Malattie infettive 2/ed Capitolo 4 - Polmoniti

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Polmoniti M. Fantoni

Key

points

Le polmoniti possono essere classificate con criteri anatomo-patologici, eziologici o epidemiologici. La classificazione epidemiologica distingue le polmoniti acquisite in comunità (CAP) e le polmoniti associate a cure sanitarie (HCAP). Queste ultime comprendono sia le polmoniti nosocomiali (HAP), sia le polmoniti correlate alla ventilazione meccanica (VAP). Gli agenti eziologici più comuni di CAP sono Streptococcus pneumoniae (pneumococco), Haemophilus influenzae, Mycoplasma pneumoniae, Legionella pneumophila, Chlamydophila pneumoniae. I segni e sintomi più comuni sono febbre, tosse, tachipnea o dispnea, escreato mucoso o mucopurulento, dolore toracico. Dal punto di vista radiologico gli infiltrati polmonari compatibili con la diagnosi di polmonite si evidenziano come immagini ipodiafane con broncogramma aereo. Il trattamento empirico delle CAP è fondato sull’uso di macrolidi, fluorochinoloni e β-lattamici da soli o in combinazione. La terapia delle HCAP è fondata sull’epidemiologia della singola struttura ospedaliera, soprattutto in ordine all’antibioticoresistenza.

Definizione

e classificazione

Le polmoniti sono processi flogistici del parenchima polmonare che hanno nella maggior parte dei casi un’eziologia infettiva. Le polmoniti possono essere classificate con criteri anatomo-patologici, eziologici o epidemiologici. La classificazione anatomo-patologica delle polmoniti distingue forme prevalentemente alveolari, forme prevalentemente interstiziali e forme necrotizzanti. Le polmoniti alveolari riconoscono un’eziologia più frequentemente batterica, quelle interstiziali sono causate per lo più da schizomiceti atipici o virus, mentre le forme necrotizzanti da aspirazione sono provocate frequentemente da una flora batterica mista dell’orofaringe, costituita da anaerobi e aerobi. Seppure di carattere generale, tale corrispondenza tra eziologia e quadri anatomo-patologici (e di conseguenza radiologici) ha un’evidente importanza pratica per l’approccio diagnostico e terapeutico empirico.

La classificazione eziologica prende in considerazione la grande quantità di patogeni che possono provocare polmonite. Anche se la frequenza dei vari agenti eziologici varia, anche considerevolmente, nelle diverse indagini epidemiologiche e trial clinici, i patogeni più frequenti sono Streptococcus pneumoniae (pneumococco), Mycoplasma pneumoniae, Haemophilus influenzae, Chlamydophila pneumoniae, Legionella pneumophila. La classificazione epidemiologica comunemente impiegata distingue le polmoniti in: comunitarie (community-acquired pneumoniae, CAP), ospedaliere (hospital-acquired pneumoniae, HAP), correlate alla ventilazione meccanica (ventilator-associated pneumoniae, VAP) e associate a cure sanitarie (health-care associated pneumoniae, HCAP) (Tab. 4.1). Quest’ultima categoria, in particolare, è stata aggiunta nel 2005 con lo scopo di identificare pazienti non ospedalizzati, che tuttavia fossero maggiormente a rischio di contrarre infezioni con germi multiresistenti a causa dell’estensivo contatto con strutture sanitarie non ospedaliere


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Parte I - Argomenti di malattie infettive

Tabella 4.1 Classificazione su base epidemiologica e anamnestica delle polmoniti Categoria

Definizione

Polmonite acquisita in comunità (CAP)

• Polmonite in pazienti che non rispondono alle definizioni di HCAP, HAP o VAP

Polmonite associata a cure sanitarie (HCAP)

• Terapia endovenosa, assistenza per la cura di ferite o terapia endovenosa entro i precedenti 30 giorni • Residenza in una casa di cura o altra struttura di lungodegenza • Ospedalizzazione per due o più giorni nei precedenti 90 giorni • Frequentazione di un ospedale o clinica per emodialisi nei precedenti 30 giorni

Polmonite nosocomiale (HAP)

• Polmonite che si sviluppa dopo 48 ore da un ricovero ospedaliero e che non era in incubazione al momento del ricovero

Polmonite associata a ventilazione meccanica (VAP)

• Polmonite che si sviluppa dopo 48 ore dall’intubazione oro-tracheale

Fonte: modificata da Kollef M.H, Shorr A., Tabak Y.P. et al., Epidemiology and outcomes of health-care-associated pneumonia: results from a large US database of culture-positive pneumonia, Chest, 128:3854-3862, 2005.

(strutture di lungodegenza o riabilitazione, centri di emodialisi). La maggiore utilità della classificazione epidemiologica è data, infatti, dalla possibilità di distinguere le infezioni a seconda della loro associazione con i vari contesti assistenziali, fattore che influenza l’approccio diagnostico, prognostico e terapeutico delle polmoniti stesse. La classificazione epidemiologica ha ragione di essere in quanto l’eziologia, l’approccio diagnostico, la terapia e la prognosi sono differenti a seconda che si tratti di CAP o di HCAP. Le infezioni delle vie aeree inferiori sono la principale causa di morte per malattie infettive nel mondo e la sesta causa di morte in assoluto nei paesi industrializzati. Le polmoniti sono inoltre la prima causa di morte per infezioni contratte in ospedale. Nei paesi a risorse limitate, le infezioni del tratto respiratorio inferiore sono solitamente la maggiore causa di morte o si posizionano al secondo posto solamente dietro alle diarree infettive. Negli Stati Uniti, circa 2 milioni di persone si ammalano di polmonite ogni anno con un numero di decessi che oscilla tra 40 000 e 70 000 e un enorme costo economico. In Europa dati precisi sull’incidenza di polmonite esistono per la Finlandia (10,8/1000 adulti/anno), la Spagna (1,6-2,6/1000 adulti/anno) e il Regno Unito (4,7/1000/anno). In Italia, pur non essendoci dati epidemiologici dettagliati, si stima che vi sia un’incidenza complessiva di 10-12 casi/1000 abitanti/anno, con circa 700 000 casi di polmonite l’anno. Il sesso maschile è colpito più di quello femminile e le fasce di età più colpite sono <5 anni (circa 25 casi/1000/ anno) e >75 anni (circa 30 casi/1000/anno).

Patogenesi I meccanismi di difesa locali fanno sì che le basse vie respiratorie siano abitualmente sterili nonostante l’abbondanza di flora microbica nell’orofaringe e la continua esposizione ad agenti infettivi esogeni. Le difese meccaniche svolgono un ruolo fondamentale nella difesa dalle infezioni delle basse vie aeree; in particolare, la clearance muco-ciliare e il meccanismo della tosse bloccano ed eliminano i potenziali patogeni che superano le prime difese meccaniche a livello della mucosa nasale. Ciascuna cellula ciliata dell’epitelio respiratorio ha circa 200 ciglia che, in modo sincrono, producono circa 1000 battiti/minuto. Il movimento ciliare è coordinato tra cellule adiacenti in modo che ci sia un’onda centrifuga verso l’orofaringe. Le ciglia sono rivestite da due strati di film liquido viscoso che intrappolano le particelle esogene, in attesa che vengano rigettate verso l’esterno dal movimento ciliare. Un ruolo importante è svolto anche dalla flora normale dell’orofaringe, che compete con lo sviluppo di batteri patogeni. In caso di superamento delle prime barriere, o quando i patogeni sono sufficientemente piccoli, sono i macrofagi alveolari che svolgono l’azione di difesa principale. Essi fagocitano i patogeni che vengono eliminati per via linfatica o muco-ciliare. Se anche la difesa macrofagica viene superata, si manifesta la polmonite, che è il prodotto sia dell’azione diretta del patogeno sia della risposta infiammatoria dell’ospite. Quest’ultima si esplica inizialmente con l’attivazione dei macrofagi stessi; vengono poi prodotte una serie di citochine, che mediano il reclutamento e il richiamo di neutrofili, la permeabilità capillare, con conseguente


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stravaso endoalveolare e i segni sistemici di infezione. Il quadro radiologico e i segni clinici come la dispnea e l’ipossia sono il risultato di tali complesse interazioni che si realizzano a livello alveolare.

Polmoniti

acquisite in comunità (cap) La polmonite acquisita in comunità (CAP) è un’infezione acuta del parenchima polmonare che si associa a sintomi di infezione acuta, con evidenza radiologica di un infiltrato polmonare e che non risponde ai criteri di definizione delle HCAP, HAP o VAP (vedi tab. 4.1). Sebbene siano molti gli agenti infettivi in grado di provocare polmonite e sebbene l’eziologia delle CAP sia variabile a seconda del contesto epidemiologico, tuttavia si può affermare che la maggior parte di esse è causata da un numero relativamente limitato di patogeni. Classicamente, si è soliti distinguere gli agenti batterici responsabili di polmonite in “tipici” e “atipici”. Tra i primi, il più frequente e importante è Streptococcus pneumoniae (pneumococco); da ricordare anche Haemophilus influenzae, Staphylococcus aureus e i bacilli Gram-negativi come Klebsiella pneumoniae e Pseudomonas aeruginosa, anche se questi ultimi sono più importanti come agenti di HCAP. Tra gli agenti eziologici cosiddetti “atipici”, i più frequenti sono Mycoplasma pneumoniae, Legionella pneumophila, Chlamydophila pneumoniae. I patogeni atipici sono così definiti in quanto non sono evidenziabili con la comune colorazione Gram e non crescono nei terreni di coltura tradizionali. Importanti agenti di polmonite comunitaria sono anche i virus a tropismo per l’apparato respiratorio, come i virus influenzali, il virus respiratorio sinciziale e gli adenovirus. È importante sottolineare che solo in una quota variabile di polmoniti è possibile individuare l’agente eziologico. In studi controllati la frequenza di identificazione varia dal 52 all’82%. Tuttavia, una review effettuata dall’agenzia assicurativa Medicare dell’esperienza clinica su 17 340 pazienti ospedalizzati per CAP nel 2009 ha evidenziato che una diagnosi microbiologica era stata stabilita solo nel 7,6% dei casi. L’eziologia delle CAP condiziona in parte la gravità e conseguentemente il luogo di cura. Stratificando per luogo di cura l’eziologia delle CAP, Streptococcus pneumoniae e Mycoplasma pneumoniae restano gli agenti eziologici più frequenti nei pazienti che non vengono ricoverati in terapia intensiva, mentre nei pazienti più gravi i più frequenti sono sempre Streptococcus pneumoniae al primo posto seguito da Legionella pneumophila (Tab. 4.2).

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Tabella 4.2 Agenti eziologici più comuni di polmonite comunitaria, stratificati per luogo di cura Pazienti a domicilio/ambulatorio • Streptococcus pneumoniae • Mycoplasma pneumoniae • Haemophilus influenzae • Chlamydophila pneumoniae • Virus respiratori Pazienti ospedalizzati non in terapia intensiva • Streptococcus pneumoniae • Mycoplasma pneumoniae • Chlamydophila pneumoniae • Haemophilus influenzae • Legionella spp. Pazienti ospedalizzati in terapia intensiva • Streptococcus pneumoniae • Legionella spp. • Haemophilus influenzae • Batteri Gram-negativi • Staphylococcus aureus Fonte: File T.M., Community-acquired pneumonia, Lancet, 362:1991-2001, 2003. Riprodotta con permesso.

Manifestazioni cliniche Pur essendoci alcuni segni e sintomi comuni, non è possibile tracciare un quadro clinico univoco che comprenda tutte le forme di polmonite comunitaria, variando esso da forme molto lievi e paucisintomatiche a forme setticemiche fulminanti. Tale variabilità è evidentemente condizionata sia dai diversi agenti eziologici, sia da fattori legati all’ospite. Quasi sempre sono presenti febbre e tosse, che può essere secca o produttiva, con escreato mucoso, purulento o ematico. Il paziente può apparire tachipnoico o dispnoico e, se vi è coinvolgimento pleurico, è presente dolore toracico puntorio. Anche l’evoluzione delle diverse forme di polmonite è variabile, da una rapida risoluzione dei sintomi in pochi giorni, fino a forme a decorso protratto per diverse settimane. La letalità delle polmoniti comunitarie non si è molto modificata negli ultimi decenni, nonostante il progresso delle terapie anti-infettive. Ciò è probabilmente in rapporto al maggior numero di pazienti fragili, anziani e con numerose co-morbidità. In uno studio prospettico multinazionale sulla prognosi della polmonite pneumococcica batteriemica la letalità oscillava tra il 6 e il 20%; i fattori associati a un rischio di morte più alto erano l’età >65 anni, essere ospitati in strutture di lungodegenza, essere affetti da patologia polmonare cronica, avere un punteggio APACHE (indice prognostico) più alto e la necessità di ventilazione meccanica.


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Diagnosi Esame radiologico La diagnosi di polmonite è fondata sul sospetto clinico ed epidemiologico, ed è confermata dal quadro radiologico. Nel sospetto di polmonite la radiografia del torace è un accertamento indispensabile, oltre che per la conferma diagnostica, anche per valutare la tipologia e l’estensione dell’interessamento polmonare. L’immagine radiologica può orientare verso una determinata eziologia, nell’attesa degli accertamenti microbiologici, che solitamente richiedono alcuni giorni. Gli infiltrati polmonari compatibili con la diagnosi di polmonite si evidenziano radiologicamente come immagini ipodiafane con broncogramma aereo. Gli infiltrati possono interessare un intero lobo, essere multipli, avere immagini di cavitazione, accompagnarsi a linfoadenopatie mediastiniche o a versamento pleurico. Ciascuna di queste caratteristiche si associa più frequentemente a determinati agenti eziologici. Per esempio, un consolidamento lobare, un versamento pleurico ed escavazioni orientano verso un’eziologia batterica tipica (Fig. 4.1); se vi è coinvolgimento bilaterale e diffuso è più probabile una polmonite da Legionella o a eziologia virale; in caso di focolai multipli con tendenza a piccole cavitazioni o fistole broncopleuriche è plausibile un’eziologia stafilococcica; la polmonite da Mycoplasma dà solitamente un’immagine di tipo interstiziale all’inizio, con successivo coinvolgimento alveolare e frequente versamento pleurico. In casi selezionati di polmonite può essere utile l’indagine TC, per meglio evidenziare quadri dubbi o con co-morbidità polmonari o cardiache.

Esami di laboratorio Come nella maggior parte delle infezioni batteriche, anche nelle polmoniti si può avere il riscontro di un rialzo dei leucociti totali e, in particolare, della conta dei granulociti neutrofili. Recentemente, inoltre, è stato visto che l’incremento del rapporto fra neutrofili e linfociti totali è utile per distinguere tra infezioni polmonari di origine batterica e quelle di origine non batterica, specialmente nei pazienti con più di 60 anni. Anche alcuni marcatori biologici sono utili nella diagnosi, nel monitoraggio e nella distinzione eziologica delle polmoniti comunitarie. Fra questi i più studiati sono la proteina C reattiva e la procalcitonina. Valori di proteina C reattiva superiori a 40 mg/l hanno sensibilità del 70% e specificità del 90%

Figura 4.1 Immagine radiologica di polmonite lobare. È visibile l’ipodiafania del lobo inferiore destro con broncogramma aereo.

nell’individuare polmoniti batteriche. La procalcitonina tende a crescere nel plasma in corso di infezioni batteriche. La sua maggiore utilità sta, dunque, nell’orientare il clinico alla decisione di iniziare e sospendere la terapia antibiotica.

Diagnosi eziologica Poiché il trattamento delle CAP è nella maggior parte dei casi istituito su base empirica, l’approfondimento diagnostico per individuare specifici patogeni è raccomandato qualora la loro identificazione, sospettata su base clinica o epidemiologica, modifichi significativamente il trattamento empirico. Come già ricordato, si arriva a una diagnosi eziologica in una percentuale variabile di casi, che nelle varie casistiche raramente supera il 30-40%. L’esame batteriologico diretto e colturale dell’espettorato è un esame semplice e diffusamente utilizzato, tuttavia la sua sensibilità e specificità sono basse. Inoltre, alcuni pazienti possono non essere in grado di produrre un campione adeguato oppure presentare una tosse non produttiva. In molti casi, poi, il paziente viene osservato quando è già stata iniziata una terapia antibiotica, diminuendo ulteriormente la sensibilità dell’esame. L’esame diretto con colorazione di Gram può essere utile per sospettare la presenza di alcuni patogeni, come Streptococcus pneumoniae


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e Staphylococcus aureus. Per essere idoneo all’esame colturale il campione di espettorato dovrebbe avere un numero di neutrofili >25 e cellule epiteliali <10 per campo a bassa risoluzione. Per la diagnosi eziologica di polmonite batterica l’emocoltura è un esame altamente specifico ma dotato di bassa sensibilità, anche in caso di polmonite pneumococcica. La diagnosi eziologica di polmonite pneumococcica e di polmonite da Legionella è possibile con la ricerca di antigeni urinari. Tale test è di facile esecuzione e presenta sensibilità e specificità discrete, rispettivamente 80 e >90% per lo pneumococco, 90 e 99% per Legionella pneumophila sierogruppo 1. Uno dei vantaggi dei test urinari è la persistente positività anche dopo l’inizio di una terapia antibiotica. In laboratori specializzati è anche possibile effettuare ricerche biomolecolari con PCR (polymerase chain reaction) per diversi agenti patogeni. I test sierologici utilizzati per la ricerca di anticorpi possono avere un ruolo nella diagnosi di polmoniti virali o da agenti “atipici”, ma in realtà il loro valore diagnostico è limitato dalla necessità di iniziare rapidamente una terapia empirica prima di avere ottenuto una risposta.

Classificazione prognostica e luogo di cura Dopo la diagnosi di CAP la decisione successiva è il luogo dove curare il paziente. Infatti, la gran parte delle decisioni diagnostiche e terapeutiche delle CAP sono condizionate dalla valutazione iniziale della gravità del quadro clinico e della conseguente scelta del luogo di cura. Tale tipo di approccio è utile per evitare da un lato ospedalizzazioni inutili, dall’altro per migliorare la probabilità di sopravvivenza di pazienti che hanno indicazioni all’ospedalizzazione o al ricovero in terapia intensiva. I due indici maggiormente usati e validati per la classificazione prognostica delle CAP sono il PSI e il CURB-65. Il primo (Tab. 4.3) stratifica i pazienti in 5 classi di mortalità: viene suggerito che i pazienti in classe 1 e 2 vengano curati senza ospedalizzazione, i pazienti in classe 3 con un breve ricovero in unità di osservazione, e i pazienti in classe 4 e 5 vengano ospedalizzati. Il CURB-65, elaborato dalla British Thoracic Society (BTS) è di più immediato utilizzo e prende in considerazione 5 parametri: confusione mentale, azotemia >20 mg/dl, frequenza respiratoria >30 atti/min, pressione arteriosa diastolica <60 mmHg e sistolica <90 mmHg, età >65 anni. A ogni parametro viene assegnato un punto e viene sugge-

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rito che i pazienti con punteggio 0-1 vengano curati a domicilio/ambulatorio, i pazienti con punteggio 2 vengano ospedalizzati e quelli con punteggio >2 vengano ricoverati in terapia intensiva. La decisione di ricoverare un paziente direttamente in un reparto di terapia intensiva deve essere suffragata da un’accurata valutazione prognostica. Vi sono due criteri maggiori che pongono un’indicazione assoluta al ricovero in terapia intensiva: lo shock settico o la necessità di intubazione endotracheale con ventilazione meccanica. Sono stati elaborati anche criteri minori (Tab. 4.4) e viene suggerito che la presenza di tre di essi giustifichi il ricovero in terapia intensiva. I punteggi e i criteri prognostici servono di supporto al percorso decisionale del medico, che tuttavia deve anche prendere in considerazione altri fattori, come la possibilità del paziente di essere adeguatamente curato a domicilio o in ambulatorio, oppure la possibilità di una variazione dei parametri prognostici in poche ore. Tabella 4.3 Indice di gravità della polmonite (Pneumonia Severity Index Score, PSI) Caratteristiche del paziente

Punteggio

Età maschi Età femmine Casa di riposo per anziani Neoplasie Epatopatie Insufficienza cardiaca Vasculopatie cerebrali Nefropatie Alterazioni del respiro Frequenza respiratoria >30/min Pressione arteriosa <90 mmHg Temperatura corporea <35 °C o >40 °C Frequenza cardiaca >125/min pH <7,35 Azotemia >10,7 mmol/l Sodio <130 mEq/l Glucosio >13,9 mmol/l/TD> Ematocrito <30% PO2 <60 mmHg e/o satO2 <90% Versamento pleurico

n. anni n. anni –10 +10 +30 +20 +10 +10 +10 +20 +20 +20 +15 +10 +30 +20 +20 +10 +10 +10 +10

Rischio

Classe di rischio

Punteggio

Basso Basso Basso Medio Elevato

1 2 3 4 5

<70 71-90 91-130 >130

Punteggi >90 sono indicativi per ricovero ospedaliero e terapia antibiotica infusionale.


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Tabella 4.4 Criteri minori di CAP grave

FOCUS ON

• Frequenza respiratoria >30 atti/minuto • Ipotermia (temperatura interna <36 °C) • Ipotensione che richiede una reintegrazione aggressiva dei liquidi

Linee

• Confusione/disorientamento

• Le linee guida (LG) diagnostiche o terapeutiche

• Infiltrati multilobari • PaO2/FiO2 ≥250 • Uremia (BUN ≥20 mg/dl) • Leucopenia (conta globuli bianchi <4000 cellule/μl) • Trombocitopenia (conta piastrinica <100.000 cellule/mm3)

Trattamento empirico delle CAP Una volta che si è posta diagnosi di polmonite è necessario iniziare un trattamento antibiotico empirico, in attesa dell’eventuale accertamento eziologico. È opportuno che la scelta della terapia antibiotica, pur guidata dal quadro clinico ed epidemiologico del singolo paziente nello specifico contesto assistenziale, sia fondata su linee guida (vedi Focus on: Linee guide e CAP, in questa pagina), che prendono in considerazione le conoscenze derivanti dalla letteratura scientifica più recente. Le linee guida IDSA/ ATS, pubblicate nel 2007, sono tra le più seguite. Esse stratificano le raccomandazioni a seconda che il paziente sia curato in regime extraospedaliero o in regime di ricovero ordinario o in terapia intensiva. 1. Pazienti curati in regime extraospedaliero. • Precedentemente sani e senza fattori di rischio per Streptococcus pneumoniae resistente: – un macrolide (azitromicina, claritromicina, eritromicina); – doxiciclina. • Presenza di co-morbidità (cardiopatie, pneumopatie, nefropatie, epatopatie croniche, neoplasie, diabete, alcolismo, splenectomia); immunodepressione o uso di farmaci immunosoppressivi; uso di antibiotici nei 3 mesi precedenti: – fluorochinolone respiratorio (moxifloxacina, levofloxacina; – un β-lattamico (amoxicillina 3 g/die o amoxicillina/clavulanato 4 g/die o ceftriaxone o cefpodoxime o cefuroxime) + un macrolide. La doxiciclina è un’alternativa al macrolide. 2. Pazienti curati in regime di ricovero ordinario (non-terapia intensiva). • Un fluorochinolone respiratorio; • Un β-lattamico (ceftriaxone, cefotaxime, ampi-

guida e

CAP

sono la sintesi di raccomandazioni sviluppate sistematicamente da gruppi di esperti (panel), sulla base di conoscenze scientifiche continuamente aggiornate e di alta qualità scientifica, che vengono periodicamente redatte e pubblicate allo scopo di rendere appropriato un determinato comportamento clinico. • Esse sono una base conoscitiva di partenza per orientare gli specifici comportamenti nella singola istituzione o nel singolo caso clinico. Non si tratta di procedure obbligatorie (in tal caso si parla di protocollo o di codice), ma di indicazioni fortemente consigliabili. Le LG solitamente descrivono le varie possibilità decisionali e le relative probabilità di successo, in modo che il medico possa orientarsi nella grande mole di informazioni scientifiche pubblicate, e il paziente possa esprimere consapevolmente le proprie preferenze e il proprio consenso. • Per quanto riguarda le CAP, due ampi studi multicentrici, uno spagnolo e uno italiano, hanno esaminato l’impatto dell’aderenza alle LG pubblicate. In entrambi è stata dimostrata un’associazione tra buona aderenza alle LG e una diminuzione della mortalità e lunghezza del ricovero per CAP, soprattutto per i pazienti ricoverati in terapia intensiva.

cillina, ertapenem in pazienti selezionati con rischio di infezione da Gram-negativi diversi da Pseudomonas aeruginosa) + un macrolide. 3. Pazienti curati in terapia intensiva. • Un β-lattamico (ceftriaxone, cefotaxime, ampicillina/sulbactam) + azitromicina oppure un fluorochinolone. La maggior parte degli agenti eziologici di CAP viene trattata con i regimi terapeutici sopra indicati. Restano esclusi due importanti patogeni responsabili di CAP in una piccola quota di pazienti. Si tratta di Pseudomonas aeruginosa e di Staphylococcus aureus meticillino-resistente acquisito in comunità (CA-MRSA). Altri agenti eziologici si riscontrano in situazioni cliniche o epidemiologiche particolari, per le quali una terapia empirica potrebbe essere consigliata. In


Capitolo 4 – Polmoniti

Tabella 4.5 Criteri di stabilità clinica delle CAP • Temperatura

≤37,8 °C

• Frequenza cardiaca

≤100/min

• Pressione arteriosa sistolica

≥90 mmHg

• Frequenza respiratoria

≤24/min

• Saturazione arteriosa O2

≥90% oppure pO2 ≥60 mmHg

• Capacità di alimentazione orale • Stato mentale normale

Fonte: IDSA/ATS Consensus Guidelines on the management of CAP in adults, Clinical Infectious Diseases, 2007. Riprodotta con permesso.

ogni caso, una volta effettuato l’accertamento eziologico, le indicazioni sono le seguenti: • per infezioni da Pseudomonas aeruginosa: – un β-lattamico antipneumococco e anti-Pseudomonas (piperacillina/tazobactam, cefepime, meropenem, imipenem/cilastatin) + ciprofloxacina o levofloxacina, – un β-lattamico antipneumococco e anti-Pseudomonas + un aminoglicoside + azitromicina, – un β-lattamico antipneumococco e anti-Pseudomonas + un aminoglicoside + un fluorochinolone anti-Pseudomonas; • per infezioni da Staphylococcus aureus meticillinoresistente acquisito in comunità (CA-MRSA), aggiungere vancomicina o linezolid agli schemi di terapia empirica. La durata della terapia antibiotica per un paziente con CAP non complicata deve essere non inferiore a 5 giorni. Prima di sospendere la terapia il paziente deve comunque essere apiretico da almeno 48-72 ore e deve avere non più di un segno di instabilità clinica, definita secondo i criteri di stabilità evidenziati nei trial clinici e riassunti in Tabella 4.5.

Polmoniti

associate a cure sanitarie (HCAP,

il fenomeno dell’antibiotico-resistenza è tipico delle HCAP, come di tutte le infezioni associate a cure sanitarie. Un numero crescente di pazienti hanno polmoniti da germi multiresistenti (multidrug resistant, MDR). Sono stati individuati dei fattori di rischio associati all’eziologia da germi MDR delle HCAP, VAP, CAP (Tab. 4.6). La frequenza di patogeni MDR può variare da singolo ospedale, nazione, gruppo di pazienti, tipo di terapia intensiva, esposizione ad antibiotici: tutto ciò sottolinea la necessità di una sorveglianza epidemiologica locale e generale sempre aggiornata e accurata. La distinzione tra patogeni ospedalieri MDR e patogeni comunitari, meno netta che in passato, è ulteriormente complicata dal continuo dinamismo del fenomeno, talché agenti considerati tipicamente ospedalieri, come Staphylococcus aureus meticillinoresistente (MRSA) vengono isolati con crescente frequenza anche in infezioni comunitarie. Nel paziente ospedalizzato, soprattutto se debilitato, la flora commensale dell’orofaringe viene progressivamente sostituita da batteri Gram-negativi. Infatti, se la polmonite si manifesta entro 5 giorni dal ricovero, gli agenti batterici più frequenti sono Streptococcus pneumoniae e Haemophilus influenzae come nelle CAP, mentre nei giorni successivi, prevalgono i Gram-negativi. Un’altra importante differenza tra HCAP, HAP e VAP è la prognosi peggiore, con una letalità nettamente più alta rispetto alle CAP. Le polmoniti acquisite in ospedale sono il secondo tipo più frequente di infezione nosocomiale dopo le infezioni urinarie (vedi Cap. 26). Esse sono la principale causa di morTabella 4.6 Fattori di rischio per eziologia da germi MDR di HCAP, HAP, VAP

• Terapia antibiotica nei 3 mesi precedenti • Ospedalizzazione per oltre 5 giorni • Alta frequenza di antibiotico-resistenza nel territorio o nello specifico ospedale • Presenza di fattori di rischio per HCAP

HAP, VAP)

La principale caratteristica che distingue le polmoniti associate a cure sanitarie dalle polmoniti acquisite in comunità è di tipo eziologico. Infatti, la microbiologia delle HCAP include patogeni che raramente si riscontrano nelle CAP, quali per esempio i batteri Gram-negativi, frequentemente in causa nelle infezioni nosocomiali in generale. Inoltre,

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– ospedalizzazione per più di due giorni nei 3 mesi precedenti – ricovero in unità di lungodegenza – terapia infusionale domiciliare – trattamento emodialitico nell’ultimo mese – trattamento domiciliare di ferite – familiare o convivente con germe MDR • Terapia immunosoppressiva o immunodeficienza


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Parte I - Argomenti di malattie infettive

te per infezione in pazienti ospedalizzati e hanno una letalità complessiva intorno al 30%. I fattori che espongono a un maggior rischio di acquisire una HAP si possono distinguere in fattori legati all’ospite, fattori legati al controllo delle infezioni ospedaliere e fattori legati alle procedure. Tra i fattori legati all’ospite vi sono l’età avanzata (>70 anni) e le co-morbidità, in particolare BPCO, coma, malnutrizione, alcolismo, acidosi metabolica, alterazioni del SNC. Tra i fattori correlati al controllo delle infezioni ospedaliere vi è il mancato rispetto del lavaggio delle mani e l’utilizzo di apparecchiature respiratorie contaminate. Tra i fattori di rischio legati alle procedure il più importante è la ventilazione meccanica, che definisce la categoria delle VAP. L’utilizzo di un tubo endotracheale per la ventilazione assistita è il più evidente strumento di superamento delle barriere di difesa meccanica dai patogeni respiratori; inoltre, la formazione di un biofilm sulla superficie del tubo stesso rende i batteri enormemente più resistenti all’azione degli antibiotici. Per quanto riguarda il quadro clinico, le HCAP non presentano caratteristiche peculiari rispetto alle CAP. Nei casi tipici, la sintomatologia caratterizzata da febbre, malessere, tosse produttiva, e i segni clinici e radiologici di addensamento polmonare rendono la diagnosi priva di ostacoli. Molto spesso, tuttavia, nel paziente ospedalizzato vi sono molti fattori confondenti, legati alle patologie concomitanti che rendono la diagnosi molto più complessa; tra i principali vanno ricordati l’edema polmonare, l’embolia polmonare, l’ARDS, le patologie polmonari croniche pre-esistenti. Inoltre, nel paziente affetto da gravi patologie debilitanti alcuni segni tipici come la febbre, la tosse o la leucocitosi possono mancare. Per la diagnosi eziologica di HCAP, HAP e, soprattutto, di VAP, è necessario raccogliere campioni dalle secrezioni respiratorie inferiori. Ciò è possibile attraverso un aspirato endotracheale, un lavaggio broncoalveolare o la raccolta del campione distale con spazzole protette. I vari metodi di analisi quantitativocolturale servono per distinguere tra colonizzazione delle vie aeree inferiori e vera infezione.

Terapia delle HCAP, HAP, VAP Le linee guida ATS/IDSA enfatizzano la necessità di un inizio tempestivo della terapia antibiotica delle HCAP, in quanto è dimostrato che un inizio ritardato è associato a una più alta mortalità. Le evidenze scientifiche sono più ampie per le VAP e i dati vengono per analogia estrapolati anche alle HAP e HCAP

in generale. Laddove possibile, la terapia andrebbe iniziata una volta raccolti i campioni diagnostici. Un primo approccio decisionale è fondato sul rischio che un singolo paziente ha di avere una polmonite da germi MDR (Fig. 4.2). Secondo le linee guida ATS/IDSA il trattamento antibiotico empirico consigliato nei pazienti con HCAP (comprese le HAP e le VAP) a esordio precoce e senza fattori di rischio per germi MDR, indipendentemente dalla gravità, è la seguente: ceftriaxone oppure un chinolonico respiratorio (levofloxacina, moxifloxacina, ciprofloxacina); oppure ampicillina/ sulbactam; oppure ertapenem. Invece, nei pazienti con fattori di rischio per germi MDR, oppure ricoverati da più tempo, è consigliato utilizzare tre antibiotici di cui uno anti-MRSA (Fig. 4.3). Si ribadisce ancora, tuttavia, che le scelte di terapia empirica devono fondarsi su un’accurata analisi della situazione microbiologica locale. Se le indagini microbiogiche permettono di stabilire con sufficiente certezza l’agente eziologico, è possibile in molti casi ridurre il regime di combinazione; solo una minoranza di pazienti richiede un intero ciclo di trattamento a tre farmaci. Se vi è una buona risposta clinica, essa si manifesta nelle prime 48-72 h dall’inizio del trattamento antibiotico. Il quadro radiologico migliora più lentamente e, anzi, nei primi giorni si può anche osservare un peggioramento della radiografia del torace. Nei casi con buona risposta la terapia si può sospendere dopo 8-10 giorni. La prognosi delle VAP è comunque molto grave, in particolare quando l’eziologia è da Pseudomonas MDR

Sospetta HCAP, HAP o VAP

Esordio tardivo (>5 gg) o fattori di rischio per germi MDR No Sì

Terapia antibiotica a spettro ristretto

Terapia antibiotica ad ampio spettro per patogeni MDR

Figura 4.2 Algoritmo iniziale per la scelta della terapia empirica nelle HCAP (comprese HAP e VAP).


Capitolo 4 – Polmoniti

Una Una cefalosporina cefalosporinaanti-Pseudomonas anti-Pseudomonas (cefepime ooceftazidime) (cefepime ceftazidime) oppure anti-Pseudomonas (imipeoppure un uncarbapenemico carbapenemico anti-Pseudomonas nem o meropenem) (imipenem o meropenem) oppurepiperacillina/tazobactam piperacillina/tazobactam oppure + chinolonico respiratorio respiratorio ooun UnUnchinolonico unaminoglicoside aminoglicoside + glicopeptide (vancomicina (vancomicina ooteicoplanina) UnUnglicopeptide teicoplanina) linezolid o olinezolid

Figura 4.3 Terapia empirica delle HCAP (comprese HAP e VAP) in pazienti con fattori di rischio per germi MDR.

o da Acinetobacter MDR o da MRSA. I deludenti risultati, in particolare nel trattamento della VAP da Pseudomonas, hanno indotto allo studio di approcci terapeutici alternativi, come l’utilizzo di antibiotici per aerosol (vedi Focus on: La somministrazione di antibiotici per aerosol, in questa pagina).

Polmonite pneumococcica Streptococcus pneumoniae (pneumococco), già riconosciuto come causa della polmonite lobare alla fine dell’Ottocento, rimane ancora oggi l’agente eziologico più comune di polmonite batterica, tuttora gravata da significativa morbilità e mortalità. È un diplococco capsulato Gram-positivo, con una parete cellulare i cui costituenti principali sono l’acido teicoico e il peptidoglicano. Gli enzimi transpeptidasi e carbossipeptidasi consentono i legami di numerose catene peptidiche laterali che garantiscono l’integrità della parete. Gli antibiotici β-lattamici agiscono precisamente su tali enzimi legandosi al loro sito attivo. Una caratteristica peculiare di tutti i ceppi di S. pneumoniae è la sostanza C, un polisaccaride costituito da acido teicoico con un residuo di fosforilcolina. La virulenza di S. pneumoniae è in gran parte dovuta alla presenza della capsula polisaccaridica che ne ostacola la fagocitosi. A seconda della struttura della capsula polisaccaridica, si distinguono 90 sierotipi del germe, dato clinicamente rilevante per la preparazione e l’attività dei vaccini antipneumococco. S. pneumoniae, oltre a essere l’agente eziologico più comune di polmonite batterica, può causare con elevata frequenza infezioni dell’orecchio medio, sinusite, meningo-encefalite e setticemia.

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FOCUS ON La

somministrazione di antibiotici per aerosol

• La somministrazione di antibiotici per aerosol ha il vantaggio teorico di dare elevate concentrazioni di farmaco nel sito di infezione, evitando la tossicità sistemica. • La frequenza di VAP causate da batteri Gramnegativi MDR è andata crescendo negli ultimi anni e alcuni dei farmaci nei confronti dei quali è spesso conservata una discreta sensibilità sono gli aminoglicosidi e la colistina, gravati da una tossicità sistemica che spesso ne limita l’uso. • Nella letteratura più recente è stato dimostrato un beneficio in termini di mortalità dell’utilizzo di colistina in pazienti con VAP da Pseudomonas MDR o Acinetobacter MDR. Sebbene meno estese, anche le esperienze con l’uso di aminoglicosidi (per le VAP da Gram-negativi) o vancomicina (per le VAP da MRSA) per aerosol sembrano incoraggianti. • I potenziali svantaggi dell’uso di antibiotici per aerosol sono: la tossicità locale, potenzialmente grave, come il broncospasmo; la concentrazione non sempre prevedibile di farmaco nello specifico sito di infezione; la possibilità di fattori inibenti l’attività dell’antibiotico nelle secrezioni tracheali; l’emergenza di ceppi microbici resistenti, così come per la somministrazione parenterale.

La polmonite pneumococcica può colpire soggetti di qualunque età, sebbene sia più comune nelle età estreme. Spesso vi è uno o più fattori di rischio predisponenti all’acquisizione della polmonite pneumococcica. Tra questi ricordiamo l’esposizione a una precedente malattia respiratoria virale (tipicamente l’influenza) (vedi Focus on: L’interazione fra influenza e polmonite pneumococcica, pag. 32), le broncopneumopatie croniche ostruttive, l’alcolismo, la malnutrizione, il diabete, la cirrosi epatica, le cardiopatie degenerative. La frequente co-esistenza di tali fattori nell’anziano rende ragione della maggiore frequenza e gravità della polmonite pneumococcica in tale popolazione. Malattie pneumococciche gravi, compresa la polmonite, sono state associate alla pregressa splenectomia e a deficit dell’immunità umorale (per esempio, in corso di mieloma, linfoma, infezione da HIV).


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Parte I - Argomenti di malattie infettive

FOCUS ON L’interazione

fra influenza e polmonite pnemococcica

• Molte malattie virali delle alte e basse vie respiratorie predispongono a sovrainfezioni batteriche a livello polmonare. I germi più comunemente coinvolti in tali complicanze sono Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae, Staphylococcus aureus, Streptococcus piogenes. La più nota e più rilevante interazione a livello polmonare è qualla tra virus influenzali e pneumococco. • L’interazione tra influenza e polmonite pneumococcica è nota da molto tempo e già dagli anni Trenta del secolo scorso se ne iniziarono a definire i contorni epidemiologici e patogenetici. Tale sinergismo patogenetico e clinico (insieme a ragioni di carattere sociale) ha causato l’impatto catastrofico in termini di morbilità e mortalità della pandemia di influenza spagnola del 1918. La mortalità per influenza nel corso delle epidemie influenzali può essere causata direttamente dalla malattia virale, in rapporto alla virulenza del ceppo, oppure al precipitare di condizioni predisponenti, oppure alla co-infezione con pneumococco, ma dai dati epidemiologici è difficile distinguere l’impatto relativo di ciascuna causa. • Un grande mole di dati sperimentali e anatomo-patologici suggeriscono che le interazioni influenza-pneumococco sono multifattoriali e possono essere mediate da: – danno epiteliale della mucosa respiratoria provocato dai virus influenzali, che favorisce l’adesione batterica a elementi della membrana basale; – ostruzione delle vie aeree distali provocata da danno al surfactant e produzione di muco, che a loro volta ostacolano la clearance ciliare dei batteri patogeni. Nei pazienti con malattie polmonari croniche tale effetto è particolarmente accentuato; – esposizione, attraverso la loro up-regulation, di recettori delle vie aeree distali, ai quali lo pneumococco può aderire. Tale esposizione di recettori criptici può essere provocata dall’azione enzimatica di neuraminidasi virale o batterica; – alterazione della risposta immune locale e generale, sia diminuendo la capacità dell’ospite di eliminare pneumococco, sia amplificando la cascata infiammatoria.

Sintomatologia All’esordio il paziente si presenta spesso sofferente, con tosse insistente e produzione di escreato mucopurulento o rugginoso, dispnea, dolore toracico puntorio, febbre elevata preceduta da brivido, obnubilamento del sensorio. A volte la febbre manca e l’ipotermia in corso di polmonite è un fattore prognostico sfavorevole, associato ad aumento della mortalità. In alcuni casi, soprattutto nell’anziano, l’esordio può essere più insidioso e non orientare subito verso la diagnosi di polmonite. In una discreta percentuale di casi coesistono anche sintomi addominali, con nausea, vomito e diarrea. In circa la metà dei casi si ha il reperto obiettivo classico di ipofonesi plessica, con aumento del fremito vocale tattile, espressione del consolidamento parenchimale. Il reperto auscultatorio varia a seconda della fase della malattia: in fase precocissima si apprezzano fini rantoli crepitanti inspiratori che subito lasciano spazio a un soffio bronchiale; nell’evoluzione verso la guarigione si ascoltano poi

nuovamente fini rantoli in- ed espiratori con crepitazione diffusa. In alcuni pazienti con polmonite pneumococcica, soprattutto anziani, si manifesta uno stato di confusione mentale con disorientamento temporospaziale. Tale dato può essere in rapporto all’ipossia, a sua volta provocata dall’insufficienza respiratoria o dalla febbre elevata nel contesto di una patologia degenerativa cerebrale cronica; è importante tuttavia prendere in considerazione anche la possibilità di una meningo-encefalite pneumococcica, data la frequente localizzazione del germe a livello del SNC. Il dato di laboratorio più comune nella polmonite pneumococcica è la leucocitosi neutrofila. Nella piccola percentuale di casi con bassa conta dei globuli bianchi (<6000/mmc), vi è una netta associazione con una prognosi sfavorevole. Il quadro radiologico della polmonite pneumococcica è caratteristico, con consolidamento alveolare a estensione lobare, multilobare o segmentaria, con broncogramma aereo. In oltre la metà dei casi è presente anche un versamento pleurico, che a volte può essere massivo.


Capitolo 4 – Polmoniti

La più frequente complicanza della polmonite pneumococcica è l’empiema pleurico, che si sviluppa per contiguità dal focolaio polmonare primitivo attraverso la circolazione linfatica o per disseminazione ematogena. Tale quadro, gravato da una prognosi severa, va distinto dal semplice versamento pleurico parapneumonico. Spesso per risolvere l’empiema è necessario procedere a un drenaggio chirurgico.

Diagnosi eziologica La diagnosi eziologica di polmonite pneumococcica è possibile con l’esame dell’espettorato, con l’emocoltura e con la ricerca di antigene urinario. Con un quadro clinico compatibile, un espettorato ricco di polimorfonucleati e diplococchi Gram-positivi (Fig. 4.4, Tavole a colori) è fortemente suggestivo per polmonite pneumococcica; in presenza di tale reperto all’esame diretto, l’esame colturale positivo per S. pneumoniae sarà necessario per la conferma diagnostica. La positività delle emocolture, che hanno una specificità altissima, è presente in circa un quarto dei pazienti. La ricerca di antigene urinario di pneumococco ha il vantaggio di essere molto rapida (circa 15 minuti) e di rimanere positiva anche dopo l’inizio di una terapia antibiotica; ha una sensibilità del 50-80% e una specificità >90%.

Terapia Fino agli anni Settanta la penicillina è stata il farmaco di prima scelta nel trattamento delle malattie pneumococciche. Successivamente, è andata progressivamente allargandosi la quota di ceppi penicillino-resistenti, seppure con una spiccata variabilità nelle diverse nazioni. I dati europei e italiani sono illustrati nella Figura 4.5. Il meccanismo di resistenza alla penicillina consiste in alterazioni delle PBPs (penicillin-binding proteins). Tali alterazioni si verificano in grado diverso, per cui si definiscono convenzionalmente una sensibilità intermedia o una piena resistenza. Seppure i ceppi sensibili siano ovviamente più suscettibili dei ceppi intermedi, questi ultimi possono essere anche trattati con successo (tranne che nei casi di meningite) con alte dosi di penicillina o altri farmaci β-lattamici. Nei casi di polmonite pneumococcica penicillinosensibile il farmaco di prima scelta è la penicillina al dosaggio di 3-4 M unità ev ogni 4 ore. Nei pazienti non ospedalizzati in cui si scelga una terapia orale si può utilizzare l’amoxicillina al dosaggio di 3 g/die. In

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caso di penicillino-resistenza, il farmaco andrà scelto sulla base delle diverse suscettibilità e delle MIC; agenti attivi sono ceftriaxone, cefotaxime, i fluorochinoloni, vancomicina, linezolid.

Prevenzione La disponibilità di vaccini anti-pneumococco offre l’opportunità di ridurre grandemente l’incidenza e di conseguenza la mortalità delle malattie da pneumococco. Esistono due tipi di vaccino, il polisaccaridico e il coniugato. Il vaccino polisaccaridico ha 23 tipi antigenici e ha una buona efficacia nei confronti del 90% dei ceppi che causano malattie pneumococciche invasive. È utilizzato negli adulti e nei bambini grandi, in quanto non suscita una risposta anticorpale efficace nei bambini di età inferiore ai 2 anni. Il vaccino coniugato è formato dai polissaccaridi capsulari appartenenti ai 13 sierotipi antigenici più comuni che causano patologie. Il legame covalente di questi polisaccaridi a una struttura proteica non tossica rende tale vaccino più immunogeno, specialmente nei bambini. Dal 2011, tuttavia, la Food and Drug Administration (FDA) ne ha approvato l’uso anche negli adulti sopra ai 50 anni e, dal 2012, ne ha esteso l’indicazione anche a individui di età maggiore o uguale a 19 anni con asplenia (anatomica e funzionale) e condizioni di immunosoppressione (per esempio, HIV, cancro), o portatori di fistole liquorali, impianti cocleari o malattia renale avanzata. Le politiche di offerta vaccinale sono diverse nelle varie nazioni. In Italia la vaccinazione anti-pneumococcica è consigliata per tutti i nuovi nati e per gli adulti di età >65 anni o affetti da patologie cronicodegenerative (per esempio, BPCO, enfisema, cardiopatie croniche) o da patologie immunodepressive (per esempio, asplenia, infezione da HIV, insufficienza renale, tumori del sangue, altre neoplasie diffuse, trapianti ecc.). La prevenzione delle malattie da pneumococco è di fatto l’intervento principale (insieme alla vaccinazione antinfluenzale) per la prevenzione della CAP, dato che S. pneumoniae è in tutte le casistiche l’agente eziologico più frequente di polmonite.

Polmonite da Mycoplasma pneumoniae I micoplasmi sono piccoli microrganismi aerobi obbligati, privi di parete cellulare. Per le loro caratteristiche sono difficilmente coltivabili. Nell’uomo sono state isolate 17 specie di micoplasmi, quasi tutte commensali. Tra le specie patogene, Mycoplasma pneumoniae è l’agente eziologico più frequente del-


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Parte I - Argomenti di malattie infettive

Figura 4.5 Frequenza di Streptococcus pneumoniae penicillino-resistente isolato da pazienti con malattie invasive nel 2014. Fonte: European Centre for Disease Prevention and Control. Antimicrobial Resistance Surveillance in Europe 2014. Stockholm: ECD, 2015. © European Center for Disease Prevention and Control, 2015.

la polmonite una volta definita “atipica”, per distinguerla dalla “classica” polmonite batterica, prevalentemente pneumococcica. M. pneumoniae aderisce agli epiteli ciliati tramite adesine particolari, si attacca vicino al ciglio dell’epitelio, bloccandolo e danneggiandolo, con conseguente irritazione e tosse. L’infezione da M. pneumoniae stimola la produzione di auto-anticorpi agglutinanti a 4 °C gli eritrociti umani (agglutinine a frigore), il che clinicamente può esprimersi in alcuni casi come anemia emolitica. L’infezione da M. pneumoniae è ubiquitaria e colpisce preferibilmente nella fascia di età dai 5 ai 20 anni. Il quadro clinico più caratteristico dell’infezione da M. pneumoniae è la polmonite, ma più frequentemente è asintomatica o si manifesta come un’affezione delle prime vie aeree, del tutto indistinguibile da quadri simili, a eziologia virale. La polmonite da M. pneumoniae esordisce con febbre, tosse secca e cefalea, talvolta intensa. Il dolore toracico, se presente, è in rapporto alla tosse insistente piuttosto che all’interessamento pleurico, che è di raro riscontro. Come nelle altre polmoniti

definite “atipiche” il reperto ascoltatorio toracico è quasi sempre normale. Dal punto di vista radiologico il quadro è quello di un’ipodiafania parenchimale “a vetro smerigliato”, caratteristico delle polmoniti interstiziali. Solo nelle forme più impegnative vi è una successiva evoluzione verso un addensamento più marcato, espressione di coinvolgimento alveolare. Pur potendo essere protratta nel tempo, l’evoluzione della polmonite da M. pneumoniae è per lo più benigna, potendosi tuttavia osservare casi gravi nei soggetti immunodepressi o affetti da emoglobinopatie. L’infezione da M. pneumoniae si può complicare con una notevole quantità di manifestazioni extrapolmonari (Tab. 4.7), che si ritiene possano avere una patogenesi prevalentemente immunopatologica. La diagnosi di malattia da M. pneumoniae è sierologica ed è fondata sulla ricerca delle IgM specifiche. Le agglutinine a frigore, che compaiono dopo circa una settimana dall’esordio clinico, pur non essendo specifiche, sono suggestive di polmonite da M. pneumoniae se sono presenti a titolo ≥1:32, in presenza di un quadro clinico compatibile. Gli esami batteriologici per l’isolamento del microrganismo sono lunghi e complessi, quindi non


Capitolo 4 – Polmoniti

Tabella 4.7 Manifestazioni extrapolmonari dell’infezione da Mycoplasma pneumoniae Apparato

Manifestazioni

Dermatologico

Eritema multiforme Esantema maculopapulare Esantema vescicoloso Eritema nodoso Orticaria

Cardiovascolare

Miocardite Pericardite

Neurologico

Encefalite Meningite asettica Atassia cerebellare Sindrome di Guillain-Barrè Mielite trasversa Poliradiculopatia

Reumatologico

Artralgie Artrite Spondiloartropatia giovanile

Ematologico

Anemia emolitica Coagulopatie

Fonte: Fauci A.S. et al. Harrison. Principi di Medicina Interna, 17a ed., Milano: McGraw-Hill, 2009.

vengono abitualmente utilizzati nella pratica clinica. Anche altri accertamenti microbiologici come la ricerca nelle secrezioni respiratorie di antigeni specifici mediante immunofluorescenza o metodo immunoenzimatico non rivestono importanza pratica. Più promettenti sono gli esami di amplificazione genica (anche multipla), ma non sono ancora entrati nella routine clinica. La terapia della polmonite da M. pneumoniae è fondata sull’uso dei chinoloni o dei macrolidi o delle tetracicline. La terapia antibiotica abbrevia il decorso della malattia e ne attenua la sintomatologia, ma non sempre provoca l’eradicazione del microrganismo che può rimanere come colonizzatore delle vie aeree anche per mesi.

Polmonite da Legionella pneumophila I batteri del genere Legionella causano nell’uomo due malattie. 1. La febbre di Pontiac, che è una sindrome similinfluenzale benigna a risoluzione spontanea. In alcuni casi può residuare un’astenia che dura alcune settimane. La diagnosi è possibile attraverso la dimostrazione di una sieroconversione anticorpale e nella maggioranza dei casi non è necessaria alcuna terapia antibiotica. 2. La polmonite da Legionella pneumophila, o legionellosi, o malattia dei Legionari, che è una

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malattia comune, a prognosi piuttosto severa. Dal punto di vista anatomo-patologico la legionellosi è una polmonite a focolai multipli fibrino-purulenta con alveolite e bronchiolite.

Eziologia ed epidemiologia Legionella pneumophila è un bacillo Gram-negativo aerobio che ha come serbatoio naturale l’acqua e che si può trovare nei fiumi, torrenti, acque termali, laghi. In patologia umana, L. pneumophila è un microrganismo intracellulare. È un germe molto resistente che sopravvive in condizioni ambientali estreme, da 0° a 63 °C, a pH da 5,0 a 8,5; è in grado di sopravvivere per anni a temperature da 2 a 8 °C. In ambienti artificiali prolifera nelle torri di raffreddamento degli impianti di aerazione e nei sistemi di distribuzione delle acque. L. pneumophila è in grado di esprimersi fenotipicamente come biofilm, per cui la sua eradicazione all’interno dei serbatoi e delle reti di distribuzione idrica richiede l’uso di disinfettanti in grado di penetrare nel biofilm stesso. Tra i pazienti con CAP ospedalizzati in reparti comuni o in terapia intensiva, L. pneumophila è uno degli agenti eziologici più frequenti, essendo responsabile del 2-10% dei casi. Sono stati individuati alcuni fattori di rischio che predispongono all’acquisizione di legionellosi: BPCO, fumo di sigaretta, età avanzata, ospedalizzazione con dimissione nei 10 giorni precedenti, immunodepressione. Tra i pazienti immunodepressi i più predisposti sono i trapiantati, i soggetti con infezione da HIV e i pazienti trattati con TNF-α. La trasmissione all’uomo avviene attraverso l’aerosolizzazione o l’aspirazione di acque contaminate e la porta d’ingresso è pertanto quasi sempre l’albero respiratorio. Anche nelle forme di legionellosi nosocomiale, la trasmissione è stata messa in rapporto all’aspirazione di acqua contaminata, attraverso intubazione endotracheale o anche sondini naso-gastrici.

Sintomatologia La legionellosi, inizialmente inquadrata nosograficamente tra quelle che in passato venivano definite “polmoniti atipiche” condivide con esse il quadro di esordio, caratterizzato da malessere generale, astenia, anoressia, cefalea e tosse non produttiva, cioè con scarsa o nulla produzione di escreato. In realtà, l’evoluzione clinica della legionellosi è solitamente più complessa e grave delle altre polmoniti “atipiche”. Ciò è dimostrato dal fatto che i pazienti con legionellosi


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Parte I - Argomenti di malattie infettive

acquisita in comunità hanno una maggiore probabilità di essere ospedalizzati e di essere assistiti in terapia intensiva. L’incubazione è di 2-10 giorni. La febbre è spesso molto alta e in un elevato numero di casi (fino al 50%) oltre ai sintomi respiratori si osservano sintomi addominali (nausea, vomito, diarrea, dolore addominale). Non è raro osservare anche una sintomatologia neurologica (cefalea, letargia, alterazione dello stato di coscienza), che è un indice prognostico sfavorevole. Tra i dati di laboratorio l’iponatremia è caratteristica della polmonite da Legionella; spesso si osservano alterazione degli indici di funzionalità epatica, ipercreatininemia, ematuria. La legionellosi è un’infezione polmonare con disseminazione sistemica, quindi è possibile osservare localizzazioni extrapolmonari: miocardio-pericardite, pielonefrite, infezioni di cute e tessuti molli, artrite settica, pancreatite. Queste ultime localizzazioni si osservano più frequentemente nelle forme nosocomiali, nei pazienti immunocompromessi. La prognosi della legionellosi è buona nell’ospite immunocompetente in cui la terapia sia iniziata precocemente, mentre è più grave nell’immunocompromesso e raggiunge una letalità del 50% nelle forme nosocomiali, soprattutto se la terapia è iniziata tardivamente. A volte si osserva un peggioramento radiologico e clinico nonostante un’adeguata terapia antibiotica.

Diagnosi Il quadro radiologico è quello di un infiltrato alveolare unico o multiplo, prevalente ai lobi inferiori. I versamenti pleurici sono comuni. Nei casi più gravi l’evoluzione può essere verso l’ascessualizzazione degli infiltrati. La diagnosi eziologica più rapida e accurata si ottiene con la ricerca dell’antigene urinario di Legionella. Il test si positivizza dopo circa tre giorni dall’esordio clinico e rimane positivo per molte settimane. Presenta il vantaggio di essere di facile esecuzione, poco costoso e di non essere influenzato dalla somministrazione di antibiotici. La colorazione di Gram delle secrezioni respiratorie solitamente non permette di evidenziare la presenza del microrganismo e la coltura richiede l’utilizzo di terreni selettivi. Le indagini sierologiche, importanti dal punto di vista epidemiologico, sono meno rilevanti per la diagnosi clinica nel singolo paziente.

Terapia La terapia si fonda sull’utilizzo di farmaci ad attività intracellulare. Di prima scelta sono i macrolidi (azitromicina 500 mg/die, claritromicina 1 g in due

somministrazioni) o i fluorochinoloni (levofloxacina 500-750 mg/die, ciprofloxacina 800-1500 mg in due somministrazioni, moxifloxacina 400 mg/die). Altri farmaci attivi su L. pneumophila sono le tetracicline, tigeciclina, co-trimoxazolo, rifampicina.

Polmonite da Chlamydophila pneumoniae Le clamidie sono batteri intracellulari obbligati, appartenenti all’ordine Chlamydiales. Sono microrganismi con parete cellulare, simile ai Gram-negativi, e hanno la caratteristica di un complesso ciclo riproduttivo. Delle tre specie che causano patologia nell’uomo, Chlamydophila pneumoniae è un frequente agente eziologico di polmonite acquisita in comunità. Indagini sierologiche indicano che le infezioni da C. pneumoniae sono ubiquitarie e assai frequenti, ma non vi sono dati certi sull’incidenza della polmonite. Si ritiene che la trasmissione sia interumana attraverso le secrezioni respiratorie. Anche i dati sulla patogenesi, sono ancora piuttosto scarsi, anche se è stata dimostrata la possibilità di C. pneumoniae di replicarsi a distanza dall’apparato respiratorio e anche di suscitare reazioni infiammatorie e auto-immunitarie nell’ospite. Il quadro clinico della polmonite da C. pneumoniae non ha caratteri di specificità ed è indistinguibile da quello della polmonite da Mycoplasma pneumoniae. Spesso la localizzazione polmonare è preceduta da un’infezione delle prime vie aeree, con febbre, tosse secca, lieve malessere generale. Il reperto obiettivo toracico è negativo e la radiografia del torace mostra un quadro di piccoli infiltrati segmentali. La diagnosi è sierologica, con la ricerca delle IgM specifiche, che però solitamente compaiono non prima di 2-3 settimane dall’esordio clinico. I farmaci attivi contro C. pneumoniae sono la doxiciclina, i macrolidi e i chinoloni.

Polmonite da Staphylococcus aureus S. aureus rappresenta una rara ma ben documentata causa di CAP e gioca un ruolo predominante nelle infezioni respiratorie nei pazienti ospedalizzati (HCAP, HAP e VAP). La prevalenza di S. aureus nel tratto respiratorio (che aumenta sensibilmente in regime di ospedalizzazione) può portare a una grande varietà di eventi clinici, dalla colonizzazione asintomatica alla malattia invasiva fulminante. La polmonite necrotizzante (associata alla produzione di una particolare tossina stafilococcica, la leucocidina di Panton-Valentine) è stata inizialmente descritta in giovani adulti, precedentemente sani, successivamente a episodi simil-


Capitolo 4 – Polmoniti

influenzali, con rapida insorgenza di sintomi severi, leucopenia e sviluppo di formazioni cavitarie a livello parenchimale; ha un decorso fulminante con tassi di letalità superiori al 50%. Dato il tasso di isolati con resistenza alla meticillina, il trattamento empirico nel sospetto di polmonite da MRSA si basa sull’impiego di glicopeptidi (vancomicina o teicoplanina) o del linezolid, con una durata di terapia suggerita variabile fra 7 e 21 giorni, a seconda della risposta clinica.

Polmoniti virali Molte specie virali sono in grado di provocare infezioni delle vie aeree, sia per localizzazione primitiva, sia nel contesto di una malattia virale sistemica. Tra i virus con più spiccato tropismo polmonare vi sono i virus influenzali (soprattutto il virus dell’influenza A), il virus respiratorio sinciziale (RSV), gli adenovirus, i virus parainfluenzali 1, 2, 3. Negli ultimi anni sono stati identificati altri agenti virali di polmonite, tra i quali vanno segnalati per frequenza i metapneumovirus umani (HMPV) e per gravità i ceppi H5N1 di virus influenzale e i coronavirus associati alla SARS. Prima che fossero disponibili i test di indagine biomolecolare, l’incidenza di polmoniti virali era probabilmente sottostimata. Negli studi che hanno utilizzato i NATs (nucleic amplification tests) si è osservato che l’incidenza delle polmoniti virali nell’adulto oscilla tra il 2 e il 35%. Dal punto di vista clinico le polmoniti virali sono spesso più lievi e benigne delle polmoniti batteriche. La sintomatologia non è specie-specifica e, al di fuori di un contesto epidemico, è impossibile formulare su base clinica un sospetto diagnostico di tipo eziologico. La febbre è di entità variabile e ad andamento irregolare; i sintomi respiratori sono febbre, tosse, tachipnea o dispnea, dolore toracico. Spesso sono preceduti da sintomi delle prime vie aeree. Frequentemente coesistono sintomi extrapolmonari e nell’anziano può addirittura essere prevalente la sintomatologia neurologica associata a un’ipo-ossigenazione. Il quadro radiologico delle polmoniti virali è tipicamente di tipo interstiziale. Gli addensamenti parenchimali alveolari devono far sospettare una sovrainfezione batterica. La diagnosi eziologica nelle polmoniti virali si avvale degli esami colturali, della ricerca di antigeni virali, degli esami sierologici e dei NATs. I primi due sistemi mancano di sufficiente sensibilità e non sono diffusamente utilizzati. Gli esami sierologici sono utili per le indagini epidemiologiche, ma hanno un valore limitato nella pratica clinica. Al contrario, i test di amplificazione genica (in particolare la PCR) hanno un’eccellente

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sensibilità e specificità, anche se il loro uso è al momento limitato a laboratori con consolidata esperienza di indagini biomolecolari. I campioni biologici utilizzati per la diagnosi virologica sono il lavaggio broncoalveolare (in casi selezionati) o i tamponi nasofaringei. La terapia delle polmoniti virali è nella maggioranza dei casi sintomatica. Solo in caso di influenza eziologicamente accertata o fortemente sospetta per motivi epidemiologici, è possibile effettuare una terapia con inibitori della neuraminidasi, cioè oseltamavir e zanamavir. Entrambi i farmaci riducono la durata dei sintomi, il rischio di sovrinfezione batterica e la necessità di ospedalizzazione. La terapia, che va iniziata entro 48 ore dall’esordio clinico, è soprattutto consigliata nei pazienti a rischio, con una prognosi peggiore. Per un approfondimento sui rapporti fra malattie virali delle alte e basse vie respiratorie e sovrinfezioni batteriche a livello polmonare vedi Focus on: L’interazione fra influenza e polmonite pneumococcica, pag. 32.

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