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L’economia aziendale nelle istituzioni e nella società OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO In questo capitolo lo studente imparerà a conoscere:
• il significato del termine “economia aziendale”; • le dottrine di base sull’economia aziendale; • i diversi punti di vista per lo studio e la comprensione delle aziende.
1.1
Definizioni e dottrine di base sull’economia aziendale
La domanda che uno studente si pone quando si appresta a seguire un insegnamento universitario di base può essere così riassunta: quali sono i contenuti qualificanti, selettivi, specifici di questa disciplina e come si raccordano con gli altri insegnamenti vicini? Quali conoscenze-competenze consente di acquisire: innanzitutto i concetti e i quadri teorici sottesi (all’università si impara a teorizzare la realtà, a ricondurla e interpretarla entro quadri concettuali e metodologici precisi), il linguaggio scientifico utilizzato, la specificazione dei problemi, le metodologie specifiche ecc.? E quali sono gli autori fondamentali da ricordare e ai quali ogni tanto tornare per riprendere le fondamenta del “discorso” scientifico e applicativo della disciplina? Qui di seguito si mettono a disposizione alcuni spunti per rispondere a questa domanda di fondo come introduzione al “discorso” dell’economia aziendale oggi. Cominciamo con il termine “azienda”, oggi di moda in Italia: è molto diffuso, ha molti significati e si presta a molteplici e variegati utilizzi. Inserendo il termi-
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ne “azienda” nel motore di ricerca Google.it il 13 giugno 2011 si sono ottenuti 134 000 000 di risultati in 0,7 secondi (erano stati 1 090 000 il 2 luglio 2001 e 50 300 000 il 18 marzo 2007).
Approfondimento 1.1 I significati del termine “azienda” Scorrendo le citazioni si scoprono i mondi più variegati:
• grandi società multinazionali impegnate in strategie globali di produzione-distribuzione-finanza su pochi marchi di gran nome;
• piccole società su strategie di nicchia ad alta qualità e forte visibilità in-
ternazionale; • medie società di grande successo, ma meno conosciute perché impegnate in partnership di sub-fornitura con grandi marchi; • imprese familiari impegnate per molte generazioni nello stesso business; • imprese ad azionariato diffuso, ma con un nucleo forte, che operano in mercati nazionali ad alta competitività; • società sportive che sono da poco entrate in borsa; • organizzazioni non profit; • società impegnate nel business to business che forniscono servizi alle imprese come consulenza, web hosting o providing, design, promozione, marketing, ricerca ecc.; • società operanti nel business to consumer e che spaziano dai prodotti alimentari ai software, ai libri, alle apparecchiature elettriche ed elettroniche, agli abiti, alle scarpe ecc.; • società che offrono lavoro in rete; • aziende agricole locali e di livello europeo; • banche rurali di credito cooperativo; • banche a rilevanza nazionale e internazionale; • aziende di pubblica utilità: dai trasporti alla fornitura di luce, gas e acqua, dal settore ospedaliero e sanitario alla promozione turistica, dal settore dei servizi edili ai servizi di igiene ambientale, fino ai servizi di tipo formativo e culturale; • organizzazioni collegate con il mondo imprenditoriale, come le associazioni di categoria, le associazioni di donne imprenditrici e dirigenti d’azienda, le aziende regionali per lo sviluppo e l’innovazione; • società che erogano elenchi di aziende e di negozi con link con le Pagine gialle; • ambienti accademici che hanno come oggetto di studio l’azienda con indicazione di indirizzi web delle università, delle facoltà, dei corsi di laurea e di business school;
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• titoli di corsi professionali (FSE, IFTS), di corsi universitari (laurea triennale,
laurea specialistica, dottorato, corsi di perfezionamento, scuole di specializzazione), di master di primo o secondo livello o professionalizzanti; • titoli di tesi on line; • titoli di pubblicazioni scientifiche, professionali, o divulgative; • servizi di supporto legislativo; • rappresentanze sindacali e aziendali; • enti e servizi pubblici. Il termine “azienda” insomma è uscito dalla ristretta cerchia degli specialisti ed è divenuto linguaggio diffuso, patrimonio di più riferimenti professionali e operativi. È un termine che accomuna un insieme straordinariamente numeroso di entità anche molto diverse tra loro, tanto diverse da generare il legittimo dubbio che la categoria logica azienda finisca per risultare un agglomerato generico, dai contorni molto imprecisi e fumosi e, di conseguenza, possa risultare povero di rilevanza sul piano scientifico e pratico. Anche la difficoltà di trovare un efficace corrispondente in lingua inglese accentua tale incertezza.
Approfondimento 1.2 Il termine “azienda” dall’italiano all’inglese Il nuovo Ragazzini, Dizionario inglese-italiano e italiano-inglese, Zanichelli, Bologna 2011, propone per il termine “azienda” le seguenti traduzioni (con nostra annotazione a margine):
• firm (che più correttamente sta per “impresa”); • concern (che riguarda “ciò che concerne”, cose o fatti che concernono, che interessano a qualcosa o a qualcuno);
• business (che più tipicamente significa “affari”); • establishment (che sta per “intrapresa”); • unit (accezione più economica, che individua un’unità, un segmento, un soggetto attivo secondo le leggi di domanda e offerta del mercato).
Nel Dizionario di Economia e Finanza, Utet, Torino 1988, Francesco Cesari traduce “azienda” direttamente, e impropriamente, come business. Ricorrendo a tre noti dizionari della lingua italiana si scopre una chiara convergenza su due denominatori comuni:
• la comune accettazione della matrice giuridica del termine azienda con utilizzo della definizione legislativa dell’art. 2555 del Codice Civile, Libro del
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Lavoro, Titolo Azienda, Princìpi Generali, che recita “l’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”; • il consenso sulla matrice spagnolo-latina del termine che viene associato ad hazienda (spagnolo antico), hacienda (spagnolo moderno), facienda (latino) ovvero “le cose da farsi”, faccenda (italiano).
Approfondimento 1.3 Il termine “azienda”: denominatori comuni
• “Organismo composto di persone e beni diretto al raggiungimento di un
fine economico, d’interesse sia pubblico sia privato; azienda autonoma: creata dallo Stato, dalle Province o dai Comuni per l’esercizio diretto di un’impresa pubblica cui non si ritenga di poter provvedere mediante un ramo ordinario della Pubblica amministrazione; azienda Italia: entità politico-territoriale considerata dal punto di vista economico; dallo spagnolo hacienda, forma parallela all’italiano faccenda, latino facienda (“le cose da farsi”)”; Giacomo Devoto, Gian Carlo Oli, Il dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 1990; • “complesso di beni e persone organizzato ai fini della produzione; dallo spagnolo antico hazienda (moderno hacienda) che viene dal latino facienda “cose da fare”, gerundio neutro plurale di facere “fare” (da cui l’italiano faccenda)”; Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, Garzanti Editore, Milano 1965; • “complesso di beni organizzato per la produzione di altri beni e servizi; azienda familiare: quella costituita di beni prevalentemente forniti dai componenti di una famiglia; azienda autonoma: ufficio particolare di organi o enti amministrativi cui è riconosciuta una speciale autonomia contabile e finanziaria; sp. hacienda, stessa etimologia dell’italiano faccenda”; Dogliotti M., Rossello L. (a cura di), Il nuovo Zingarelli, Zanichelli, Bologna, 1986. C’è una certa complessità quindi nella categoria “azienda”, sia perché la definizione giuridica da sola appare insufficiente a rendere conto dell’enorme varietà dei singoli casi, sia perché il significato del termine stesso sta conoscendo una decisa evoluzione. Può essere utile, allora, all’inizio di un percorso di studio dedicato alle aziende precisare cosa si intenda per azienda e quali ne siano i caratteri tipici. Per tentare di scoprire queste nuove frontiere si proverà qui di seguito a cercare di capire:
• che
cosa accomuna aziende di grandi dimensioni (si pensi per esempio a Coca Cola, General Electric, Microsoft, FCA, ENI) con le infinite aziende in cui ci si imbatte ogni giorno (un ristorante, un’edicola, una bottega, un museo);
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• che cosa accomuna un’azienda industriale (Barilla, Benetton, Safilo, Lavazza,
Marzotto, Natuzzi, IBM, Toyota), un’azienda di servizi (Mediaset, RAI, Armando Testa, McKinsey, Costa Crociere), una Banca (San Paolo IMI, Banca Intesa, Veneto Banca, UBI) e una compagnia assicurativa (Generali, Lloyd’s, Toro); • che cosa hanno in comune tutte le aziende richiamate con enti come un’amministrazione regionale o provinciale, un ministero, un’università, un ospedale, se è vero che anche questi meritano di essere visti come aziende e talvolta vengono addirittura denominati tali. È evidente che fra tali realtà esistono profonde differenze. Meno evidenti, ma forse più importanti, sono però i loro tratti comuni. Mettere meglio a fuoco le une e gli altri è un passaggio indispensabile per capire quali princìpi e logiche valgono (o dovrebbero valere) per la sterminata comunità delle aziende, e per quali aspetti invece taluni sotto-insiemi di tale comunità presentano caratteri distintivi che ne determinano diversi profili e diversi modi di operare.
1.2 L’azienda come insieme di elementi diversi e interrelati Si cercheranno allora sinteticamente i denominatori comuni che contraddistinguono l’azienda. Tutte le aziende si presentano come un insieme di elementi diversi e tra loro interrelati; in ognuna di esse vediamo persone che svolgono determinate mansioni, macchinari e strumenti di lavoro (impianti, calcolatori, documenti, uffici ecc.), denaro che viene incassato e speso, materiali che vengono acquistati e trasformati e così via. Piccola o grande che sia, un’azienda appare quindi come un insieme complesso, perché numerosi ed eterogenei sono gli elementi che ne fanno parte. Ma la cosa più importante è che tali elementi non sono indipendenti l’uno dall’altro, ma si trovano concatenati tra loro in una rete di connessioni, di relazioni. In sintesi, ciò significa che l’azienda può agevolmente essere letta come un sistema che si qualifica non solo per gli elementi che la compongono, ma più ancora per le relazioni che tra quegli elementi si stabiliscono. I vari elementi che vediamo operare nell’azienda sono accomunati da una ragion d’essere unitaria: realizzare un prodotto, che può essere materiale (un’automobile, un biscotto, un libro) o immateriale (un servizio, come per esempio una consulenza, un’operazione chirurgica, una polizza assicurativa, un intervento di assistenza sociale). Il prodotto è l’output del sistema-azienda, che lo realizza attraverso un processo di trasformazione nel tempo e nello spazio che combina, mediante appropriate attività, tecnologie e formule organizzative, determinate risorse produttive, le quali rappresentano l’input del sistema-azienda e coincidono
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con gli elementi che abbiamo visto costituire l’azienda (materiali, lavoro, mezzi di produzione, servizi, denaro ecc.). A sua volta, il motivo per cui quel prodotto viene realizzato, e quindi per cui viene avviata un’azienda che lo produca, sta nella capacità che tale prodotto ha di soddisfare un bisogno di qualcuno: di un individuo, di una famiglia, di un’altra azienda, di una popolazione. In questo consiste la natura squisitamente economica dell’azienda: essa esiste per realizzare qualcosa che abbia un valore, perché solo questo valore può giustificare l’impegno di risorse, energie, sforzi, sacrifici fra l’altro limitati e quindi a loro volta portatori di un valore per chi le mette a disposizione, magari in alternativa ad altre destinazioni. E il valore dell’output esiste solo se, e nella misura in cui, qualcuno trae beneficio da quell’output, cioè grazie a esso riesce a soddisfare un proprio bisogno, riconoscendone l’utilità tramite il prezzo che riconosce, rinunciando a sua volta a qualche altro bene. Sotto un profilo economico, si dice, l’azienda esiste per creare ricchezza durevolmente nel tempo. Vale a dire che la ragion d’essere fondamentale dell’azienda sta nella sua capacità di realizzare qualcosa (output) che valga più delle risorse usate per ottenerlo (input) e nel garantire la durabilità di tale situazione. Se un’azienda sa fare questo, non può che essere accolta favorevolmente in qualsiasi comunità sociale: grazie a quell’azienda tale comunità starà meglio, cioè sarà complessivamente più solida e autonoma nel proporre la propria cultura, i propri valori e le proprie tradizioni. Analogamente, un’azienda che realizzi un output di valore inferiore a quello delle risorse utilizzate non potrà pretendere di trovare comunità disponibili a ospitarla stabilmente; essa, infatti, si pone come un operatore di consumo di ricchezza, capace solo di rendere più povera la comunità della quale fa parte. Ma l’economia non è solo un gioco virtuoso. Essa è anche il gioco attraverso il quale ognuno cerca di far valere il proprio interesse, talvolta anche a dispetto di quello degli altri. Ciò significa che il circuito della creazione di ricchezza pone contemporaneamente il problema di come, a chi e in che proporzioni distribuirla. Nel momento in cui i partecipanti al gioco riescono, grazie alla loro alleanza e collaborazione, a creare ricchezza, fatalmente e automaticamente viene a stabilirsi tra loro il problema di come ripartirla. Per analogia, nel caso infausto in cui un’azienda distrugga ricchezza invece che crearne, nasce il problema di stabilire chi, tra i partecipanti al gioco, debba subirne le conseguenze, cioè chi si debba fare carico della distruzione di ricchezza perpetrata. Riassumendo, a partire dal concetto giuridico di azienda come “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” si sono introdotte alcune significative estensioni:
• i semplici princìpi appena elencati valgono per ogni azienda, qualunque sia
la sua natura, la tipologia dei prodotti-servizi offerti, il contesto sociale, cul-
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turale e politico in cui opera, e mostrano come il concetto di azienda – coerentemente con la crescente complessità della vita sociale, economica, finanziaria – non si applichi solo all’imprenditore che avvia un’impresa, ma a qualsiasi soggetto che avvii un qualche tipo di intrapresa in campo economico, tecnologico, finanziario, culturale, sociale ecc.; mostrano, in sostanza, che la nozione giuridica va integrata con altre dimensioni che la rendano più attuale e capace di render conto della varietà e della complessità delle molte tipologie di aziende che oggi sono disponibili; • questi princìpi mostrano inoltre che il “complesso dei beni” presenta un assetto, una natura, delle finalità e dei processi che lo caratterizzano in modo peculiare; è un sistema: −− complesso (cioè un insieme di elementi eterogenei tra loro integrati e interdipendenti); −− di natura economica (cioè finalizzato a soddisfare bisogni attraverso l’impiego di risorse limitate); −− avente il fine di creare ricchezza (cioè concepito per realizzare prodotti di valore superiore al valore delle risorse impiegate); −− con il problema di determinare le modalità di condivisione fra i soggetti interessati della ricchezza creata o di quella distrutta. Sono due estensioni, queste, che ampliano i confini del termine azienda sul versante dei soggetti – dall’imprenditore al soggetto che intraprende – e che sollecitano l’approfondimento analitico delle modalità, delle forme e dei processi che caratterizzano il modificarsi dinamico di tale complesso di beni. Sono molteplici le frontiere di analisi e di studio che si aprono quando si accolga quest’approccio e si vogliano scoprire le regole che guidano il funzionamento delle aziende; per esempio (Coda, 1985; Airoldi, Brunetti, Coda, 1994; Cavalieri, 1999):
• la
concezione dell’azienda come sistema economico in tutte le sue articolazioni e classi; si pensi per esempio alla classica distinzione fra l’azienda di produzione, l’azienda di consumo famiglia, l’azienda pubblica territoriale o di servizi pubblici (le cosiddette aziende composte pubbliche); • l’individuazione dei soggetti prevalenti e le loro funzioni-aspettative, in primis i soggetti portatori di capitale e di lavoro nonché i vari portatori di interessi che ruotano attorno all’azienda, quali i clienti, i fornitori, le banche, gli enti pubblici ecc.; • l’analisi delle strutture e delle loro evoluzioni, a partire dall’assetto istituzionale e organizzativo; • le complesse modalità di svolgimento e di controllo delle attività di produzione e di consumo (trasformazione fisico-tecnico-spaziale-temporale, negoziazione di beni, di capitale di rischio e di prestito, negoziazione di lavoro e di capitale proprio);
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• le
condizioni nelle quali tali attività debbono essere realizzate (equilibrio, economicità, durabilità, sostenibilità); • la struttura dei processi decisionali fra decisioni strategiche, direzionali e operative, e la determinazione dei valori d’azienda sia per l’analisi sia per le decisioni. La disciplina che indaga su questi aspetti nonché sui comportamenti, sui funzionamenti e sul divenire delle aziende è l’economia aziendale, disciplina relativamente giovane nata alla fine degli anni Venti del secolo scorso per opera principalmente di Gino Zappa – fondamentale la prolusione tenuta all’inaugurazione dell’a.a. 1926-27 presso l’Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Venezia (divenuto poi università all’inizio degli anni Settanta) – e proseguita da diversi studiosi, i quali hanno favorito un “salto di qualità” degli studi aziendali lungo quattro direttrici prevalenti (Cavalieri, 1999):
• ha dato avvio a un filone di studi che ha assunto come oggetto d’indagine
l’azienda concepita come “istituto economico atto a perdurare che, per il soddisfacimento dei bisogni umani, compone e svolge in continua coordinazione la produzione o l’acquisizione e il consumo della ricchezza” (Zappa, 1957); per questa via lo sviluppo economico è pensato come mezzo per il progresso civile e l’obiettivo dell’economicità è cercato nell’integrazione degli interessi e delle attese di tutti gli interlocutori coinvolti, in primis i portatori di capitale e lavoro; • ha favorito la ricomposizione a un’unità concettuale degli studi sull’azienda – fino ad allora organizzati in corpi dottrinali separati: la ragioneria, la tecnica industriale, la tecnica bancaria, la tecnica commerciale ecc. – attivando le sinergie scientifiche prima precluse fra gestione, organizzazione e rilevazione; • ha privilegiato come punto centrale di osservazione e studio delle attività dell’azienda l’analisi delle modalità del formarsi della ricchezza prodotta attraverso gli scambi rispetto all’analisi delle modificazioni che intervengono nella struttura patrimoniale per effetto delle operazioni di gestione, approccio fino ad allora prevalente; in sostanza, un’attenzione maggiore alla dinamica della ricchezza che si esprime nel reddito, in una concezione unitaria del sistema aziendale, che vede il risultato complessivo come “unità elementare” di riferimento alla quale ricondurre le singole operazioni economiche; • ha progressivamente consolidato l’unità e l’autonomia degli studi aziendali rispetto a quelli dell’economia politica, criticati nel loro forte grado di astrazione nella ricerca sugli equilibri generali e parziali dei mercati. La precisazione dell’azienda come “istituto economico” merita un approfondimento perché rappresenta il fulcro della proposta culturale e metodologica dell’economia aziendale. Finora, infatti, si era parlato di azienda come “complesso di beni” a disposizione del soggetto che avvia un’intrapresa, che si caratte-
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rizza per essere un sistema complesso, di natura economica, avente il fine di creare valore e con il problema di determinare le modalità di distribuzione della ricchezza creata o distrutta. Ebbene, nella riflessione dottrinale e teorica dell’economia aziendale questo complesso sistemico e dinamico viene visto come la dimensione economica di un’istituzione ovvero della cellula elementare – la famiglia, l’impresa, la banca, il museo, l’esercito, il tribunale ecc. – in cui è organizzato un sistema sociale ed economico.
Approfondimento 1.4 “Azienda” ed “economia aziendale” “Un istituto si presenta come complesso di elementi e di fattori, di energie e di risorse personali e materiali. Esso è duraturo (...), dinamico (...), è ordinato secondo proprie leggi anche di varia specie (fisiche, sociologiche, economiche, religiose ecc.) e in multiforme combinazione (...), è un’unità per i rapporti che lo costituiscono ma che proprio si manifestano in un modo e non in altro e con vincolo degli elementi e fattori a carattere di complementarietà per essere rivolti a un insieme di fini comune (...), è autonomo ma di un’autonomia relativa per i nessi con le altre componenti della società umana” (Masini, 1979). Interessante, a proposito del pensiero di Masini, la compatta ma efficace traduzione per il “Glossary of English terms and expressions used with a particular scientific meaning in Concern Economics (Italian School)”, sulla rivista Economia Aziendale, Giuffrè Milano, agosto 1990, dei termini “azienda” ed “economia aziendale”:
• azienda
•
(concern): “the economic order of an institution (typical institutions are a family, a firm or enterprise, a territorial public institute, a cultural institution ecc.). The term concern is used because it is general and applicable to the economic order of any institution. The word firm (or enterprise or business) designates only the institution whose economic order is the ‘production’ concern”. economia aziendale (concern economics): “the science that investigates and proposes solutions for economic problems of an institution (private or public); concern economics does not deal with national or territorial ‘economics’; business administration is only part of concern economics”.
La definizione di azienda come dimensione economica di un’istituzione è un’astrazione che si presta a essere studiata come entità compiuta, dinamica e autonoma secondo proprie regole, proprie condizioni di funzionamento e propri comportamenti. La ricostruzione e l’interpretazione di tali regole diventano un
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• Struttura, funzionamento e modelli di rappresentazione delle aziende
passaggio necessario per poi cercare di migliorarne il funzionamento nonché la capacità di contribuire alla realizzazione dei progetti dell’istituzione di cui è parte. Il rapporto fra azienda e istituzione è uno dei passaggi più dibattuti dell’impianto concettuale dell’economia aziendale: come si configura la strumentalità dell’azienda all’istituzione? Vi scompare all’interno, nel senso che è tutta determinata dalle finalità ultime, dalla volontà dei soggetti prevalenti, dalle particolari condizioni interne ed esterne di quell’istituzione? Oppure presenta in ciascuna istituzione caratteri propri tali da motivarne lo studio in autonomia e specificità? Le regole che caratterizzano il funzionamento di un’azienda dipendono dalla specifica istituzione o se ne possono trovare di generali che sono trasversali a ciascuna istituzione? L’economia aziendale assume l’azienda come entità autonoma e studia le regole che ne assicurano il buon funzionamento e ne caratterizzano struttura e funzionamento, indipendentemente dall’istituzione alla quale si riferiscono. Entro quest’ottica, l’azienda ha un suo modo d’essere, guidata da regole proprie, e curare il buon funzionamento dell’azienda è condizione necessaria per la miglior riuscita dell’istituzione di cui è parte; è condizione necessaria, ma non sufficiente perché appunto strumentale ai progetti propri della singola istituzione. Ridurre i fini dell’istituzione a quelli dell’azienda sarebbe un errore, come spesso è un errore supporre che l’adozione di un approccio aziendalistico significhi solo maggior efficienza o abbattimento dei costi, oppure, all’opposto, soluzione di per sé positiva e di sicuro successo. Per questa via, l’economia aziendale non si configura come somma di tecnicalità relative alle condizioni e ai comportamenti da adottare nelle attività e nei processi organizzativi per produrre e vendere – fatto questo più tipico del management –, ma propone una chiave di lettura di raccordo fra economia e società basata sul modo di organizzare l’attività economica entro le istituzioni, all’interno del ruolo che ciascuna gioca nell’equilibrio e nello sviluppo della società nel suo complesso. Entro questa visione, quindi, le varie istituzioni che operano in una società civile non sono di per sé delle aziende, ma sono anche delle aziende, nel senso che per perseguire i propri fini istituzionali i soggetti responsabili devono saper comprendere le caratteristiche delle attività produttive e distributive, il contesto ambientale specifico, le condizioni di rischio nel perseguimento dell’equilibrio gestionale e dell’equilibrio finanziario, e i comportamenti da adottare per raggiungere un determinato risultato. Di nuovo non si tratta di approccio tecnico o di adozione di particolari strumenti operativi, quanto piuttosto di adottare una cultura di analisi, di valutazione e di azione da integrare con quella tipica dei fini e del significato della specifica istituzione, per disporre di una capacità coerente tra fini ultimi dell’istituzione ed effettiva sostenibilità dei risultati.
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L’economia aziendale, quindi, integra e complementa l’economia politica e l’economia industriale con le quali tiene un rapporto fecondo e distinto – oggi ben più articolato e integrato di un tempo – trattandosi comunque di scienze che hanno come oggetto l’attività di produzione e di consumo di beni e servizi atti a dare soddisfazione ai bisogni e, nelle economie evolute, anche ai desideri delle persone. Le diverse caratterizzazioni possono essere così sintetizzate:
• l’economia
politica studia, e aiuta a governare, i fenomeni economici degli aggregati territoriali, nazionali e internazionali; è una scienza che imposta i problemi “dall’alto” e aiuta a elaborare politiche di intervento sulla base di informazioni raccolte, analizzate e trattate da sistemi informativi generali; studia l’allocazione di risorse limitate tra usi alternativi, al fine di massimizzare la soddisfazione di un utilizzatore; in breve produzione, distribuzione e consumo dei beni; • l’economia industriale, invece, studia i processi di sviluppo o di ristrutturazione dei settori industriali ovvero di aggregati di aziende omogenei in base al processo produttivo o al prodotto finale (per esempio il settore metalmeccanico, tessile, calzaturiero, orafo, ospedaliero, pubblico ecc.); un approccio più economico-politico collega l’economia industriale agli studi sulla regolamentazione dei mercati, come per esempio le analisi e gli interventi per la difesa della concorrenza o le attività dell’Antitrust; l’economia industriale è una scienza intermedia fra l’economia politica e l’economia aziendale, osserva più “da vicino” la realtà su cui intervenire ed elabora politiche industriali mirate allo specifico andamento del settore analizzato (quando un settore è concentrato in uno specifico territorio, viene definito “distretto” e viene studiato nello stretto raccordo fra dinamiche economiche e dimensione antropologico-sociale); • infine, l’economia aziendale, per sua natura, osserva e aiuta a interpretare, nonché a configurare, azioni di intervento a livello di singole aziende; è una disciplina che, attingendo anche alle teorie generali dell’economia e dell’economia industriale, elabora quadri concettuali partendo da studi relativi a casi ed esperienze di singole aziende e propone soluzioni generali e particolari adatte alle caratteristiche dei valori, della storia e dei soggetti che compongono aziende simili. L’economia aziendale, come le altre scienze, vive il suo tempo e si trova oggi a partecipare da protagonista alla modernizzazione del Paese. Talvolta si sente parlare di aziendalismo come filone che propugna l’adozione di una visione aziendale della società e delle istituzioni e di aziendalizzazione come trasformazione di enti pubblici o di enti a valenza prevalentemente amministrativa in enti che perseguono risultati e rispondono del modo di utilizzo delle risorse disponibili.
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• Struttura, funzionamento e modelli di rappresentazione delle aziende
Sono termini oggi di moda, specie alla luce dei grandi cambiamenti culturali e operativi che stanno accompagnando e sempre più accompagneranno il processo dell’economia globale dove i mercati fanno pesare le loro leggi nei rapporti internazionali e i settori-distretti cambiano nei confini e nelle configurazioni. Si pensi per esempio alla sfida dell’integrazione europea con il mercato unico e l’avvio dell’Euro. I problemi e i limiti che Tommaso Padoa Schioppa individuava nel 2001 – l’Unione Europea manca di autorità nei settori della sicurezza interna ed esterna, è priva del potere di tassare e spendere, non dispone di potere autonomo di allocazione delle competenze tra vari livelli di governo, è priva di prerogative fondamentali che hanno rappresentato storicamente la ragione d’essere dello Stato – sono tuttora attuali, ma è un processo senza ritorno di fronte al quale l’economia italiana sarà chiamata a maggior efficienza, efficacia e capacità di produrre innovazione e miglioramento. Un decennio fa era diffusa la convinzione che la Pubblica Amministrazione avrebbe aumentato la propria efficienza e che la liberalizzazione di interi settori e la privatizzazione delle aziende avrebbero consentito una maggiore concorrenza e l’apertura agli stimoli della concorrenza. È chiaro come si tratti di sfide ancora largamente in corso. Sono processi che svilupperanno una maggior centralità delle aziende, che sono i motori dello sviluppo, e del sistema produttivo in senso lato, e richiederanno una massiccia dose di conoscenza e di princìpi propri dell’economia aziendale – efficienza, efficacia, economicità, durabilità, equilibrio, sostenibilità, strategia, programmazione, controllo ecc. – la quale a sua volta sarà chiamata ad aggiornare la propria poderosa tradizione alle nuove frontiere che caratterizzano la vita e lo sviluppo delle aziende. A questo stadio, dopo aver avviato la presentazione dell’azienda come categoria logica relativa alla struttura e al funzionamento della parte economica degli istituti, vale la pena di soffermarsi brevemente su un tema centrale fra quelli costituenti la base concettuale dell’economia aziendale e che abbraccia poi la serie di tematiche più applicate alle quali si dedica il volume: esiste una teoria generale idonea a rappresentare l’astrazione dell’economia aziendale e a comprendere la grande varietà e variabilità delle aziende? E quali sono le linee di ricerca che gli studiosi seguono per dar forma a tale quadro teorico? A prima vista può apparire una domanda solo definitoria o astratta, mentre è una tematica centrale per capire il significato del discorso dell’economia aziendale. È chiaro che qualsiasi tentativo di formulare un quadro teorico da cui estrarre leggi sufficientemente generali per interpretare e prevedere il funzionamento delle aziende è assai problematico, perché la vita delle aziende è la risultante di un complesso molto numeroso di fattori che si combinano in modo differente da azienda ad azienda a seconda delle persone coinvolte, degli assetti decisionali, dell’ambiente istituzionale, delle tecnologie, delle dimensioni, dell’evolvere dei bisogni e delle situazioni storiche.
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Tale complessità ha visto molteplici tipi di risposte da parte di studiosi italiani e stranieri. La teoria che più delle altre sembra aver mostrato la consistenza e l’articolazione necessarie per rendere conto della complessità delle forme e del divenire delle aziende è la teoria dei sistemi nelle sue varie configurazioni. Questa teoria nasce all’inizio del secolo scorso per opera del biologo austroamericano Ludwig von Bertalanffy (1951, 1971) il quale nello studio degli organismi viventi si fece promotore di un approccio organicista – incentrato sulle interazioni fra gli elementi costitutivi di un organismo, ciascuno secondo le proprie funzioni – in alternativa e critica al metodo meccanicista allora prevalente. Da questa iniziale intuizione prese il via un processo scientifico a cui parteciparono a vario titolo psicologi, economisti (Boulding, 1956), biomatematici, fisiologi ecc. nell’intento di dar vita a una “teoria generale dei sistemi” applicabile a tutti i sistemi e non solo a quelli viventi, come “nuovo paradigma scientifico” forte dei caratteri dell’interdisciplinarietà, dell’analisi delle relazioni (aperto, chiuso) fra sistema e ambiente, dello studio delle modalità di autoregolazione dei sistemi (feed-back e feed-forward), dell’individuazione delle relazioni forti fra i propri componenti e così via. La teoria dei sistemi legge la realtà indagata come insieme di fattori costituenti e di relazioni che li fanno interagire fra loro; praticamente ogni realtà si presta a essere letta come tale. Il sistema è costituito da un insieme di elementi e di relazioni, ma non coincide con tale insieme né concettualmente né praticamente; non può cioè essere ridotto alla somma degli elementi e delle relazioni che li legano. L’azienda si presta a essere letta come un sistema e l’adozione dell’approccio sistemico allo studio e alla conduzione delle aziende ha sollevato grandi aspettative specie per il carattere di globalità e di compiutezza che consente, aspetto questo che permette di superare le analisi frazionate e di riportare al generale anche gli aspetti più analitici (Saraceno, 1969, 1972; Donna, 1982; Ranalli, 1999; Miolo Vitali, 2000; Golinelli, 2000; Mollona, 2008). A questo proposito grande successo ha avuto il filone matematico-simulativo della teoria dei sistemi; Jay Wright Forrester con il suo approccio dell’Industrial Dynamics nel 1958, poi evoluto nella Systems Dynamics, attraverso modelli matematici anche sofisticati e non sempre facili da utilizzare, anche con i moderni software interattivi e user-friendly, ha reso agevole la rappresentazione della realtà e delle leggi attraverso le quali la teoria tratta la realtà indagata, specie nella gestione del tempo (i lag temporali) e i circuiti di connessione fra variabili (i loop). Per la sua complessità e generalità, nonché per la rigidezza della strumentazione matematica, è una metodologia che si mostra efficace nei problemi ampi e complessi relativi a sistemi sociali e sistemi territoriali, mentre le recenti estensioni all’ambito aziendale interessano in particolare il versante degli studi di strategia (Morecroft, 1984, 1992; Mollona, 2009). I punti di maggior debolezza della teoria dei sistemi sono interni ai punti di maggior forza: la pretesa generalità che finisce per confondersi con la gene-
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14 Parte I
• Struttura, funzionamento e modelli di rappresentazione delle aziende
ricità e quindi spesso con l’astrattezza, la sequenzialità lineare o circolare degli automatismi che si vorrebbe regolino i sistemi, il ruolo conferito al tempo come motore di autogestione e di cambiamento delle variabili e delle loro relazioni nel sistema, l’assunzione che l’autogovernabilità del sistema relega i soggetti a variabile dipendente delle leggi del sistema stesso. Questi limiti sono stati affrontati da vari autori cercando di recuperare sia il lato soggettivo del funzionamento dei sistemi sia un maggior rigore sui modi con cui i sistemi evolvono e cambiano forma e struttura. Per questa via si è assistito a molteplici proposte che arricchiscono con punti di vista diversi lo studio e la comprensione delle aziende:
• la
specificazione dell’azienda come “sistema sociale aperto” (Airoldi, 1994; Pisoni, 1996) ovvero un sistema in cui le persone sono riunite in strutture sociali con una cultura comune, dove gli obiettivi e i parametri di riferimento sono fissati dalle persone, l’adattamento fra azienda e ambiente è costante, c’è una forte differenziazione interna ed esterna dei ruoli, ciascuna azienda ha propri confini permeabili, variabili e non univoci, e dove è osservabile una combinazione di sistemi o sotto-sistemi che compongono un sistema dinamico; • l’inserimento delle transazioni fra i soggetti e il sistema-organizzazione e tra questo e i soggetti che operano nell’ambiente su tre piani complementari e integrati: l’economico, il politico e il culturale; l’azienda diventa così un insieme di scambi di energia e di oggetti, ma anche di simboli, di consenso e di valori (Costa, 1983, 1996); • l’enfasi sul processo di morfogenesi che porta, attraverso la dialettica fra i soggetti e i sistemi, alla produzione di forme e strutture (Buckely, 1967; Rullani, 1984); è un approccio che discende dai filoni critici più evoluti della teoria dei sistemi – cerca di superare sia l’approccio meccanicistico sia l’approccio organicista – rifiuta ogni determinismo e, proponendo una specie di teoria del cambiamento, legge il comporsi della struttura delle aziende nonché il divenire dei risultati ottenuti come combinazione di più forze: il rapporto dialettico fra i soggetti interni alle strutture per valori, interessi e funzioni e l’interazione fra azienda e ambiente esterno dinamico, multiforme e composito; • il recupero della soggettività attraverso l’accoglimento nel quadro teorico del soggetto principale o mandante (in genere il “proprietario”, il portatore di capitale, l’“azionista”) e del soggetto agente (i manager o comunque chi riceve una delega ad agire) (Jensen, Meckling, 1976; Fama, 1980); questo approccio propone una visione dell’organizzazione come un sistema di “relazioni di agenzia” ovvero di contratti che regolano i rapporti fra le aspettative, le informazioni, i comportamenti del mandante rispetto a quelli dell’agente; entro tale visione si pongono problemi di asimmetrie informative, di differenziali
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Capitolo 1
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di aspettativa, di costi di agenzia (per informazione, controllo, incentivo), di specificazione contrattuale, dentro a una lettura dinamica dei rapporti fra portatori di capitale e portatori di competenze legata ai rischi che entrambi sopportano nei rispettivi mercati (dei capitali e del lavoro), alla capacità di rispondere alle aspettative dell’altro e ai risultati ottenuti dal funzionamento dell’azienda; per questa via l’azienda si configura come un insieme, autonomo rispetto ai soggetti, di fattori legati da un sistema di contratti che precisano le modalità con cui tali fattori contribuiscono ai risultati ottenuti e alla distribuzione della ricchezza prodotta (o consumata); • l’ampliamento della soggettività agli stakeholder (Freeman, Reed, 1983; Freeman, 1984; Atkinsons, Waterhouse, Wells, 1997), approccio che pure accoglie nel quadro teorico i soggetti, ma non solo i portatori di capitale e di lavoro quanto ogni soggetto che detiene qualche interesse collegato al funzionamento di quell’azienda; • l’elezione della soggettività, e delle relazioni fra soggetti, a nuovo paradigma scientifico in alternativa a quello degli scambi (Gui, 2000); l’ipotesi che sta alla base di questo filone di ricerca è che esistono forme di relazione fra soggetti, diverse dallo scambio veicolato dal prezzo, che hanno un impatto diretto sulle performance economiche di una comunità o di una società; • lo studio delle aziende da un punto di vista “esterno”: il ciclo di vita delle aziende (Greiner, 1972; Adizes, 1989) e l’ecologia delle popolazioni organizzative (Hannan, Freeman, 1977; Hannan, Carroll, 2000), secondo cui: −− la combinazione fra soggetti, fattori e sistemi, nell’interazione con l’ambiente, può essere assimilata alle fasi di vita degli organismi viventi – concezione, infanzia, sviluppo, adolescenza, maturità, stabilità, aristocrazia, prima burocrazia, burocrazia e morte –, in ciascuna delle quali i fattori della combinazione cambiano, mostrando diverse centralità e giocando ruoli anche alternativi; −− le aziende solo in parte sono in grado di cambiare per effetto delle decisioni del management; in questa visione l’inerzia che caratterizza l’organizzazione delle aziende porta all’estinzione di alcune forme che vengono rimpiazzate dalla nascita di nuove popolazioni di aziende. Come si vede, si tratta di un insieme di approcci e di contributi molto variegato, che offre molteplici opportunità di studio e di approfondimento nella continua ricerca di individuare regole interpretative su come funzionano le aziende e di princìpi e criteri da seguire per il loro efficace governo.
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Domande di ripasso 1. Quali sono le caratteristiche dell’economia aziendale? 2. Quali sono le differenze tra l’economia aziendale e le altre discipline che studiano l’azienda e/o i fenomeni economici?
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