Le radici e il significato della cultura
CAPITOLO
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CONCETTI CHIAVE 1. Le componenti culturali e la natura dell’interazione fra uomo e ambiente.
2. Le origini della cultura e i focolai culturali.
3. La struttura della cultura e le forme del mutamento culturale.
Il capitolo 2 affronta un aspetto centrale della geografia umana: la cultura e le sfaccettate forme che essa può assumere nelle varie aree del mondo, determinando, nel suo dispiegarsi, paesaggi culturali peculiari. Dapprima, verrà fornita una lettura storica che permetterà di tracciare la nascita, a partire dal periodo Neolitico, di centri di innovazione denominati focolai culturali, ovvero luoghi i cui tratti ed elementi culturali si sono diffusi nel tempo in aree più vaste (si pensi a quanto avvenuto con l’agricoltura a partire dalla Mezzaluna fertile, regione storica del Medio Oriente che include l’Antico Egitto, il Levante e la Mesopotamia). Il capitolo, infine, esamina gli elementi alla base della “struttura culturale” (sottosistema ideologico, tecnologico e sociologico) e i processi di innovazione, diffusione e acculturazione, attraverso cui prendono corpo, e si diffondono, incontri, sincretismi e mutamenti culturali. Solitamente, chi scrive nei quotidiani e nella stampa popolare utilizza il termine “cultura” per designare le arti auliche (letteratura, pittura, musica e simili). Per uno studioso di scienze sociali, invece, la cultura ha un’accezione molto più ampia: essa rappresenta il complesso di modelli comportamentali, conoscenze, adattamenti e sistemi sociali peculiari, nel quale si sintetizza il modo di vivere acquisito da un gruppo di individui. Le prove visibili e invisibili della cultura – i modelli di costruzione e di coltivazione, la lingua, l’organizzazione politica – rientrano tutte nella diversità spaziale studiata dagli esperti di geografia. Le differenze culturali nello spazio comportano variazioni del paesaggio umano sottili quanto la diversa aria che si respira a Parigi, a Mosca
o a New York, o palesi quanto il netto contrasto tra l’utilizzo delle aree rurali in Zimbabwe e quello delle aree vitivinicole chiantigiane [Figura 2.1]. Poiché tali differenze culturali tangibili e intangibili esistono e sono esistite in varie forme per migliaia di anni, la geografia umana si pone i seguenti quesiti. Considerato che il genere umano costituisce un’unica specie, perché le culture sono eterogenee? Quando e dove si situano le origini delle diversità culturali che possiamo osservare? In che modo singoli tratti culturali, sviluppatisi in una qualsiasi zona limitata, si sono diffusi a una parte più ampia del globo terrestre? Come mai individui con origini assai simili presentano differenze significative, a
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CAPITOLO 2
[Figura 2.1] Le differenze d’uso del territorio sono evidenti fra (a) coltivazioni di sussistenza di mais in Zimbabwe, e (b) i vigneti specializzati per la produzione di vini nella zona del Chianti in Toscana.
seconda dell’area geografica, in termini di tecnologia, struttura sociale, ideologia e di innumerevoli altre espressioni culturali? Secondo quali modalità, e per quale motivo, esistono variazioni culturali distintive anche nelle società cosiddette melting pot, come quella statunitense o canadese, o nei paesi dell’Europa? Perché, per noi oggi, è importante conoscere le differenze culturali? Alcune risposte a queste domande vanno ricercate nel modo in cui gruppi umani fisicamente lontani hanno sviluppato tecniche differenti per risolvere problemi quali l’approvvigionamento di cibo, di indumenti e di alloggi e, così facendo, hanno creato usanze e modi di vivere diversificati geograficamente.
2.1 Le componenti della cultura All’interno di una società la cultura si trasmette alle generazioni successive tramite imitazione, istruzione ed esempio. In parole povere, la cultura viene appresa, non è biologica: non ha dunque nulla a che vedere con l’istinto o con questioni di carattere genetico. La cultura è un’intricata rete di comportamenti e modi di pensare che si modificano nel tempo. Per questo motivo, la cultura è un processo, non un corpus inalterabile di tratti culturali; essa si trasforma costantemente attraverso l’interazione con culture differenti, l’acquisizione di nuovi gusti, idee e norme comportamentali o la dismissione di vecchi. Gli individui, in quanto membri di un gruppo sociale, acquisiscono, dunque, tramite
le tre modalità di apprendimento sopra citate, complessi integrati di modelli comportamentali, di percezioni ambientali e sociali, e di conoscenze delle tecnologie caratteristici dei singoli luoghi in una data congiuntura storica. Ciascuno di noi apprende la cultura nella quale nasce e viene educato. Tuttavia non è indispensabile, né possibile, apprenderla integralmente: l’età, il sesso, lo status sociale e l’occupazione possono determinare i vari aspetti del complesso culturale nel quale un individuo viene educato tanto quanto l’epoca storica in cui avviene tale apprendimento. Ogni singola cultura dunque, nonostante sia identificata da caratteristiche percepite come unificanti, risulta sfaccettata in varie subculture le quali rimandano a una struttura sociale che presenta un quadro di differenti ruoli e di complesse interrelazioni tra i diversi individui. Ciascun individuo apprende le regole e le convenzioni non soltanto della cultura generalmente intesa, ma anche della sottocultura specifica alla quale appartiene; a livello sociale ci si aspetta che il soggetto si conformi a entrambe. Tale sottogruppo può avere inoltre una propria struttura. Il lettore pensi ai diversi sottogruppi e ai diversi aspetti della propria cultura nazionale dei quali è entrato a far parte (e che ha abbandonato) nel passaggio dall’infanzia, attraverso la scuola superiore, all’università e forse al primo impiego. Molte diverse culture, dunque, possono coesistere all’interno di una data area geografica, ciascuna con la sua peculiare influenza sulle credenze e sui comportamenti dei diversi membri che la compongono. La geografia
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Le radici e il significato della cultura umana riconosce sempre più la pluralità di culture all’interno delle varie regioni e, oltre a esaminare il diverso contenuto e la diversa influenza di tali sottoculture, cerca di registrare e analizzare le varietà di interazioni culturali in conflitto fra loro, ivi incluse quelle di natura politica ed economica. Nell’ambito della ricchezza e della complessità della vita umana, cercheremo di isolare, per studiarle singolarmente, quelle variabili culturali che, a partire dall’impostazione teorica del testo, vengono ritenute basilari nel conferire struttura e ordine spaziale alle società. Cominciamo dai tratti culturali, i più piccoli elementi distintivi di una cultura. I tratti culturali sono considerati unità di comportamento acquisito; essi vanno dalla lingua, agli utensili, alle attività ricreative. Un tratto può essere un oggetto (un amo, per esempio), una tecnica (la tessitura e l’annodatura di una rete da pesca), una credenza (negli spiriti dei corpi acquatici) o un modo di pensare (la convinzione che le proteine dei pesci siano migliori per l’alimentazione rispetto a quelle di altri animali). I tratti sono definiti come l’espressione più elementare della cultura, i mattoni che formano i complessi modelli comportamentali di diversi gruppi di individui. Chiaramente, lo stesso tratto – per esempio la religione cristiana o la lingua spagnola – può ricorrere in più di una cultura. Singoli tratti culturali correlati dal punto di vista funzionale formano, all’interno di tale modello, una struttura culturale. L’allevamento di bovini può essere considerato un tratto culturale dei masai del Kenya e della Tanzania. Fra i tratti culturali correlati c’erano la misurazione del patrimonio personale in base al numero di capi posseduti, un regime alimentare contenente latte e sangue bovino e il disprezzo per i lavori non connessi alle mandrie. L’assemblaggio di questi e altri tratti correlati ha determinato una struttura culturale che descrive un aspetto della società masai. Seguendo la stessa logica, possono essere facilmente individuate all’interno di una società strutture di tipo religioso, economico, sportivo e così via. Per esempio, in molti paesi, tra cui anche l’Italia, esiste una struttura culturale imperniata sull’automobile. Gli italiani spesso acquistano automobili di marchi e modelli all’altezza del loro reddito, della loro occupazione e del loro status all’interno della società. Il cinema, la televisione e lo sport spesso sono incentrati su automobili; un esempio familiare è offerto dalle popolari gare di Formula Uno. Anche i riti di passaggio possono essere fondati sulle
automobili: l’educazione stradale e l’esame della patente, possibile solo dopo il raggiungimento della maggiore età; o la pratica usuale di decorare le automobili con fiocchi bianchi durante una cerimonia nuziale. I tratti e le strutture culturali possono essere proprietà condivisa di individui che presentano per altri aspetti tratti distinti, ma associati dal punto di vista spaziale. Quando esistono sufficienti comunanze è possibile individuare un sistema culturale come realtà spaziale più ampia e generalizzata. Le società multiculturali, per quanto ulteriormente suddivise dalle differenze linguistiche, dalle varie preferenze alimentari e da molteplici altre differenziazioni interne, potrebbero però condividere un numero di caratteristiche comuni sufficiente a renderle entità culturali riconoscibilmente distintive ai loro occhi e a quelli degli altri. Senza dubbio, i cittadini del melting pot statunitense si identificano come americani, costituendo tutti insieme un unico sistema culturale sulla scena mondiale. Tratti, strutture e sistemi culturali hanno una propria estensione spaziale. In ambito geografico, soprattutto a partire dalla teoria possibilista, si fa riferimento alla regione culturale, come a una porzione della superficie terrestre caratterizzata da alcuni elementi culturali distintivi. Esempi sono le organizzazioni politiche concepite dalle società, le religioni adottate, le forme di economia seguite e anche il tipo di abbigliamento indossato, gli utensili usati o la tipologia di edifici abitati. Esistono tante regioni culturali concettuali quanti sono i tratti e le strutture culturali individuabili per gruppi di popolazione. La loro identificazione risulterà particolarmente importante per la trattazione delle varie culture negli ultimi capitoli di questo testo. In quella sede, così come in questo capitolo, è necessario tenere a mente che, all’interno di ciascuna regione culturale individuata, gruppi uniti dalle specifiche caratteristiche rilevate possono essere in competizione e distinguersi per altri tratti culturali importanti. Infine, regioni culturali che presentano strutture e paesaggi culturali correlati possono essere raggruppate per formare un complesso culturale regionale. Il termine “complesso culturale” indica un ampio segmento sulla superficie terrestre che mostra una presunta uniformità di base nelle sue caratteristiche culturali e che, in virtù di esse, si differenzia sensibilmente dai territori adiacenti. I complessi culturali sono definibili come regioni culturali sulla più ampia scala di riconoscimento. Di fatto, la scala è talmente
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CAPITOLO 2 ampia e la diversità all’interno dei complessi individuati talmente vasta che lo stesso concetto di complesso può fuorviare anziché fornire informazioni utili. Attualmente, la validità dei diversi complessi culturali è stata messa in discussione alla luce di quella che viene definita globalizzazione, un processo che coinvolge tutti gli aspetti della società umana ed economica. Tale globalizzazione, è stato detto, genera un’omogeneizzazione culturale che va di pari passo con l’integrazione delle economie e la soddisfazione della domanda univoca dei consumatori tramite materie prime standardizzate, prodotte da multinazionali. Certamente, la sempre maggior mobilità di individui, merci e informazioni ha ridotto alcune differenze, per esempio, quelle linguistiche e religiose, dei tempi antichi, così come il diffondersi del sistema capitalistico ha indotto un’omogeneizzazione delle mode e dei consumi. I flussi e gli scambi culturali sono aumentati nel corso degli ultimi decenni, accompagnati da una crescente commistione di genti e costumi a livello mondiale. Tuttavia, nonostante tale crescente globalità, in tutti gli aspetti della vita e dell’economia, il mondo è lungi dall’essere omogeneo. Sebbene sia possibile rinvenire una maggiore uniformità di prodotti e di esperienze in luoghi distanti, anche gli elementi comuni e standardizzati della vita di tutti i giorni – quali le bibite di marca, le catene americane di fast-food o i ristoranti giapponesi – assumono significati e ruoli unici a livello regionale, condizionati dalla mescolanza culturale nella quale si inseriscono. Spesso, tali molteplici mescolanze culturali a livello regionale possono sfociare in rivendicazioni e in desiderio di maggiori autonomie politiche, in conflitti culturali, guerre civili e talvolta in fenomeni di regionalismo esasperato. La lettura del complesso rapporto tra globale e locale non può dunque essere univoca, ma deve considerare sia quelle forze omologanti che travalicano spesso le caratteristiche distintive regionali, sia quelle forze di regionalismo e di identità locale che sembrano rinascere con maggior veemenza proprio in un mondo caratterizzato da contatti economici e culturali sempre più frequenti e veloci. A partire dall’interrelazione tra locale e globale, comunque, è possibile ravvisare una sorta di cultura globale, ovvero una combinazione di molteplici culture territoriali e non un’uniformità standardizzata. Sono proprio tali misture culturali, diverse dal punto di vista territoriale, che di per sé costituisce soltanto una delle molte
suddivisioni possibili. Il Box Terrorismo identitario o universalismo cannibale offre alcuni ulteriori spunti di riflessione sul tema del localismo e sulla più ampia problematica identitaria.
2.2 L’interazione fra uomo e ambiente La cultura si sviluppa in un dato ambiente fisico. Le interrelazioni fra individui e ambiente di una determinata area geografica e l’impatto che l’agire umano ha sull’ambiente considerato sono problematiche affrontate dall’ecologia culturale, disciplina che indaga la relazione fra un gruppo culturale e l’ambiente naturale da esso occupato. Gli ecologi culturali dichiarano che i pastori di sussistenza, i cacciatori-raccoglitori e gli agricoltori hanno adattato le loro attività produttive – e per estensione le loro organizzazioni e relazioni sociali – ai particolari limiti di natura fisica imposti dai loro diversi habitat locali. Ragionevolmente, simili condizioni ambientali hanno condizionato lo sviluppo di simili risposte di adattamento e di simili esiti culturali anche in luoghi distanti e non collegati tra loro. Ma questa influenza iniziale, ben inteso, non predetermina le peculiarità della cultura che si svilupperà.
2.2.1 Il controllo esercitato dall’ambiente I geografi hanno da tempo respinto come limitate dal punto di vista concettuale e non valide dal punto di vista empirico le idee del determinismo ambientale, ossia della teoria nata nel XIX secolo, secondo la quale l’ambiente fisico da solo plasma gli esseri umani, le loro azioni e il loro pensiero. I soli fattori ambientali non possono giustificare le varianti culturali che si producono nel mondo. I livelli di tecnologia, i differenti sistemi organizzativi e i valori culturali ed etici propri delle singole società non hanno relazioni scontate con le circostanze ambientali. L’ambiente pone determinati limiti all’utilizzo del territorio da parte dell’uomo, ma questi limiti non devono essere considerati assoluti, bensì legati alle tecnologie disponibili, alle considerazioni sui costi necessari per modificare l’ambiente, alle differenti aspirazioni nazionali e ai legami con il resto del mondo: non si tratta dunque di circostanze insite nel territorio. Miniere, fabbriche e città sono state create nella tundra e nelle foreste
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Approfondimento - Terrorismo identitario o universalismo cannibale? A partire dagli anni Settanta, grazie alla “svolta culturale” trasversale alle varie scienze sociali, in ambito geografico si è fatta strada una rinnovata attenzione sulle caratteristiche storiche e sociali coinvolte nelle problematiche volta per volta indagate. Questa nuova sensibilità si è tradotta, in maniera sempre più sistematica, in una riflessione approfondita sulla dimensione culturale e, in particolar modo, su uno dei nodi concettuali più complessi a essa collegati: l’identità. Accanto all’uso che i media ed alcune scuole di pensiero fanno del termine – considerandolo come quella combinazione atavica di tratti culturali che rende un gruppo quello che è, ovvero diverso da tutti gli altri – si sono sviluppati approcci di stampo opposto e a esso apertamente avversi. In ambito accademico, una costellazione di differenti teorie ha teso nel suo complesso a decostruire e analizzare il significato intrinseco di concetti spesso utilizzati in maniera irriflessa, quali identità ed etnia (accanto all’abusato aggettivo “etnico”). In ambito geografico, italiano ed estero, la tematica identitaria ha assunto un ruolo centrale all’interno delle discussioni di geografia critica. In rapporto alla problematica identitaria, tale approccio critico può essere ricondotto alle idee di base del costruttivismo sociale, scuola di pensiero che ritiene le identità nazionali principalmente frutto di processi di autodefinizione di gruppo, comprensibili solamente se analizzati in rapporto al contesto storico e geografico nel quale prendono corpo. Partendo da tale impostazione teorica, non è dunque la combinazione di tratti culturali a dar vita al gruppo, quanto, inversamente, il gruppo a creare la combinazione di tratti culturali di riferimento, designando alcuni elementi culturali come agenti di differenziazione tra il sé e l’alterità, tra il noi e il voi (nel caso dei nazionalismi, tra uno Stato e l’altro). Durante il processo di costruzione identitaria vengono inoltre omessi o trascurati i tratti culturali in comune con altri popoli o le differenze che possono esistere all’interno del gruppo stesso, che tende a essere presentato come internamente omogeneo. Tra gli elementi maggiormente utilizzati come base di identificazione di gruppo vi sono la storia condivisa, la lingua, la religione (per l’importanza assunta dalla lingua e dalla religione si rimanda al Capitolo 5). I tratti culturali utilizzati volta per volta quali emblemi del gruppo non sono dati dalla somma di tutte le differenze possibili rispetto agli altri gruppi, ma solamente da quelle che i soggetti ritengono significative per differenziarsi, per creare inclusione ed integrazione di gruppo e, allo stesso tempo, per sancire esclusione. Tale analisi pone pertanto l’accento non sugli elementi esperibili in maniera oggettiva, quanto sui processi di etero- e di autoidentificazione di gruppo, sottolineando dunque la dimensione contingente, relazionale e processuale di ogni identità (dell’Agnese, 2005). In tale prospettiva analitica, riveste un peso notevole lo studio del complesso sistema di miti e simboli che accompagna ogni costruzione identitaria. La lettura costruttivista non può che avversare la comune visione del mondo come “mosaico di identità”. Tale metafora veicola indirettamente l’immagine dell’identità come entità “discreta”, statica e non sovrapponibile con altre entità, così come non sono sovrapponibili, appunto, le tessere che compongono un unico mosaico. Geertz (1995) ha definito tale visione un “peccato discontinuista”, vale a dire un’immagine erronea della cultura umana come frammentata in tessere etnico-culturali, ognuna delle quali è caratterizzata da significativi e duraturi elementi di omogeneità (Minca, 2001). A partire dagli anni Settanta e Ottanta la lettura costruttivista, nata inizialmente all’interno degli studi sui nazionalismi, si è ben presto dovuta confrontare con il manifestarsi sempre più imponente, di quel processo complesso che viene ricordato con il termine di “revival etnico”, ovvero la prima ondata di auto-identificazione su base principalmente locale più che statale. Si sono infatti concretizzate negli ultimi trenta anni numerose proteste e mobilitazioni politiche di gruppi che hanno propugnato istanze di maggiore autonomia, autodeterminazione o, come nel caso dei Paesi Baschi o del Galles, di indipendenza territoriale nei confronti dei rispettivi Stati. I nuovi regionalismi, i processi di identificazione su base locale e le lotte dei popoli senza Stato (Capitolo 11), hanno indirizzato gli studiosi verso un dibattito dai contorni fortemente problematici.
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CAPITOLO 2 Molti ritengono tali “ripiegamenti identitari” (Latouche, 2003, p. 25) figli naturali dell’avvento dell’epoca della globalizzazione, ormeggi sicuri in un mondo che cambia (Harvey, 1993). L’epoca contemporanea vedrebbe dunque l’emergere di dinamiche di contrasto tra gruppi proprio come risposta al diffondersi di modelli d’uniformazione planetaria dei gusti e dei consumi. In altri casi le rivendicazioni identitarie sembrano legate a interessi territoriali contrapposti (rapporti squilibrati tra aree di uno stesso Stato), a conflitti di classe (competizione per le risorse) o a reazioni difensive contro discriminazioni o processi di esclusione (come può accadere nel caso di gruppi di immigrati; si veda il caso del movimento beur in Francia). Le letture costruttiviste, di fronte ai casi più eclatanti di controversie territoriali, non possono che constatare la pregnanza e forza sociale di molti processi identitari e, nel far questo, continuare, attraverso la destrutturazione dei singoli percorsi identitari e la loro contestualizzazione storico- territoriale, a ribadire la pericolosità del ritenere le singole culture come identità che differenziano in maniera netta e continuativa i popoli. La metafora del mosaico, sia esso a scala statale o locale, entra infatti in crisi se la si relaziona ai fenomeni di ibridazione culturale presenti in zone di confine o all’interazione culturale conseguente ai fenomeni migratori. Se il riferimento ai vari particolarismi non è sufficiente a offrire risposte esaurienti ai problemi delle società attuali, così come mostrano gli irrigidimenti identitari di alcuni gruppi e le loro cause più intime, è pur vero che si dovrebbe evitare con la stessa preoccupazione quello che Serge Latouche definisce l’altro grande rischio contemporaneo: l’“universalismo cannibale” (Latouche, 2003). Esso cela la sfrontatezza dell’etnocentrismo occidentale nel ritenere i suoi particolarismi culturali come una piattaforma di condivisione neutrale a danno - per questo “cannibale” - delle diversità culturali. Inoltre, esso cela i rapporti di forza squilibrati tra aree differenti di uno stesso Stato o tra zone distanti del globo. Se è data una terza via tra il terrorismo identitario e l’universalismo cannibale, forse essa si può tracciare a partire da un’idea condivisa di identità, come di un costrutto sociale in continuo divenire; che si dovrebbe basare però, per fugare le derive relativiste, sull’universalità dei diritti, sulla bellezza di una cultura globale multiforme e in perenne cambiamento grazie al contatto e alla condivisione (paritaria) dei diversi tratti culturali, piuttosto che sul loro utilizzo per creare costellazioni identitarie chiuse e avverse. della Siberia, aree un tempo quasi spopolate, in ottemperanza ai programmi di sviluppo della Russia, non certo nel contesto di un recente miglioramento ambientale. Secondo la teoria del possibilismo geografico – scuola di pensiero opposta al determinismo nata negli anni a cavallo tra il XIX e XX secolo – sono gli individui, non gli ambienti in sé, a rappresentare le forze dinamiche dello sviluppo culturale. La natura non esprime dunque solamente dei vincoli, ma offre varie possibilità di occupazione del territorio e di utilizzazione delle risorse fisiche. I bisogni, le tradizioni e il livello di tecnologia di una comunità influenzano infatti il modo in cui essa, pur all’interno di evidenti condizionamenti geofisici, agisce sull’ambiente, cogliendo dunque le varie potenzialità da esso offerte. Ciascuna società utilizza le risorse naturali in conformità alle proprie necessità e competenze tecniche. I cambiamenti di tali competenze o degli obiettivi di un gruppo comportano inevitabilmente variazioni nella sua percezione dell’utilità del territorio.
Sposando una visione possibilista, le stesse risorse offerte dall’ambiente possono dunque modificarsi in base al momento storico e allo sviluppo tecnologico di una società. Per esempio, il carbone, il petrolio e il gas naturale hanno avuto la loro attuale collocazione durante tutta la storia dell’uomo, ma di rado trovavano impiego nelle culture pre-industriali e non conferivano dunque alcun vantaggio riconosciuto ai siti in cui si trovavano. Soltanto con la rivoluzione industriale i depositi di carbone acquisirono importanza e influenzarono l’ubicazione di grossi complessi industriali, come le Midlands inglesi, la Ruhr tedesca e i distretti siderurgici del NordEst degli Stati Uniti.
2.2.2 L’impatto dell’uomo La geografia, ivi compresa la geografia culturale, esamina sia l’influenza esercitata dall’ambiente fisico sull’uomo sia le conseguenze dell’azione umana sull’ambiente. Il paesaggio culturale, definibile come la superficie
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Parola-chiave
terrestre modificata dall’azione dell’uomo, rappresenta l’impronta fisica tangibile di una data cultura: i tipi di abitazioni, le reti di trasporto, i parchi e i cimiteri, le dimensioni e la distribuzione degli insediamenti sono alcuni indicatori dell’utilizzo del territorio da parte dell’uomo. Le azioni umane, volontarie e involontarie, che modificano o persino distruggono l’ambiente sono probabilmente antiche quanto il genere umano stesso (Figura 2.2). Gli uomini hanno utilizzato, alterato e sostituito la vegetazione in ampie aree dei tropici e delle latitudini centrali. Hanno cacciato estese mandrie e intere specie di animali fino a provocarne l’estinzione. Attraverso l’utilizzo smodato e l’abuso della Terra e delle sue risorse, essi hanno reso sterili e deserte regioni in precedenza produttive e attraenti. Il fuoco è stato considerato il primo grande strumento dell’uomo, e le conseguenze del suo antico e continuo utilizzo possono essere rinvenute in quasi ogni continente. Ai margini delle grandi foreste pluviali dell’America meridionale, dell’Africa e dell’Asia meridionale si estende la savana tropicale, costituita da un’ampia fascia di vegetazione erbosa, che separa alberi sparsi e tratti di foresta (Figura 2.3). Dopo l’indipendenza, il governo del Kenya, nell’Africa orientale, cercò di proteggere le riserve di caccia nazionali proibendo l’uso periodico del fuoco, utilizzato principalmente per motivi agricoli e per rendere i territori adatti al pascolo, che nel tempo aveva
provocato un cospicuo depauperamento della flora. Le conseguenze di tale politica furono sorprendenti: con la proibizione del fuoco le foreste cominciarono a riappropriarsi del loro habitat naturale e la fauna delle praterie, costituita da immense mandrie di gazzelle, zebre, antilopi e altri animali da pascolo, venne soppiantata da altre specie di animali erbivori, tra cui rinoceronti, ippopotami ed elefanti. Gli esempi di impatto dannoso dell’uomo abbondano fin dai tempi più antichi. Le stragi del Pleistocene – ossia, durante l’età della pietra, la perdita di intere specie animali di grossa taglia in tutti i continenti abitati – sono spesso attribuite alla caccia indiscriminata, che in alcuni casi provocò l’estinzione totale delle specie per opera di società che ricorrevano al fuoco per stanare gli animali ed erano fornite di armi (con manico) per macellarli. Sebbene alcuni abbiano suggerito che tali improvvisi mutamenti della fauna siano stati indotti, almeno in parte, dalle variazioni climatiche o dagli agenti patogeni introdotti da cani, ratti e altri animali al seguito delle mandrie, è l’azione umana la spiegazione più universalmente accettata. Non soltanto la distruzione degli animali, ma anche dello stesso ambiente vitale, è stata una frequente conseguenza del cattivo uso delle aree geografiche da parte dell’uomo. L’Africa settentrionale, il “granaio” della Roma imperiale, diventò arida e sterile anche a causa di una cattiva gestione territoriale. Le strade romane, che sono sopravvissute ai deserti
Paesaggio [Figura 2.2] Giustapposizione del paesaggio fisico e culturale a Città del Capo, Sud Africa. Le società avanzate sono in grado di alterare le condizioni naturali a tal punto da creare paesaggi culturali che diventano essi stessi “ambiente”. Fonte: autori
Interrogare l’immagine Che cosa si intende per paesaggio culturale?
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CAPITOLO 2 [Figura 2.3] La regione del Madagascar sud-occidentale, presso Toliara, presenta un paesaggio di arbusti spinosi e alberi atti a resistere alla siccità caratteristico della savana tropicale con lunga stagione secca.
circostanti, costituiscono una testimonianza del potere erosivo del vento e dell’acqua quando la vegetazione naturale viene rimossa in modo incauto e quando le tecniche di coltivazione non sono appropriate. Nonostante le attuali idee romantiche, dunque, non tutte le società antiche vissero in armonia con il loro ambiente. Naturalmente quanto più la cultura è tecnologicamente avanzata e complessa, tanto più palese e incisiva è la sua influenza sul paesaggio naturale. Nelle caotiche società urbane industriali il paesaggio culturale ha finito per avere maggior peso sulla vita quotidiana degli individui rispetto all’ambiente fisico naturale. Esso si frappone fra la natura e gli esseri umani, e gli abitanti delle città di tali società – che vivono e lavorano in edifici climatizzati e si spostano verso centri commerciali al chiuso – possono vivere mantenendo uno scarso contatto con l’ambiente fisico o interessandosi poco a esso.
2.3 Le radici della cultura
[Figura 2.4] Estensione massima della glaciazione. Durante l’ultima era glaciale, i ghiacciai, nel loro massimo sviluppo, ricoprivano gran parte dell’Eurasia e dell’America settentrionale. Persino le aree non coperte dal ghiaccio erano influenzate dalle variazioni del livello degli oceani, del clima e delle regioni vegetative, derivanti dall’avanzare e dal ritirarsi dei ghiacciai.
Al tempo dei prim\i uomini, l’ambiente fisico era più condizionante per la vita dell’uomo rispetto al giorno d’oggi. Circa 11000 anni fa, i massicci ghiacciai – profonde lastre di ghiaccio mobili – che avevano ricoperto gran parte del suolo e delle acque dell’emisfero settentrionale (Figura 2.4) cominciarono a ritirarsi. Gli animali, le piante e le popolazioni, il cui spazio fino ad allora era stato confinato tra il margine dei ghiacci e gli aspri climi delle regioni di media latitudine, cominciarono a diffondersi, colonizzando territori da poco accessibili. Il nome Paleolitico (antica età della pietra) viene utilizzato per descrivere il periodo, prossimo alla fine della glaciazione, durante il quale piccoli gruppi sparsi cominciarono a differenziarsi da regione a regione nel modo di vivere e di sostentarsi. Tutti erano cacciatori-raccoglitori, popolazioni pre-agricole che dipendevano dalla disponibilità nel corso dell’anno di derrate alimentari vegetali e animali che erano in grado di assicurarsi con i pochi e rudimentali utensili e armi di pietra a disposizione. Anche al culmine dell’era glaciale, le parti non ghiacciate dell’Europa occidentale, centrale e nord-orientale (il continente con le prove meglio
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Parola-chiave
documentate della cultura paleolitica) erano ricoperte di tundra, ossia muschi, licheni e bassi cespugli tipici di quelle aree che risultavano troppo fredde per poter accogliere le foreste. All’epoca l’Europa sud-orientale e la Russia meridionale avevano foreste, tundra e praterie; le regioni mediterranee erano ricoperte di foreste (Figura 2.5). Le enormi mandrie di erbivori – renne, bisonti, mammut e cavalli – brucavano, si riproducevano e migravano attraverso la tundra e le praterie; un’abbondante vita animale popolava le foreste. La migrazione dell’uomo verso nord, nelle attuali Svezia, Finlandia e Russia, richiese una serie di utensili e provviste più elaborati rispetto al passato, per far fronte alle necessità di alloggio e abbigliamento. Fu necessario superare un gran numero di barriere ecologiche e occupare ambienti difficili, precedentemente evitati. Alla fine del periodo
paleolitico gli esseri umani si erano diffusi in tutti i continenti tranne l’Antartide, portando con sé le loro culture di cacciatori-raccoglitori e le loro organizzazioni sociali di tipo adattativo. I cacciatori-raccoglitori, via via che occupavano regioni diverse, dovevano naturalmente utilizzare differenti varietà di alimenti, in base alle risorse presenti nelle nuove aree di insediamento: alcuni si specializzavano nello sfruttamento di risorse marine o fluviali, altri dipendevano completamente da piante e animali della terraferma. Ancora oggi, i boscimani africani condividono poche somiglianze culturali con le società di cacciatori-pescatori inuit, sebbene entrambi i gruppi culturali siano definiti “cacciatori-raccoglitori”. Mentre si diffondeva, la popolazione complessiva aumentava di numero. Tuttavia, i gruppi di cacciatori e raccoglitori necessitano di un territorio esteso, che nutre un numero relativamente esiguo di individui. Secondo le
Rapporto uomo-ambiente in epoca paleolitica ] [Figura 2.5] Gli ambienti dell’Europa nel tardo Paleolitico. In Europa, nel tardo Paleolitico, per far fronte ad ambienti aspri e mutevoli, molto diversi da quelli attuali, gli uomini svilupparono nuove strategie per la raccolta del cibo, per mettersi al riparo e per coprire il proprio corpo.
Interrogare l’immagine Quali furono le strategie di sopravvivenza utilizzate dagli uomini in epoca paleolitica?
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CAPITOLO 2 stime, la popolazione paleolitica dell’intera isola della Gran Bretagna, che si trovava al margine settentrionale del territorio abitato, ammontava solamente a circa 400-500 persone, che vivevano in famiglie ben distinte di 20-40 persone. Nel 9000 a.C. la popolazione complessiva mondiale si attestava probabilmente fra i 5 e i 10 milioni. Le variazioni dei tipi di utensili caratteristici dei diversi gruppi di popolazione aumentarono regolarmente man mano che i popoli, migrando, si imbattevano in nuovi problemi ambientali. Migliori tecnologie per la manifattura degli utensili ampliarono di gran lunga la gamma delle opportunità di utilizzo dei materiali disponibili a livello locale. Ne conseguì uno sfruttamento dell’ambiente fisico più ampio ed efficiente rispetto a quanto fosse stato possibile in passato. Nel contempo, le differenze tra la flora, la fauna e le condizioni ambientali tipiche di regioni diverse accelerarono la differenziazione culturale fra gruppi isolati che, nelle più omogenee condizioni precedenti, avevano condiviso caratteristiche comuni. All’interno di molti ambienti, anche quelli ostili, il processo di caccia e raccolta non richiedeva molto tempo o energia; per esempio, recenti studi sulla popolazione San dell’Africa meridionale indicano che tali gruppi sopravvivono bene con l’equivalente di due giorni e mezzo di lavoro alla settimana. Così, la disponibilità di tempo permetteva di affinare le tecniche nel lavorare selce e osso per ricavarne utensili, di elaborare forme di arte pittorica e scultorea diverse a seconda delle regioni, di realizzare monili di perle e conchiglie, usati a scopo ornamentale e come oggetto di scambio. Alla fine dell’era glaciale (da 11000 a 12000 anni fa circa), la lingua, la religione, il commercio a lunga distanza, gli insediamenti permanenti e la stratificazione sociale all’interno dei gruppi appaiono elementi consolidati in molte aree culturali europee. Quanto appreso e creato dal singolo veniva trasmesso all’interno del gruppo culturale. La varietà di strategie e tecnologie adattative, in continuo aumento, e le svariate creazioni “non economiche” che interessavano l’arte, la religione, la lingua e il costume comportarono un’inevitabile eterogeneità culturale del genere umano. Tale diversificazione andò gradualmente sostituendosi a quella rudimentale uniformità fra popoli di cacciatori e raccoglitori basata sulla condivisione di sfide per il sostentamento, sulle strutture informali di governo, sui legami di parentela all’interno di piccoli gruppi e su fenomeni affini.
2.4 I germi del cambiamento Il ritiro degli ultimi ghiacciai decretò la fine dell’era paleolitica, avviando successivi processi di evoluzione culturale; questi ultimi ebbero come primo risultato lo sviluppo delle tecniche agricole e d’allevamento, per poi portare, secondo ritmi e tempi differenti nelle varie aree, ai processi di urbanizzazione e industrializzazione delle società ed economie moderne. Non tutte le culture hanno attraversato e attraversano contemporaneamente le diverse fasi di cambiamento: da qui il concetto di divergenza culturale tra gruppi umani. Tale espressione non presuppone l’esistenza di tappe prefissate all’interno dei processi che coinvolgono le singole società, né, tanto meno, una gerarchia tra le varie culture; si limita semplicemente a definire le differenze riscontrabili tra i diversi gruppi umani. Il ritiro dei ghiacci comportò nuove condizioni ecologiche, alle quali le popolazioni dovettero adattarsi. Il clima divenne più mite e iniziarono a comparire foreste sulle aperte pianure e sulla tundra dell’Europa e della Cina settentrionale. Nel Medio Oriente, dove la domesticazione di molte piante e animali sarebbe avvenuta più tardi, la vegetazione a savana (prateria) sostituì paesaggi più aridi. Le popolazioni crebbero e, con la caccia, sterminarono le vaste mandrie di animali da pascolo che già risalivano a nord con il ritirarsi del fronte glaciale. Inoltre, la crescita della popolazione richiese nuove basi alimentari e differenti tecniche produttive, in quanto per i cacciatori-raccoglitori si registra una bassa capacità di carico del territorio, ossia il numero di individui che una data area geografica può sostenere in base alle tecnologie a disposizione. Il periodo del Mesolitico (media età della pietra), che in Europa si colloca fra l’11000 e il 5000 a.C. circa, segnò, grazie allo sviluppo delle tecniche agricole, il passaggio dalla semplice raccolta alla produzione del cibo. Queste fasi dell’età della pietra (passaggio dall’“antica” alla “media” alla “nuova” età della pietra), che si sono succedute in diversi intervalli di tempo nelle varie aree del mondo, segnano variazioni distintive negli utensili, negli insediamenti e nelle complessità sociali delle culture.
2.4.1 Le origini e la diffusione dell’agricoltura Alla fine del periodo glaciale la popolazione di cacciatori-raccoglitori crebbe lentamente.
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Le radici e il significato della cultura Man mano che il rapido cambiamento climatico incideva negativamente sulle loro risorse alimentari vegetali e animali, gli individui sperimentarono, in modo autonomo in più di un’area geografica, la domesticazione delle piante e degli animali. Se la domesticazione degli animali precedette o seguì quella delle piante è questione piuttosto dibattuta, ed è probabile che la sequenza sia stata diversa nei vari territori. È tuttavia fuor di dubbio che la domesticazione degli animali, ossia l’allevamento efficace di specie che dipendono dagli esseri umani, cominciò durante il Mesolitico, non come impegno economico consapevole da parte dell’uomo, ma come conseguenza dell’abitudine di tenere negli alloggi animali selvatici di piccola taglia o di giovane età, e dal fatto che gli animali saprofagi erano attirati dai rifiuti prodotti dagli insediamenti umani. L’attribuzione di un significato religioso ad alcuni animali e la docilità di altri a essere organizzati in branchi da parte dei cacciatori sono tutti fattori che rafforzarono i legami fra uomo e animali, fino al raggiungimento della loro completa domesticazione avvenuta a partire dall’8000 a.C. La domesticazione delle piante, come quella degli animali, pare che sia avvenuta in modo autonomo in più di una regione del mondo in un intervallo di tempo compreso fra 10000 e forse persino 20000 anni fa. Ci sono ottime ragioni per ritenere che la maggior parte delle colture destinate all’alimentazione, ampiamente diffuse in Eurasia, furono inizialmente coltivate nel Vicino Oriente a partire da 10000 anni fa e di lì si propagarono rapidamente attraverso le latitudini centrali del Vecchio Mondo. Peraltro, esistono anche prove evidenti che i popoli africani coltivavano frumento, orzo, datteri, lenticchie e ceci nelle pianure del fiume Nilo, soggette a inondazioni periodiche già 18500 anni fa. In altre regioni l’agricoltura cominciò in tempi più recenti; i primi veri agricoltori nelle Americhe comparvero in Messico non oltre 5000 anni fa. L’agricoltura, con ogni probabilità, non è stata un’invenzione, ma la logica estensione alle specie alimentari della selezione di piante e delle abitudini alimentari sviluppate per le varietà non alimentari. Le piante medicinali e quelle psicotrope, insieme ai loro derivati, erano infatti conosciute, raccolte, protette e coltivate da tutte le culture antiche. Ciò nonostante, la domesticazione completa delle piante alimentari, come quella degli animali, può essere rintracciata in un numero limitato di aree di origine dalle quali si diffusero le sue tecniche. Le varie regioni di origine dell’agricoltura condividevano molti elementi
ricorrenti: in ognuna la domesticazione fu incentrata su specie vegetali selezionate, a quanto pare, per la capacità di fornire grandi quantità di calorie o proteine immagazzinabili; in ognuna vi era una popolazione ben alimentata e in grado di dedicare tempo a selezionare, diffondere e migliorare quelle piante rese disponibili da una vegetazione variegata. Alcuni sostengono, in verità, che la domesticazione del grano nel Vicino Oriente possa risalire a 13000 anni fa, come reazione (creativa ma obbligata) alla penuria di cibo indotta dall’improvviso innalzamento delle temperature estive e dall’aridità della valle del Giordano. Quello stress ambientale, riducendo le provviste alimentari per l’estate e distruggendo gli habitat della cacciagione selvatica, favorì la selezione e la coltivazione di cereali e legumi annuali a breve stagione, i cui semi potevano essere immagazzinati e piantati durante le stagioni di crescita invernali, più fredde e più umide. Nei tropici e nelle umide regioni subtropicali, furono selezionate varietà adatte a una riproduzione vegetativa, tramite radici, tuberi o talee. Al di fuori di queste regioni, erano più comuni e oggetto di domesticazione le piante selvatiche che si riproducevano tramite semi. Sebbene esistessero casi di doppia tipologia di coltura, ciascuna delle aree di origine sviluppò caratteristiche di colture peculiari, come mostra la Figura 2.6. Da ogni regione si verificò il passaggio di piante da coltura ad altre regioni, inizialmente con i tempi lenti tipici dei primi sistemi di mobilità e di comunicazione tra le popolazioni (Figura 2.7), ma dopo il 1500 d.C., con l’inizio dell’espansione e della colonizzazione europea, in forme più rapide ed estese. Adattando le piante selvatiche a fini agricoli, i coltivatori stessi si adattarono: assunsero una residenza di tipo sedentario per proteggere le aree coltivate da animali, insetti e predatori umani. Svilupparono specializzazioni nel lavoro e crearono strutture religiose più formalizzate ed estese, all’interno delle quali assunsero particolare importanza i riti connessi alla fertilità e alla riuscita del raccolto. I contrasti a livello regionale fra i cacciatori-raccoglitori e le società agricole sedentarie aumentarono. Laddove i due gruppi entravano in competizione per il controllo territoriale, gli agricoltori avevano la meglio sui cacciatori-raccoglitori. Il conflitto proseguì fino ai tempi moderni. Nel corso degli ultimi 500 anni, i colonizzatori europei dominarono completamente le culture di cacciatori e raccoglitori con cui vennero in contatto in gran parte del mondo,
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CAPITOLO 2
[Figura 2.6] Principali centri di domesticazione di piante e animali. I centri dell’Asia meridionale e sud-orientale erano caratterizzati dalla domesticazione di piante come il taro, che si propaga per talea (riproduzione vegetativa). La riproduzione tramite semi, come quella del granturco e del frumento, veniva praticata soprattutto nell’America centrale e nell’Asia sud-occidentale. Le aree dell’Africa e delle Ande svilupparono colture con entrambe le tipologie di piante. Le liste di raccolti e di bestiame associati alle diverse aree di origine sono state redatte secondo un criterio selettivo, e pertanto non sono esaustive.
come in America settentrionale e in Australia. Ancora oggi, nelle foreste pluviali dell’Africa centrale, gli agricoltori bantu fanno continue pressioni sui cacciatori-raccoglitori pigmei, mentre nell’Africa meridionale i pastori ottentotti e gli agricoltori bantu avanzano costantemente nei territori dei gruppi di cacciatori-agricoltori san. Il contrasto fra i cacciatori-raccoglitori e gli agricoltori fornisce una prova drammatica dei conflitti che si possono generare a partire da differenti usi di uno stesso territorio.
2.4.2 Le innovazioni del Neolitico La domesticazione delle piante e degli animali ebbe inizio già nel periodo del Mesolitico, ma nella sua forma più definita segnò l’inizio del Neolitico (nuova età della pietra). Come altre epoche dell’età della pietra, il Neolitico rappresentò una fase di cambiamento culturale, piuttosto che un periodo determinato. Il termine dato a tale epoca rinvia alla creazione, in questo lungo lasso di tempo, di utensili e tecnologie più avanzate per far fronte alle circostanze e alle necessità di una popolazione in espansione e sedentaria, la cui economia era basata su una gestione dell’ambiente di tipo agrario.
Non tutte le popolazioni della Terra vissero contemporaneamente la stessa transizione culturale. Nel Vicino Oriente, dal quale provengono gran parte delle conoscenze circa questo tardo periodo preistorico, il Neolitico durò approssimativamente dall’8000 al 3500 a.C.; qui, come altrove, fu accompagnato da modifiche complesse e rivoluzionarie nella vita umana. La velocità del mutamento culturale aumentò: in una rete interconnessa di tipo adattativo, le innovazioni tecnologiche e sociali si produssero con una velocità superiore a tutti i periodi precedenti (Figura 2.8). Gli esseri umani appresero l’arte di filare e tessere le fibre animali e vegetali, impararono a utilizzare il tornio e a cuocere l’argilla per farne utensili; idearono tecniche per produrre mattoni, cementarli e costruire; scoprirono come estrarre, fondere e colare i metalli. Sulla base di tali progressi tecnologici, emersero una cultura di sfruttamento più complessa e una economia più formale. Una società stratificata, basata sul lavoro e sulla specializzazione delle mansioni, soppiantò la precedente uguaglianza fra adulti propria delle economie fondate sulla caccia e sulla raccolta. Particolari vantaggi, offerti da alcuni luoghi in termini di risorse o prodotti, promossero lo sviluppo di legami commerciali a lunga
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distanza, che l’invenzione della barca a vela contribuì a mantenere. Alla fine del periodo neolitico, alcuni gruppi circoscritti, avendo dato vita a una società che produceva il cibo anziché raccoglierlo, intrapresero un utilizzo più sistematico dei loro ambienti. Cominciarono a modificare specie animali e vegetali, a gestire le risorse del suolo, del terreno, idriche e minerarie, e a utilizzare l’energia animale per coadiuvare quella umana. Impiegarono metalli per costruire utensili raffinati e armi superiori, Least Genetically dapprima il rame puro e poi il bronzo, più duro e resistente, ottenuto dalla lega di Similar zinco e rame. Gli esseri umani erano passati dall’arte di adottare e plasmare le risorse offerte dalla natura a quella di crearle. Most Genetically Man mano che gli individui si raccoglieSimilar to First Farmers vano in comunità più ampie, nascevano regole di condotta e di controllo nuove e più ufficiali, particolarmente importanti quando si trattava di utilizzo del terreno. Sorsero i governi per far rispettare le leggi e definire le punizioni per i trasgressori. La protezione della proprietà privata, molto più consistente e di varia natura rispetto a quella dei nomadi, richiese codici più complessi, tra cui l’applicazione di regole sociali sempre più stratificate e legate a privilegi sociali e alla tutela dello status economico. Le religioni divennero più formali: se i cacciatori praticavano un culto individualistico, legato alla salute e alla sicurezza personali, le comunità agricole nutrivano preoccupazioni collettive basate sul calendario, concernenti il ciclo delle precipitazioni atmosferiche, le stagioni di piantagione e di raccolta, l’innalzamento e l’abbassamento delle acque per
Med iterra ne o
500 km
[Figura 2.7] La migrazione dei primi agricoltori e allevatori dal Medio Oriente in Europa, a partire da 10000 anni fa circa, viene tracciata dagli indicatori genetici. Se l’interpretazione delle prove genetiche è valida, i migratori si diffusero a una velocità di circa 1 chilometro al giorno, incontrandosi progressivamente con i cacciatori-raccoglitori indigeni europei lungo il continente e soppiantandoli. Fonte: Luigi Luca Cavalli-Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza, The History and Geography of Human Genes, Copyright © 1994 Princeton University Press, Princeton, N.J. Ed. it.: Storia e geografia dei geni umani, Adelphi, Milano, 1997.
l’irrigazione. Le religioni che rispondevano a tali preoccupazioni sviluppavano rituali per rendere grazie alle divinità per il raccolto ottenuto; le cerimonie e le feste erano scandite dai ritmi del lavoro sui campi (momenti fortemente rituali erano associati al periodo della semina e a quello della mietitura). Si rese necessaria la figura del sacerdote, il cui
(a) (b) [Figura 2.8] Le due attività qui raffigurate possono apparire molto diverse quanto alle tecniche che presuppongono; tuttavia esse partecipano entrambe dell’accelerazione dei cambiamenti umani prodotti dall’avvento dell’agricoltura. In (a), carri trainati da coppie di zebù sugli altipiani centrali del Madagascar; in (b), lavorazione meccanizzata nelle risaie della Pianura Padana.
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CAPITOLO 2 ruolo fosse “ufficializzato dalla collettività”, che non soltanto facesse da intermediario fra gli individui e le forze della natura, ma formalizzasse anche il periodo e la struttura dei rituali necessari, ponendosi quale guida spirituale dell’intera società. Nella vita di tutti i giorni le occupazioni diventarono sempre più specializzate, dunque i ruoli sociali si fecero più definiti. I lavoratori di metallo, i vasai, i marinai, i sacerdoti, i mercanti, gli scribi e in alcune aree i guerrieri andarono ad aggiungersi, quali figure sociali, agli agricoltori e ai cacciatori.
2.5 I focolai culturali
Parola-chiave
In origine, le rivoluzioni sociali e tecnologiche che cominciarono nel periodo neolitico e lo caratterizzarono erano circoscritte. Le nuove tecnologie, i nuovi modi di vivere e le nuove strutture sociali si diffusero dalle culle di origine e furono adottate in modo selettivo anche da individui che non avevano preso parte alla loro creazione. Il termine focolaio culturale viene utilizzato per descrivere tali centri di innovazione e di invenzione, dai quali importanti tratti ed elementi culturali si spostarono per esercitare la loro influenza sulle regioni
circostanti, facendosi portatori di particolari paesaggi culturali. Fra i molti e importanti focolai culturali che si attivarono nel periodo neolitico, ci furono l’Egitto, Creta, la Mesopotamia, la valle del fiume Indo nel subcontinente indiano, la Cina settentrionale, l’Asia sud-orientale e diverse località dell’Africa sub-sahariana, delle Americhe e altrove (Figura 2.9). Essi si svilupparono in aree del mondo molto lontane, in periodi diversi e in diverse condizioni ecologiche. Ciascuno ebbe la sua caratteristica miscela di tratti e amalgami culturali. L’antropologo Julian Steward (1902-1972) propose il concetto di evoluzione multilineare per spiegare le caratteristiche comuni di culture molto lontane, formatesi in condizioni ecologiche simili. Egli ipotizza che ciascuna zona ambientale principale – arida, a elevata altitudine, steppa delle latitudini centrali, foresta tropicale e così via – tenda a generare tratti comuni di adattamento nelle culture di coloro che la sfruttano. Tali tratti si baserebbero sullo sviluppo dell’agricoltura e sull’emergere di strutture culturali e amministrative simili nei molti focolai culturali; ma simili non significa identiche. Steward suggerisce semplicemente che, poiché sequenze comparabili di stadi di sviluppo tecnico non possono essere spiegate
Focolai culturali [Figura 2.9] I primi focolai culturali nel Mondo Antico e nelle Americhe. Le date indicano le epoche approssimative durante le quali i focolai culturali svilupparono complesse basi sociali, intellettuali e tecnologiche e fecero da centri di diffusione culturale.
Interrogare l’immagine A partire dagli input di riflessione offerti dalla carta, quali sono le principali ipotesi sulla presenza di caratteristiche comuni in punti distanti del globo?
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Le radici e il significato della cultura sempre, e nemmeno spesso, sulla base del prestito o dell’esportazione di idee e tecniche (a causa della distanza tra i vari popoli e dei tempi differenti di sviluppo delle tecniche), esse devono essere considerate come la prova di creazioni parallele sulla base di ecologie simili. La teoria opposta, il diffusionismo, è la convinzione che le somiglianze culturali si verifichino principalmente – e forse addirittura unicamente – tramite la propagazione nello spazio (diffusione) da un sito di origine, o al limite da pochissimi. Vale a dire che l’avanzamento culturale e le civiltà si trasmettono tramite vie di commercio e contatti fra gruppi, e non sono il frutto di creazioni separate e indipendenti. Il diffusionismo, sebbene a lungo non abbia incontrato il favore degli studiosi, di recente è stato avvalorato da scoperte archeologiche che documenterebbero trasferimenti a lunghissima distanza di idee, tecnologie e lingue a opera dei popoli migratori. In ogni caso, le caratteristiche comuni che derivano dall’evoluzione multilineare e la diffusione di specifici tratti e strutture culturali contengono le radici della convergenza culturale. Questo termine descrive la condivisione di tecnologie, strutture organizzative e persino tratti culturali e manufatti che si manifesta in modo evidente fra società molto distanti nel mondo moderno, caratterizzato dall’istantaneità della comunicazione e dall’efficienza dei trasporti. La convergenza su tale scala mondiale è, agli occhi di molti osservatori, la prova della dilagante globalizzazione della cultura.
2.6 La struttura della cultura Probabilmente comprendere appieno una cultura è impossibile sia per chi non ne fa parte sia per coloro che, essendovi totalmente immersi e vivendola dall’interno, difficilmente possono concettualizzarla. Tuttavia, a scopi analitici, i tratti e le strutture della cultura – le sue parti costitutive e le sue espressioni – possono essere raggruppati ed esaminati come sottoinsiemi del tutto. La tesi accolta dal testo è quella di Leslie White (1900-1975), antropologo che definì la cultura una struttura tripartita composta di sottosistemi ai quali egli attribuì i nomi di ideologico, tecnologico e sociologico. In una classificazione simile, ma distinta, vengono identificate tre componenti interrelate della cultura: i prodotti mentali, materiali (o manufatti) e sociali. Insieme, secondo queste interpretazioni, i sottosistemi, identificati tramite le loro diverse componenti, costituiscono un
sistema culturale. Peraltro, essi si integrano a vicenda; ciascuno interagisce con gli altri e a sua volta è dagli altri influenzato. Il sottosistema ideologico è composto da idee, credenze e conoscenze di una cultura e dalle modalità secondo le quali esse trovano espressione in discorsi o in altre forme di comunicazione. Le mitologie e le teologie, la leggenda, la letteratura, la filosofia e la saggezza popolare fanno parte di questa categoria. Tali sistemi astratti di credenze o prodotti mentali, passati di generazione in generazione e in parte modificati, ci indicano in che cosa credere, a che cosa attribuire valore e in che modo agire. Le credenze formano la base del processo di socializzazione. Due elementi di base del sottosistema ideologico – la lingua e la religione – costituiranno l’argomento del Capitolo 5. Il sottosistema tecnologico è composto dagli oggetti materiali (e dalle tecniche per l’utilizzo degli stessi) grazie ai quali gli individui sono in grado di vivere. Gli oggetti sono gli utensili e gli altri strumenti che consentono di nutrirsi, vestirsi, ripararsi, difendersi, muoversi e svagarsi. Huxley assegnò agli oggetti materiali che utilizziamo per soddisfare queste necessità fondamentali il termine di manufatti. Nel corso del Capitolo 9 esamineremo la relazione fra i sottosistemi tecnologici e i modelli regionali di sviluppo economico. Il sottosistema sociologico di una cultura è la somma dei modelli attesi e accettati di relazioni interpersonali, che sfociano nelle associazioni economiche, politiche, militari, religiose, di parentela e altre. Tali prodotti sociali definiscono l’organizzazione sociale di una cultura: regolano il modo in cui il singolo si colloca rispetto al gruppo, sia che quest’ultimo sia rappresentato dalla famiglia, dalla chiesa o dallo Stato. Non vi sono elementi dati quando si tratta dei modelli di interazione in ciascuno di tali gruppi, se non per il fatto che la maggior parte delle culture possiede una varietà di modi formali e informali per strutturare il comportamento. Diversi modelli di comportamento sono appresi e trasmessi da una generazione all’altra (Figura 2.10). Poiché ogni classificazione è per sua natura arbitraria, anche tali classificazioni dei sottosistemi e delle componenti della cultura non fanno eccezione. La struttura tripartita della cultura, pur aiutandoci ad apprezzare la sua struttura e la sua complessità, può al contempo oscurare la natura multiforme dei singoli elementi che la compongono. Gli indumenti, per esempio, sono un manufatto per proteggere il corpo in funzione delle condizioni climatiche, dei materiali e delle tecniche
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CAPITOLO 2
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disponibili o dell’attività che l’utilizzatore si trova a svolgere, ma possono anche essere considerati dei prodotti sociali, in quanto identificano il ruolo di un singolo all’interno della struttura sociale della comunità o della cultura, o dei prodotti mentali, in quanto evocano i sistemi di valori di più ampie comunità (Figura 2.11). In una cultura niente è completamente lasciato a se stesso o casuale. I mutamenti delle idee di una società possono incidere sui sottosistemi sociologici e tecnologici, proprio come i mutamenti della tecnologia impongono modifiche ai sistemi sociali. L’improvvisa alterazione della struttura ideologica della Russia successiva alla rivoluzione comunista del 1917, con il passaggio da un sistema monarchico, agrario e capitalistico a una società industrializzata e comunista, comportò l’improvvisa e correlata alterazione di tutti gli aspetti del sistema culturale di quel paese. La disintegrazione altrettanto improvvisa del
comunismo russo all’inizio degli anni Novanta del Novecento distrusse a sua volta tutte le strutture economiche, sociali e amministrative stabilite. La natura interdipendente di tutti gli aspetti di una cultura prende il nome di integrazione culturale.
2.7 Il mutamento culturale: innovazione diffusione e acculturazione, Il tema ricorrente della geografia culturale è il mutamento. Nessuna cultura è, o è stata, caratterizzata da una serie permanentemente fissa di oggetti materiali, sistemi organizzativi o ideologici. Certo, tutti questi elementi possono durare a lungo all’interno di una società stabile e isolata, in equilibrio con la sua base di risorse. Tale isolamento e tale stabilità sono sempre stati comunque rari. Tutto sommato, le culture, per quanto sostanzialmente
Trasmissione culturale generazionale [Figura 2.10] In tutte le società i più giovani vengono preparati per entrare a far parte del gruppo culturale. In ciascuna delle situazioni qui raffigurate determinati valori, credenze, abilità e modi di agire vengono trasmessi alla generazione giovane.
Interrogare l’immagine All’interno di una società, secondo quali modalità la cultura viene trasmessa alle giovani generazioni?
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Componenti della cultura [Figura 2.11] (a) Quando gli indumenti hanno la funzione principale di coprire, proteggere o aiutare nelle attività, si tratta di manufatti. (b) Alcuni indumenti sono dei prodotti sociali, in quanto indicano un ruolo o una posizione all’interno della struttura sociale: le “uniformi” distintive dei militari, degli ecclesiastici o degli ambasciatori rivelano immediatamente il loro rispettivo ruolo nelle organizzazioni sociali di una cultura. (c) Il burka o il chador indossato dalle donne musulmane – talvolta obbligatoriamente – rappresentano dei prodotti mentali, in quanto non indicano specificamente il ruolo svolto da chi li indossa, ma i valori culturali che esso rappresenta.
Interrogare l’immagine Manufatti, prodotti sociali e mentali sono legati, all’interno dell’impostazione teorica del testo, a differenti sottosistemi culturali. Qual è, per ognuna delle immagini proposte, il sottosistema di riferimento?
(c)
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CAPITOLO 2 conservative, si trovano in uno stato di flusso perpetuo. Alcuni cambiamenti sono importanti e pervasivi. Il passaggio da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori sedentari, come abbiamo visto, ha inciso profondamente su tutti gli aspetti delle culture interessate a tale cambiamento. Altrettanto profondo, per tutte le società che ne sono state interessate, è risultato l’impatto della rivoluzione industriale e del processo di urbanizzazione a essa associato. Naturalmente non tutti i mutamenti sono così ampi come quelli indotti dall’introduzione dell’agricoltura o dalla rivoluzione industriale. Molti, presi singolarmente, sono talmente irrilevanti da passare inosservati ma, in combinazione, possono alterare sensibilmente la cultura da essi interessata. Basti pensare a come la cultura attuale italiana differisca da quella del 1940: si vedano gli innumerevoli congegni elettrici, elettronici e di trasporto introdotti e i mutamenti sociali, comportamentali e ricreativi che questi e altri mutamenti hanno innescato. Fra questi ultimi rientrano le variazioni dei modelli occupazionali tese a favorire, rispetto al passato, un maggiore coinvolgimento delle donne nella forza lavoro stipendiata e il conseguente cambiamento degli atteggiamenti verso il ruolo della donna nella società su più ampia scala. La combinazione di mutamenti è dovuta al fatto che i tratti culturali di ciascun gruppo non sono indipendenti, bensì raccolti in un modello integrato. Il cambiamento su piccola scala avrà ampie ripercussioni man mano che i tratti collegati entrano in sintonia con il mutamento adottato. A fini analitici, vengono proposti di seguito tre processi atti a spiegare le forme principali di mutamento culturale: l’innovazione, la diffusione e l’acculturazione. Con il termine innovazione si indicano i mutamenti che derivano da nuove idee create all’interno di una cultura. La novità potrebbe essere rappresentata da un miglioramento nella tecnologia strumentale, come l’arco e la
freccia o il motore a getto. Può inoltre comportare lo sviluppo di forme non strumentali di struttura sociale e interazione sociale come, ad esempio, il feudalesimo o il cristianesimo. Molte innovazioni hanno di per sé poche conseguenze, ma talvolta l’ampia adozione di innovazioni apparentemente non collegate può comportare grossi mutamenti, se considerate nella prospettiva del tempo. Può succedere che un nuovo motivo musicale, “adottato” da pochi individui, piaccia a molti, insieme ad altre melodie simili. Questo può avere un’influenza sul ballo, che a sua volta può influenzare la scelta dell’abbigliamento, che a sua volta può incidere sulle campagne pubblicitarie dei negozianti e sui comportamenti di spesa da parte dei consumatori. Nella maggior parte delle società moderne, il cambiamento innovativo è diventato comune, atteso e inevitabile. La velocità dell’invenzione, almeno se misurata in termini di numero di brevetti erogati, è aumentata esponenzialmente, e il periodo che intercorre fra la concezione dell’idea e la disponibilità del prodotto è andata via via diminuendo. Un assioma generico è che quante più sono le idee a disposizione e quante più sono le menti capaci di sfruttarle e combinarle, tanto maggiore è la velocità dell’innovazione. L’implicazione in termini spaziali è che tendono a essere centri di innovazione i centri urbani di dimensioni maggiori, con tecnologie avanzate, il che non dipende soltanto dall’estensione, ma anche dal numero di idee interscambiate. Infatti, le idee non soltanto stimolano nuovi pensieri e nuovi punti di vista, ma creano anche circostanze nelle quali la società deve trovare nuove soluzioni per mantenere la sua tendenza al cambiamento (Figura 2.12]. Il processo attraverso cui un’idea o un’innovazione viene trasmessa da un individuo o gruppo a un altro prende il nome di diffusione. La diffusione può assumere una gran varietà di forme, ciascuna diversa per il suo
[Figura 2.12] La tendenza dell’innovazione nel corso della storia umana. I cacciatori-raccoglitori, vivendo in equilibrio con il loro ambiente e con la loro base di risorse, non sentivano come necessità impellente l’innovazione e tanto meno l’esigenza del cambiamento culturale. La rivoluzione agricola fece accelerare la diffusione delle idee e delle tecniche di addomesticazione, urbanizzazione e commercio. Con la rivoluzione industriale, lo sviluppo tutti gli aspetti dell’innovazione socioeconomica cominciò ad alterare le culture di tutta la superficie terrestre.
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Le radici e il significato della cultura impatto sui gruppi sociali. Tuttavia, sono fondamentalmente due le modalità in cui si esplica. (1) Gli individui si muovono, per varie ragioni, in una nuova area, portando con sé la loro cultura. Per esempio, i migranti europei nelle colonie americane si portarono dietro tecniche di raccolto e di allevamento, stili di costruzione o concetti di governo estranei alla loro nuova patria. (2) Le informazioni circa un’innovazione (per esempio i cereali ibridi o il compact disc) possono diffondersi all’interno di una società, probabilmente con l’aiuto della pubblicità locale o dei mass media; oppure, coloro che adottano una nuova ideologia o un modo di vivere – per esempio un nuovo credo religioso – possono essere ispirati o resi adepti da convertiti immigranti o indigeni. Il primo processo prende il nome di diffusione per spostamento (o rilocalizzazione) (Figura 2.7) (Figura 2.13a), il secondo quello di diffusione per espansione (Figura 2.13b). Quando la diffusione per espansione interessa quasi in maniera uniforme tutti gli individui e tutte le aree esterne alla regione di origine, viene definita diffusione per contagio (o epidemiologica). Il termine suggerisce l’importanza del contatto diretto fra coloro che hanno sviluppato o adottato l’innovazione e coloro che ne vengono a conoscenza, e richiama alla mente la modalità di propagazione delle malattie infettive (Figura 2.14). Se coloro che vengono a conoscenza dell’innovazione decidono di apportarla, il numero dei contatti tra questi ultimi e coloro che hanno sviluppato l’innovazione, o che l’hanno adottato da tempo, aumenta. Di conseguenza, l’innovazione si diffonderà lentamente all’inizio e poi sempre più rapidamente, fino a raggiungere la saturazione o incontrare una barriera. L’incidenza dell’adozione in caso di diffusione per contagio viene rappresentata dalla curva a forma di S nella Figura 2.15. La velocità con cui un tratto culturale o un’idea si diffonde può essere influenzata dal decadimento con il tempo-distanza, concetto che indica
semplicemente che la propagazione o l’accettazione di un’idea viene di solito ritardata man mano che aumenta la distanza dalla fonte. In alcuni casi, però, nel trasferimento di idee la distanza geografica è meno importante rispetto alla comunicazione fra centri principali. Notizie concernenti nuovi stili di abbigliamento, per esempio, si diffondono rapidamente fra le principali città e soltanto in un secondo momento penetrano in modo irregolare in quelle più piccole e nelle aree rurali. Il processo di trasferimento di idee, prima fra luoghi di dimensioni maggiori e soltanto più tardi fra luoghi di dimensioni minori o meno importanti, assume il nome di diffusione gerarchica. La fede cristiana in Europa, per esempio, si è diffusa da Roma come centro principale alle capitali delle province, e in seguito a più piccoli insediamenti romani in territori occupati principalmente da pagani. Mentre la diffusione di idee può essere rallentata dal decadimento con il tempo-distanza, la loro velocità di diffusione può essere aumentata, fino a diventare istantanea, attraverso la compressione spazio-temporale resa possibile
[Figura 2.13] Modelli di diffusione. (a) Nella diffusione per spostamento (o rilocalizzazione), le innovazioni o le idee vengono trasportate in nuove aree da parte di individui che abbandonano in modo permanente il loro luogo di origine. (b) Nella diffusione per espansione, un fenomeno si diffonde da un luogo nelle località circostanti, pur rimanendo vivo, e spesso anche più intenso, nel luogo di origine (vedi Figura 5.14). Fonte: immagine riprodotta previa autorizzazione e tratta da Spatial Diffusion, di Peter R. Gould, Resource Paper no. 4, p. 4, Association of American Geographers, 1969.
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Parola-chiave
CAPITOLO 2
Processi di diffusione [Figura 2.14] Il processo di diffusione per contagio (o epidemiologica) dipende sia dal tempo sia dalla distanza, come suggeriscono i percorsi di diffusione della pandemia influenzale europea del 1781. In quel caso, il modello fu una diffusione a forma di onda propagatasi da un’area nodale originaria situata in Russia. Fonte: sulla base di Gerald F. Pyle e K. David Patterson, Ecology of Disease 2, no. 3 (1984): 179.
Interrogare l’immagine Quali altre modalità di diffusione esistono accanto alla diffusione per contagio presentata dalla figura?
dalla moderna comunicazione. Mediante l’accesso alla radio, ai telefoni, alla televisione che trasmette a livello mondiale notizie, sport e programmi di intrattenimento, e – forse ancor più – grazie ai computer e a Internet, individui e aree separati dalla distanza fisica possono immediatamente condividere un bagaglio comune di pensiero e innovazione. La tecnologia della comunicazione moderna, cioè, ha incoraggiato e facilitato la globalizzazione della cultura. La diffusione degli stimoli rappresenta secondo alcuni studiosi una terza forma di diffusione per espansione. A questo termine possono essere ascritte le situazioni in cui un’idea fondamentale stimola un comportamento imitativo all’interno di una popolazione ricettiva. Sia nel caso della diffusione per espansione sia in quello per spostamento, innovazioni nei sottosistemi tecnologici o ideologici possono essere prontamente diffuse a culture che hanno somiglianze e compatibilità di base, e da esse venire accettate. L’Europa continentale e l’America settentrionale, per esempio, poterono facilmente e rapidamente adottare le innovazioni della rivoluzione industriale diffuse dall’Inghilterra, con la quale esse
condividevano un comune retroterra economico e tecnologico. L’industrializzazione, di contro, non fu subito accettata in società asiatiche e africane che versavano in condizioni culturali totalmente diverse. Anche sul livello ideologico il successo della diffusione dipende dall’accettabilità delle innovazioni. Il tentativo degli scià dell’Iran di occidentalizzare rapidamente la cultura tradizionale iraniana fondata sull’Islam, dopo la seconda guerra mondiale, provocò la reazione da parte dei tradizionalisti e una rivoluzione che portò alla destituzione degli scià e al ristabilimento del controllo dello Stato da parte del clero. Si deve concludere, dunque, che la diffusione non può essere considerata unicamente come il risultato della divulgazione di conoscenza. L’accettazione di nuovi tratti, oggetti o modi di fare o pensare da parte di una potenziale popolazione che li riceve dipende non soltanto dal flusso di informazioni verso tale popolazione, ma anche dalla sua complessiva struttura culturale ed economica. L’inno vazione può essere rifiutata non soltanto per mancanza di conoscenza, ma anche perché il nuovo tratto viola le norme morali ed etiche della cultura nella quale viene introdotto.
[Figura 2.15] La diffusione delle innovazioni nel corso del tempo. Il numero di coloro che adottano un’innovazione aumenta a una velocità crescente fino al punto in cui la metà circa del totale di coloro che alla fine decidono di adottarla hanno assunto la loro decisione. A quel punto, il numero di coloro che adottano l’innovazione aumenta a una velocità decrescente.
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Le radici e il significato della cultura Il mutamento culturale è stato spiegato come conseguenza del processo di acculturazione, attraverso cui popolazioni immigranti acquisiscono valori, atteggiamenti, costumi e parlata della società che li ospita, la quale a sua volta subisce un cambiamento indotto dall’assorbimento del gruppo ospitato (tale processo è discusso in maggiore dettaglio nel Capitolo 6). Un gruppo culturale può subire sostanziali modifiche nei tratti che lo identificano, adottando alcune o tutte le caratteristiche di un altro gruppo culturale dominante. Una diversa forma di contatto e successiva alterazione culturale può verificarsi in una regione conquistata o colonizzata, nella quale la popolazione subordinata o assoggettata adotta forzatamente la cultura del nuovo gruppo dominante – introdotta tramite la diffusione per spostamento – oppure per necessità, sopraffatta dalla superiorità numerica o dal livello tecnologico del conquistatore. Tribù di europei in aree della conquista romana, popolazioni indigene al seguito dell’occupazione slava della Siberia e indigeni americani spogliati delle loro terre con l’insediamento degli europei nell’America settentrionale subirono questo tipo di mutamento o di adozione culturale. Va da sé che, in casi estremi, alcune società e culture cessino di esistere. Secondo un’accurata stima, almeno un terzo dell’inventario mondiale delle culture umane è completamente scomparso a partire dal 1500 d.C., insieme alle loro lingue, alle loro tradizioni, ai loro modi di vivere e, chiaramente, alla loro stessa memoria. In molti casi, lo stretto contatto fra due diversi gruppi può comportare una rettifica dei modelli culturali originari di entrambi, piuttosto che la scomparsa di uno dei due. Per esempio, il detto Graecia capta cepit Romam (La Grecia conquistata conquistò Roma) si diffuse dopo il 146 a. C., anno dell’inizio del protettorato romano in Grecia, proprio in riferimento ai fortissimi influssi artistici e filosofici
che dalla Grecia si diffusero attraverso i territori romani. La cultura romana conobbe un vero e proprio processo di ellenizzazione e la lingua greca, per lungo tempo, continuò a servire da lingua franca in Oriente. La Grecia, d’altro canto, adottò il diritto e le istituzioni politiche di Roma, la sua tecnologia civile (ponti, strade) e militare. Laddove il flusso di scambi bidirezionali tra due popoli riflette uno scambio equo di tratti culturali e del modo di vivere, si usa il termine di transculturazione. È utile ricordare che solitamente le culture che adottano innovazioni culturali non accolgono gli elementi tali e quali: idee e manufatti subiscono comunemente una qualche alterazione in forma o significato, volta a renderli accettabili al gruppo che li mutua. Il processo di fusione del vecchio con il nuovo prende il nome di sincretismo ed è una caratteristica principale del mutamento culturale. Il sincretismo è rinvenibile nelle alterazioni apportate ai rituali e ai dogmi religiosi per convertire società alla ricerca di un’accettabile corrispondenza fra le antiche e le nuove credenze; un esempio è rappresentato dalla commistione fra riti cattolici ed elementi teologici e magici, tratti dalle religioni dell’Africa occidentale, che diede vita al vuduismo ad Haiti. Su un piano più familiare, il sincretismo si riflette in alterazioni impercettibili o sostanziali alla gastronomia di importazione, al fine di conformarla alle esigenze del paese importatore. I vari modelli di mutamento culturale appena analizzati sono utili per comprendere le varie tipologie di cambiamento possibili; è però necessario ricordare che, come tutte le astrazioni, non possono rendere conto in maniera puntuale di ogni caso specifico che differisce inevitabilmente dagli altri e che quindi va esaminato nella sua unicità con strumenti più precisi come la ricerca d’archivio, bibliografica e, se si analizzano casi contemporanei, la ricerca empirica.
In sintesi La rete della cultura è composta da una fitta trama di fili. Ai fini analitici, si possono individuare tratti e strutture, modelli spaziali di diffusione e interazione culturali che, nel loro insieme, formano determinati paesaggi umani, caratterizzando territori e gruppi umani. Tali paesaggi, territori e caratteristiche di gruppo variano nel corso del tempo man mano che le società umane interagiscono con il loro ambiente, sviluppano per se stesse nuove soluzioni ai bisogni collettivi oppure sono alterate tramite le innovazioni adottate dall’esterno del gruppo stesso. L’uniformità culturale di un mondo pre-agricolo, composto unicamente da cacciatori-raccoglitori, è andata perduta man mano che la domesticazione di piante e animali in molte aree mondiali ha portato alla nascita di focolai culturali di innovazione su ampio raggio, e ad una divergenza culturale fra agricoltori e raccoglitori. Le innovazioni si propagarono al di fuori dei punti di origine, portate
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CAPITOLO 2 dai migranti (mediante diffusione per spostamento), o adottate da altri individui, grazie a vari tipi di diffusione per espansione e di processi di acculturazione. Quantunque esistano delle barriere alla diffusione, la maggior parte delle innovazioni di successo, vantaggiose o legate a gruppi di potere, vengono adottate, producendo mutamenti e convergenza culturale fra diverse società.
Domande di riepilogo 1. Che cosa si intende con il termine cultura? In che modo si trasmette la cultura? Quali caratteristiche personali incidono sugli aspetti della cultura che ciascun individuo acquisisce o padroneggia appieno? 2. Che cosa si intende per domesticazione? Quando e dove avvenne la domesticazione di piante e animali? Quale effetto produsse la domesticazione delle piante sulla cultura e sulla popolazione? 3. Che cos’è un focolaio culturale? Quali nuovi tratti culturali caratterizzarono i primi focolai culturali? 4. Che cosa si intende per innovazione? E per diffusione? Esaminate l’incidenza dell’innovazione e della diffusione nell’alterare la struttura culturale di cui fate parte rispetto a quella dei vostri bisnonni. 5. Spiegate la differenza fra tratti culturali e strutture culturali, e fra determinismo ambientale e possibilismo. 6. Quali sono le componenti o sottosistemi del sistema tripartito della cultura? Quali caratteristiche comprende ciascuno dei sottosistemi?
Per fare il punto 1. Quali sono le componenti culturali e la natura dell’interazione fra uomo e ambiente? Tratti e strutture culturali possono essere raggruppati in regioni e complessi culturali. Diversi livelli di sviluppo influenzano le percezioni da parte dell’uomo delle opportunità offerte dall’ambiente. In generale, gli uomini, in quanto elementi attivi nell’interazione, esercitano un impatto nocivo sull’ambiente naturale. 2. In che modo si sono sviluppate e si sono differenziate le culture, e dove hanno avuto origine i primi sviluppi culturali? Dalla caccia e dalla raccolta del Paleolitico, all’agricoltura del Neolitico, fino alle civiltà urbane, gruppi distinti operarono transizioni culturali in epoche diverse. Tutti i primissimi sviluppi culturali ebbero la loro origine in pochi “focolai” posti in luoghi distanti. 3. Quali sono le strutture della cultura e le forme del mutamento culturale? Tutte le culture hanno delle componenti ideologiche, tecnologiche e sociologiche che insieme creano l’integrazione culturale. Le culture cambiano attraverso le innovazioni che esse stesse inventano o ricevono per diffusione da altre aree, e che vengono accettate o adattate.
Approfondimenti online su www.ateneonline.it -- Museo del paesaggio (www.museodelpaesaggio.it) -- La confusione indotta dalle città -- Approfondimento sull’innovazione culturale -- Approfondimento sulla diffusione culturale -- Il contratto tra regioni
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