI TEMPLI DI AGRIGENTO COME I GIARDINI DELLA BIENNALE DI VENEZIA Andrea Bartoli
Storia Probabilmente pochi ricordano o conoscono la storia di Riccardo Selvatico. Nato a Venezia nel 1849, fu un intellettuale illuminato, poeta e commediografo. Alla fine dell’Ottocento diventò Sindaco della città di Venezia e una sua intuizione ha cambiato per sempre la storia della sua città. L’amministrazione comunale di Venezia, da lui guidata, delibera durante l’adunanza consiliare del 19 aprile 1893 di istituire una Esposizione biennale artistica nazionale, da inaugurarsi il 22 aprile 1894. Da quella idea è nata una prestigiosa istituzione che ancora oggi contribuisce a fare di Venezia una delle principali città di cultura del mondo. Sin da subito Selvatico e & decisero che questa iniziativa dovesse avere un forte respiro internazionale e allora invitarono i governi stranieri a costruire, con progetti dei più importanti architetti del Novecento, dei Padiglioni sul terreno dei Giardini. Il terreno veniva offerto gratuitamente, ma la proprietà rimaneva del Paese straniero. Il primo padiglione straniero, quello del Belgio, fu edificato nel 1907; l’ottava Biennale del 1909 si arricchì di tre nuovi padiglioni stranieri: il padiglione della Gran Bretagna che non fu costruito ex novo, ma fu utilizzato un edificio esistente; il padiglione della Germania, costruito accanto a quello inglese sulla collinetta dei Giardini; il padiglione dell’Ungheria. I padiglioni di Francia e Svezia furono eretti nel 1912, entrambi progettati e costruiti direttamente dalla Biennale. Oggi l’area dei Giardini conta 29 padiglioni: • padiglione Belgio, di Léon Sneyens, 1907; restaurato da Virgilio Vallot, 1948; • padiglione Ungheria, di Géza Rintel Maróti, 1909; restaurato da
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Storia Probabilmente pochi ricordano o conoscono la storia di Riccardo Selvatico. Nato a Venezia nel 1849, fu un intellettuale illuminato, poeta e commediografo. Alla fine dell’Ottocento diventò Sindaco della città di Venezia e una sua intuizione ha cambiato per sempre la storia della sua città. L’amministrazione comunale di Venezia, da lui guidata, delibera durante l’adunanza consiliare del 19 aprile 1893 di istituire una Esposizione biennale artistica nazionale, da inaugurarsi il 22 aprile 1894. Da quella idea è nata una prestigiosa istituzione che ancora oggi contribuisce a fare di Venezia una delle principali città di cultura del mondo. Sin da subito Selvatico e & decisero che questa iniziativa dovesse avere un forte respiro internazionale e allora invitarono i governi stranieri a costruire, con progetti dei più importanti architetti del Novecento, dei Padiglioni sul terreno dei Giardini. Il terreno veniva offerto gratuitamente, ma la proprietà rimaneva del Paese straniero. Il primo padiglione straniero, quello del Belgio, fu edificato nel 1907; l’ottava Biennale del 1909 si arricchì di tre nuovi padiglioni stranieri: il padiglione della Gran Bretagna che non fu costruito ex novo, ma fu utilizzato un edificio esistente; il padiglione della Germania, costruito accanto a quello inglese sulla collinetta dei Giardini; il padiglione dell’Ungheria. I padiglioni di Francia e Svezia furono eretti nel 1912, entrambi progettati e costruiti direttamente dalla Biennale. Oggi l’area dei Giardini conta 29 padiglioni: padiglione Belgio, di Léon Sneyens, 1907; restaurato da Virgilio Vallot, 1948; padiglione Ungheria, di Géza Rintel Maróti, 1909; restaurato da Benkhard Agosto, 1958; padiglione Germania, di Daniele Donghi, 1909, demolito e riedificato nel 1938 da Ernst Haiger; padiglione Gran Bretagna, di Edwin Alfred Rickards, 1909; padiglione Francia, di Umberto Bellotto, 1912; padiglione Olanda, di Gustav Ferdinand Boberg, 1912, demolito e riedificato nel 1953 da Gerrit Thomas Rietveld; padiglione Russia, di Alessio Scusev V., 1914; padiglione Spagna, di Javier De Luque, 1922, con facciata rinnovata nel 1952 da Joaquin Vaquero Palacios; padiglione Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca di Otakar Novotny, 1926, ricostruito da Boguslav Rychlinch, 1970; padiglione Stati Uniti d’America, di Chester Holmes Aldrich e William Adams Delano, 1930; padiglione Danimarca, di Carl Brummer, 1932, ampliato nel 1958 da Peter Koch; padiglione Venezia, di Brenno Del Giudice, 1932, ampliato nel 1938; questo padiglione è un’unica grande struttura architettonica che ospita le partecipazioni di
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più nazioni (Serbia, Egitto, Polonia e Romania). Nel 2011 è stata riaperta al pubblico, dopo il restauro, l’esedra centrale costruita nel 1932; padiglione Austria, di Josef Hoffmann con la collaborazione di Robert Kramreiter, 1934; restaurato da Hans Hollein, 1984; padiglione Grecia, di M. Papandréou e Brenno Del Giudice, 1934; Biglietteria, Carlo Scarpa, 1951; padiglione Israele, di Zeev Rechter, 1952; modificato da Fredrik Fogh, 1966; padiglione Svizzera di Bruno Giacometti, 1952; padiglione Venezuela di Carlo Scarpa, 1954; padiglione Giappone, di Takamasa Yoshizaka, 1956; padiglione Finlandia, di Alvar Aalto, 1956; restaurato da Fredrik Fogh con la collaborazione di Elsa Makiniemi, 1976-1982; padiglione Canada, del Gruppo BBPR (Gian Luigi Banfi, Ludovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers), 1958; padiglione Uruguay, ex magazzino della Biennale, 1958, ceduto al governo dell’Uruguay, 1960; padiglione dei Paesi Nordici (Svezia, Norvegia, Finlandia), di Sverre Fehn, 1962; adiacente c’è un piccolo edificio di Fredrik Fogh, 1987; padiglione Brasile, di Amerigo Marchesin, 1964; padiglione Australia, di Philip Cox, 1987; Libreria, di James Stirling, 1991; padiglione Corea, di Seok Chul Kim e Franco Mancuso, 1995. I paesi non titolari di padiglione espongono in altre sedi del centro storico di Venezia. L’Ente, oggi Fondazione, oltre alla celebre Biennale d’Arte, organizza altre esposizioni multidisciplinari nate in anni più recenti e suddivise nei seguenti settori: • Arte - Esposizione internazionale d’arte di Venezia, spesso chiamata semplicemente Biennale di Venezia e nata con l’ente stesso nel 1895; • Musica - Festival internazionale di musica contemporanea, fondato nel 1930, fu la prima manifestazione della Biennale ad affiancare l’Esposizione d’Arte che aveva caratterizzato la Biennale sin dalle sue origini; • Cinema - Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, istituito nel 1932, è il più antico festival cinematografico del mondo; • Teatro - Festival internazionale del teatro, istituito nel 1934 come terzo evento da affiancare alla Biennale d’Arte; • Architettura - Mostra internazionale di architettura di Venezia, istituita nel 1980; • Danza - Festival internazionale di danza contemporanea, istituita nel 1999.
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Il nome “Biennale” deriva dalla cadenza biennale delle sue manifestazioni (con l’eccezione della Mostra del Cinema nata nel 1932 con cadenza annuale). Grazie alla Biennale di Venezia, nel settore culturale, il termine italiano “biennale” (utilizzato proprio nell’idioma nazionale in quasi tutte le parti del mondo) ha acquisito una più ampia valenza ed è diventato per antonomasia sinonimo di grande evento internazionale ricorrente a prescindere dalla cadenza. Sia la Biennale Internazionale d’Arte che la Mostra Internazionale d’Arte cinematografica sono le prime e più antiche manifestazioni realizzate nel loro genere ancora esistenti. Valutazioni territoriali Abbiamo la fortuna di abitare in una città che ospita la Valle dei Templi, un Parco Archeologico che conserva uno straordinario patrimonio monumentale e paesaggistico che comprende i resti dell’antica città di Akragas. Il Parco è molto ampio, circa 1.300 ettari (pensate che i Giardini della Biennale di Venezia sono solo 6 ettari) e dalle mie minute conoscenze è suddiviso in una prima zona archeologica, una seconda ambientale e paesaggistica e una terza naturale attrezzata. L’Ente Parco, anche a causa della complessità di gestione di un’area talmente vasta, più volte con avvisi pubblici ha invitato alla manifestazione di interesse per gestire in concessione i terreni agricoli demaniali in consegna al Parco. Proposta di visione Una volta raccontata la Storia della Biennale di Venezia e dei suoi Giardini e sintetizzato pochi aspetti a tutti noti in merito al Parco della Valle dei Templi prima di avanzare pubblicamente una proposta di visione mi permetto di fare alcune riflessioni. La prima considerazione, probabilmente anche banale ma necessaria da fare è che una Fondazione come la Biennale di Venezia attraverso l’imponente attività culturale prodotta durante tutto l’anno con le diverse manifestazioni culturali delle diverse discipline (Arte, Musica, Cinema, Teatro, Architettura e Danza) attrae a Venezia ogni anno milioni di visitatori con un conseguente importante impatto economico sulla città. La seconda riflessione è di carattere squisitamente politico. Nei Giardini della Biennale di Venezia, abbiamo detto che sono ospitati 29 padiglioni di altrettanti Paesi del mondo che più volte l’anno vengono animati dalle iniziative culturali promosse dai rispettivi Ministeri Culturali.
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Tutto questo significa che i più importanti esponenti culturali di tutti i Paesi del mondo più volte l’anno frequentano Venezia e gli amministratori di Venezia e gli operatori culturali del nostro Paese. Abbiamo l’idea di quanto tutto ciò possa essere importante a livello politico nazionale e internazionale? Quale centralità nazionale e internazionale assumerebbe Agrigento se fosse coinvolta in un processo di questa portata? L’aspetto però che mi sta più a cuore è quello culturale e sociale. I primi cinque anni di Farm Cultural Park ci hanno consentito di testare, ovviamente alla piccola scala, l’importanza di politiche culturali per una città. L’esperienza di Farm esprime il suo valore più alto per la “dimensione di possibilità” che ha trasmesso non solo a Favara – che oggi è interessata da un fermento culturale e micro imprenditoriale di grandissimo rilievo e in controtendenza allo stato di immobilismo generale – ma anche fuori Favara grazie al progetto Boom-Polmoni Urbani intelligentemente e generosamente promosso e finanziato dai Portavoce all’ARS del M5S. La continua presenza di creativi, operatori culturali, intellettuali, studenti, giornalisti, turisti e visitatori di tutto il mondo, e la loro interazione con la nostra gente, ci sta facendo crescere ed educare alla tolleranza, al rispetto e all’impegno sociale. Questo è sicuramente l’aspetto più importante. E allora eccomi alla proposta. Mutuare l’esperienza dei Giardini della Biennale di Venezia offrendo alle Nazioni del mondo, dei terreni del Parco (non all’interno della zona archeologica, ma nella zona ambientale e paesaggistica e in quella naturale attrezzata) sui quali costruire i loro padiglioni programmando una prima grande “Biennale del Buon Senso” in cui invitare i più importanti changemakers del mondo a trovare delle soluzioni praticabili per sconfiggere ed eliminare tutte le nefandezze, disparità e ipocrisie che affliggono il pianeta e proporre alle varie Organizzazioni mondiali precostituite soluzioni efficaci per migliorare il mondo in cui viviamo. Volete sapere perché vorrei che tutto questo accadesse? Per cambiare storia, alzare la testa e iniziare daccapo. Perchè la città che ospita la Valle dei Templi e la Scala dei Turchi, all’ultimo posto della classifica italiana sulla qualità della vita nel 2014, possa essere la prima nel 2020. Il documento è tratto da una lettera aperta, scritta il 24 giugno 2015 da Andrea Bartoli al Sindaco del Comune di Agrigento Lillo Firetto, all’Assessore alla Cultura Beniamino Biondi, al Direttore del Parco Valle dei Templi Giuseppe Parello, al Sovrintendente ai Beni Culturali Caterina Greco e ai cittadini di Agrigento e della Provincia di Agrigento.
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VISIONI NUOVE VISIONI PER LA VALLE DEI TEMPLI
Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di fare, incominciala. L’audacia ha in sé genio, potere e magia. Incomincia adesso. Johann Wolfgang Goethe
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IL DIVIDENDO CULTURALE NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA MAURIZIO CARTA
Knowledge Land: il territorio nella transizione culturale In Europa le città e i territori sono in transizione non solo verso un’economia de-carbonizzata e circolare, ma anche verso una società fondata sulla conoscenza e sull’interazione di informazione, innovazione, educazione e ricerca. La metamorfosi verso forme più ecologiche e collaborative delle città europee pretende che il sistema culturale sia più aperto, dialogico e connesso per agire come propulsore di sviluppo sostenibile, di attrattività turistica e di rigenerazione urbana, capace di attivare creatività e innovazione, di distribuire conoscenza e intelligenza, di generare nuovo metabolismo circolare e sostenibile a partire dal patrimonio culturale materiale e immateriale. Siamo sempre più immersi nella Società della Conoscenza e abitiamo una vera e propria Knowledge Land, un organismo vivente e vibrante, in cui cultura, comunicazione, città e territori si scambiano osmoticamente luoghi e servizi, dati e informazioni, risorse economiche locali e globali, circondati da un ecosistema di sensori e attuatori sociali, in un permanente metabolismo umano e urbano (Berg et al., 2005). Governare la transizione culturale ci impegna a passare da un territorio creativo ad un territorio generatore e produttore, i cui protagonisti sono i maker e i fablab, gli urban farmer e gli innovatori sociali, le startup e gli smart citizen, i co-worker e le sharing community, l’open source urbanism e i civic hacker. Nuovi attori dell’urbanistica, della politica e della società, ma soprattutto nuovi produttori nella quarta rivoluzione industriale in cui siamo entrati. Sono sempre più numerose, infatti, le politiche urbane alimentate dal paradigma del DIT (Do It Together) che, attraverso tattiche urbanistiche, trasformano la città in un luogo composto non soltanto da cittadini che domandano, ma sempre più spesso da cittadini che rispondono, che agi-
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scono e che producono. Le città contemporanee nella transizione culturale e digitale diventano open source perché i cittadini tornano ad essere co-produttori dei loro contenuti, concorrendo alla scrittura e riscrittura del “codice” urbanistico, culturale e sociale e soprattutto rendendolo più accessibile alle diverse sensibilità e ai differenti linguaggi che oggi popolano le città. E non si tratta più solo della tradizionale produzione di beni e servizi da mettere in commercio, ma i cittadini concorrono sempre più spesso alla creatività e imprenditorialità urbana, alla sostenibilità ecologica e alla efficienza energetica. Diventano agricoltori per tornare ad animare parti di città dismessa attraverso gli orti urbani, diventano lavoratori della conoscenza attraverso gli atelier o gli incubatori creativi, oppure realizzano eventi culturali attraverso il crowdfunding, o gestiscono teatri occupati, amministrandoli come una istituzione e non solo come una reazione all’abbandono. I nuovi citizen-makers sono spesso una risposta che le comunità danno ai bisogni degli anziani, dei nuovi cittadini, dei bambini, in generale di coloro che non si possono permettere di accedere al mercato o ai servizi. I cittadini-artigiani diventano gli amplificatori delle nuove sensibilità nei confronti della qualità del paesaggio, dell’ambiente e del risparmio energetico, rinnovando il ruolo tradizionale dell’associazionismo, non limitandosi più a indicare il problema ma diventando parte della soluzione, e facendosene carico in maniera attiva e responsabile (Carta, 2013b). Oggi gli urban makers non solo adottano parti di città, ma diventano i generatori di nuovi spazi pubblici, adottando stili di vita e comportamenti più adattivi e resilienti, adottando modelli di consumo solidale ed equo. Sono coloro che riattivano spazi inutilizzati che le amministrazioni non riescono a ripensare e riutilizzare, restaurandoli, riciclandoli, riusandoli e aprendoli alle comunità urbane creative. Sono i bricoleur di una città che alle strategie di sviluppo accompagna sempre più spesso le tattiche di manutenzione (New Urban Mechanics a Boston è una delle esperienze più interessanti), di riparazione e di riciclo (Carta, 2013a). Riattivano edifici industriali, vecchie stazioni o caserme dismesse per farli tornare luoghi della produzione – ma culturale – e rianimano spazi pubblici restituendo loro il valore di luoghi di comunità, vettori di conoscenza condivisa. Nella Knowledge Land la città creativa attiva e alimenta la sua funzione di commutatore territoriale intercettando le energie dei flussi – di persone e di know-how, di servizi e di beni – che attraversano il pianeta trasformandole in risorse locali. Il rafforzamento della funzione commutativa delle città deve avvenire sempre di più attraverso la stipula di patti, accordi strategici e processi di co-pianificazione in grado di far interagire
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le diverse risorse identitarie, cognitive e creative, connettendo l’economia dei flussi con la nuova produttività dei distretti, intercettando il dinamismo della nuova manifattura con il protagonismo dei makers. Il territorio della transizione culturale deve garantire l’equilibrio tra la conservazione dell’identità e la promozione dell’innovazione attraverso l’uso di piani d’interpretazione e di piani strutturali che sappiano caratterizzare la competitività con un sapiente gioco di invarianti e condizionanti che siano in grado di alimentare un progetto urbano non solo efficace, in termini di rigenerazione socio-economica e di qualità dell’architettura, ma soprattutto in empatia con il palinsesto storico e con la ricchezza del capitale culturale. Infine, l’ultimo pilastro del progetto di Knowledge Land chiede che le trasformazioni avvengano alimentando la cooperazione tra vettori culturali, integrando le diverse comunità sociali nei processi di valorizzazione in un vero e proprio processo strategico e cooperativo, che sia capace di mettere insieme ottiche e settori di intervento solitamente separati. La Knowledge Land sarà uno scenario efficace del futuro solo se composta da sistemi urbani e rur-urbani che, oltre a essere motori della competitività, siano aggregatori di intelligenze, generatori di creatività, incubatori di innovazione e stimolatori di comunità. Altrimenti rischiano di diventare solo “cimiteri di macchine obsolete”, come temeva Saskia Sassen (2011), suggerendo come antidoto di hackerare la città agevolando la sua evoluzione attraverso un sistema di azioni informali prodotte dai suoi abitanti che, scardinando i rigidi protocolli di protezione prodotti da una pianificazione eccessivamente regolativa, concorrono all’apertura della città, al contributo creativo e propulsivo dell’intelligenza collettiva. La Knowledge Land non è solo abitata da città più intelligenti che diffondono conoscenza, ma è un reticolo interconnesso di città più sapienti, più eque e più giuste che innovano profondamente le loro fonti di conoscenza, le loro capacità dialogiche, le loro dinamiche di sviluppo e che rivedono il loro modello insediativo: città più “ingegnose”, potremmo dire. La Knowledge City, come super-fenomeno urbano, è una città capace di trasformarsi da reattiva, rispetto alle domande dei suoi abitanti, a proattiva, rispetto al loro coinvolgimento, basandosi sull’utilizzo efficace di un migliore e più ampio flusso di informazioni, concorrendo quindi ad essere fattore abilitante della società della conoscenza. È una città che investe sui cittadini – uomini e donne prima che capitale umano – rafforzandone la loro capacità di ricostituire il capitale sociale, consolidando i processi di partecipazione, estendendo l’istruzione e diffondendo la cultura anche attraverso l’espansione di infrastrutture per le nuove comunicazioni mobili. Una città che innova il software e non
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solo l’hardware, per garantire un’alta qualità di vita per tutti i cittadini e per attuare una gestione responsabile delle risorse attraverso una governance realmente basata su una dimensione cooperativa. Non è sufficiente, quindi, che le città incrementino la loro intelligenza infrastrutturale, ma devono concorrere a incrementare il tasso di intelligenza collettiva. Una città intelligente e ingegnosa che voglia essere anche solidale deve sostenere, attraverso il cloud communiting, i comportamenti virtuosi dal basso dando visibilità ai vantaggi individuali e collettivi dell’open urbanism. La smartness urbana, quindi, non deve essere un aggettivo che si applica a modalità tradizionali di governo, progettazione e gestione delle città, ma deve essere una sfida a estrarre intelligenza tacita, e generare nuova sapienza, creatività e innovazione (Carta, 2015). Numerose analisi e ranking internazionali ci mostrano che la qualità della vita delle città medie è sempre più basata su politiche cultureoriented che mettono in valore l’identità e il patrimonio culturale attraverso processi di internazionalizzazione, o dotandosi di creative hub per attrarre prima persone e poi economie (Institute for Metropolitan and International Development Studies, 2006). Siamo convinti che le Knowledge Cities siano oggi il più potente integratore delle politiche europee contenute sia nella Digital Agenda che nella strategia Europe 2050 per generare città non più debit-based e consumer-oriented, ma basate su un nuovo patto sociale collaborativo e creativo. Esse posseggono le basi costitutive del codice genetico di un nuovo organismo urbano capace di ripensare lo sviluppo e di agevolare l’esplosione creativa, a patto che sappiano focalizzare una visione collettiva attraverso strategie che aumentino la massa critica, anche sul piano culturale e comunicativo, e siano in grado di orientare le iniziative fondate sulla smartness nell’ambito di un progetto di respiro europeo che riparta da un nuovo patto culturale per le città. Tutto questo sta tornando ad essere il territorio nella transizione culturale: insediamenti umani i cui bisogni trovano sempre pi spesso risposte da parte della comunità locale. Un territorio non solo più creativo, ma più reattivo. Un territorio non fatto solo di consumatori di prodotti che vengono realizzati altrove, ma generato dal ritorno dei produttori per l’autoconsumo o per il consumo di altre città in un’ottica metropolitana o globale. Un territorio fatto non solo di censori ma di sensori, non di cittadini reattivi ma di attori proattivi. Nella transizione culturale deve mutare anche la rilevanza sociale ed economica del patrimonio culturale connettendo le politiche culturali con le politiche di sviluppo uma-
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no. Serve quindi che il capitale culturale, composto sia dal capitale fisso patrimoniale che da quello sociale, entri in maniera strutturale nella borsa dello sviluppo umano, distribuendo in maniera estesa ed equa il dividendo che esso è in grado di generare e concorrendo a distribuire nella quotidianità della vita delle comunità gli effetti della dimensione culturale dello sviluppo. Dobbiamo quindi generare un vero e proprio dividendo culturale delle politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio archeologico, architettonico, storico-artistico e paesaggistico, una nuova moneta di scambio – reale e non virtuale – nell’economia della transizione culturale, e uno strumento di equità culturale capace di entrare autorevolmente nel mercato della negoziazione degli interessi, ridefinendo priorità e traiettorie di sviluppo, agendo sul dominio degli interessi collettivi e nel campo dei beni comuni. Un territorio può realizzare il dividendo culturale innanzitutto focalizzando un investimento iniziale, sia in termini di finanziamenti che di risorse umane. Ma poi serve soprattutto innovazione, sia per risolvere le vulnerabilità conosciute, ma anche per individuare tempestivamente le variabili sconosciute. E soprattutto serve, come già detto, una partnership con il settore privato e con la società civile, per attivare la più ampia gamma di finanziamenti per le nuove politiche, progetti e infrastrutture culturali. Infine, ma non per ultimo, va ripensato il sistema dell’educazione e della ricerca perché sia il necessario amplificatore del dividendo culturale, per esempio attraverso l’istituzione – in Sicilia ma con dimensione Mediterranea – di un nuovo sistema integrato della formazione e della ricerca capace di connettere le diverse competenze e sensibilità: un vero e proprio “politecnico dei beni culturali e del paesaggio”, come suggerisce Giuliano Volpe (Volpe, 2015), che metta in connessione le diverse componenti scientifiche, tecniche e gestionali che agiscono nel dominio culturale dello sviluppo, concorrendo al rafforzamento della matrice culturale dello sviluppo sostenibile. Il dividendo culturale è connessione Per alimentare la nuova alleanza tra Patrimonio e Creatività in modo che produca un adeguato dividendo culturale, dunque, è necessario un ambiente urbano e territoriale capace di innescare nuove azioni ecosistemiche che potenzino l’armatura culturale. L’esistenza di una struttura culturale radicata e di un ecosistema creativo sono dunque condizioni necessarie per l’innesco di un processo di culture-based renaissance di un territorio e della sua comunità. Siamo convinti che “innovare è connettere”, come sostiene Greg Horowitt
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(Hwang, Horowitt, 2012), e che nella Sicilia, nell’Italia e nell’Europa in cui vogliamo vivere pienamente e consapevolmente la Società della Conoscenza, debbano essere agevolati sistemi culturali a rete capaci di attivare un sistema di valorizzazione basato sulle connessioni, gli scambi, le interazioni, le sinapsi: fluidità contro rigidità, apertura contro separazione, connessione contro frammentazione. È questa quella che io definisco “armatura culturale del territorio” (Carta, 1999): una rete territoriale, materiale e immateriale, abilitante dell’innovazione, un ecosistema culturale che incrementi la creatività e lo sviluppo sostenibile e che amplifichi il valore del dividendo generato dalle politiche culturali e ne estenda le connessioni con tutti i domini dello sviluppo. A tal fine propongo alcune opzioni operative e trasversali (sulle quali i 3 Tavoli Tematici del Forum dedicati a cultura e ambiente, società ed economia, hanno ampiamente discusso, come riportato più avanti), che concorrono alla elaborazione di un piano d’azione condiviso e proattivo che, a partire dal sistema culturale della Valle dei Templi, possa essere esemplificativo delle nuove politiche culturali regionali e nazionali. Il piano d’azione è basato su sette azioni connettive in grado di generare ciascuna una parte del dividendo culturale necessario. • Azioni che agiscano sull’identità: la profonda stratificazione culturale di risorse identitarie dell’area oggetto del progetto di conservazione e valorizzazione culturale deve essere connessa alla volontà e alle competenze istituzionali e tecniche capaci di metterle in valore e deve essere relazionata ad una popolazione che avverte la necessità di interagire e di partecipare al progetto di trasformazione. Servono azioni dal basso, tattiche culturali, riappropriazioni sociali che attivino le diverse identità culturali, formalmente e informalmente, per generare una nuova identità complessiva per il futuro. • Azioni per la sostenibilità economica: l’esistenza di una base economica adeguata è necessaria per attivare e sostenere la sperimentazione di progetti di rigenerazione territoriale basati sul moltiplicatore dell’investimento sul patrimonio culturale. Occorre individuare gli strumenti più adeguati (economici, fiscali, amministrativi) per incentivare la cooperazione pubblico-privato-società civile e la localizzazione di imprese e attività legate alla conservazione e valorizzazione integrata del patrimonio culturale, soprattutto quelle connesse alle nuove professionalità e alla manifattura digitale. • Azioni sulle potenzialità: le aree connotate dalla presenza di patrimonio culturale di rilevante interesse manifestano spesso un dislivello tra le grandi potenzialità percepite o riconosciute dalla comu-
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nità, dalle analisi e dai progetti in atto rispetto alle loro condizioni attuali, o alle tendenze in corso. Dobbiamo quindi individuare le azioni connettive tra potenzialità e opportunità reali per superare tale dislivello e per trasformare le risorse culturali potenziali dei luoghi in energia creativa utile per muovere la trasformazione e innescare il dinamismo socio-economico dell’area. Azioni attivatrici di dinamismo: il patrimonio culturale territoriale richiede la connessione di capacità, competenze e strumenti per attivare un processo creativo in grado di produrre cambiamenti futuri non solo nel campo culturale, ma anche scientifico, dell’innovazione tecnologica e sociale. È importante definire come utilizzare al meglio l’ampia presenza dell’associazionismo culturale o la presenza di micro-imprese nel campo culturale e turistico perché costituiscano i nodi di una nuova armatura socio-economica che alimenti la progettazione di nuovi scenari di sviluppo. Azioni per facilitare l’interazione: le analisi hanno verificato l’esistenza di numerose occasioni di comunicazione informale e spontanea e la presenza di un ambiente disponibile ad accogliere la diversità e la varietà, culturale, etnica e sociale. Occorre facilitare insediamenti integrati di diverse culture ed etnie, in modo che il senso di appartenenza ad una micro-comunità diventi un potente produttore di scambi culturali, di attività commerciali innovative, di vivace multiculturalità. Azioni a supporto della multisettorialità: il sistema che gravita attorno al Parco di Agrigento si presenta come un ambiente molteplice e non omogeneo, un tessuto di cultura materiale e immateriale composto da un intreccio di abitazioni e servizi, attività produttive e commerciali, cultura alta e prezioso folklore. È quindi necessario individuare in che modo questo ambiente possa diventare sinergico per connettere in maniera permanente lo sviluppo dell’arte e dell’architettura contemporanee, della cultura umanistica e di quella scientifica, della produzione e della residenza, agevolando la formazione di un distretto culturale e turistico evoluto in cui cooperino gli attori istituzionali, creativi, produttivi e commerciali. Azioni generatrici di perturbazione: sono le più importanti perché, a partire dalla presenza di un ambiente creativo nell’area, sono in grado di mutarne il destino di apparente stasi o declino in cui versa, attivando l’energia potenziale necessaria a produrre una perturbazione nel contesto che attivi la propensione della popolazione residente alla mobilitazione e alla cooperazione per vincere la sfida contro
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la marginalità. Occorre quindi individuare in che modo la presenza delle potenzialità di alcune aree periferiche rispetto ai centri urbani più dinamici, o di alcune enclave storiche ad alto tasso identitario o dei paesaggi marginali ad elevata biodiversità possano trasformare positivamente il malessere e la domanda di coesione sociale, generati come reazione ad un disagio o ad un declino, riorientandole come forza propulsiva di un nuovo futuro alimentato dal paradigma della creatività e dalla forza propulsiva del dividendo culturale. Osmosi, connettori e interfacce: tre dispositivi per un arcipelago culturale La condizione primaria di esistenza e realizzabilità delle politiche e delle azioni necessarie a produrre e distribuire il dividendo culturale risiede nella capacità della pianificazione territoriale e del progetto urbanistico di trasformare le numerose “isole di eccellenza” dell’armatura culturale e paesaggistica siciliana – ma la strategia è estendibile ad altre parti d’Italia – in un “arcipelago culturale e creativo”, in cui le connessioni contino quanto i nodi, in cui i paesaggi relazionali e di contesto siano i luoghi di commutazione tra identità e innovazione, tra patrimonio e creatività. Approfondendo la metafora, la geografia dell’arcipelago ci impone di definire non solo le funzioni delle isole (i luoghi con la più elevata qualità culturale e con il massimo grado di tutela e conservazione), ma anche i ruoli degli spazi connettivi detentori di risorse latenti che possono completare l’interpretazione dei valori culturali. Dobbiamo definire le influenze degli atolli (i potenziali distretti culturali) che segnalano la presenza di relazioni funzionali. Dobbiamo utilizzare la ricchezza della biodiversità delle barriere coralline che strutturano i bracci di mare, non dimenticando il tessuto di persone che si muovono per fruire delle risorse culturali e della creatività, il reticolo umano che dà senso all’arcipelago. Il progetto di territorio, quindi, che voglia agire sulla dimensione dell’arcipelago culturale, che ne voglia essere l’attivatore e il generatore, deve essere in grado di proporre adeguati dispositivi territoriali, sia spaziali che in termini di politiche, che agiscano sul metabolismo territoriale stimolandone soprattutto le funzioni connettive, sociali, economiche, educative, turistiche e paesaggistiche, per un più potente “iper-metabolismo urbano” (Carta, Lino, 2015). A tal fine individuo tre principali dispositivi progettuali: l’osmosi, il connettore e l’interfaccia. Tutti e tre esercitano una funzione relazionale e connettiva e sono dispositivi abilitanti di comunicazione, ma agiscono con modalità diverse e vanno utilizzati in funzione delle caratteristiche spaziali, sociali ed economiche del patrimonio culturale sul quale devono agire. L’osmosi territoriale è in grado di generare la diffusione del patrimonio
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culturale nel sistema territoriale di sviluppo attraverso una “membrana porosa” di servizi e attività che lo faccia evolvere continuamente dallo stato di maggiore conservazione (il vincolo) verso lo stato di maggiore trasformazione (la valorizzazione) e viceversa. È un processo, quindi, che genera valorizzazione a partire dalla conservazione e indìce nuova conservazione a partire dalla fruizione. Poiché l’osmosi è un processo fisico spontaneo, cioè senza apporto esterno di energia, essa si autoalimenta costantemente attraverso la tendenza a ridurre la differenza di concentrazione delle azioni di tutela e della conservazione dei beni culturali rispetto a quelle di valorizzazione e di trasformazione. Come in biologia è uno dei fenomeni più importanti, anche nelle politiche culturali ecosistemiche esso consente di agevolare il rapporto tra conservazione e trasformazione, tra patrimonio e creatività, attraverso una connessione permanente e attiva a basso consumo di energia, e quindi non eroditrice di risorse economiche e di suolo. Il progetto osmotico genera cluster culturali e distrettualizzazioni. Un connettore territoriale è invece un dispositivo spaziale e funzionale capace di mettere in collegamento tra loro diverse componenti territoriali attraverso una relazione di contatto, che, stabilizzandosi, diventa una nuova infrastruttura, una nuova dotazione territoriale. La connessione consiste nell’accesso ad una rete funzionale – trasporti, energia, turismo, cultura, produzione – e nella commutazione verso uno stato innovativo che consente di elevare il rango del territorio connesso. La connessione avviene attraverso fasi distinte, assimilabili a quelle che si instaurano nel campo delle telecomunicazioni. La prima fase è quella di instaurazione in cui il nuovo dispositivo territoriale mette in relazione le componenti del patrimonio culturale stabilendo quindi una connessione; la seconda fase è quella dell’espletamento del servizio di comunicazione tra luoghi o servizi, in cui il dispositivo territoriale entra nella dotazione funzionale dell’intero contesto territoriale, garantendo la comunicazione tra differenti risorse; infine, ed è la fase più delicata, abbiamo il cosiddetto abbattimento della connessione, cioè quando il connettore si trasforma in infrastruttura territoriale non più dedicata alla sola relazione tra risorse culturali, ma diventa un dispositivo multimodale, una nuova dorsale dell’organismo territoriale. Il progetto territoriale dei connettori produce infrastrutture reticolari, reti di luoghi e paesaggi relazionali. Infine l’interfaccia è il dispositivo più seducente e interessante per la sua capacità generativa di nuove relazioni tra le parti di cui costituisce l’elemento di connessione. Viviamo una vita costituita da interfacce, tutte le nostre attività sono sempre più gestite attraverso interfacce che costru-
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iscono una mediazione tra dati, informazioni e conoscenze, tra sensori e attuatori, tra azioni e reazioni. Anche nel campo delle scienze del territorio e dell’architettura le interfacce sono oggi uno dei campi più avanzati di sperimentazione, e ogni giorno vengono generate sempre nuove e potenti interfacce urbane (Markopoulou, 2014). L’interfaccia territoriale è un dispositivo che permette la comunicazione fra entità spaziali di tipo diverso. Nel campo culturale, ogni entità espone una sua faccia (un museo, un’infrastruttura di accessibilità, uno spazio pubblico, un parco archeologico, un’area vincolata, un quartiere, ecc.), con il suo particolare linguaggio e protocollo di comunicazione – derivato dalla sua identità e dai suoi fruitori prevalenti – e il dispositivo di interfaccia interposto fra di esse si fa carico di attivare la comunicazione attraverso una traduzione multilinguaggio che consente di generare un nuovo luogo con una nuova identità in cui collaborano componenti diverse al fine di innovare costantemente il nuovo arcipelago culturale. Il progetto delle interfacce genera nuovi metabolismi territoriali fondati su flussi continui e bidirezionali di relazioni culturali, sociali ed economiche. L’interfaccia territoriale si configura quindi come un dispositivo capace di stabilire una relazione tra il momento/luogo dell’offerta culturale e l’esperienza/luogo della fruizione culturale, stabilendo una connessione modificativa dello spazio e del tempo, cioè delle modalità localizzative e delle modalità fruitive dei servizi culturali. Il territorio interfaccia diventa quindi una infrastruttura comunicativa che fornisce servizi culturali e che genera quella che nelle computer science si chiama una ubiquitous interaction, cioè una interazione che coinvolge interfacce molteplici, dinamiche e distribuite. Una interazione ubiqua, onnipresente e contestuale tra conservazione e valorizzazione, tra luogo e comunità, tra attori formali e informali, tra patrimonio e creatività basata su una molteplicità di interfacce – con stili, linguaggi, modalità differenti – che stabiliscono una interazione multilivello e contestuale. Nel dominio dell’eredità culturale un progetto di territorio e paesaggio che produca osmosi generative, che realizzi connettori attivi e che soprattutto generi interfacce ubique è una delle sfide più esaltanti di una pianificazione basata sulla multidimensione culturale dello sviluppo e che voglia cogliere le opportunità di una nuova alleanza tra patrimonio e creatività, di una relazione circolare tra eredità e innovazione. Sfida che il Progetto DO.RE.MI.HE., attraverso l’attività del Campus dedicato al Parco Archeologico e Paesaggistico di Agrigento, ha colto, esplorato, sperimentato e tradotto in soluzioni progettuali (contenute nella seconda parte di questo volume) che agiscono come nuovi dispositivi territoriali in grado di generare osmosi e di connettere alcuni nodi dell’armatura cultu-
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rale, ma soprattutto di agire come interfaccia strutturale tra il linguaggio rigoroso del patrimonio archeologico e le multilingue della valorizzazione parlate dai diversi fruitori del Parco. Una interfaccia che, attraverso molteplici dispositivi (centre d’interprétation, archeo living lab, community farm, heritage fablab), non solo metta in comunicazione attiva i valori archeologici e paesaggistici del Parco con le prospettive di sviluppo sociale ed economico della comunità, interna ed esterna, che vi vive e gravita, ma che diventi anche un fattore educativo, consentendo alle comunità che interagiscono (archeologi, studiosi, paesaggisti, operatori turistici, imprenditori, urbanisti, amministratori) di comprendere reciprocamente i diversi linguaggi e concorrendo alla costruzione di una comunità che apprende e che rafforza la propria responsabilità comune nei confronti della distribuzione del dividendo culturale generato dal progetto. Il progetto delle interfacce genera nuovo territorio e paesaggio, abitati e utilizzati come terreno comune che superi lo sterile conflitto tra eredità culturale e innovazione producendo il nuovo ecosistema culturale di sviluppo. Bibliografia Berg van den L., European Institute for Comparative Urban Research (2005), European cities in the knowledge economy, Ashgate, London. Bonomi A. (2010), La città che sente e che pensa. Creatività e piattaforme produttive nella città infinita, Electa, Milano. Carta M. (2013a), “Progettare città nel tempo della metamorfosi”, in Monograph Research, n. 5., pp. 200-203. Carta M. (2013b), Reimagining Urbanism. Città creative, intelligenti ed ecologiche per i tempi che cambiano, ListLab, Trento-Barcelona. Carta M. (2015), Smart Planning for Intelligent Cities: the Open Source Paradigm, IaaC bits, 3.2.3, Barcelona. Carta M., Lino B. (a cura di) (2015), Urban Hyper-Metabolism, Aracne, Ariccia. Carta M., Ronsivalle D. (2016), Territori interni. La pianificazione integrata per lo sviluppo circolare: metodologie, approcci, applicazioni per nuovi cicli di vita, Aracne, Ariccia. European Commission, Kea (2006), The Economy of Culture in Europe. Volpe G. (2015), Patrimonio al futuro. Un manifesto per i beni culturali e il paesaggio, Electa, Milano. Haselbach D., Klein A., Knüsel P., Opitz S. (2012), Kulturinfarkt. Azzerare i fondi pubblici per far rinascere la cultura, Marsilio, Venezia. Hwang V.W., Horowitt G. (2012), The Rainforest: The Secret to Building the Next Silicon Valley, Regenwald, Los Altos Hills. Institute for Metropolitan and International Development Studies (2006), Accommodating Creative Knowledge – Competitiveness of European Metropolitan Regions within the Enlarged Union, University of Amsterdam, Amsterdam. Markopoulou A. (2014), In[form]ation - Architecture of Data & Code, IaaC bits, 1.3.3, Barcelona. Sassen S. (2011), “Open-Source Urbanism”, in The New City Reader: A Newspaper Of Public Space, n. 14, january. Urban Affairs, Patteeuw V. (eds.) (2002), City Branding: Image Building and Building Images, Rotterdam, Nai Publishers, Rotterdam.
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Carta dei valori visuali e dei siti piĂš rappresentativi. immagine tratta dal Piano del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento.
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LA VALLE COME BENE COMUNE BARBARA LINO
Il Campus DO.RE.MI.HE. e la metodologia di lavoro Il Campus DO.RE.MI.HE. ha avuto come obiettivo generale l’elaborazione di un progetto integrato di valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico capace di generare, con un approccio reticolare, una stretta integrazione tra il sito archeologico, la Valle e il suo paesaggio e il sistema urbano e territoriale. Oggi il Parco e le numerose risorse culturali e ambientali del contesto territoriale più ampio sono ancora una enorme opportunità inesplorata. Da questa convinzione è stata condotta l’intera attività progettuale a valle della quale emergono le riflessioni di questo contributo. Il Campus è stato concepito come un momento di formazione e sperimentazione laboratoriale, attraverso cui applicare il framework teorico e metodologico del progetto DO.RE.MI.HE. (acquisito dagli studenti nelle fasi di formazione e di stage) su due contesti territoriali differenti, rispettivamente uno siciliano, Agrigento, e uno tunisino, Zaghouan. I due casi studio si offrono nelle rispettive peculiarità locali come occasioni per comprendere le relazioni tra i contenuti dei Piani di Gestione, le politiche di valorizzazione e di tutela e gli strumenti di pianificazione territoriale, al fine di elaborare indirizzi, strategie e visioni capaci di integrare gli strumenti esistenti e di armonizzare i processi di gestione e di messa in valore del patrimonio. Il sito di Zaghouan, il cui processo di candidatura è in corso – la delegazione permanente della Tunisa all’UNESCO ha sottoposto un progetto di iscrizione alla WHL UNESCO del complesso idraulico di Zaghouan considerato come un’opera architettonica e tecnica unica – è un contesto territoriale in cui il processo di valorizzazione del patrimonio culturale è molto giovane e ai primi stadi. Oltre alle risorse culturali del
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sito è presente un importante patrimonio ambientale e paesaggistico: la montagna di Zaghouan. Alla scala locale si rileva l’importanza del lavoro realizzato negli ultimi anni da alcune associazioni che organizzano circuiti eco-turistici. Zaghouan si offre, cioè, come esemplificazione di un contesto in cui è necessario accompagnare il percorso della candidatura verso l’individuazione di strategie di valorizzazione e la costruzione identitaria tanto della comunità locale quanto delle istituzioni. Il sito di Agrigento, invece, inserito nella WHL dal 1997, presenta un’area tutelata con vincolo archeologico, normata dal Piano di Gestione del sito UNESCO, basato sui contenuti del Piano del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi in fase istruttoria (L.R. 20/2000) che una volta approvato, andrà in sostituzione del Piano di Gestione e potrà garantire una più pregnante azione di pianificazione del territorio della Valle. Agrigento ha maturato un percorso ormai lungo di valorizzazione, ma presenta ancora potenzialità inespresse e criticità irrisolte che ruotano principalmente attorno a due elementi: la necessità di una più efficace governance territoriale capace di armonizzare gli strumenti di gestione del territorio e di una maggiore interazione tra le preziose risorse del patrimonio archeologico del Parco e della Valle. Gli studenti, sotto la guida dei docenti, del responsabile del Campus e dei tutor, hanno lavorato in gruppi multidisciplinari e multiculturali alle analisi e alle elaborazioni progettuali sui due casi studio, condividendo una medesima struttura metodologica generale. Nel caso di Agrigento, in particolare, la metodologia condotta ha previsto le seguenti fasi di indagine. La prima fase è stata dedicata all’inquadramento territoriale ed è stata indirizzata alla valutazione del livello di accessibilità sovra-comunale e delle principali relazioni paesaggistiche e funzionali dell’area del Parco con il territorio esteso della Provincia e della Sicilia Occidentale. La seconda fase, dedicata all’analisi strutturale, è stata rivolta a valutare le relazioni funzionali e identitarie prevalenti del contesto territoriale del Parco, della Valle e del sistema urbano. L’analisi ha posto particolare attenzione alla lettura per “cicli” delle componenti identitarie e alla lettura delle relazioni paesaggistiche e orografiche del sito, ai fattori di criticità e di rischio. La terza fase è stata dedicata all’analisi degli strumenti e alla lettura dei programmi di sviluppo socio-economico e delle strategie generali di sviluppo territoriale in atto. Le analisi sono state elaborate con particolare riferimento alla com-
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prensione dei contenuti del Piano del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento, del Piano di Gestione del sito UNESCO e del Piano Regolatore Generale del Comune di Agrigento e hanno contribuito all’interpretazione del quadro di opportunità e delle minacce che agiscono sul territorio. La redazione della matrice SWOT ha assunto come punto di partenza la matrice già inserita nell’ambito del Piano di Gestione del sito UNESCO mirando, in particolare, all’integrazione delle valutazioni sulle componenti territoriali di area vasta e alla valutazione del livello di interazione tra il Parco e il sistema insediativo di Agrigento. Infine, si è giunti alla definizione di una strategia di conservazione e valorizzazione integrata del sito, agendo sui valori materiali e immateriali, sulle relazioni con i sistemi insediativi di contesto e sulle relazioni paesaggistiche, nonché sulla riappropriazione identitaria del Parco da parte della comunità agrigentina. In un’ottica trans-scalare e trans-settoriale, la strategia complessiva di progetto si è ispirata al principio “il territorio è il Parco” in base al quale è necessario mettere in atto una maggiore porosità e integrazione di funzioni e servizi, connettendo le risorse proprie del patrimonio archeologico e le risorse del territorio vasto, rompendo confini e forme di appartenenza esclusiva in un’ottica che travalichi i rigidi confini amministrativi. Nell’ultima fase del workshop, sulla base della strategia generale, sono stati elaborati alcuni approfondimenti progettuali che hanno declinato in diverse chiavi i concetti di porosità e connessione tra il Parco e il sistema territoriale: l’asse-strada Parco, l’interfaccia Città-Parco e il Parco vivo. Nel percorso metodologico ha assunto particolare rilievo il Forum dei soggetti territoriali, organizzato nell’ambito delle attività del Campus e che si è svolto il 19 settembre presso la sede del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi. Il Forum, coordinato da docenti e con la partecipazione degli allievi del progetto DO.RE.MI.HE. e dei tutor, è stato dedicato al coinvolgimento attivo dei portatori di interesse del territorio di Agrigento, chiamati a partecipare a tre tavoli tematici sulla sostenibilità (Ambientale/Culturale, Sociale ed Economico). Gli esiti del Forum sono stati assunti nelle fasi analitiche e progettuali per la lettura delle identità territoriali e delle criticità e per la definizione delle strategie progettuali di valorizzazione creativa della Valle.
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BARRICATE
Agrigento. Parco Archeologico.
Rompere le “barricate”: il ruolo dell’Università «Il paesaggio è lo specchio più fedele della società che lo produce, che se ne alimenta, che può trarne forza, ma può anche distruggerlo, annientando la propria memoria collettiva, e in ultima analisi annientando se stessa in uno spasimo suicida» (Settis, 2013, 14). È questa una delle affermazioni di Settis nel suo saggio intitolato “Il paesaggio come bene comune”, in cui rivendica i molteplici valori del concetto di paesaggio: il valore filosofico, in quanto esso è parte della natura; il valore storico, in quanto è componente essenziale della memoria collettiva; il valore etico, perché espressione dei nostri comportamenti; il valore politico, in quanto espressione del senso di cittadinanza; e, infine, il suo valore sociale, perché parte dell’idea di comunità. Proprio la rottura della dimensione politica e sociale del paesaggio è stata alla base di quel corto circuito culturale a cui è stato sottoposto per molti anni il territorio di Agrigento. Un corto circuito che ha fatto sì che il Parco,
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la Valle e i suoi vincoli rappresentassero una negazione di possibilità piuttosto che fonte di identità collettiva e leva di sviluppo locale. La creazione di normative in difesa del patrimonio archeologico è stata condotta dallo Stato, mentre è mancata una profonda presa di coscienza della società civile sulla publica utilitas della Valle e del suo paesaggio. Dunque, poiché l’intelligenza collettiva e distribuita può rappresentare l’elemento-chiave per lo sviluppo del territorio, ad Agrigento si dovrebbe ripartire dal valore della “Valle come bene comune” lavorando per “sanare” la frattura tra comunità e Parco, “rompendone” le rispettive barricate. Vorrei indicare almeno due tipi di barricate su cui intervenire. La “barricata” delle competenze si manifesta in distinte competenze territoriali e ambiti giurisdizionali differenti. È il caso delle separazioni tra città (PRG) e Parco (Piano del Parco), strumenti che devono necessariamente dialogare, formulando e sostenendo strategie condivise, frutto di un rinnovato patto con la cittadinanza. La separatezza delle competenze richiama la necessità di superare l’isolamento dei saperi esperti e la costruzione di una governance ampia e partecipata. La “barricata” delle appartenenze e la separatezza tra competenze è, invece, eloquentemente rappresentata anche da recinti fisici e funzionali che si sono via via stratificati sul territorio: Parco e città vivono come isole separate e sconnesse. Rompere la barricata tra i recinti significa agire sulla dimensione fisica per proporre osmosi e interazione, superando la logica del vincolo e assumendone una progettuale e relazionale. La strategia di conservazione e valorizzazione integrata proposta per Agrigento nel Campus rivendica una dimensione innanzitutto relazionale delle azioni di progetto. Porosità, connessione e integrazione di funzioni e servizi come concetti e osmosi, connettori e interfacce, come dispositivi progettuali, sono gli approcci proposti per connettere patrimonio archeologico, città consolidata e territorio vasto, rompendo confini e forme di appartenenza esclusiva in un’ottica che travalichi i rigidi confini amministrativi e che agisca su valori materiali e immateriali, sulla riappropriazione identitaria del Parco da parte della comunità agrigentina e su una nuova governance ampia e partecipata. Per rompere le barricate, le strategie messe in atto nel Campus hanno mirato allo sviluppo di alcuni focus tematici quali, l’integrazione dell’offerta culturale e turistica e l’integrazione Territorio-Parco, l’integrazione Città-Parco, l’agricoltura multifunzionale come strumento di conservazione del paesaggio e valorizzazione della Valle e l’implemen-
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tazione della partecipazione della comunità attraverso la promozione di spazi per il welfare e l’innovazione sociale. «Distruggiamo le campagne perché le bellezze naturali non hanno valore economico. Saremmo capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci danno alcun dividendo» (Keynes, 2009, 101). La frase di Keynes richiama un ulteriore sviluppo del ragionamento sotteso alle strategie messe in campo nel progetto. L’Università è presidio di cultura, avamposto di conoscenza e barricata all’ignoranza, non mero servizio erogato sulla base di criteri di piena sostenibilità ed efficienza economica. Nei poli decentrati della formazione, la missione sul territorio è ancora più forte. L’Università può mettere a disposizione della comunità idee, know-how, laboratori, luoghi per eventi, per lo sport, l’innovazione e la produzione, può essere occasione di rigenerazione urbana. L’Università può aprirsi ancora di più al territorio sposando progetti in comune con le istituzioni locali (Comuni, Soprintendenze, Musei, Parchi) in forme di interscambio e integrazione tra competenze. Ma servono investimenti in termini di progettualità e risorse, serve una immissione di nuova linfa vitale nel sistema della ricerca e della formazione, un progetto che rimetta in discussione le strutture consolidate con una forte spinta nella direzione dell’internazionalizzazione e con uno sguardo al bacino dei Paesi del Mediterraneo. Le ipotesi sviluppate si fondano su un modello di sviluppo del territorio di Agrigento a quadrupla elica e per il quale concorrono il Patrimonio del Parco e la sua Valle, il Territorio con le sue istituzioni, la sua politica e le sue imprese, l’Università come vettore di ricerca e sviluppo e, infine, la Comunità come motore di innovazione sociale. Il Patrimonio, in tale modello, è potente acceleratore del sistema, se, e solo se, per citare Giuliano Volpe, riuscirà a guardare “al futuro” scardinando quell’ulteriore barricata concettuale che è la troppo solida contrapposizione tra conservazione e valorizzazione, ridotta a sinonimo di mercificazione e spesso anche iterata nell’opposizione tra chi protegge e chi gestisce. Parlare di valorizzazione intesa invece come “ponte tra conoscenza, tutela e fruizione” implica una “rivoluzione copernicana”, dice ancora Giuliano Volpe, in cui guardare al patrimonio attraverso gli occhi delle comunità, dei visitatori piuttosto che con quelli degli specialisti (Volpe, 2015). L’ambizione del Campus è stata quella di guardare attraverso occhi nuovi la Valle, il cui eccezionale patrimonio di risorse materiali e immateriali pos-
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sa essere riscoperto come bene collettivo e in cui l’ alleanza tra patrimonio e creatività possa diventare il prerequisito su cui fondare una visione collettiva di futuro, per un unicum di paesaggio e beni culturali “vivente”, capace di suscitare memoria ma anche emozioni e curiosità.
Bibliografia Keynes J.M. (2009), Come uscire dalla crisi, Laterza, Bari. Settis S. (2013), Il paesaggio come bene comune, La Scuola di Pitagora, Napoli. Volpe G. (2015), Patrimonio al futuro. Un manifesto per i beni culturali e il paesaggio, Electa, Milano.
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IL VALORE DELLA PROSSIMITÀ PER UNA NUOVA INTERFACCIA METABOLICA CARMELO GALATI TARDANICO
La prossimità territoriale La vicinanza, o prossimità, costituisce il nodo concettuale della prima legge della geografia di Tobler in cui afferma che «tutto è correlato con tutto, ma le cose vicine sono più correlate delle cose lontane»1. Il concetto di prossimità, quindi, non è riducibile a una nozione soltanto geografica, ma ha valore quando rivela la componente qualitativa delle relazioni, materiale e umana. Bailly (1998) riconosce nella “prossimità” la condizione per attenuare le distanze sociali, economiche e culturali, al fine di ridurre le tensioni e massimizzare le interazioni tra gli attori territoriali. Il riconoscimento dei vari sistemi di prossimità, in due territori molto complessi, e la criticità delle relazioni esistenti tra questi e i siti archeologici di Agrigento e di Zaghouan, è la condizione su cui si sono concentrate le sperimentazioni progettuali dei partecipanti al Campus DO.RE.MI.HE. volte a favorire la costruzione di elementi – fisici e relazionali – capaci di generare una forte iterazione nell’elemento di interfaccia tra i sistemi stessi. L’interfaccia territoriale rappresenta oggi una ricchezza di valori e presenta una sfida per gli stakeholder del territorio (pubbliche amministrazioni, imprese, commercio, imprese sociali)2. L’interfaccia – mutuando la definizione che danno le discipline tecniche al termine con il significato di dispositivo fisico o virtuale che permette la comunicazione fra due o più entità di tipo diverso – non può più essere considerata solo come un “punto di contatto”, non è certo un limite tra elementi che si traguardano che, molto spesso, negando il concetto stesso di prossimità, si trasformano in rigidi confini geografici, normativi, sociali e culturali, ma deve essere considerata come un elemento di connessione,
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di permeabilità. L’interfaccia si configura piuttosto come una componente porosa che ha la capacità di evolversi nel rapporto tra i soggetti stessi. Interfacce, quindi, non statiche ma metaboliche ed evolutive. Prossimità, patrimonio culturale, “Cultura liquida” e “Città creativa” Maurizio Carta definendo l’armatura culturale del territorio «nel suo duplice valore di matrice formativa dell’identità dei luoghi e delle comunità e di strumento per la costruzione di uno sviluppo che sia locale nelle risorse, globale nelle relazioni ed autosostenibile nelle modalità» (Carta, 1999, 25) individua due modalità con cui il patrimonio culturale territoriale può entrare a far parte e interagire nei processi di pianificazione e governo del territorio «la prima, quella di tipo protezionista è quella che considera il sistema culturale come un “patrimonio da difendere”, inserito in un circuito protetto di fruizione estetica, artistica, o anche sociale, e ne fa oggetto di politiche separate talvolta conflittuali rispetto alle opzioni di sviluppo: il patrimonio culturale viene immesso nel bacino della conservazione, della separazione, del vincolo inteso come sottrazione; la seconda risposta, di tipo prospettivo, considera il sistema dei beni culturali territoriali come un “patrimonio da investire”, inserito in un circuito aperto e coesistente con il piano, capace di influenzarne forme ed esiti verso scelte compatibili con la specificità dei luoghi e sostenibili rispetto alla vulnerabilità delle risorse: il patrimonio culturale viene immesso nel campo delle opportunità, come elemento che invoca la creatività e l’offerta di molteplici possibilità di sviluppo legittimate dalla storia dei luoghi» (Carta, 1999, 26-27). Il sistema dei beni culturali purtroppo ha vissuto una lunga fase di gestione rigida e protezionista, indubbiamente preziosa per la salvaguardia dei siti, ma incapace di avviare forti politiche di messa in valore degli stessi tale da orientare uno sviluppo legato al grande patrimonio culturale materiale e immateriale. Condizione che si è trasformata in una incapacità di creare sistema e di rispondere alle domande contemporanee dei fruitori dei beni culturali. Questa criticità si registra ancor di più nel momento in cui la cultura, in tutte le sue accezioni, e l’indotto ad essa legato, in special modo quello turistico, si relazionano ad un concetto di “cultura liquida” di cui parla Zygmunt Bauman, teorico della “modernità liquida”: «la cultura oggi è costituita da offerte, non da proibizioni; da proposte, non da norme» (Bauman, 2016, 17). Come già osserva Bourdieu, oggi la cultura è impegnata ad apparecchiare tentazioni e ad allestire attrazioni, ad allettare e sedurre a dettare regole
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e norme; è impegnata nelle pubbliche relazioni non nella sorveglianza poliziesca; a seminare e piantare nuovi bisogni e desideri piuttosto che a imporre doveri, o ancora «questa nostra società è una società di consumatori e, proprio come il resto del mondo visto e vissuto dai consumatori, la cultura si trasforma in un magazzino di prodotti concepiti per il consumo, ciascuno in competizione per spostare o attirare l’attenzione dei potenziali consumatori nella speranza di conquistarla e trattenerla un pò più a lungo di un attimo fuggente» (Bauman, 2016, 17). La componente culturale, e quella del patrimonio, diventano un elemento importante nel sistema territoriale legato oggi alla capacità generatrice dell’innovazione sociale. La social innovation è espressione di una dimensione “locale” di esigenze che si esprime attraverso il concetto di relazione di prossimità (Pellizzoni, 2014), ossia un insieme di azioni di un territorio che sono espressione di una caratterizzazione geografica e di una capacità identitaria di tipo politico, sociale e culturale. La relazione di prossimità si innesta nel processo di conversione del modello di welfare nel quale è necessario rivedere il ruolo delle comunità locali a seguito della crisi di leggittimità del moderno sistema di rappresentanza e dell’attuale sistema democratico, legato alla crisi del modello produttivo e del complementare modello di relazioni industriali (Maiolini, 2015). La necessità che abbiamo oggi è quella di attivare un nuovo “ecosistema creativo” «entro cui agiscano con maggiore efficacia le componenti culturali della città, sia materiali che immateriali in una rinnovata alleanza» che faccia superare «la visione della città creativa essenzialmente finanziaria in cui si attraggono investimenti da capitali prodotti altrove, dobbiamo impegnarci in una visione progettuale in cui la creatività genera nuovi assetti spaziali, morfologie architettoniche, e attività produttive» e ancora «La città creativa 3.0 dovrà essere capace di re-immaginarsi per generare soluzioni contro il declino, di agire per il capacity building e di concorrere all’empowerment della comunità, di catalizzare culture emergenti e dia attivare comunità plurali, ma integrate e interagenti, e di alimentare economie, innovative o radicati nelle sapienza locali» (Carta, 2014, 103). Agrigento e la sua Valle. Dalle questioni ai progetti: un nuovo “metabolismo territoriale” Le questioni della prossimità dei sistemi e delle componenti di questi sono gli elementi che hanno caratterizzato il Campus DO.RE.MI.HE.. Non solo prossimità individuata e analizzata nelle componenti mate-
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riali e immateriali dei territori di Agrigento e della Valle dei Templi e di Zaghouan e il Tempio dell’Acqua, oggetti delle sperimentazioni progettuali, ma anche tra le competenze e la formazione multidisciplinare dei partecipanti stessi. Le fasi dell’analisi dei contesti, nei due casi, sono state applicate con una analoga struttura volta all’identificazione degli elementi e delle relazioni territoriali nelle tre fasi di “inquadramento territoriale”, di “analisi strutturale” (con la lettura per “cicli” delle componenti identitarie) e di “analisi degli strumenti” ove si è proceduto alla lettura dei programmi di sviluppo socio-economico e delle strategie generali di sviluppo territoriale in atto dei territori. Il caso di Agrigento ha evidenziato come il Piano di Gestione del sito UNESCO della Valle dei Templi non ha mai avuto quello che sarebbe dovuto essere il ruolo dalla duplice natura “strategica” e “operativa”, limitando la sua incisività sulla strumentazione urbanistica e sulle strategie economiche e sociali solo alla questione vincolistica. La visione locale è rimasta confinata in una dimensione prevalentemente conservativa, determinata dall’assunzione “passiva” delle previsioni degli altri strumenti vigenti di pianificazione territoriale e delle azioni di progetto e di sviluppo ad essi conseguenti (Lo Piccolo et al., 2012). Da questo assunto e dalle analisi e interpretazioni sono stati sviluppati i tre progetti per la Valle che hanno definito una «strategia di conservazione e valorizzazione integrata del sito agendo sui valori materiali e immateriali, sulle relazioni con i sistemi insediativi di contesto e sulle relazioni paesaggistiche, nonché sulla riappropriazione identitaria del Parco da parte della comunità agrigentina»3. I progetti per Agrigento e la Valle dei Templi elaborati nel Campus, come si vedrà appresso in questa pubblicazione, hanno riguardato tre contesti ritenuti strategici per definire un modello condiviso e partecipativo dello sviluppo del territorio della città legato all’importante sito UNESCO. Modello capace di dare una forte spinta propulsiva a un nuovo ecosistema creativo, capace di rafforzare e alimentare l’armatura culturale del territorio attraverso un processo culture-based che valorizzi specificità e identità culturali, per i quali è necessario coniugare il potenziale di differenziazione con la capacità di diffusione, da un lato, e di protezione-sostenibilità, dall’altro. Sugli ambiti di prossimità individuati tra i contesti differenti urbani e/o relazionali del territorio della Valle di Agrigento si sono concentrati i tre progetti: il primo, “L’asse/La strada-Parco”, si occupa del nuovo accesso principale al Parco Archeologico dal Museo e dell’asse di connessione città-area archeologica come passeggiata/Parco; il secondo,
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“L’interfaccia/Interazione Città-Parco”, si occupa dell’area di confine tra il Parco e l’insediamento della città storica ripensata per accogliere funzioni miste e per fungere da elemento di connessione e coesione tra le attività di fruizione del Parco e vecchie e nuove funzioni urbane; infine, il terzo progetto, immaginando la Valle come un “Il Percorso/Il Parco vivo” vede la ricollocazione del sistema degli accessi, degli interventi coordinati sull’accessibilità e la mobilità interna, degli itinerari e dei servizi al Parco e attività aperte all’interazione con la città e il territorio. Gli elementi dei progetti attivano un processo dinamico di flussi materiali e relazionali capaci di far agire e interagire ogni componente con le altre in una stretta relazione di mutualità e di attivare un nuovo “metabolismo territoriale” creativo, intelligente ed ecologico della Valle.
Note 1. In originale «Everything is related to everything else, but near things are more related than distant things» in: Tobler W., “A computer movie simulating urban growth in the Detroit region”, in Economic geography, 46, n. 2, 1970, pp. 234-240. 2. Si vedano i report dei tavoli del Forum dei soggetti territoriali, pubblicati in questo stesso volume nel capitolo “Un piano d’azione condiviso e proattivo - Il Forum”. 3. Si veda quanto scritto da Barbara Lino in questo stesso volume nel saggio “I piani di gestione UNESCO: retorica o strumento di sviluppo locale? ”. Bibliografia Bailly A. (1988), Les concepts de la géographie humaine, Colin, Paris. Bauman Z. (2010),“La cultura attuale? Liquida come un grande magazzino” in AVVENIRE, 21 febbraio. Bauman Z. (2015), Per tutti i gusti. La cultura nell’età dei consumi, Laterza, Bari-Milano (testo orig.: Culture in Liquid Modern World, Polity Press Ltd, Cambridge, 2011). Caroli M. G. (a cura di) (2015), Modelli ed esperienze di innovazione sociale in Italia. Secondo rapporto sull’innovazione sociale, FrancoAngeli, Milano. Carta M. (1999), L’armatura culturale del territorio. Il patrimonio culturale come matrice di identità e strumento di sviluppo, FrancoAngeli, Milano. Carta M. (2013), Reimagining Urbanism. Città creative, intelligenti ed ecologiche per i tempi che cambiano, ListLab, Trento-Barcelona. Lo Piccolo F., Leone D., Pizzuto P. (2012), “The (controversial) role of the UNESCO WHL Management Plans in promoting sustainable tourism development”, in Journal of Policy Research in Tourism, Leisure and Events, vol. 4, n. 3, pp. 1-28. Maiolini R. (2015), “Lo stato dell’arte della letteratura sull’innovazione sociale” in M.G. Caroli (a cura di), Modelli ed esperienze di innovazione sociale in Italia. Secondo rapporto sull’innovazione sociale, FrancoAngeli, Milano. Pellizzoni L. (2014), Territorio e movimenti sociali. Continuità, innovazione o integrazione?, EUT, Trieste. Tobler W. (1970), “A computer movie simulating urban growth in the Detroit region”, in Economic geography, 46, n. 2, pp. 234-240.
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IL PARCO VIVO VINCENZO SPATARO
Lo studio si è concentrato, in una prima fase, sulle connessioni che la città di Agrigento e il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi instaurano sia a scala territoriale che a livello urbano, analizzando in primo luogo le relazioni spaziali e i sistemi di mobilità ai vari livelli. Da un’attenta lettura dei contenuti del Piano di Gestione del sito UNESCO, del Piano del Parco e del Piano Regolatore Generale della città di Agrigento, si è posta in atto una strategia progettuale – cogliendo le indicazioni degli strumenti a disposizione ma anche rilevandone interferenze e contraddizioni – diretta a salvaguardare e valorizzare il ruolo centrale del della Valle e il suo paesaggio, promuoverne una fruibilità integrata nella prospettiva di un metabolismo territoriale. L’area del Parco Archeologico della Valle dei Templi rappresenta oggi il nodo di una intersezione fra tre direttrici stradali principali: la costiera SS 115 Gela-Agrigento-Castelvetrano, la trasversale SS 640 AgrigentoCaltanissetta e la trasversale SS 189 Agrigento-Palermo. A queste si allaccia la SS 118 Corleonese Agrigentina che, partendo dal centro urbano, taglia la Valle incontrando la SS 115 nel quadrivio della Porta Aurea e arriva sino a San Leone. Il sistema della mobilità di servizio all’area del Parco è interessato da una generale revisione in seno al Piano Regolatore ed è basato su alcuni criteri generali: • alleggerire, fino alla eventuale eliminazione, gli attraversamenti della Valle dei Templi; • razionalizzare gli accessi alla fascia costiera (il traffico indotto dall’attraversamento per raggiungere la costa è una delle cause di congestionamento della viabilità della Valle, soprattutto nei mesi estivi); • valorizzare le infrastrutture ferroviarie esistenti;
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trasferire in aree a bordo valle gran parte delle attività di interscambio tra i diversi livelli (comunale e intercomunale) e i sistemi del trasporto pubblico (mezzo privato, autobus/navetta, ferrovia). In linea con i precedenti criteri si sono individuati tre livelli di mobilità: una viabilità principale che, come una circonvallazione, in direzione est-ovest passando da nord, oltrepassando sia il Parco che la città; una viabilità secondaria che dà accesso alla città e attraversa il Parco; una viabilità interna (ZTL) di fruizione del sito archeologico. Tre zone di interscambio, a est e ovest della zona A del Parco e a nord della città, consentiranno il passaggio ad una mobilità sostenibile (mobilità elettrica e bike sharing) grazie anche alla presenza di parcheggi scambiatori. La prima zona di interscambio, pensata per accogliere i flussi a nord della città, è stata prevista in corrispondenza della Stazione Bassa, dalla quale sarà inoltre possibile, grazie al servizio ferroviario, giungere alla Stazione Centrale (centro storico) oppure accedere direttamente al Parco Archeologico percorrendo la linea ferrata, adeguatamente potenziata, fino alla fermata del Tempio di Vulcano; questa linea proseguirà poi fino a Porto Empedocle. La seconda zona di interscambio, all’altezza dell’incrocio tra la SS 115 e via della Mosella, riceverà il traffico veicolare a est del Parco. La terza zona di interscambio, localizzata tra Villaseta e il limite ovest della Zona A del sito archeologico, assorbirà la circolazione proveniente da ovest. Un’altra area per la mobilità sostenibile, all’incrocio tra la SS 115 e viale Emporium, consentirà l’ingresso a San Leone solamente ai mezzi di trasporto alternativi; si pedonalizzerà buona parte del principale lido agrigentino. Un’altra azione progettuale, dopo aver sovrapposto la planimetria archeologica dell’antica Akragas a quella della città odierna, è stata quella di ripensare il sistema di utilizzo del Parco in virtù di una più aderente e consona modalità di fruizione del sito archeologico. Cerniera di collegamento e interfaccia città-Parco, lo stadio Esseneto e l’area circostante è stata pensata per accogliere un visitor center e una zona di interscambio per la mobilità sostenibile. Gli spostamenti interni al Parco saranno favoriti da navette elettriche che, sfruttando la viabilità esistente, effettueranno un percorso ciclico. Dal visitor center l’itinerario principale condurrà il visitatore verso la prima tappa, il Museo Archeologico. Quest’ultimo è inteso come porta principale d’accesso al Parco per la funzione pedagogica ed esplicativa preliminare all’esperienza conoscitiva diretta. Si proseguirà visitando il
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Quartiere ellenistico-romano, per poi percorrere la via Panoramica Valle dei Templi, punto di vista privilegiato nei disegni e nelle incisioni dei viaggiatori e degli studiosi del passato e infine procedere lungo la via Sacra, da est a ovest, fino alla fermata ferroviaria del Tempio di Vulcano. All’itinerario principale se ne agganceranno sei secondari (panoramico, area orientale, Cardo-decumano, Necropoli romane, Necropoli Pezzino, Agorà inferiore), mentre altri due avranno luogo all’interno del centro storico (San Calogero, storico-culturale). In linea con la strategia di valorizzazione integrata del sito, che agisce sul patrimonio culturale materiale e immateriale, sono stati pensati servizi che possano far vivere delle emozioni, far provare delle esperienze irripetibili; per ciò che concerne la loro dislocazione all’interno dell’area archeologica, sono stati considerati edifici e aree già in possesso dell’Ente Parco o in fase di esproprio. Per potenziare la dimensione della valorizzazione culturale e della fruizione sociale e innovativa del sito, sono stati individuati degli spazi dove sarà possibile condurre delle esperienze virtuali utilizzando i 3D Glass: indossando speciali lenti, dotate di un micro visore, si potranno meglio comprendere le opere e gli spazi attraverso animazioni, racconti video, riconfigurazioni virtuali. Sarà possibile vivere questo tipo di esperienza nei seguenti luoghi: Tempio di Vulcano, Santuario delle Divinità Ctonie, Tempio di Zeus, Tempio di Ercole, Tempio della Concordia, Tempio di Giunone, Santuario Rupestre, San Biagio, Santa Maria dei Greci, Necropoli Pezzino, Necropoli di San Gerlando, Tomba di Terone, Santuario di Esculapio, Porta VI, Basilicula, Porta I, Agorà inferiore, Agorà superiore, Ipogei Giacatello, Quartiere ellenistico-romano.
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STRATEGIE DI RACCORDO URBANO FRANCESCA MONTAGNA
Tra le numerose strategie d’intervento individuate per la definizione del cosiddetto “arcipelago culturale e creativo” della Valle dei Templi di Agrigento, si è scelto di focalizzare l’attenzione su di una nuova ipotesi di connessione tra città e Parco. Utilizzando infatti la metafora della spina dorsale come elemento portante della struttura umana, si è lavorato in fase progettuale in termini di assialità urbana, definendo e “liberando” le connessioni tra il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi e il suo “ecosistema territoriale metabolico”1. La relazione tra questi due ambiti, infatti, è stata finora molto problematica. La presenza del Parco, da sempre interpretata come risorsa polarizzante, legata a una forte stagionalità dei flussi turistici e caratterizzata da numerosi detrattori paesaggistico/ambientali (infrastrutture viarie, fenomeni di abuso edilizio ecc.) presenta già nella definizione del suo perimetro2 l’immagine di un immenso sito archeologico sottoutilizzato dalla sua comunità. «Il Parco è stato considerato per molto tempo dalla cittadinanza come un sistema chiuso e ostile, isolato dal contesto: una entità esterna e prevaricatrice che ha espropriato i proprietari dei terreni, che ha messo recinti di ogni genere, che pretende il pagamento di un biglietto»3. Tutte le scelte progettuali, proposte sia per le aree interne che per quelle di raccordo al Parco, fanno riferimento a una chiara volontà di recuperare, sebbene in ottica creativa e innovatrice, il genius loci del luogo, riconnettendo la città alla sua parte originaria (la più sacra e antica) ridefinendo le funzioni e ampliando il più possibile le interazioni tra Ente Parco e società civile. Parco come motore di promozione ecologica/produttiva e riattivatore di cicli di vita urbana. Partendo quindi da un’accurata analisi e soprattutto dall’ascolto delle reali esigenze della comunità locale, è stato proposto il progetto del “nuovo asse strada-Parco”. Questo sistema d’interventi di ricucitura tra città e Parco avrà origine a partire
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dal centro storico di Agrigento, luogo dalla forte valenza identitaria, ricco di istituzioni culturali e spazi di sperimentazione del dinamismo sociale. Da qui, infatti, in prossimità della Stazione Centrale, si aprirà una nuova porta urbana connessa a sistemi di risalita meccanica4, con conseguente recupero qualitativo degli spazi limitrofi. Proseguendo verso Sud il percorso pedonale intercetterà inoltre un’area (al momento in stato d’abbandono) riconvertita in Arts&CreativeHub5, con nuovi spazi dedicati alla condivisione e alla socialità. Queste prime azioni di rigenerazione urbana rappresenteranno, quindi, una prima fase di colonizzazione dei luoghi grazie alla presenza di una Design Factory, ResidArt e una della sedi di quella che lo stesso Andrea Bartoli, durante il suo intervento al Forum dei soggetti territoriali, ha definito Biennale d’Arte. Quest’ultima ipotesi di grande respiro punta fondamentalmente a ridefinire il ruolo della città di Agrigento nel contesto Mediterraneo e non solo, veicolandosi attraverso il grande potere comunicativo dell’arte contemporanea; un processo di determinazione di luoghi «in cui invitare i più importanti changemakers del mondo a trovare delle soluzioni praticabili per sconfiggere ed eliminare tutte le nefandezze, disparità ed ipocrisie che affliggono il pianeta»6. La definizione di questi padiglioni sia all’interno, sia all’esterno del Parco determinerà, di conseguenza, azioni di recupero del patrimonio abbandonato o di scarsa qualità estetico/architettonica (interventi di street art, installazioni temporanee, recupero del contesto architettonico, ecc.). Questo tratto di percorso pedonale terminerà in prossimità dello Stadio comunale Esseneto, definendo così una primo asse d’accesso al Parco dal cuore della città. Da qui in poi un tracciato pedonale parzialmente coperto (anche in questo caso già esistente, ma, ad oggi completamente “invisibile”) condurrà direttamente al Museo Archeologico Regionale “Pietro Griffo”, considerato elemento centrale del progetto, prima vera porta d’accesso, tappa obbligata per garantire una visita al Parco colta e consapevole, preparando i visitatori a ciò che ad un primo sguardo sommario potrebbe risultare di difficile comprensione. Per ciò che concerne la struttura museale si prevederanno azioni di nuovo adeguamento espositivo, incremento dell’offerta (laboratori didattici, rievocazioni storiche, ecc.) e valorizzazione dell’Ekklesiasterion attraverso rappresentazioni teatrali di musica greca e romana. Il grande asse strada-Parco presenterà quindi, lungo tutto il suo corso, un sistema di mobilità dolce (piste ciclopedonali/ippovie/punti di bikesharing-bike sharing a pedalata assistita, self balancing scooter, ecc.) al quale verrà affiancato un’asse carrabile (anch’esso già esistente) dedicato alla mobilità sostenibile
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e ai visitatori con ridotte capacità motorie (servizi navetta e attività di MetroParco a trazione elettrica e/o idrogeno). I percorsi di slow mobility individuati in fase di progetto sono in grado di intercettare eccezionali punti panoramici o siti raramente visitati (come nel caso dell’Ipogeo Giacatello), si è scelto quindi di operare attraverso un’accurata ricerca topografica e archeologica, proponendo percorsi alternativi in grado di incrementare il più possibile la componente esperienziale del visitatore, proponendo un racconto del Parco attraverso la riscoperta dei suoi luoghi. I terreni abbandonati, di diretto raccordo con il sistema insediativo e posti a corona del Parco, verranno invece destinati ad orti urbani e aree produttive sperimentali, tramite il recupero di metodi di coltivazione tradizionali e pratiche di agro-archeologia7. Lungo la promenade inoltre verrà localizzato un giardino terapeutico/sensoriale con essenze tipiche del mondo greco e romano, connesso a una “FloraFarm” per attività didattiche e di nuova aggregazione sociale (come la riproduzione di unguenti e profumi della Magna Grecia, simulazioni di tecniche colturali antiche, ecc.). Per ciò che concerne le produzioni già attive all’interno del Parco, ciò che si propone riguarda un nuovo modello di gestione del sistema agricolo attraverso l’introduzione di un disciplinare di produzione del marchio Diodors e l’estensione di questo ai territori esterni al confine istituzionale, passando così da un marchio del Parco a un marchio della Chora dell’antica Akragas. Note 1. L’obiettivo generale è, infatti, quello di riconnettere tra loro isole d’eccellenza già esistenti, prima fra tutte il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi, ipotizzando una lettura del territorio in termini di sistema metabolico in cui (come in ogni altro organismo vivente) ogni componente concorre all’integrità e al funzionamento dell’altra, definendo un’interazione reciproca autosufficiente. 2. In termini concettuali l’idea di Parco non dovrebbe essere legata a quella di perimetro istituzionale, ma al contrario invece dovrebbe rimandare a una visione d’area vasta, molto più permeabile che coinvolga la città e il suo intorno. 3. Cannarozzo T., “Agrigento: risorse, strumenti, attori. Percorsi verso nuovi orizzonti di sviluppo locale”, in F. Lo Piccolo (a cura di), Progettare le identità del territorio - Piani e interventi per lo sviluppo locale autosostenibile nel paesaggio agricolo della Valle dei Templi di Agrigento, Edizioni Alinea, Firenze, 2009, pp. 61-133. 4. A supporto degli importanti salti di quota che rendono al momento difficoltoso il percorso pedonale dal centro città al Parco Archeologico. 5. Azione legata all’Istituzione di una Biennale d’Arte con capacità attrattiva e polarizzante che preveda attività di recupero del patrimonio abbandonato o di scarsa qualità estetico/ architettonica localizzabile sia all’ interno che all’esterno del Parco (street art, installazioni temporanee, recupero del contesto architettonico, ecc.). 6. Si veda il saggio di Andrea Bartoli in questo stesso volume. 7. Un riferimento progettuale può ritrovarsi nel Centro di agro-archeologia di Metaponto che, in convenzione con l’Istituto di Archeologia Classica dell’Università del Texas, ha come fine ultimo quello di approfondire e divulgare gli studi sulle origini dell’agricoltura lucana e le trasformazioni che avvennero in questo campo nell’ epoca della Magna Grecia.
NUOVE VISIONI PER LA VALLE DEI TEMPLI
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PATRIMONIO E CREATIVITÀ
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IL MARGINE URBANO, CERNIERA CITTÀ-PARCO FRANCESCO SCRUDATO
Le stratificazioni della città di Agrigento, da sempre crocevia di popoli e di scambi culturali, dove le fasi storiche rimangono spesso ben visibili anche a occhi meno esperti, la rendono oggi luogo dalla forma incerta e non conclusa nella sua complessità urbana. In un sistema sviluppatosi senza un progetto di crescita della città, la speculazione edilizia si è impadronita di vasti ambiti territoriali snaturando il paesaggio originario, trasformandolo in un luogo composito, dove l’eterogeneità tipologica delle architetture dà vita ad uno spazio ricco di tensioni. L’originaria forma della città1, della città storica, sembra compromessa, modificata. Il paesaggio viene quindi ad assumere un aspetto complesso e stratificato, frutto di una città storica sempre più marginale nello sviluppo urbano, della costruzione di edifici residenziali di elevata cubatura che non dialogano con il contesto, di grandi infrastrutture che cingono l’abitato e caratterizzano fortemente il territorio, di un collegamento spesso negato con il Parco Archeologico. Il progetto si pone l’obiettivo di diventare porta di accesso al Parco Archeologico della Valle dei Templi e di organizzare il margine della città dando vita a nuove centralità. Nasce dalla consapevolezza che lavorare sul margine urbano è l’unico modo per tentare di ricucire le lacerazioni presenti all’interno di un ambito che deve superare i margini fisici dell’edificato per riconnettersi con il sistema territoriale di riferimento; pertanto si è indagato il margine sud (via Ugo La Malfa e via Manzoni) che si pone come limite fisico della città, ma che potrebbe diventare ambito connettivo tra il Parco e il centro abitato. Strategicamente si è voluto leggere il territorio, dalla città al mare, secondo assi paralleli che mettessero in connessione fisica e funzionale
NUOVE VISIONI PER LA VALLE DEI TEMPLI
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quegli elementi che si possono porre come punti focali di una nuova organizzazione territoriale. La prima di queste linee2 si riferisce proprio al margine sud, che si fa carico di riorganizzare il limite urbano legando la città con il Parco. Salendo verso nord si è identificato un asse (viale della Vittoria) che unisce il centro della città, identificato nella consecuzione delle pause urbane di piazza Aldo Moro e piazza Marconi, con il centro storico da un lato e il sistema marginale dell’ex ospedale psichiatrico dall’altro. Scendendo verso sud il sistema continua legando l’abitato di Villaseta (complesso marginale e degradato) con la città e il Parco. Ultimo asse è quello che mette in connessione il sistema costiero di Agrigento legando Porto Empedocle con San Leone. In questa visione la città assume una dimensione vasta, non vincolata solamente ai limiti fisici dell’edificato, ma che tende a riconnettersi con il sistema territoriale. Il Parco diventa elemento in grado di strutturare il complesso sistema di Agrigento e oggetto stesso del progetto. Dalla lettura dei luoghi si è reputato opportuno progettare sul margine la Porta del Parco, un complesso di edifici che ospita i servizi funzionali all’accesso, ma che si pone anche come elemento organizzatore dello spazio, capace di mettersi in relazione con il centro storico per garantire una perfetta fruibilità ai turisti che arrivano per visitare la Valle e ai residenti. Analizzando l’ambito a una scala maggiore rispetto a quella territoriale, continuando una lettura per linee parallele, si è agito sulla riconfigurazione del sistema delle aree verdi, il quale diventa asse di riconnessione tra la zona più a valle e il centro della città, collegando le due quote con una funivia che consente di superare il forte dislivello. L’ex ospedale psichiatrico di Agrigento, che si trova alla fine dell’asse, viene riconvertito per ospitare gli spazi per l’Università, generando in tal modo una nuova centralità capace di dare nuovo senso all’area terminale del percorso. Nello spazio libero compreso tra il viale della Vittoria e la via Ugo La Malfa è prevista una riprogettazione del verde che verrà messo a dimora seguendo la giacitura dettata dalla maglia urbana. Lungo la via Ugo La Malfa è previsto l’ingresso fisico al Parco con la creazione di un’area a servizio anche della città. Contestualmente, per una migliore e più adeguata fruibilità della zona, si prevede la riconversione dello Stadio Esseneto da struttura sportiva a centro culturale, in modo da consentire all’area di acquisire interamente una funzione culturale; le funzioni sportive verranno assorbite grazie al potenziamento dell’area di Villasetta, che si presta a essere la cittadella sportiva3 di
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
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Agrigento. Tutta l’area viene riprogettata nei suoi spazi pubblici, con un nuovo disegno urbano, in cui il grande vuoto prospiciente la via Ugo La Malfa assume importanza primaria. Questa splendida terrazza, che si affaccia sulla Valle dei Templi e sul mare, diventerà una piazza e rappresenterà l’accesso, anche visivo, al Parco; sotto di essa verrà edificato il centre d’interpretation4, edificio atto a ospitare tutte le funzioni di accoglienza e di conoscenza del Parco. In esso sarà possibile conoscere il Parco, grazie a video e giochi didattici anche per i più piccoli, avere tutte le informazioni utili a una migliore fruizione dell’area archeologica, ristorarsi, acquistare i servizi desiderati (bike dispenser, navette, ecc.). Ulteriore parte del progetto, questa rivolta maggiormente alla città, è la rifunzionalizzazione di un edificio sportivo mai terminato, che viene trasformato per ospitare spazi di co-working e fablab. Questo sistema di servizi è collegato, grazie alla riqualificazione di un percorso esistente, al museo (che verrà potenziato) e permette quindi di vivere un’esperienza del Parco consapevole e colta, passando da una conoscenza generale, fatta nel centre d’interpretation, a una conoscenza del particolare, nel museo, a quella sul campo, all’interno dell’area archeologica. Lo spazio che separa il centre d’interpretation dal Museo viene in parte piantumato con essenze locali (mandorli e ulivi) che seguono la giacitura della struttura urbana della città ellenistico-romana e in parte accoglie un sistema di orti periurbani. Interventi progettuali strategici sono fatti su edifici esistenti che vengono adeguati per ospitare nuove funzioni: Villa Genuardi, gli uffici dell’Ente Parco e della Soprintendenza, le case Sanfilippo degli spazi da utilizzare per la cucina esperienziale, Villa Aurea, un laboratorio esperienziale dove i più piccoli potranno approcciarsi all’archeologia in modo ludico ma consapevole.
Note 1. Nel 1973 nel documentario “Pasolini e… la forma della città” Pasolini delinea un pensiero estremamente lucido sulla forma della città contemporanea. 2. Le linee sono degli assi strategici di intervento frutto di una strategia progettuale che vuole coinvolgere tutta l’area della città di Agrigento e che mette in relazioni i frammenti di una struttura urbana diffusa formata da più nuclei. 3. A Villaseta sono concentrate delle strutture sportive mai terminate che potrebbero essere utilizzate dalla città ridando senso a quest’area marginale. 4. L’edificio denominato inizialmente visitor center è stato successivamente chiamato centre d’interpretation, su suggerimento del prof. Fakher Kharrat, in quanto questa denominazione sembra trasmettere meglio il senso di quest’architettura a servizio del Parco e della città.
NUOVE VISIONI PER LA VALLE DEI TEMPLI
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WORKSHOP STUDI, STRATEGIE, PROGETTI
01 STUDI/
Analisi di contesto
Le analisi del contesto territoriale di Agrigento hanno riguardato: - il livello di accessibilità sovra-comunale e le principali relazioni paesaggistiche e funzionali con il territorio esteso della Provincia e della Sicilia Occidentale. - il livello di accessibilità territoriale e le relazioni territoriali di area vasta rispetto al sistema insediativo e infrastrutturale di scala provinciale; - le principali risorse culturali e naturali del territorio esteso: il patrimonio archeologico dei centri minori del comprensorio (Cattolica Eraclea, Realmonte, Montallegro, Aragona, Raffadali, ecc.) e il patrimonio naturalistico
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
e ambientale (i SIC, Dati generali le riserve, Scala dei Superficie della città di Agrigento Turchi, le Maccalube 224 kmq di Aragona, ecc.) Popolazione residente nella - la localizzazione Provincia di Agrigento (2001) dei siti UNESCO a 441.669 ab. scala regionale e del sistema dei Parchi Ar- Superficie del Centro Storico cheologici Regionali; 80 ha - la valutazione dei Popolazione residente nel flussi e della permaComune di Agrigento (2015) nenza turistica; 52.545 ab. - i dati socio-econoTasso di disoccupazione (2001) mici del territorio alla 23,6 % scala provinciale.
Il sito UNESCO
Superficie iscritta (ZONA A del Parco) 934 ha Buffer Zone (ZONA B del Parco) 1.869 ha Il Parco Superficie dell’area naturale del Parco 1.300 ha Numero di visistatori (2012) 681.066 Superficie dei terreni agricoli nel Parco 330 ha
[ 224
Santa Margherita di Belice
Popolazione
Sambuca di Sicilia
Cammarata
da 977 a 15000 abitanti da 15001 a 30000 abitanti
San Giovanni Gemini Caltabellotta
Menfi
Burgio
Bivona
Lucca Sicula Sciacca
da 30001 a 45000 abitanti
Santo Stefano Quisquina
da 45001 a 59136 abitanti
Villafranca Sicula
Alessandria della Rocca Casteltermini
Flussi pendolari
Calamonaci San Biagio Platani
Originati
Cianciana
Ribera
Sant'Angelo Muxaro
Destinati Grotte Comitini
Cattolica Eraclea Santa Elisabetta Raffadali
Racalmuto
Aragona Joppolo Giancaxio
Montallegro Siculiana
Castrofilippo
Agrigento
CanicattĂŹ
Porto Empedocle Realmonte
AGRIGENTO Naro Favara Camastra
Ravanusa Campobello di Licata
Palma di Montechiaro Licata
Flussi pendolari per origine e destinazione
WORKSHOP
[225
STUDI/
Montevago
Legenda Confine provinciale Confine comunale
Patrimonio naturalistico Parco dei Monti Sicani SIC - Sito di Interesse Comunitario SIC - Sito di Interesse Comunitario marino ZPS - Zone a Protezione Speciale Riserve Naturalistiche Regionali Aree boscate esterne al parco Laghi/Invasi artificiali Sistema fluviale
Colture tipiche c strutturali il paesaggio agrario Colture frutticole tipiche e Igp Colture dei vitigni Doc e Igt
Patrimonio culturale Parco archeologico della Valle dei Templi
Centri di fondazione
Castello
Contemporanea Moderna
Castrum
Musei
Feudale
Museo naturalistico
Araba
Museo archeologico
Romana
Museo civico
Greca
Museo etno-antropologico
Patrimonio architettonico Architetture e strutture produttive agricole e protoindustriali Bagli, casali, cortili, fattorie, masserie Cave, miniere e solfare storiche Mulino
MobilitĂ e accessi
PATRIMONIO E CREATIVITĂ€ Autostrada Strade Statali Strade Provinciali Rete ferroviaria
[ 226
WORKSHOP
[227
Siti UNESCO e Parchi archeologici
6
Me
9 1 Pa 3
Tp
2
4
5
5
3
6
7
7 2 En Ct
Cl
Ag
1
2
1
8
1
7
3 5
8
Rg
1
4
4
Sr
3
6
Analisi di contesto
Le analisi di contesto hanno preso in considerazione la localizzazione dei siti UNESCO e dei Parchi Archeologici Regionali e la rete ecologica regionale: Parchi, SIC, ZPS, Riserve e le aree archeologiche a identità condivise, dei centri di fondazione e degli elementi patrimoniali caratterizzanti a scala regionale.
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
L’immenso patrimonio regionale di risorse si offre a completamento di una offerta locale già forte, ma da potenziare specialmente in un’ottica di sistema.
Siti UNESCO
Parchi archeologici
Patrimonio materiale
1
Valle dei Templi
2
Selinunte
3
Segesta
2
Piazza Armerina e la Villa del Casale
4
Monte Jato
5
Solunto
3
Le città barocche della Val di Noto
6
Himera
7
Naxos
1
Area Archeologica di Agrigento
1 2 3 4 5 6 7 8 4
5
Catania Modica Noto Palazzolo Acreide
Ag
Agrigento (Caso studio)
Ragusa
Pa
Palermo
Me
Messina
Ct
Catania
Sr
Siracusa
Rg
Ragusa
Tp
Trapani
Cl
Caltanissetta
En
Enna
Scicli Caltagirone Militello in Val di Catania
Siracusa e le necropoli rupestri di
1 Siracusa 2 Pantalica Il circuito arabo-normanno di Palermo e delle cattedrali di Monreale e Cefalù
1 Palermo 2 Monreale 3 Cefalù 6
Isole Eolie
7
Vulcano Etna
Patrimonio immateriale
[ 228
Capoluoghi di provincia
8
La vite ad alberello di Pantelleria
9
Opera dei Pupi
La rete ecologica regionale
Rete ecologica dei Parchi regionali Parco dei Nebrodi Parco dell'Etna Parco delle Madonie Valle dell'Alcantara Parco dei Monti Sicani
Siti di importanza comunitaria e Zone a protezione speciale SIC marino SIC ZPS Riserve naturalistiche regionali Riserve naturali
Centri per fondazione d’origine Milazzo Messina Tindari
Palermo Solunto
Erice Segesta
Monte Iato
Imera
Alesa
Mozia Lilibeo
Nasso Entella Selinunte Villa Romana del Casale
Eraclea Minoa
Catania
Morgantina
Agrigento
Lentini
Megara Iblea Casmene
Siracusa
Fondazioni doriche Fondazioni ioniche
Camarina
Fondazioni elime Fondazioni puniche
WORKSHOP
[229
STUDI/
Siti archeologici di varia natura
Valori e criticità
L’interpretazione delle risorse territoriali e delle analisi di contesto si sono tradotte in una lettura antinomica che semplifica valori e criticità territoriali, sintetizzandoli. Al ricco e stratificato patrimonio archeolo-
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
gico e paesaggistico fanno da contraltare problematicità legate tanto al rischio idrogeologico quanto insediamenti di origine abusiva che assediano le emergenze monumentali.
[ 230
[231
STUDI/
WORKSHOP
Cicli di vita
L’analisi per cicli di vita è tesa a valutare le relazioni funzionali e identitarie prevalenti del contesto territoriale del Parco, della Valle e del sistema urbano. L’analisi pone particolare attenzione alla lettura per “cicli” delle componenti identitarie attraverso l’uso di schemi concettuali e ideogrammatici e alla lettura delle relazioni paesaggistiche e orografiche del sito, ai fattori di criticità e di rischio. Oltre all’individuazione dei “cicli di vita attivi” delle componenti identitarie è stata effettuata l’individuazione dei “cicli interrotti” (a destra). Le analisi sono state orientate a comprendere: - le componenti dell’attuale sistema insediativo (il centro storico, il sistema insediativo policentrico, i nuclei storici diffusi e il sistema insediativo costiero e delle seconde case);
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
- la dotazione infrastrutturale per gerarchie (infrastruttura ferroviaria, viabilità esterna, viabilità di connessione, ecc.); - la definizione dei principali attrattori di scala comunale o sovra-comunale, sia di tipo culturale che di carattere generale (il Museo Archeologico Regionale, il complesso chiaramontano, il Polo Universitario, l’Ospedale, il Palazzo di Giustizia, ecc.); - la dotazione delle principali risorse ambientali e culturali.
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WORKSHOP
[233
STUDI/
Funzionamento metabolico e cicli: green, blue, red, grey and brown cycle
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
[ 234
WORKSHOP
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Trasformazioni
La lettura dei programmi di sviluppo socioeconomico e delle strategie generali di sviluppo territoriale in atto nel territorio sono desunte attraverso l’analisi dei contenuti del Piano del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento, del Piano di Gestione, del sito UNESCO e del Piano Regolatore Generale del Comune di Agrigento.
PATRIMONIO E CREATIVITĂ€
Particolare attenzione ha destato il tema infrastrutturale rispetto al quale sono state rilevate evidenti soluzioni in contrasto tra i due strumenti di pianificazione: Piano del Parco e Piano Regolatore Generale della cittĂ di Agrigento.
[ 236
WORKSHOP
[237
Analisi SWOT Le analisi sulla struttura, quelle di contesto e le analisi sui valori e sulle criticità hanno contribuito alla interpretazione del quadro di opportunità e delle minacce che agiscono sul territorio a partire dall’interazione con gli elementi di forza e di debolezza individuati. La redazione della matrice SWOT ha assunto come punto di partenza la matrice già inserita nell’ambito del Piano di Gestione del sito UNESCO mirando, in particolare, all’integrazione delle valutazioni sulle componenti territoriali di area vasta e alla valutazione del livello di interazione tra il Parco e il sistema insediativo di Agrigento. La lettura delle trasformazioni in atto, delle politiche di sviluppo già avviate, delle risorse materiali e immateriali e delle criticità territoriali, ha consentito di definire una strategia di conservazione e valorizzazione integrata del sito che agisca sui valori materiali e immateriali, nonché sulle
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
relazioni con i sistemi insediativi di contesto e sulle relazioni paesaggistiche, nonché alla riappropriazione identitaria del Parco da parte della comunità agrigentina.
PUNTI DI FORZA Eccezionale valore del Sito Archeologico (WHL UNESCO). Ruolo della Valle come contenitore di biodiversità ed elemento fondamentale della Rete ecologica regionale. Produzioni tipiche associate ad un’agricoltura multifunzionale. Centro storico dalla forte valenza storico-identiraria ricco di istituzioni culturali e luoghi di sperimentazione del dinamismo sociale.
OPPORTUNITÀ Area archeologica di Agrigento insignita della“Dichiarazione di Eccezionale Valore Universale”,DEVU, assegnata solo per diciotto siti italiani,in occasione del 39° Comitato del Patrimonio Mondiale. Recupero paesaggistico e conservazione del Bosco di Mandorli e Ulivi.(Progetto Norma 5 Piano del Parco Arch.e Paesag.Valle dei Templi).
Ente Parco con fondamentale ruolo di leadership dell’intero patrimonio archeologico e paesaggistico della Valle. Stratificazione di siti archeologici e naturalistici prossimi alla Valle e di diretta interazione con la scala regionale. Forte compresenza di eredità culturale materiale e immateriale.
Creazione di un parcheggio scambiatore presso Villaseta e declassamento della SS 118 strada locale. (Progetto Norma 7 Piano del Parco Arch.e Paesag.Valle dei Templi).
Riuso dei contenitori in dismissione quali il vecchio carcere,l’ospedale S.Giovanni di Dio e l’ospedale Psichiatrico.(PRG Agrigento). Riuso degli assi ferroviari esistenti quali Metropolitana,tram turistico e navetta ferroviaria fra Stazione FS alta e stazione FS bassa.
Istituzione ed avvio di un Ecomuseo del Paesaggio (PRG Agrigento). della Valle dei Templi a Case Riqualificazione di Villaggio Fiandaca.(Progetto Norma 7 Piano del Parco Arch.e Paesag.Valle Mosè (PRG Agrigento). dei Templi).
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PUNTI DI DEBOLEZZA Valle dei Templi finora interpretata come risorsa polarizzante e sottoutilizzata dalla comunità. Abbandono,degrado del centro storico e fragilità del suo contesto socioeconomico. Relazioni tuttora problematiche tra Parco e territorio dovute alla presenza di detrattori paesaggistici (infrastrutture viarie,abusivismo edilizio ecc.).
Sistema dell’abitare diffuso caratterizzato da incompletezza delle realizzazioni ed assenza dei servizi di base. Stagionalità dei flussi turistici (polarizzati,con brevi tempi di permanenza e scarsa offerta delle strutture ricettive). Perdita progressiva del paesaggio agrario tradizionale e conseguente frammentazione ambientale.
WORKSHOP
[239
STUDI/
MINACCE Ipotesi di realizzazione di un Terminale di rigassificazione GNL a Porto Empedocle (Decreto del Ministero dell’Ambiente DEC-2008-0000966 del 29/09/2008).
02 STRATEGIE/
Osmosi, connettori e interfacce Le strategie proposte hanno compreso i seguenti temi: Osmosi/azioni volte all’implementazione della partecipazione della comunità attraverso la promozione di spazi per il welfare e l’innovazione sociale; Osmosi/azioni volte alla destagionalizzazione dei flussi e all’allungamento della permanenza turistica al fine di rendere il Parco il motore dello sviluppo territoriale agrigentino; Connettori/azioni volte alla promozione della fruibilità integrata del sito e del territorio agrigentino con particolare riferimento alla promozione degli itinerari culturali tematici e al sistema integrato dell’offerta turistica, anche in riferimento all’integrazione con il sistema dei Parchi Archeologici Regionali; Interfacce/strategie volte all’interazione Parco-Sistema urbano (con particolare riferimento al tema del re-
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
cupero del Centro Storico) lavorando sia sul sistema degli accessi e alla razionalizzazione dei servizi di accesso (parcheggi, info-point, visitor centers) che sulle aree di interfaccia Città-Parco; Interfacce/azioni volte alla valorizzazione dell’agricoltura multifunzionale dei tessuti agricoli, alla produzione e alla imprenditoria e alla definizione di forme innovative di gestione anche a partire dalle iniziative già avviate nell’ambito del Piano del Parco e al rafforzamento del Marchio del Parco e del progetto per un’agricoltura produttiva di qualità nella Valle dei Templi. La creatività è considerata dal progetto fattore di base per lo sviluppo in quanto generatrice di nuove forme di economia e non solo attrattrice di risorse intellettuali.
[ 240
Da isole sconnesse a un grande arcipelago culturale. Il parco archeologico come integratore metabolico
METAB
OL IS
M O
E CR
WORKSHOP
[241
STRATEGIE/
ATIVO Rielaborazione da Crosas C. (a cura di) (2015), Barcelona Metròpolis, L’urbanisme metropolità avui, AMB, Barcelona, p. 228.
PRODUTTIVITÀ
PATRIMONIO
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
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RICERCA
CREATIVITÀ
Zona di espansione
Metabolismo territoriale
Contrada Fontanelle
Ogni componente collabora allo sviluppo delle altre realizzando un organismo vivente
UNIVERSITA’ Formazione e ricerca avanzata in settori specifici
Montaperto BORGO Villaggio rurale di origine medioevale
CENTRO STORICO Luogo di testimonianze storiche e culturali
Agrigento Bassa CENTRO COMMERCIALE Generatore di economia
Agrigento
PORTO Struttura portuale di supporto
Favara
Villaseta
FARM CULTURAL PARK Luogo di sperimentazione e dinamismo sociale
Parco Archeologico
Porto Empedocle
Villaggio Mosè Sistema dei servizi e delle attrezzature turistiche ricettive
Il Parco è il motore generatore di economia e di sviluppo, fornendo ossigeno e sostanze nutritive a tutte le parti del suo territorio San Leone
Sistema dinamico vivente
LUNGOMARE Meta turistica balneare caratterizzata da residenze stagionali
Il Parco Archeologico di Agrigento è un parco vivente in cui coesistono almeno quattro “dimensioni” parallele: quella della tutela e della valorizzazione del patrimonio; quella della ricerca condotta insieme all’Università; quella della produttività legata ai prodotti agricoli; quella della comunicazione e della creatività che si riflette in quelle attività attraverso le quali il Parco si apre alla comunità: laboratori didattici, mostre, concerti, eventi culturali. Sono tutte risorse esistenti che il progetto intende arricchire e incrementare. Il progetto guarda al territorio attraverso la metafora del corpo umano in cui ogni componente parteci-
WORKSHOP
pa al funzionamento complessivo, all’interno di un solo meccanismo metabolico. Le diverse componenti del territorio possono essere associate alle parti che compongono il corpo: la mente corrisponde quindi a una nuova governance, come prima componente essenziale del cambiamento; il cervello e la spina dorsale sono gli elementi di connessione tra le diverse parti, la struttura concreta e portante: un asse Città-Parco; il Parco Archeologico è invece l’integratore metabolico, il motore propulsore, il cuore del territorio.
[243
Alimentare le diverse “anime” del Parco per generare un arcipelago culturale e creativo
STRATEGIE/
Le quattro “dimensioni” del Parco
Innovazione sociale e rigenerazione urbana/ Co-working e start up, spazi per il welfare e l’innovazione sociale Il progetto propone alcune azioni di perturbazione che, a partire dalla presenza di un ambiente creativo nell’area, sono in grado di mutarne il destino di apparente stasi o declino in cui versa, attivando l’energia potenziale necessaria a produrre una perturbazione nel contesto che attivi la propensione della popolazione residente alla mobilitazione e alla cooperazione per vincere la sfida contro la marginalità.
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
[ 244
WORKSHOP
[245
GREEN E RED CYCLE
GREY CYCLE
Centro storico Impianto della città di Akragas Parco Archeologio e Paesaggistico Valle dei Templi
P P
Parcheggi scambiatori Parcheggi urbani Porto turistico Porto Industriale
FOCUS STRATEGICI Rete Ferroviaria MetroParco
Focus 1 (asse strada - parco)
FS
Stazioni ferroviarie
Focus 2 (interfaccia)
FS
Stazioni metroParco
Focus 3 (parco “vivo” integrazione e osmosi)
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
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[247
STRATEGIE/
WORKSHOP
Il territorio è il Parco! Il progetto afferma il principio per cui “il territorio è il Parco”, alludendo cioè alla necessità che le politiche di gestione, nonché le strategie progettuali, superino i limiti giuridici del Parco Archeologico, assumendo una maggiore porosità e integrazione di funzioni e servizi come base per un nuovo funzionamento metabolico territoriale. Nel 1857 Von Klenze restituisce, in una visione di sintesi immaginaria, lo stretto rapporto esistente nel paesaggio della Valle proponendo in una unica vista i templi e l’abitato sulla collina, l’attuale centro storico. A questa ideale unità negata dalle dinamiche territoriali contemporanee mira il progetto, proponendo la valorizzazione delle potenzialità di alcune aree periferiche o delle énclaves storiche o dei paesaggi marginali come motore di trasformazione della coesione sociale.
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
La profonda stratificazione culturale di risorse identitarie dell’area deve essere associata alla volontà e alle competenze istituzionali e tecniche capaci di metterla in valore e a una popolazione che avverte la necessità di interagire e di partecipare al progetto di trasformazione.
[ 248
WORKSHOP
[249
STRATEGIE/
L. Von Klenze, Il Tempio della Concordia ad Agrigento, 1857.
Nuova mobilità fast e slow Depotenziamento attraverso ZTL (divieto attraversamento mezzi pesanti e bus turistici) di parte del sistema viario che attualmente attraversa in maniera trasversale e perpendicolare la Valle dei Templi. Individuazione di nuovi parcheggi e parcheggi scambiatori a corona del sistema insediativo e in prossimità del Parco. Creazione di un sistema di mobilità dolce in ambito urbano e di Parco (piste ciclopenali/ippovie/punti di bike sharing a pedalata assistita, self balancing scooter, ecc.)
Ripristiono della produzione agricola e salvaguardia dei paesaggi agrari tradizionali Nuovo modello di gestione del sistema agricolo attraverso l’introduzione di un disciplinare di produzione del marchio Diodors e l’estensione di questo ai territori esterni al Parco. Recupero delle specie arboree ed arbustive tradizionali e reintroduzione di tecniche colturali antiche (centri di ricerca legati alla ricostruzione e applicazione di metodi e strumenti di coltivazione del mondo greco e romano).
Il Parco Archeologico si estende fuori dai suoi confini istituzionali, si “proietta” nel territorio di cui fa parte PATRIMONIO E CREATIVITÀ
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Recupero della qualità urbana dell’abitare diffuso Riqualificazione dei sistema turistici, insediativi e commerciali lungo l’asse viario di Villaggio Mosè tramite la definizione di una nuova ZFU “zona franca urbana” (riconversione di strutture obsolete, incentivi di defiscalizzazione per opere di ristrutturazione edilizia, ecc.). Localizzazione del nuovo polo sportivo in località Villaseta come promomotore di rigenerazione urbana. Tornare ad abitare il Centro storico.
Connettere il Parco Archeologico con l’ecosistema territoriale: un tessuto di cultura materiale e immateriale composto da un intreccio di abitazioni e servizi, cultura e prezioso folkrore. Un territorio denso di risorse naturalistiche e ambientali. Istituzione di una Biennale d’Arte con capacità attrativa e polarizzante che preveda attività di recupero del patrimonio abbandonato o di scarsa qualità estetico/architettonica localizzabile sia all’interno che all’esterno del Parco (street art, installazioni temporanee, recupero del contesto architettonico ecc.) Ridefinizione di una serie di eventi calendarizzati riferibili all’agricoltura di qualità (agroarcheologia), al turismo didattico (Social Farm, laboratori educativi, simulazioni di scavo, ecc.) ed esperenziale (Festival della cucina greco-romana). Progettazione di percorsi archeologici potenziabili grazie all’uso di nuove tecnologie (esperienze di realtà aumentata-Google Glass). Definizione di una nuova MetroParco (a trazione elettrica e/o idrogeno) utilizzando i tracciati esistenti e implementandone le fermate dentro e fuori il Parco.
WORKSHOP
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STRATEGIE/
Connessioni tra Parco ed “ecosistema territorio”
03 PROGETTI/
L’asse, l’interfaccia, il Parco “vivo” Per alimentare la nuova alleanza tra Patrimonio e Creatività è necessario un ambiente urbano e territoriale adeguato, capace di innescare nuove azioni ecosistemiche capaci di potenziarne l’armatura culturale. L’esistenza di una struttura culturale radicata e di un ecosistema creativo sono dunque condizioni necessarie per l’innesco di un processo di culture-based renaissance di un territorio e della sua comunità. A partire da tali considerazioni il concept progettuale ha individuato tre dispositivi strategici: 1. L’asse. La strada Parco: il nuovo accesso principale al Parco Archeologico dal Museo e l’asse di connessione città-area archeologica come passeggiata/ parco. 2. L’interfaccia.Interazione Città-Parco: l’area di confine tra il parco e l’insediamento della città storica è ripensata per accogliere funzioni miste e per fungere da elemento di
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
ammorsamento e percolazione tra le attività di fruizione del Parco e vecchie e nuove funzioni urbane (il Centro d’interpretazione). 3. Il percorso. Il Parco vivo: la ricollocazione del sistema degli accessi, degli itinerari e dei servizi al Parco e attività aperte all’interazione con la città e il territorio. A complemento dei tre dispositivi il progetto propone un nuovo sistema stradale che da una parte liberi il parco e dall’altra riconnetta il territorio in tutte le sue porzioni, agevolando l’abitare diffuso, il riutilizzo, la riqualificazione dei quartieri limitrofi, “ricucendo” le isole sconnesse dal territorio. Il progetto promuove nel Parco e nel centro storico mezzi di mobilità ecosostenibili, mobilità slow (il treno storico per esempio), piste ciclabili, bike e car-sharing, oltre a parcheggi per pullman turistici a piazzale Rosselli e Porta V.
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Connettere Parco e territorio realizzando luoghi di prossimitĂ dove agevolare il confronto e la visione della comunitĂ WORKSHOP
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L’ASSE/ LA STRADA PARCO SIMONA AUGELLO, DARIO GIULIANO, IKRAM KRIDEN, STEFANIA PIAZZA, RIHAB SEDDIK, ZINEB KBAINER (TUTOR) FRANCESCA MONTAGNA
Stabilire un rapporto osmotico e di compenetrazione Città-Parco
Il “nuovo asse stradaParco” si propone come dispositivo di ricucitura tra città e Parco. L’asse di progetto ha origine in prossimità della Stazione Centrale dove una nuova “porta urbana“ si propone come elemento di accesso diretto al Parco. Attraverso sistemi di risalita meccanica l’asse supera il dislivello tra centro storico e Valle, intercettando spazi adiacenti sotto-utilizzati e parte del tessuto urbano esistente. Il progetto propone, ad esempio, la riconversione di un’area al momento in stato d’abbandono in Arts&CreativeHub, con nuovi spazi dedicati alla condivisione e alla socialità, una Design Factory, ResidArt e una della sedi della Biennale d’Arte. Nuovi padiglioni sia all’interno, sia all’esterno del Parco sono uno strumento per il recupero del patrimonio abbandonato o di scarsa qualità attraverso iniziative di street art e installazioni temporanee.
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
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Il museo come accesso al percorso di visita
Una nuova porta urbana al Parco sulla piazza della Stazione Centrale
Un primo tratto del nuovo asse termina in prossimità dello Stadio comunale Esseneto da cui si diparte un tracciato pedonale parzialmente coperto sino al Museo Archeologico Regionale “Pietro Griffo”. Il progetto del nuovo asse assegna al Museo il ruolo di vera e propria area di accesso al Parco e punto di partenza del percorso di visita. Per ciò che concerne la struttura museale, il progetto prevede azioni di nuovo adeguamento espositivo, l’incremento dell’offerta (laboratori didattici, rievocazioni storiche, ecc.) e valorizzazione dell’Ekklesiasterion attraverso rappresentazioni teatrali di musica greca e romana.
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
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Una strada parco ciclopedonale come elemento di ricucitura di spazi pubblici e servizi
I terreni abbandonati posti a corona del Parco sono trasformati in orti urbani ed aree produttive sperimentali, al recupero di tecniche tradizionali e agro-archeologia, e un giardino terapeutico/ sensoriale con essenze tipiche del mondo greco e romano viene associato a una “FloraFarmâ€? per attivitĂ didattiche.
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
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Un asse longitudinale Città-Parco
Il progetto propone una nuova porta urbana e un sistema di connessione fisica e funzionale tra il cuore della città e del suo accesso su ferro (la Stazione) e il cuore del Parco che per il progetto è il Museo, primo elemento di introduzione consapevole al percorso archeologico. L’ipotesi di asse si coniuga anche con i contenuti progettuali del dispositivo del progetto “interfaccia” che, in corrispondenza con l’area dello stadio e del parcheggio adiacente colloca rspettivamente un centro culturale e il Centre d’interprétation come elemento di accoglienza e punto informazione per i turisti.
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Focus/ Approfondimenti progettuali del progetto “Interfaccia” elaborato nel Campus DO.RE.MI.HE.Elaborato di Stefania Piazza estratto da “Archè”, Tesi di Laurea di Simona Franzone e Stefania Piazza, relatore prof. Maurizio Carta, correlatrice prof. Barbara Lino.
L’INTERFACCIA INTERAZIONE CITTÀ-PARCO ALESSANDRA CANALE, BILEL CHEBBI, SIMONA FRANZONE, FEDERICA FRUMENTO, RAHMA HAMZAOUI, MARCO LONGO (TUTOR) FRANCESCO SCRUDATO
Il margine urbano come interfaccia di connessione tra il Parco e la città mediante la configurazione di nuovi servizi
L’area di interfaccia Città-Parco è costituita dall’area di confine tra il parco e l’insediamento della città storica. Il progetto ne ripensa l’assetto per accogliere funzioni miste e per fungere da elemento di ammorsamento e percolazione tra le attività di fruizione del Parco e vecchie e nuove funzioni urbane. L’asse di collegamento che unisce il parco urbano e il giardino botanico è assunto dal progetto come elemento strategico per la costruzione di nuovi spazi pubblici e funzioni pregiate. Elemento cardine del progetto è il Centre d’interprétation che si colloca in un ideale punto di interazione tra l’asse trasversale parco urbano-giardino botanico-Santuario di Porta II e l’ asse longitudinale centro storico-Parco Archeologico.
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
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L’asse trasversale Orto Botanicogiardini
Nell’area di intersezione tra i due assi il progetto colloca un complesso di luoghi ed edifici riqualificati e/o creati ex novo generando un tessuto connettivo capace di ammorsare i due recinti sino ad oggi separati: il Parco e la città. II Centre d’interprétation, in particolare, è pensato come luogo in cui acquisire tutte quelle informazioni di base sul territorio: arte, artigianato, natura e paesaggio, risorse, alimentazione e prodotti tipici, trasporti eventi e manifestazioni culturali di Agrigento, della sua provincia e della regione. Una porta aperta sul territorio.
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Centre d’Intepretation: luogo d’incontro, motore di ricerca e creatività Il Centre d’interprétation è pensato anche come luogo in cui potere costruire un percorso personalizzzato di visita tanto del Parco (ad esempio sfruttando la “realtà aumentata” che permette di avere una percezione realistica degli edifici antichi e selezionando punti di interesse da approfondire), quanto della città e del suo territorio più vasto. Il Centre d’interprétation, infine, è concepito come luogo di incontro e di scambio culturale e dotato di servizi rivolti tanto alla comunità che ai turisti. Luogo di accoglienza visitatori, bookshop e caffè, il Centro fungerà anche da aula multimediale che permetta una interazione diretta tra l’individuo e il territorio, attraverso programmi che permettano di intervenire con proposte e opinioni personali.
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Una nuova centralità con spazi pubblici e servizi per i turisti e per la comunità
Tra le altre attività che potranno essere svolte: mostre di plastici restituivi; rappresentazioni tridimensionali; videoproiezioni illustrative di tutti quegli strumenti che sollecitano la comprensione delle ricchezze custodite nel territorio. Nell’area di interfaccia il progetto colloca anche altri servizi, anche in questo caso rivolti sia ai cittadini che ai turisti. Il palazzetto dello sport mai terminato, adiacente al piazzale, è pensato come spazio co-working e fablab. L’attuale Stadio Esseneto, infine, è pensato come Centro Culturale polivalente destinato a spettacoli musicali, mostre, convegni e meeting.
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Focus/
Approfondimenti progettuali del progetto “Interfaccia” elaborato nel Campus DO.RE.MI.HE.Elaborato di Simona Franzone estratto da “Archè”, Tesi di Laurea di Simona Franzone e Stefania Piazza, relatore prof. Maurizio Carta, correlatrice prof. Barbara Lino.
IL PERCORSO IL PARCO VIVO MARCO OLIVA, SALVATORE PALUMBO, GIOVANNI POLIZZI, IMEN BEN SLIMANE, SAFA HAJ ALI, NERMINE RAJBAOUI (TUTOR) VINCENZO SPATARO
Incremento del rapporto individuoterritorio attraverso il turismo esperienziale. Un sistema di fruizione dinamico e interattivo
Un parco poroso e permeabile: la ricollocazione del sistema degli accessi, degli itinerari e dei servizi al Parco e attività aperte all’interazione con la città e il territorio. Il progetto ha come obiettivo princiale il ripensamento del sistema di utilizzo del percorso archeologico. L’area di cerniera dello Stadio Esseneto è stata pensata per accogliere oltre al Centre d’interprétation anche una zona di interscambio per la mobilità sostenibile. Anche gli spostamenti interni al Parco sono ripensati in chiave sostenibile attraverso l’attivazione di navette elettriche e l’organizzazione di un percorso circolare interno all’area archeologica sfruttando le strade esistenti.
Servizi Stazione autobus
VC
FS
Visitor center
Stazione treni centrale
Ingresso al parco
FS
Stazione
Fermata bus
Taberna romana
Area di servizio
Fermata treno
Area attrezzata
Itinerari
Attrattive Punto panoramico
Porte urbiche 1. Porta di Ponte 2. Porta Panitteri 3. Porta dei Saccajoli 1. Palazzo Borsellino 2. Palazzo Casà 3. Palazzo Crapanzano 4. Palazzo dei Giganti 5. Palazzo della Provincia 6. Poste centrali 7. Stazione Centralea
Chiese 1. Cattedrale di San Gerlando 2. Chiesa di S. Maria dei Greci 3. Chiesa del Santo Spirito 4. Chiesa di S. Domenico 5. Chiesa di S. Pietro 6. Chiesa della Santa Croce 7. Chiesa di S. Giuseppe 8. Chiesa dell’Addolorata 9. Chiesa di S. Giacomo 10. Chiesa di S. Lucia 11. Chiesa di S. Francesco di Paola 12. Chiesa del Purgatorio 13. Chiesa Batiola 14. Chiesa di S. Nicola
PATRIMONIO E CREATIVITÀ
Area 3D Glass 1. Tempio di Vulcano 2. Santuario delle Divinità Ctonie 3. Tempio di Zeus 4. Tempio di Ercole 5. Tempio della Concordia 6. Tempio di Giunone 7. Santuario Rupestre 8. San Biagio 9. Santa Maria dei Greci 10. Necropoli Pezzino 11. Necropoli di San Gerlando 12. Tomba di Terone 13. Santuario di Esculapio 14. Porta VI 15. Basilicula 16. Porta I 17. Agorà inferiore 18. Agorà superiore 19. Ipogei Giacatello 20. Quartiere ellenistico-romanoa
Principale Panoramico San Calogero Storico-culturale Area orientale Cardo - decumano Necropoli romane Necropoli Pezzino Agorà inferiore
Strada ferrata Circolare interna al parco Navetta posteggio-case S. Filippo
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Servizi per il turismo esperenziale
Mobilità slow e sostenibile
Dopo la visita al Centre d’interprétation e il Museo archeologico, il percorso prevede la visita all’area del Quartiere ellenistico-romano, preseguendo per la via Panoramica Valle dei Templi, la via Sacra, da est a ovest, fino alla fermata ferroviaria del Tempio di Vulcano. All’itinerario principale il progetto affianca sei percorsi secondari nell’area archeologica, e due percorsi ulteriori all’interno del centro storico. Il progetto integra, infine, alcuni servizi all’interno dell’area archeologica, in edifici e aree già in possesso dell’Ente Parco o in fase di esproprio. Questi servizi sono diretti a integrare la visita classica con attività a maggiore impatto emozionale e basate sull’esperienza diretta (realtà aumentata, laboratori di cucina antica, ecc.).
GLI AUTORI ANGELA ALESSANDRA BADAMI È professore associato di Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo. Conduce ricerche sulla valorizzazione del patrimonio culturale territoriale e sui processi di rinnovamento urbano per lo sviluppo economico e sociale e la riqualificazione delle città. FILIPE THEMUDO BARATA È professore di Storia e Patrimonio Culturale presso l’Università di Évora e responsabile della Cattedra UNESCO sul patrimonio immateriale e la specializzazione intelligente. Esperto di politiche culturali, è autore di diverse pubblicazioni e saggi. ANDREA BARTOLI Notaio dal 2000, è cultore dei linguaggi del contemporaneo con particolare interesse all’architettura, al design, all’arredo urbano, all’arte, alla rigenerazione urbana e riqualificazione territoriale. Insieme a Florinda Saieva, compagna di vita e complice di tutte le sue iniziative, nel mese di giugno del 2010 ha dato alla luce, a Favara, Farm Cultural Park, Centro Culturale di nuova generazione, vincitore di innumerevoli premi tra cui, nel 2011, il Premio di Gestione indetto da Federculture. AURELIO BURGIO Archeologo, è professore associato di Topografia antica presso l’Università degli Studi di Palermo. I suoi interessi scientifici sono indirizzati all’evoluzione del paesaggio antico, rurale e urbano, e sull’archeometria della ceramica. Autore di due monografie (2002 e 2008), ha curato, con Oscar Belvedere, una pubblicazione sull’evoluzione della forma urbana dell’antica Agrigento (2012). MAURIZIO CARTA È professore ordinario di Urbanistica e Presidente della Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Palermo. È autore di numerose pubblicazioni, tra le più recenti: Creative City (2007); Governare l’evoluzione (2009); Reimagining Urbanism (2013); Urban Hyper-metabolism (Carta, Lino, a cura di, 2015); The Fluid City Paradigm (Carta, Ronsivalle, a cura di, 2016). CATERINA GRECO Soprintendente ai beni culturali e ambientali di Agrigento, già Direttore del Parco di Selinunte e Cave di Cusa e Soprintendente Archeologo della Calabria e, ad Interim, della Basilicata. Archeologa, specializzata presso la Scuola Archeologica Italiana di Atene. Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici su temi e problemi di topografia fenicio-punica, archeologia tardo-romana, scultura greca, pittura ellenistico-romana, politica dei beni culturali. CARMELO GALATI TARDANICO Architetto e PhD in Pianificazione Urbana e Territoriale. I suoi campi di ricerca principali riguardano il metabolismo urbano, la smart and green city e le problematiche relative alla sostenibilità urbana. Già assegnista di ricerca in Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo, ha condotto attività di ricerca nell’ambito del Progetto i-NEXT. BARBARA LINO Architetto e PhD in Pianificazione Urbana e Territoriale, è ricercatore presso l’Università degli Studi di Palermo. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sui temi della rigenerazione urbana, i contesti marginali e lo sviluppo locale. Tra le più recenti pubblicazioni: Periferie in trasform-azione. Riflessioni dai “margini” delle città (2013) e Urban Hyper-metabolism (Carta, Lino, a cura di, 2015). LUCIO MELAZZO Professore Ordinario di Glottologia e Linguistica presso l’Università degli Studi di Palermo, è relatore di convegni nazionali e internazionali ed autore di diverse pubblicazioni e saggi. FRANCESCA MONTAGNA Dottoressa in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale, collabora alla docenza presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo. Particolarmente attenta ai temi della pianificazione strategica partecipata, gli iper-metabolismi rur/urbani e i rispettivi arcipelaghi territoriali creativi. La sua formazione si è incrementata grazie alla partecipazione a convegni, workshop e attività di ricerca.
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GIUSEPPE PARELLO Direttore del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento. Nell’amministrazione regionale, dai primi anni ‘90, ha rivestito ruoli di responsabilità presso la Soprintendenza di Ragusa occupandosi della Sezione Paesaggistica. È stato Direttore del Servizio Architettura Contemporanea del DARC. Appassionato di arte contemporanea, ha promosso diverse residenze d’artista e mostre all’interno della Valle, pubblicate nel volume Divinazioni (2015). Ha organizzato inoltre numerosi workshops e concorsi di architettura tra cui quello per la realizzazione della passerella della Valle dei Templi, i cui risultati sono stati pubblicati nel volume La passerella nella Valle dei Templi. Dal concorso alla realizzazione. Agrigento 2015. ELISA CHIARA PORTALE Professore associato di Archeologia classica, coordinatore dei Corsi di Laurea di Beni Culturali e Archeologia dell’Università degli Studi di Palermo. È responsabile di ricerche archeologiche in corso ad Agrigento e Sabratha (Libia), e autrice di numerose pubblicazioni su problematiche e contesti archeologici della Sicilia, Grecia e Tripolitania, occupandosi in particolare di temi di archeologia del sacro, cultura materiale e figurativa, produzioni e commerci nel mondo antico. DANIELE RONSIVALLE Architetto e PhD in Pianificazione Territoriale e Urbanistica presso l’Università degli Studi di Palermo, è ricercatore presso il Dipartimento di Architettura. I suoi interessi di ricerca riguardano la pianificazione urbana, l’innovazione nel rapporto tra paesaggio e identità culturale e le nuove frontiere della pianificazione urbana. È membro di un gruppo operativo del Dipartimento di Architettura per la partecipazione a progetti europei e nazionali. VALERIA SCAVONE Ricercatore in Urbanistica dal 2006 presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo. Relatore di convegni nazionali e internazionali, è autore di diverse pubblicazioni su Agrigento e il contesto territoriale. ANDREA SCIASCIA È professore ordinario di Composizione architettonica e urbana e Direttore del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo. È autore di numerose pubblicazioni, tra le più recenti: Periferie e città contemporanea. Progetti per i quartieri Borgo Ulivia e Zen di Palermo (2012), con Marcello Panzarella ed Emanuele Palazzotto; Nuove Chiese per la liturgia rinnovata (2010); ed è curatore dei seguenti volumi: Costruire la seconda natura, La città in estensione in Sicilia tra Isola delle Femmine e Partinico (2014); … nella continuità. La didattica del progetto a Palermo (2014). VINCENZO SPATARO Architetto esperto in Pianificazione Integrata per lo Sviluppo Sostenibile e in Tecniche Avanzate di Modellazione Digitale e Visualizzazione Interattiva dell’Architettura. Collabora nei Corsi di Composizione architettonica della Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Palermo e in varie attività di ricerca del Dipartimento di Architettura. Specializzato in comunicazione e marketing territoriale. FRANCESCO SCRUDATO Architetto ed esperto in Pianificazione Integrata per lo Sviluppo Sostenibile. Collabora nei corsi di Composizione architettonica della Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Palermo e in varie attività di ricerca del Dipartimento di Architettura. Si interessa ai temi della rigenerazione urbana e dello sviluppo locale con la realizzazione di progetti e attività. GIANFRANCO TUZZOLINO Architetto e professore di Composizione architettonica e urbana e insegna nei Corsi di Laurea in Architettura della Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Palermo. Ha svolto attività didattica presso l’University of Jordan of Amman, l’Al al-Bayt University of Al-Mafraq, la Drexel University of Philadelphia, l’École Nationale Supérieure d’Architecture de Paris-Malaquais. È coordinatore del Master in Architettura islamica e di Summer school sui temi dell’architettura del Mediterraneo. Ha pubblicato numerosi saggi, tra i quali: City and desert. Notes from a journey in Jordan (2012); La misura e lo sguardo. L’architettura nel paesaggio delle differenze (2012); Cardella, Pollini. Architettura e didattica (2001); La poetica del limite. Otto riflessioni sul progetto di architettura (2001).
GLI AUTORI
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A cura di Maurizio Carta Direttore Editoriale Pino Scaglione Assistente Editoriale Gioia Marana Art Director & Graphic Design Blacklist Creative Studio, Barcelona blacklist-creative.com Progetto grafico Barbara Lino Produzione Digitale Arianna Scaglione Stampato e rilegato in Unione Europea, Giugno 2016 ISBN 9788898774951 Tutti i diritti riservati © dell’edizione LISt Lab © dei testi gli autori © delle immagini gli autori Promozione e distribuzione in Italia Messaggerie Libri, Spa, Milano, Numero verde 800.804.900 assistenza.ordini@meli.it Promozione e distribuzione internazionale ActarD, USA ACC London Comitato Scientifico delle edizioni List Eve Blau (Harvard GSD), Maurizio Carta (Università di Palermo), Alfredo Ramirez (Architectural Association London) Alberto Clementi (Università di Chieti), Alberto Cecchetto (Università di Venezia), Stefano De Martino (Università di Innsbruck), Corrado Diamantini (Università di Trento), Antonio De Rossi (Università di Torino), Franco Farinelli (Università di Bologna),
DOREMIHE - Doctorat de Recherche pour la Mise en valeur de L’Hritage naturel et culturel (Projet n°2AS3.3/005) PRIORITÉ 3. Coopération culturelle et scientifique, et appui au tissu associatif MESURE 3.3 Formation et échanges de jeunes et d’étudiants Il Programma Italia Tunisia, la cui gestione congiunta è stata affidata al Dipartimento della Programmazione della Regione Siciliana, si iscrive nell’ambito dello Strumento Europeo di Vicinato e Partenariato (ENPI), implementato nel contesto dell’allargamento dell’Unione Europea. La cooperazione transfrontaliera (CT) ha quattro obiettivi principali: lo sviluppo economico e sociale dei paesi transfrontalieri, fare fronte a sfide comuni, assicurare la sicurezza e l’efficacia delle frontiere, promuovere la cooperazione e lo scambio. Il presente volume è stato realizzato grazie all’aiuto finanziario dell’Unione Europea nell’ambito del Programma ENPI CT Italia Tunisia 2007-2013. Il suo contenuto è di esclusiva responsabilità del Beneficiario e non può in nessun caso essere considerato come riflesso della posizione dell’Unione Europea o della posizione delle strutture di gestione del Programma. www.doremihe.eu