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Parte
La politica economica e i suoi obiettivi
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Capitolo
La politica economica e il conflitto
Nel marzo 2009 si è tenuto, a Brighton, un incontro tra i ministri dell’Economia dei Paesi del gruppo dei G-20. In quell’occasione è stato stilato un documento nel quale si leggeva che “i ministri economici del G-20 sono pronti a ogni azione per rilanciare la crescita”. Al termine del vertice, in una conferenza stampa congiunta, l’allora ministro dell’Economia italiano, Giulio Tremonti, e l’allora governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, avevano illustrato i passi da compiere per fare riacquistare fiducia nel mercato. Draghi disse, tra le altre cose: “Bisogna evitare che la disoccupazione cresca vertiginosamente e si traduca in un ulteriore calo della domanda”; Tremonti dichiarò: “Servono regole, non si può andare avanti con il mercato che fa senza le regole e senza la politica. La politica ha il dovere di definire regole, princìpi e valori etici. Senza valori spirituali non ci sono sicurezza e sviluppo”. Nel più recente vertice del G20 del 2018, tenutosi a Buenos Aires, nella dichiarazione finale si legge: “Istituzioni finanziarie internazionali forti ed efficaci aiutano a promuovere la crescita economica e uno sviluppo sostenibile. Si continuerà a monitorare il flusso internazionale dei capitali finanziari e ad approfondire la comprensione degli strumenti politici disponibili per promuovere i benefici e limitare i rischi legati alla mobilità dei capitali finanziari”. Vertici come quelli citati sono occasioni abbastanza comuni per dichiarazioni di intenti, più o meno condivise. Non sarà sfuggito, leggendo le dichiarazioni sopra riportate, che sono stati enunciati obiettivi e sono stati delineati strumenti per raggiungerli; non sarà neanche sfuggito, però, che gli accenti su strumenti e obiettivi non erano perfettamente coincidenti.
Questo capitolo: • discute che cosa si debba intendere per politica economica; • esamina chi siano i soggetti rilevanti della politica economica; • delinea quali siano – in linea di prima approssimazione – gli obiettivi e gli strumenti propri della politica economica; • sottolinea come la politica economica sia caratterizzata da conflitti di diversa natura e a diversi livelli.
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Il caso
Obiettivi
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4 ■ Capitolo 1
1.1 ■ Che cos’è la politica economica
politica economica quella parte della scienza economica che studia una comunità, riguardo all’individuazione dei fini, al modo di perseguire tali fini, e all’esito dell’eventuale intervento.
Secondo la definizione classica, data da Lionel Robbins nel 1935, la politica economica è “il corpo di princìpi dell’azione o dell’inazione del governo rispetto all’attività economica”. Federico Caffè (1978) ha proposto la seguente definizione di politica economica: “quella disciplina che cerca le regole di condotta tendenti a influire sui fenomeni economici in vista di orientarli in un senso desiderato”. Per risultare più puntuali rispetto a quanto ci apprestiamo a esaminare in questo specifico corso, possiamo avanzare la seguente definizione: la politica economica è quella parte della scienza economica che studia una comunità, riguardo all’individuazione dei fini, al modo di perseguire tali fini, e all’esito dell’eventuale intervento. In questo primo capitolo ci soffermeremo sulle tre componenti della politica economica, sopra menzionate, che costituiscono anche le tre parti concettuali in cui si articola la disciplina: l’individuazione dei fini di un corpo sociale complesso, le modalità di raggiungimento di tali fini (e, in questo ambito, la scelta tra l’azione e l’inazione del governo) e l’effetto dell’eventuale azione. Segnaleremo come all’interno di ognuna di queste parti, e fra di esse, vi siano motivi di conflitto. Il filo conduttore di queste lezioni è costituito dall’individuazione esplicita dei conflitti. Poiché, in termini generali, l’organizzazione economica che ogni società si dà rappresenta un insieme di regole per limitare e governare le occasioni di conflitto, la coscienza dell’esistenza del conflitto è un elemento chiave per comprendere il funzionamento dell’agire economico, nonché il ruolo della politica economica.
1.2 ■ I fini di una comunità comunità insieme di individui, ciascuno con propri obiettivi, eventualmente in conflitto. teoria delle scelte collettive corpus teorico che studia se e come sia possibile individuare obiettivi per una comunità, a partire dalle preferenze degli individui che la costituiscono, e che relazioni esistano tra le preferenze individuali e le preferenze collettive.
Per comunità, o “ente collettivo”, si intende un aggregato di individui, con preferenze (e quindi obiettivi) eterogenei. È del tutto fisiologico che in ogni ente costituito da più soggetti sia presente un conflitto tra gli obiettivi individuali dei soggetti che lo compongono. La teoria delle scelte collettive sviluppa la propria riflessione intorno a questo nodo concettuale, cercando di stabilire come – a partire dalle finalità delle singole unità che lo costituiscono – un corpo complesso arrivi all’individuazione dei suoi obiettivi. Pertanto, la teoria delle scelte collettive costituisce una parte – la prima – della politica economica. Soltanto su alcuni fini che l’ente può assumere come propri, ci può essere una convergenza non problematica di tutti gli individui. Un obiettivo di massima potrebbe essere quello di evitare le situazioni inefficienti in senso paretiano (ossia quelle situazioni rispetto alle quali tutti potrebbero stare meglio o non peggio):1 una finalità su cui tutti i soggetti dovrebbero essere d’accordo. In questo ambito – il conseguimento di efficienza – rientrano gli interventi che mirano a correggere gli esiti del mercato non efficienti (si pensi, per esempio, ai casi di monopolio, esternalità, oligopolio, beni pubblici ecc.). Chi ha l’onere di rappresentare un ente composto da più unità costituenti, però, non sempre riesce ad aggregarne e rappresentarne – in modo appropriato – gli obiettivi. Talvolta, anzi, le finalità delle singole unità vengono aggregate in modo non-neutrale; in altri casi, addirittura, il rappresentante può perseguire prioritariamente obiettivi propri. In tali circostanze, quindi, può sorgere un conflitto tra gli obiettivi individuali e l’obiettivo aggregato dell’ente collettivo.
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Ritorneremo su questo concetto nel Capitolo 3.
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Il conflitto nasce necessariamente, per esempio, tra obiettivi politici di natura redistributiva (la redistribuzione personale del reddito, ma anche la redistribuzione geografica, settoriale, sociale ecc.) e l’interesse degli specifici soggetti danneggiati dalla redistribuzione. Generalmente l’ente collettivo si assegna una pluralità di obiettivi. Nulla, tuttavia, assicura che non possano sorgere conflitti tra gli obiettivi dichiarati. È bene da subito sottolineare che il conflitto tra gli obiettivi può riguardare anche quelli di una singola unità: a livello di studio del comportamento individuale vi può essere, per esempio, un conflitto tra ragione e sentimento. La teoria assiomatica del consumatore, tuttavia, riesce a eliminare dalla rappresentazione teorica questi eventuali conflitti, imponendo assiomi di razionalità alla struttura di preferenze degli individui. Rispetto a quanto avviene per il livello del singolo individuo, nell’ambito delle scelte collettive preoccuparsi che non emerga un conflitto fra gli obiettivi è, al tempo stesso, più difficile e, forse, meno utile. È meno utile perché, di fatto, sono molte le situazioni in cui enti complessi perseguono obiettivi contraddittori. Inoltre, risulta più difficile (o comunque più problematico) cercare di evitare che vengano stabiliti obiettivi contraddittori perché imporre assiomi di razionalità alle scelte collettive implica necessariamente il non rispettare assiomi relativi ad altri aspetti come, per esempio, la libertà degli individui.2 La politica economica, pertanto, prima ancora di preoccuparsi di evitare che vengano selezionati obiettivi contraddittori, studia (e deve studiare) la gestione dei conflitti tra gli obiettivi che ci si è assegnati. Ciò, dunque, rende il conflitto fra obiettivi un tipico tema della politica economica.
conflitto nella politica economica, ampia attenzione viene data all’esistenza di conflitti e alla loro gestione; avremo modo di esaminare, tra altri: conflitti fra obiettivi individuali e collettivi; conflitti fra obiettivi di politica economica; il conflitto fra intervento e non-intervento; conflitti fra strumenti utilizzati; conflitti tra obiettivi perseguiti e realizzati; conflitti nella valutazione dei risultati.
1.3 ■ Il perseguimento dei fini Individuati i fini, la politica economica esamina i possibili modi per perseguirli. Una prima valutazione va fatta in merito alla necessità di intervento. In questo ambito si situa il conflitto tra intervento e non-intervento. Può darsi, infatti, che il raggiungimento del fine che la comunità si è posta si realizzi “naturalmente” senza bisogno di un intervento ad hoc. I liberisti più radicali, per esempio, ritengono che – date certe condizioni – l’istituzione del libero mercato garantisca il raggiungimento della Paretoefficienza; se l’obiettivo della comunità è semplicemente la Pareto-efficienza, pertanto, sarà sufficiente non fare nulla per raggiungere l’obiettivo assegnato. In realtà, anche in questo caso estremo e talmente semplice da essere irrealistico, potrebbe nascere un problema legato alla dimensione temporale: anche quando è garantito il raggiungimento del fine, ciò potrebbe richiedere tempi troppo lunghi, sicché, a volte, si rivela preferibile un esplicito intervento. Supponiamo che le valutazioni collettive abbiano portato alla conclusione che è necessario agire, al fine di raggiungere (o raggiungere in tempi più rapidi, o raggiungere in modo più efficiente) l’obiettivo preposto. La parte della politica economica che studia se sia possibile raggiungere i fini assegnati riguarda la teoria della controllabilità. Più esplicitamente, la teoria della controllabilità studia le condizioni che devono essere soddisfatte affinché sia raggiungibile il fine che l’ente collettivo si è posto, data la struttura dell’economia. La strada da percorrere viene spesso riassunta nella cosiddetta ricetta di politica economica, che assume la seguente struttura: “in una condizione nella quale si sono verificate date ipotesi, posto che si voglia perseguire un certo obiettivo, bisogna intraprendere le specificate azioni”.
teoria della controllabilità quella parte della teoria della politica economica che studia sotto quali condizioni i risultati prefissati sono raggiungibili. ricetta di politica economica regola che stabilisce quali azioni bisogna intraprendere per raggiungere determinati obiettivi; nella ricetta di politica economica vengono quindi enunciati sia gli obiettivi che si intendono realizzare, sia gli strumenti da utilizzare.
2 L’incompatibilità
tra assiomi di razionalità delle scelte collettive e altri assiomi è un’implicazione del teorema di impossibilità di Arrow, che verrà trattato nel Capitolo 4.
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6 ■ Capitolo 1
In numerose occasioni, le strade per raggiungere un risultato possono essere molteplici e occorre quindi individuare un criterio utile per capire quale sia la strada preferibile. In poche parole, quello che si deve risolvere è un conflitto tra strumenti impiegabili. Nel corso del testo, vedremo come, spesso, la scelta degli strumenti (oltre che l’individuazione dei fini) risponda a precisi orientamenti ideologici. In tal senso, la politica economica non cerca di indicare le eventuali scelte oggettivamente migliori, ma si sforza di svelare che la pretesa di oggettiva neutralità – rivendicata da alcune impostazioni teoriche – spesso nasconde l’imposizione di orientamenti ideologici, cioè di un sistema di valori che non necessariamente è condiviso da tutte le unità che costituiscono la collettività.
1.4 ■ Il risultato dell’azione della politica economica A seguito dell’intervento di politica economica suggerito dalla “ricetta”, si conseguiranno alcuni risultati. Può tuttavia succedere che, una volta individuati i fini e i metodi, e realizzate le prescrizioni della ricetta, si verifichino di fatto risultati diversi da quelli che si erano prospettati in principio. Giunti a tal punto, dunque, bisogna comprendere le ragioni del conflitto tra obiettivi previsti e obiettivi realizzati. In linea di principio, per spiegare il conflitto tra obiettivi desiderati e obiettivi realizzati si possono avanzare numerose ipotesi, tra cui l’inadeguatezza del set informativo relativo all’effettiva situazione di partenza; la mancata realizzazione degli interventi pianificati; errori nella tempistica o nella dimensione degli interventi; una variazione delle condizioni ambientali contemporanea all’applicazione delle prescrizioni della “ricetta” o, addirittura, dovuta alle prescrizioni stesse. La politica economica esamina queste possibili evenienze. Va infine segnalato che, così come nel momento della individuazione dei fini, vi sono conflitti tra individui, causati dall’esistenza di differenti sistemi di valori, anche nella valutazione dei risultati raggiunti. I giudizi di valore, in economia come in politica economica, rispondono sempre a strutture di preferenze che sottendono differenti valutazioni ideologiche.
1.5 ■ I soggetti della politica economica La realtà è costituita da una pluralità di soggetti e risulta quindi irriducibile in uno schema che ne dia una rappresentazione totale. Se, dunque, il modello che viene utilizzato per esemplificare la realtà non può dare conto di tutti i soggetti effettivamente esistenti, è comunque necessario che rappresenti esplicitamente quei soggetti il cui comportamento è rilevante ai fini del fenomeno (o dei fenomeni) che si sta indagando. In ogni modello utilizzabile a fini di politica economica, quindi, è necessario che figurino almeno due categorie di soggetti: i privati e le autorità di politica economica. • autorità di politica economica (o policy maker) il soggetto al quale spetta l’individuazione dei fini di politica economica e delle ricette da attuare; esistono differenti concezioni di policy maker, nelle diverse teorie.
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I privati sono gli individui che perseguono i propri obiettivi individuali (per esempio, i consumatori, ma anche le imprese); talvolta, ci si riferisce ai privati anche come ai cittadini (pur essendo evidente che è difficile connotare un’impresa come un cittadino). • Per quanto riguarda le autorità di politica economica (policy maker), è bene chiarire immediatamente che la concezione dell’autorità di politica economica – e la conseguente rappresentazione che ne viene data – differisce fortemente, a seconda delle impostazioni teoriche seguite dalle diverse scuole. Infatti, secondo la teoria tradizionale della politica economica – derivante anche dall’economia del benessere – l’autorità di politica economica è un ente che non ha una propria
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personalità, ma è semplicemente un aggregatore delle preferenze individuali; in questo ambito, pertanto, l’autorità si limita a osservare le preferenze degli individui, a stabilire un fine di politica economica (più o meno rispettoso degli obiettivi individuali) e a decidere se e come intervenire per realizzarlo. Anziché un unicum, l’autorità di politica economica può essere vista come un insieme di enti, differenti fra loro sotto vari profili. Un primo profilo di articolazione riguarda la natura dei fini perseguiti. Sempre all’interno della teoria tradizionale della politica economia, per esempio, Musgrave (1959) – in quello che è noto come modello dei bureau – suggerisce di rappresentare l’autorità di politica economica come l’insieme dei tre uffici, che si differenziano per la natura dell’obiettivo perseguito. Più precisamente, l’autorità di politica economica sarebbe costituita: dall’allocation bureau, che è l’ufficio che persegue obiettivi di efficienza microeconomica dei mercati; dallo stabilization bureau, che è l’ufficio che persegue obiettivi di natura macroeconomica (e specificamente, la stabilizzazione del livello del reddito e dell’occupazione); dal redistribution bureau, che è l’ufficio che si occupa degli interventi volti a realizzare la redistribuzione del reddito. Naturalmente, questa rappresentazione del policy maker come costituito da tre uffici, conduce subito a porsi il problema se sia legittimo investigare le azioni dei tre uffici in modo “separato”, oppure se sia necessario porsi il problema del loro coordinamento. La risposta a questo interrogativo dipende, ovviamente, dal grado di “separabilità” esistente tra gli aspetti microeconomici, gli aspetti macroeconomici e gli aspetti redistributivi. Alcuni economisti sono propensi a ritenere che le azioni di politica economica possano essere decentralizzate, e ciascun ufficio possa agire separatamente dagli altri. Altri, viceversa, ritengono che – date le interdipendenze tra gli aspetti di diversa natura – sia necessario immaginare una qualche forma di coordinamento tra i diversi uffici, anche al fine di evitare che perseguano obiettivi conflittuali o mettano in atto azioni conflittuali. Ritorneremo sul problema della possibile decentralizzazione delle decisioni in base al loro contenuto in diverse parti di questo manuale (Capitolo 4, Capitolo 5 e Capitolo 22). Un secondo profilo di articolazione del policy maker può essere riferito all’ambito dell’intervento: vi sono infatti policy maker di livello internazionale, nazionale e di livello territoriale più limitato (regionale, comunale ecc.). Anche in questo ambito, naturalmente, è legittimo interrogarsi sul grado di indipendenza dei problemi affrontati (e delle azioni intraprese) ai diversi livelli. È di particolare attualità, per esempio, la discussione sull’opportunità del decentramento delle decisioni a livello locale. Valutazioni di opportunità su tale decentramento, ovviamente, si basano necessariamente non soltanto su elementi oggettivi, ma anche su considerazioni di natura ideologico-politica. Un terzo profilo di articolazione riguarda la natura dei compiti svolti dal policy maker. In particolare si deve distinguere, sotto questo profilo, tra i “politici” (che debbono individuare i fini e le eventuali azioni da intraprendere per raggiungerli) e i “burocrati” (che debbono operativamente mettere in atto le misure individuate dai politici). Nelle democrazie, i politici rispondono (in qualche modo) del loro operato ai cittadini, dato che quest’ultimi hanno un certo potere nello scegliere i politici, attraverso le elezioni. I burocrati, in genere, rispondono del loro operato ai politici; tuttavia, vi sono Paesi nei quali i politici hanno ampia libertà di scelta sui burocrati cui affidare la realizzazione operativa delle decisioni, e altri Paesi, invece, in cui la burocrazia gode di un’ampia autonomia rispetto alla sfera della politica. Si noti che, nella visione tradizionale della politica economica, il policy maker – anche quando lo si rappresenta tenendo conto delle diverse possibili articolazioni sopra segnalate – si limita ad attuare gli interventi appropriati per raggiungere i fini derivanti dalla struttura di preferenza dei privati. Questa rappresentazione dell’autorità di politica
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modello dei bureau rappresentazione dell’autorità di politica economica come un insieme di uffici, che perseguono finalità di diversa natura (allocativa, redistributiva, macroeconomica).
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economica come ente (o famiglia di ente) del tutto astratta può essere giudicata talmente semplificata da risultare distorta. Per esempio, la scuola delle “public choice”, sorta intorno al 1960, sostiene che i policy maker non siano enti astratti, ma uomini in carne e ossa, che perseguono quindi obiettivi propri, che possono avere poco a che fare con gli obiettivi degli individui che costituiscono la comunità. Secondo questa linea di pensiero è quindi fisiologico che vi siano conflitti fra gli obiettivi perseguiti dai policy maker e gli obiettivi degli individui che costituiscono la comunità. Non solo: anche l’autorità di politica economica è costituita da vari uomini, diversi fra loro e quindi soggetti a conflitti reciproci. In altri termini, il mondo può (e deve, secondo questa linea di argomentazione) essere rappresentato come costituito da tre categorie di soggetti: cittadini, politici (eventualmente eletti dai cittadini e che comunque a questi rispondono) e da burocrati (che debbono rispondere del proprio operato ai politici). Ciascuno di questi tre soggetti persegue, di fatto, obiettivi propri, e quindi è necessario studiare correttamente i rapporti tra cittadini e governo, tra governo e burocrati e infine tra burocrati e cittadini. Alcune delle idee della scuola delle public choices sono successivamente state riprese (negli anni Ottanta) dalla scuola della political economy che ha esplicitamente sostenuto che tra i soggetti rilevanti (cittadini, politici, burocrati) vi sono relazioni di interdipendenza strategica: cioè che i risultati perseguiti da ciascuno dipendono, oltre che dal comportamento proprio, anche dal comportamento della controparte, sicché la scelta delle azioni ottimali da intraprendere dipende anche da come decidono di agire le controparti. Avremo modo di trattare questi temi e dei loro più recenti sviluppi nei Capitoli 4 e 22.
Domande di verifica 1. Che cosa si intende per “politica economica”? 2. Illustrate che cosa è un ente collettivo e discutete se e perché si può manifestare un conflitto fra gli obiettivi di un ente collettivo e gli obiettivi individuali che si pone ciascun individuo che ne fa parte. 3. Immaginate di valutare una società costituita da due individui, Agnese e Simone, che trovano per terra 10 Euro e che debbono decidere come spartirseli. Spiegate perché l’allocazione in base alla quale Agnese si appropria di 9 Euro e Simone di 1 costituisce un’allocazione Pareto-efficiente. Sarebbe Pareto-efficiente anche l’allocazione in base alla quale Agnese si tenesse tutti e 10 gli Euro? Proponete un esempio di allocazione di questi 10 Euro che sia Pareto-inefficiente per la società sotto esame. 4. Spiegate che cosa si intende per “ricetta di politica economica”. Commentate poi la seguente affermazione: “Qualsiasi ricetta di politica economica sottende un’ideologia”. 5. Ricorrendo alle vostre conoscenze (universitarie o meno), portate un esempio di conflitto tra obiettivi dichiarati dalle autorità di politica economica. 6. Ricorrendo alle vostre pregresse conoscenze di economia, immaginate di fronteggiare una certa situazione rispetto alla quale si debba confezionare una ricetta di politica economica. Proponete due distinte ricette di politica economica per il fine assegnato e discutete il contenuto ideologico sotteso a ognuna di queste due ricette. 7. L’introduzione dell’Euro (in luogo delle valute nazionali dei Paesi aderenti) si configura sicuramente come un fatto rilevante. Discutete se e perché questo fatto – interpretato come un risultato della politica economica – si presta a conflittuali valutazioni circa la sua importanza, il suo significato e i suoi vantaggi. 8. Illustrate che cosa si intende per “autorità di politica economica”, segnalando – in particolare – la diversa accezione con cui questo termine viene considerato da differenti scuole di pensiero.
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