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Capitolo 1
Introduzione
Obiettivi di apprendimento • Questo capitolo introduttivo presenta i principali concetti di base della macroeconomia, come quelli di sistema economico, prodotto reale, domanda aggregata, indice dei prezzi, tasso di crescita, inflazione e disoccupazione. • Lo studio della macroeconomia può essere suddiviso in tre modelli con orizzonti temporali diversi: il breve periodo, il medio periodo e il lungo periodo. • Nel breve periodo la capacità produttiva del sistema economico è per ipotesi data e il livello dei prezzi può essere considerato fisso. Le quantità di beni effettivamente prodotte dipendono pertanto dalla domanda aggregata. • Nel medio periodo i prezzi e i salari sono flessibili e pertanto le fluttuazioni della domanda aggregata tendono a influenzare i prezzi, oltre che le quantità. Il prodotto aggregato reale tende quindi a gravitare attorno al suo livello potenziale. La
capacità produttiva del sistema è per ipotesi data anche nel medio periodo. Se la domanda aggregata eccede la capacità produttiva, aumentano i prezzi e i salari nominali, ossia si ha inflazione. • L’inflazione, ovvero il processo di aumento dei prezzi, tende però a manifestarsi ancor prima che venga raggiunta la piena occupazione. La coesistenza tra inflazione e disoccupazione è uno dei problemi più controversi della macroeconomia: a tale problema sarà dedicata una particolare attenzione nell’ambito del presente volume. • Nel lungo periodo la capacità produttiva può variare. La teoria della crescita si propone appunto di spiegare i fattori che ne determinano l’aumento. Nel modello di lungo periodo si trascura invece il problema delle fluttuazioni della domanda. Si può infatti ritenere che le fasi di espansione si compensino con quelle di recessione.
L’economia mondiale è caratterizzata da profondi divari tra i livelli di sviluppo dei Paesi. Che cosa si intende per “livello di sviluppo” e come si misura? Per quale motivo alcuni Paesi diventano “ricchi” e altri restano “poveri”? E perché in uno stesso Paese si alternano fasi di espansione ad altre di rallentamento della crescita o di recessione? Queste domande riguardano il cosiddetto lungo periodo, ovvero le tendenze di fondo del sistema economico nell’arco di decenni. Ma esistono anche problemi rilevanti di breve periodo: nel corso dei mesi e degli anni si possono infatti verificare fluttuazioni della domanda aggregata che determinano situazioni di eccessiva pressione sull’offerta potenziale, alternate a situazioni di parziale inutilizzo dei fattori produttivi. Nel primo caso si avrà una spinta all’aumento dei prezzi, ossia all’inflazione, nel secondo caso si avrà invece disoccupazione della forza lavoro. Se la disoccupazione permane è possibile che nel medio periodo si creino le condizioni per una caduta delle retribu-
Domanda aggregata Somma dei valori di tutti i beni finali acquistati in un sistema economico.
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Capitolo 1
zioni e quindi dei prezzi (deflazione), anche se le resistenze al riguardo sono particolarmente forti. Da che cosa dipendono le fluttuazioni della domanda e quindi l’inflazione e la disoccupazione? Come si spiega la coesistenza che spesso si osserva tra questi ultimi due fenomeni? La macroeconomia si propone non soltanto di rispondere a queste domande, ma anche di fornire suggerimenti per migliorare il funzionamento del sistema economico. Non si limita quindi all’analisi dei problemi, ma estende il proprio campo di indagine alla politica economica. Nel prossimo paragrafo ci soffermeremo sui rapporti tra macroeconomia e microeconomia, in quello successivo approfondiremo i concetti di sistema economico, prodotto a prezzi costanti e indice dei prezzi.
1.1 Macroeconomia e microeconomia La macroeconomia è il ramo dell’economia politica che studia il funzionamento del sistema economico nel suo insieme, mentre la microeconomia si occupa soprattutto del comportamento dei singoli mercati e dei singoli operatori o soggetti economici. Per meglio chiarire la differenza tra i due approcci, consideriamo la seguente espressione: Z0 = Q1, 0 P1, 0 + Q2, 0 P2, 0 + Q3, 0 P3, 0 + … Qn, 0 Pn, 0
Prodotto aggregato Somma dei valori dei beni finali prodotti in un sistema economico.
[1]
dove le Q e le P rappresentano rispettivamente le quantità e i prezzi degli n beni finali prodotti dal sistema economico in un determinato periodo (per esempio, in un determinato anno), mentre Z0 è il corrispondente valore del prodotto aggregato. Sul lato destro dell’Equazione [1] il primo suffisso delle singole variabili indica il tipo di bene, mentre il secondo indica il periodo di riferimento, che in questo caso è il periodo 0, ossia il periodo base. Nel calcolo del prodotto aggregato (Z0) dobbiamo escludere i beni intermedi, che sono utilizzati per produrre i beni finali e di conseguenza sono incorporati nel valore di questi ultimi. In un’economia chiusa agli scambi con l’estero i beni finali sono rappresentati dai beni di consumo, che soddisfano direttamente i bisogni dei membri della collettività, ma anche dai beni di investimento, che sono destinati ad aumentare lo stock di capitale e quindi la produzione futura di beni di consumo. In altri termini, i beni finali hanno il compito di contribuire, in modo immediato o differito, al benessere materiale della collettività. Esempi di beni finali sono il pane, le scarpe, le automobili e i servizi di trasporto oppure i servizi sanitari. Beni intermedi sono invece la farina, il cuoio, i metalli, il carburante e gli altri materiali che servono per produrre i beni finali. Si noti che la classificazione di un bene come finale o intermedio deriva non tanto dalla natura del bene stesso, quanto dal tipo di soggetto economico che lo utilizza. Per esempio, 1 kg di zucchero è classificato come bene finale se lo acquista una famiglia per il proprio consumo e come bene intermedio se lo utilizza un pasticcere per la produzione di una torta. Il prezzo di quest’ultima terrà poi conto anche del valore dello zucchero utilizzato. Un’altra distinzione che è necessario fare, prima di proseguire, è quella tra beni e servizi: i beni sono di norma oggetti materiali, come il pane, le scarpe e le automobili, ma possono anche essere diritti, come per esempio quello di utilizzare un appartamento preso in affitto; i servizi sono invece prestazioni fornite da persone o da imprese, come per esempio un trasporto, una visita medica o la vendita di un bene da parte di un esercizio commerciale. Beni e servizi hanno in comune la caratteristica di essere mezzi idonei a soddisfare i bisogni dei consumatori in modo diretto o differito. In modo differito quando si tratta di beni di investimento, ossia di beni destinati a produr-
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Introduzione
re beni di consumo. Per semplicità d’ora in avanti useremo il termine beni in senso lato in modo da includere anche i servizi. Fatte queste premesse, supponiamo che tra un anno e l’altro le quantità prodotte e vendute di alcuni beni aumentino, di altri diminuiscano e di altri ancora rimangano costanti. Supponiamo inoltre che anche i prezzi varino in direzioni diverse. Lo studioso di microeconomia cercherà di spiegare le cause delle variazioni dei prezzi e delle quantità prodotte e vendute nei vari mercati. Si chiederà se c’è stato un cambiamento dei gusti dei consumatori e quindi della domanda dei vari beni o se sono invece mutati i costi di produzione e la tecnologia e quindi le condizioni dell’offerta. Dal punto di vista della macroeconomia, l’aspetto che invece conta di più è la variazione del prodotto aggregato nel suo complesso. Il primo dato da verificare è quindi se la variabile Z sia aumentata, diminuita o rimasta costante. I suoi mutamenti interni non sono invece rilevanti. Un paragone può chiarire questo punto: la vita di una foresta (il sistema macroeconomico) è una realtà ben diversa da quella dei singoli alberi (le unità microeconomiche) che la compongono. Il secondo aspetto da accertare, sempre dal punto di vista macroeconomico, è se l’eventuale variazione del prodotto aggregato sia dovuta al movimento delle quantità o a quello dei prezzi. O meglio, occorre stimare quale parte della variazione sia dovuta alla prima causa e quale alla seconda. C’è infatti una differenza fondamentale tra le due cause: l’aumento delle quantità prodotte comporta, infatti, di norma un maggior benessere per la popolazione, mentre un aumento dei prezzi produce soltanto un “gonfiamento” (è questo il significato del termine “inflazione”) del prodotto aggregato, senza alcun effetto sul benessere. Nel prossimo paragrafo prenderemo in esame la tecnica utilizzata dagli istituti centrali di statistica per separare l’“effetto quantità” dall’“effetto prezzi”.
1.2 Prodotto reale e indice dei prezzi Per studiare il movimento delle quantità e dei prezzi dei beni, consideriamo il valore del prodotto aggregato in un periodo successivo a quello rappresentato dall’Equazione [1]. Indichiamo con Z1 il nuovo aggregato: Z1 = Q1, 1 P1, 1 + Q2, 1 P2, 1 + Q3, 1 P3, 1 + … Qn, 1 Pn, 1
[2]
Si noterà che il secondo suffisso delle variabili sul lato destro dell’Equazione [2] è diventato 1, invece di 0, in quanto si riferisce ora al periodo 1. Indichiamo poi con ΔZ = Z1 – Z0 la variazione assoluta di Z tra i due periodi: come abbiamo osservato in precedenza, tale variazione può essere dovuta sia al mutamento dei prezzi sia a quello delle quantità. Esiste tuttavia un modo semplice per distinguere l’effetto delle due componenti: basta ricalcolare il prodotto aggregato del periodo 1 moltiplicando le nuove quantità non per i prezzi correnti, ma per i prezzi del periodo precedente.
Così facendo si ottiene un nuovo aggregato che non è influenzato dalla variazione dei prezzi, ossia: Y1 = Q1, 1 P1, 0 + Q2, 1 P2, 0 + Q3, 1 P3, 0 + … Qn, 1 Pn, 0
[3]
Nell’Equazione [3], come si può notare, il secondo suffisso delle Q è 1, come nell’Equazione [2], mentre quello delle P è 0, come nell’Equazione [1], a conferma che le quantità del periodo corrente sono moltiplicate per i prezzi dell’anno base.
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Capitolo 1
Definiamo prodotto a prezzi costanti o prodotto reale dell’anno 1 la nuova variabile Y1 e prodotto a prezzi correnti o prodotto nominale dello stesso anno la variabile Z1.
È evidente che nell’anno base si ha Z0 = Y0, ossia il prodotto nominale e il prodotto reale coincidono. Possiamo ora scindere la variazione del prodotto nominale in due componenti: (a) ΔY = Y1 – Y0, che per definizione è dovuta alla variazione delle sole quantità, considerato che i prezzi utilizzati per calcolare Y1 sono rimasti quelli del periodo precedente; (b) ΔP = Z1 – Y1, che invece rappresenta la parte residuale della variazione di Z ed è quindi dovuta esclusivamente alla variazione dei prezzi. Si avrà in altri termini: ΔZ = Z1 – Z0 = Z1 – Y1 + Y1 – Y0 = ΔP + ΔY. L’analisi sin qui condotta ci consente di definire con precisione due tra i principali oggetti di studio della macroeconomia: la crescita economica e l’inflazione. Possiamo, infatti, considerare come indicatore della crescita economica il tasso di variazione percentuale (o semplicemente tasso di variazione) del prodotto reale, ovvero: ΔY/Y0 = (Y1 – Y0)/Y0 Deflatore Indice del livello dei prezzi ottenuto dividendo il prodotto nominale per il prodotto reale.
[4]
Possiamo, invece, utilizzare come indicatore dell’inflazione la seguente variabile: ΔP/P0 = (Z1 – Y1)/Y1 = Z1/Y1 – 1
dove Z1/Y1 rappresenta l’indice implicito dei prezzi o deflatore del prodotto aggregato.
APPLICAZIONE 1.1 Crescita economica e inflazione: un esempio numerico La procedura da seguire per il calcolo del tasso di crescita del prodotto reale e del tasso d’inflazione può essere illustrata dal seguente esempio. Si consideri un’economia nella quale si producono soltanto due beni finali: A e B. Le quantità prodotte e i prezzi di vendita dei due beni nell’anno 0 e nell’anno 1 sono indicati dalla seguente tabella: Anno 0
Anno 1
Beni
Q
P (euro)
Q
P (euro)
A
40
10
42
11
B
50
12
55
15
Calcoliamo ora il prodotto aggregato nominale e il prodotto reale nei due anni. Per l’anno 0 si avrà: Z0 = Y0 = 40 × 10 + 50 × 12 = 400 + 600 = € 1000 (prodotto nominale e reale). Per l’anno 1:
[5]
Z1 = 42 × 11 + 55 × 15 = 462 + 825 = € 1287 (prodotto nominale) Y1 = 42 × 10 + 55 × 12 = 420 + 660 = € 1080 (prodotto reale).
Dai tre valori Z0, Z1 e Y1 si possono poi ottenere i seguenti tassi di variazione:
ΔZ/Z0 = (1287 – 1000)/1000 = 28,7% (variazione percentuale del prodotto nominale) ΔY/Y0 = (1080 – 1000)/1000 = 8% (tasso di crescita del prodotto reale) ΔP/P0 = (1287 – 1080)/1080 = 1,1917 – 1 = 19,17% (tasso d’inflazione). Inoltre: Z1/Y1 = 1287/1080 = 1,1917 (indice implicito dei prezzi o deflatore del prodotto aggregato).
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Introduzione
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1.3 Livello di sviluppo e prodotto pro capite: confronti internazionali Un indicatore frequentemente utilizzato per rappresentare il livello di sviluppo economico di un Paese è il prodotto pro capite a prezzi costanti, che misura la quantità di beni a disposizione (in media) dei cittadini in un determinato anno. Utilizzando l’analisi del paragrafo precedente, possiamo indicare con yi = Yi /POPi il prodotto pro capite di un dato Paese i, dove Yi e POPi rappresentano rispettivamente il prodotto aggregato reale e la popolazione. La Tabella 1.1a riporta i dati di yi per 15 Paesi negli ultimi due secoli. I dati sono espressi, da un lato, in dollari per consentire i confronti internazionali e, dall’altro, a prezzi del 2011 per rendere comparabili i valori nel tempo. La lettura in verticale della tabella consente i confronti fra i diversi Paesi per ciascun anno. Per esempio, nel 2016 il prodotto pro capite degli Stati Uniti era di oltre 16 volte più alto di
APPROFONDIMENTO 1.1 PIL e ammortamento del capitale Nella contabilità nazionale si usa di frequente l’acronimo PIL per indicare il prodotto interno lordo, dove l’aggettivo “lordo” si riferisce al fatto che nel corso del processo produttivo il capitale fisso subisce un’usura fisica e un invecchiamento tecnologico, definito obsolescenza. Di conseguenza una quota del prodotto, denominata ammortamento, deve essere destinata al ripristino della capacità produttiva del capitale. Se dal PIL si detrae l’ammortamento, si ottiene il prodotto interno netto (PIN).
1820
1870
1913
1973
2001
2080
3736
8101
15241
26603
45878
53015
Canada
1545
2894
7026
12022
21896
36884
42969
Australia
679
4292
8380
13542
21370
36266
44783
Giappone
985
1852
2519
15453
33086
36452
Germania
2362
5587
5536
18498
34560
46841
Stati Uniti
1950
2016
Corea del Sud
477
480
690
1122
3989
23412
36151
Italia
1473
1503
2728
3698
14271
34002
34989
15504
8892
23064
Federazione Russa Ex URSS
2825
5676
14893
Cina
741
751
881
757
1372
4400
12320
Brasile
600
751
724
1549
4291
8188
13479
Egitto
917
1146
1605
1983
2218
5485
11430
India
878
1340
1417
1301
2086
5961
Ghana
908
1616
2322
2392
2145
3753
1111
1019
1384
3250
Bangladesh
Tabella 1.1a Prodotto pro capite (in dollari a prezzi del 2011) Per alcuni Paesi, come l’Italia e l’URSS, i dati riferiti a periodi in cui il Paese non esisteva riguardano i territori attuali dei Paesi stessi. (Fonte: Maddison Project Database, version 2018. Bolt J., Inklaar R., de Jong H. E. van Zanden J.L., "Rebasing 'Maddison': new income comparisons and the shape of long-run economic development", ggdc Research Memorandum, 2018.)
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Capitolo 1
Tabella 1.1b Prodotto pro capite (valori percentuali, Stati Uniti = 100) Per alcuni Paesi, come l’Italia e l’URSS, i dati riferiti a periodi in cui il Paese non esisteva riguardano i territori attuali dei Paesi stessi. (Fonte: si veda la tabella precedente.)
1820
Stati Uniti
1870
100,00 100,00
1913
1950
1973
2001
2016
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
Canada
74,28
77,46
86,73
78,88
82,31
80,40
81,05
Australia
32,64
114,88
103,44
88,85
80,33
79,05
84,47
Giappone
26,37
22,86
16,53
58,09
72,12
68,76
Germania
63,22
68,97
36,32
69,53
75,33
88,35
Corea del Sud
22,93
12,85
8,52
7,36
14,99
51,03
68,19
Italia
70,82
40,23
33,67
24,26
53,64
74,11
66,00
58,28
19,38
43,50
Federazione Russa Ex URSS
34,87
37,24
55,98
Cina
35,63
20,10
10,88
4,97
5,16
9,59
23,24
Brasile
28,85
20,10
8,94
10,16
16,13
17,85
25,42
Egitto
44,09
30,67
19,81
13,01
8,34
11,96
21,56
India
23,50
16,54
9,30
4,89
4,55
11,24
Ghana
24,30
19,95
15,24
8,99
4,68
7,08
7,29
3,83
3,02
6,13
Bangladesh
quello del Bangladesh, il Paese più povero del gruppo. Se invece si leggono i dati delle due tabelle lungo le righe, si può osservare l’andamento nel tempo, in termini assoluti e relativi, del prodotto pro capite di ogni Paese. Per esempio, l’Italia nel XIX secolo e nella prima metà del XX secolo ha avuto una crescita relativamente modesta e di gran lunga inferiore a quella degli Stati Uniti; ha invece fatto registrare un notevole balzo in avanti, assoluto e relativo, nella seconda parte del XX secolo, tale slancio però si è perso a partire dagli ultimi anni del XX secolo e da allora è uno dei Paesi con minor crescita in Europa. Avremo in seguito molte occasioni per approfondire l’argomento, soprattutto nei Capitoli 3, 16 e 17. Per ora ci limitiamo a prendere atto che il quadro dello sviluppo economico mondiale appare estremamente variegato, sia nella sua dimensione geografica sia in quella temporale.
1.4 Sistema economico Il prodotto aggregato che abbiamo esaminato nei paragrafi precedenti è di norma riferito al sistema economico di un Paese. Con il termine “Paese” intendiamo un’estensione di terre comprese entro determinati confini e abitate da una popolazione dotata di un’organizzazione statale.
Nelle convenzioni internazionali di contabilità nazionale si usa il termine prodotto interno per indicare la produzione di beni finali effettuata entro i confini di un dato
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Introduzione
Paese (sia dalle imprese che hanno lì la loro residenza sia da quelle che risiedono in altri Paesi). Si usa invece il termine prodotto nazionale per indicare la produzione effettuata sia all’interno sia nel resto del mondo dalle imprese che hanno la residenza in un determinato Paese. Si noti che in questo caso l’aggettivo “nazionale” è usato in modo improprio, dato che in realtà si riferisce al semplice requisito della residenza. È evidente che se un Paese non ha rapporti con l’estero (economia chiusa) il prodotto interno coinciderà con il prodotto nazionale. Il primo aggregato sarà invece maggiore (minore) del secondo se il valore della produzione delle imprese estere operanti nel Paese è superiore (inferiore) a quello delle imprese nazionali operanti all’estero. 1.4.1 Problema del coordinamento ed economia di mercato Ciò premesso, occupiamoci di un problema fondamentale che ciascun sistema economico deve risolvere per la propria sopravvivenza: il coordinamento delle decisioni dei singoli soggetti che appartengono al sistema stesso. In un’economia caratterizzata dalla divisione del lavoro tra i membri della collettività, da chi e con quale criterio vengono stabiliti i compiti di ciascuno? Che cosa succederebbe se, in assenza di coordinamento, tutti gli abitanti in età da lavoro di un Paese scegliessero la stessa professione, per esempio quella di medico o di avvocato, trascurando altre attività essenziali per la sopravvivenza della comunità, come l’agricoltura o l’industria? Nella storia dell’umanità il problema del coordinamento è stato risolto con tre forme principali di organizzazione sociale della produzione e dello scambio dei beni, basate rispettivamente su: (a) la tradizione; (b) il comando o la pianificazione centralizzata; (c) il sistema della libera impresa e del libero scambio (economia di mercato). La prima forma, ampiamente diffusa nelle comunità primitive e nelle società di piccole dimensioni dell’antichità e del Medioevo, si basa sul principio che se un determinato tipo di divisione del lavoro si è dimostrato efficace attraverso l’esperienza storica, non deve essere modificato dalla collettività che l’ha adottato, ma deve essere tramandato di generazione in generazione. Una società basata sulla tradizione è quindi fortemente ostile all’innovazione. Nell’epoca contemporanea la tradizione ha ancora un certo peso nelle scelte di alcuni individui, ma svolge un ruolo marginale nell’organizzazione complessiva di gran parte dei sistemi economici. Nel sistema basato sul comando o sulla pianificazione centralizzata, la divisione del lavoro e la distribuzione degli oneri e dei benefici fra i membri della collettività sono invece stabiliti dall’alto, da un’autorità statale dotata di ampi poteri. Tale sistema ha forse raggiunto il suo apice nella parte centrale del XX secolo in seguito all’affermazione del comunismo prima nell’Unione Sovietica (1917), poi nell’Europa dell’Est e nella Repubblica Popolare Cinese subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per molti anni la pianificazione centralizzata e la proprietà pubblica dei mezzi di produzione sono state quindi adottate da quasi un terzo della popolazione mondiale e considerate come una valida alternativa all’economia di mercato da numerosi Paesi del cosiddetto “Terzo Mondo”. Il fallimento dell’esperimento comunista nell’ex URSS e nell’Europa dell’Est sino al crollo del Muro di Berlino (1989) e la progressiva conversione del sistema cinese all’economia di mercato, hanno fatto sì che quest’ultima sia oggi la forma di coordinamento dominante, se non unica, nel mondo industrializzato. È pertanto a questo sistema che faremo d’ora in poi riferimento. Com’è noto, nell’economia di mercato la domanda e l’offerta dei beni sono lasciate all’iniziativa dei singoli operatori economici, rispettivamente le famiglie e le imprese, mentre il coordinamento delle decisioni individuali è basato sul meccanismo dei prez-
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zi. La flessibilità dei prezzi e dei tassi di profitto consente, infatti, al sistema di richiamare le risorse produttive laddove le variazioni della domanda segnalano le preferenze e le scelte della collettività. 1.4.2 Politica economica: obiettivi e vincoli Non si deve tuttavia pensare che l’economia di mercato possa basarsi esclusivamente sul decentramento delle decisioni e su un meccanismo di coordinamento dal “basso” garantito, secondo l’efficace espressione di Adam Smith, da una mano invisibile. In realtà, per il corretto funzionamento del mercato è necessario l’intervento di un’autorità superiore, lo Stato, a cui sono affidati due compiti fondamentali: da un lato, creare un quadro di riferimento istituzionale (politico, giuridico, amministrativo) all’interno del quale l’azione dei singoli soggetti economici si possa svolgere liberamente, ma nel rispetto di un sistema di regole e di limiti volto a tutelare i diritti umani e civili delle persone e a garantire la concorrenza tra le imprese; dall’altro, cercare con strumenti appropriati di sopperire alle lacune e ai limiti del mercato e di correggerne gli eventuali errori. Questo secondo compito è affidato alla politica economica, che di norma persegue due obiettivi principali: (a) la piena occupazione dei fattori produttivi, in particolare della forza lavoro; (b) lo sviluppo economico. Lo sviluppo economico può essere definito in senso stretto come un processo di incremento costante della capacità produttiva del sistema con conseguente ampliamento sia della quantità sia della varietà dei beni prodotti (crescita economica); in senso lato, come miglioramento delle condizioni di vita della popolazione (durata media della vita, stato di salute, livello di istruzione, qualità dell’ambiente).
Il perseguimento di tali obiettivi è tuttavia sottoposto a tre vincoli principali: (1) la stabilità dei prezzi; (2) l’equilibrio del bilancio della Pubblica Amministrazione; (3) il pareggio tendenziale della bilancia dei pagamenti, ossia del conto che in ciascun Paese registra i movimenti di merci, servizi, trasferimenti e capitali da e verso il resto del mondo. Questi tre vincoli possono essere sintetizzati con l’espressione stabilità monetaria, interna ed esterna. La politica economica nei diversi Paesi persegue naturalmente numerosi altri obiettivi ed è soggetta ad altri vincoli. Possiamo per esempio menzionare l’obiettivo di un’equa distribuzione del reddito e quindi il problema della politica sociale, ossia dell’intervento dello Stato in difesa dei soggetti deboli della società, i quali, in caso di semplice applicazione delle regole meritocratiche del mercato, verrebbero inevitabilmente lasciati a se stessi. Un altro importante obiettivo è quello della tutela dell’ambiente naturale. Si tratta di problemi di grande importanza che, tuttavia, non potranno essere presi in considerazione, se non marginalmente, in questo corso.
1.5 Trend e ciclo economico Possiamo ora utilizzare i concetti presentati nei paragrafi precedenti per illustrare con maggior precisione i problemi dei quali si occupa la macroeconomia. Come abbiamo già osservato, i Paesi che negli ultimi due secoli hanno adottato l’economia di mercato come forma di coordinamento e di organizzazione del proprio sistema produttivo hanno fatto registrare una notevole crescita di lungo periodo. La crescita, tuttavia, non ha
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Introduzione
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avuto un andamento regolare e costante, ma è stata caratterizzata da frequenti fluttuazioni del prodotto interno. Si definisce ciclo economico l’alternarsi di fasi di espansione (ripresa) e di contrazione (recessione) del prodotto reale rispetto alla sua tendenza di crescita (trend) di lungo periodo.
In prossimità del punto massimo (o picco) di un ciclo la domanda di beni è particolarmente elevata rispetto all’offerta potenziale e di conseguenza stimola l’inflazione, mentre in prossimità del punto minimo (o punto di sella) la domanda è bassa e genera disoccupazione. L’andamento del ciclo economico è stilizzato nella Figura 1.1, nella quale la linea più chiara rappresenta il trend del PIL (Prodotto Interno Lordo) reale, ossia l’andamento che esso assumerebbe se i fattori produttivi fossero pienamente impiegati. Nel corso del tempo il PIL varia. Innanzitutto, perché aumenta la disponibilità di risorse: le imprese acquistano macchinari e costruiscono nuovi impianti, si scoprono nuovi giacimenti minerari; si accresce il patrimonio di conoscenze, in seguito all’invenzione di nuovi prodotti e alla messa a punto di nuovi metodi di produzione. Grazie alla maggiore disponibilità di risorse, il sistema economico può produrre più beni e servizi, di conseguenza in molti Paesi del mondo il trend del PIL è crescente. La produzione, tuttavia, non si trova sempre al livello del trend, vale a dire al livello corrispondente al pieno impiego (in senso economico) dei fattori produttivi. Al contrario, essa oscilla intorno al trend. Durante i periodi di espansione (o ripresa) il livello di impiego dei fattori produttivi cresce e ciò fa sì che la produzione aumenti. Il prodotto interno può superare il livello di trend, perché si fa ricorso al lavoro straordinario e gli impianti vengono utilizzati al massimo. Viceversa, durante i periodi di recessione la
Ciclo economico Alternarsi di fasi di espansione e di contrazione dell’economia. Trend Andamento assunto dal prodotto potenziale nel tempo.
Figura 1.1 Ciclo economico Massimo Trend
sa sa Ripre
Ripre
e Minimo
Tempo
e
e Minimo
ssion Rece
n ssio
ssion Rece
sa
Massimo
Ripre
Massimo
e Rec
Prodotto
Massimo
Minimo
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Capitolo 1
Gap di produzione Differenza tra il livello potenziale del prodotto e il suo valore effettivo.
disoccupazione aumenta e viene prodotta una quantità di beni e servizi inferiore a quella che si potrebbe ottenere utilizzando appieno le risorse e la tecnologia disponibili. Nella Figura 1.1 la linea ondulata indica, quando scende sotto il trend, questi allontanamenti ciclici del prodotto interno dal suo livello potenziale, che vengono definiti gap di produzione (output gap). Si definisce “gap di produzione” la differenza tra la produzione corrispondente al pieno impiego delle risorse disponibili, detta anche produzione potenziale, e la produzione effettiva: gap di produzione ≡ produzione potenziale – produzione effettiva.
La Figura 1.2 mostra l’andamento del prodotto effettivo e di quello potenziale negli Stati Uniti nel periodo 1960-2015 (le aree ombreggiate rappresentano le fasi di recessione). Come si può vedere dalla figura, il gap di produzione aumenta nei periodi di recessione. Una quantità crescente di risorse rimane inutilizzata e la produzione effettiva scende al di sotto di quella potenziale. Al contrario, nei periodi di espansione, e in modo particolare durante il lungo boom degli anni Novanta, il gap di produzione si riduce fino a diventare addirittura negativo. Un gap negativo implica che nel sistema economico esiste sovraoccupazione, si sta facendo ricorso agli straordinari e il tasso di utilizzazione degli impianti è superiore alla norma. Vale la pena di osservare che talvolta il gap di produzione è molto consistente; per esempio, negli Stati Uniti, nella grave recessione del 2009 era pari al 7,5% del prodotto potenziale. La Figura 1.3, dove sono rappresentati i tassi di variazione percentuale annua del Prodotto Interno Lordo delle principali aree del mondo (Paesi avanzati e Paesi emergenti), oltre che dell’Italia, mette in evidenza che la crisi del 2008-09 ha colpito tutto il mondo, anche se in misura inferiore i Paesi emergenti. La crisi ha colpito in modo particolarmente duro l’Italia, dove, come mostra anche la Figura 1.4, si è verificato un nuovo episodio recessivo nel biennio 2012-2013.
Figura 1.2 Prodotto effettivo e prodotto potenziale negli Stati Uniti, 19602015 Le aree ombreggiate indicano le fasi di recessione. (Fonte: Congressional Budget Office, CBO’s Projection of Potential Output and Federal Reserve Economic Data, 2012.)
18 000
Miliardi di dollari (2009)
12
16 000 14 000 12 000
Potential GDP
10 000 8000 6000
Actual GDP
4000 2000 1960
1965
1970
1975
1980
1985
1990
1995
2000
2005
2010
2015
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Introduzione
10 8
Italia
6
Mondo
4 2
Paesi emergenti
0
Paesi avanzati
13
Figura 1.3 Tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo, 1980-2018 nel mondo e in Italia (Fonti: Fondo Monetario Internazionale, WEO Oct 2019; AMECO 2019.)
-2 -4 -6 1980
1985
1990
1995
2000
2005
2010
2015 2018
1.5.1 Inflazione e ciclo economico L’andamento dell’inflazione è inversamente proporzionale ai gap di produzione. Le politiche miranti a stimolare la domanda aggregata tendono a produrre inflazione, a meno che non vengano adottate quando nel sistema economico vi è un alto tasso di disoccupazione. Se per periodi di tempo piuttosto lunghi si registra un basso livello di domanda aggregata, il tasso d’inflazione tende a diminuire. La Figura 1.5 mostra l’andamento di una particolare misura dell’inflazione negli Stati Uniti dal 1960 al 2016: l’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC), dato dal costo di un determinato paniere di beni che rappresenta i consumi tipici del cittadino medio.
Indice dei Prezzi al Consumo (IPC) Indice dei prezzi che misura il costo dei beni acquistati dalla famiglia urbana tipo.
Figura 1.4 Italia: PIL a prezzi del 2010, 1990-2018
1800
(Fonte: ISTAT.) 1700
1600
1500
1400
2018
2016
2014
2012
2010
2008
2006
2004
2002
2000
1998
1996
1994
1992
1200
1990
1300
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Capitolo 1
Figura 1.5 Tasso d’inflazione dei prezzi al consumo negli Stati Uniti, 1960-2016 Come si può notare, durante la crisi 2008-09 il tasso d’inflazione ha assunto un valore negativo per la prima volta dopo molti decenni. (Fonte: www.economagic.com.)
15 Tasso d’inflazione (IPC, %)
14
12 9 6 3 0 –3 1960
1965
1970
1975
1980
1985
1990
1995
2000
2005
2010
L’inflazione, vale a dire il tasso di variazione dei prezzi, così come la disoccupazione, è considerata uno dei principali problemi macroeconomici. Tuttavia i costi dell’inflazione sono molto meno evidenti di quelli della disoccupazione. Quando nel sistema economico non c’è piena occupazione, si crea disagio sociale e una parte di prodotto potenziale va sprecata: è chiaro, quindi, il motivo per cui sia opportuno ridurre il più possibile la disoccupazione. In caso di inflazione, invece, non si ha una perdita di prodotto interno altrettanto evidente. C’è, tuttavia, chi sostiene che l’inflazione renda meno efficiente il sistema dei prezzi; sia questa o meno la ragione, i responsabili della politica economica talvolta sono disposti ad accettare un aumento della disoccupazione pur di ridurre l’inflazione. Su questi problemi torneremo ampiamente nei Capitoli 3 e 9.
1.6 Macroeconomia in tre modelli
Breve periodo Periodo di tempo abbastanza breve da non consentire alla capacità produttiva di rispondere alle sollecitazioni della domanda, mentre i prezzi e i salari normali sono rigidi, soprattutto verso il basso. Forza lavoro Costituita da persone che lavorano e da persone che cercano attivamente un’occupazione.
Nel corso di questo capitolo abbiamo sostenuto che la crescita economica, l’inflazione e la disoccupazione sono i tre principali oggetti di studio della macroeconomia. Un’analisi simultanea dei tre problemi presenterebbe, tuttavia, difficoltà notevoli e richiederebbe l’uso di strumenti eccessivamente complessi. Nei prossimi capitoli utilizzeremo quindi tre modelli, ciascuno dei quali è riferito a un determinato orizzonte temporale e ci consente pertanto di affrontare in modo approfondito un singolo problema alla volta, prendendo in esame gli aspetti della realtà che appaiono più rilevanti per quel problema. 1.6.1 Breve periodo: capacità produttiva data e prezzi fissi Nel breve periodo si suppone che la capacità produttiva del sistema economico e il livello dei prezzi siano ambedue dati. L’obiettivo del modello è di spiegare i fattori che determinano il livello del prodotto (PIL) effettivo, il grado di utilizzo della capacità produttiva, il livello dell’occupazione e quindi, data la forza lavoro, il tasso di disoccupazione. L’attenzione è quindi concentrata sulla domanda aggregata, tra le cui componenti principali troviamo la domanda di beni di consumo, gli investimenti, la spesa pubblica e, nel caso di un’economia aperta agli scambi con l’estero, le esportazioni al netto delle importazioni, che rappresentano invece la domanda rivolta all’estero. Avremo modo nel prossimo capitolo di definire in modo più preciso queste variabili.
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Introduzione
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Per ora prendiamo atto delle conclusioni a cui porta il modello: il prodotto e l’occupazione dipendono dalla domanda aggregata e, se quest’ultima è inferiore al prodotto di piena occupazione o prodotto potenziale, si verificherà una situazione di recessione come quelle rappresentate in modo stilizzato nella Figura 1.1 e, con riferimenti concreti, nelle Figure 1.2, 1.3 e 1.4. Il motivo per cui nel breve periodo consideriamo fisso il prodotto potenziale è che, per aumentare la capacità produttiva del capitale, è necessario prima progettare e poi realizzare gli investimenti, e ciò richiede tempo. La capacità produttiva nel breve periodo non può quindi adeguarsi alle variazioni della domanda. Un ragionamento analogo si può fare anche per la forza lavoro, che nel breve periodo può essere considerata una percentuale data della popolazione in età di lavoro, e per la tecnologia.
APPROFONDIMENTO 1.2 Modelli e mondo reale I modelli sono rappresentazioni semplificate del mondo reale. Quando osserviamo la realtà e intendiamo spiegarne alcuni aspetti che riteniamo significativi, dobbiamo necessariamente trascurare molte altre informazioni che ai nostri fini non sono rilevanti. Il primo passo da compiere per l’analisi del sistema economico è dunque quello di costruire un modello realistico e coerente, anche se semplificato, dell’economia di riferimento. Dal punto di vista tecnico un modello economico è un insieme di equazioni che rendono espliciti i legami ipotizzati tra le grandezze o variabili prese in considerazione. Alcune equazioni descrivono il comportamento degli operatori economici, pubblici e privati, presenti nel sistema, altre sono semplici definizioni contabili e altre ancora precisano le condizioni di equilibrio dei vari mercati. Si definiscono variabili endogene le incognite il cui valore viene determinato all’interno del modello e variabili esogene quelle che nel modello assumono un valore prefissato dall’esterno. Nelle equazioni, inoltre, compaiono termini con un preciso valore numerico che non varia. Questi termini sono detti costanti. Quando le costanti sono moltiplicate per una variabile vengono chiamate coefficienti. Se invece che con numeri indichiamo le costanti e i coefficienti con simboli, come per esempio le lettere dell’alfabeto, useremo il termine di costanti parametriche o, più semplicemente, di parametri. Per risolvere il modello e trovare la posizione di equilibrio generale, è necessario che il numero delle incognite sia pari al numero delle equazioni indipendenti. In caso contrario il modello sarà sovradeterminato (eccesso di equazioni) oppure indeterminato (eccesso di incognite). Il concetto di equilibrio può assumere due significati distinti: il primo, derivato dalla fisica, fa riferimento a uno stato di quiete delle variabili endogene che può essere modificato soltanto da un cambiamento dei dati esterni (ossia delle variabili esogene e dei parametri); il secondo considera invece l’equilibrio come una situazione nella quale gli operatori ritengono di aver realizzato i propri obiettivi e non hanno quindi alcun motivo per modificare le decisioni prese. Può avvenire, come avremo modo di verificare in seguito, che vi sia equilibrio in un senso, ma non nell’altro. Per esempio, un sistema economico può essere in equilibrio con disoccupazione. In tal caso i disoccupati non hanno realizzato il proprio obiettivo di avere un posto di lavoro, ma non sono in grado di modificare l’equilibrio del sistema. Infine, bisogna distinguere tra l'equilibrio di breve periodo e quello di lungo periodo. L'equilibrio di breve periodo è, infatti, soggetto nel tempo a cambiamenti che derivano non soltanto dalle variabili esogene, ma anche dalle variabili endogene, dato che i soggetti economici reagiscono spesso con un certo ritardo a determinate situazioni che si sono create.
Variabili endogene Variabili determinate all’interno di un modello (il valore delle quali è influenzato dai valori delle variabili esogene). Variabili esogene Variabili determinate all’esterno del modello. Parametri Costanti esogene che danno una forma specifica a una data funzione.
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Capitolo 1
Per quanto invece riguarda l’ipotesi che i prezzi siano rigidi, soprattutto verso il basso, sono due le motivazioni principali: in primo luogo, i prezzi sono strettamente legati ai costi e in particolar modo alle retribuzioni del lavoro (per brevità, i salari) e queste ultime sono di norma oggetto di contratti a medio termine che è difficile modificare nel breve periodo; in secondo luogo, le imprese stabiliscono i prezzi in base a considerazioni strategiche di medio periodo che tengono conto non soltanto dei costi, ma anche di altre variabili, come l’elasticità della domanda dei loro prodotti al reddito e ai prezzi e la concorrenza delle altre imprese. Cambiare continuamente i prezzi a fronte di qualsiasi variazione della domanda sarebbe pertanto controproducente e presenterebbe il rischio di perdita della clientela, nel caso di aumenti, o di riduzione dei margini di profitto, nel caso di diminuzioni. Data l’ipotesi della rigidità dei prezzi, il modello di breve periodo è illustrato nella Figura 1.6, dove, per i motivi che abbiamo appena visto, il livello dei prezzi è dato e pertanto la curva di offerta aggregata è orizzontale sino al livello di piena occupazione, Y*, in corrispondenza del quale la curva diventa verticale. La funzione della domanda aggregata ha invece un’inclinazione negativa e, incrociando il tratto orizzontale della curva di offerta nel punto E0, determina il livello di equilibrio del prodotto (Y0). Essendo Y0 inferiore a Y*, vi sarà disoccupazione. Uno spostamento della curva di domanda determinerebbe una variazione del prodotto, senza alcuna variazione del livello dei prezzi. Questi ultimi aumenterebbero soltanto se la curva di domanda si spostasse verso destra sino a incrociare la curva di offerta nel tratto verticale. In tal caso si avrebbe inflazione da domanda.
Figura 1.6 Offerta aggregata e domanda aggregata nel breve periodo
P
AD = domanda aggregata AS
AS = offerta aggregata Y0 = prodotto di equilibrio Y* = prodotto potenziale
AD
Livello dei prezzi
16
P0
P0 = livello fisso dei prezzi
E0
Y
0
Prodotto
Y*
Y
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Introduzione
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1.6.2 Medio periodo: capacità produttiva data e prezzi variabili In questo modello si mantiene, per semplicità, l’ipotesi della capacità produttiva data, come nel modello di breve periodo, ma si ammette la possibilità che con il passare del tempo prezzi e salari diventino flessibili. Se pertanto la domanda aggregata eccede il livello del prodotto potenziale, si avrà inflazione, mentre nel caso opposto prezzi e salari dovrebbero cadere. Negli ultimi decenni si sono tuttavia osservati casi di inflazione anche in presenza di un certo tasso di disoccupazione. Questo paradosso si può spiegare in due modi: il primo è la presenza di imperfezioni nel mercato del lavoro che rendono difficile un perfetto incontro della domanda con l’offerta di tale fattore produttivo. Per esempio, potrebbero coesistere persone alla ricerca di un posto di lavoro, che in questa fase sono quindi classificate come disoccupate, con la ricerca di personale da parte delle imprese che in quell’intervallo di tempo hanno posti di lavoro vacanti. L’incontro tra domanda e offerta sarà ancor più difficile in presenza di una segmentazione geografica del mercato (come in Italia fra Nord e Sud) o di una segmentazione professionale (per esempio, scarsità di tecnici e abbondanza di laureati in materie letterarie). In questa situazione un certo tasso di disoccupazione, che può essere definito frizionale, è inevitabile e crea una situazione equivalente alla piena occupazione. Un secondo motivo della coesistenza di disoccupazione e inflazione deriva dal conflitto distributivo che nelle moderne economie industriali coinvolge lavoratori e datori di lavoro. Richieste di aumenti salariali si possono, infatti, manifestare in fase di contrattazione anche in presenza di disoccupazione. Gli aumenti salariali saranno poi scaricati sui prezzi e genereranno così nuove rivendicazioni salariali per la difesa del potere d’acquisto. Si metterà pertanto in moto una spirale inflazionistica che sarà tanto più rapida quanto minore è il tasso di disoccupazione e quindi quanto maggiore è il potere contrattuale dei lavoratori. In questo modello la curva di offerta aggregata non soltanto è (o può essere) inclinata positivamente, ma tende anche a spostarsi nel corso del tempo. 1.6.3 Lungo periodo: capacità produttiva variabile Il comportamento del sistema economico nel lungo periodo è oggetto di analisi da parte della teoria della crescita. Quest’ultima, come abbiamo visto in precedenza, si chiede in che modo l’accumulazione di capitale e il progresso tecnologico facciano crescere il tenore di vita della popolazione. In questo modello non si tiene, invece, conto delle fluttuazioni di breve periodo della domanda aggregata. Si ritiene, infatti, che i periodi di espansione e di recessione si compensino e che di conseguenza tutti i fattori siano in media pienamente impiegati, fermi restando i livelli di disoccupazione fisiologici ai quali si è fatto cenno nel paragrafo precedente. Per quanto riguarda il livello dei prezzi, il suo andamento dipende dai rapporti che in ciascun periodo si instaurano tra domanda e offerta aggregata. Per esempio, se la domanda aumentasse allo stesso tasso dell’offerta, come nella Figura 1.7, il livello dei prezzi rimarrebbe inalterato, mentre tenderebbe ad aumentare (diminuire) se la domanda crescesse più rapidamente (più lentamente) dell’offerta.
1.7 Organizzazione del testo Il programma di macroeconomia sarà affrontato in modo graduale nei prossimi capitoli attraverso il filo conduttore dei tre modelli di breve, medio e lungo periodo che abbiamo sommariamente illustrato nel paragrafo precedente. Prima, però, di iniziare l’analisi teorica, dedicheremo il prossimo capitolo a un’esposizione sintetica della contabilità nazionale. Questa disciplina fornisce il quadro di riferimento necessario per
Lungo periodo Periodo di tempo sufficientemente lungo perché la capacità produttiva possa aumentare e i prezzi e i salari raggiungano il livello di equilibrio compatibile con il pieno impiego dei fattori produttivi. Teoria della crescita Teoria che si propone di spiegare i fattori che determinano il tasso di incremento del prodotto potenziale nel lungo periodo.
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Capitolo 1
Figura 1.7 Offerta aggregata, domanda aggregata e prezzi nel lungo periodo
P
AS0 AD 0
Livello dei prezzi
18
AS1 AD 1
AS 2
AD 2
P*
Y0
Y1
Y2
Y
Prodotto
un’ordinata raccolta della documentazione statistica sulle principali transazioni che si svolgono, nel corso di un determinato periodo, fra i settori e gli operatori più rilevanti del sistema economico. La contabilità nazionale è costruita di norma per l’economia dell’intero Paese, ma spesso è estesa anche alle principali suddivisioni territoriali, come sono per esempio in Italia le regioni. Sia l’analisi macroeconomica sia la contabilità nazionale hanno ricevuto un forte impulso negli anni Trenta del secolo scorso da John Maynard Keynes (1883-1946) il quale, di fronte alla Grande Depressione e alla disoccupazione dilagante che nel 1929 avevano colpito gli Stati Uniti, l’Europa e tutto il mondo industrializzato, cercò di elaborare uno schema interpretativo che fosse in grado di sopperire all’impotenza dimostrata dalla teoria economica tradizionale e dalle relative ricette di politica economica. La macroeconomia keynesiana, come vedremo nei prossimi capitoli, mette in particolare risalto il ruolo della domanda aggregata come motore principale della produzione e quindi dell’occupazione. Essa a tal fine si avvalse grandemente degli studi di contabilità nazionale che si erano sviluppati negli anni Trenta e nello stesso tempo diede grande impulso a tali studi: nel 1934 il National Bureau of Economic Research iniziò negli Stati Uniti d’America, in collaborazione con il Department of Commerce, la stima annuale del reddito nazionale del Paese. Negli anni successivi stime analoghe, sempre più perfezionate e dettagliate, si estesero a numerosi altri Paesi e a organismi internazionali come la Lega delle Nazioni Unite, l’ONU e, in tempi più recenti, la Comunità Europea. In Italia i conti economici nazionali sono attualmente calcolati dall’Istituto Centrale di Statistica (ISTAT) con il coordinamento dell’Ufficio Statistico dell’Unione Europea (EUROSTAT). Nel Capitolo 3 si fa uso degli schemi di contabilità nazionale e della documentazione statistica basata su tali schemi per illustrare alcuni dei principali fenomeni economici ai quali abbiamo fatto riferimento: la crescita, le fluttuazioni economiche, l’inflazione e la disoccupazione. Il Capitolo 4, che apre la Parte II, dà inizio all’analisi macroeconomica vera e propria: viene introdotto uno schema teorico semplificato che sarà progressivamente
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Introduzione
arricchito nei capitoli successivi per renderlo più vicino alla realtà di un’economia aperta come quella italiana. Il modello di partenza riguarda il breve periodo e, come abbiamo già accennato, prevede prezzi fissi e una capacità produttiva data. Questa ipotesi consente di concentrare l’attenzione sugli aspetti principali della domanda aggregata. Nel capitolo si considera dapprima un’economia con due soli soggetti economici: le famiglie e le imprese. Le prime vendono alle seconde i servizi dei fattori produttivi di cui sono in possesso e ricevono in cambio un reddito che in parte spendono per beni di consumo e in parte risparmiano. Le imprese, invece, organizzano la produzione dei beni e prendono le decisioni relative all’investimento, ossia all’incremento dello stock di capitale. Sempre nel Capitolo 4 viene poi inserito un terzo soggetto: lo Stato. L’intervento di quest’ultimo ha due effetti principali sulla domanda aggregata: da un lato, influenza il reddito disponibile delle famiglie e quindi la domanda di beni di consumo attraverso la tassazione e i trasferimenti; dall’altro, aggiunge alla spesa privata la spesa pubblica. Il Capitolo 5 inserisce un quarto soggetto: la Banca Centrale, il cui compito principale è di creare e controllare la moneta, ossia l’insieme dei mezzi di pagamento che fungono da intermediari negli scambi dei beni e dei fattori produttivi. La Banca Centrale con la sua azione influenza anche i tassi di interesse e di conseguenza le decisioni di investimento. Il Capitolo 6 utilizza gli schemi elaborati nei due capitoli precedenti per approfondire i problemi e le tecniche della politica fiscale e della politica monetaria. Nel Capitolo 7 si estende il modello ai problemi dell’economia aperta, ossia degli scambi internazionali di merci e di capitali. La Parte II chiude con l’esame del problema della formazione dei prezzi (Capitolo 8), mentre nella Parte III si rimuove l'ipotesi dei prezzi fissi e si focalizza l'analisi sui problemi di medio periodo, in particolare i rapporti tra inflazione e disoccupazione (Capitolo 9). Il Capitolo 10 è dedicato a un tema di grande rilievo per l’Italia: la macroeconomia dell’Unione Economica e Monetaria Europea. Come gli altri Paesi dell’Unione che hanno scelto l’euro quale moneta unica, l’Italia ha infatti rinunciato non soltanto alla sovranità monetaria, ossia a una propria moneta e una propria Banca Centrale, ma anche a molti altri strumenti di politica economica, come, in particolare, la politica dei cambi, la politica dei dazi e, in parte, la politica fiscale. Mentre la Parte II e la Parte III si preoccupano principalmente di fornire una visione d’insieme del sistema economico, la Parte IV è dedica all’approfondimento di singoli aspetti: il consumo e il risparmio (Capitolo 11), l’investimento (Capitolo 12), il sistema monetario e creditizio (Capitolo 13) e i mercati finanziari (Capitolo 14). In questi ultimi due capitoli si introduce un nuovo operatore economico: l’azienda di credito (o, più semplicemente, la banca). Il Capitolo 15, infine, completa l’analisi dell’economia internazionale. La Parte V è dedicata ai problemi del lungo periodo, ovvero al tema della crescita. Il Capitolo 16 contiene un’introduzione all’argomento con particolare riferimento ai modelli con coefficienti fissi, mentre il Capitolo 17 sviluppa in dettaglio il modello neoclassico con coefficienti flessibili. Ambedue i capitoli considerano sia il progresso tecnologico esogeno sia quello endogeno e sono stati scritti in modo da essere studiati in modo indipendente. Questo consente ai corsi universitari che non possono dedicare eccessivo spazio al tema della crescita di scegliere soltanto uno dei due capitoli. Nel caso che venga scelto il Capitolo 17, si consiglia comunque la lettura del Paragrafo 16.1, che contiene informazioni statistiche utili all’inquadramento storico dei problemi della crescita, in particolare della questione se esiste convergenza o divergenza nel tempo tra i livelli del reddito pro capite dei Paesi nel mondo.
19
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Capitolo 1
Riepilogo • La macroeconomia ha come oggetto principale lo studio della crescita e delle fluttuazioni del prodotto reale. • Il prodotto reale rappresenta le quantità di beni finali a disposizione degli abitanti di un sistema economico. Il prodotto reale pro capite è pertanto un indice del livello del benessere materiale raggiunto da un Paese. • La macroeconomia, per facilitare l’analisi dei singoli problemi, si avvale di modelli con diverso orizzonte temporale: breve, medio e lungo periodo. I modelli sono rappresentazioni semplificate della realtà che concentrano l’attenzione sugli aspetti ritenuti di volta in volta essenziali dal ricercatore. • Nel modello di breve periodo la capacità produttiva è data, mentre i prezzi e i salari sono considerati rigidi verso il basso. La produzione effettiva dipende dal livello della domanda aggregata. Si può quindi avere disoccupazione di parte della forza lavoro oppure aumento dei prezzi a seconda che la domanda sia infe-
riore o superiore al livello di pieno impiego del prodotto reale, detto anche “prodotto potenziale”. • Nel medio periodo la capacità produttiva è fissa, come nel breve periodo, mentre i salari e i prezzi diventano flessibili. Il sistema economico tende quindi a gravitare attorno al livello del prodotto potenziale. Nella definizione di quest’ultimo concetto bisogna tuttavia tenere conto di un certo tasso di disoccupazione che è difficile, se non impossibile, eliminare a causa sia delle imperfezioni del mercato del lavoro (disoccupazione frizionale) sia del conflitto distributivo tra lavoratori e datori di lavoro. È quindi possibile osservare una compresenza di inflazione e disoccupazione qualora la domanda aggregata spinga la disoccupazione a scendere al di sotto del suo livello minimo. • Nel lungo periodo la capacità produttiva può variare in seguito all’investimento e al progresso tecnologico. La teoria della crescita studia i fattori che determinano l’aumento tendenziale del prodotto potenziale.