Plasticità e interazioni geni-ambiente a cura di Roberta Battini e Roberta Scalise
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egli ultimi decenni, le neuroscienze hanno fortemente contribuito alla comprensione dell’epigenetica, che rivela non solo un nuovo modo di concettualizzare il comportamento dei nostri geni ma fornisce anche una nuova prospettiva sulla comprensione diagnostica e prognostica dei disturbi del neurosviluppo e delle disabilità in età evolutiva. Il comportamento umano, infatti, deriva dall’intreccio di tre diversi fattori che rappresentano le fonti della variabilità interindividuale: i geni, l’organizzazione personale e l’ambiente. Di conseguenza, oltre a una sempre più accurata conoscenza dell’organizzazione morfologica e funzionale delle strutture cerebrali e della loro plasticità nel corso dello sviluppo (tipico e atipico), è stata sempre più studiata la variabilità individuale nella fitta rete di connessioni tra le diverse aree del sistema nervoso. In particolare, nel contesto dello sviluppo atipico, il contributo dei fattori genetici e ambientali nelle differenze individuali dei circuiti cerebrali e del comportamento assume un ruolo determinante. Parallelamente, la conoscenza di tali meccanismi sottolinea l’importanza di pianificare strategie terapeutiche precoci e multidisciplinari, fondate anche su un attento empowerment familiare e scolastico, al fine di promuovere lo sviluppo e/o il ripristino delle funzioni compromesse. La plasticità del Sistema Nervoso Centrale suggerisce che l’ambiente possa avere un ruolo fondamentale nel definire i confini e i passaggi fra sviluppo tipico e atipico, in quanto un ambiente “giustamente arricchito”, in grado cioè di rispondere ai bisogni neuromotori, emotivo-cognitivi e relazionali età-correlati, può avere un forte valore preventivo dei disturbi del neurosviluppo o delle eventuali comorbidità correlate.
Obiettivi di apprendimento In questo capitolo discuteremo di: •
Interazione tra geni e ambiente.
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Plasticità neuronale.
•
Rilevanza della comunicazione diagnostica per una corretta presa in carico.
•
Ruolo dell’assistenza medico-sanitaria, delle famiglie e della scuola.
1.1 NEUROPLASTICITÀ Il sistema nervoso (SN) è costituito da complessi network neuronali dedicati al controllo di diverse funzioni quali la rappresentazione sensoriale del mondo esterno,
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l’esecuzione di comportamenti motori o la regolazione di attività vegetative. Per garantire una corretta e regolare performance del SN nei diversi ambiti è necessario che le cellule nervose che compongono ogni circuito siano connesse fra di loro in maniera altamente specifica, fino a costituire sofisticate mappe neurali che riproducano esattamente le superfici sensoriali o le sequenze dei comandi motori. In tale contesto, le informazioni contenute nel patrimonio genetico e perfezionate nel corso dell’evoluzione svolgono un ruolo determinante: tuttavia, è chiaro che circuiti nervosi costruiti esclusivamente sulla base di istruzioni interne potrebbero funzionare in maniera adeguata solo di fronte a condizioni ambientali immutabili e univoche, quindi lontane dalla comune realtà in cui viviamo. Una delle scoperte più importanti nel campo della neurobiologia è quella relativa agli studi sull’encefalo “plastico”, termine utilizzato per distinguerlo da quello “deterministico” o fisso, espressione dell’azione del genoma, cioè del Lobo corredo genetico contenuto nei 46 cromosomi. L’encefalo plaÈ un’area del cervello. Il cervello è composto da due stico, soprattutto nelle sue componenti anatomiche dei lobi metà (o emisferi), metà defrontali e temporo-parietali, è capace di modificarsi e struttustra e metà sinistra. Ogni rarsi sull’esperienza in base all’interazione con l’ambiente. Il simetà ha quattro lobi forte11 stema nervoso con i suoi 100 miliardi (10 ) di cellule, ognuna mente interconnessi: frontale: area nella parte andelle quali è connessa mediamente a circa 10 000 neuroni, costiteriore del cervello, dietro la tuisce la struttura funzionale fondamentale (Allen, 2014; Allen e fronte. I lobi frontali sono parte Lyons, 2018) (Figura 1.1) . dei circuiti responsabili del movimento, del pensiero coscienUna delle differenze tra cervello umano e quello dei prite, dell’apprendimento, della mati non sta tanto nel numero dei neuroni ma soprattutto parola e della personalità; nella ricchezza delle connessioni tra essi (network neurale). occipitale: area nella parte posteriore del cervello. I lobi Il cervello plastico è in grado di costruire strutture che non occipitali sono responsabili sono geneticamente determinate. L’attuale visione funzionadel senso della vista: ricevono le del sistema nervoso impone pertanto di guardare non solo informazioni dagli occhi per tradurle in ciò che vediamo alla genetica molecolare (gene-malattia) ma anche alla geneintorno a noi; tica della plasticità (gene-ambiente) che regola la funzione e parietale: area del cervello l’adattamento del soggetto all’ambiente circostante. nella parte superiore della testa dietro i lobi frontali. I L’ambiente (environment) assume un ruolo cruciale nella lobi parietali contribuiscono maturazione finale dei network cerebrali. Il comportamento a controllare il modo in cui umano, infatti deriva dall’intreccio di tre diversi fattori causali sentiamo e comprendiamo le sensazioni. Controllano anche che rappresentano le fonti della variabilità individuale: i geni, il modo in cui giudichiamo il vissuto personale e l’ambiente. le relazioni spaziali (come la È emerso in maniera sorprendente che se si sommano la distanza tra due oggetti), il nostro coordinamento e la percentuale che spetta ai geni e quella che dipende dall’amcapacità di leggere, scrivere e biente nella determinazione di un dato carattere biologico, fare matematica; raramente si raggiunge il 100%. Questo vuol dire che esiste temporale: aree del cervello ai lati della testa, sopra un’ulteriore quota di variabilità dipendente dal caso, la cui le orecchie. I lobi temporali azione può estrinsecarsi sia a livello molecolare che a livello contribuiscono alla creazione macroscopico durante tutte le fasi dello sviluppo dell’organidi ricordi ed emozioni (come smo, da quelle precocissime, per esempio a livello intrauterisentirsi felici o tristi). Sono anche coinvolti nel linguaggio, no, a quelle più tardive. Questa azione di controllo produce nell’udito e nella percezione un cambiamento dell’espressione dei geni, dei loro schemi di (come vediamo il mondo che attività, assicurando il corretto svolgimento dei processi bioci circonda).
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FIGURA 1.1 Descrizione schematica dell’organizzazione corticale del cervello umano. Corteccia somatosensoriale (sensibilità corporea)
Corteccia motoria primaria (movimenti volontari)
Lobo parietale
Lobo frontale Area di Broca (espressione del linguaggio)
Area di Wernicke (comprensione del linguaggio) Lobo occipitale
Corteccia uditiva primaria Corteccia visiva primaria Lobo temporale
Tronco dell’encefalo
Midollo spinale
Cervelletto (controllo motorio)
logici, ma allo stesso tempo causando una significativa serie di differenze casuali tra gli individui, sia fisiche che psichiche o mentali (Gayon, 2016). Gli individui sono l’espressione del patrimonio genetico che interagisce con gli stimoli ambientali con in più l’influenza modulatrice e modellatrice dell’azione creativa del caso. Alla luce di ciò, si è verificato in questi ultimi anni un radicale cambiamento nella tradizionale visione della “genetica comportamentale”, che si proponeva di individuare nei geni le cause certe delle caratteristiche individuali, comportamentali e anche di gravi patologie neuropsichiatriche. Tale cambiamento si deve allo sviluppo delle conoscenze nell’ambito della ricerca epigenetica (Janssens et al., 2006). Il termine “epigenetica” è stato coniato per la prima volta da Conrad Hal Waddington nella metà degli anni ’50 per indicare lo studio delle interazioni tra fattori genetici e sviluppo embrionale. L’interazione tra fattori genetici e fattori ambientali permette la modifica delle funzioni neurali sia in termini strutturali che funzionali: in particolare, i geni guidano le fasi iniziali dello sviluppo del Formazioni dendritiche sistema nervoso centrale (SNC) e dei circuiti neurali, regolanSono le fibre che si ramifido la formazione strutturale dapprima del tubo neurale, e succano a partire dal neurone, che trasportano il segnale cessivamente delle specifiche aree cerebrali, mentre l’envinervoso in direzione centrironment (agenti patogeni, fattori nutrizionali, eventi strespeta (verso il soma, il corpo santi ecc.) influenza e modella la struttura e la funzione nel cellulare del neurone). Più corso della maturazione del SNC, determinando fenomeni di formazioni dendritiche di un unico neurone formasinaptogenesi, formazioni dendritiche, rimodellamento no un albero dendritico. La assonale (Cioni et al., 2017). maggior parte dei neuroni La plasticità cerebrale può essere definita come l’insieme dei presenta un numero molto cambiamenti che si verificano nell’organizzazione anatomica e elevato di dendriti attraverso i quali riceve impulsi provefisiologica del cervello come risultato dell’esperienza (Spolidonienti da altri neuroni o, nel ro et al., 2009). Il termine “plasticità” esprime, infatti, il significacaso di neuroni sensoriali, to di flessibilità e malleabilità. Tale proprietà è di fondamentale prodotti da stimoli ambienimportanza per l’adattamento del nostro comportamento, per i tali e li trasmette al neurone.
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processi di apprendimento e di memoria, per lo sviluppo cereRimodellamento assonale brale e la riparazione del danno cerebrale. L’esperienza si traduL’assone è il prolungamento ce in pattern di attività elettrica all’interno delle reti neurali, e principale della cellula nervosa (anche detto neurite o questi pattern guidano le diverse forme di plasticità funzionale e cilindrasse), che conduce gli strutturale, attraverso azioni spazialmente e temporalmente coimpulsi nervosi in direzione ordinate da fattori cellulari e molecolari specifici. La plasticità centrifuga, cioè dal corpo neurale può determinare modifiche sull’efficacia di connessioni cellulare verso la periferia. Gli assoni di maggiore sinaptiche già esistenti, sulla formazione di nuove sinapsi o elidiametro sono circondati minazione di quelle pre-esistenti, cambiamenti su larga scala da cellule dette cellule di nell’arborizzazione dendritica o assonale e nella produzione o Schwann, che hanno lo scotrasmissione di segnale dei neuromodulatori o dei neuroormoni po di produrre una guaina mielinica a funzione protet(Sale et al., 2014). tiva e isolante, e rendere più I circuiti corticali mostrano la loro massima sensibilità agli veloce la propagazione destimoli sensoriali indotti dall’esperienza in epoca postnatale gli impulsi nervosi. Il rimo(stimoli precoci); col passare degli anni fino all’età adulta le dellamento assonale si riferisce ad una serie di risposte strutture cerebrali mostrano via via un grado di plasticità netdi tipo sia degenerativo che tamente inferiore (Spolidoro et al., 2009; Hooks e Chen, 2007). rigenerativo che si verificaPer esempio, i bambini sono più veloci degli adulti nell’apno in presenza di un danno prendimento di una nuova lingua (Klein et al., 2014; Li et al., neuronale. In tale processo si intersecano meccanismi 2014) o nel raggiungimento di abilità complesse come suonare biochimici, biofisici e vascouno strumento musicale (Barrett et al., 2013). Nel primo anno di lari. Il metabolismo cellulare vita, infatti, il SNC va incontro a un imponente sviluppo e riorsi modifica, in modo tale da prediligere la produzione di ganizzazione: le sue dimensioni incrementano, l’organizzazione fibre e costituenti necessaelettrofisiologica e la citoarchitettura corticale si modificano, rie alla rigenerazione. si verificano il fenomeno della neurogenesi, della migrazione neuronale e della potatura assonale (Johnston et al., 2009). Di Potatura assonale conseguenza, i bambini che non ricevono adeguati e precoci inLe connessioni che sono utiput ambientali nei primi mesi di vita sono più predisposti ad lizzate sopravvivono e sono rinforzate, mentre le conavere un anomalo sviluppo delle funzioni connesse a tali input nessioni non utilizzate ven(Lewis e Maurer, 2005; Mowery et al., 2016). Sebbene il cervello gono sostituite, “potate” o non cresca rapidamente come nella prima infanzia, anche dueliminate. rante la seconda infanzia e oltre, indicativamente dai 3 ai 15 anni, i cambiamenti anatomici sono significativi. Di conseguenza, continua il processo di modellamento: in alcune aree aumentano la densità e la connettività neurale, mentre in altre diminuiscono. Infatti, un cambiamento che continua quando i bambini attraversano la tarda infanzia consiste nel passaggio dall’attivazione in aree diffuse e più ampie ad aree più piccole e focalizzate (Durston et al., 2006) e alla progressiva lateralizzazione emisferica, cioè l’attribuzione di compiti specifici all’emisfero destro e al sinistro rispettivamente. Tali modifiche si accompagnano a un aumento di efficienza e di elaborazione di aree più specializzate e definite. I circuiti a sviluppo più protratto sono quelli che includono il controllo dell’attenzione, la riduzione delle interferenze, l’inibizione Emisfero È una parte del cervello. Il cerdi azioni motorie e la flessibilità nell’alternanza tra scelte comvello è costituito da una metà petitive (Diamond, 2013). Tuttavia, vi sono momenti dello svidestra e una sinistra, chialuppo in cui si crea un alterato equilibrio fra sistemi, per esemmate emisfero. Ogni emisfero è costituito da quattro lobi. pio in adolescenza la maturazione completa di strutture forte-
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mente implicate nell’espressione emotiva, come l’amigdala, a fronte di circuiti frontali necessari per il controllo ancora immaturi, possono in qualche modo contribuire a situazioni di scompenso emotivo-comportamentale frequentemente osservati in adolescenza e che talvolta, proprio in quest’epoca, sfociano nell’emergenza di un disturbo psichiatrico (Santrock, 2013). Oppure vi sono funzioni, culturalmente apprese nel corso della storia dell’uomo, come la letto-scrittura, che richiedono di riciclare e “fondere” in nuove nicchie cerebrali, connesse e ben sincronizzate, aree deputate a funzioni più primitive, come la vista, il linguaggio orale e il controllo motorio (ipotesi del “Riciclaggio Neurale”; Dehaene, 2009). Il processo di modellamento è, soprattutto per funzioni di ordine superiore e per comportamenti complessi, protratto lungo tutto il corso dello sviluppo e secondo alcuni approcci teorici – la Neural Reuse Theory (Anderson, 2010) – il cervello è un sistema continuamente auto-organizzato dove i neuroni sono reclutati in tempo reale in partnership che non sono mai fisse.
1.2 PERIODO CRITICO Il concetto di “periodo critico” o periodo di vulnerabilità o periodo sensibile, rappresenta una specifica finestra temporale in cui la plasticità neuronale risulta massima e i circuiti neuronali in risposta agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno sono maggiormente sensibili, sia in termini di sviluppo che di recupero funzionale. Tali periodi rappresentano un complesso sistema che può coinvolgere diverse funzioni e sistemi (Figura 1.2), e in relazione al tipo di stimolo indotto dall’esterno possono essere sia positivi (arricchimento ambientale) che negativi (deprivazione sensoriale e/o socio-emotiva) e conseguentemente influenzare lo sviluppo neuronale (Cioni et al., 2017). In tale contesto recentemente si colloca il progetto “I primi 1000 giorni di vita del bambino: dal feto al neonato, ai primi mesi di vita, una finestra importantissima che determina la salute fisica e psichica per tutta la vita” in collaborazione tra l’Università
Plasticità
FIGURA 1.2 Rappresentazione schematica del grado di plasticità neuronale dalla nascita all’età adulta in relazione alle funzioni sensoriali, motorie, linguistiche e cognitive superiori.
Nascita
Funzioni sensoriali
Funzioni motorie/ linguistiche
Funzioni cognitive
Sviluppo
Fonte: Hensch T. (2005). Critical period plasticity in local cortical circuits. Nat Rev Neurosci 6, 877-888.
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di Pisa (Neuropsichiatria Infantile, Neonatologia e Pediatria), i laboratori dell’IRCCS Fondazione Stella Maris. Tale progetto ha come obiettivo quello di realizzare già a domicilio dei bambini nati a rischio, un programma di protezione (riconoscimento precoce dei primi segni d’allarme), diagnosi e cura dei disturbi neuropsichiatrici nelle prime settimane di vita e fornire gli stimoli giusti per uno sviluppo ottimale del sistema nervoso. La presenza di meccanismi di plasticità neuronale più potenti durante le prime fasi di sviluppo dovrebbe implicare che la riparazione del danno cerebrale sia più efficace per lesioni insorte precocemente piuttosto che per lesioni verificatisi più tardi nella vita. In realtà, alcuni studi dimostrano come sia articolato e complesso il sistema che regola questi meccanismi poiché tiene conto di diversi fattori: la localizzazione e l’estensione di lesione (per es., focale o diffusa), il timing dell’insulto, le correlazioni cliniche (per es., presenza di epilessia) o la suscettibilità genetica del soggetto (Marchi et al., 2017; Anderson et al., 2009; Dennis et al., 2013; Brizzolara et al., 2002). Uno dei più importanti fattori predittivi sull’efficacia della riorganizzazione funzionale sembra essere la distribuzione spaziale del danno, focale versus diffusa (Kolb e Gibb, 2014; Sweatt, 2016). Nello specifico, per esempio, i bambini con danno unilaterale precoce dell’emisfero sinistro possono acquisire normali competenze linguistiche, mentre la presenza di lesioni di uguale localizzazione ed estensione nel cervello adulto possono portare a evidenti disturbi del linguaggio (Bates et al., 2001). Inoltre, bambini con esiti di ictus ischemico unilaterale (che tende ad associarsi a lesioni focalizzate) possono anche essere in grado di sviluppare funzioni cognitive globalmente normali (Ballantyne et al., 2008). Al contrario, altri studi suggeriscono che un precoce insulto cerebrale generalizzato (per es., ipossia globale o trauma cranico) sia generalmente associato a un recupero lento e un outcome peggiore rispetto a ciò che si osserva negli adulti con lesioni simili (Anderson et al., 2011). La maggiore vulnerabilità del danno diffuso precoce nei bambini è legata al fatto che lo sviluppo cognitivo nelle fasi iniziali è strettamente dipendente dall’integrità del network delle reti neurali, e per tale motivo una transitoria interruzione nello sviluppo delle abilità di memoria, attenzione e apprendimento inficia la regolare acquisizione di nuove capacità (Kolb e Gibb, 2014). Al contrario, in età più avanzata, le capacità cognitive globali, già stabilmente acquisite, possono essere risparmiate e il deficit può essere limitato, nel sistema adulto più modularizzato, alle funzioni direttamente coinvolte dall’area danneggiata (Marchi et al., 2017). Un altro fattore predittivo importante è il timing di insorgenza lesionale: durante il periodo di sviluppo i cambiamenti determinati dalla plasticità neuronale sono graduali e i periodi “critici” di vulnerabilità sono diversi per i vari sistemi funzionali (Lewis e Maurer, 2005). Pertanto, i tipi di danno cerebrale possono avere un’influenza estremamente variabile sul sistema nervoso in funzione dello stadio di maturaEpoca pre- o perinatale zione cerebrale in cui avvengono. Per esempio, un aspetto cruL’epoca prenatale va dal ciale della fisiopatologia del danno cerebrale congenito è l’insorconcepimento alla nascita; genza dell’insulto in epoca pre- o perinatale, che determina l’epoca perinatale rapprequadri clinici e neuropatologici sensibilmente diversi. Al fine di senta il periodo che precede e segue immediatamente la decodificare i meccanismi fisiopatologici di comunicazione neunascita, indicativamente dalronale, un notevole contributo è stato fornito dai progressi delle la 28ª-29ª settimana di genuove tecniche elettrofisiologiche, molecolari e di neuroimaging stazione alla 1ª-4ª settimana (PET, RM funzionale) applicabili anche alla popolazione pediadi vita.
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trica. Le tecniche di neuroimaging non invasive permettono inoltre di studiare l’entità del danno cerebrale, monitorare la sua evoluzione e comprendere le correlazioni tra danno strutturale ed esito funzionale (Marchi et al., 2017). Numerosi studi relativi alla plasticità cerebrale hanno focalizzato l’attenzione sullo sviluppo del sistema visivo, preso a paradigma dello sviluppo del SNC. Nello sviluppo del sistema visivo il periodo critico (intervallo di tempo in cui le tappe dello sviluppo della funzione visiva possono essere modificate da cambiamenti dell’informazione visiva in entrata), svolge un ruolo fondamentale poiché permette la maturazione e la stabilizzazione postnatale dei circuiti neuronali. Il cambiamento della dominanza oculare dei neuroni della corteccia visiva in risposta all’occlusione di un occhio e il recupero delle funzioni visive dopo un periodo di deDominanza oculare È la tendenza nel preferire privazione sensitiva rappresentano due classici modelli nello le informazioni visive ricestudio del periodo critico riferibile alla corteccia visiva (Spolidovute dall’occhio dominante, ro et al., 2009). Una volta che l’esperienza ha esercitato il suo rispetto al non dominante, ruolo di guida dello sviluppo, la riduzione della plasticità che cache provocano l’attivazione di una larga area di cortecratterizza la chiusura dei periodi critici è funzionale alla stabilizcia a livello cerebrale. La zazione dei circuiti e delle funzioni neurali. Tuttavia, quando i dominanza oculare non apperiodi critici si sono chiusi esiste lo svantaggio rappresentato pare legata all’occhio che ha un’acuità visiva migliore, dalla difficoltà di recupero dagli effetti di una difettiva o carente ma all’occhio che il cervello, esperienza. La difficoltà di recuperare da una cataratta neonataper motivi percettivi e espele o da difetti di refrazione o strabismo non corretti precocemenrienziali (non del tutto noti), te ne è un classico esempio. Sebbene l’infrastruttura corticale sceglie come canale preferenziale per acquisire le essenziale sia già presente alla nascita, la sua organizzazione informazioni visive dall’amdefinitiva matura nel corso delle prime settimane di vita, proprio biente. L’occhio dominante quando il sistema visivo viene per la prima volta esposto agli varia quindi al mutare delstimoli luminosi. Il ruolo dell’esperienza sensoriale nella costrula posizione di sguardo, al modificarsi della postura, in zione dei circuiti corticali visivi è stato studiato in modelli anibase all’ametropia, in relamali di deprivazione monoculare in cui si assiste a un drammatizione alla scena osservata co cambiamento sia strutturale che funzionale della corteccia e al variare dell’attenzione visiva (Hubel, 2009). Se la deprivazione sensoriale si prolunga dedicata a ogni specifica attività. per tutta la durata del periodo critico, le conseguenti alterazioni anatomo-funzionali sono definitive. Tuttavia, questi effetti potrebbero essere reversibili qualora l’occhio deprivato venisse esposto agli stimoli visivi prima della conclusione di questo periodo. In questo caso il ripristino precoce della ricezione sensoriale può favorire una nuova espansione delle connessioni nervose. I territori corticali destinati a rappresentare i due occhi vengono, pertanto, assegnati attraverso un processo “competitivo” regolato dall’esperienza sensoriale, e quindi dall’attività nervosa, di ciascun sistema afferente. L’esperienza sensoriale e la conseguente attività elettrica dei neuroni visivi inducono quindi una profonda riorganizzazione delle connessioni corticali, che comporta la contemporanea crescita e retrazione di ramificazioni assonali con la conseguente formazione ed eliminazione di contatti sinaptici: la plasticità sinaptica è la caratteristica principale della plasticità neuronale (Sale et al., 2014) (Figura 1.3). Nel complesso, la plasticità neuronale è modulata da fattori cellulari e molecolari che regolano l’equilibrio tra eccitazione e inibizione neurale (per es., neurotrofine, molecole rilasciate dalle cellule bersaglio per regolare la sopravvivenza, il fenotipo e la crescita assonale dei neuroni). Tali fattori nel lungo termine possono portare a un potenziamento
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FIGURA 1.3 Un cellula nervosa (corpo cellulare, assone, dendriti, sinapsi). NT = neurotrasmettitore. Dendriti Membrana cellulare Nucleo Guaina mielinica Nodo di Ranvier Soma (corpo cellulare) Terminali assonici Assone
Impulso nervoso NT che si legano con i recettori
Assone presinaptico Neurone presinaptico
Vescicola sinaptica
Membrana postsinaptica e recettori
Terminale presinaptico Im
oso nerv lso pu
Assone
(b)
Strutture recettoriali
Sintesi del trasmettitore
NT Vescicole sinaptiche
Immagazzinamento nelle vescicole sinaptiche Rilascio nello spazio sinaptico
Neurone postsinaptico Spazio sinaptico
Recettori della membrana postsinaptica
Legame con i recettori
Dendriti (a)
NT che non si legano ai recettori
(c)
Disattivazione tramite ri-captazione o inattivazione
o una depressione dell’attivazione neuronale e i meccanismi epiNeurotrasmettitori genetici possono influenzare la plasticità neuronale e di conseSostanze chimiche che aiutaguenza il fenotipo (Sale et al., 2014; Maffei et al., 2014). no a trasmettere messaggi da un neurone a un altro. Un sito cerebrale ad alta vulnerabilità agli eventi ambientali (e in particolare allo stress) è l’ippocampo; l’esposizione a fattori stressanti (per es., mancanza di cure materne o malnutrizione) può interferire con la sua maturazione strutturale e funzionale anche in modo permanente. Fattori neuroendocrini regolano la risposta allo stress, influenzando l’asse ipotalamo-ipofisario. È stato dimostrato, inoltre, che soggetti precocemente esposti a esperienze sfavorevoli precoci mostrano una maggiore vulnerabilità all’insorgenza di psicopatologie quali disturbi del neurosviluppo (per es., cognitivi e di apprendimento) e disturbi dello spettro d’ansia, che perdurano anche nell’età adulta. Studi di neuroimaging e biochimica, infatti, hanno dimo-
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strato una riduzione dell’attività metabolica cerebrale a livello di Ippocampo specifiche aree cerebrali deputate a funzioni di apprendimento e L’ippocampo è una formadi risposta allo stress e a stimoli ambientali, associata ad alterazione cerebrale, inclusa nel sistema limbico, situata nelzioni della risposta neuroendocrina. Tali risultati dimostrano l’imla regione mediana del lobo portanza dei fattori ambientali precoci sull’outcome di sviluppo temporale. Svolge un ruolo anche nel lungo termine (Cioni et al., 2017). Risulta, tuttavia, neimportante nei processi di apcessario precisare che l’esposizione a minimi livelli di stress può prendimento e di memoria; in particolare nella formazione determinare una maggiore resistenza allo stress stesso (resiliendelle memorie esplicite (diza); questo effetto è correlato alla suscettibilità genetica indivichiarativa e semantica), nella duale e lo stesso concetto va esteso anche per la risposta all’espotrasformazione della memosizione di fattori ambientali protettivi (Daskalakis et al., 2013). ria a breve termine in memoria a lungo termine e nella Al fine di fornire “l’ambiente giusto al momento giusto” è navigazione spaziale. L’ipponecessario conoscere le tappe tipiche dello sviluppo al fine campo rappresenta inoltre di sfruttarle come finestre terapeutiche nel caso di bambini una regione cerebrale in cui a rischio di sviluppo atipico. Nei disturbi del neurosviluppo la neurogenesi continua anche in età adulta. e in condizioni di disabilità precoce, inoltre, i fenomeni di progressiva organizzazione neurofunzionale e di plasticità maturativa possono essere alterati in vario modo. Alterazioni Outcome di sviluppo Rappresenta l’insieme dei strutturali del substrato, ad esempio a seguito di lesioni pre- o risultati ottenuti nella storia perinatali, possono determinare processi “mastodontici” di rinaturale del bambino o a seorganizzazione funzionale attraverso la semplice esposizione guito di eventuali interventi, all’ambiente (Guzzetta, 2008), ma parallelamente si riconosce nel breve o nel lungo termine. che i limiti alla plasticità possono essere multipli e talvolta non visibili alle tecniche oggi disponibili in quanto alterazioni funzionali complesse non sempre si associano a evidenti alterazioni a livello strutturale neuroanatomico.
1.3 AMBIENTE ARRICCHITO Le caratteristiche dell’ambiente in cui un soggetto si sviluppa risultano fondamentali, per cui, negli ultimi decenni, è stata posta molta attenzione al concetto di ambiente arricchito (enriched environment), che secondo la definizione di Rosenzweig rappresenta “la combinazione di stimoli inanimati e sociali complessi” (Will et al., 2004). L’enriched environment, per le sue stesse caratteristiche, offre l’opportunità di fornire multiple stimolazioni visive, olfattive, somato-sensoriali, motorie, cognitive e sociali di variabile complessità, determinando un maggiore grado di plasticità neuronale e un conseguente aumento dei fenomeni di neurogenesi, ramificazioni dendritiche e formazioni sinaptiche. Il dato anatomico si traduce, quindi, con Sinaptogenesi Insieme dei processi che un migliore outcome funzionale nelle capacità di memoria e apportano alla formazione prendimento, in cui la funzione ippocampale è coinvolta. L’amdelle sinapsi, strutture spebiente arricchito garantisce anche un effetto neuroprotettivo cializzate in cui avviene il poiché riduce il declino cognitivo e attenua gli esiti di danno cepassaggio di informazioni tra due cellule nervose (neurebrali in condizioni patologiche (per es., stroke, epilessia, trauroni pre- e postsinaptici). Si ma cranico ecc.) (Cioni et al., 2017). Anche le cure materne nei possono distinguere diverse primi mesi di vita rientrano nel concetto di ambiente arricchito, fasi, regolate da numerose poiché favoriscono la sinaptogenesi delle cellule ippocampali molecole di segnalazione.
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determinando migliori capacità di apprendimento e memoria. Come vedremo anche nel Capitolo 4 Prematurità, successivi studi hanno testato l’effetto del massaggio corporeo eseguito secondo un protocollo standardizzato in un gruppo di neonati pretermine (età gestazionale compresa tra 30-33 settimane). Il massaggio infantile è una forma di contatto fisico, composto da contatti dolci e lenti tra le mani dell’operatore e ogni parte del corpo del neonato. È spesso combinato con altre attività, come l’esecuzione passiva di movimenti delle braccia e delle gambe, l’ascolto della voce o il contatto oculare. I risultati mostrano che il massaggio influisce favorevolmente sulla maturazione dell’attività cerebrale, modulando i livelli specifici di fattori neurotrofici, in particolare IGF-1. I neonati trattati mostrano un’attività elettroencefalografica maggiormente organizzata e, all’analisi dei potenziali evocati visivi, i tempi di latenza appaiono ridotti, a riprova di un precoce sviluppo dell’acuità visiva (Guzzetta et al., 2009). Un altro esempio eccezionale dell’effetto delle cure umane sull’organizzazione neurofunzionale ci viene dagli studi del gruppo di Patricia Kuhl sull’apprendimento del linguaggio nel primo anno di vita. Il neonato, capace inizialmente di percepire i suoni di tutte le lingue del mondo, si specializza in pochi mesi (in un periodo critico di circa 4 mesi fra gli 8 e i 12) per i suoni della propria lingua. Tuttavia, questo fenomeno, definito di “restringimento percettivo”, può essere modificato se in quella finestra temporale il neonato viene esposto a una seconda lingua, anche per poco tempo ma tramite la relazione concreta con una persona umana (piuttosto che tramite dispositivi elettronici; Kuhl, 2010). Tali studi, come vedremo anche nel Capitolo 3 Bilinguismo e intercultura, forniscono informazioni importanti anche nell’ampio dominio del bilinguismo e in generale sono un esempio di come le neuroscienze possono fornire utili informazioni per strutturare stimoli educativi adeguati sia nei tempi che nella qualità. In conclusione, l’arricchimento ambientale stimola la plasticità assonale e la riorganizzazione sinaptica (Caleo et al., 2009), e le esperienze sensoriali precoci sono essenziali per lo sviluppo delle connessioni sinaptiche dei diversi sistemi. Connettoma Per cui, in presenza di un danno cerebrale precoce si assiste a una Mappa comprensiva delle riorganizzazione del network neurale che dipende dall’area coinconnessioni tra neuroni del volta (Fazzi et al., 2007), dal tipo di lesione e dal periodo in cui la sistema nervoso (“la geografia della mente”). Questa lesione si è verificata (Guzzetta et al., 2010), ma anche dagli input rete di connessioni cambia ambientali e dalla neuroplasticità. Pertanto, modificare l’ambiencostantemente nel tempo te rendendolo più facilmente percettibile gioca un ruolo chiave attraverso le quattro R: i neunell’attivazione della plasticità cerebrale (Prusky et al., 2008). roni adattano o “ripesano” le loro connessioni rinforzandoNegli ultimi anni, grazie allo sviluppo delle più avanzate tecle, oppure indebolendole; o niche di neuroimaging, è stata sempre più studiata la fitta rete ancora si riconnettono credi connessioni tra le diverse aree del sistema nervoso, definenando ed eliminando sinapsi; do quindi il concetto di connettoma. Un importante progetto riformano i circuiti facendo crescere e ritraendo le rami(The Human Connectome Project) è stato portato avanti al fine ficazioni, senza dimenticare di studiare l’architettura dei circuiti cerebrali e ottenere inforla creazione di nuovi neuroni mazioni sulla connettività (Glasser et al., 2016). In tale contesto, e l’eliminazione di quelli esiassume un ruolo importante valutare il contributo dei fattori stenti attraverso la rigenerazione. Questa frenetica attivigenetici e ambientali nelle differenze individuali dei circuiti cetà è alla base delle differenrebrali e del comportamento. ze individuali che osserviamo La conoscenza di tali meccanismi sottolinea quindi l’imporanche in casi patologici come i disturbi mentali. tanza di pianificare strategie riabilitative precoci e multidisci-
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plinari, volte a ridurre gli effetti di un danno neurologico precoce, promuovendo eventualmente lo sviluppo e/o il ripristino delle funzioni compromesse.
1.4 FAMILY CENTERED CARE E COMUNICAZIONE DIAGNOSTICA Considerate tali premesse, l’intervento precoce risulta indispensabile sia nel danno neurologico esitale sia in quello da alterazione genetica e sarà importante farsi carico non solo del bambino ma anche dell’ambiente in cui egli vive, rivolgendosi in particolare alla famiglia ristretta, ai genitori, ai caregiver, che se opportunamente informati e supportati nell’iter diagnostico-terapeutico possono contribuire alla determinazione di un outcome clinico più favorevole. Il benessere del bambino è, pertanto, inestricabilmente legato al benessere della sua famiglia e della comunità in cui vive. La “Family Centered Care” è un sostegno assistenziale che riconosce la centralità della famiglia nella vita del bambino con problemi di salute e l’inclusione e il suo coinvolgimento nel piano assistenziale. Tale approccio è nato dall’esigenza di cercare di soddisfare i bisogni non solo del bambino ma quelli di tutta la famiglia impegnata accanto a lui nel processo di recupero della salute e dell’autonomia. Empowerment familiare L’assistenza centrata sulla famiglia è stata recentemente L’empowerment familiare si definita come “il supporto professionale al bambino e alla fafa strada tra le transizioni fisiologiche proprie della miglia attraverso un processo di coinvolgimento, partecipafamiglia e nei passaggi più zione e condivisione, sostenuto da empowerment e negoziadelicati di situazioni partizione” (Shelton e Stepanek, 1994; Griffin, 2006). colari: esso indica l’aumenAlla luce di tali considerazioni, il momento della comunito di capacità, lo sviluppo delle potenzialità, il procescazione diagnostica rappresenta un evento cruciale nella stoso di responsabilizzazione, ria personale e familiare di un bambino affetto da patologia il potenziamento della perneuropsichiatrica. È, altresì, un compito arduo e delicato del sona, della coppia e della clinico che se ne fa carico poiché l’oggetto delle cure è profamiglia. Percorso che inevitabilmente si intreccia con prio un bambino, un “piccolo individuo” che avrà davanti a il normale evolversi e adatsé un lungo e articolato cammino di crescita contraddistinto tarsi della famiglia alle sida difficoltà e problematiche legate alla patologia, fino alla tuazioni che la quotidianità condizione di adulto. Nel comunicare una diagnosi nell’amle pone di fronte. Può essere definito quindi come un bito della neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, il metodo di intervento, che si medico dovrà considerare il “dinamismo” implicito dell’età pone come obiettivo quello evolutiva, quindi influenzato da predisposizioni genetico-codi attivare le potenzialità stituzionali e da fattori emotivo-ambientali, ma dovrà anche delle relazioni familiari, facendo leva sulle capacità assicurarsi dell’attendibilità e della validità della diagnosi che (simboliche, cognitive, afsta comunicando. L’attendibilità diagnostica sottende la replifettive) possedute da percabilità della diagnosi tra due operatori differenti (inter-rasone e relazioni, nel grado ter reliability) o anche da parte dello stesso operatore ma in in cui esistono e cercando di attivare i potenziali latenti, tempi diversi (intra-rater reliability), mentre per validità si così da arrivare a creare diintende la probabilità che i sintomi presentati dal bambino sinamiche adattive e salutari ano effettivamente riferibili alla patologia, e non determinati per tutti i soggetti coinvolti dal caso. Nella comunicazione diagnostica, allo stesso temnella situazione.
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po, vengono ribaltate improvvisamente una serie di aspettative e di speranze che i genitori inevitabilmente ripongono verso i propri figli e la loro vita futura con essi. Il crollo delle attese previste genera, dunque, reazioni emotive che possono essere variabili da caso a caso, ma che seguono tuttavia un decorso piuttosto tipico: inizialmente uno stato di shock ha il sopravvento a cui fa seguito incredulità (“non è possibile che stia capitando proprio a me…il dottore si sarà sbagliato…”) alternata a profonda angoscia e tristezza, in alcuni casi a senso di colpa (“non sono stato/a all’altezza di proteggere mio figlio… ho trasmesso io la patologia…”), impotenza e rabbia. Si tratta di reazioni di normale adattamento ed è opportuno che si manifestino apertamente e che vengano accolte dal personale medico di riferimento. Con tempistiche variabili da persona a persona, si instaura un periodo di adattamento. L’ansia e l’impotenza si trasformano in accettazione e adattamento alla nuova realtà, fino alla riorganizzazione di un nuovo approccio alla vita. La fase di accettazione si rende evidente quando i genitori smettono di voler ottenere a ogni costo una “guarigione” (che purtroppo nella maggior parte dei casi non è prevista) e cominciano a pensare a un “recupero funzionale” che riesca a migliorare e attenuare i sintomi della malattia anche attraverso l’individuazione di compensi che permettano di svolgere le normali attività di vita quotidiana. Confrontarsi con la capacità di un “adattamento sociale”, ossia con la capacità di adattarsi ai vari contesti di vita nel miglior modo possibile considerando le difficoltà e i limiti della nuova situazione familiare, costituirà un iniziale viatico al percorso di costruttiva convivenza con lo stato di disabilità. La mancanza di una possibile “guarigione”, d’altra parte, non indica che non si possa raggiungere una favorevole evoluzione clinica; infatti, tenendo in considerazione i meccanismi di plasticità neuronale e i periodi critici di maggiore suscettibilità è possibile raggiungere, in alcuni casi, un discreto recupero funzionale e/o comunque un buon adattamento all’ambiente. In questo caso giocano un ruolo importante la severità della sintomatologia di base, le eventuali co-morbidità, ma anche la fiducia e l’alleanza terapeutica con il medico di riferimento che favoriranno l’adattamento sociale e contribuiranno a sviluppare i fattori emozionali e comportamentali. Il processo di adattamento alla patologia viene così influenzato anche dalla modalità con cui viene comunicata la diagnosi: il medico dovrà sempre porre particolare attenzione alle dinamiche che si verificano in questo delicato momento, alle reazioni dei genitori e al contesto socio-culturale, alle domande che porranno, alla spiegazione del disturbo, che deve avvenire in più fasi per garantire una più corretta comprensione, nonché alla dettagliata conoscenza delle abilità funzionali presenti in quel momento nel bambino. Appare giusto sottolineare che non esistono linee guida o protocolli definiti su come comunicare ai genitori la diagnosi di una patologia neuropsichiatrica e/o eredo-degenerativa, e risulta altrettanto importante non dimenticare che è un momento di forte emotività per i genitori e la famiglia, ma anche per il medico, che con professionalità ma, al tempo stesso, con empatia deve cercare di instaurare un dialogo di confronto reciproco che sarà alla base dell’alleanza terapeutica. Per questo motivo, la disponibilità di tempo è la prima dimostrazione di interesse e solidarietà con la famiglia. Sin dal colloquio iniziale è infatti opportuno aprire spazio per incontri successivi in modo che i genitori possano riflettere sulle parole
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ascoltate, formulare domande, ascoltare risposte esaustive e far emergere problemi a cui non avevano avuto modo di pensare durante il primo colloquio. Sarebbe, inoltre, consigliato condividere le informazioni con il pediatra di riferimento o altri specialisti coinvolti nella presa in carico del bambino, e contestualmente anche con l’ambiente scolastico al fine di affrontare al meglio ogni evenienza in un contesto di multidisciplinarietà interattiva e collaborativa. La comunicazione diagnostica deve fornire dati precisi e “sinceri” sulla malattia, ma senza la pretesa di completezza. I genitori preferiscono informazioni limitate alle caratteristiche principali della patologia perché l’emozione del momento iniziale può impedire la comprensione di informazioni successive anche se chiare e corrette. La descrizione della condizione sarà seguita dalla presentazione dei trattamenti possibili indicando il Centro specialistico di riferimento più accessibile per un’assistenza multidisciplinare e integrata con i servizi territoriali. Emerge anche l’utilità di valutare le conoscenze già in possesso dei genitori e l’eventuale capacità di comprendere le informazioni, sollecitando domande ed esternazione di dubbi. In fase diagnostica, i genitori sono le persone più idonee a fornire indicazioni circa il profilo funzionale del bambino in quanto conoscono bene la globale complessità e l’adattamento all’ambiente del proprio figlio. A questo scopo, sono stati adottati nella pratica clinica questionari e interviste semi-strutturate che servono a integrare (ma non a sostituire) il colloquio con i genitori, al fine di comprendere al meglio le dinamiche psico-sociali del bambino. A tal proposito, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito un modello bio-psico-sociale, attraverso l’International Classification of Functioning, Disability and Health – Youth and Adolescent Version (ICF-CY) (Escorpizo et al., 2013). L’ICF-CY, di fatto, considera i molteplici aspetti che caratterizzano una “persona con bisogni speciali”: fattori biologici, psicologici e sociali. Tale sistema quindi permette di individuare ciò che risulta veramente utile al soggetto, descrivendone il suo funzionamento e le sue restrizioni. Fornisce, inoltre, informazioni legate a Funzionamento e Disabilità (Funzioni e Strutture Corporee; Attività e Partecipazione – capacità e performance) e ai Fattori Contestuali (Fattori Ambientali – facilitatore/ barriera; Fattori Personali) (World Health Organization, 2007).
1.5 ITER TERAPEUTICO I genitori assumono un ruolo ancora più importante nella fase successiva di formulazione dell’iter terapeutico. L’interesse del genitore è certamente rivolto alla prognosi, per cui è necessario che il personale medico di riferimento fornisca tutte le opzioni terapeutiche percorribili, le informazioni sui progressi della ricerca a livello internazionale e sulle eventuali nuove sperimentazioni cliniche qualora disponibili. I genitori, a loro volta, hanno il ruolo di informare il personale scolastico delle problematiche legate alla condizione clinica del proprio figlio al fine di instaurare un positivo e costruttivo rapporto scuola-famiglia. Tuttavia, considerate le implicazioni emotive che vive la famiglia durante l’iter diagnostico-terapeutico, risulta importante che l’équipe clinica si renda disponibile fin dall’inizio a comunicare con la scuola sui bisogni e le specifiche necessità del bambino per potergli permettere
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di intraprendere percorsi formativi che consentano lo sviluppo di tutte le sue potenzialità. La collaborazione tra docenti, genitori e clinici permette di operare efficacemente per ridurre le problematiche e riuscire a valorizzare le risorse del bambino. Sarà, inoltre, utile suggerire alle famiglie e alla scuola indicazioni e consigli su possibili atteggiamenti educativi “alternativi” a quelli abituali, incoraggiarli a creare stimoli ricreativi e di condivisione nelle attività del tempo libero e sostenerli nelle scelte che risultino funzionalmente valide. In questo contesto ben si colloca la definizione di un Piano Didattico Personalizzato (PDP) e un Piano Educativo Individualizzato (PEI) che garantiscano un approccio dinamico e multidisciplinare e che sia indirizzato al raggiungimento di specifici obiettivi (a breve, medio e lungo termine) (Coles et al., 2015). La scuola, pertanto, dovrà accogliere i bambini con patologia neuropsichiatrica, riconoscerne valori e limiti, operare per il loro sviluppo e la crescita delle loro funzionalità, facendo in modo che essi siano parte integrante del contesto scolastico, insieme e alla pari degli altri alunni, senza discriminazione alcuna. Nella dinamica terapeutica e di presa in carico, inoltre, il medico di riferimento deve sempre suggerire indicazioni sull’eventuale presenza di associazioni di genitori o di persone con la stessa condizione clinica, soprattutto se rara; si rivela importante, infatti, avere utili contatti con chi ha già vissuto esperienze simili e poter ricevere e condividere proposte di soluzioni ai problemi che si possono incontrare nel tempo. Qualora non fossero presenti sul territorio o in ambito nazionale associazioni di famiglie si potrà invitare i genitori a cercare di mettersi in contatto con altre famiglie con la stessa patologia proprio per tentare di creare nuove associazioni, che possono non limitarsi alla rappresentanza degli interessi e alla tutela dei diritti della categoria, ma anche offrire servizi specialistici di assistenza e di cura alle persone con disabilità a titolo privato o convenzionato, oppure diventare esse stesse promotrici della ricerca scientifica per la propria patologia di interesse attraverso l’organizzazione di raccolta fondi, convegni, family meeting e conseguente istituzione di bandi di ricerca finalizzata. Nel percorso di “care” e di assistenza nel tempo, ogni genitore costruisce una nuova immagine del figlio e del suo progetto di vita o di se stessi, e si attivano risorse quali autoefficacia e senso di responsabilità per il figlio. Sarà rilevante quindi un altro momento, anch’esso altrettanto delicato e da condividere con il medico di riferimento, quello della comunicazione delle proprie difficoltà al bambino affetto e ad eventuali fratelli o sorelle. Molti genitori trovano difficile parlare con i propri figli, specie se piccoli e in particolare di argomenti o situazioni “gravi”, e questo può generare un circolo vizioso: il genitore teme di parlare con il bambino, il mistero attiva nel bambino fantasie negative, il genitore percepisce nel bambino del malessere, e il bambino, pur realizzando che qualcosa non va bene, tace per non fare del male al genitore. Pertanto, per mettere ordine in questo insieme di situazioni, bisogna essere il più possibile chiari e “trasparenti”, comunicando e condividendo informazioni e ponendosi in una prospettiva di ascolto. Allo stesso modo è fondamentale la comunicazione anche ai fratelli (siblings), spesso riposti in secondo piano e confinati a ruoli marginali nell’ambito della famiglia. Anche se ritenuti troppo piccoli per comprendere, gli altri figli si accorgono molto precocemente delle differenze tra loro e il fratellino/sorellina, in particolare quando sono evidenti le difficoltà motorie. Per questo motivo è necessario fornire le giuste spiegazioni anche agli altri figli: sarà così più semplice per loro comprendere perché il fratellino o la sorellina abbia bisogno di particolari attenzioni e cure.
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La serenità, la chiarezza e la pazienza degli adulti nel dare le informazioni consentiranno sia al bambino affetto dalla patologia che al sibling di gestire più facilmente la disabilità, di integrarla più armoniosamente con il mondo esterno e di sviluppare una consapevole sensibilità nei confronti di ciò che lo circonda. Si sottolinea, infine, che il bambino in età evolutiva con patologia neuropsichiatrica non ha una condizione definita e immutabile nel tempo, piuttosto è la risultante dell’interazione tra problematiche intrinseche al soggetto e risposte esterne che possono accrescere o ridurre l’effettiva partecipazione della persona alla società (per es., barriere vs adattamento sociale). Risulta necessario, pertanto, un approccio multidimensionale dove la dimensione sanitaria lavori a stretto contatto con quella educativa (scuola) e sociale (risorse del territorio) al fine di ridurre le barriere e garantire professionalità, innovazione/ricerca e umanità.
RIEPILOGO L’interazione tra fattori genetici e fattori ambientali determina la modifica delle funzioni neurali sia in termini strutturali che funzionali. I geni guidano le fasi iniziali dello sviluppo del sistema nervoso e dei circuiti neurali, mentre l’ambiente influenza e modella la loro struttura e funzione nel corso della sua maturazione. La plasticità cerebrale è l’insieme dei cambiamenti che si verificano nell’organizzazione anatomica e fisiologica del cervello come risultato dell’esperienza. I circuiti corticali mostrano la loro massima sensibilità agli stimoli sensoriali indotti dall’esperienza in determinati periodi di maggiore sensibilità, definiti “periodi critici”. Essi rappresentano specifiche finestre temporali in cui la plasticità neuronale risulta massima e i circuiti neuronali in risposta agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno sono maggiormente sensibili, sia in termini di sviluppo che di recupero funzionale. Le caratteristiche dell’ambiente in cui un soggetto si sviluppa risultano fondamentali, per cui un ambiente arricchito (enriched environment) favorisce un migliore outcome funzionale e un effetto neuroprotettivo nel lungo termine. L’enriched environment e l’intervento precoce risultano indispensabili sia nel danno neurologico esitale che in quello da alterazione genetica e sarà importante farsi carico non solo del bambino ma anche della famiglia e dell’habitat in cui vive, in particolare rivolgersi ai genitori/caregiver, che se opportunamente informati e supportati nell’iter diagnostico-terapeutico, possono contribuire alla determinazione di un outcome clinico più favorevole. La Family Centred Care, infatti, riconosce la centralità della famiglia nella vita del bambino con problemi di salute e l’inclusione e il coinvolgimento della stessa nel piano assistenziale. Nella care (presa in carico) del bambino con problematiche neuropsichiatriche la stretta collaborazione tra personale medico sanitario, famiglia e scuola permette di operare efficacemente per ridurre i limiti e riuscire a valorizzare le risorse del bambino migliorando la sua qualità della vita.
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DOMANDE 1. 2. 3. 4. 5.
Cosa si intende per plasticità neuronale? Quali sono i fattori che regolano i meccanismi di plasticità neuronale? Significato e funzione dell’enriched environment. Definire l’importanza del modello Family Centered Care. Il ruolo della scuola nella presa in carico del bambino con patologia neuropsichiatrica.
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La bibliografia completa è disponibile sul sito web dedicato al volume.
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