Storia del cinema. Un’introduzione. 5e - Capitolo 4

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La Francia negli anni Venti

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Nel decennio successivo alla prima guerra mondiale la produzione francese venne colpita da una crisi economico-produttiva i cui effetti furono accentuati dalla concorrenza dei film hollywoodiani. In quel periodo si affermò il cosiddetto movimento impressionista che, riducendo i costi necessari per realizzare i film, intendeva promuovere un cinema d’arte. Attraverso il contributo fattivo di autori come Epstein, Gance, L’Herbier e la parallela riflessione condotta da critici e teorici come Delluc e Moussinac, prese forma e fu subito riconosciuto un movimento che faceva della photogénie il suo punto di forza. La capacità di trasfigurazione estetica del cinema era tale da far acquisire agli oggetti e alla realtà visibile un nuovo significato. Sostenuto e divulgato attraverso l’attività di riviste cinematografiche e cineclub, l’impressionismo fu presto affiancato da altri movimenti d’avanguardia come il dadaismo, il surrealismo e il Cinéma Pur che proponevano un modello di cinema sperimentale e antinarrativo, libero dai condizionamenti dell’industria.

4.1 L’industria cinematografica francese dopo la prima guerra mondiale La produzione cinematografica in Francia subì un rapido declino durante la prima guerra mondiale, a causa dell’assorbimento delle risorse causato dall’impegno militare. Probabilmente, il neonato movimento degli impressionisti beneficiò proprio di questa disastrata situazione economica perché le case di produzione erano disposte a fare esperimenti alla disperata ricerca di una valida alternativa al cinema di Hollywood. Negli anni Venti crebbero le importazioni di film stranieri, dapprima soprattutto dagli Stati Uniti, quindi anche da altri Paesi come Germania e Regno Unito, mentre le esportazioni rimasero modeste e i film riuscirono raramente a coprire i loro costi senza ricorrere a una distribuzione all’estero. Così divenne manifesta la necessità di un cinema nazionale in grado di opporsi alla concorrenza straniera, sia in Francia sia all’estero. Un altro fattore di ostacolo alla produzione fu la mancanza di unità. Dopo che Pathé e Gaumont ebbero concentrato la loro attività su distribuzione ed esercizio, la produzione, a parte le rare società grandi e medie, si frantumò in una costellazione di piccole case attive per la durata di un film o poco più. Di conseguenza, buona parte dei film di questo pe-

riodo era a basso costo e, anche considerando gli anni in cui l’industria registrò un lieve rialzo, la media dei costi per un lungometraggio si aggirava intorno ai 30.000 dollari (1927), o ai 40.000 (1928); nello stesso periodo, il budget per un film prodotto a Hollywood superava i 400.000 dollari. Inoltre le attrezzature a disposizione erano ormai obsolete, ancora legate ai mezzi e ai teatri di posa in vetro costruiti prima della guerra. A differenza dei registi americani, che avevano sperimentato le diverse possibilità offerte dall’illuminazione artificiale, normalmente i registi francesi lavoravano soprattutto con la luce naturale, creando zone d’ombra all’interno del set. Lo sviluppo delle tecniche di illuminazione crebbe negli anni Venti, ma con costi ancora troppo elevati per un utilizzo diffuso. Infine gli studi non disponevano di larghi spazi circostanti, come accadeva in America o in Germania; al contrario, essendo ubicati per lo più nei sobborghi parigini, erano circondati da case e strade di periferia. In parte per queste limitazioni, in parte per un desiderio di realismo, i registi francesi si servirono per le loro ambientazioni di castelli, vecchi palazzi e altri edifici storici, oppure ricorsero al paesaggio naturale e ai villaggi rurali. 47


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Autori e film del dopoguerra Nonostante la concorrenza straniera, la frammentazione dell’industria, la mancanza di capitali, l’indifferenza del governo e le limitate risorse tecniche, l’industria francese fu in grado di dare vita a una produzione varia. Uno dei generi che, diversamente dagli altri Paesi, continuava ad avere successo in Francia era il serial. Alcuni serials francesi del periodo seguivano i modelli classici del genere, con i personaggi sospesi su un precipizio nel finale, oppure con i maestri del crimine e le ambientazioni esotiche, come nel film di Louis Feuillade Tih Minh (1919). Ma le pressioni sociali contro la glorificazione della malavita spinsero a introdurre dei cambiamenti. Feuillade si dedicò a serials basati su popolari romanzi strappalacrime, come Les deux gamines (Le due ragazzine, 1921), fino alla sua morte, avvenuta nel 1925. André Antoine, un celebre attore e regista teatrale che si era fatto promotore di una riforma in senso naturalista della scena, approdò al cinema in tarda età, realizzando opere come I fratelli corsi (Les Frères corses, 1916) e L’Arlésienne (L’Arlesiana, 1922). Queste opere, lungi dall’essere pedanti riproduzioni di teatro filmato, combinano una tendenza lirica con una naturalista, associandole a una raffinata tecnica teatrale. Un genere minore fu il fantastico, il cui principale esponente fu René Clair. Il suo primo film, Paris qui dort (Parigi che dorme, 1924), narra di un misterioso raggio che paralizza l’intera città. Clair utilizzò il fermo fotogramma sugli attori immobili per suggerire il senso di una città totalmente bloccata. In Le voyage imaginaire (Il viaggio immaginario, 1926), sempre di Clair, il protagonista immagina di essere trasportato da una maga in un paese delle fate, creato con raffinati set dipinti (Figura 4.1.1). Queste opere fantastiche si rifacevano alla tradizione popolare del primo cinema francese, utilizzando trucchi di ripresa e scenografie stilizzate tipiche dei film di Gaston Velle e di Méliès. Fra le commedie realizzate da Clair, Un cappello di paglia di Firenze (Un chapeau de paille d’Italie, 1928) gli fece acquisire una fama internazionale che sarebbe ulteriormente cresciuta negli anni del sonoro. Anche il genere comico continuò a essere popolare nella Francia del dopoguerra. Max Linder, che per breve tempo era stato ingaggiato a Hollywood, ritornato in patria riprese

la sua attività e, nel 1919, fu il protagonista di uno dei primi lungometraggi comici, Le petit café (Il piccolo caffè, di Raymond Bernard). Il tono arguto del film (Figura 4.1.2) lo trasformò in un inaspettato successo.

Figura 4.1.1 Tra gli eventi soprannaturali di Le voyage imaginaire c’è una scena in cui alcune statue di un museo delle cere prendono vita; tra queste ci sono anche le figure di Charlie Chaplin e Jackie Coogan come apparivano nel film dello stesso Chaplin del 1921, Il monello (The Kid). Fonte: Le voyage imaginaire (Il viaggio immaginario), di René Clair, 1926.

Figura 4.1.2 Il lungometraggio comico di Raymond Bernard, Le petit café, unisce nella stessa inquadratura la didascalia e la scena rappresentata. Fonte: Le petit café (Il piccolo caffè), di Raymond Bernard, 1919.

4.2 L’impressionismo francese Tra il 1918 e il 1923 una nuova generazione di autori cercò di esplorare le possibilità del cinema come forma d’arte. I loro film evidenziavano una fascinazione per la bellezza pittorica dell’immagine e per un’approfondita indagine psicologica. 48

Impressionismo e industria cinematografica Questi autori furono facilitati dalla crisi che affliggeva l’industria francese. Alcuni di loro dividevano i loro sforzi tra


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progetti di avanguardia e opere più commerciali. Per esempio, Germaine Dulac realizzò nel 1923 alcune importanti opere impressioniste, come La souriante madame Beudet (La sorridente madame Beudet) e Gossette (Ragazzina), uno studio di caratteri originariamente nato come adattamento di un dramma di successo, ma spese gran parte della sua carriera dirigendo film più convenzionali. Lo stesso si può dire per Jean Epstein oppure per Jacques Feyder, che fu uno dei registi francesi di maggior successo degli anni Venti – si pensi a L’Atlantide (1921) – e che realizzò diversi film impressionisti tra il 1923 e il 1926. Gli artisti che ebbero la fortuna di lavorare a tempo pieno secondo lo stile impressionista furono pochi. Il primo ad allontanarsi dallo stile tradizionale fu Abel Gance. Il suo La dixième symphonie (La decima sinfonia, 1918), che inaugura il movimento impressionista, è la storia di un compositore che crea una sinfonia capace di suscitare una tale suggestione negli ascoltatori da essere considerata diretta discendente delle nove di Beethoven. Gance suggeriva le reazioni emotive alla partitura ricorrendo a una serie di espedienti visivi (Figura 4.2.1). La dixième symphonie fu prodotta da Charles Pathé, come Per la patria (J’accuse, 1919) o La rosa sulle rotaie (La roue, 1922). Gance fu il regista più popolare fra gli impressionisti. La Gaumont produsse invece il secondo film impressionista, l’opera di Marcel L’Herbier Rose-France (Rosa francese, 1919), un’allegoria sulla guerra talmente ricca di simbolismi da risultare pressoché incomprensibile per il pubblico dell’epoca, e che di conseguenza quasi nessuno vide. L’Herbier diresse altri due film impressionisti, La giustizia del mare (L’homme du large, 1920) ed Eldorado (1921) sempre per la Gaumont. Dal 1920 i critici cominciarono ad affermare che in Francia esisteva un cinema d’avanguardia. Anche Jean Epstein, che realizzò alcuni tra i film più sperimentali del periodo, esordì con un’opera quasi documentaristica per la Pathé, Pasteur (1922). In questi primi anni, l’unico regista impressionista rimasto ai margini dell’industria fu il critico e teorico Louis Delluc che, utilizzando dei capitali ereditati e avvalendosi della collaborazione di altri registi, diede vita a una piccola casa di produzione per i suoi film a basso costo, come Fièvre (Febbre, 1921). Un altro autore impressionista, Dmitri Kirsanov, lavorò con limitatissime risorse finanziarie realizzando L’ironie du destin (L’ironia del destino, 1923) e (1925). Ménilmontant La casa di produzione russa Yermoliev, volendo sottrarsi alla nazionalizzazione dell’industria decisa dal governo sovietico, si stabilì a Parigi nel 1920 dove si riorganizzò con il nome di Films Albatros nel 1922; il suo attore principale, Ivan Mosjoukine (che aveva traslitterato il suo nome dal russo Mozžuchin), divenne una star del cinema francese. Nel 1923 la Albatros produsse uno dei film più audaci del periodo, Il braciere ardente (Le brasier ardent),

Figura 4.2.1 In La dixième symphonie, Gance giustappone una ballerina e i tasti di un pianoforte per suggerire l’impatto emotivo di un passaggio musicale. Fonte: La dixième symphonie (La decima sinfonia), di Abel Gance, 1918.

codiretto da Mosjoukine e da Aleksandr Volkov, e l’anno successivo Kean, ou désordre et génie (Kean, ovvero genio e sregolatezza), diretto da Volkov e interpretato da Mosjoukine. La Albatros produsse poi film diretti da registi francesi come Epstein e L’Herbier, con cui coprodusse Il fu Mattia Pascal (Le feu Mathias Pascal, 1925). Alcuni dei registi dettero vita a società proprie come Gance (Films Abel Gance), L’Herbier (Cinégraphic) ed Epstein (Les Films Jean Epstein).

La teoria impressionista Gli autori impressionisti consideravano il cinema come una forma d’arte. La loro poetica si espresse attraverso saggi e manifesti spesso visionari che aiutarono i diversi autori a sentirsi parte di un comune movimento artistico. Essi cercavano di creare un’esperienza emotiva per lo spettatore, suggerendo ed evocando più che mostrare chiaramente. Per loro il lavoro dell’arte era quello di suscitare emozioni transitorie, “impressioni”, secondo una visione propria dell’estetica romantica e simbolista tardo ottocentesca.

Il cinema e le altre arti Da un lato, i teorici impressio-

nisti ritenevano il cinema una sintesi delle altre arti, in grado di stabilire relazioni spaziali, come l’architettura, la pittura e la scultura, e relazioni temporali. La combinazione di elementi spazio-temporali creava differenti ritmi, così come la musica, la poesia e la danza. Dall’altro lato il cinema era visto come uno strumento espressivo con possibilità uniche. In ogni caso, i teorici del periodo erano d’accordo nel sottolineare la sua estraneità al teatro. Condannando tutti i film che presentavano commistioni con elementi teatrali, gran parte degli impressionisti ricorreva a una recitazione naturalistica singolarmente contenuta. Ne è un esempio l’eroina del film Ménilmontant, Nadia Sibirskaia (Figura 4.2.5), la cui recitazione intensa ed espressiva avrebbe fornito un modello per molti film impressionisti. Per lo stesso motivo 49


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molti furono i film girati soprattutto in esterni, utilizzando autentici villaggi e suggestivi paesaggi naturali.

Photogénie

e ritmo Nel tentativo di definire in maniera più precisa la natura dell’immagine cinematografica, alcuni teorici fecero uso dell’idea di photogénie, un concetto riferibile a qualcosa di ben più articolato del corrente significato di “fotogenia”. Louis Delluc fu il primo a diffondere l’idea di photogénie come qualità che distingueva l’immagine filmica dall’oggetto originale: trasformato in immagine, l’oggetto acquistava una nuova espressività, rivelandosi allo spettatore in una luce totalmente differente. Scriveva Kirsanov: «Ogni cosa esistente nel mondo vive un’altra esistenza sullo schermo»1. Alla luce di questa affermazione, si palesava anche un aspetto mistico del concetto di photogénie, quasi fosse una diretta emanazione delle proprietà della cinepresa che, portando l’oggetto sullo schermo, lo isolava dal suo abituale contesto, lo mostrava nella diversa luce del bianco e nero, lo trasformava con effetti ottici. I teorici impressionisti attribuivano quindi al cinema la capacità di far accedere lo spettatore a una visione della realtà situata oltre la quotidiana esperienza, capace di mettere a nudo l’anima delle persone e l’essenza degli oggetti. Assegnando una precisa identità alla forma filmica, gli impressionisti identificavano la matrice principale del film nel “ritmo visivo”, attenti alle emozioni piuttosto che alle storie. Il ritmo sorgeva dall’attenta contrapposizione tra i movimenti e le inquadrature, e tra la lunghezza di queste ultime. Come sottolineavano gli stessi autori, questa insistenza sull’elemento ritmico collocava il film impressionista più vicino alla musica che a qualsiasi altra forma d’arte.

Caratteri formali dell’impressionismo

vano la visione dell’immagine. Questi espedienti potevano esaltare la bellezza dell’inquadratura o renderla ancora più stupefacente (Figure 4.2.2, 4.2.3); più spesso servivano a comunicare le impressioni dei protagonisti. La sovrimpressione poteva suggerire il pensiero o i ricordi del personaggio (Figure 4.2.4, 4.2.5); un filtro posto davanti all’obiettivo

Figura 4.2.2 In La rosa sulle rotaie Gance usa diversi mascherini ovali e circolari per variare la forma rettangolare dell’inquadratura. Fonte: La rosa sulle rotaie (La roue), di Abel Gance, 1922.

Figura 4.2.3 In Rose-France L’Herbier utilizza un elaborato mascherino che divide il fotogramma in tre porzioni, ponendo la protagonista al centro, come un classico trittico in pittura. Fonte: Rose-France (Rosa francese), di Marcel L’Herbier, 1919.

Queste teorie circa la natura del cinema ebbero un notevole impatto sullo stile e sulla struttura dei film impressionisti. Più specificatamente, le tecniche di ripresa e di montaggio servivano a suggerire la soggettività dei personaggi, spesso tramite immagini mentali (visioni, sogni o ricordi), rese a volte con inquadrature in soggettiva, oppure come percezioni degli eventi senza ricorrere alla soggettiva. Tecniche quali la sovrimpressione o il flashback, usate al fine di mostrare il pensiero e le emozioni dei personaggi, erano spesso applicate dagli autori impressionisti.

Ripresa L’idea di photogénie, unita all’interesse per l’inte-

riorità del personaggio, fece sì che le innovazioni riguardassero soprattutto le tecniche di ripresa: i film impressionisti contenevano un gran numero di effetti ottici che modifica1

Figura 4.2.4 Mentre il protagonista di Il fu Mattia Pascal di L’Herbier è seduto nello scompartimento di un treno, lo spettatore vede ciò che egli sta pensando attraverso una serie di immagini del suo paese e della sua famiglia, in sovrimpressione sulle immagini dei binari. Fonte: Il fu Mattia Pascal (Le feu Mathias Pascal), di Marcel L’Herbier, 1925.

Dmitri Kirsanov, Problèmes de la photogénie, «Cinéa-Ciné pour tous», n. 62, 1 giugno 1926, p. 10.

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Figura 4.2.5 Quando la protagonista di Ménilmontant di Kirsanov medita di suicidarsi gettandosi da un ponte, la sovrimpressione delle acque del fiume sul suo volto ne suggerisce il turbamento. Fonte: Ménilmontant, di Dmitri Kirsanov, 1925.

poteva avere la funzione di comunicare la percezione soggettiva, senza dover ricorrere a una ripresa dal punto di vista del personaggio stesso. Nel film di L’Herbier Eldorado, la protagonista si esibisce in un cabaret spagnolo: mentre è in scena, il suo pensiero continua ad andare al figlio malato, e questa sua preoccupazione è resa in termini visivi con un filtro che offusca la sua figura, ma non i personaggi che la circondano (Figura 4.2.6); non appena le altre donne la risvegliano dai suoi pensieri, il filtro scompare e la visione torna normale (Figura 4.2.7). In questo caso si vogliono comunicare le emozioni della protagonista, ma l’inquadratura non risponde al punto di vista di nessun personaggio. In Napoleone (Napoléon vu par Abel Gance, 1927), la passione che unisce Napoleone e Giuseppina quando si baciano la prima notte di nozze trova efficace espressione in una serie di filtri di garza che, interponendosi tra la coppia e l’obiettivo, gradualmente offuscano lo schermo fino a un grigio indistinto (Figura 4.2.8). Per ottenere effetti di soggettiva i registi potevano ricorrere alla ripresa effettuata tramite uno specchio ricurvo, come accade nel film di Germaine Dulac La souriante madame Beudet. Le diverse alterazioni ottiche contenute in questo film mostravano l’infelicità della protagonista causata dalla rozzezza del marito che, in due soggettive di madame Beudet, si trasforma in una figura grottesca (Figura 4.2.9). Anche variando la messa a fuoco dell’obiettivo si poteva esprimere la soggettività del personaggio, sia mostrandolo allo spettatore, sia adottando il suo punto di vista. Come in Il braciere ardente dove la protagonista, dopo essersi accordata per il divorzio, viene mostrata tristemente pensosa (Figure 4.2.10, 4.2.11); o come in La ragazza dell’acqua (La fille de l’eau, di Renoir, 1925) dove l’agitazione del protagonista, che siede barcollando dopo una violenta lite, è suggerita da una ripresa in soggettiva (Figure 4.2.12, 4.2.13). Qualsiasi tipo di manipolazione attraverso la macchina da

Figure 4.2.6 (in alto), 4.2.7 (in basso) Un filtro crea l’effetto soggettivo in Eldorado. Fonte: Eldorado, di Marcel L’Herbier, 1921.

Figura 4.2.8 Alcuni filtri creano effetti soggettivi nella scena della notte di nozze in Napoleone. Fonte: Napoleone (Napoléon vu par Abel Gance), di Abel Gance, 1927.

Figura 4.2.9 Il marito visto da madame Beudet in La souriante madame Beudet. Fonte: La souriante madame Beudet (La sorridente madame Beudet), di Germaine Dulac, 1923.

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Figure 4.2.10 (in alto), 4.2.11 (in basso) Ne Il braciere ardente l’immagine va fuori fuoco per esprimere l’isolamento della protagonista. Fonte: Il braciere ardente (Le brasier ardent), di Ivan Mosjoukine, 1925.

Figure 4.2.12 (in alto), 4.2.13 (in basso) Una soggettiva di La ragazza dell’acqua mostra la visione del protagonista resa confusa dalle percosse ricevute. Fonte: La ragazza dell’acqua (La fille de l’eau), di Jean Renoir, 1925.

presa poteva essere utilizzata per descrivere la soggettività di un personaggio. Molto usate erano anche le immagini in ralenti. In Napoleone Gance divideva lo schermo in una griglia di diverse immagini (Figura 4.2.14); inoltre egli associava per le riprese tre macchine da presa affiancate per creare un formato di grandi dimensioni, il Polyvision (Figura 4.2.15), usato per vasti panorami, giustapposizioni di immagini e stati d’animo particolari. Anche i movimenti di macchina erano impiegati per suggerire il punto di vista del personaggio e per rendere più intensa l’idea di photogénie. In Cœur fidèle (Cuore fedele, di Epstein, 1923) la protagonista siede tristemente su una giostra con il fidanzato impostole dai genitori, e il movimento dell’inquadratura esprime perfettamente il suo stato d’animo (Figura 4.2.16).

sempre nel 1923, presentava un ritmo di montaggio simile. Abbiamo già sottolineato come il movimento della macchina da presa nella scena della giostra servisse a suggerire l’infelicità della protagonista; il montaggio aveva la funzione di intensificare questo effetto. Una serie di sessanta brevi inquadrature mostrava gli oggetti intorno alla giostra in movimento; molte di esse duravano meno di un secondo, e diverse erano costituite da due soli fotogrammi. Per esempio, in un breve segmento viene mostrato l’uomo amato dalla protagonista mentre osserva dalla strada lei e il fidanzato (Figura 4.2.17), un rapido campo lungo della giostra e della folla (Figura 4.2.18), e veloci flash di due fotogrammi ciascuno della giovane e del suo fidanzato poco raccomandabile (Figure 4.2.19, 4.2.20).

Montaggio Dopo il 1923 vennero realizzati due film

che sperimentavano un montaggio molto veloce per esplorare lo stato mentale dei personaggi. La rosa sulle rotaie (di Gance) contiene diverse sequenze frammentate in inquadrature brevi per comunicare le tumultuose emozioni del protagonista Sisyphe. L’eccitazione crescente è suggerita tramite il frenetico susseguirsi di dettagli. Il film è il primo esempio conosciuto di uso di fotogrammi singoli nella storia del cinema; il ritmo del montaggio fece di La rosa sulle rotaie una delle opere più influenti nel cinema degli anni Venti. Un secondo film, Cœur fidèle (di Jean Epstein), uscito 52

Figura 4.2.14 L’uso dello split-screen esprime il caos di una battaglia con i cuscini in Napoleone. Fonte: Napoleone (Napoléon vu par Abel Gance), di Abel Gance, 1927.


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Figura 4.2.15 In Napoleone tre immagini affiancate orizzontalmente creano una visione epica della scena in cui l’imperatore passa in rassegna le sue truppe. Fonte: Napoleone (Napoléon vu par Abel Gance), di Abel Gance, 1927.

Figura 4.2.16 In Cœur fidèle la cinepresa è montata sulla piattaforma oscillante della giostra davanti alla coppia, cosicché lo sfondo ruota rapidamente dietro alla donna seduta e immobile in primo piano.

Figura 4.2.18 Inquadratura di diciannove fotogrammi della giostra e della folla in Cœur fidèle. Fonte: Cœur fidèle (Cuore fedele), di Jean Epstein, 1923.

Fonte: Cœur fidèle (Cuore fedele), di Jean Epstein, 1923.

Figura 4.2.17 Inquadratura composta da quindici fotogrammi in Cœur fidèle. Fonte: Cœur fidèle (Cuore fedele), di Jean Epstein, 1923.

In seguito il montaggio veloce divenne un marchio di fabbrica del cinema impressionista. Gance si spinse ancora oltre nell’uso di questa tecnica nella scena finale di Napoleone, realizzata montando in rapida successione tre inquadrature una di fianco all’altra, e combinandole con sovrimpressioni multiple. Con questo ricorso al montaggio rapido gli impressionisti raggiunsero in qualche modo quel “ritmo visivo” che avevano teorizzato nei loro scritti.

Figure 4.2.19 (in alto), 4.2.20 (in basso) Queste inquadrature successive sono costituite ciascuna da due fotogrammi. Fonte: Cœur fidèle (Cuore fedele), di Jean Epstein, 1923.

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Messa in scena Al contrario, pochi erano gli elementi ve-

ramente nuovi riscontrabili nella messa in scena; generalizzando, si potrebbe dire che la cura principale di questi film era rivolta all’aspetto fotografico e all’illuminazione degli oggetti, spesso valorizzata da filtri o elementi trasparenti. In Kean, ou désordre et génie il primo incontro del protagonista con la donna di cui si innamorerà è ripreso proprio attraverso una tenda trasparente posta tra di loro (Figure 4.2.21, 4.2.22). Un ultimo elemento di rilievo erano le sorprendenti scenografie pensate per questi film, sia ricorrendo a un décor modernista, sia girando in ambienti reali. Alcuni registi chiamavano a collaborare alle scenografie famosi artisti o architetti (Figure 4.2.23, 4.2.24). Allo stesso tempo persisteva la consuetudine di girare in esterni, esplorando le possibilità di ottenere la photogénie con i paesaggi naturali. L’Herbier riuscì a effettuare le riprese per il suo Eldorado in Spagna, nell’Alhambra, e parte di Il fu Mattia Pascal a Roma; Gance filmò gran parte delle sequenze di La rosa sulle rotaie sulle Alpi svizzere (Figura 4.2.25).

Figura 4.2.23 Per Futurismo, L’Herbier si servì della collaborazione di Fernand Léger per disegnare il laboratorio dello scienziato. Fonte: Futurismo (L’inhumaine), di Marcel L’Herbier, 1924.

Narrazione Gli espedienti stilistici utilizzati nei film im-

pressionisti erano sorprendentemente innovativi, mentre le storie risultavano piuttosto convenzionali. Queste prendevano spesso spunto da situazioni emotive particolarmente esacerbate; da qui si originavano alcune possibilità narrative, come il ricordo del protagonista espresso attraverso flashback,

o la visione dei suoi desideri, o ancora lo stato di ubriachezza, che avrebbero dato via libera a percezioni distorte della realtà circostante. I personaggi di questi film spesso perdono i sensi o cadono in stati di estrema disperazione, che erano brillantemente resi con l’immagine. Di conseguenza, l’intreccio di questi film era spesso subordinato alle motivazioni psicologiche; e anche se i meccanismi classici di causa ed effetto venivano rispettati, i fattori scatenanti riguardavano sempre i conflitti o le ossessioni dei protagonisti. Il fu Mattia Pascal di L’Herbier segue le visioni interiori e i sogni di una nuova vita del protagonista, come il romanzo di Pirandello.

Figure 4.2.21 (in alto), 4.2.22 (in basso) In Kean, ou désordre et génie vediamo un campo/controcampo dei due protagonisti, attraverso una tenda che suggerisce il loro reciproco punto di vista.

Figura 4.2.24 Gli esterni della casa della protagonista di Futurismo furono realizzati da Robert Mallet-Stevens, che aveva adottato linee simili per alcuni dei più moderni edifici di Parigi.

Fonte: Kean, ou désordre et génie (Kean, ovvero genio e sregolatezza), di Aleksandr

Fonte: Futurismo (L’inhumaine), di Marcel L’Herbier, 1924.

Volkov, 1924.

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Figura 4.2.25 In La rosa sulle rotaie, dopo una lotta il marito della protagonista rimane sospeso su un precipizio, con un paesaggio innevato al di sotto. Fonte: La rosa sulle rotaie (La roue), di Abel Gance, 1922.

Non si deve credere, però, che gli effetti nei film impressionisti riguardassero l’intero racconto; al contrario, per gran parte di esso la storia procedeva in modi piuttosto usuali, per poi essere intercalata da scene che approfondivano le reazioni psicologiche ed emotive dei personaggi. Solo pochi autori tentarono di creare modalità di racconto non convenzionali, tali da fare della soggettività del personaggio il punto di partenza per l’intero svolgimento del film. Nel suo La souriante madame Beudet, Germaine Dulac ricorre alla più semplice delle trame, concentrandosi sulle fantasie della protagonista e sul suo odio per il marito. In un altro film notevole per la sua audacia, La glace à trois faces (Lo specchio a tre facce, 1927), Epstein concepì un plot ambiguo e sfuggente, in cui tre donne molto diverse raccontano della loro relazione con lo stesso uomo, fornendone un’immagine contraddittoria. Nella scena finale l’uomo perisce in un fatale incidente automobilistico, dopo aver scritto tre differenti lettere, nelle quali accampava scuse per evitare di incontrare le tre donne. Quasi tutte le informazioni narrative passano attraverso il filtro della percezione delle tre protagoniste, cosicché da parte dello spettatore la diretta comprensione del personaggio risulta limitata. L’ultima scena lo mostra riflesso in uno specchio triplo, in modo da simboleggiare l’impossibilità di arrivare a una qualche verità definitiva sul suo conto.

La fine dell’impressionismo Tra la fine degli anni Dieci e la prima metà degli anni Venti, gli autori impressionisti avevano dato vita a un gruppo assai saldo, aiutandosi reciprocamente nel tentativo di creare un cinema alternativo e artisticamente valido. Grazie a ciò, erano riusciti a ottenere ampi riconoscimenti e i loro film, anche se non raggiungevano un vasto

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pubblico, erano comunque celebrati dalle riviste e dai frequentatori dei cineclub. Nel 1925, Léon Moussinac, critico di idee progressiste e simpatizzante dell’impressionismo, pubblicò Naissance du cinéma, testo che delineava i tratti stilistici e i fondamenti teorici del movimento. In gran parte basato sugli scritti di Delluc, il libro di Moussinac dava particolare risalto a tecniche quali il ralenti e la sovrimpressione, individuando nel gruppo degli autori impressionisti la compagine artistica più interessante del cinema francese. Pubblicato in un momento cruciale, rappresentò una summa completa delle teorie impressioniste, che tuttavia non conobbero sviluppi di rilievo negli anni successivi. Esisteva però anche una crescente convinzione che il successo dell’impressionismo aveva condotto a una larga diffusione delle sue tecniche e a un conseguente indebolimento del loro impatto. Osservava Epstein nel 1927: «Dispositivi originali come il montaggio rapido, le carrellate o le panoramiche sono ora banalizzati. Sono come un cappello vecchio, ed è necessario eliminare chiaramente elementi stilistici ovvi per poter creare un film semplice»2. Infatti, Epstein sperimentò storie sempre più semplici in uno stile quasi documentario, utilizzando attori non professionisti ed eliminando il vistoso lavoro sul montaggio e sui movimenti di macchina. Il suo ultimo lavoro impressionista, Finis Terrae (1929), è il racconto di due guardiani del faro che lavorano su un isolotto selvaggio; l’uso della cinepresa in soggettiva compare quando uno dei due giovani si ammala. Probabilmente in ragione del fatto che l’uso di certe soluzioni stilistiche si stava avviando verso la convenzionalità, altri registi iniziarono a sperimentare in differenti direzioni. Se il periodo tra il 1918 e il 1922 era stato caratterizzato principalmente da una ricerca condotta sulla qualità pittorica delle immagini e quello tra il 1923 e il 1925 dall’aggiunta di un senso ritmico del montaggio, l’ultimo, tra il 1926 e il 1929, vide una diffusione più capillare dell’impressionismo. Un altro aspetto di debolezza del cinema impressionista derivava dalla concorrenza esercitata dai film che appartenevano ad altre correnti sperimentali, come il dadaismo e il surrealismo, a cui presero parte anche alcuni autori impressionisti come Germaine Dulac. Inoltre, verso la fine degli anni Venti, la grande distribuzione cominciò a perdere interesse per i film impressionisti, pochi dei quali furono effettivamente esportati. Contemporaneamente, con la fine del cinema impressionista, scomparve la maggior parte delle società indipendenti. L’introduzione del sonoro nel 1929 rese pressoché impossibile per questi autori continuare a realizzare produzioni indipendenti, anche solo cortometraggi sperimentali a basso costo.

Rémy Duval, M. Jean Epstein, «Comœdia», n. 5373, 23 settembre 1927, p. 3.

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4.3 Cinema sperimentale al di fuori dell’industria Durante gli anni Venti, accanto al cinema d’arte (distinto dall’intrattenimento popolare), si affermò un modo di fare cinema ancora più radicale, sperimentale e d’avanguardia. Queste correnti, che si manifestarono in diverse aree d’Europa, ebbero nella Francia un centro di diffusione e di irraggiamento. I primi decenni del secolo avevano già conosciuto molte avanguardie come cubismo, futurismo, astrattismo, dadaismo e surrealismo. In molti casi furono gli stessi scrittori o pittori appartenenti a queste correnti artistiche a realizzare film d’avanguardia; in altri, giovani registi furono affascinati dalla possibilità di dar vita a un cinema alternativo. Le prime prove in questo senso risalgono agli anni Dieci, ma sfortunatamente non se ne conservano testimonianze. Basti pensare ai brevi film di forme astratte a opera degli artisti italiani Arnaldo Ginna e Bruno Corra. Alcune opere sperimentali furono realizzate dal gruppo dei futuristi italiani, i quali intendevano celebrare la nuova “era della macchina” ed erano affascinati dalla possibilità di rappresentare eventi rapidi in modo simultaneo. Il film Vita futurista (di Arnaldo Ginna, 1916-1917) con Lucio Venna, comprendeva diversi frammenti sconnessi, ed era attraversato da un gusto dell’assurdo (il pittore Giacomo Balla corteggiava e sposava una sedia). I frammenti del film sopravvissuti mostrano l’uso di specchi deformanti e sovrimpressioni, secondo modalità che anticipavano quelle delle successive avanguardie cinematografiche. Degli stessi anni sono due film diretti dal fotografo futurista Anton Giulio Bragaglia, Il perfido incanto (1917) e Thaïs (1916). Il primo, secondo quanto affermava lo stesso Bragaglia, conteneva diverse innovazioni tecniche, ed è considerato perduto; Thaïs, giunto fino a noi, appare però meno radicale degli altri; è realizzato con uno stile narrativo tradizionale e presenta immagini sfocate nonché costumi vagamente futuristi.

La diffusione del “cinema d’arte” Negli anni successivi alla prima guerra mondiale, l’affiorare di movimenti d’avanguardia spinse critici e intellettuali a distinguere tra un cinema commerciale e uno “artistico”. Il “film d’arte”, avendo un pubblico selezionato, fece sorgere durante gli anni Venti una serie di nuove attività: riviste, cineclub e sale specializzate, mostre e conferenze a cui prendevano parte attivamente gli stessi autori. Tra questi Louis Delluc che, sulle pagine della rivista «Le Film» negli anni 1917 e 1918, difese i primi film impressionisti di Gance e L’Herbier, dando spazio ai più recenti scritti teorici sul cinema. Nel 1919 tentò di creare un cineclub dove proiettare queste opere, e l’anno successivo iniziò le pubblicazioni di «Le Journal du Ciné-Club» e quindi «Cinéa» (poi 56

«Cinéa-Ciné pour tous») diffondendo molti saggi di autori e critici vicini al movimento impressionista. Nel 1921 Ricciotto Canudo organizzò il Club des Amis du Septième Art. Tra i membri dell’associazione figuravano artisti e critici appartenenti all’ambiente degli artisti: gli incontri comprendevano discussioni su film e programmi musicali, letture di poesie e danza. Improvvisamente il cinema era stato accolto tra le arti maggiori, anche attraverso opere appartenenti al movimento impressionista ed espressionista. Nonostante la prematura scomparsa di Canudo nel 1923, il lavoro da lui compiuto non andò perduto. Il momento più importante della presenza del cinema in manifestazioni artistiche fu nel 1925, nell’ambito di uno degli eventi maggiori del secolo, la Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes, tenutasi a Parigi. Oltre a essere l’anno della diffusione dell’Art déco, fu anche l’occasione per la formazione di una nuova organizzazione a favore del cinema, a cui era dedicato uno spazio espositivo. Un altro passo determinante a favore del cinema alternativo fu l’inaugurazione della prima salle specialisée di Parigi nel 1924, a opera di Jean Tedesco. Questi si era a lungo battuto per un teatro capace di rivitalizzare i classici, e impegnato a favore del nuovo cinema. Il suo Théâtre du Vieux-Colombier, oltre a un repertorio di testi classici, dava spazio a quei film che non riuscivano a trovare una normale distribuzione; nel 1928 partecipò alla produzione del film di Renoir La piccola fiammiferaia (La petite marchande d’allumettes). Dalla seconda metà degli anni Venti, cinema specializzati come il Théâtre du Vieux-Colombier e altri tipi di cineclub erano diffusi in tutta Parigi e nei centri minori. Ben presto si affermarono cineclub e sale specializzate anche negli altri Paesi europei. Nel 1925, a Londra si costituì la Film Society, voluta da Iris Barry, futuro capo dell’archivio cinematografico del Museum of Modern Art, e dal regista Ivor Montagu. La loro attività era concentrata su vecchi film che non avevano trovato distribuzione o che erano stati bloccati dalla rigida censura inglese. Cineclub e circuiti alternativi si diffusero un po’ ovunque. Sorsero anche nuove riviste specializzate: «Cinéa-Ciné pour tous», «L’Art Cinématographique» e «Close Up» (1927-1933) furono strumenti importanti per la riflessione e la teoria sul cinema. Sale specializzate, club, manifestazioni e pubblicazioni sostennero il cinema alternativo di quegli anni; inoltre decisero quali di questi film dovevano essere conservati come classici. Quando negli anni Trenta furono creati i principali archivi, come il National Film Archive a Londra, il Museum of Modern Art a New York e la Cinémathèque Française a Parigi, molti film di quel periodo furono salvati e restaurati, rendendo possibile la loro circolazione nei decenni successivi.


La Francia negli anni Venti

Dadaismo Il dadaismo nacque intorno al 1915 come risposta allo smarrimento e alla perdita di senso provocati dal conflitto mondiale. A New York, Zurigo, Parigi e Berlino gli artisti dada proposero una nuova visione del mondo all’insegna dell’assurdo, che spazzava via i valori tradizionali, ponendo il caso e l’immaginazione alla base della creazione artistica. Max Ernst esibì un’opera fornendo un’accetta agli spettatori per poterla distruggere; Marcel Duchamp creò i readymade, oggetti qualsiasi esposti e intitolati come opere d’arte e nel 1917 diede scandalo cercando di esporre un orinatoio in una mostra prestigiosa. I dadaisti erano affascinati dalla tecnica del collage, dall’assemblaggio di elementi disparati in bizzarre composizioni; Ernst, per esempio, faceva dei collage mescolando frammenti di illustrazioni ricavate dalle pubblicità e dai manuali tecnici. Coordinate dal poeta Tristan Tzara, fiorirono tra la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti le pubblicazioni, le esibizioni e le performance dada; durante le soirées, tra le varie performance vi erano letture simultanee di poesie. Nell’ultimo grande evento, la Soirée du Cœur à Barbe del 7 luglio del 1923, furono proiettati anche tre brevi film: uno studio visivo sulla città di New York realizzato da Charles Sheeler e Paul Strand (più tardi ribattezzato Manhatta, 1921; Paragrafo 21.1), uno dei Rhythmus di Richter e il primo film del noto artista dada Man Ray, ironicamente intitolato Retour à la raison (Ritorno alla ragione). Creato combinando riprese dal vero con frammenti dei “Rayograms” inventati dallo stesso artista (Figura 4.3.1), il film di Ray era nato un po’ per caso, anche perché Tzara glielo aveva commissionato con appena un giorno di anticipo. Il successo della serata venne però bruscamente interrotto dalle rumorose proteste del gruppo antagonista a Tzara, guidato da André Breton. Verso la fine del 1924, Francis Picabia mise in scena il suo balletto Relâche (Riposo); durante l’intervallo venne proiettato Entr’acte (che significa proprio intervallo, intermezzo) di René Clair. Per entrambi aveva composto la musica Erik Satie. Lo spettacolo – presentato in una sala dove spiccavano scritte del genere di «Se non sei soddisfatto, vai al diavolo» – cominciò con la proiezione di un breve prologo (quello che nelle versioni attualmente in circolazione costituisce il segmento iniziale del film di Clair) nel quale Picabia e Satie, ripresi al rallentatore, saltellavano sulla scena per sparare un colpo di cannone contro il pubblico; il resto del film mescolava situazioni sconnesse e gratuitamente irrazionali (Figura 4.3.2). Picabia ben riassumeva il punto di vista dei dadaisti, affermando a proposito del film di Clair: «Entr’acte non crede in molte cose, se non forse nel piacere della vita; crede nel piacere dell’invenzione, e non rispetta 3

Figura 4.3.1 I “Rayograms” creati da Man Ray erano ottenuti sparpagliando oggetti come chiodi e spilli direttamente sulla pellicola, esponendola brevemente alla luce e poi sviluppandola. Fonte: Retour à la raison (Ritorno alla ragione), di Man Ray, 1923.

nulla, oltre al desiderio di scoppiare a ridere»3. Anche Marcel Duchamp fece un’incursione nel cinema, proseguendo una ricerca che dalla pittura astratta lo aveva condotto a sperimentare i ready-made e le sculture cinetiche; nel 1926 realizzò una serie di dischi rotanti che, filmati con l’aiuto di Man Ray, furono alla base di Anémic cinéma (1926). Questo breve film rompeva il concetto tradizionale di cinema come arte visiva e narrativa, mostrando dischi circolari fatti roteare (Figura 4.3.3), alternati ad altri che contenevano elaborati giochi di parole. Duchamp creò uno stile “anemico” (anémic è anche un anagramma di cinéma) e ludico. Il tedesco Hans Richter, attento a tutte le evoluzioni dell’avanguardia, recuperò il gusto per il nonsense dei da(Fantasmi daisti, realizzando nel 1928 Vormittagsspuk del mattino), in cui grazie a effetti speciali gli oggetti si ribellavano al loro normale funzionamento. Facendo scorrere la pellicola al contrario, tazze frantumate si ricomponevano sullo schermo e cappelli a bombetta prendevano vita e si mettevano a volare (Figura 4.3.4). Minato da numerosi dissensi interni, il movimento

Figura 4.3.2 La fantasia dadaista di Clair, Entr’acte, si concludeva con l’irriverente scena di un funerale nella quale il barcollante carro funebre era trainato da un cammello a vertiginosa velocità. Fonte: Entr’acte, di René Clair, 1924.

Citato in Rudolf E. Kuenzli, Dada and Surrealist Film, Willis Locker & Owens, New York 1987, p. 5.

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capitolo 4

Figura 4.3.3 Uno dei dischi rotanti che creano le forme “anemiche” di Anémic cinéma. Fonte: Anémic cinéma, di Marcel Duchamp, 1926.

ride. Dopo questa prova, criticata da altri surrealisti per la povertà della storia, Ray realizzò L’étoile de mer (Stella marina, 1928), ispirata a un testo del poeta Robert Desnos. Il film mostrava una coppia di amanti, alternandola con immagini casuali di treni, stelle marine e altri oggetti (Figura 4.3.5); alla fine la donna abbandona il suo amante per un altro uomo, ed egli si consola con una bellissima stella marina. Germaine Dulac, già attiva nel cinema commerciale e tra le fila degli impressionisti, compì uno sporadico tentativo anche nel cinema surrealista, portando sullo schermo un testo di Antonin Artaud: La coquille et le clergyman (La conchiglia e il sacerdote, 1928), in cui mescolava le tecniche cinematografiche impressioniste con la logica narrativa incoerente tipica del surrealismo (Figura 4.3.6). Molto probabilmente il film che meglio incarnò lo spirito del surrealismo fu Un chien andalou (vedi la scheda Un chien andalou e il surrealismo a pag. 59), girato nel 1929 da Luis Buñuel con la collaborazione del pittore Salvador Dalí. L’anno successivo Buñuel diresse un’opera più lunga e forse ancora più provocatoria della prima, L’âge d’or . L’esile trama riguarda una coppia di

Figura 4.3.4 In Vormittagsspuk, la testa di un uomo si stacca dal corpo mentre un bersaglio si sovrappone alla sua immagine. Fonte: Vormittagsspuk (Fantasmi del mattino), di Hans Richter, 1928.

dada si disperse nel volgere di qualche anno e molti dei suoi membri si ritrovarono tra le fila del gruppo surrealista.

Surrealismo Un analogo disprezzo per la tradizione estetica più ortodossa e un gusto per gli accostamenti imprevedibili univano gli artisti dadaisti a quelli surrealisti. Tuttavia un’influenza determinante allo sviluppo del surrealismo fu rappresentata dalle teorie della nascente psicoanalisi, che spinsero alcuni artisti ad attribuire maggiore importanza alle possibilità emergenti dell’inconscio. I surrealisti cercarono di tradurre in immagini o parole il linguaggio incoerente dei sogni, senza interferenze o controlli da parte del pensiero conscio. Max Ernst, Salvador Dalí, Joan Miró, Paul Klee e René Magritte furono tra gli artisti più noti. I film surrealisti presentavano storie anomale e spesso sessualmente allusive, che riproponessero l’inesplicabile logica dei sogni. Grazie a un mecenate, nel 1926 Man Ray realizzò il suo primo film surrealista, Emak Bakia, che impiegava numerosi trucchi fotografici per suggerire lo stato mentale di una donna. Nella famosa immagine finale del film la donna, inquadrata con gli occhi chiusi e con delle pupille disegnate sopra le palpebre, guarda verso la macchina da presa e sor58

Figura 4.3.5 In L’étoile de mer, Man Ray ricorse allo split-screen per giustapporre le immagini di una stella marina in un vaso, una ruota della roulette e altri oggetti. Fonte: L’étoile de mer (Stella marina), di Man Ray, 1928.

Figura 4.3.6 Lo split-screen in La coquille et le clergyman: il poliziotto con abiti infantili sembra essere diviso in due. Fonte: La coquille et le clergyman (La conchiglia e il sacerdote), di Germaine Dulac, 1928.


La Francia negli anni Venti

Scheda

Un chien andalou e il surrealismo Un chien andalou (1929), cortometraggio d’esordio di Luis Buñuel, sembra costituire un eloquente esempio di scrittura automatica surrealista applicata al linguaggio cinematografico: il flusso con cui le inquadrature del film si susseguono non rispetta i vincoli dettati dalle abituali convenzioni narrative, immergendo lo spettatore in un’atmosfera onirica. Proprio per questo i surrealisti vi si riconobbero immediatamente invitando il regista ad aderire al loro movimento. Buñuel, che scrisse il copione assieme a Salvador Dalí, ha raccontato di essersi basato sui sogni fatti dai due scartando quelli suscettibili di una spiegazione razionale, ma non si deve per questo pensare che il film sia frutto di scelte casuali. Al centro sembra esservi il tentativo infruttuoso da parte di un giovane uomo di possedere sessualmente una donna, nel finale pronta a farsi beffa di lui fuggendo con un altro individuo. Tuttavia, l’ultima inquadratura, l’immagine fissa di una stampa che ritrae un uomo e una donna (gli stessi di prima?) col corpo quasi del tutto sottoterra, oltre a citare un quadro particolarmente caro a Dalí (l’Angelus di Millet), fa pensare a una conclusione amara e priva di sbocchi. Il film affonda le sue radici in un retroterra culturale condiviso con i surrealisti, nutrendosi al contempo di un immaginario che scaturisce da ossessioni personali riconducibili ai due sceneggiatori: il protagonista è mosso da un’incontenibile amour fou verso la donna (o forse è piuttosto la vittima di una passione che lo rende folle?); il desiderio erotico riveste un ruolo fondamentale ed è attorno alla sua reiterata manifestazione che si consuma il fallimento dell’uomo; l’eros appare saldamente legato alle pulsioni di morte; i numerosi animali e gli oggetti che popolano la vicenda assumono un rilievo inconsueto anche in virtù delle connotazioni metaforiche di cui paiono caricarsi. Eppure, Un chien andalou sembra realizzato in aperta polemica contro le numerose opere d’avanguardia coeve che, secondo Buñuel, avevano il torto di indirizzarsi unicamente alla raffinata sensibilità di un pubblico d’élite col loro ampio dispiegamento di soluzioni estetizzanti (sovrimpressioni, dissolvenze, angolazioni inconsuete), rispetto alle quali il film appare ben più sobrio. A differenza dei surrealisti, che amavano il cinema soprattutto come spettatori considerandolo un territorio privilegiato di applicazione dei loro princìpi in virtù del suo potere di spaesamento, Buñuel era interessato a sondare le immense potenzialità insite nel mezzo con cui scelse di esprimersi. La sua opera prima

è intessuta di gag e situazioni che, spesso sostenute da un’efficace vis comica, paiono succedersi secondo una logica che rinvia alle articolazioni discorsive del linguaggio poetico piuttosto che obbedire al modello tradizionale di racconto cinematografico: forse anche perché esso è fortemente debitore nei confronti di alcuni componimenti che Buñuel avrebbe dovuto pubblicare nel 1927 col titolo, appunto, di Un perro andaluz. Un chien andalou, i cui personaggi non hanno nome né un’identità precisa e si muovono in una dimensione temporale fluttuante spostandosi in ambienti che non sono mai ben definiti, ha stimolato un numero imprecisato di interpretazioni, spesso privilegiando una chiave di lettura psicoanalitica e simbolica: tuttavia l’obiettivo di “decifrare” il film alla ricerca di un significato univoco rischia di svilire la complessa ambiguità di un testo organizzato come una proposta di molteplici sensi possibili. In esso Buñuel ricorre ad alcune soluzioni narrative ed espressive ampiamente consolidate per poi sottoporle a una sorta di sabotaggio, infrangendo così le sicurezze mentali dello spettatore. Si pensi, per esempio, alle cinque didascalie che contengono indicazioni cronologiche del tutto prive di legami con i fatti che accadono subito dopo; oppure, alle due soggettive iniziali di un uomo (interpretato dallo stesso regista) sulle proprie mani, intente ad affilare un rasoio per compiere un gesto traumatico, che sono volutamente imperfette perché non si basano sul rispetto rigoroso del raccordo di sguardo. Proprio la sequenza di apertura, quasi un prologo apparentemente slegato dal resto del film, si conclude con una mutilazione dagli effetti devastanti sul piano epistemologico (Figura 4.3.7): quasi un invito rivolto allo spettatore perché rigetti le sue abitudini consolidate adottando un’ottica radicalmente diversa da quella consueta.

Figura 4.3.7 L’inquadratura scioccante del taglio dell’occhio in Un chien andalou. Fonte: Un chien andalou, di Luis Buñuel, 1929.

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capitolo 4

Il successo del film irritò profondamente il regista, la cui proposta radicale, fondata sull’impiego del cinema come strumento sovversivo e poetico, mirava a raggiungere un obiettivo da lui stesso identificato anni dopo,

con parole riferite a tutta la sua opera: «Far dubitare della perennità dell’ordine esistente, anche senza indicare direttamente una conclusione, anche senza prendere apertamente posizione».

Una collaborazione casuale ebbe origine dallo scenografo americano Dudley Murphy che a Parigi incontrò Man Ray e il poeta Ezra Pound: egli firmò così la fotografia di Ballet mécanique (Balletto meccanico, 1925), diretto dal pittore Fernand Léger con qualche scena a opera di Man Ray. Il film giustapponeva immagini di oggetti comuni come coperchi e ingranaggi a dipinti realizzati da Léger. Alcune scene erano inquadrate con uno stile innovativo come le immagini prismatiche di volti di donna o la scena della

lavandaia che sale le scale ripetuta più volte. Inoltre egli intendeva fare un omaggio all’arte di Charlie Chaplin, tanto che le immagini iniziali e quelle finali del film contengono una sorta di balletto di Charlot, ottenuto animando un disegno dello stesso Léger (Figura 4.3.9). Sulla scia di lavori come Ballet mécanique, alcuni artisti concepirono la possibilità di realizzare opere non narrative fondate sulle qualità visive astratte del mondo fisico in opposizione al cinema commerciale (che era narrativo). Questi artisti, che non si riconoscevano in alcun movimento d’avanguardia, pur seguendo percorsi diversi, erano accomunati dalla volontà di ridurre il cinema ai suoi elementi basilari, per creare un lirismo visivo fatto di forme pure. Per questo i primi esponenti francesi di questo stile lo chiamarono Cinéma Pur, cinema puro. Tra di loro vi fu Henri Chomette, che realizzò nel 1925 Jeux des reflets et de la vitesse (Giochi di riflessi e di velocità). Per il segmento sulla velocità, Chomette piazzò la sua cinepresa in diversi angoli di un vagone della metropolitana, spesso riprendendo a velocità accelerata, e montando poi il risultato con immagini di diversi oggetti scintillanti. Il suo film successivo, Cinq minutes de cinéma pur (Cinque minuti di cinema puro, 1926), fu realizzato per conto del sempre più ampio circuito di sale specializzate. Anche Germaine Dulac si cimentò con forme di Cinéma Pur realizzando Disque 927 (Disco 927, 1928), Thèmes et variations (Temi e variazioni, 1928) e Arabesque (Arabesco, 1929). Come suggerito dai titoli, la regista francese cercò di creare con i suoi film studi lirici equivalenti alla musica (Figure 4.3.10, 4.3.11). Con l’introduzione del sonoro, la

Figura 4.3.8 Durante una festa elegante, la protagonista di L’âge d’or trova una mucca sul suo letto.

Figura 4.3.9 Murphy e Léger espressero il loro tributo a Chaplin in una scena di Ballet mécanique disegnata dallo stesso Léger.

Fonte: L’âge d’or, di Luis Buñuel, 1930.

Fonte: Ballet mécanique (Balletto meccanico), di Fernand Léger, 1925.

amanti tenuti separati dai pregiudizi dei ricchi genitori della donna e dalla disapprovazione dell’alta società. Nel film si susseguono situazioni disparate (Figura 4.3.8): tra le prime scene vi è una solenne cerimonia sulle rive del mare guidata da alti prelati i cui corpi improvvisamente avvizziscono fino a ridursi a scheletri; altrove un uomo si spara e il suo corpo cade sul soffitto di una stanza, oppure la protagonista succhia l’alluce di una statua per esprimere la sua frustrazione sessuale. Il film abbonda di allusioni erotiche e il finale mostra una figura, chiaramente intesa a rappresentare Cristo, che esce da un’orgia sadica. L’âge d’or fece ovviamente scandalo al punto tale che fu proibito per decenni. Dal 1933 la fase europea del movimento si era esaurita; ma, come già per il dadaismo, l’influenza del surrealismo fu assai importante per i movimenti artistici sorti dopo la seconda guerra mondiale.

Cinéma Pur

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La Francia negli anni Venti

Figura 4.3.12 Filmando una delle sue sculture cinetiche, Moholy-Nagy sfruttò le parti in movimento per produrre ombre cangianti e riflessi di luce in Lichtspiel, schwarz weiss grau. Fonte: Lichtspiel, schwarz weiss grau (Gioco di luci, nero-bianco-grigio), di László MoholyNagy, 1930.

Figure 4.3.10 (in alto), 4.3.11 (in basso) Thèmes et variations alterna immagini di parti di macchine con la danza di una ballerina, cercando di mostrare la somiglianza grafica tra i diversi generi di forme e movimenti.

Figura 4.3.13 In questo fotogramma di H2O, di Ralph Steiner, i riflessi sulla superficie dell’acqua creano un’immagine talmente astratta da renderne quasi irriconoscibile il soggetto.

Fonte: Thèmes et variations (Temi e variazioni), di Germaine Dulac, 1928.

Fonte: H2O, di Ralph Steiner, 1929.

Dulac non fu più in grado di finanziare i propri progetti e si dedicò alla realizzazione di cinegiornali. In altri Paesi alcuni fotografi sperimentarono per breve tempo le possibilità offerte dal cinema secondo una modalità vicina al Cinéma Pur. Il fotografo e scultore ungherese László Moholy-Nagy realizzò diversi film tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, tra cui Lichtspiel, schwarz weiss grau (Gioco di luci, nero-bianco-grigio, 1930),

all’epoca in cui insegnava al Bauhaus (Figura 4.3.12). Il titolo è un gioco di parole su Lichtspiel, che significa sia “film”, sia “gioco di luci”. Anche l’opera del fotografo americano Ralph Steiner, H2O (1929), era un caleidoscopio di immagini d’acqua che gradualmente evolvevano verso l’astrazione (Figura 4.3.13). L’impulso delle ricerche connesse al Cinéma Pur ebbe una notevole influenza sugli artisti sperimentali fin dalle sue prime apparizioni negli anni Venti.

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capitolo 4

CRONOLOGIA SINTETICA DI EVENTI E DI OPERE La Francia negli anni Venti Novembre: finisce la prima guerra mondiale. • La dixième symphonie (La decima sinfonia), di Abel Gance.

1918

1919 Louis Delluc pubblica in gennaio «Le Journal du Ciné-Club», e in aprile esce «Cinéa». • La giustizia del mare (L’homme du large), di Marcel L’Herbier.

1920

1921 La russa Yermoliev diventa la Films Albatros. • La femme de nulle part (La donna da nessun luogo), di Louis Delluc. • La rosa sulle rotaie (La roue), di Abel Gance. Marzo: muore Louis Delluc. Autunno: André Breton pubblica il primo Manifesto del surrealismo. • Ballet mécanique (Balletto meccanico), di Fernand Léger. • La belle Nivernaise (La bella nivernese), di Jean Epstein. • Entr’acte (Intermezzo), di René Clair. • Futurismo (L’inhumaine), di Marcel L’Herbier. • L’inondation (L’inondazione), di Louis Delluc. • Kean, ou desordre et génie (Kean, ovvero genio e sregolatezza), di Aleksandr Volkov. Nasce la società Les Films Jean Epstein. • Anémic cinéma, di Marcel Duchamp e Man Ray.

1922

1923

1924

1925

1926

1927 Fallimento della società Les Films Jean Epstein. • La caduta della casa Usher (La chute de la maison Usher), di Jean Epstein. • La coquille et le clergyman (La conchiglia e il sacerdote), di Germaine Dulac. • La piccola fiammiferaia (La petite marchande d’allumettes), di Jean Renoir.

1928

1929

• L’âge d’or, di Luis Buñuel.

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Nascita della società indipendente Films Abel Gance. • Per la patria (J’accuse), di Abel Gance. • Rose-France (Rosa francese), di Marcel L’Herbier.

1930

• L’Atlantide, di Jacques Feyder. • Fièvre (Febbre), di Louis Delluc. • Eldorado, di Marcel L’Herbier. • “Soirée du Coeur à Barbe”, 7 luglio. • L’auberge rouge (L’albergo rosso), di Jean Epstein. • Il braciere ardente (Le brasier ardent), di Ivan Mosjoukine e Aleksandr Volkov. • Coeur fidèle (Cuore fedele), di Jean Epstein. • Crainquebille, di Jacques Feyder. • Gossette (Ragazzina), di Germaine Dulac. • Retour à la raison (Ritorno alla ragione), di Man Ray. • La souriante madame Beudet (La sorridente madame Beudet), di Germaine Dulac. • • • • •

L’affiche (Il manifesto), di Jean Epstein. Il fu Mattia Pascal (Le feu Mathias Pascal), di Marcel L’Herbier. Ménilmontant, di Dmitri Kirsanov. La ragazza dell’acqua (La fille de l’eau), di Jean Renoir. Visages d’enfants (Volti di bambini), di Jacques Feyder.

• 6½ x 11, di Jean Epstein. • Emak Bakia, di Man Ray. • L’étoile de mer (Stella marina), di Man Ray. • La glace à trois faces (Lo specchio a tre facce), di Jean Epstein. • Napoleone (Napoléon vu par Abel Gance), di Abel Gance.

• L’argent (Il denaro), di Marcel L’Herbier. • Finis Terrae, di Jean Epstein. • Un chien andalou, di Luis Buñuel.


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