Manuale di Psichiatria e Psicologia Clinica 5/ed - - Cap. 9 - Disturbi dissociativi

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Disturbi dissociativi P.M. Boato

9.1

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INTRODUZIONE

Il primo autore che si occupò approfonditamente della dissociazione fu Pierre Janet (Janet, 1889). Egli elaborò una teoria che metteva in relazione esperienze traumatiche, isteria e fenomeni dissociativi. Secondo il suo modello emozioni violente impediscono che determinate esperienze vengano integrate nella coscienza. Esse divengono invece “idee fisse subconscie, dissociate dalla coscienza, che si manifestano come percezioni somatosensoriali, comportamenti automatici, incubi e flashback”. Per Janet sia i disturbi dissociativi che quelli somatoformi (cioè fisici, ma senza un riscontro organico) rientravano nel concetto di isteria, ed erano riconducibili a dissociazioni dovute a eventi traumatici, gravi malattie o esaurimento (Janet, 1907). Il modello di Janet fu modificato da Freud e Breuer che interpretarono la dissociazione come un meccanismo di difesa utilizzato da soggetti traumatizzati per proteggersi da emozioni travolgenti. Queste emozioni potevano essere trasformate, o “convertite”, in sintomi fisici che permettevano loro di manifestarsi senza che il materiale traumatico divenisse conscio. Queste prime teorie sostenevano dunque che dissociazione e conversione hanno un’origine psicologica simile e causano un ampio gruppo di disturbi come amnesie, fughe, disturbi di identità e anche sintomi pseudoneurologici motori e sensitivi. Questi fenomeni tendono a presentarsi associati negli stessi soggetti, tipicamente dopo una storia di eventi traumatici, e sono spesso associati a un’elevata suggestionabilità e a una buona risposta all’ipnosi (Brown et al., 2007). Le prime due edizioni del DSM furono basate su questi concetti. Il DSM II contemplava la nevrosi isterica, sottotipizzata in “di conversione” e “dissociativa”. Le edizioni successive adottarono invece un approccio puramente descrittivo, che prescindendo da ipotesi eziologiche fece sì che disturbi post-traumatici, disturbi di conversione e disturbi dissociativi venissero separati. Questo poteva creare l’impressione di condizioni cliniche tra loro indipendenti, a dispetto della somiglianza dei processi psicologici sottostanti e delle crescenti evidenze di una comune eziologia traumatica. Nel DSM-5 c’è stato un maggior riconoscimento della comune origine traumatica di disturbi diversi. In due capitoli successivi sono stati riuniti i disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti e i disturbi dissociativi.


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PARTE II

Disturbi psichici

Il DSM-5 definisce la dissociazione una “disgregazione delle funzioni, normalmente integrate, della coscienza, della memoria, dell’identità o della percezione dell’ambiente”. A differenza del DSM-IV che contemplava 4 disturbi (amnesia dissociativa, fuga dissociativa, disturbo dissociativo dell’identità e disturbo di depersonalizzazione) il DSM-5 ne considera solo 3, in quanto la fuga dissociativa è diventata una specificazione per l’amnesia dissociativa. Inoltre il disturbo di depersonalizzazione è diventato il disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione. Diversamente da quanto era stato auspicato da diversi autori (Brown et al., 2007; Espirito-Santo e Pio-Abreu, 2009), il disturbo di conversione nel DSM-5 non è stato ricompreso tra i disturbi dissociativi. Come nelle altre categorie diagnostiche sono inoltre inclusi il disturbo dissociativo con altra specificazione e il disturbo associativo senza specificazione. La dissociazione può essere vista come un deficit di quel normale processo che mantiene integrati, in un soggetto, rappresentazioni mentali, percezioni, ricordi e comportamenti. Nell’amnesia dissociativa ciò che appare clinicamente è solo l’assenza dalla coscienza di una serie di informazioni e ricordi che dovrebbero essere presenti. Invece nel disturbo dissociativo dell’identità si evidenzia un’espressione autonoma di contenuti mentali e comportamenti non integrati nell’insieme della coscienza. La dissociazione ha alcune analogie con il fenomeno dell’ipnosi (Frankel, 1990), in cui si attua un restringimento del campo della coscienza su alcuni contenuti mentali che vengono vissuti intensamente e possono venire agiti, con una sorta di automatismo psicologico, in forma motoria. È sempre più condivisa e confermata da studi empirici l’interpretazione della dissociazione come meccanismo difensivo nei confronti di eventi traumatici reali (Gabbard, 2015; Dalenberg et al., 2012), quali per esempio abusi sessuali o maltrattamenti, soprattutto nell’infanzia (Egeland e Susman, 1996; Brenner e Brett, 1997). È stata anche evidenziata una relazione tra dissociazione e alessitimia (Irwin e Nelbin, 1997) e tra dissociazione e sintomi fisici cronici (Farley e Keaney, 1997) in bambini traumatizzati e in soggetti abusati sessualmente nell’infanzia. La dissociazione permette alla vittima di un evento traumatico di allontanarsene, isolandolo dalla coscienza insieme ai contenuti mentali a esso connessi (Brand et al., 2009). L’importanza dei traumi reali nell’eziologia dei fenomeni dissociativi è confermata dal fatto che sintomi dissociativi si riscontrano tra le manifestazioni cliniche dei disturbi post-traumatici. Sintomi dissociativi si trovano associati anche a molte altre condizioni cliniche, come la schizofrenia, i disturbi affettivi, il disturbo ossessivo compulsivo e i disturbi somatoformi. Sembra possano essere un fattore predittivo per una scarsa risposta ai trattamenti e per un’alta percentuale di ricadute (Spitzer et al., 2006, Moscariello et al., 2010). I disturbi dissociativi sono particolarmente frequenti tra i soggetti con disturbo borderline di personalità, con tassi di prevalenza valutati fino al 76% (Korzekwa et al., 2009). La loro prevalenza varierebbe dal 3% nella popolazione generale fino al 30% in campioni di pazienti psichiatrici (Foote et al., 2006). Non vi sarebbero differenze a seconda del genere: l’apparente dominanza nelle donne potrebbe dipendere dal fatto che i maschi con disturbi dissociativi hanno a che fare più frequentemente col sistema giudiziario piuttosto che con quello sanitario. Rispetto all’originaria teoria di Janet che vedeva la dissociazione come un fenomeno presente solo in soggetti patologici, ha prevalso nel tempo l’idea della dissociazione come un processo dimensionale, che esiste lungo un continuum che va da esperienze dissociative normali e relativamente frequenti fino a forme gravi e clinicamente rilevanti come i disturbi dissociativi. Stati di trance dissociativa fanno parte delle pratiche religiose di certe culture. Altri esempi di dissociazione non patologica sono brevi periodi di depersonalizzazione o derealizzazione, oppure il sognare a occhi aperti o l’essere assorti. Quest’ultimo stato si può definire


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CAPITOLO 9

Disturbi dissociativi

come l’esperienza di distaccarsi dall’ambiente e immergersi totalmente nei propri pensieri e immagini interne (Waller et al., 1996). Recentemente è stato proposto un modello diverso (Holmes et al., 2005; Spitzer et al., 2006) che distingue due tipi di dissociazione, entrambi organizzati come un continuum da normalità a patologia: la “compartimentalizzazione” e il “distacco”. La prima sarebbe caratterizzata dall’impossibilità di controllare volontariamente processi e azioni normalmente sotto il controllo della volontà, come per esempio nell’amnesia l’incapacità di recuperare informazioni normalmente accessibili alla coscienza, oppure nei disturbi di conversione l’impossibilità di far funzionare un sistema motorio o sensitivo peraltro integro. Il distacco è invece l’esperienza soggettiva di uno stato alterato di coscienza caratterizzato da un estraneamento da se stessi o dall’ambiente, fatto che spesso si associa a un’assenza o appiattimento dell’esperienza emotiva; clinicamente corrisponde ai fenomeni della depersonalizzazione e della derealizzazione e ha molte somiglianze con la dissociazione peritraumatica (cioè che avviene durante l’evento traumatico) e l’intorpidimento emotivo proprio del disturbo da stress post-traumatico. È infine da sottolineare che la dissociazione di cui qui si tratta è un fenomeno differente dalla dissociazione come disturbo formale del pensiero (dissociazione idetica) e da quella propria della schizofrenia, dove essa indica lo stato di profonda destrutturazione dell’intera personalità e dell’insieme delle sue funzioni psichiche.

9.2

AMNESIA DISSOCIATIVA

È da tempo conosciuta l’esistenza di amnesie di origine psicogena che insorgono in seguito a stimoli ambientali traumatici. Amnesie di tale genere sono state descritte tra i fenomeni psicopatologici dell’isteria e si osservano a seguito di gravi eventi stressanti, quali situazioni di guerra, disastri naturali, gravi incidenti, ma anche traumi singoli o ripetuti, abusi, persecuzione. Questi deficit di memoria, che possono presentarsi sia in uno stato di coscienza alterato sia in stato di buona attenzione e vigilanza, riguardano la memoria di rievocazione e vanno intesi non tanto nel senso di una perdita di ricordi, quanto come un’inibizione nella rievocazione dei medesimi. L’orientamento attuale è quello di considerare tali amnesie, nella maggior parte dei casi, come una risposta difensiva nei confronti di eventi traumatici o significativamente stressanti. Il DSM-5 le definisce come l’incapacità a ricordare importanti informazioni personali, solitamente relative a eventi traumatici, non dovuta a una malattia medica o neurologica o all’effetto di farmaci o droghe e che causi un significativo disagio o una compromissione delle capacità sociali o lavorative (Tab. 9.1). Le amnesie dissociative sono nella maggior parte dei casi di tipo anterogrado. L’amnesia può riguardare un determinato periodo di tempo, che di solito è quello subito susseguente a un evento traumatico (amnesia localizzata o circoscritta), o può riguardare alcune, ma non tutte, le notizie relative a un dato periodo (amnesia selettiva). Più raramente si possono incontrare amnesie relative a tutte, e solo, le notizie riguardanti uno specifico argomento (amnesia sistematizzata) o concernenti l’intera vita di un individuo (amnesia generalizzata), o che coprono un periodo di tempo che arriva fino all’attualità, in quanto il soggetto dimentica ogni nuovo evento che avviene (amnesia continua). Se all’amnesia si associano comportamenti di fuga, va attribuito un codice specifico. Gli individui con questo disturbo sono spesso scarsamente consapevoli del loro problema, o tendono a minimizzarlo. Il disturbo si osserva a qualsiasi età a partire dall’infanzia. Secondo alcuni dati è più frequente nel sesso femminile. La sua incidenza aumenta in tempo di guerra e in occasione di disastri

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Tabella 9.1 Criteri diagnostici secondo il DSM-5 per l’Amnesia dissociativa A. Un’incapacità di ricordare importanti informazioni autobiografiche, di solito di natura traumatica o stressogena, non riconducibile a normale dimenticanza. B. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. C. La condizione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o a una condizione neurologica o medica di altro tipo (per es., crisi epilettiche parziali complesse, postumi di un trauma cranico). D. La condizione non è meglio spiegata da: disturbo dissociativo dell’identità, disturbo da stress post-traumatico, disturbo da stress acuto, disturbo da sintomi somatici, oppure disturbo neurocognitivo maggiore o lieve. Specificare se: • Con fuga dissociativa: un viaggio intenzionale o un vagare disorientato associati ad amnesia per la propria identità o per altre importanti informazioni autobiografiche. Fonte: American Psychiatric Association (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM-5, 5 ed. Milano: Raffaello Cortina Editore; riproduzione autorizzata.

naturali. L’esordio è solitamente improvviso. La sua durata può essere di pochi minuti o di molti anni, e si possono avere uno o più episodi nel corso della vita. Il verificarsi di un episodio indica la possibilità del suo ripetersi a seguito di nuovi eventi stressanti o traumatici. L’amnesia può avere una risoluzione spontanea, soprattutto se l’individuo viene allontanato dalle circostanze traumatizzanti, o protrarsi cronicamente per lungo tempo o per sempre. Il disturbo va differenziato da un lato da situazioni di amnesia dovute a patologie organiche o a intossicazioni esogene e dall’altro dalla simulazione (Tab. 9.2). Tra le patologie organiche vanno considerati in primo luogo i traumi cranici, che causano però più frequentemente amnesie retrograde piuttosto che anterograde. Inoltre le notizie anamnestiche di un trauma fisico, spesso accompagnato da perdita di coscienza, aiutano nella diagnosi. Nei casi dubbi l’uso dell’ipnosi, che porta a un rapido recupero dell’amnesia psicogena, può dirimere i dubbi diagnostici. Anche nell’epilessia ci possono essere fenomeni amnestici, che però si accompagnano per lo più ad anomalie motorie. In questo caso è dirimente il riscontro di anomalie all’EEG. Deficit di memoria si riscontrano negli stati confusionali e nelle demenze, in cui però vi sono marcate e complesse alterazioni di altre funzioni psichiche, cognitive, affettive e comportamentali. Infine nei disturbi amnestici legati all’uso di farmaci o droghe esiste un’alterazione della memoria a breve termine, che è invece conservata nell’amnesia dissociativa. Per quanto riguarda la simulazione, la diagnosi differenziale è fondamentalmente clinica, basata principalmente sulle complessive caratteristiche di personalità (i soggetti con disturbi

Tabella 9.2 Diagnosi differenziale dell’Amnesia dissociativa Traumi cranici Epilessia Stati confusionali o demenze Uso di farmaci o droghe Simulazione

Anamnesi, amnesia retrograda, insensibilità all’ipnosi Anomalie motorie, alterazioni all’EEG Alterazioni della memoria a breve temine, alterazioni cognitive e o demenze comportamentali Anamnesi, alterazioni della memoria a breve termine Caratteristiche di personalità, esistenza di un guadagno secondario


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Disturbi dissociativi

dissociativi sono spesso facilmente suggestionabili e sensibili all’ipnosi) e sull’esistenza in caso di simulazione, di un evidente guadagno secondario di tipo economico o legale. Le tecniche ipnotiche possono permettere il graduale recupero alla coscienza dei ricordi soppressi e, particolarmente se associate a un approccio psicoterapeutico, la loro elaborazione e assimilazione alla personalità cosciente.

9.3

DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITÀ

La caratteristica fondamentale del disturbo dissociativo dell’identità è una grave discontinuità del senso di sé, con conseguenti e varie alterazioni di altre funzioni psichiche, quali percezione, affettività, cognitività, comportamento, funzionamento senso-motorio. A questa si associano amnesie ricorrenti relative a eventi quotidiani, eventi traumatici o informazioni autobiografiche. Il disturbo può assumere l’aspetto di due o più stati di identità distinti che si alternano in maniera evidente, o come un’esperienza di possessione, oppure può avere caratteristiche meno evidenti, con percezioni, comportamenti, emozioni, atteggiamenti, pensieri che si presentano all’individuo affetto senza un senso di appartenenza personale e senza un senso di controllo. Il disturbo si manifesta in un piccolo numero di casi con notevole frequenza, ma più spesso con latenze anche lunghe che ne rendono più difficile il riconoscimento clinico. Si può trattare di esperienze di depersonalizzazione, percezioni di voci, percezioni alterate del proprio corpo, pensieri estranei e non controllabili, emozioni, impulsi e comportamenti che si manifestano improvvisamente senza possibilità di controllo e con un senso di estraneità. Nelle esperienze di possessione è come se un’entità estranea prendesse improvvisamente il controllo dell’individuo, che inizia a parlare e comportarsi in modo del tutto diverso dal solito. Sono frequenti flashback e fughe dissociative, in cui il paziente si ritrova improvvisamente in un luogo senza sapere come ci è arrivato. Nel caso di due o più personalità distinte, queste possono essere parziali o pienamente sviluppate. Ognuna di esse può avere le proprie attitudini, i propri ricordi, una propria affettività. Possono differire tra loro per età, sesso e conoscenze generali, e avere gradi variabili di conoscenza reciproca. Le transizioni da un’identità all’altra, spesso improvvise, sono spesso scatenate da uno stress psicosociale e possono essere indotte dall’ipnosi o da un’intervista sotto l’effetto di barbiturici. Sono stati riportati casi in cui le diverse personalità differivano per funzioni fisiologiche, quoziente intellettivo e risposta ai farmaci (Putnam, 1991). I pazienti affetti da questo disturbo ne possono essere più o meno soggettivamente consapevoli e comunque di solito lo minimizzano. Spesso aspetti del disturbo possono essere testimoniati da persone esterne al paziente. Il disturbo si associa frequentemente a sintomi di tipo post-traumatico, depressione, comportamenti autolesivi, ansia, abuso di sostanze (che complica e confonde la sintomatologia), episodi psicotici transitori, sintomi paraneurologici e convulsioni non epilettiche, disturbi dell’alimentazione e sessuali. Nei maschi sono più frequenti comportamenti violenti o criminali. Uno studio recente indica che il disturbo più frequentemente in comorbilità è il disturbo da stress post-traumatico (Rodewald et al., 2011). Nella maggior parte dei casi all’origine del disturbo vi è una storia di eventi traumatici e/o abusi fisici o sessuali, soprattutto nell’infanzia, ma anche nell’età adulta (Gabbard, 2015; Simeon e Loewenstein, 2009). Sconvolgenti esperienze traumatiche che superano la capacità di adattamento di un bambino, senza che vi sia un’adeguata capacità di supporto da parte dell’ambiente, possono portare all’insorgenza di questo disturbo. In esso le personalità alter-

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Tabella 9.3 Criteri diagnostici secondo il DSM-5 per il Disturbo dissociativo dell’identità A. Disgregazione dell’identità caratterizzata da due o più stati di personalità distinti, che in alcune culture può essere descritta come un’esperienza di possessione. La disgregazione dell’identità comprende una marcata discontinuità del senso di sé e della consapevolezza delle proprie azioni, accompagnata da correlate alterazioni dell’affettività, del comportamento, della coscienza, della memoria, della percezione, della cognitività e/o del funzionamento senso-motorio. Tali segni e sintomi possono essere osservati da altre persone o riferiti dall’individuo. B. Ricorrenti vuoti nella rievocazione di eventi quotidiani, di importanti informazioni personali e/o di eventi traumatici non riconducibili a normale dimenticanza. C. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. D. Il disturbo non è una parte normale di una pratica culturale o religiosa largamente accettata. E. I sintomi non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza o a un’altra condizione medica. Fonte: American Psychiatric Association (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM-5, 5 ed. Milano: Raffaello Cortina Editore; riproduzione autorizzata.

native esprimono aspetti dissociati del Sé vittimizzato o l’identificazione con persone dell’ambiente. Anche in questo caso la dissociazione esprime una difesa e un tentativo di adattamento. Per esempio l’individuo può sentire la voce di un bambino, o pianti, o percepire il proprio corpo come quello di un uomo grosso e muscoloso, o sentirsi posseduto dal “fantasma” di una persona morta in modo traumatico. I criteri diagnostici del DSM-5 per il disturbo dissociativo dell’identità sono riassunti nella tabella 9.3. La compromissione del funzionamento è molto variabile a seconda dell’entità e della frequenza del disturbo. Il decorso tende a essere cronico. La prevalenza del disturbo è controversa: taluni lo ritengono sottostimato perché troppo poco preso in considerazione dai clinici, altri sottolineano la facilità di “falsi positivi” in quanto sintomi di questo disturbo possono essere indotti, in soggetti suggestionabili, da chi li ricerca. La prevalenza è stata trovata fino al 5% in campioni non clinici (Rodewald et al., 2006) e dal 6% al 20% in pazienti psichiatrici (Foote et al., 2006; Spiegel et al., 2011). Nonostante la singolarità di questo disturbo la sua diagnosi è spesso difficile, anche per la reticenza degli stessi pazienti. Sono elementi importanti per la diagnosi una storia di abusi precoci, un livello di funzionamento continuamente variabile, la presenza di amnesie o distorsioni temporali, segni (riferiti dal paziente o da altri) di atti e comportamenti non riconosciuti dal paziente come propri (Kluft, 1991), e inoltre una storia di varie diagnosi mediche e psichiatriche. La diagnosi è facilitata dall’uso di scale e interviste diagnostiche specifiche. La diagnosi differenziale (Tab. 9.4) deve tenere in considerazione l’epilessia e in particolare le crisi parziali complesse, che tendono però a essere nella maggior parte dei casi di

Tabella 9.4 Diagnosi differenziale del Disturbo dissociativo dell’identità • • • •

Crisi parziali complesse Intossicazione da sostanze Disturbi psicotici e disturbo bipolare Simulazione

• • • •

Durata, dati anamnestici, EEG Alterazioni meno complesse e differenziate, anamnesi Sintomatologia complessiva Vantaggio secondario, sintomatologia semplificata


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Disturbi dissociativi

breve durata e inoltre non coinvolgono in modo così complesso l’identità e il comportamento. Bisogna tenere presente che pazienti con il disturbo dissociativo dell’identità possono presentare episodi simil-convulsivi. Il disturbo va anche distinto da alterazioni del comportamento e del sentimento di sé legati all’intossicazione da sostanze esogene. Alcuni possibili sintomi del disturbo richiamano sintomi della schizofrenia, come le dispercezioni e i fenomeni di automatismo mentale quali l’inserzione e il furto del pensiero. La sintomatologia complessiva e il decorso chiariscono il quadro. Attenzione va posta anche alla diagnosi differenziale con il disturbo psicotico breve e il disturbo bipolare, in particolare di tipo II e con rapida ciclicità. L’anamnesi e il complessivo quadro clinico permettono la differenziazione. Come per gli altri disturbi dissociativi è da tenere presente la possibilità della simulazione, in cui le identità alternative create sono in genere semplificate e stereotipate, c’è un evidente vantaggio secondario, e mancano i sintomi depressivi e di vergogna e la tendenza a sottovalutare i sintomi del disturbo reale. Per la diagnosi differenziale in generale, oltre alla facile ipnotizzabilità di questi pazienti, va considerato l’uso di scale per il rilevamento dei sintomi dissociativi. Nel disturbo da stress post-traumatico possono esserci sintomi dissociativi, come amnesia per aspetti del trauma, flashback e altri sintomi di intrusione, mentre nel disturbo dissociativo dell’identità le amnesie e le intrusioni riguardano anche elementi non traumatici. Va tenuta presente anche la possibilità di una comorbilità. Per quanto riguarda il trattamento sono efficaci le tecniche ipnotiche, ma è indicata anche la psicoterapia psicoanalitica orientata a reintegrare le esperienze traumatiche e a sostituire le difese dissociative con altre più mature e adattive.

9.4

DISTURBO DI DEPERSONALIZZAZIONE/DEREALIZZAZIONE

Questo disturbo è caratterizzato da episodi di depersonalizzazione, derealizzazione o entrambi. La depersonalizzazione consiste in un sentimento di distacco, di irrealtà o di estraneamento nei riguardi di se stessi (depersonalizzazione autopsichica) o del proprio corpo (depersonalizzazione somatopsichica), che si esprime nell’impressione di essere come un automa o di stare vivendo in un sogno o in un film. Questo vissuto può riguardare tutto il proprio essere o parti di esso, cioè i sentimenti, i pensieri, il proprio corpo o parte di esso, le azioni, le sensazioni. Si associa solitamente a un senso alterato del tempo e dei propri ricordi, a un senso di ottundimento emotivo e ad anomalie percettive quali anestesie sensoriali. La derealizzazione (o depersonalizzazione allopsichica) è l’impressione che il mondo esterno sia estraneo o irreale. Il soggetto può sentirsi come nella nebbia o in un sogno o come se fosse separato dal resto da una lastra di vetro. L’ambiente viene percepito come artificiale, le altre persone come estranee o meccaniche, gli oggetti come cambiati nella forma o nelle dimensioni. Spesso vi sono distorsioni visive (macropsia o micropsia, alterazioni della dimensionalità) e distorsioni uditive. Questo fenomeno è di solito vissuto con angoscia, in quanto il soggetto è consapevole dell’irrealtà di queste impressioni, e ciò lo differenzia da un fenomeno delirante. Tende ad accompagnarsi ad ansia o depressione, o a ruminazioni di tipo ossessivo o a lamentele somatiche. Il soggetto che ne soffre può avere difficoltà a descriverlo, o avere paura di parlarne per il timore di essere considerato “pazzo”, e può quindi descriverne solo i sintomi associati. Spesso vi è la paura di un danno cerebrale permanente. La tabella 9.5 riassume i criteri del DSM-5 per questo disturbo.

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PARTE II

Disturbi psichici

Tabella 9.5 Criteri diagnostici secondo il DSM-5 per il Disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione A. La presenza di persistenti o ricorrenti esperienze di depersonalizzazione, derealizzazione o entrambe. 1. Depersonalizzazione: esperienze di irrealtà, distacco, di essere un osservatore esterno rispetto ai propri pensieri, sentimenti, sensazioni, corpo o azioni (per es., alterazioni percettive, distorto senso del tempo, senso di sé irreale o assente, ottundimento emotivo e/o fisico). 2. Derealizzazione: esperienze di irrealtà o distacco rispetto all’ambiente circostante (per es., persone o oggetti vengono percepiti come irreali, onirici, nebbiosi, inanimati, o deformati visivamente). B. Durante le esperienze di depersonalizzazione o derealizzazione l’esame di realtà rimane integro. C. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. D. Il disturbo non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o a un’altra condizione medica E. Il disturbo non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale, quali schizofrenia, disturbo di panico, disturbo depressivo maggiore, disturbo da stress acuto, disturbo da stress post-traumatico o un altro disturbo dissociativo. Fonte: American Psychiatric Association (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM-5, 5 ed. Milano: Raffaello Cortina Editore; riproduzione autorizzata.

Questo disturbo è incluso tra i disturbi dissociativi in quanto consiste in un’alterazione del normale sentimento di se stessi. A favore di questa inclusione sta il fatto che i soggetti affetti presentano un alto grado di ipnotizzabilità e che spesso il disturbo si presenta in relazione a un trauma. L’associazione a un trauma non è però così prevalente o estrema come per gli altri disturbi dissociativi. Nell’infanzia si possono trovare abusi emotivi, o trascuratezza, o abusi fisici, più raramente sessuali. I fattori precipitanti possono essere stress gravi, ansia o depressione e uso di sostanze psicotrope. Esperienze di depersonalizzazione e derealizzazione sono esperienze naturali o volontariamente ricercate nel contesto di svariate pratiche religiose proprie di diverse culture. Fenomeni brevi e transitori sono d’altra parte molto frequenti e di poca rilevanza clinica nella popolazione generale. Circa una metà di tutti gli adulti esperisce in qualche momento della propria vita almeno un breve fenomeno di questo tipo, spesso conseguentemente a un periodo di stress o di affaticamento. Viceversa la prevalenza lifetime del disturbo negli Stati Uniti e in altri paesi è stimata circa al 2%. È ugualmente frequente nei due sessi. Sintomi di depersonalizzaione e derealizzazione si presentano anche nel contesto di svariati quadri clinici, come la schizofrenia, il disturbo da attacchi di panico, le fobie, gli altri disturbi dissociativi, il disturbo ossessivo-compulsivo, i disturbi affettivi, le intossicazioni da sostanze esogene o le sindromi di astinenza da alcol o da altre sostanze (Hunter et al., 2004). La prevalenza è stata stimata dell’1-16% tra i pazienti psichiatrici ricoverati, del 60% nei pazienti con depressione unipolare, del 23-66% nei pazienti con schizofrenia (Hunter et al., 2004). L’età media di esordio è di 16 anni, e il disturbo può essere già presente nella prima infanzia. Rara invece l’insorgenza dopo i 40 anni, dove deve far pensare a una qualche patologia organica. L’esordio può essere improvviso o graduale. La durata degli episodi può essere di ore, giorni, mesi o anni, con periodi di remissione e riacutizzazioni oppure stabile. Nella metà dei casi l’andamento è cronico, anche se comporta gradi molto variabili di disagio (Steinberg, 1991). Dal punto di vista psicodinamico la depersonalizzazione viene considerata come una difesa di tipo primitivo messa in atto nei confronti di un pericolo esterno o di una spinta pulsionale


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CAPITOLO 9

Disturbi dissociativi

Tabella 9.6 Diagnosi differenziale del Disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione • • • •

Epilessia temporale Intossicazione e astinenza Schizofrenia Disturbo depressivo

• • • •

Anomalie motorie, alterazioni dell’EEG Storia clinica Perdita del rapporto di realtà Sintomatologia complessiva, tempi di insorgenza

interna. Il distacco dal proprio Sé coinvolto in una situazione di pericolo può permettere di controllare l’angoscia che da esso deriva. Allo stesso modo, la depersonalizzazione può permettere la negazione di una parte indesiderabile del proprio Sé. In altri casi la depersonalizzazione può essere interpretata come espressione di un deficit nella strutturazione di un sentimento di sé integrato e stabile. La diagnosi differenziale (Tab. 9.6) deve tenere in considerazione l’epilessia temporale, le cui crisi non tendono ad associarsi a eventi traumatici e che si accompagnano ad anomalie motorie e alterazioni dell’EEG, e le condizioni cliniche legate all’intossicazione da sostanze esogene (per es., marijuana) o all’astinenza da droghe o da alcol. È d’altra parte da considerare l’eventualità che l’uso o l’astinenza possano acuire un fenomeno di depersonalizzazione preesistente. La differenziazione dalle esperienze di depersonalizzazione presenti in corso di schizofrenia è consentita, oltre che dagli altri sintomi propri di quella malattia, anche dall’alterazione del rapporto di realtà che è assente nel disturbo di depersonalizzazione. La depersonalizzazione affettiva, infine, consistente nel sentimento di perdita dei propri sentimenti, che può accompagnare il disturbo, può essere confusa con un disturbo depressivo: la sintomatologia complessiva delle due sindromi permette la diagnosi, ma va anche ammessa la possibilità che i due disturbi siano concomitanti. Un elemento importante per valutare i rapporti tra depersonalizzazione e depressione è considerare la coincidenza o meno della loro comparsa. Le comorbilità più frequenti sono con il disturbo depressivo unipolare e alcuni disturbi di ansia. I disturbi di personalità più frequentemente associati sono i disturbi evitante, borderline e ossessivo-compulsivo. Per le situazioni di depersonalizzazione di breve durata la terapia non è per lo più necessaria. Sono indicati come efficaci nel trattamento di questo disturbo i farmaci antidepressivi (Hollander et al., 1989). È stata suggerita da alcuni autori una maggiore efficacia degli inibitori del re-uptake della serotonina rispetto agli antidepressivi triciclici (Simeone et al., 1997). La psicoterapia a indirizzo analitico può essere utile sia per permettere un’abreazione dei ricordi traumatici, sia per portare alla comprensione delle dinamiche sottostanti al sintomo.

9.5

DISTURBO DISSOCIATIVO CON ALTRA SPECIFICAZIONE

Si tratta di quei fenomeni dissociativi che non rispondono pienamente ai criteri per i disturbi sopra riportati, ma dei quali vengono descritte le specifiche caratteristiche. Gli esempi riportati nel DSM-5 comprendono: 1. sindromi croniche e ricorrenti di sintomi dissociativi misti: per esempio, un disturbo dell’identità con una meno marcata discontinuità del senso di sé e della consapevolezza delle proprie azioni, oppure alterazioni dell’identità senza amnesia dissociativa;

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PARTE II

Disturbi psichici

2. disturbo dell’identità dovuto a persuasione coercitiva prolungata e intensa: si osserva quando si manifestano alterazioni prolungate della propria identità a seguito di indottrinamento, tortura, rieducazione, detenzioni politiche ecc.; 3. reazioni dissociative acute reattive a eventi stressanti: sono manifestazioni dissociative acute e transitorie, che durano ore o giorni e comunque meno di un mese, caratterizzate da restringimento della coscienza, depersonalizzazione, derealizzazione, disturbi percettivi, amnesie, stupor, alterazioni senso-motorie; 4. trance dissociativa: è caratterizzata da restringimento di coscienza o perdita di consapevolezza dell’ambiente circostante, con insensibilità agli stimoli ambientali. Può associarsi a comportamenti stereotipati, paralisi transitorie o perdita di coscienza di cui l’individuo non è consapevole. Altri disturbi dissociativi noti in psicopatologia sono ad esempio il sonnambulismo e la sindrome di Ganser. Nel sonnambulismo vi è uno stato di alterazione della coscienza di tipo crepuscolare durante il quale un soggetto rivive, in una sorta di stato allucinatorio, un qualche avvenimento traumatico di cui non ha memoria nello stato di veglia. Il paziente appare estraniato dall’ambiente, immerso in un’esperienza immaginativa nella quale parla, agisce e appare sperimentare forti emozioni. Tali crisi non si verificano necessariamente solo di notte. La sindrome di Ganser, descritta da Ganser nel 1898 in alcuni detenuti (Sims, 1992), è caratterizzata da alterazione dello stato di coscienza, allucinazioni di tipo uditivo o visivo, aspetti di tipo isterico (atteggiamento teatrale, sintomi di conversione). Caratteristica peculiare è l’incapacità di rispondere correttamente a domande estremamente semplici. Il disturbo, che ha punti di contatto sia con l’isteria dissociativa sia con la simulazione, compare in soggetti sottoposti a grave stress, quali l’attesa di un giudizio penale o di un indennizzo, o a una significativa minaccia.

9.6

DISTURBO DISSOCIATIVO SENZA SPECIFICAZIONE

Si tratta di fenomeni dissociativi che non rispondono pienamente ai criteri per i disturbi sopra riportati ma dei quali non vengono descritte le specifiche caratteristiche, per esempio quando non ci sono informazioni sufficienti per porre una diagnosi più specifica.


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