Manuale di management per le professioni sanitarie 4/ed di: Carlo Calamandrei

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Generalità sulle organizzazioni e principali teorie organizzative Carlo Calamandrei Paolo Pratesi

INTRODUZIONE I problemi della gestione di attività complesse, dell’ottenimento di risultati attraverso il lavoro di più persone e, quindi, della loro supervisione e coordinamento sono stati affrontati fin dall’antichità. Lo attesta con chiarezza il seguente brano dell’Antico Testamento: Il giorno dopo Mosè cominciò ad esaminare in giudizio le questioni del popolo. Dal mattino fino a sera c’era gente da lui. Quando Ietro vide tutto quel che Mosè aveva da fare per il popolo, gli disse: “Perché fai così? Perché giudichi da solo, costringendo il popolo ad attendere da mattino a sera?” Mosè rispose al suocero: “Il popolo mi cerca per conoscere la volontà di Dio. Quando c’è qualcosa tra loro, vengono da me. Io esamino i loro problemi e faccio conoscere le leggi e gli insegnamenti di Dio”. Suo suocero riprese: “Non va bene fare così! Tu

e la tua gente finirete per crollare! È un compito troppo pesante per te; non puoi farcela da solo! Ascolta, voglio darti un consiglio e Dio sia con te! Sta’ davanti a Dio in nome del popolo per presentargli i vari problemi. Spiegherai alla gente le leggi e gli insegnamenti di Dio; indicherai loro la via da seguire e quel che devono fare. Per il resto sceglierai tra tutto il popolo uomini seri, rispettosi di Dio, uomini che amano la verità e non si lasciano corrompere. Li porrai come responsabili di gruppi di mille, di cento, di cinquanta e di dieci persone. Essi dovranno risolvere le questioni del popolo in ogni circostanza. Presenteranno a te soltanto le questioni importanti; le altre, le regoleranno da soli. Così il tuo compito sarà meno pesante perché essi lo porteranno con te. Se tu fai così – e se questa è la volontà del Signore – potrai resistere, e anche tutta questa gente andrà avanti sicura”. Mosè diede retta al suocero e fece quel che gli aveva suggerito. (Esodo, 18, 13-24.)


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Lo studio sistematico di tali problemi all’interno delle organizzazioni è però incominciato in tempi relativamente recenti e si è sviluppato parallelamente all’evoluzione delle organizzazioni stesse. È proprio con la trattazione di questa evoluzione e di alcuni modelli teorici elaborati per spiegarla che si è ritenuto opportuno iniziare questo libro: lo scopo è di fornire ai lettori elementi di comprensione di un contesto organizzativo, con le sue articolazioni, i suoi meccanismi di funzionamento, le sue problematiche e le sue linee di sviluppo. Questa vasta tematica sarà trattata parlando prima delle organizzazioni in generale, poi di quelle che forniscono servizi, infine delle organizzazioni destinate all’erogazione di servizi volti alla tutela della salute.

L’EVOLUZIONE DELLE ORGANIZZAZIONI DALL’INIZIO DEL XX SECOLO A OGGI Per organizzazione, in questo caso organizzazione di lavoro, si intende comunemente un complesso di persone e di beni orientato al raggiungimento di specifiche finalità. In una organizzazione di lavoro si possono distinguere due aspetti, in quanto essa:

• è fatta di strutture, tecnologia, norme e procedure. La sua direzione, se vuole puntare al miglioramento dell’efficacia, dell’efficienza e della qualità del prodotto o servizio, richiede strumenti hard come analisi statistiche, progetti, interventi strutturali e tecnici, metodologia; • al tempo stesso, è costituita da persone con le loro percezioni, vissuti e interazioni, persone che devono costantemente apprendere e mettersi in discussione per modificare il loro modo di operare quando i mutamenti ambientali o culturali lo impongono. Perciò, per svolgere adeguatamente funzioni direttive, occorrono anche strumenti soft quali una comunicazione basata sull’ascolto e la reciprocità, il lavoro per gruppi, le riunioni, la formazione permanente e tutto ciò che serve a stimolare la motivazione nei dipendenti.

Queste realtà così complesse e soggette a una costante evoluzione sono state diversamente in-

terpretate nel corso del XX secolo e differenti sono state le modalità di gestione ritenute di volta in volta più adeguate. Verranno ora presentate in sintesi alcune delle principali concezioni elaborate fino a oggi.

L’organizzazione come macchina: la teoria della direzione scientifica L’idea dell’organizzazione come macchina costituisce la metafora della teoria dell’organizzazione classica, alla cui formulazione hanno provveduto il sociologo tedesco Max Weber, l’ingegnere francese Henry Fayol e vari altri autori. Particolarmente rilevante è stato il contributo dell’ingegnere americano Frederick W. Taylor (Usa, 1856-1915), il capostipite della scuola denominata della direzione scientifica (Scientific Management). I metodi di lavoro ancora vigenti all’inizio del Novecento si basavano sulla capacità dei lavoratori di imparare dall’esperienza e di tramandarsi oralmente l’esecuzione dei compiti, nonché sul ruolo dei supervisori come dispensatori di premi e punizioni. Questi metodi cominciavano ad apparire inadeguati in un contesto di rapida e diffusa industrializzazione che esponeva le aziende alla sfida dell’efficienza e dell’aumento di produttività. La scuola della Direzione scientifica si rende conto del problema e formula per prima, con riferimento alla fabbrica, principi e modelli di organizzazione del lavoro e di gestione manageriale. I principi sostenuti da Taylor per realizzare un modello più moderno di organizzazione si possono riassumere come segue: • l’azienda deve darsi un modello organizzativo ispirato a regole scientifiche e razionali. A tale scopo bisogna studiare i movimenti del corpo dei lavoratori, applicando a essi i principi delle scienze fisiche: si devono analizzare i tempi, i vincoli fisici e tecnologici della fabbrica, il peso dei materiali trasportati, le distanze. Occorre che anche l’operazione più semplice e ripetitiva sia analizzata nel dettaglio e misurata con precisione per trovarne la modalità esecutiva più efficiente, in modo da trasformarla in mansione specializzata. Lo scopo è quello di ottimizzare le capacità delle macchine e degli uomini partendo


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dal concetto che quanto più un procedimento è scomposto nelle sue componenti elementari tanto più il lavoratore si può specializzare in una fase di esso, con un aumento dell’efficienza; • la divisione del lavoro deve essere accurata, con un controllo centralizzato, secondo una struttura piramidale, la “piramide del controllo”, al cui vertice vi è il capo dell’organizzazione. Chi riveste il ruolo più elevato ha l’obbligo di controllare l’operato dei dipendenti di grado inferiore; • i capi devono selezionare la manodopera più idonea all’esecuzione delle varie mansioni e quindi addestrarla in base ai nuovi principi scientifici; • un altro compito che spetta ai dirigenti è quello di tenere sotto controllo la produttività dei lavoratori affinché questi si attengano alle regole e, cosa ancora più importante, migliorino costantemente i propri standard di efficienza. Ai dipendenti che superano gli standard definiti ottimi è giusto e necessario assegnare una retribuzione maggiore di quella media della categoria di appartenenza; • il salario va determinato esclusivamente in rapporto all’attività che viene svolta. Il cottimo è l’ideale. La concessione di retribuzioni e incentivi ispirati a principi di razionalità e trasparenza, quindi misurabili e verificabili da entrambe le parti, deve servire a evitare conflitti di natura salariale. È infatti importante il mantenimento di rapporti di armonia fra la direzione aziendale e le rappresentanze dei lavoratori.

In sintesi, la scuola poi definita taylorismo considera i lavoratori sensibili soltanto alle ricompense economiche e ritiene l’organizzazione un sistema di accurata divisione del lavoro, gestita in maniera rigidamente gerarchica. L’impatto dei metodi tayloristici sull’analisi e sulla progettazione delle organizzazioni di lavoro è stato enorme e variamente giudicato. Considerato per lungo tempo il metodo migliore di organizzazione, ha contribuito a un grande aumento della produttività; al tempo stesso, ha spesso ridotto i dipendenti a veri e propri automi. Non a caso Taylor sosteneva che i lavoratori non sono tenuti a pensare perché nell’azienda vi sono altre persone pagate per farlo.

L’organizzazione come organismo: la teoria delle relazioni umane I cambiamenti che si verificavano nel mondo delle imprese e le crescenti difficoltà incontrate dall’approccio meccanicistico hanno indotto molti studiosi dell’organizzazione a ispirarsi per i loro studi a concezioni biologiche, arrivando a considerare l’organizzazione un’entità che può essere paragonata a un organismo. Alla luce di questo modello diventa più agevole concentrare l’attenzione su problematiche quali la sopravvivenza dell’azienda, i suoi rapporti con l’ambiente circostante e la sua efficacia organizzativa. Una tappa fondamentale per il superamento dei limiti della teoria meccanicistica è rappresentata dagli studi compiuti fra il 1920 e il 1930, sotto la direzione di Elton Mayo, presso lo stabilimento di Hawthorne della Western Electric di Chicago. Iniziata con altri scopi, la ricerca ha finito per mettere in evidenza gli atteggiamenti dei lavoratori, i loro bisogni sociali, la capacità dei gruppi di dipendenti di soddisfare tali bisogni riducendo la produzione e svolgendo attività non pianificate. È emersa la presenza di una organizzazione informale, basata sulla spontanea formazione di gruppi di amici fra i lavoratori, che convive con quella formale prevista dalla direzione, nonché di una comunicazione non pianificata di tipo emotivo. La componente umana dell’organizzazione è risultata importante quanto quella contemplata dai progetti formali. Nasce così, in quanto sviluppo-reazione all’indirizzo formale classico, la teoria delle relazioni umane, le cui tesi principali sono in sintesi le seguenti: • non sono le capacità fisiche, ma quelle sociali che determinano la quantità di lavoro svolta da un operaio, e quindi l’efficienza dell’organizzazione. Sono perciò importanti le percezioni e i sentimenti dei lavoratori, in particolare il loro grado di soddisfazione: tutto ciò che lo incrementa contribuisce a ottenerne la collaborazione, a beneficio dell’efficienza organizzativa. In questa prospettiva, non sono utili la parcellizzazione e la specializzazione forzata delle mansioni (che, comunque, restano largamente praticate), bensì iniziative quali la costituzione di squadre di lavoro, la rotazione dei compiti e altre;

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• sul comportamento dei lavoratori non hanno influenza solo le sanzioni e i premi monetari, ma anche quelli di natura simbolica. Per esempio, è probabile che un dipendente non produca né più né meno di quanto è previsto dalla “norma di gruppo” per non perdere la considerazione e il rispetto dei colleghi; • nei confronti dei dirigenti e delle norme da essi emanate i dipendenti reagiscono spesso, anziché in qualità di individui, come membri di un gruppo, che ha pure delle norme che essi vogliono rispettare; • i dirigenti di vario livello non sono gli unici leader dei lavoratori, ma vi sono anche leader informali. Si tratta di lavoratori che, agli occhi dei compagni, incarnano in modo particolarmente spiccato le norme del gruppo; essi influenzano il comportamento dei colleghi e fungono spesso da loro portavoce; • i capi gerarchici sono meglio accettati se adottano uno stile di direzione ispirato alle relazioni umane, nel quale hanno grande importanza:

– la comunicazione fra i diversi livelli organizzativi, tendente, in particolare, a spiegare ai lavoratori di grado inferiore nella scala gerarchica le motivazioni alla base delle scelte e delle decisioni; – la partecipazione dei dipendenti ai processi decisionali (una partecipazione che, in genere, è più di natura tecnica e correlata all’efficienza che non di tipo sociale e politico).

In sintesi, la scuola delle relazioni umane evidenzia la centralità del fattore umano, gli aspetti emotivi, non razionali e non prevedibili del comportamento organizzativo e il concetto di organizzazione informale. Essa propone che l’azienda assicuri ai lavoratori un’atmosfera protettiva e ricca di rapporti interpersonali, ottenendone in cambio l’attaccamento, la lealtà, l’accettazione dei suoi fini e delle sue strategie. Le scoperte di questa scuola non sono state sempre utilizzate per soddisfare realmente i bisogni sociali dei lavoratori: con il metodo della “pacca sulla spalla” si è tentato in molti casi di imbrigliare i dipendenti in una fedeltà all’azienda tale da negare gli interessi e il conflitto di classe.

Comunque, con la teoria delle relazioni umane ha inizio l’approccio basato sull’assunto che le persone e i gruppi, al pari degli organismi biologici, danno il meglio di sé soltanto quando i loro bisogni vengono soddisfatti. Si ispirano alla metafora dell’organizzazione come organismo altri approcci successivi alla scuola delle relazioni umane, fra i quali la concezione sistemica e l’approccio situazionale, dei quali saranno esaminate qui di seguito le caratteristiche principali.

L’organizzazione come sistema La visione delle organizzazioni come sistemi aperti all’ambiente che le circonda prende piede nel secondo dopoguerra del secolo scorso sull’impronta delle teorie del biologo di origini austriache Ludwig Von Bertalanffy. Sotto l’influenza delle conoscenze, allora agli albori, della cibernetica e della teoria dell’informazione, egli fonda la Teoria Generale dei Sistemi. Secondo questa teoria, il centro decisionale dell’organizzazione stabilisce gli obiettivi verso cui tendere in risposta alle richieste dell’ambiente nel quale opera la stessa organizzazione. Gli obiettivi sono basati sulle informazioni che provengono dall’ambiente, per consentire gli opportuni scambi fra i fattori che, dall’esterno, entrano all’interno dell’organizzazione (idee, norme, informazioni, materie prime, tecnologie ecc.) e quelli che ne escono (servizi, prodotti finiti, beni per i componenti dell’organizzazione ecc.). Il capitolo 11 affronterà nel dettaglio il metodo di analisi delle organizzazioni che deriva da questo approccio teorico. Ne Il sistema sociale, il sociologo Talcott Parsons approfondisce la visione del sistema come un insieme interrelato di parti che è capace di autoregolazione e in cui ogni parte svolge una funzione necessaria alla riproduzione dell’intero sistema. Sviluppatosi negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, l’approccio sistemico si caratterizza quindi per i seguenti concetti centrali: • Sistema: questo termine designa un’entità, costituita da più componenti, che un confine definito distingue, agli occhi di chi osserva, da ciò che non appartiene al sistema stesso, cioè dal suo sfondo: la parte dello sfondo che inte-


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ragisce direttamente con il sistema è detta ambiente. Quando il comportamento dell’insieme non è riducibile in alcun modo a quello delle sue componenti si parla di sistema complesso. • Sistema aperto: al pari dei sistemi organici (cellula, organismo, popolazione di organismi), l’organizzazione è in una condizione di continuo interscambio con l’ambiente. In questo senso l’organizzazione è un sistema aperto, caratterizzato da un ciclo continuo di input, trasformazione interna, output e feedback.

– Gli input, o fattori in ingresso, sono attinti dall’ambiente esterno e sono di natura sia materiale che immateriale: risorse finanziarie e professionali, norme e valori sociali, informazioni ecc. – L’attività di trasformazione di tali fattori assomiglia a quella che viene svolta da un organismo che ricava dalle sostanze nutritive le proteine di struttura, i principi energetici e così via. La trasformazione operata in seno all’organizzazione permette di creare prodotti o servizi. L’assistenza infermieristica, sia nella sua dimensione autonoma sia in quella di stretta collaborazione con l’attività di altri professionisti, costituisce un esempio di questa componente. – Gli output, o fattori in uscita, consistono in beni prodotti (per esempio, giornali, automobili, elettrodomestici) o in servizi, come quelli che tendono a migliorare la salute delle persone assistite1. – Il termine feedback indica quei segnali di ritorno grazie ai quali ogni elemento dell’esperienza influenza quello successivo. A titolo di esempio, la soddisfazione degli utenti è un feedback di grande importanza per le aziende sanitarie.

• Omeostasi: gli organismi biologici hanno una capacità di autoregolazione che permette loro di mantenersi in uno stato determinato, dalle caratteristiche costanti e relativamente indipendente dalle caratteristiche dell’ambiente nel quale si trovano. È per questo, per esempio, che, quando il tasso glicemico si abbassa oltre un certo limite, si presentano alcuni sintomi (astenia, agitazione, malessere e altri) che inducono la persona ad assumere zuccheri per ripristinare il livello normale. Anche i sistemi sociali, come le organizzazioni, mantengono la loro stabilità grazie a processi di controllo omeostatico: un’azienda sanitaria, per esempio, può decidere di potenziare determinate attività ambulatoriali se questo le consente di reperire risorse economiche che contribuiscono a fronteggiare una situazione di deficit. • Differenziazione e integrazione: come i sistemi biologici, l’organizzazione può essere considerata un insieme di parti, o sottosistemi, che svolgono ciascuno funzioni specializzate: il SITRA (Servizio Infermieristico Tecnico Riabilitativo Aziendale, delle cui caratteristiche si parla nel capitolo 8), per esempio, può essere ritenuto un sottosistema del sistema “ospedale” o di quello “azienda sanitaria”. Più complesso è il sistema (si pensi a un ospedale in rapporto a una unità operativa al suo interno), maggiori sono la differenziazione e la specializzazione funzionale. Perché il sistema possa funzionare adeguatamente come tale, l’integrazione fra i sottosistemi è più importante dell’efficienza di ciascuno di essi: sotto questo aspetto un’organizzazione necessita di meccanismi integrativi paragonabili a quelli funzionanti nel cervello dell’uomo. Un’integrazione efficace richiede anche che fra i sottosistemi vi sia congruenza: se,

1 Il concetto di output, che in questa accezione si intende come “fattore in uscita”, sta assumendo un’importanza sempre maggiore in ambito sanitario. L’output, o meglio l’outcome, termiche che pone l’accento sul risultato o l’esito ottenuto dal processo di cura si possono considerare come i “prodotti” di tutte le organizzazioni che erogano servizi correlati alla salute. Poter valutare le loro caratteristiche, sotto tutti gli aspetti, è molto importante. In ambito infermieristico si sta sviluppando sempre di più il dibattito sulla valutazione dell’impatto delle attività infermieristiche su questi “fattori in uscita” delle aziende sanitarie: si parla, infatti, di “esiti sensibili all’infermieristica” o di outcome influenzati dagli infermieri. Alcuni di questi possono essere misurati attraverso indicatori quali, per esempio, il tasso di mortalità durante il ricovero e immediatamente successiva, la riduzione del dolore provato dagli assistiti, la prontezza nel risolvere situazioni di grave urgenza clinica, la capacità di evitare che insorgano infezioni correlate al ricovero o lesioni da pressione ecc. A questo proposito si veda il capitolo 6.

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per esempio, il sottosistema amministrativo è di tipo burocratico, mentre quello professionale (ovvero l’insieme delle attività dei professionisti sanitari) si caratterizza per ruoli complessi e ad alta discrezionalità, sono probabili conflitti, demotivazione e risultati insoddisfacenti. • Varietà necessaria: poiché l’organizzazione è inserita in un ambiente ed è in rapporto costante con esso, deve avere al suo interno una varietà di meccanismi regolatori almeno pari alla varietà che caratterizza l’ambiente: in caso contrario non potrebbe gestire le sfide ambientali e finirebbe forse per atrofizzarsi. Per esempio, a richieste variabili della popolazione anziana della città un’azienda sanitaria non può rispondere solo con un certo tipo di servizio ma con servizi di riabilitazione, centri diurni, residenze sanitarie assistenziali ecc. • Equifinalità: diversamente dai sistemi chiusi, i sistemi viventi sono caratterizzati da modelli organizzativi flessibili, grazie ai quali possono ottenere determinati risultati con percorsi diversi e avvalendosi di risorse differenti. Qualunque sia il punto di partenza, un’organizzazione può modificare la propria struttura, così come i fini da raggiungere e i mezzi da impiegare. Per esempio, un ospedale nato come monospecialistico (pediatrico, ortopedico-traumatologico ecc.) può trasformarsi in un ospedale generale, apportando modifiche ai locali, alle attrezzature, alla tipologia di personale e alla sua preparazione e così via. Come vedremo, possono risultare efficaci e opportune anche modalità di direzione diverse da un dirigente all’altro o da una situazione all’altra.

Grazie alle caratteristiche sopra descritte un sistema aperto può evolversi per passare a forme più complesse di differenziazione e di integrazione e gestire adeguatamente le sfide e le opportunità che l’ambiente presenta. In sintesi, l’approccio sistemico, diversamente dalla teoria dell’organizzazione classica, attribuisce grande importanza all’ambiente che l’organizzazione deve tenere in debito conto, specialmente quando svolge la propria attività di progettazione. Sottolinea, inoltre, la necessità della congruenza fra i sottosistemi e di adeguate

relazioni fra l’uno e l’altro. Vede negli individui non singole persone ma persone che svolgono ruoli specifici, cioè modelli di comportamento regolati da norme e orientati all’espletamento di una funzione: i signori X e Y non interessano tanto come persone quanto come infermiere e paziente. Il sistema sociale è dunque un sistema di ruoli: nell’ambito del proprio ruolo ogni individuo entra in relazione con gli altri e contribuisce alla riproduzione del sistema nel suo complesso.

L’approccio situazionale all’organizzazione La varietà e la flessibilità che la metafora organicistica esprime si ritrovano anche nell’approccio situazionale, una concezione che è andata sempre più imponendosi nell’analisi organizzativa degli ultimi anni. Questo approccio è noto anche come Teoria delle contingenze strutturali (Lawrence e Lorsh, 1967). La sua tesi centrale è che non esiste un modello organizzativo valido per ogni situazione, poiché il modello da preferire cambia di volta in volta in base ai fini che si vogliono raggiungere e ai cambiamenti ambientali. La buona integrazione che il management deve comunque realizzare può richiedere diversi stili di direzione a seconda delle mutevoli esigenze dell’ambiente e dei vari settori della stessa organizzazione. Nelle aziende che operano in un ambiente relativamente stabile e si avvalgono di tecnologie semplici e standardizzate, si può conseguire una buona integrazione, ossia un adeguato raccordo di più sottosistemi in vista di risultati comuni, adottando i tradizionali strumenti rappresentati dalla gerarchia (un buon capo) e dalle procedure, che definiscono a priori in maniera dettagliata i comportamenti richiesti. A mano a mano che le condizioni ambientali diventano più incerte e i compiti più complessi e meno ripetitivi, tale approccio meccanicistico va abbandonato a favore di approcci organici e flessibili. Alla struttura gerarchica formale e alle procedure che ancora possono essere necessarie si devono affiancare metodi quali le riunioni per analizzare i problemi, i gruppi di progetto e di lavoro, la formazione permanente e così via. L’approccio situazio-


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nale ritiene necessario, in altri termini, che alcune organizzazioni siano più organiche di altre e che il livello di organicità differisca anche fra le diverse sottounità di una medesima organizzazione. Un’azienda è vincente nella misura in cui riesce a realizzare un sufficiente equilibrio fra la strategia, la struttura, la tecnologia, i bisogni e le aspettative dei dipendenti e le richieste dell’ambiente esterno.

L’organizzazione come ologramma-cervello In un contesto trasformato dai grandi e veloci cambiamenti che avvengono oggigiorno in campo economico, sociale e culturale, e segnatamente dall’avvento di tecnologie basate sull’informatica, si è verificata una crisi dei modelli organizzativi tradizionali. Molti studiosi e dirigenti di aziende si sono convinti del fatto che i lavoratori, purché soggetti a una formazione continua e disposti alla flessibilità delle mansioni, possono essere in grado di intervenire non solo nei processi con operazioni in gran parte ripetitive, ma anche nei progetti. Assai più che in passato appare opportuno il riconoscimento dell’individualità, della creatività e della responsabilità di ciascuno, nonché dell’utilità del lavoro in gruppo. Nei contesti organizzativi più avanzati si assiste così all’ingresso, a fini competitivi, di nuovi concetti, metodologie, tecnologie e competenze: qualità totale, organizzazione snella (di cui si parlerà nel capitolo 4), organizzazione per processi, per l’apprendimento, management partecipativo, leadership trasformativa ecc. Essi potrebbero apparire frammentari, occasionali, difficili da inquadrare e comprendere se mancasse una chiave di lettura dell’insieme: a fornirla è la nuova metafora dell’ologramma-cervello2.

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L’ologramma è una lastra fotografica che può dare immagini tridimensionali, prodotta mediante l’olografia, cioè una tecnica fotografica atta a registrare figure di interferenza prodotte dalla sovrapposizione di due fasci laser, uno riflesso dall’oggetto interessato e l’altro proveniente direttamente dalla sorgente stessa o da uno specchio per riflessione. La caratteristica più importante in questo contesto è che l’insieme viene memorizzato in ogni singola parte, per cui, se l’ologramma si rompesse, ogni singolo pezzo potrebbe venire utilizzato per ricostruire l’intera immagine. Il carattere olografico del cervello (da cui deriva la denominazione completa della metafora) consiste nel fatto che ogni neurone è collegato a molte migliaia di altri in maniera da permettere un funzionamento che è al tempo stesso generalizzato e specializzato. L’alta interconnessione fra le varie parti del cervello fa sì che, in larga misura, una parte sia in grado all’occorrenza di espletare le funzioni delle altre. Applicare la metafora dell’ologrammacervello alle organizzazioni significa dare particolare risalto alla loro natura di sistemi informativi, decisionali e di comunicazione, sistemi in cui ogni parte riproduce in qualche misura l’insieme (“far entrare l’intero nelle parti”). A comprendere la natura e la portata della novità che ciò comporta può contribuire il seguente elenco di caratteristiche dell’azienda rappresentata da questa metafora, confrontate con quelle dei modelli precedenti (Cesaria, 1993). • Finalità: diversamente dalle aziende che si ispirano al modello organico, le organizzazioni che funzionano secondo la metafora dell’ologramma-cervello, particolarmente adatte a un ambiente in costante e rapido cambiamento, non si preoccupano solo di adattarsi per sopravvivere, ma cercano di rinnovarsi costantemente.

Il concetto di “metafora” deriva dagli studi di Morgan (1986). La metafora, come noto, sostituisce una parola con un’altra in base a un rapporto di analogia tra i rispettivi significati (Zingarelli) e serve a far comprendere meglio un pensiero. Morgan utilizza le metafore per ripercorrere e sistematizzare la letteratura organizzativa. Alcune delle metafore utilizzate da Morgan si riferiscono a teorie che abbiamo analizzato in questo capitolo, come il concetto di “macchina” (al quale può essere ricondotta la Teoria della direzione scientifica), di “organismo” (la Teoria delle relazioni umane) e infine, di “cervello”, le cui caratteristiche saranno affrontate in questo paragrafo.

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• Visione condivisa: l’azienda meccanica od organica mira a prevedere correttamente la propria evoluzione e i comportamenti dei propri membri alla luce dei mutamenti ambientali; il vertice pratica quindi la pianificazione e utilizza molteplici feedback, o informazioni di ritorno, per riallineare continuamente le previsioni all’andamento reale. L’organizzazione “cervello” va oltre grazie alle capacità di chi la dirige e al coinvolgimento di tutti i membri. Crea una vera e propria visione (che cosa intende diventare l’azienda nei prossimi anni), che il vertice provvede a mantenere costantemente aggiornata e a comunicare a tutti i collaboratori. Inoltre, grazie all’adozione di metodologie di pianificazione, di funzionamento e di motivazione comuni, fa emergere le sue strategie dal basso, dalle varie unità operative e dai vari gruppi di lavoro, per poi integrarle. Non sono principalmente i feedback, ma è la capacità del vertice di guardare avanti che consente di riallineare tempestivamente l’andamento reale alla visione. • Competenze: nelle organizzazioni tradizionali si tende a un’applicazione efficiente delle competenze acquisite. Questa organizzazione, invece, impegnata in un continuo rinnovamento, svolge un’attività di ricerca e di scoperta di quanto è necessario fare nelle varie situazioni, poiché ciò che è stato appreso e compiuto abitualmente in precedenza può non essere più sufficiente. Il costante apprendimento delle singole parti e del sistema nel suo complesso diventa un elemento centrale. I concetti oggettivi di ruolo e posizione, collegati soprattutto alla struttura gerarchica e all’entità delle risorse gestite, perdono importanza a vantaggio delle competenze (attinenti alle persone più che alla posizione ricoperta) e della capacità di apprendimento. Sono le persone che, esercitando e rinnovando le loro conoscenze e capacità, assicurano nel tempo al sistema la versatilità e l’adattabilità necessarie. L’organizzazione deve peraltro certificare il contributo, individuale e di gruppo, al processo di apprendimento continuo. Di ruoli e di posizioni si parla al capitolo 9, alla gestione e allo sviluppo delle competenze degli operatori sanitari è dedicato il capitolo 28, mentre nel capitolo 8 viene presentato un esempio di visione di un’azienda ospedaliera e del suo SITRA.

• Integrazione orizzontale: nell’azienda che stiamo descrivendo, la gerarchia mantiene la sua importanza, ma si appiattisce: sono necessari meno livelli gerarchici, mentre al controllo diretto di ogni capo sui dipendenti del livello immediatamente sottostante tendono a sostituirsi meccanismi di comunicazione e di condivisione di obiettivi e metodi. La leadership tende a persuadere e a costruire costantemente il consenso attraverso il dialogo, la comunicazione, l’informazione e la gestione trasparente di premi e incentivi. Fra le unità operative si instaurano relazioni caratterizzate principalmente da interdipendenza e da forme di collegamento orizzontale (logica del processo di cui si parla nel capitolo 4). A tale scopo occorre assicurare un’elevata capacità di elaborazione delle informazioni. • Sistemi informativi: questo tipo di azienda vede nei sistemi informativi l’elemento portante di un assetto organizzativo che abbina decentramento e integrazione e che permette di affrontare un elevato livello di complessità e di incertezza dei compiti. La capacità di elaborare le informazioni richiede che:

a) ogni persona-gruppo possa colloquiare con qualsiasi altro, dovunque si trovi, in tempo reale. Importante a questo fine è una rete informativa elettronica; b) ogni persona-gruppo possa accedere a tutte le informazioni di cui necessita per un’efficace gestione del proprio processo. Un sistema informativo composto da una rete dati aziendale interna, banche dati elettroniche, pubblicazioni interne e altre modalità contribuiscono a tale obiettivo. A questo proposito si veda anche il capitolo 16.

In conclusione, la metafora dell’ologrammacervello evidenzia l’esigenza che le complesse aziende di oggi, se vogliono essere innovative, vengano progettate come sistemi in grado di apprendere e di ricercare, stimolando e premiando la creatività degli operatori. La capacità di rinnovamento dell’insieme, che richiede autocritica e cambiamento di mentalità, è necessaria in tutta l’organizzazione, ma può incontrare resistenze in una parte più o meno ampia di dipendenti.


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Un altro possibile limite di questa visione è legato al fatto che nella realtà molte organizzazioni sono anche uno strumento di dominio, in grado di promuovere certi interessi a scapito di altri. Gareth Morgan (2002) ha scritto al riguardo: “Quelle attività che possono risultare razionali dal punto di vista del profitto aziendale possono avere effetti dannosi sulla salute del dipendente. Quelle attività che servono a differenziare i rischi di un’azienda – per esempio disinvestendo in un settore – possono comportare la decadenza economica e sociale di intere comunità che avevano costruito le loro vite attorno alle attività economiche oggetto del disinvestimento. Ciò che risulta razionale dal punto di vista organizzativo può essere catastrofico sotto un altro profilo”.

CONCLUSIONI: IL DIRIGENTE NEI VARI TIPI DI ORGANIZZAZIONE Le caratteristiche principali dell’approccio meccanicistico, in particolare la gerarchia, le procedure rigide e la passività delle persone non incoraggiate ad assumersi responsabilità che vadano oltre quelle loro precisamente attribuite, comportano gravi difficoltà nell’affrontare situazioni nuove. Tuttavia, laddove l’ambiente è abbastanza stabile, può essere utile che i dirigenti e i coordinatori si pongano domande quali le seguenti: vi sono aspetti o momenti del lavoro che richiedono un assetto o un comportamento decisamente gerarchico? Vi sono situazioni e casi nei quali le procedure devono essere rigorose? Più in generale, essi devono tenere presente che, nel tipo di organizzazione descritto, il prototipo del dirigente è quello che ha una cultura orientata alla standardizzazione, alla pianificazione, alle tecniche quantitative e all’organizzazione formale e tende principalmente a conseguire obiettivi quali l’efficienza e un elevato volume di prestazioni. La maggiore complessità delle aziende qualificabili come organiche richiede figure dirigenziali con caratteristiche di efficacia, capacità decisionale, visione sistemica, orientamento a controllare il risultato finale più che le singole azioni, capacità di impiegare metodi moderni

di analisi, ricerca e gestione. I dirigenti si devono preoccupare dei rapporti fra le organizzazioni e i loro ambienti e della capacità del personale di far fronte a processi innovativi. Sono fondamentali da parte loro l’adozione di una leadership il più possibile partecipativa e l’utilizzo costante, tranne che in casi particolari, dei “sostituti della gerarchia” (vedi capitolo 18). Il modello organico, e specialmente l’approccio situazionale, è un importante punto di riferimento per i dirigenti e i coordinatori, tanto che più avanti si suggerirà loro lo studio di un concetto a esso correlato, quello di leadership situazionale (vedi capitolo 20). Uno dei limiti della concezione organica è quello di indurre a ritenere che l’unitarietà e l’armonia propria degli organismi siano lo stato normale anche nell’universo organizzativo, all’interno del quale sono invece frequenti i conflitti fra gruppi dagli interessi divergenti e sono necessarie abilità di natura politica per evitare che essi finiscano per rivelarsi dirompenti. Nelle organizzazioni rappresentate dalla metafora dell’ologramma-cervello e caratterizzate da un elevato grado di complessità, la conoscenza costituisce la risorsa chiave e l’apprendimento gioca un ruolo strategico: pertanto, l’azione richiesta ai dirigenti è principalmente comunicativa e pedagogica. Il loro entusiasmo e la loro capacità di persuasione possono stimolare nei collaboratori il senso di un’identità e di una missione comune. Come quella dell’insegnante, l’autorità di un leader così inteso ha alla base una relazione di fiducia, la quale consente alle persone di mettere in comune le proprie conoscenze individuali per sviluppare competenze che potranno anche essere consolidate e trasferite al resto dell’azienda. La leadership del dirigente si fonda non tanto sul principio di autorità e su strumenti e procedure formali, quanto sulla capacità di sollecitare i collaboratori a dedicare al lavoro le loro migliori energie (Colombo, 1994). Possiamo dire, in altri termini, che nell’azienda descritta il potere ha alla base il consenso in quanto i componenti del sistema hanno accettato di comune accordo la regola dell’interazione comunicativa e del confronto dialettico dei vari punti di vista. Ciò non esclude che vi sia

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PARTE 1 | Il contesto: i principali modelli organizzativi

un’opposizione, normalmente latente ma sempre potenzialmente attiva: anzi, essa costituisce uno dei caratteri tipici delle organizzazioni condotte sulla base dei principi sopra illustrati. Questa visione del sistema di potere non è inefficace, come potrebbe apparire, laddove si richiede una rilevante rapidità di azione. Poiché realizza una costante interazione di punti di vista diversi e si autovaluta continuamente, l’azienda dispone di tanti sensori che possono avvertire con anticipo i sintomi di difficoltà e di crisi, diversamente dalle imprese tendenzialmente statiche e burocratiche. In particolare, laddove si privilegia la logica della semplificazione (organizzazione snella), (vedi il capitolo 4) si utilizzano le competenze presenti all’interno dell’organizzazione per analizzare e gestire tutte le fasi delle attività che si svolgono, considerando il valore che esse producono per il cliente e riducendo ciò che non partecipa a tale produzione. Il ruolo del management è quello di stimolare continuamente questi processi, di consentirne la realizzazione in tempi rapidi e di controllare regolarmente le interconnessioni per evitare rallentamenti nel flusso del valore. I dipendenti sono da considerare risorse fondamentali per la realizzazione del prodotto e i veri detentori del sapere e del saper fare, purché siano disponibili ad aumentare e a rinnovare costantemente le proprie competenze. Una conseguenza di particolare importanza di questi concetti è rappresentata dall’unificazione del livello organizzativo dell’assistenza. Di norma, esso non verrà più differenziato per settore nosologico, ma in base all’intensità dei bisogni dell’utente: ne parleremo in modo più approfondito nel capitolo 5. Per concludere, è molto improbabile che le aziende sanitarie siano definibili unicamente come meccaniche, organiche o del tipo ologramma-cervello; quasi certamente comprendono aspetti dei tre tipi, con una variabile prevalenza dell’uno o dell’altro. Servono dunque dirigenti e quadri intermedi capaci di abbinare nuove convinzioni, capacità e atteggiamenti a quelli più tradizionali ma ancora validi in certi casi. Dirigenti di ogni livello preparati e consapevoli non agiscono sulla base di schemi pre-

definiti ma, a seconda delle opportunità e dei vincoli correttamente analizzati, combinano alcune qualità e atteggiamenti del manager tradizionale (importanza delle procedure, rispetto delle regole come la puntualità ecc.) con quelli del manager delle forme organizzative decentrate e autonome, che privilegia la leadership basata sulla competenza e presta attenzione agli aspetti più sfumati delle vicende tecniche, gestionali e umane dei collaboratori. Nei capitoli seguenti si cercherà di approfondire le conoscenze e le capacità necessarie per definire il mandato delle suddette figure, le cui caratteristiche saranno ulteriormente precisate con l’analisi di quel particolare tipo di organizzazione che è rappresentato dalle aziende di servizi.

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CAPITOLO 1 | Generalità sulle organizzazioni e principali teorie organizzative

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