Meccanica dei fluidi 4/ed - Capitolo 1 - Introduzione e concetti di base

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CAPITOLO

INTRODUZIONE E CONCETTI DI BASE

I

n questo capitolo introduttivo sono presentati i concetti di base comunemente usati nello studio del moto dei fluidi. Nella prima parte del capitolo sono esaminate le diverse fasi della materia e illustrati i vari modi in cui si possono classificare i problemi del moto dei fluidi (regioni di moto viscoso o non viscoso, fluido comprimibile o incomprimibile, regime di moto laminare o turbolento, moto a gravità o forzato, moto permanente o vario ...). Viene inoltre illustrata la condizione di aderenza sulla superficie di contatto solido-fluido e presentata una breve storia della meccanica dei fluidi. Introdotti i concetti di sistema e di volume di controllo, si passa alle unità di misura che saranno più frequentemente usate. Si discute poi di come vengono costruiti i modelli matematici dei problemi ingegneristici e di come vanno interpretati i risultati ottenuti con l’impiego di tali modelli. Viene quindi presentata una tecnica di risoluzione dei problemi intuitiva e sistematica, che può essere convenientemente utilizzata nella pratica ingegneristica. Infine, vengono discussi i concetti di accuratezza, precisione e cifre significative nelle misure e nei calcoli.

Immagine schlieren che mostra il pennacchio termico generato dal prof. John M. Cimbala mentre dà il benvenuto nell’affascinante mondo della meccanica dei fluidi. Riprodotta col permesso di Michael J. Hargather e John Cimbala.

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OBIETTIVI • Comprendere i concetti di base della meccanica dei fluidi e riconoscere i vari tipi di moto che possono verificarsi nella pratica. • Modellare i problemi ingegneristici e risolverli in maniera sistematica. • Comprendere il significato di accuratezza, precisione e cifre significative e l’importanza del principio di omogeneità dimensionale nei calcoli.


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Introduzione e concetti di base

1.1

©Goodshoot/Fotosearch RF. Figura 1.1

La meccanica dei fluidi si occupa di liquidi e gas in moto o in quiete.

La meccanica è quella parte della fisica che studia il comportamento dei corpi in quiete o in movimento a causa dell’azione delle forze loro applicate. La statica si occupa dello studio dei corpi in quiete, la dinamica dello studio dei corpi in movimento. La meccanica dei fluidi studia il comportamento dei fluidi in quiete (statica dei fluidi) o in movimento (dinamica dei fluidi o fluidodinamica) e la loro interazione con solidi o altri fluidi al contorno (Figura 1.1). I fluidi in quiete possono essere considerati come un caso particolare di fluidi in moto con velocità nulla. La meccanica dei fluidi assume denominazioni diverse in funzione dell’oggetto di studio. Prende il nome di idrodinamica quando studia il moto dei fluidi che si possono considerare praticamente incomprimibili come i liquidi, in particolare l’acqua, e i gas in moto a basse velocità. L’idraulica è quella parte dell’idrodinamica che si occupa in particolare del moto dei liquidi in pressione e a pelo libero. La gasdinamica si occupa del moto di fluidi che subiscono variazioni significative di densità, come nel caso del moto ad alta velocità di gas attraverso boccagli. L’aerodinamica studia il moto ad alte e basse velocità di gas (in particolare l’aria) attorno a corpi quali aeromobili, razzi e automobili. Lo studio dei moti di aria e acqua che si verificano a grande scala in natura è di competenza di discipline specialistiche quali la meteorologia e l’oceanografia.

1.1.1

area di contatto A β

sforzo tangenziale τ = F/A forza F

gomma deformata

deformazione angolare β

Figura 1.2

Deformazione di un parallelepipedo di gomma posto tra due lastre piane parallele sotto l’azione di una forza di taglio.

Introduzione

Cos’è un fluido?

Com’è noto, una sostanza può esistere in tre fasi primarie: solida, liquida e gassosa (e, a temperature molto alte, anche come plasma). Un fluido è una sostanza nella fase liquida o gassosa. La distinzione tra un solido e un fluido è basata sulla capacità della sostanza di resistere a sforzi tangenziali che tendono a modificarne la forma. Mentre un solido può resistere a una sollecitazione tangenziale deformandosi, un liquido si deforma in maniera continua sotto l’azione di uno sforzo tangenziale anche molto piccolo. Nei solidi lo sforzo è proporzionale alla deformazione, mentre in un fluido lo sforzo è proporzionale alla velocità di deformazione. Applicando una forza tangenziale costante a un solido esso si deforma fino a che la deformazione angolare non raggiunge un certo valore; invece un fluido non finisce mai di deformarsi tendendo a raggiungere una certa velocità di deformazione. Si consideri un parallelepipedo di gomma compresso tra due lastre piane parallele. Se la lastra superiore è soggetta all’azione di una forza tangenziale F e quella inferiore è mantenuta in quiete, l’elemento di gomma si deforma nel modo mostrato in Figura 1.2. La deformazione angolare b è proporzionale alla forza F. Supponendo che non ci sia scorrimento relativo tra la gomma e le lastre, la faccia superiore del parallelepipedo di gomma si sposta esattamente quanto la lastra superiore mentre la faccia inferiore rimane


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Capitolo 1

ferma. Poiché, per l’equilibrio, la risultante delle forze che agiscono sulla lastra superiore deve essere nulla, la gomma esercita sulla lastra superiore una forza uguale e opposta a F. Questa forza, che nasce a causa dell’attrito sull’interfaccia gomma-lastra, è esprimibile come F = tA, essendo t lo sforzo tangenziale e A l’area della superficie di contatto. Quando la forza viene rimossa, la gomma ritorna nella sua posizione originaria. Lo stesso fenomeno può essere osservato con altri solidi, come per esempio un blocco d’acciaio, purché la deformazione indotta dalla forza applicata non superi il campo elastico. Se lo stesso esperimento viene condotto con un fluido (per esempio, con due lastre piane parallele immerse in una grande massa d’acqua), lo strato di fluido a contatto con la lastra superiore si muove alla stessa velocità della lastra indipendentemente dall’entità della forza applicata alla lastra. A causa dell’attrito tra i vari strati di fluido la velocità del fluido diminuisce con la profondità, annullandosi in corrispondenza della lastra inferiore. Si definisce sforzo il rapporto tra una forza e l’area su cui essa agisce. Lo sforzo ha, pertanto, le dimensioni di una forza diviso un’area. Lo sforzo normale e lo sforzo tangenziale sono rispettivamente la componente normale e quella tangenziale dello sforzo (Figura 1.3). Lo sforzo in un punto è un vettore che, in generale, varia al variare dell’inclinazione della superficie su cui agisce. Un fluido in quiete non è sottoposto a sforzi tangenziali, non essendovi movimento relativo fra particelle vicine. Conseguentemente, una particella di fluido in quiete è sottoposta solo a sforzo normale. In tal caso il modulo dello sforzo risulta indipendente dall’inclinazione dell’elemento di superficie che contiene il punto. A tale modulo viene dato il nome di pressione. In un liquido, gruppi di molecole possono muoversi l’uno rispetto all’altro, ma il volume rimane praticamente costante a causa della grande forza di coesione tra le molecole. Di conseguenza, un liquido assume la forma del recipiente in cui è contenuto dando luogo, in campo gravitazionale, a una superficie libera. Un gas, invece, si espande fino a incontrare le pareti del contenitore e occupa l’intero spazio a disposizione. Questo avviene perché le molecole del gas sono distanti l’una dall’altra e le forze di coesione sono piuttosto deboli. Al contrario dei liquidi, i gas non possono avere superfici libere (Figura 1.4). Benché nella maggior parte dei casi liquidi e solidi siano facilmente distinguibili tra loro, in alcuni casi limite questa distinzione non è immediata. Per esempio, l’asfalto ha l’aspetto di un solido e si comporta come un solido poiché resiste a sollecitazioni tangenziali agenti per brevi intervalli di tempo. Però, se queste forze agiscono per intervalli di tempo sufficientemente lunghi, l’asfalto si deforma lentamente e comincia a scorrere comportandosi come un fluido. Alcune sostanze plastiche, le miscele fangose, la pasta dentifricia hanno un comportamento simile. Tali casi limite esulano dagli scopi di questo testo, che, pertanto, si limita a trattare i fluidi facilmente riconoscibili come tali. Si tratta sostanzialmente dei fluidi per i quali esiste una proporzionalità diretta fra sforzo e velocità

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normale alla superficie forza agente sull’area dA

dFn

dF dFt dA

tangente alla superficie

sforzo normale σ = dFn /dA sforzo tangenziale τ = dFt /dA

Figura 1.3

Sforzo normale e sforzo tangenziale sulla superficie di un elemento di fluido. In un fluido in quiete, lo sforzo tangenziale è nullo e il modulo dello sforzo normale è costante (pressione).

superficie libera

liquido

gas

Figura 1.4

A differenza dei liquidi, i gas non formano una superficie libera e si espandono fino a occupare l’intero spazio disponibile.


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Introduzione e concetti di base

(a)

(b)

(c)

Figura 1.5

Disposizione delle molecole nelle diverse fasi: (a) nella fase solida le molecole occupano posizioni relativamente fisse; (b) nella fase liquida gruppi di molecole si muovono l’uno attorno all’altro; (c) nella fase gassosa le molecole si muovono in maniera casuale.

di deformazione angolare, cioè dei fluidi per i quali vale la legge di Newton e perciò detti newtoniani. Sono chiamati, invece, fluidi non newtoniani tutti quei fluidi, come le sostanze sopra ricordate, per i quali il legame tra sforzo e velocità di deformazione è di tipo più complesso. I legami intermolecolari più forti sono nei solidi, i più deboli nei gas. Uno dei motivi è che nei solidi le molecole sono impacchettate insieme, mentre nei gas esse sono separate da distanze relativamente grandi (Figura 1.5). In un solido, le molecole sono disposte secondo uno schema che si ripete dappertutto. A causa della piccola distanza intermolecolare le forze di attrazione reciproche sono grandi e mantengono le molecole in posizioni fisse. Nella fase liquida lo spazio intermolecolare non è molto diverso da quello della fase solida, però le molecole non si mantengono in posizioni fisse l’una rispetto all’altra, ma possono ruotare e traslare liberamente. In un liquido le forze intermolecolari sono più deboli rispetto a quelle dei solidi ma più forti se confrontate a quelle dei gas. La distanza tra le molecole generalmente aumenta leggermente quando si passa dalla fase solida a quella liquida, con l’eccezione dell’acqua. Nella fase gassosa la molecole sono molto lontane l’una dall’altra e non esiste un ordine molecolare. Le molecole di un gas si muovono in maniera casuale, scontrandosi continuamente tra loro e con le pareti del recipiente che le contiene. In particolare, a bassa densità, le forze intermolecolari sono molto piccole e la collisione è l’unico tipo di interazione tra le molecole. Gas e vapore sono termini usati spesso come sinonimi. La fase aeriforme di una sostanza è normalmente chiamata gas quando è al di sopra della temperatura critica. Il termine vapore di solito indica che il gas non è lontano dal punto di condensazione. Ogni sistema fluido consiste di un gran numero di molecole; le proprietà del sistema sono, naturalmente, il risultato del comportamento delle singole molecole. Per esempio, la pressione di un


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Capitolo 1

gas in un contenitore è il risultato dell’interazione tra le singole molecole di gas. Tuttavia, per determinare la pressione all’interno del contenitore non è necessario studiare il comportamento delle singole molecole, essendo sufficiente collegarvi un manometro (Figura 1.6). Questo approccio macroscopico o classico è più che sufficiente per la soluzione dei problemi di ingegneria.

1.1.2

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manometro

Aree di applicazione della meccanica dei fluidi

Le leggi della meccanica dei fluidi, oltre a influenzare molte delle ordinarie attività quotidiane, trovano applicazione in apparecchiature di ogni genere, dagli aspirapolvere agli aerei supersonici (Figura 1.7). Per quel che riguarda il primo aspetto, basterebbe pensare all’influenza che hanno sulle attività umane le vicende meteorologiche che sono causate dai continui movimenti di grandi masse d’aria governati dalle leggi della meccanica dei fluidi. Oppure, al ruolo essenziale che la meccanica dei fluidi riveste nella fisiologia del corpo umano. Il cuore pompa incessantemente il sangue verso tutti gli organi del corpo attraverso arterie e vene, mentre i polmoni sono sede di moto dell’aria in direzioni alterne. Cuori artificiali, macchine per la respirazione artificiale o sistemi per la dialisi sono progettati in base ai principi della fluidodinamica.

Figura 1.6

A scala microscopica la pressione è determinata dall’interazione tra le singole molecole di gas. Tuttavia, a scala macroscopica, basta un manometro per conoscerne il valore.

©Jochen Schlenker/Getty Images RF Corsi d’acqua e clima

©Doug Menuez/Getty Images RF Imbarcazioni

©Purestock/SuperStock/RF Aerei e veicoli spaziali

U.S. Nuclear Regulatory Commission (NRC) Centrali elettriche

©Jose Luis Pelaez Inc/Blend Images LLC RF Fisiologia

©Ingram Publishing RF Automobili

©Mlenny Photography/Getty Images RF Centrali eoliche

©Foto di John M. Cimbala Reti idriche

©123RF Impianti industriali

Figura 1.7

Alcune aree di applicazione della meccanica dei fluidi.


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Introduzione e concetti di base

Una normale abitazione è, in un certo senso, una vetrina di applicazioni della meccanica dei fluidi. Le reti di distribuzione dell’acqua e del gas così come quelle di smaltimento delle acque reflue, sia per un singolo edificio sia per un’intera città, sono progettate sulla base dei principi della meccanica dei fluidi. La stessa cosa si può dire per i sistemi di riscaldamento e di condizionamento. Tra i componenti di un frigorifero ci sono i tubi in cui scorre il liquido refrigerante, un compressore che mantiene il liquido in pressione e due scambiatori di calore tramite i quali il refrigerante assorbe e rilascia calore. La meccanica dei fluidi svolge un ruolo fondamentale nella progettazione di tutte queste componenti. Anche in un’automobile si possono osservare numerose applicazioni della meccanica dei fluidi. Tutti gli elementi associati con il trasporto del carburante dal serbatoio ai cilindri – la linea di adduzione, la pompa, gli iniettori o i carburatori – così come il mescolamento di carburante e aria nei cilindri e l’espulsione dei gas di combustione attraverso il tubo di scarico sono studiati con le leggi della meccanica dei fluidi. La meccanica dei fluidi è alla base anche della progettazione dell’impianto di riscaldamento e condizionamento, dei freni idraulici, del servosterzo, della trasmissione automatica, del sistema di lubrificazione, del sistema di raffreddamento del blocco motore, inclusi radiatore e pompa dell’acqua, e persino delle ruote. La forma aerodinamica delle automobili moderne è il risultato degli sforzi compiuti per rendere minima la resistenza dell’aria analizzando il suo moto intorno ai corpi. A scala più grande, la meccanica dei fluidi ha un ruolo determinante nella progettazione e nell’analisi di aeromobili, natanti, sottomarini, razzi, motori a reazione, turbine a vento, dispositivi biomedici, impianti di raffreddamento di componenti elettronici e sistemi di trasporto di acqua, petrolio e gas. È chiamata in causa anche nella progettazione di edifici, ponti e persino dei grandi tabelloni pubblicitari, per assicurare che le strutture siano in grado di sopportare le sollecitazioni causate dal vento. E numerosi sono i fenomeni naturali, quali il ciclo della pioggia, il moto delle acque sotterranee, i venti, le onde marine e le correnti nei grandi corpi idrici, governati anch’essi dai principi della meccanica dei fluidi.

1.2

Breve storia della meccanica dei fluidi

Uno dei primi problemi di ingegneria che l’uomo ha affrontato, contestualmente alla nascita dei primi centri abitati, è stato quello dell’approvvigionamento idrico per uso domestico. La vita urbana richiede, infatti, la disponibilità di acqua in misura adeguata. La ricerca archeologica evidenzia che tutte le civiltà succedutesi nel corso della storia hanno costruito sistemi di approvvigionamento idrico. Gli acquedotti romani, alcuni dei quali sono ancora in uso, ne costituiscono l’esempio più noto. Dal punto di vista tecnico l’opera più interessante è forse quella realizzata nei pressi della città ellenistica di Pergamo, nell’odierna Turchia, dove, negli anni


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Capitolo 1

compresi fra il 283 e il 133 a.C., fu realizzato un acquedotto con tubazioni in pressione di piombo e argilla, lunghe fino a 45 km, che funzionavano con pressioni maggiori di 17 bar (poco più di 170 m in colonna d’acqua). Purtroppo, i nomi di quasi tutti coloro che hanno realizzato queste opere dell’antichità non ci sono pervenuti. Il primo contributo teorico alla meccanica del fluidi fu dato dal siracusano Archimede (287-212 a.C.), che formulò e applicò il principio che porta il suo nome nel primo test non distruttivo della storia, volto a determinare la quantità d’oro contenuta nella corona del re di Siracusa Gerone II. A lui si deve anche un sollevatore a vite, noto come “vite di Archimede’’, che è sostanzialmente una particolare pompa volumetrica usata ancora oggi, per esempio, negli impianti di depurazione. I Romani costruirono grandi acquedotti diffondendo tale pratica anche tra i popoli via via conquistati. Tuttavia, avevano una scarsa conoscenza dei principi che governano il moto dei fluidi, nonostante che il più antico trattato di tecnica idraulica sia il “De aquis urbis Romae’’ di Sesto Giulio Frontino (30-104 d.C.). Durante il Medio Evo, a partire dal XII secolo vengono costruiti grandi canali irrigui e di navigazione, come i navigli della pianura lombarda. Si diffonde l’uso di ruote idrauliche, anche con funzione di pompa, come la noria. Vengono perfezionati mulini ad acqua e a vento, già usati nell’antichità greca e romana, per macinare grano, forgiare metalli e per altri scopi. Nel XVII secolo si costruiscono le prime pompe a stantuffo, utilizzate in particolare per il drenaggio di miniere. Grazie alle macchine idrauliche viene prodotta una quantità significativa di lavoro non proveniente da potenza muscolare umana o animale. Queste invenzioni sono alla base della rivoluzione industriale del XVIII secolo. Gli artefici della maggior parte di tali progressi tecnologici sono sconosciuti, anche se i dispositivi sono ben documentati da diversi trattati, come, per esempio, il “De Re Metallica’’ di Georgius Agricola (1490-1555). Agli inizi del XVII secolo Galileo Galilei (1564-1642) introduce il metodo scientifico, già sviluppato in epoca ellenistica, che si diffonde rapidamente in tutta Europa. Simon Stevin (15481620) studia la distribuzione delle pressioni in un fluido in quiete. Evangelista Torricelli (1608-1647) col suo barometro misura per la prima volta la pressione atmosferica. I concetti di pressione e di vuoto vengono definitivamente precisati da Blaise Pascal (16231662), da cui prende il nome l’unità di misura della pressione. Benedetto Castelli (1577-1643), allievo e amico di Galileo, nel trattato “Della misura delle acque correnti’’, enuncia per primo che “la velocità delle acque correnti diminuisce col crescere della sezione nella quale esse acque defluiscono’’. A lui va anche il merito di avere costruito il primo pluviometro per misurare la pioggia caduta in un determinato intervallo di tempo. A Isaac Newton (1643-1727), che con la formulazione delle leggi del moto ha posto le basi della meccanica classica, si debbono contributi fondamentali anche nella meccanica dei fluidi per i suoi studi sull’iner-

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Introduzione e concetti di base

zia nei fluidi, l’attrito, i getti liberi e la viscosità. Lo svizzero Daniel Bernoulli (1700-1782) pubblica nel 1738 il trattato Hydrodynamica, che può essere considerato il primo testo di meccanica dei fluidi, nel quale espone il teorema fondamentale che porta il suo nome. Il grande matematico Leonhard Euler (17071783) definisce le equazioni dell’energia e del moto. Jean-Baptiste d’Alembert (1717-1783) sviluppa i concetti di componenti di velocità e accelerazione, formula un’espressione differenziale del principio di continuità ed enuncia il suo paradosso di resistenza nulla al moto uniforme. Fino alla fine del XVIII secolo gli sviluppi teorici della meccanica dei fluidi, come della meccanica in generale, hanno, tuttavia, un impatto trascurabile sulla tecnica ingegneristica in quanto i suoi principi sono considerati astrazioni non utilizzabili a scopi applicativi. Questa situazione inizia a cambiare quando, dapprima a Parigi presso l’École Polytechnique e l’École des Ponts et Chaussées e, subito dopo, presso le altre scuole di ingegneria, vengono introdotti gli insegnamenti di analisi matematica e di meccanica. Antoine de Chézy (1718-1798), Gaspard Riche de Prony (1755-1839), Henri Navier (1785-1835), Gaspard Coriolis (1792-1843), Henry Darcy (1803-1858) e molti altri studiosi e ingegneri francesi che hanno dato importanti contributi alla meccanica dei fluidi, sia sul piano teorico sia su quello strettamente applicativo, sono stati studenti o insegnanti presso queste scuole. Verso la metà dell’800 si perviene a risultati fondamentali su vari fronti. Il medico francese Jean Poiseuille (1797-1869), studiando la circolazione sanguigna, stabilisce (1844) la legge del moto laminare dei fluidi viscosi in tubi circolari. Indipendentemente da Poiseuille, il tedesco Gotthilf Hagen (1797-1884) perviene sperimentalmente (1839) alla stessa legge, distinguendo il moto laminare da quello turbolento. George Stokes (1819-1903), sulla scia di un lavoro precedente di Navier, stabilisce (1845) le equazioni del moto dei fluidi viscosi, note come equazioni di Navier-Stokes. Osborne Reynolds (1842-1912) individua in via definitiva i differenti regimi del moto dei fluidi (1883) e le condizioni che li determinano, introducendo il parametro adimensionale che porta il suo nome. L’architetto navale William Froude (1810-1879), nell’ambito di studi volti a determinare la resistenza al moto di natanti, sviluppa le procedure della sperimentazione tramite modellazione fisica e ne prova la validità. Determinante è il contributo nel campo delle macchine idrauliche dell’anglo-americano James B. Francis (1815-1892), che mette a punto una turbina a reazione (1848) migliorando modelli precedenti, e dell’americano Lester Allan Pelton (1829-1908) che realizza la ruota Pelton, impiegata per la prima volta nel 1878 in una miniera della California. All’ingegnere idraulico americano Clemens Herschel (1842-1930) si deve l’invenzione (1881) del misuratore di portata per correnti in pressione, da lui chiamato venturimetro in onore dell’idraulico italiano Giovanni Battista Venturi (1746-1822), a cui si debbono i primi studi sperimentali su tubi divergenti.


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Capitolo 1

Alla fine dell’800 risalgono importanti contributi di fisici e ingegneri irlandesi e inglesi, tra i quali figurano, oltre ai già ricordati Reynolds e Stokes, William Thomson, lord Kelvin (1824-1907), John William Strutt, lord Rayleigh (1842-1919) e sir Horace Lamb (1849-1934), su temi quali l’analisi dimensionale, il moto irrotazionale, le onde e la cavitazione. Gli inizi del ’900 vedono la nascita e il rapido sviluppo dell’aerodinamica. Nel dicembre 1903, i fratelli Wright (Wilbur, 1867-1912; Orville, 1871-1948) effettuano il primo volo su un aeroplano a motore in grado di vincere la gravità (Figura 1.8). Quasi contemporaneamente il tedesco Ludwig Prandtl (18751953) mostra (1904) che nel campo di moto di un fluido esiste uno strato adiacente alla parete, lo strato limite, in cui gli effetti viscosi sono significativi e uno strato esterno a esso in cui, invece, tali effetti sono trascurabili. I suoi allievi, in particolare Theodore von Kármán (1881-1963), Paul Blasius (1883-1970) e Johann Nikuradse (1894-1979) danno un grande contributo a sviluppi teorici di fondamentale importanza per le applicazioni idrauliche e aerodinamiche. Nei primi decenni del ’900 la meccanica dei fluidi trova applicazione in settori in forte espansione (aeronautico, chimico, idroelettrico), ciascuno dei quali spinge la ricerca verso nuove direzioni. Si afferma la modellazione fisica quale supporto indispensabile alla progettazione, sia nel campo civile (modelli di organi di scarico, pozzi piezometrici, sistemazioni fluviali ...) sia in quello industriale (modelli di navi, aerei, automobili ...). Ogni paese moderno si dota di grandi laboratori di idraulica, vasche navali, gallerie del vento. Nella seconda metà del ’900 lo sviluppo dei computer consente, per la prima volta, di affrontare e risolvere problemi complessi per via numerica. Lo strumento della modellazione matematica si affianca a quello della modellazione fisica e si mettono a punto modelli che consentono di affrontare sia problemi a grande scala, come quello della circolazione atmosferica per le previsioni meteorologiche, sia gli usuali problemi ingegneristici come quello dell’ottimizzazione della pala di un aerogeneratore (Figura 1.9) o della rete di distribuzione di un acquedotto. Quali saranno gli sviluppi della meccanica dei fluidi nei prossimi decenni? Difficile fare previsioni attendibili. Comunque, se la storia insegna qualcosa, si può senz’altro affermare che gli ingegneri continueranno ad applicare quello che sanno, contribuendo allo sviluppo e al benessere della società, e a fare ricerca su quello che non sanno, divertendosi molto nel farlo.

1.3

La condizione di aderenza

Spesso un fluido in movimento è a contatto al suo contorno con superfici solide; è quindi importante capire in che modo la presenza di una parete solida influenzi il moto stesso. L’acqua di un fiume

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Riprodotta col permesso di Library of Congress Prints & Photographs Division [LCDIG-ppprs-00626]. Figura 1.8

I fratelli Wright decollano a Kitty Hawk.

©Nickolay Khoroshkov/Shutterstock. Figura 1.9

Aerogeneratori con rotore ad asse orizzontale.


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Introduzione e concetti di base

Da “Hunter Rouse: Laminar and Turbulent Flow Film.’’ Copyright IIHR-Hydroscience and Engineering, The University of Iowa. Riprodotta con permesso. Figura 1.10

Lo sviluppo di un gradiente di velocità causato dalla condizione di aderenza in un fluido che incontra un ostacolo.

velocità di arrivo uniforme

velocità degli strati di fluido velocità nulla sulla superficie

lastra piana Figura 1.11

Per la condizione di aderenza un fluido che scorre su di una superficie ferma ha velocità nulla in corrispondenza della superficie.

che incontra un masso non può attraversarlo e vi gira attorno. Quindi la velocità dell’acqua in direzione normale alla superficie del masso deve essere nulla; ciò vuol dire che l’acqua che si muove in direzione perpendicolare al masso arriva a fermarsi completamente in corrispondenza della sua superficie. Non è altrettanto immediato, invece, rendersi conto del fatto che l’acqua che si avvicina al masso da qualunque altra angolazione si ferma anch’essa completamente in corrispondenza della superficie, e cioè che anche la componente tangenziale della velocità sulla parete deve essere nulla. Tuttavia, sia nel moto di un fluido in una tubazione sia nel moto sopra una qualunque superficie non porosa (cioè impermeabile al fluido), tutte le osservazioni sperimentali indicano che il fluido si ferma completamente in corrispondenza della parete assumendo una velocità relativa alla parete nulla. Quindi, un fluido a diretto contatto con una parete solida vi aderisce a causa di effetti viscosi senza dar luogo a uno scorrimento relativo. Questa condizione è chiamata condizione di aderenza. La foto di Figura 1.10, ottenuta da un filmato, mostra chiaramente l’evoluzione di un gradiente di velocità dovuto all’aderenza tra il fluido e la parete di un corpo arrotondato. Lo strato di fluido che aderisce alla superficie frena lo strato adiacente a causa delle forze viscose; quest’ultimo a sua volta frena lo strato successivo e così via. Quindi la condizione di aderenza è causa dello sviluppo di un gradiente di velocità. La regione fluida adiacente alla parete in cui gli effetti viscosi (e quindi i gradienti di velocità) sono significativi è chiamata strato limite. La proprietà del fluido a cui è dovuta la condizione di aderenza e lo sviluppo dello strato limite è la viscosità. Uno strato di fluido adiacente a una superficie in movimento assume la stessa velocità della superficie. Per effetto della condizione di aderenza tutti i profili di velocità devono avere valore nullo rispetto alla superficie in corrispondenza dei punti di contatto tra il fluido e la superficie stessa (Figura 1.11). Un’altra conseguenza della condizione di aderenza è l’azione di trascinamento, cioè la forza che il fluido esercita sulla superficie nella direzione del moto. Quando un fluido scorre a velocità sufficientemente elevata su una superficie curva, per esempio nella parte posteriore di un cilindro, esiste un punto in corrispondenza del quale esso si stacca dalla superficie; tale processo è chiamato separazione dello strato limite (Figura 1.12). Va sottolineato che la condizione di aderenza vale in ogni punto della superficie, anche a valle del punto di distacco. La separazione dello strato limite è discussa in maggiore dettaglio nel Capitolo 11.

Figura 1.12

Separazione dello strato limite nel moto attorno a una superficie curva. Da Head, Malcolm R. 1982 in Flow Visualization II, W. Merzkirch. Ed., 399403, Washington: Hemisphere.

punto di distacco


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Capitolo 1

1.4

11

Classificazione del moto dei fluidi

La meccanica dei fluidi è stata prima definita come la scienza che studia il comportamento dei fluidi in quiete o in moto e la loro interazione con i solidi o altri fluidi al contorno. In pratica, in questa definizione rientra un’ampia varietà di problemi. Per renderne più agevole lo studio, conviene, pertanto, raggrupparli in base alle caratteristiche comuni. Si individuano, in tal modo, le tipologie generali illustrate nel seguito.

1.4.1

Moto viscoso o non viscoso

Quando due strati di fluido si muovono l’uno rispetto all’altro, lo strato più lento tende a frenare quello più veloce per effetto di una resistenza interna al moto. Tale resistenza, oltre che dalla differenza di velocità tra i due strati, dipende da una caratteristica fisica del fluido chiamata viscosità, una sorta di misura di quanto è “appiccicoso’’ il fluido. Nei liquidi la viscosità è causata dalle forze di coesione tra le molecole, nei gas dalla loro collisione. Non esistendo un fluido con viscosità nulla, tutti i fluidi in moto sono soggetti in una qualche misura agli effetti viscosi. I moti viscosi sono quelli in cui tali effetti sono predominanti in tutto il campo di moto. Tuttavia, in molti casi di interesse pratico, ci sono regioni del campo di moto (di solito non in vicinanza di pareti solide) dove le forze viscose sono trascurabili rispetto a quelle di pressione o di inerzia. Di conseguenza, per semplificarne l’analisi, in tali regioni di moto non viscoso è possibile trascurare i termini viscosi senza commettere errori significativi. La Figura 1.13 mostra le regioni di moto viscoso che si formano inserendo una lastra piana di piccolo spessore in un campo di moto uniforme. Infatti, per la condizione di aderenza il fluido aderisce alle pareti sulle due facce della lastra generando il sottile strato limite in cui gli effetti viscosi sono predominanti (regioni di moto viscoso). Invece, a partire da una certa distanza dalla lastra, su ambedue i lati, il moto non ne è influenzato (regioni di moto non viscoso).

1.4.2

regione di moto non viscoso regione di moto viscoso regione di moto non viscoso

©Education Development Center. Fundamentals of Boundary Layers, National Committee for Fluid Mechanics Films. Figura 1.13

Il moto di una corrente uniforme su una lastra piana e le regioni di moto viscoso (in prossimità della lastra, sulle due facce) e non viscoso (lontano dalla lastra).

Moto confinato o non confinato

Il campo di moto di un fluido può essere confinato o non confinato. Nel caso del moto su una superficie o attorno a un filo o a una tubazione il campo di moto è non confinato. Il moto dell’aria attorno a una palla (Figura 1.14) o attorno a un ostacolo è non confinato. Nel moto all’interno di una tubazione, essendo il fluido delimitato da pareti solide, il campo di moto è confinato. Se la tubazione è riempita solo parzialmente dal liquido e superiormente esiste una superficie a contatto con l’aria, il moto è chiamato a pelo libero (o a superficie libera). Il moto dell’acqua nei fiumi e nei canali è un esempio di tale tipo di moto.

Riprodotta col permesso di NASA e Cislunar Aerospace, Inc. Figura 1.14

Moto attorno a una pallina da tennis e regione di scia turbolenta nella parte posteriore.


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12

Introduzione e concetti di base

Se il campo di moto è confinato, la viscosità fa sentire i suoi effetti in tutto il campo. Nei campi di moto non confinati gli effetti viscosi sono, invece, limitati agli strati limite in vicinanza delle pareti solide e alle regioni di scia a valle dei corpi.

1.4.3

Fluido comprimibile o incomprimibile

Un fluido in moto può essere considerato comprimibile o incomprimibile a seconda delle variazioni di densità indotte dal moto. Un fluido è detto incomprimibile se la sua densità durante il moto si mantiene praticamente costante, cioè se rimane costante il volume di una sua qualsiasi porzione. Questo è il caso dei liquidi, la cui densità si mantiene praticamente costante. Infatti, aumentando, per esempio, la pressione di un certo volume di acqua da 1 a 210 bar si ha una diminuzione del volume e un conseguente aumento della densità solamente dell’1%. Esattamente opposto a quello dei liquidi è il comportamento dei gas che sono facilmente comprimibili. Infatti, per aumentare la densità dell’aria dell’1% è sufficiente un aumento di pressione di appena 0,01 bar. Quando si studia il moto di un aereo, o comunque problemi che comportano moti di gas ad alta velocità, la velocità è usualmente espressa in termini adimensionali mediante il numero di Mach (Ma), dato dal rapporto tra la velocità dell’oggetto in moto e la velocità c con la quale il suono si propaga nel fluido. Nell’aria a temperatura ambiente e al livello del mare c = 346 ms. Un moto si dice subsonico se Ma  1, supersonico se Ma  1 e ipersonico quando Ma  1. La variazione della densità di un gas in moto dipende dal numero di Mach. Poiché per Ma  0,3 le variazioni di densità sono all’incirca inferiori al 5%, è possibile, in tal caso, studiare il moto del gas considerandolo, per semplicità, incomprimibile senza commettere un errore apprezzabile. Quindi, per esempio, nello studio del moto di un piccolo aereo da turismo che si muove con velocità minore di circa 100 ms, gli effetti della comprimibilità dell’aria possono essere trascurati. Viceversa, studiando le conseguenze indotte in un liquido da forti variazioni di pressione è necessario considerarlo come comprimibile. Un esempio si ha nello studio del “colpo d’ariete’’ in una tubazione, nome con il quale si indica la successione di vibrazioni a cui viene sottoposta una tubazione per effetto delle onde di pressione che insorgono per la chiusura brusca di una valvola. In tal caso, non considerare le piccole variazioni di densità del liquido porterebbe a risultati non rispondenti alla realtà fisica del fenomeno.

1.4.4

Moto laminare o turbolento

L’esperienza mostra che, a volte, il moto di un fluido avviene in maniera regolare e ordinata, mentre altre volte avviene in modo


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13

Capitolo 1

piuttosto caotico. Nel primo caso il moto è chiamato regolare o laminare, a indicare che strati adiacenti si muovono come fossero delle “lamine’’ parallele. Il moto a bassa velocità di fluidi molto viscosi ne costituisce un tipico esempio. Nel secondo caso, caratterizzato da continue oscillazioni di velocità (Figura 1.15), il moto è chiamato turbolento. Normalmente è tale il moto dell’acqua, tranne che nel caso di moto a bassa velocità in tubi di diametro molto piccolo, o dei gas, come l’aria, che sono poco viscosi. Il parametro adimensionale fondamentale per la caratterizzazione del regime di moto di un fluido è il numero di Reynolds.

laminare

turbolento

©Werlé. Riprodotta col permesso di ONERA. Figura 1.15

1.4.5

Moto a gravità o forzato

Regimi laminare e turbolento.

Il moto di un fluido può avvenire per effetto della gravità o di una sorgente di energia esterna. Nel moto a gravità, un liquido a contatto con l’atmosfera si muove da quota più alta a quota più bassa, come nel caso dei corsi d’acqua. Analogamente, è la gravità a causare il moto verso l’alto di un fluido più caldo (e quindi più leggero) (Figura 1.16) o il moto verso il basso di un fluido più freddo (e quindi più pesante). Invece, nel caso del moto forzato, il fluido si muove perché una macchina, quale una pompa o un ventilatore, gli fornisce l’energia necessaria.

1.4.6

Moto permanente o vario

Il moto si dice permanente o stazionario se in ogni punto del campo di moto nessuna delle grandezze caratteristiche del moto (velocità, pressione...) varia nel tempo. Nel caso contrario il moto si dice vario. Il transitorio di un fluido in moto è quell’intervallo di tempo nel quale si passa da una condizione di moto a un’altra. Per esempio, accendendo il motore di un aereo, si hanno degli effetti transitori (la pressione all’interno del motore aumenta, il moto diviene accelerato ecc.) fino a quando il moto si stabilizza e il motore funziona in condizioni permanenti. Analogamente, la manovra di una saracinesca in una tubazione genera un transitorio durante il quale le grandezze caratteristiche del moto assumono via via i valori relativi alla nuova situazione. Il termine periodico si riferisce a quel particolare moto vario in cui le grandezze caratteristiche del moto oscillano attorno a valori medi. Molti dispositivi quali turbine, compressori, caldaie, condensatori e scambiatori di calore funzionano per lunghi periodi di tempo a regime costante; essi vengono classificati come dispositivi in moto permanente (in realtà, il campo di moto in prossimità delle pale in rotazione di una turbomacchina è ovviamente vario, ma i dispositivi vengono classificati sulla base del campo di moto complessivo piuttosto che del moto in qualche zona particolare). In condizioni di

©G. S. Settles, Gas Dynamics Lab, Penn State University. Riprodotta con permesso. Figura 1.16

L’immagine schlieren evidenzia il moto verso l’alto dell’aria più calda e più leggera prossima al corpo, indicando che gli esseri umani e gli animali a sangue caldo sono circondati da pennacchi termici di aria calda ascendente.


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Introduzione e concetti di base

(a) Da Dyment A., Flodrops J. P. & Grison P. 1982 in Flow Visualization II, W. Merzkirch, ed., 331-336. Washington: Hemisphere. Riprodotta col permesso di Arthur Dyment.

(b) Da Dyment A. & Grison P. 1978 in Inst. Méc. Fluides Lille, No. 78-5. Riprodotta col permesso di Arthur Dyment. Figura 1.17

Scia oscillante a valle di un profilo aerodinamico con base spuntata (Ma = 0,6). L’immagine (a) è un fotogramma istantaneo, mentre la (b) è un’immagine a lunga esposizione.

moto permanente, le proprietà del fluido possono variare da punto a punto all’interno del dispositivo, ma in ogni punto esse si mantengono costanti nel tempo. Di conseguenza, in un dispositivo in moto permanente o in una sezione di una corrente in moto permanente il volume, la massa e il contenuto totale di energia si mantengono costanti. Condizioni di moto praticamente permanente si realizzano nei dispositivi creati per funzionare in maniera continua, come turbine, pompe, caldaie, condensatori e scambiatori di calore negli impianti per la produzione di energia o nei sistemi di refrigerazione. Alcuni dispositivi ciclici, come motori alternativi o compressori, non soddisfano la condizione di moto permanente poiché il moto in ingresso e in uscita è oscillante e non permanente. Poiché, però, le caratteristiche del moto variano nel tempo in maniera periodica, il moto nel dispositivo può ancora essere analizzato come un processo permanente usando per le varie grandezze i loro valori medi temporali. Alcune interessanti visualizzazioni di fluidi in movimento sono riportate nel volume An Album of Fluid Motion di Milton Van Dyke (1982), da cui è tratta la bella immagine di un campo di moto vario riportata in Figura 1.17. La Figura 1.17a è un fotogramma istantaneo di una ripresa ad alta velocità; essa mostra grandi vortici turbolenti in rotazione e alternanti che vengono rilasciati all’interno della scia periodica oscillante dalla base non affusolata dell’oggetto. I vortici producono onde d’urto che si propagano verso monte alternativamente lungo le superfici superiore e inferiore del profilo aerodinamico con caratteristiche non permanenti. La Figura 1.17b riporta una foto dello stesso campo di moto, effettuata con un tempo di esposizione della pellicola più lungo, cosicché l’immagine risulta mediata nel tempo su 12 cicli. Il campo di moto medio temporale risultante appare “permanente’’ in quanto i particolari delle oscillazioni non permanenti sono andati perduti nella lunga esposizione. Pertanto, il primo quesito che bisogna porsi nell’affrontare un problema di moto è se esso sia permanente o vario e, in quest’ultimo caso, se le medie temporali delle grandezze caratteristiche del moto siano “permanenti’’, se sia sufficiente solo la loro conoscenza o se sia, invece, necessaria anche una conoscenza dettagliata delle caratteristiche non permanenti. Se, come nella maggior parte dei casi, è sufficiente la determinazione delle proprietà globali del campo di moto (coefficienti di resistenza medi temporali, velocità e pressioni medie temporali) sarà sufficiente effettuare, come nel caso di Figura 1.17b, misure sperimentali mediate nel tempo o calcolare solo le grandezze medie temporali. Se però si volessero studiare, come nel caso di Figura 1.17a, le vibrazioni indotte dal moto, le oscillazioni di pressione o le onde sonore emesse dai vortici turbolenti o le onde d’urto, sarà necessario effettuare una descrizione di dettaglio del campo di moto. La maggior parte degli esempi riportati in questo testo riguardano moti permanenti o con caratteristiche medie temporali permanenti, anche se in qualche caso saranno messe in evidenza anche alcune particolari caratteristiche del moto vario.


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Capitolo 1 profilo di velocità in sviluppo, v (r, x)

profilo di velocità completamente sviluppato, v (r)

r x

regione di ingresso

1.4.7

Figura 1.18

Sviluppo del profilo di velocità in una tubazione circolare. Il moto è bidimensionale nella regione di ingresso, dove u = u (r, x). Diventa unidimensionale più a valle dove il profilo di velocità è completamente sviluppato e rimane invariato nella direzione del moto, per cui u = u (r).

Moto uni-, bi- o tridimensionale

La caratteristica principale di un campo di moto è la distribuzione di velocità. Un moto è detto uni-, bi- o tridimensionale se la velocità varia rispettivamente in una, due o tre direzioni. Nel caso più generale, la geometria di un campo di moto fluido è tridimensionale; pertanto, la velocità, v (x, y, z) in coordinate cartesiane o v (r, q, z) in coordinate cilindriche, è variabile nelle tre direzioni. Qualora la variazione di velocità lungo una direzione sia piccola rispetto alle variazioni lungo le altre direzioni, tale variabilità può essere trascurata senza commettere un apprezzabile errore. In tal caso, il moto può essere studiato più semplicemente come fosse un moto unio bidimensionale. Si consideri il caso molto frequente di moto permanente in una tubazione a sezione circolare che si stacca da un serbatoio. A causa della condizione di aderenza, in corrispondenza della parete della tubazione la velocità del fluido è ovunque nulla; nel tronco subito a valle dell’imbocco (regione di ingresso), la velocità varia lungo il raggio in maniera sempre più accentuata nelle successive sezioni, per cui il moto è bidimensionale. A partire da una certa sezione (a distanza dall’imbocco pari a circa 10 volte il diametro in regime turbolento, meno in regime laminare, come nel caso di Figura 1.18), il profilo di velocità si mantiene inalterato nelle successive sezioni; in tal caso, il moto è detto completamente sviluppato. Pertanto, essendo la velocità variabile solo in direzione radiale ma non lungo l’asse della tubazione (Figura 1.18), il moto è unidimensionale; inoltre, per ovvie ragioni di simmetria, il profilo di velocità è simmetrico rispetto all’asse. Un moto può essere uni- o bidimensionale in dipendenza del sistema di riferimento scelto. Per esempio, nel caso di Figura 1.18, il moto è bidimensionale in coordinate cartesiane ma diviene unidimensionale in coordinate cilindriche. Pertanto, bisogna fare attenzione a scegliere il sistema di riferimento più appropriato. Un moto tridimensionale può essere considerato con buona approssimazione bidimensionale se una dimensione è prevalente rispetto alle altre due e se lungo tale direzione il moto non varia sensibilmente. Per esempio, il moto dell’aria attorno all’antenna di un’automobile può essere considerato bidimensionale, eccetto che vicino alle due estremità, poiché la lunghezza dell’antenna è notevolmente maggiore del suo diametro e il campo di velocità dell’aria che colpisce l’antenna è sensibilmente uniforme (Figura 1.19).

15

Figura 1.19

Il moto dell’aria attorno all’antenna di un’automobile è approssimativamente bidimensionale tranne che vicino alla base e alla cima dell’antenna.


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16

Introduzione e concetti di base asse di simmetria

r θ z

ESEMPIO 1.1 Moto attorno a un proiettile Un proiettile si muove in aria in quiete. Considerando il proiettile fermo e l’aria in moto con velocità uguale e opposta a quella del proiettile, determinare se il moto medio-temporale dell’aria attorno al proiettile è uni-, bi- o tridimensionale (Figura 1.20).

Figura 1.20

Moto a simmetria assiale attorno a un proiettile.

Ipotesi Il proiettile non ruota. Analisi Il proiettile è un corpo a simmetria assiale. Il moto dell’aria

a monte del proiettile è parallelo all’asse. Il moto medio-temporale dell’aria è simmetrico rispetto all’asse. La velocità varia con la distanza lungo l’asse z e nella direzione radiale r, ma non con l’angolo q. Quindi, il moto medio temporale dell’aria attorno al proiettile è bidimensionale. Discussione Il moto medio temporale è a simmetria assiale. Il moto

istantaneo, come illustrato nella Figura 1.17a, non lo è.

contorno

esterno

sistema

Figura 1.21

Sistema, esterno e contorno.

contorno mobile gas 2 kg 1,5 m3

gas 2 kg 1 m3

contorno fisso Figura 1.22

Un sistema chiuso con contorno in movimento.

1.5

Sistema e volume di controllo

Si chiama sistema la quantità di materia o la regione dello spazio scelta quale oggetto di studio. La massa o la regione al di fuori del sistema è chiamata esterno. La superficie, reale o immaginaria, che separa il sistema dall’esterno è chiamata contorno (Figura 1.21). Il contorno di un sistema può essere fisso o in movimento. In senso matematico, il contorno è privo di spessore e quindi non può contenere massa né occupare volume nello spazio. Il sistema si dice chiuso se l’oggetto di studio è una determinata quantità di materia, aperto se è una regione dello spazio. Un sistema chiuso (chiamato anche massa di controllo) è costituito, quindi, da una determinata quantità di massa. Il suo contorno non può, pertanto, essere attraversato da massa, ma solo da energia, sotto forma di calore o lavoro. Il volume di un sistema chiuso può, invece, essere variabile. Nel caso in cui nemmeno l’energia possa attraversare il contorno del sistema, il sistema è chiamato sistema isolato. Si consideri il dispositivo cilindro-pistone di Figura 1.22. Si voglia studiare quello che avviene nel gas contenuto all’interno del dispositivo quando viene riscaldato. Poiché l’attenzione è focalizzata sul gas, esso costituisce il sistema. Le superfici interne del pistone e del cilindro ne costituiscono il contorno e, poiché nessuna massa attraversa il contorno, il sistema è chiuso. Si noti che il contorno può essere attraversato da energia e che una parte del contorno (in questo caso, la superficie interna del pistone) può muoversi. Tutto il rimanente, a eccezione del gas, compresi il pistone e il cilindro, costituisce l’esterno. Un sistema aperto, o volume di controllo, come è spesso chiamato, è una regione dello spazio scelta opportunamente. Di solito comprende un dispositivo che comporta il moto di una massa,


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Capitolo 1

come un compressore, una turbina o un ugello. Il moto all’interno di tali dispositivi si studia scegliendo come volume di controllo la regione all’interno del dispositivo. Il contorno di un volume di controllo può essere attraversato sia da massa sia da energia. Un gran numero di problemi ingegneristici è caratterizzato dalla presenza di sistemi attraversati da una massa fluida. Tali problemi, pertanto, vengono studiati considerando un volume di controllo. In generale, può essere scelta come volume di controllo qualunque regione dello spazio. Non esistono regole per una scelta ottimale se non quella che consiste nello scegliere il volume che rende più semplice l’analisi del problema. Per esempio, per studiare il moto di un fluido in un ugello, il volume di controllo migliore è la regione all’interno dell’ugello. Un volume di controllo può avere dimensioni e forma fissi, come nel caso dell’ugello (Figura 1.23a), oppure può avere una parte del contorno in movimento, come nel caso illustrato in Figura 1.23b. Oltre che scambiare calore e lavoro, come un sistema chiuso, un volume di controllo può avere con l’esterno anche scambi di massa.

1.6

Dimensioni e unità di misura

Qualunque grandezza fisica può essere caratterizzata da dimensioni. Le quantità con le quali vengono espresse le dimensioni sono chiamate unità di misura. Le dimensioni di alcune grandezze, quali la massa, la lunghezza e la temperatura, sono abitualmente scelte come dimensioni primarie o fondamentali, mentre quelle di altre grandezze, come la velocità, l’energia o il volume, sono espresse in funzione delle dimensioni fondamentali e sono chiamate secondarie o derivate. Nel corso degli ultimi secoli sono stati sviluppati diversi sistemi di unità di misura. Gli sforzi compiuti all’interno della comunità scientifica internazionale hanno portato negli ultimi decenni all’adozione pressoché universale del sistema metrico SI (da Système Internationale d’unitès), noto anche come Sistema Internazionale, anche se in alcuni paesi rimane ancora di uso comune il sistema anglosassone, noto anche come United States Customary System

contorno immaginario

contorno reale

contorno mobile Figura 1.23 contorno fisso (a)

(b)

Un volume di controllo può avere contorni fissi o in movimento, reali o immaginari.

17


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18

Introduzione e concetti di base

TABELLA 1.1 Le sette dimensioni fondamentali (o primarie) e le loro unità nel SI Dimensione

Unità

lunghezza massa tempo temperatura corrente elettrica quantità di luce quantità di materia

metro (m) chilogrammo (kg) secondo (s) kelvin (K) ampère (A) candela (cd) mole (mol)

TABELLA 1.2 Prefissi standard nelle unità del SI Multiplo

Prefisso

Simbolo

1012 109 106 103 102 101 10-1 10-2 10-3 10-6

tera giga mega chilo etto deca deci centi milli micro

T G M k h da d c m

10-9 10-12

nano pico

m n p

(USCS). Il SI è un sistema semplice e logico basato su una relazione decimale tra le varie unità. Il sistema anglosassone, invece, non ha alcuna base numerica e diverse unità di misura sono legate l’una all’altra in maniera piuttosto arbitraria (12 pollici = 1 piede, 5280 piedi = 1 miglio ecc.). I primi sforzi sistematici per sviluppare un sistema di unità universalmente accettato risalgono alla rivoluzione francese quando (1790) l’Assemblea Nazionale incaricò l’Accademia delle Scienze di studiare il problema. La prima versione del sistema metrico, sviluppata in Francia e subito diffusa in alcuni paesi europei a seguito delle conquiste napoleoniche, fu universalmente accettata solo nel 1875 quando fu firmato da 17 nazioni un trattato internazionale con il quale si stabilì che il metro e il grammo fossero, rispettivamente, le unità di misura di lunghezza e massa e che ogni sei anni fosse convocata una Conferenza Generale di Pesi e Misure (CGPM). Nel 1960, la CGPM presentò il SI, basato su sei quantità fondamentali: il metro (m) per la lunghezza, il chilogrammo (kg) per la massa, il secondo (s) per il tempo, l’ampère (A) per la corrente elettrica, il kelvin (K) per la temperatura e la candela (cd) per l’intensità luminosa (quantità di luce). Nel 1971, la CGPM aggiunse una settima quantità e unità fondamentale: la mole (mol) per la quantità di materia. Lo schema di notazioni introdotto nel 1967 prevede che tutti i nomi delle unità debbano essere scritti in carattere minuscolo, anche se derivati da nomi propri (Tabella 1.1). Il simbolo delle unità di misura va scritto sempre in carattere minuscolo e in carattere maiuscolo solo quando derivi da un nome proprio. Per esempio, l’unità di misura della forza, che ha preso il nome da Sir Isaac Newton (1647-1723), è il newton (non Newton) e il suo simbolo è N. Infine, dopo il simbolo non va mai usato il punto, a meno che questo non compaia alla fine di una frase. Come già evidenziato, il Sistema Internazionale è basato su una relazione decimale tra le unità. I prefissi usati per esprimere i multipli delle varie unità sono elencati nella Tabella 1.2. Essi sono standard per tutte le unità e sono ampiamente usati (Figura 1.24).

1 kg (103 g)

200 ml (0,2 l)

1.6.1 1 MΩ (106 Ω) Figura 1.24

I prefissi delle unità del SI sono usati in tutti i campi dell’ingegneria.

m = 1 kg

a = 1 m/s 2

F=1N

Figura 1.25

La definizione dell’unità di forza.

Alcune unità del SI

Nel SI le unità di massa, lunghezza e tempo sono, rispettivamente, il chilogrammo (kg), il metro (m) e il secondo (s). L’unità di forza è il newton (N), definito come la forza necessaria per imprimere alla massa di 1 kg l’accelerazione di 1 ms2 (Figura 1.25). Una forza di 1 N corrisponde all’incirca al peso di una piccola mela. Il peso P di un corpo di massa m è la forza gravitazionale che agisce sul corpo. Per la seconda legge di Newton, si ha P = mg

(1.1)

dove g è l’accelerazione di gravità. Una bilancia comune misura la forza di gravità che agisce su un corpo. Nella pratica ingegneristica,


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Capitolo 1

come unità di forza è ancora molto diffuso il chilogrammo forza (kgf), unità non SI corrispondente al peso della massa di 1 kg. La densità r e il peso specifico g di una sostanza sono, rispettivamente, la massa e il peso dell’unità di volume della sostanza e si misurano, rispettivamente, in kgm3 e in Nm3; per la 1.1 si ha g = rg. La massa di un corpo rimane la stessa indipendentemente dalla posizione che essa occupa nell’universo. Lo stesso non vale per il peso in quanto l’accelerazione di gravità varia da luogo a luogo. Infatti, la forza di gravità che agisce su una massa è dovuta all’attrazione che la massa della terra esercita su di essa ed è quindi proporzionale al prodotto delle masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Il valore dell’accelerazione di gravità g in un punto della superficie terrestre dipende dalla densità locale della crosta terrestre, dalla distanza dal centro della terra e, in misura minore, dalla posizione della luna e del sole. Il valore di g varia con la latitudine (da 9,823 ms2 ai poli a 9,789 ms2 all’equatore) e con l’altitudine. In cima a un monte un corpo pesa meno che al livello del mare perché g diminuisce al crescere dell’altitudine. Nel 1901 la terza CGPM ha assunto per g al livello del mare il valore convenzionale 9,80665 ms2, arrotondato abitualmente a 9,807 ms2. Pertanto, al livello del mare una massa di 1 kg pesa 9,807 N (Figura 1.26). Alla profondità di 4500 m sotto il livello del mare g vale 9,8295 ms2, mentre alla quota di 100 km sul livello del mare è pari a 7,3218 ms2. Tuttavia, fino alla quota di 30 km lo scostamento di g dal valore che assume al livello del mare è inferiore all’1%. Nella pratica, il valore dell’accelerazione di gravità può essere considerato costante e pari a 9,81 ms2. La luna ha massa e raggio che sono rispettivamente circa 181 e poco meno di 14 di quelli della terra; ne consegue che sulla superficie lunare un corpo pesa circa 16 di quanto pesi sulla terra (Figura 1.27). Il lavoro è una forma di energia ed è definito semplicemente come il prodotto di una forza per uno spostamento; la sua unità di misura è, pertanto, il “newton per metro’’ (N  m), unità alla quale è stato dato il nome joule (J) in onore dell’inglese James Joule (18181889). Quindi 1 J = 1 N  m

19

1 kg aa g = 9,807 m/s2 P = 9,807 kg · m/s2 = 9,807 N = 1 kgf

Figura 1.26

Il peso dell’unità di massa al livello del mare.

(1.2)

Come unità di misura è più comune il chilojoule (1 kJ = 103 J).

1.6.2

Omogeneità dimensionale

Anche se è ben noto che mele e arance non si possono sommare tra di loro, capita qualche volta che qualcuno tenti di farlo (ovviamente, sbagliando). In qualunque tipo di problema, le relazioni fra le varie grandezze devono rispettare il principio dell’omogeneità dimensionale, cioè i vari termini della relazione devono avere la stessa dimensione o, come si dice, devono essere dimensionalmente

Figura 1.27

Un corpo che sulla terra pesa 60 kgf sulla luna pesa appena 10 kgf.


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Introduzione e concetti di base

omogenei. Se, per esempio, nel corso dell’analisi di un problema, ci si ritrova a sommare quantità che hanno dimensioni diverse, è chiaro che precedentemente è stato commesso un errore. Quindi, controllare le dimensioni può essere anche un modo efficace per individuare possibili errori.

ESEMPIO 1.2 Individuazione di errori da inconsistenza (non omogeneità) dimensionale Nel corso della risoluzione di un problema, ci si ritrova a un certo punto la seguente equazione E = 25 kJ  7 kJkg dove E è l’energia totale misurata in chilojoule. Determinare in che modo correggere l’errore e discuterne le possibili cause. Analisi I due termini a secondo membro non hanno le stesse di-

mensioni e quindi non possono essere sommati. Il secondo termine a secondo membro ha le dimensioni di un’energia per unità di massa. Pertanto, perché l’equazione divenga dimensionalmente omogenea, è necessario moltiplicare tale termine per la massa. Discussione Chiaramente l’errore era stato commesso in preceden-

za, dimenticando di moltiplicare l’ultimo termine per la massa.

Nella risoluzione di un problema bisogna porre la dovuta attenzione alle unità di misura, che possono essere utili anche per controllare la correttezza di una formula oppure per ricavarla, come mostrato nell’esempio che segue. olio W = 2 m3 ρ = 850 kg/m3 m=?

Figura 1.28

Schema dell’Esempio 1.3.

ESEMPIO 1.3 Ricavare relazioni tramite considerazioni dimensionali Un serbatoio di volume W = 2 m3 è pieno di olio di densità r = 850 kgm3. Determinare la massa m dell’olio contenuto nel serbatoio. Ipotesi L’olio può essere considerato un fluido incomprimibile e,

quindi, di densità costante. Analisi Lo schema del sistema appena descritto è mostrato nella

Figura 1.28. Si supponga di non ricordare la relazione che lega massa, densità e volume, ma di sapere, però, che la massa si misura in chilogrammi. Quindi, qualunque sia la relazione cercata, l’unità di misura finale dovrà essere il chilogrammo. I dati disponibili r = 850 kgm3 e W = 2 m3


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Capitolo 1

indicano chiaramente che si possono eliminare i m3 e ottenere chilogrammi moltiplicando le due quantità fra di loro. Quindi la formula cercata è m = rW per cui m = 850 kgm3  2 m3 = 1700 kg Discussione Questo approccio potrebbe non funzionare per rela-

zioni più complicate.

Va infine notato che il rispetto del principio di omogeneità dimensionale è una condizione necessaria ma non sufficiente: una formula i cui termini non sono dimensionalmente omogenei è certamente sbagliata, ma una formula i cui termini sono dimensionalmente omogenei non è necessariamente corretta.

1.7

Modellazione matematica di problemi ingegneristici

Qualunque problema ingegneristico (un dispositivo, un processo, un impianto ...) può essere studiato sperimentalmente (tramite prove e misure) o analiticamente (tramite analisi o calcoli). L’approccio sperimentale ha il vantaggio di operare con il sistema fisico reale, per cui la grandezza a cui si è interessati viene determinata tramite misure dirette, nei limiti degli errori sperimentali. Questo approccio, che è costoso e richiede in genere molto tempo, è certamente impraticabile nella fase di progettazione in quanto il sistema non esiste ancora. L’approccio analitico (come l’approccio numerico) ha il vantaggio di essere veloce e poco costoso, ma i risultati che si ottengono dipendono dall’accuratezza delle ipotesi e dalle approssimazioni e schematizzazioni fatte nell’analisi del problema. Nei problemi ingegneristici viene raggiunto spesso un buon compromesso riducendo il numero delle soluzioni possibili, sulla base dei risultati ottenuti con l’approccio analitico, e poi verificando queste ultime per via sperimentale.

1.7.1

La modellazione in ingegneria

La maggior parte dei problemi scientifici viene descritta da equazioni che legano fra di loro le variazioni reciproche di alcune grandezze-chiave. Di solito, al diminuire dell’incremento scelto per rappresentare tali variazioni, la descrizione del fenomeno diviene più generale e più accurata. Nel caso limite di variazioni infinitesimali,

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Introduzione e concetti di base problema fisico

identificare le variabili importanti

applicare le leggi fisiche pertinenti

fare ipotesi e approssimazioni ragionevoli

equazione differenziale usare la tecnica di risoluzione appropriata

applicare le condizioni al contorno e quelle iniziali

soluzione del problema Figura 1.29

Modellazione matematica dei problemi fisici.

si ottengono equazioni differenziali che forniscono precise formulazioni matematiche delle leggi fisiche, nelle quali le velocità di variazione sono rappresentate come derivate. Per tale motivo lo studio di una grande varietà di problemi scientifici e ingegneristici richiede la soluzione di equazioni o di sistemi di equazioni differenziali (Figura 1.29). Tuttavia, molti problemi che si incontrano nella pratica possono essere risolti senza ricorrere a equazioni differenziali e alle complicazioni a esse associate. Lo studio dei fenomeni fisici avviene in due fasi. Nella prima, identificate tutte le grandezze che influenzano il fenomeno e fatte ipotesi e approssimazioni ragionevoli, i legami tra tali grandezze vengono studiati ed espressi mediante formule matematiche. La formulazione matematica di un problema è di per sé molto istruttiva perché mostra il grado di dipendenza di alcune variabili da altre e l’importanza relativa dei vari termini. Nella seconda fase, viene risolto il problema usando l’approccio più appropriato e vengono interpretati i risultati. In natura, molti processi che sembrano verificarsi in maniera casuale e senza alcun ordine sono in realtà governati da leggi fisiche ben definite. Ciò fa sì che sia possibile predire il corso di un evento prima che accada o che sia possibile studiare matematicamente i diversi aspetti di un problema senza effettuare lunghi e costosi esperimenti. In questo risiede il potere dell’analisi. Anche la soluzione di molti problemi pratici significativi può essere ottenuta con uno sforzo relativamente modesto usando opportuni modelli matematici. La messa a punto di tali modelli richiede un’adeguata conoscenza dei fenomeni fisici e delle leggi che li governano, così come solida capacità di giudizio nella scelta del modello più opportuno. Un modello poco realistico fornirà ovviamente risultati non accurati e quindi inaccettabili. Nello studio di un problema ingegneristico spesso ci si trova nella situazione di dover scegliere tra un modello molto accurato ma molto complesso e un modello semplice ma non molto accurato. Normalmente, la scelta migliore è quella del modello più semplice in grado di fornire risultati sufficientemente accurati. Qualunque modello deve avere il requisito minimo di riflettere le caratteristiche fondamentali del problema fisico che rappresenta. Molti importanti problemi reali possono essere analizzati con modelli semplificati. Bisogna però tenere ben presente che i risultati ottenuti sono accurati al più tanto quanto le ipotesi alla base della semplificazione adottata. La soluzione ottenuta non può, quindi, essere considerata valida per situazioni per le quali tali ipotesi non valgono. Una soluzione non coerente con i risultati sperimentali indica che il modello matematico adottato è troppo grossolano. In tal caso, bisogna costruire un modello più realistico eliminando via via le ipotesi più discutibili. Il risultato sarà un modello più complesso che, ovviamente, sarà anche più difficile da risolvere. In ogni caso, qualunque soluzione va interpretata tenendo sempre ben presenti le ipotesi adottate nella formulazione del problema.


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Capitolo 1 ■

Tecnica di risoluzione dei problemi

Quando si affronta lo studio di una disciplina nuova, il primo passo è quello di individuarne le basi e di acquisirne una solida conoscenza. Il passo successivo è quello di verificare il livello di conoscenza acquisito, provando a risolvere problemi reali. A tale scopo, conviene seguire una procedura che consiste, essenzialmente, nel trasformare un problema complesso in una serie di problemi semplici (Figura 1.30). Fase 1: Posizione del problema Definire in maniera semplice il problema, le informazioni note e le quantità da calcolare, allo scopo di essere certi di aver compreso qual è il problema e quali sono gli obiettivi. Fase 2: Schematizzazione Tracciare uno schema del sistema considerato, evidenziando i dati più rilevanti. Lo schema deve essere semplice ma rappresentativo del sistema reale e delle sue caratteristiche chiave. Per esempio, vanno indicati gli scambi di energia e di massa con l’esterno e le proprietà che si mantengono costanti durante il processo. Elencare tutte le informazioni sullo schema aiuta a guardare il problema nel suo insieme. Fase 3: Ipotesi e approssimazioni Definire le ipotesi e le approssimazioni più opportune per semplificare il problema, giustificando quelle discutibili, e assegnare valori ragionevoli alle grandezze di cui non si conosce il valore. Per esempio, in mancanza di dati specifici, la pressione atmosferica può essere assunta pari a 1013 hPa, valore medio al livello del mare, annotando tuttavia nell’analisi che tale valore diminuisce al crescere dell’altitudine. Se, per esempio, il calcolo è relativo a una località di montagna, bisogna tener conto di tale diminuzione (Figura 1.31). Fase 4: Leggi fisiche Applicare i principi e le leggi fisiche appropriate, riducendole alla loro forma più semplice sulla base delle ipotesi fatte e individuando chiaramente la regione alla quale applicarle. Per esempio, l’aumento della velocità di una corrente attraverso un ugello va studiato applicando il principio di conservazione della massa tra la sezione di ingresso e quella di uscita dell’ugello. Fase 5: Proprietà Determinare le proprietà fisiche incognite, necessarie per la risoluzione del problema, nelle condizioni assegnate. Fase 6: Calcoli Sostituire le quantità note nelle relazioni ed effettuare i calcoli per determinare le incognite, ponendo particolare attenzione alle unità di misura e ricordando che una quantità dimensionale senza unità di misura è priva di significato. Riportare i risultati con un numero appropriato di cifre significative (vedi Paragrafo 1.10).

SOLUZIONE

so or rc vole e p ge a

PROBLEMA

percorso arduo

1.8

Figura 1.30

Un approccio graduale può rendere molto più semplice la risoluzione di un problema.

Dati: temperatura dell’aria a Sestriere Incognita: densità dell’aria Dato mancante: pressione atmosferica patm Ipotesi 1: patm = 1013 hPa Inaccettabile. Trascura gli effetti dell’altitudine. Implica un errore di oltre il 25% Ipotesi 2: patm = 790 hPa Accettabile. Trascura solo effetti secondari (per es. lo stato del tempo)

Figura 1.31

Le ipotesi avanzate nella risoluzione di un problema ingegneristico debbono essere ragionevoli e giustificabili.


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24 v

Introduzione e concetti di base prima della profilatura aerodinamica

FD

v

dopo la profilatura aerodinamica

> FD risultato non ragionevole!

Figura 1.32

I risultati dell’analisi di un problema debbono essere ragionevoli.

Fase 7: Commenti, verifiche e discussione Controllare che i risultati ottenuti siano ragionevoli e realistici, verificare la validità delle ipotesi discutibili e ripetere i calcoli se i risultati sono poco convincenti. Per esempio, con le stesse condizioni al contorno, la resistenza che l’aria oppone all’avanzamento di un’automobile non deve aumentare dopo averne reso aerodinamico il profilo (Figura 1.32). Evidenziare, inoltre, la significatività dei risultati, le conclusioni che se ne possono trarre e le raccomandazioni che possono essere fatte sulla loro base, segnalando i limiti delle ipotesi entro le quali i risultati sono validi e raccomandando di evitare l’eventuale utilizzo dei risultati in situazioni nelle quali le ipotesi non valgono. Per esempio, se si è calcolato che in un certo impianto di sollevamento l’adozione di una tubazione di diametro più grande comporta, come costo del solo materiale, un costo aggiuntivo di € 5000 e una riduzione del costo annuale di esercizio di € 3000, si deve rilevare che, grazie all’energia elettrica risparmiata, il costo aggiuntivo della tubazione si ripagherà in meno di due anni. Però, si deve anche sottolineare che l’analisi è stata effettuata considerando solo il costo aggiuntivo della tubazione a diametro più grande e non altri eventuali maggiori costi conseguenti. La presentazione della soluzione di un problema o di una qualunque analisi ingegneristica è una forma di comunicazione. Quindi è della massima importanza che essa sia chiara, ben organizzata e completa. La chiarezza, in particolare, è anche un potente strumento di controllo perché in un lavoro chiaro è molto più facile individuare errori e incongruenze. L’importanza di un approccio logico e ordinato alla risoluzione dei problemi non sarà mai sottolineata abbastanza. Infatti, la maggior parte delle difficoltà che si incontrano nella risoluzione di un problema non è dovuta a mancanza di conoscenza, ma piuttosto a un approccio non corretto.

1.9

Il software

Quasi tutti i problemi che si incontrano nella pratica ingegneristica possono essere risolti usando uno dei tanti sofisticati pacchetti software disponibili oggi sul mercato. È impensabile che nel suo lavoro un ingegnere possa oggi fare a meno di tali prodotti. Questa enorme potenza di calcolo, disponibile semplicemente schiacciando un tasto, è allo stesso tempo una benedizione e una maledizione. Permette certamente di risolvere i problemi in maniera facile e veloce, ma rischia di essere anche fonte di gravi errori, perché nelle mani di persone impreparate è uno strumento pericoloso quanto possono esserlo armi potenti e sofisticate nelle mani di soldati non adeguatamente preparati. Pensare che basti usare pacchetti software per fare l’ingegnere anche senza avere solide basi teoriche è come pensare che basti sapere usare una chiave inglese per fare il meccanico di automobili.


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Capitolo 1

Bisogna sempre tenere a mente che la potenza di calcolo dei computer e i pacchetti software oggi disponibili sono solo strumenti e gli strumenti hanno senso solo nelle mani di un professionista. Il miglior programma di word-processing non rende chi sa usarlo un bravo scrittore, anche se certamente rende molto più semplice e produttivo il lavoro di un bravo scrittore (Figura 1.33). Le calcolatrici non hanno eliminato la necessità di insegnare ai bambini le addizioni e le sottrazioni, così come gli avanzati pacchetti software nel campo della medicina non hanno reso inutili le scuole di medicina. Allo stesso modo, i pacchetti software di ingegneria non possono sostituire la tradizionale preparazione di base, anche se, nello studio, andrebbe probabilmente dedicata maggiore attenzione alla discussione dettagliata degli aspetti fisici dei problemi e meno tempo alle procedure di risoluzione. Questi potenti strumenti pongono sugli ingegneri di oggi un carico aggiuntivo. Infatti, essi devono comprendere a fondo le basi teoriche, sviluppare una particolare sensibilità per gli aspetti fisici dei problemi, essere in grado di definirne correttamente i dati e darne una solida valutazione ingegneristica, esattamente come i loro predecessori. Però, devono farlo molto meglio e molto più in fretta, usando, grazie alla potenza degli strumenti oggi disponibili, modelli più realistici. In passato, gli ingegneri dovevano affidarsi a calcoli effettuati manualmente o con un regolo calcolatore e, più tardi, con calcolatrice e computer. Oggi, possono impiegare pacchetti software che modellano problemi anche estremamente complessi. Il facile accesso a tali potenzialità e, nel contempo, la possibilità che una cattiva interpretazione dei risultati causi grandi danni fanno sì che oggi sia più importante che mai avere una solida cultura ingegneristica di base. Nel presente testo, ci si sforzerà, pertanto, di porre l’accento sullo sviluppo di una conoscenza intuitiva e fisica dei fenomeni naturali piuttosto che sui dettagli matematici delle procedure di risoluzione.

1.10

Accuratezza, precisione e cifre significative

Nei problemi ingegneristici, i valori delle grandezze note sono espressi con un certo numero di cifre significative, di solito tre. Di conseguenza, i risultati dei calcoli, anche quando vengono espressi con un numero di cifre significative maggiore, non possono essere considerati più precisi. Esprimere i risultati con un numero di cifre significative maggiore indica una maggiore accuratezza che in realtà non c’è e, pertanto, va evitato. Indipendentemente dal sistema di misura utilizzato, bisogna conoscere i tre concetti che governano l’uso corretto dei numeri: accuratezza, precisione e cifre significative. Essi vengono definiti nel seguente modo. •

L’errore di accuratezza è la differenza tra il valore misurato e il valore reale. In generale, l’accuratezza di una serie di misure

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©Caia Images/Glow Images RF. Figura 1.33

Un buon programma di word-processing non fa diventare buoni scrittori, ma può far sì che dei buoni scrittori diventino più efficienti.


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Introduzione e concetti di base

++++ ++ ++

viene espressa confrontando la media dei valori misurati con il valore reale. L’accuratezza è in genere associata agli errori sistematici di misura. L’errore di precisione è la differenza tra il valore misurato e la media delle misure. In generale, la precisione di una serie di misure dipende dalla risoluzione dello strumento. La precisione è in genere associata a errori casuali. Le cifre significative di un numero sono le cifre a partire dalla prima a sinistra diversa da zero fino all’ultima a destra a cui si intende attribuire significato.

Una misura o un calcolo può essere molto preciso ma non accurato e viceversa. Per esempio, si supponga che il vero valore della velocità del vento sia 25,00 ms. Due anemometri misurano cinque valori ciascuno: Anemometro A: 25,50 - 25,69 - 25,52 - 25,58 - 25,61 ms Media delle misure = 25,58 ms Anemometro B: 26,3 - 24,5 - 23,9 - 26,8 - 23,6 ms Media delle misure = 25,02 ms

A

+ + +

+ +

+

+

B

Figura 1.34

Il tiratore del bersaglio A è più preciso ma meno accurato del tiratore del bersaglio B, che è, invece, più accurato ma meno preciso del tiratore A.

Chiaramente, l’anemometro A è più preciso perché la differenza massima tra ciascuna misura e la media delle misure è di 0,11 ms. Però la media è di 25,58 ms, cioè differisce di 0,58 ms dal valore vero della velocità; ciò indica un errore costante, chiamato anche errore sistematico. D’altra parte, l’anemometro B non è molto preciso, considerato che le sue misure oscillano sensibilmente attorno alla media, però tale media è più vicina al valore vero. Quindi, l’anemometro B è più accurato dell’anemometro A, almeno per quest’insieme di misure, anche se meno preciso. La differenza tra accuratezza e precisione può essere illustrata efficacemente tramite un’analogia con il tiro a segno (Figura 1.34). Il tiratore A è molto preciso, ma non molto accurato, mentre il tiratore B ha un’accuratezza in generale maggiore, ma precisione minore. Spesso, nel fare i calcoli, non si pone molta attenzione al numero di cifre significative, dimenticando che la quantità di cifre significative di un numero è rappresentativa dell’accuratezza della misura o del calcolo di cui quel numero è l’espressione. Per esempio, scrivere che una certa lunghezza è L = 4 m (una cifra significativa) o L = 4,00 m (tre cifre significative) non è esattamente la stessa cosa. Infatti, nel primo caso si afferma implicitamente che la lunghezza esatta è certamente compresa tra 3 e 5 m, nel secondo si dice che è compresa tra 3,99 e 4,01 m. In altre parole, scrivere il primo valore equivale ad affermare che l’approssimazione (o l’incertezza) della misura è di 1 m, scrivere il secondo vuol dire che l’approssimazione è di 1 cm. D’altra parte, se in effetti l’approssimazione della misura è di 1 cm, scrivere L = 3,000 m (quattro cifre significative) darebbe un’informazione fuorviante perché sarebbe come affermare che l’approssimazione della misura è di 1 mm.


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Capitolo 1

In qualche caso, per scrivere correttamente il numero di cifre significative più appropriato è necessario ricorrere alla notazione esponenziale, di cui la Tabella 1.3 mostra alcuni esempi. Scrivere, per esempio, che la velocità della luce è c = 300 000 kms fornisce un’informazione non corretta perché equivale a dire che essa è compresa tra 299 999 e 300 001 kms, mentre invece il valore esatto è c = 299 792,458 kms. Per cui, se, per semplicità, si vuole esprimere tale valore solo con tre cifre significative si deve scrivere c = 300  103 kms, notazione che indica correttamente che la velocità della luce è compresa tra 299 e 301 mila kms. Quando si effettuano calcoli che coinvolgono varie grandezze, bisogna tenere presente che il risultato finale ha la stessa accuratezza del dato meno accurato. Pertanto, va espresso con lo stesso numero di cifre significative di tale dato. Se, per esempio, si ha A = 2,3601 (cinque cifre significative) e B = 0,34 (due cifre significative) il risultato del prodotto C = A  B è C = 0,80 (due cifre significative) e non C = 0,802434 (sei cifre significative) come indicato dalla calcolatrice. Infatti, essendo il valore esatto di B compreso tra 0,33 e 0,35 e quello di A compreso tra 2,3600 e 2,3602, il valore esatto del loro prodotto è compreso tra 0,7788 e 0,82607. Scrivere che tale prodotto ha il valore C = 0,80 (due cifre significative) e quindi è compreso tra 0,79 e 0,81 è quanto di meglio si possa fare. Indicare, infatti, un numero di cifre significative maggiore di due sarebbe fuorviante perché attribuirebbe al risultato una precisione che in realtà non ha. Come ulteriore esempio, si supponga di dover determinare la massa della benzina contenuta in un recipiente avente la capacità di 3,75 l sapendo che la densità della benzina è di 0,845 kgl. Essendo la massa pari al prodotto della densità per il volume, moltiplicando i due numeri si ottiene 3,16875. Poiché sia la densità sia il volume hanno una precisione di tre cifre significative, il risultato del loro prodotto deve essere espresso anch’esso con non più di tre cifre significative. Pertanto, il risultato va scritto come 3,17 kg (Figura 1.35). Non è infrequente che nei calcoli si introducano consapevolmente piccoli errori, adottando per alcuni dati valori leggermente approssimati. Per esempio, per la densità dell’acqua si usa abitualmente il valore di 1000 kgm3 che è quello della densità di acqua pura a 4 °C. Tale valore viene usato anche per acqua a temperatura ambiente, trascurando la diminuzione dovuta all’aumento di temperatura. Ciò comporta, in realtà, l’introduzione di un errore dell’ordine dello 0,2% perché alla temperatura di 20 °C la densità dell’acqua vale 998 kgm3, senza considerare che i minerali e le altre impurità presenti nell’acqua sono fonte di ulteriori errori. Si comprende, quindi, come non sia il caso di avere molte riserve nell’arrotondare i risultati finali a un numero ragionevole di cifre significative (tre o, al più, quattro). D’altra parte, un’approssimazione di qualche punto percentuale nei risultati dell’analisi di un problema ingegneristico è la norma piuttosto che l’eccezione.

TABELLA 1.3 Cifre significative Numero

Notazione esponenziale

Numero di cifre significative

1,23  101 12,3 1,23  105 123 000 1,23  10-3 0,00123 4,03  104 40 300 4,0300  104 40 300 0,005600 5,600  10-3 5,6  10-3 0,0056 6  10-3 0,006

Dati:

3 3 3 3 5 4 2 1

volume: W = 3,75 l densità: ρ = 0,845 kg/l

(ambedue i dati hanno 3 cifre significative)

Incognita: massa m Soluzione: m = ρW = 3,75 × 0,845 = = 3,16875 kg

Arrotondamento a 3 cifre significative m = 3,17 kg

Figura 1.35

Un risultato con un numero di cifre significative maggiore di quello dei dati indica, falsamente, una precisione maggiore di quella reale.


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Introduzione e concetti di base

Solo nello scrivere i risultati intermedi di un calcolo, per evitare errori di arrotondamento, è consigliabile tenere cifre “in più’’; il risultato finale deve, comunque, essere scritto col numero corretto di cifre significative. Bisogna anche tenere presente che il fatto che un dato sia espresso con un certo numero di cifre significative non comporta necessariamente che abbia il grado di accuratezza corrispondente a tale numero. Un errore sistematico in una lettura, per esempio, può ridurre in maniera significativa l’accuratezza complessiva del dato, rendendo priva di significato persino l’ultima cifra significativa. I dati sperimentali sono soggetti a errori di misura e tali errori si riflettono sui risultati complessivi del calcolo. Per esempio, se la densità di una sostanza è misurata con un’approssimazione del 2%, tale approssimazione si ripercuoterà sul valore della massa calcolata usando quel valore di densità. Nei casi in cui il numero di cifre significative non è noto, si considera abitualmente che esso sia pari a tre. Quindi, se la lunghezza di una tubazione è di 40 m, si assumerà per essa il valore 40,0 per giustificare l’uso di tre cifre significative nei risultati finali.

tubo

ESEMPIO 1.4 Cifre significative e portata Per calcolare la portata dell’acqua che defluisce da un tubo da giardino, basta misurare il tempo necessario a riempire un recipiente (Figura 1.36). Il volume d’acqua raccolto nell’intervallo di tempo, misurato con un contasecondi, Dt = 45,62 s è di 4,2 l. Calcolare la portata in litri al minuto.

recipiente

Ipotesi Le misure sono state effettuate correttamente, cosicché il

volume ha una precisione di due cifre significative mentre il tempo una precisione di quattro cifre significative. Figura 1.36

Schema dell’Esempio 1.4.

Analisi La portata Q è il volume che transita attraverso una sezione

nell’unità di tempo. Per cui: Q=

ΔW 4, 2 = × 60 = 5, 5 l/min Δt 45, 62

Discussione Il risultato finale deve essere indicato con due cifre

significative, poiché un numero maggiore di cifre indicherebbe una precisione maggiore di quella effettiva. Se si trattasse di un calcolo intermedio tra calcoli successivi, sarebbe opportuno riportare più cifre per evitare l’accumularsi di errori di arrotondamento. Sulla base delle informazioni disponibili, nulla può essere detto sull’accuratezza del risultato, perché nulla si sa degli errori sistematici nelle misure del volume e del tempo. Va ricordato che una buona precisione non garantisce una buona accuratezza. Se le batterie del contasecondi fossero parzialmente scariche, la sua accuratezza potrebbe essere bassa pur essendo la lettura sempre espressa con una precisione di quattro cifre significative.


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Capitolo 1

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SOMMARIO In questo capitolo vengono introdotti e discussi alcuni concetti di base della meccanica dei fluidi. Un fluido è una sostanza nella fase liquida o gassosa. La meccanica dei fluidi è la scienza che studia il comportamento dei fluidi in quiete o in moto e l’interazione tra i fluidi e i solidi o altri fluidi al contorno. Il campo di moto di un fluido può essere confinato (moto in una tubazione) o non confinato (moto attorno a un corpo). Un fluido è considerato comprimibile o incomprimibile secondo che esso subisca o meno variazioni di densità durante il moto. La densità di un liquido è praticamente costante; quindi i liquidi sono abitualmente considerati incomprimibili. Il termine permanente implica che in ogni punto del campo di moto non ci sia nessuna variazione nel tempo. Nel caso contrario, il moto è vario o transitorio. Un moto è detto unidimensionale o bidimensionale se la velocità varia solamente lungo una o due direzioni.

Un fluido a contatto con una parete solida aderisce alla parete; non si ha, pertanto, alcuno scorrimento relativo tra fluido e parete. Questa è la condizione di aderenza, a causa della quale si forma uno strato limite lungo ogni superficie solida. Un sistema con massa fissata è chiamato sistema chiuso, mentre un sistema il cui contorno è attraversato da massa è chiamato sistema aperto o volume di controllo. Molti problemi ingegneristici comportano trasferimento di massa e vengono quindi modellati considerando un opportuno volume di controllo. Nei calcoli ingegneristici, è molto importante porre l’attenzione sulle unità di misura delle grandezze per evitare errori causati da unità non omogenee. È anche importante rendersi conto che se i dati sono espressi con un certo numero di cifre significative i risultati ottenuti non possono essere più accurati dei dati, anche se espressi con un numero maggiore di cifre significative.


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