La strategia aziendale - Di: Vittorio Coda, Giorgio Invernizzi, Paolo Russo

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Capitolo 3

Dinamiche di settore e cambiamento strategico1

16.  Le dinamiche di settore1 16.1  Cosa sono le dinamiche di settore Le dinamiche di settore sono i cambiamenti che portano alla nascita, alla variazione strutturale e all’estinzione del settore. Il settore: –– nasce a seguito di un’innovazione nella soddisfazione dei bisogni dei clienti, a opera di soggetti che in tale innovazione intravedono una fonte di profitto, dove per profitto non si intende una semplice diffe­ renza positiva tra ricavi e costi, ma un rendimento superiore al costo del capitale; –– si modifica in modo strutturale quando le condizioni strutturali del set­ tore sono alterate per iniziativa di chi opera all’interno o all’esterno del settore; –– si estingue quando i soggetti che compongono il settore riconoscono che le condizioni per ottenere un profitto mediante la soddisfazione dei bisogni dei clienti sono venute meno e, talvolta con ritardi dovuti alla presenza di “barriere all’uscita”, lo abbandonano. Le barriere all’uscita possono avere natura economica o natura psicolo­ gica. Barriere di natura economica possono essere rappresentate dall’impe­ gno finanziario necessario per la liquidazione del personale o per il paga­

Questo capitolo è stato scritto da Paolo Russo.

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Figura 3.1 – Le principali cause all’origine delle dinamiche di settore

Innovazione nel soddisfacimento dei bisogni dei clienti, a opera di soggetti che intravedono opportunità di “profitto”

Nascita di un settore

Alterazione delle condizioni strutturali del settore a opera di soggetti interni o esterni al settore

Modifica strutturale di un settore

Venir meno delle opportunità di “profitto” nella percezione degli investitori

Estinzione di un settore Barriere all’uscita

mento dei debiti di fornitura, ovvero dalla difficoltà di liquidazione di al­ cuni asset. Barriere di natura psicologica possono essere costituite dall’identifica­ zione dell’azienda o dell’imprenditore con una certa categoria di attività, o con un certo business, cui i soggetti coinvolti fanno fatica a rinunciare. Le principali cause all’origine delle dinamiche di settore sono sintetiz­ zate nella Figura 3.1. Le dinamiche di settore sono importanti perché sono i cambiamenti che portano le aziende che lo compongono ad affermarsi, a godere di con­ dizioni strutturali più o meno vantaggiose e, in alcuni casi, ad abbando­ narlo. Quando osserviamo un settore altamente redditizio, come è quello far­ maceutico, e rileviamo la sua elevata redditività in un certo periodo, os­ serviamo il risultato di alcune dinamiche di settore.

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Lo stesso accade quando consideriamo un settore tradizionalmente “sofferente”, come è quello del trasporto aereo. Nessuno dei due settori si troverebbe nelle condizioni attuali se alcuni cambiamenti non ne avessero fatto quello che è. Buona parte delle condizioni di redditività di cui i settori godono di­ pende dalle condizioni strutturali che lo rendono più o meno privilegiato rispetto agli altri. Capire queste condizioni strutturali presuppone – tra le altre cose – anche la comprensione di come si siano formate. Come vedremo parlando della strategia competitiva, questo è vero an­ che per le singole aziende. Gran parte della redditività delle aziende migliori (e delle aziende peg­ giori) dipende dagli atti di cambiamento che hanno portato l’azienda ad adottare un certo posizionamento, in un settore caratterizzato da condi­ zioni generali più o meno favorevoli. Ed è vero anche per le persone, in tutte le manifestazioni dell’attività umana, dall’economia alle scienze naturali, dall’arte alle attività bene­ fiche. Prendiamo in considerazione una persona di grande successo, per esempio un cardiochirurgo o un direttore di orchestra tra i migliori al mondo: è evidente che le sue performance attuali non sono tanto il sem­ plice risultato delle sue attività di oggi, quanto il frutto dei cambiamenti accumulatisi negli anni, mediante continui sforzi di miglioramento. A partire delle attività di studio, di specializzazione e di prima espe­ rienza, fino alle attività di perfezionamento, che lo hanno portato prima a far parte di un team chirurgico, o musicale, e poi a dirigerlo. Se oggi questa persona effettua un trapianto di cuore o dirige un even­ to musicale di portata eccezionale, tale attività può essere per lui la ripeti­ zione, magari marginalmente migliorata, di esperienze passate. Le sue attività di oggi sono in realtà il risultato del percorso di cambia­ mento che lo ha portato a essere quello che è. Capire perché un cardiochirurgo o un direttore di orchestra possa ope­ rare oggi meglio di altri presuppone la comprensione dei cambiamenti che ha compiuto in passato. Questo approccio, secondo il quale le attività attuali sono il frutto di attività di cambiamento passate, è la base per la comprensione delle dina­ miche del settore e della strategia competitiva (v. Figura 3.2). E questo sia al fine di capire le cause all’origine del successo o dell’in­ successo di un settore o di una strategia in un certo momento, sia al fine di

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Figura 3.2 – La relazione tra attività di cambiamento passate e attività attuali Attività di cambiamento passate

Attività attuali

studiare le condizioni per il miglioramento del settore o del posiziona­ mento strategico di una singola azienda. Questo paragrafo affronta con l’approccio appena descritto lo studio delle dinamiche del settore. Nel paragrafo successivo, la stessa logica è applicata allo studio del cambiamento strategico realizzato da singole aziende.

16.2  La nascita di nuovi settori Un settore, come accennato, nasce a seguito di un’innovazione nella sod­ disfazione dei bisogni dei clienti, a opera di soggetti che in tale innova­ zione intravedono una fonte di profitto. Gli elementi essenziali nella nascita di un nuovo settore sono quindi due: –– l’innovazione nel modo in cui può essere assicurata la soddisfazione dei bisogni dei clienti; –– l’aspettativa di profitto (ovvero di un rendimento superiore al costo del capitale) associata all’innovazione. A.  l’innovazione nel modo in cui può essere assicurata la soddisfazione dei bisogni dei clienti La nascita di nuovi settori è uno dei fenomeni più studiati nell’ambito della strategia. Generazioni di osservatori hanno attribuito alle innovazio­ ni che danno origine a nuovi settori nomi diversi e le hanno studiate con modelli analitici di varia natura. La cosa che questi studi hanno in comune è l’attitudine a esaltare le discontinuità tra il comportamento dei concorrenti e la logica dell’inno­ vatore.

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Figura 3.3 – Le opzioni principali all’origine dell’innovazione nel soddisfacimento dei bisogni dei clienti Arricchimento della “value proposition”

Nuova “value proposition”

Innovazione nel soddisfacimento dei bisogni dei clienti, a opera di soggetti che intravedono opportunità di “profitto”

La nascita di nuovi settori appare spesso come una “rincorsa” verso una nuova opportunità. Questa nasce spesso da una nuova “value proposition” (si pensi al te­ lefono cellulare), o da un arricchimento di un prodotto esistente (si pensi al progressivo arricchimento del telefono cellulare, dalla prima formula­ zione agli attuali smartphone). Il prodotto offerto può andare incontro a un bisogno prima soddisfatto con altre modalità (si pensi alla TV on demand che sostituisce i DVD nel rispondere al bisogno di “home entertainment”), o a un bisogno nuovo, come nel caso del kite-surf. In questo contesto, chi promuove per primo il cambiamento di solito gode di un vantaggio di posizionamento nei canali distributivi e di un vantaggio di immagine, come è accaduto ad Apple nel settore dei tablet. Questo elemento, ovvero la ricerca dei benefici di prima mossa, è alla base del comportamento innovativo che dà origine a un nuovo settore ed è anche il presupposto per i divari di redditività tra le diverse aziende che lo compongono. Tuttavia, ferma restando l’importanza di questi divari di redditività2, la creazione di un nuovo settore comporta una “ridistribuzione” del lavo­

Questi divari di redditività sono approfonditi nel prossimo paragrafo.

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ro e della ricchezza tra il settore nuovo e i settori che producono beni “so­ stitutivi”. A volte, l’innovazione può produrre impatti significativi sulla qualità della vita dei clienti e sul progresso economico in genere. Così, per esempio, i treni ad alta velocità hanno cannibalizzato il tra­ sporto aereo e il trasporto aereo low cost ha sostituito una parte dei servi­ zi di trasporto su gomma, oltre a favorire la formazione di una domanda integralmente nuova. Quello del settore del trasporto aereo low cost è un esempio che meri­ ta una riflessione in più, dedicata anche all’impatto sociale che a volte scaturisce da alcune dinamiche di settore. Pensiamo al ruolo avuto dalle compagnie low cost nel rendere acces­ sibili i viaggi aerei a un pubblico più ampio di quello che negli anni set­ tanta e ottanta viaggiava con le compagnie tradizionali, che allora rappre­ sentavano l’unico vettore aereo. E domandiamoci se questa innovazione e la nascita del settore del tra­ sporto aereo “low cost” che ne è scaturita non abbiano contribuito all’e­ guaglianza sociale molto più di varie leggi o proclami governativi, più o meno vagamente orientati in questo senso. E pensare che tutto questo è avvenuto a opera di compagnie aeree tac­ ciate spesso di un approccio spregiudicato nei confronti del profitto, dei clienti e dei dipendenti3. La nascita di nuovi settori si basa spesso sull’innovazione di prodotto. Ma vi sono alcune innovazioni di prodotto che, pur non creando un setto­ re nuovo nel senso pieno del termine, sono capaci di risvegliare la do­ manda, accelerando la formazione del “mercato di sostituzione”. Si pensi per esempio: –– alle prime automobili che montavano i sistemi di navigazione. Per quanto imprecisi, questi strumenti di supporto alla guida finirono per

Quanto affermato sopra naturalmente non esclude che alcune di queste compagnie aeree low cost abbiano poi concretamente adottato comportamenti illegali, o al limite della legalità, al fine di ottenere dei benefici economici. Ma queste ipotizzate violazioni, che non possono che essere rimesse alla competenza dei tribunali, non riducono il contributo comunque assicurato da alcune di queste società all’eguaglianza sociale mediante la rimozione di alcune “barriere econo­ miche” all’accesso al servizio di trasporto aereo. 3

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incoraggiare la sostituzione dell’automobile da parte di quanti aveva­ no vetture prive di questo dispositivo; –– alle continue innovazioni nei settori dei personal computer e dei tele­ foni cellulari. Pur non assicurando funzioni radicalmente diverse da quelle dei prodotti che sono destinati a sostituire, nuovi personal com­ puter e nuovi telefoni cellulari sono continuamente proposti sul mer­ cato al fine di assicurare ai clienti potenzialità e funzioni sempre più ricche. In tutti questi casi, l’innovazione riveste un ruolo essenziale e in alcune circostanze la linea di demarcazione tra settore nuovo e prodotto nuovo appare a prima vista evanescente, come è facile rilevare dall’esperienza dei produttori e dei clienti degli smartphone. In realtà, nel percorso logico seguito in questo scritto, per prodotto nuovo si intende un prodotto capace di assicurare funzioni significativa­ mente diverse da quelle assicurate dai prodotti preesistenti (che appaiono in questo senso come prodotti sostitutivi), mentre per settore nuovo si in­ tende l’insieme delle aziende che lo produce. D’altronde, come osservato nel Paragrafo 11, ai fini della valutazione delle innovazioni, la stessa linea di demarcazione tra concorrenti in senso stretto e produttori di beni sostitutivi è poco rilevante, dal momento che i presupposti della pressione competitiva sono sempre gli stessi: 1. il grado di unicità percepita del prodotto offerto; 2. l’importanza degli obiettivi di aumento delle quote di mercato; 3. le prospettive di utilizzo della capacità produttiva; 4. l’impatto che le iniziative della singola azienda (prima tra tutte la ridu­ zione del prezzo) possono avere sulla ridistribuzione delle vendite tra i diversi produttori; 5. i modelli di comportamento prevalenti dei principali produttori. La creazione di un nuovo settore (così come il lancio di un nuovo prodot­ to) devono sempre fare i conti con le preferenze del cliente e con il primo degli elementi sopra indicati, ovvero con il grado di unicità percepita del prodotto offerto. A volte l’unicità scaturisce da un “arricchimento significativo del va­ lore offerto”, come nei casi degli smartphone.

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Ma l’unicità può anche derivare da una “riduzione del valore offerto”, che riduca il valore offerto al cliente ma permetta di accedere a punti di prezzo più bassi, eliminando quello che il cliente può percepire come non necessario. La logica del settore del trasporto aereo low cost (efficacemente sinte­ tizzata nella sostituzione dei “pasti a bordo” con le “noccioline”) sembra essere questa. Ed è questa anche la logica del segmento del settore alberghiero che offre servizi più limitati (si prenda per esempio la catena di alberghi Ho­ liday Express), finalizzato a ridurre il più possibile le attività e i costi non essenziali. Questo settore ha certamente spiazzato una parte del settore alberghie­ ro tradizionale, per poi incontrare a sua volta la concorrenza del servizio sostitutivo rappresentato dagli appartamenti in affitto, che pure soddisfa­ no il bisogno dell’ospitalità a basso costo. I possibili driver dell’innovazione possono essere immaginati e de­ scritti in modo più o meno sofisticato: ma, alla fine, la nascita di un nuovo settore o di un nuovo prodotto si riducono sempre all’inserimento di ele­ menti di innovatività nella soddisfazione dei bisogni dei clienti. Elementi che non possono che essere testati in base all’unico metro del “value for money” rispetto ai prodotti alternativi, così come percepito da un certo target di clienti. Pensiamo ai settori della “fractional ownership degli aerei” (Netjet), del noleggio di abitazioni lussuose per le vacanze nell’ambito di pacchet­ ti arricchiti da diversi elementi di servizio o al noleggio di navi da diporto lussuose: tutti questi settori nascono dal “declassamento” di un bisogno molto oneroso, ovvero quello di “essere proprietario” di un bene molto costoso, che viene “declassato” al bisogno di “poter usare” quello stesso bene per un certo periodo di tempo. Spesso si pensa alla “fractional ownership” o all’uso in sostituzione della proprietà come a una delle espressioni della “sharing economy”. Il che probabilmente è vero, anche se occorre sottolineare come il fe­ nomeno abbia radici lontane e trascorsi molto più estesi del neologismo che oggi lo identifica. La proposta di servizi capaci di sostituire la proprietà di un bene non è che uno dei modi con i quali alcuni soggetti puntano a soddisfare specifi­ che esigenze del cliente offrendo loro una soluzione migliore nel profilo del “value for money”. Con l’unica differenza che la misurazione del vantaggio in termini di

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“value for money” non si fonda tanto sull’esigenza di riduzione dei costi correnti, quanto sul bisogno di contenere il valore del capitale investito e di aumentare la flessibilità. B.  L’aspettativa di redditività associata all’innovazione L’innovazione di prodotto non è che uno dei due elementi necessari per la nascita di un nuovo settore. Affinché un nuovo settore nasca (o un nuovo prodotto sia lanciato) è essenziale che gli innovatori abbiano anche un’aspettativa di redditività soddisfacente. L’aspettativa di redditività si fonda di solito su due elementi princi­ pali: –– sui prezzi di vendita che si ritiene di poter ottenere dai clienti in modo stabile, considerata anche la pressione competitiva derivante dai con­ correnti in senso stretto, dai produttori di beni sostitutivi e dai concor­ renti potenziali; –– sui costi di produzione di varia natura che si prevede di sostenere per realizzare una certa produzione, includendo in questa misurazione sia i costi una tantum (ovvero i costi di approntamento della capacità pro­ duttiva in tutti i suoi aspetti), sia i costi a regime. Questi prezzi di vendita e questi costi di produzione attesi a loro volta scaturiscono dalle forze concorrenziali che insistono sulle imprese del settore. Quando è nato il settore del prosciutto crudo stagionato (poi diventato in alcuni casi D.O.P., ovvero di Denominazione di Origine Protetta, come nel caso dei produttori dei Consorzi di Parma e San Daniele) le aspettati­ ve di redditività erano buone. Il prosciutto crudo veniva stagionato senza celle frigorifere (inventate soltanto in un tempo successivo) e il prodotto finito si vendeva a prezzi relativamente alti, soprattutto nel canale del dettaglio tradizionale. Oggi, considerati gli investimenti necessari per l’allestimento di celle frigorifere, il capitale investito necessario per la stagionatura del prodotto e i ridotti margini di contribuzione offerti dal settore della GDO, le aspet­ tative sarebbero ben diverse. E forse il settore del prosciutto crudo D.O.P. – se non esistesse già –

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oggi farebbe fatica a nascere, o non nascerebbe affatto. Almeno non all’interno di un processo di decisione economica razionale. Tuttavia, a tranquillizzare gli appassionati del prosciutto crudo è l’esi­ stenza di notevoli barriere all’uscita dal settore. Queste barriere, che inibiscono l’estinzione del settore del prosciutto D.O.P., sono brevemente descritte nell’ultima sezione di questo para­ grafo.

16.3  Le variazioni delle condizioni strutturali del settore Le variazioni delle condizioni strutturali del settore sono i cambiamenti che alterano le cinque forze che determinano la redditività del settore, la catena di fornitura, il ruolo dei beni complementari e la mappa dei rag­ gruppamenti strategici. I cambiamenti che alterano la natura e l’intensità delle cinque forze possono derivare da cambiamenti di natura esogena o endogena, o anche da una combinazione dei due. Ma cerchiamo di procedere per gradi, esaminando innanzitutto le singole forze competitive. A. I cambiamenti nei rapporti di forza contrattuale nei confronti dei clienti (e, da un punto di vista differente, nei confronti dei fornitori) possono cambiare per effetto di variazioni: –– nella forza contrattuale dell’azienda, per cambiamenti intervenuti nell’importanza del bisogno o nelle alternative disponibili; –– nella forza contrattuale delle persone coinvolte, per cambiamenti nelle caratteristiche individuali e nei sistemi di incentivi che orien­ tano i venditori e i compratori; –– nella percezione di equità della relazione commerciale. Cambiamenti nella forza contrattuale delle aziende derivanti da variazio­ ni nell’importanza del bisogno o nelle alternative disponibili scaturiscono da cause di vario genere: –– variazioni nei gusti e negli orientamenti delle persone, che portano ad accrescere o a ridurre l’importanza di un bene di consumo o di un fat­ tore produttivo. Da anni, si assiste a una crescita sistematica della domanda di servizi

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turistici e di tutti i prodotti e i servizi riconducibili alla cura della per­ sona, al fitness e alla cosmesi. Questo ha favorito la redditività di aziende che hanno saputo inserirsi in questo grande filone di attività, con prodotti più o meno innovativi e sofisticati. Il contrario è accaduto per le pellicce e per i prodotti della cosiddetta “art de la table”. Quando la propensione al consumo delle pellicce si è drasticamente ridotta, soprattutto in alcuni Paesi, questo ha determinato un calo forte dei prezzi di vendita. E lo stesso fenomeno è stato osservato per i prodotti della cosiddetta “art de la table”. Se un tempo essi costituivano il riferimento tipico di molte “liste di nozze”, all’interno delle quali erano proposti con prezzi di vendita piuttosto alti, ora sono oggetti che la maggior parte delle nuove coppie guarda da lontano. Ciò ha avuto l’effetto che possiamo immaginare sui volumi di vendita, sulla forza contrattuale e sulla red­ ditività delle aziende di questo settore; –– variazioni nelle alternative disponibili per il cliente e nel rispettivo rapporto qualità-prezzo. Nel settore farmaceutico, la redditività dei produttori ha risentito in modo notevole della riduzione della forza contrattuale nei confronti dei clienti derivante dall’avvento dei farmaci generici. Questa particolare categoria di farmaci ha finito per rendere relativa­ mente meno attrattivi i farmaci prodotti dalle case farmaceutiche pri­ marie, commercializzati con marchi famosi. Un fenomeno analogo è stato osservato nell’andamento dei prezzi del petrolio e – più in generale – nella forza contrattuale di chi vende oli combustibili a seguito della diffusione dell’energia derivante dal gas naturale. Questa grande onda di cambiamento, originatasi nel mercato del con­ sumo, ha finito per innescare una serie di conseguenze in tutte le atti­ vità a monte connesse all’estrazione del petrolio e del gas. Se un tem­ po le attività di esplorazione e perforazione (E&P) erano in crescita e redditizie, il calo dei prezzi di vendita, innescato anche dalla concor­ renza tra prodotti sostitutivi, ha peggiorato lo scenario per tutti i sog­ getti coinvolti. Cambiamenti nella forza contrattuale delle persone coinvolte scaturisco­

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no per lo più da variazioni nelle persone impegnate nelle attività di vendi­ ta o di acquisto. Spesso queste variazioni sono promosse nell’ambito di progetti di mi­ glioramento della rete di vendita o di progetti di riduzione dei costi e si associano all’introduzione di sistemi di incentivi più o meno “aggres­ sivi”. Questi fenomeni sono talvolta indirizzati a “risvegliare” aziende carat­ terizzate da una tradizione di debolezza della funzione commerciale, o aziende e organizzazioni pubbliche dotate di scarsa attenzione al control­ lo dei costi. In questi casi, è interessante osservare che le altre determinanti della forza contrattuale, ovvero l’importanza del bisogno soddisfatto e le alter­ native disponibili per il cliente, non sono modificate. L’unica cosa che cambia – e non è poco – è la capacità delle singole persone di far pesare la forza contrattuale delle aziende che rappresenta­ no. Nella maggior parte dei casi, i cambiamenti realizzati mediante il rin­ novamento delle persone impegnate nelle attività di acquisto o di vendita incidono più sulla forza contrattuale della singola azienda che sulla forza contrattuale del settore di cui l’azienda è parte. Questa distinzione viene però a sfumare se e quando diverse aziende assumono – anche con comportamenti di natura imitativa – persone con caratteristiche analoghe allo scopo di modificare ognuna la rispettiva for­ za contrattuale. In questo caso, il risultato finale è quello di un aumento complessivo della forza contrattuale del compratore, dovuto al diffondersi di tratti in­ dividuali diversi nelle persone impegnate nelle attività di acquisto. Cambiamenti nella percezione dell’equità del prezzo possono incidere anch’esse sulla forza contrattuale delle parti. Benché questo fenomeno sia avvertito più spesso a livello di singola azienda che a livello di settore, non si può dimenticare che vi sono state eccezioni notevoli. Si pensi a quanto è accaduto nel settore farmaceutico italiano negli an­ ni novanta, in occasione della rivelazione di rapporti “anomali” in alcune forniture di farmaci tra alcune aziende farmaceutiche e la pubblica ammi­ nistrazione. Alla scoperta di rapporti “patologici”, che avevano dato origine a un pricing non equo per diversi tipi di farmaci, fece seguito una revisione se­ vera dei prontuari (ovvero delle regole di prescrizione e dei prezzi di ven­ dita) relativi ai singoli farmaci. L’impatto sul settore farmaceutico fu

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molto forte. Diverse migliaia di posti di lavoro furono tagliati e diverse aziende farmaceutiche conobbero difficoltà finanziarie gravi o passarono attraverso procedure fallimentari. B. I cambiamenti nei rapporti di rivalità e di collaborazione nei confronti dei concorrenti in senso stretto possono cambiare per effetto di variazioni: –– nel livello di unicità del prodotto; –– nella relazione tra prezzo di vendita e quantità venduta, ovvero nel­ la capacità di modificare il comportamento di acquisto del cliente; –– nella struttura dei costi delle aziende produttrici; –– nelle condizioni di utilizzo della capacità produttiva; –– nell’aggressività dei concorrenti. I cambiamenti nel livello di unicità del prodotto sono quelli che produco­ no di solito l’impatto maggiore. Il livello di unicità del prodotto è infatti la discriminante fondamentale di tutti i rapporti di concorrenza. Se il prodotto non è caratterizzato da alcun elemento di unicità, ovvero se il prodotto è omogeneo, vediamo realizzarsi la più importante delle condizioni alla base della concorrenza perfetta, ovvero di quella forma concorrenziale che non permette a nessuno di ottenere un rendimento su­ periore al costo del capitale. In questo contesto, i produttori possono sottrarsi reciprocamente le quote di mercato mediante variazioni anche modeste del prezzo di ven­ dita. In molti settori i rapporti di rivalità si sono deteriorati proprio quando il prodotto è stato per così dire “banalizzato”, ovvero è stato percepito co­ me sempre più indifferenziato e “povero” da parte dei consumatori. Questo è accaduto nei settori delle calcolatrici tascabili, di diversi comparti dell’elettronica di consumo, dei computer, dei servizi di traspor­ to aereo a corto raggio, solo per citare alcuni beni di consumo. E un fenomeno ancora più vistoso si è avuto in alcuni settori industria­ li, come per esempio nel settore delle memorie RAM. In altri settori la tendenza a offrire prodotti sempre più ricchi di ele­ menti di unicità e di differenziazione, unitamente alla spinta pubblicita­ ria, ha prodotto l’effetto opposto, migliorando la redditività del settore. Questo è accaduto per esempio in diversi settori del più ampio com­ parto del lusso (orologi, gioielli, profumi, alta moda, automobili di presti­

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gio e via dicendo), dove i produttori – migliorando continuamente il pro­ dotto – ne hanno esaltato l’unicità. Si pensi a case di moda come Giorgio Armani, che sono riuscite a di­ stinguersi agli occhi del consumatore non soltanto per le soluzioni esteti­ che dei propri capi di abbigliamento, ma anche per un certo “life style”, incorporato nei propri prodotti. Il livello di unicità del singolo capo spalla o del singolo articolo di pel­ letteria è ben altra cosa rispetto al livello di unicità di un marchio che, per effetto di una serie di soluzioni stilistiche adottate in modo coerente, pos­ sa identificare un certo stile di vita. E, nei casi migliori, pubblicità, distribuzione selettiva e prezzo esclu­ sivo hanno fatto il resto. I cambiamenti nella relazione tra prezzo e quantità venduta, ovvero – per esprimerla in modo formale – nell’elasticità della domanda al prezzo dipendono soprattutto dalle variazioni che intervengono: –– nell’unicità del prodotto, che può essere accresciuta o ridotta, nel sen­ so appena descritto; –– nela diffusione delle informazioni, che dipende a sua volta dalla tra­ sparenza del mercato e dall’azione della pubblicità e della rete di ven­ dita; –– nelle caratteristiche dei compratori e soprattutto nella loro propensio­ ne al cambiamento, che è comunque condizionata dai costi di ricon­ versione. Vi sono settori che, dopo aver conservato per lungo tempo un basso livel­ lo di elasticità della domanda al prezzo, hanno registrato un aumento del­ la sensibilità al prezzo delle quote di mercato per effetto delle iniziative di singoli operatori. Questo è accaduto per esempio nel settore bancario, dove gli atteggia­ menti conservativi di molti depositanti sono stati in parte modificati dalla politica aggressiva della banca on line. Quando Ing. Direct (promotrice di “Conto arancio”) avvia la sua cam­ pagna pubblicitaria finalizzata a promuovere i propri depositi con tassi più alti, si avvia in Italia una politica di concorrenza sul prezzo nel merca­ to dei depositi bancari. La banca on line innesca l’aumento della concorrenza mediante un’in­ novazione radicale nel settore bancario, ovvero cominciando a “vendere

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le proprie passività” a prezzi sensibilmente inferiori rispetto ai prezzi di mercato, ovvero offrendo tassi di interesse superiori4. Poiché questa iniziativa si scontra con una certa insensibilità della do­ manda al prezzo nel mercato dei depositi, riconducibile soprattutto all’i­ nerzia e alla riluttanza al cambiamento da parte dei depositanti, Ing. Di­ rect attiva una campagna pubblicitaria. Viene promossa l’immagine della “zucca” e del “conto arancio” e la promozione avviene con una pressione molto forte sul consumatore. Alla fine l’innovazione ha successo, Ing. Direct ottiene una quota di mercato significativa e innesca altre iniziative di concorrenza sul prezzo nel settore della banca on line. In altri settori, l’aumento della sensibilità della domanda al prezzo non è derivata dall’iniziativa di un singolo produttore, ma da un cambiamento nell’orientamento del cliente, che ha riconosciuto il venir meno dell’uni­ cità del prodotto. Si pensi per esempio al settore dei personal computer, dove IBM ave­ va consolidato negli anni una posizione di leadership di immagine, pre­ miata da prezzi più alti e da un elevato livello di fedeltà alla marca. Con il venir meno dei presupposti tecnici alla base dell’unicità di IBM, i clienti hanno aumentato la loro sensibilità alle offerte più vantag­ giose, favorendo la crescita di Dell e dei cosiddetti “cloni”, caratterizzati da marchi poco noti e prezzi inferiori. In seguito, alcuni clienti hanno dimostrato sensibilità al marchio del microprocessore “Intel”, caratterizzandolo come l’unico vero elemento di unicità rimasto nei personal computer tradizionali. Non solo. A riprova dell’impatto delle azioni promosse dai singoli produttori, nello stesso periodo Apple è riuscita a conservare la differen­ ziazione dei propri computer e l’alto livello di fedeltà alla marca, dal qua­ le scaturisce la relativa insensibilità al prezzo della sua clientela. Nel caso di Apple, il consumatore non ha mai cercato il microproces­ sore Motorola e Apple ha mantenuto per molti anni una posizione di lea­ dership incontrastata nei computer venduti a un prezzo superiore ai 1000 dollari.

Per strano che possa sembrare, nell’economia della banca l’atto della rac­ colta dei depositi bancari può essere interpretato come un atto di vendita delle passività bancarie, che avviene a un prezzo tanto più basso quanto più è alto il tasso di interesse riconosciuto al cliente. 4

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Altri cambiamenti di grande impatto sui rapporti di rivalità e di colla­ borazione sono quelli che si traducono in variazioni della sensibilità del risultato economico all’aumento delle quantità. Per un certo livello di elasticità della domanda al prezzo, l’aumento della sensibilità del risultato economico all’aumento delle quantità accre­ sce la convenienza ad adottare politiche di prezzo finalizzate ad aumenta­ re le quote di mercato. L’aumento della sensibilità del risultato economico all’aumento delle quantità deriva dall’aumento dei costi fissi in rapporto al margine di con­ tribuzione. A volte l’aumento dei costi fissi scaturisce da un cambiamento di alcu­ ne attività del settore, come per esempio dall’accresciuto ricorso alla pub­ blicità, o da variazioni nella tecnologia destinate a tradursi nell’aumento dei costi fissi di produzione. Nel settore della moda, per esempio, le difficoltà di rapporto con i det­ taglianti hanno portato diversi produttori a dotarsi di una propria rete di negozi, che ha aumentato i costi fissi, pur permettendo un aumento dei margini di contribuzione unitari. Nel settore dell’auto, la diffusione dell’elettronica ha aumentato note­ volmente i costi fissi associati allo sviluppo di singole piattaforme5, au­ mentando così la necessità di raggiungere volumi di produzione sempre più elevati per ogni piattaforma. Il cambiamento nel grado di utilizzo della capacità produttiva incide anch’esso sui rapporti di rivalità e di collaborazione. In particolare, la formazione di eccedenze di capacità produttiva, deri­ vanti da cali della domanda o da aumenti di capacità eccessivi, incentiva­ no il diffondersi di comportamenti aggressivi. In presenza di una domanda sensibile alle variazioni di prezzo, è pos­ sibile che queste circostanze favoriscano politiche di prezzo aggressive: queste talvolta non si traducono soltanto in riduzioni esplicite nei prezzi di vendita, ma in miglioramenti, anche sensibili, della qualità a parità di prezzo, o in aumenti delle caratteristiche qualitative molto superiori ri­ spetto agli aumenti dei prezzi.

Nel settore dell’auto una piattaforma è un insieme di parti strutturali comu­ ni utilizzate per produrre una gamma di modelli differenti. V. Berta, Ciravegna, 2005. 5

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2.402.501 3.227.416 1.628.411

Spagna

Francia

Regno Unito

11

13

9

18

6

Numero stabilimenti

148.037

248.263

266.945

283.115

131.206

Auto per stabilimento

1.487.296

1.460.000

1.719.700

5.439.904

360.072

Auto prodotte

8

13

9

19

4

Numero stabilimenti

2013

185.912

112.308

191.078

286.311

90.018

Auto per stabilimento

126

45

72

101

69

Auto per stab

2004-2013 (n. indice 2004 = 100)

*  Sono stati esclusi i marchi di lusso e le auto sportive (Porsche, Ferrari, Maserati, Lotus, Bentley, Aston Martin, Rolls Royce, Mc Laren, Canterham) e per il Regno Unito i London cabs/taxi. **  Sono stati considerati i brand Fiat, Alfa Romeo e Lancia; per il 2004 sono stati considerati gli stabilimenti di Arese, Mirafiori (TO), Cassino, Melfi, Pomigliano, Termini Imerese, per il 2013, quelli di Mirafiori (TO), Cassino, Melfi, Pomigliano.

5.096.074

787.234

Germania

Italia**

Auto prodotte

2004

Tavola 3.1 – La capacità produttiva: le auto prodotte per stabilimento* tra il 2004 e il 2013

Dinamiche di settore e cambiamento strategico  331

Si osservi l’andamento delle quantità di auto prodotte in Europa nel periodo 2004-2013, presentato nella Tavola 3.16.

6

Tratta da Unioncamere-Prometeia, 2015.

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332  Capitolo 3

È evidente come la riduzione dell’utilizzo della capacità produttiva non potesse che generare un aumento della pressione concorrenziale. E questo a lungo andare si è tradotto non soltanto in aggressive campagne di sconto, ma anche in continui aumenti della qualità e dei costi che le ca­ se automobilistiche non hanno potuto tradurre integralmente in aumenti dei prezzi dei vendita. Un fenomeno ancora più vistoso ed esplicito si è verificato nel settore dell’elettrodomestico bianco, dove l’eccesso di capacità produttiva in Ita­ lia si è originato anche per effetto della concorrenza internazionale. Ecco come il quotidiano Sole 24 ore riportava la riduzione dei prezzi nel periodo 2008-2013 per le singole categorie di elettrodomestici7 (Ta­ vola 3.2). In sintesi, le variazioni dell’utilizzo della capacità produttiva possono generare effetti molto forti sulle politiche di prezzo e sulla redditività. Un ultimo elemento che può alterare i rapporti di rivalità è il cambia­ mento dell’aggressività dei soggetti che nel settore assumono le decisioni di prezzo. Questo è quanto è accaduto per esempio nel settore dei televisori LCD con l’ascesa di Samsung e di LG. In questo caso, un ruolo determinante è stato giocato dalla deliberata ricerca di posizioni di leadership anche a costo di adottare comportamen­ ti estremamente aggressivi nelle rispettive politiche di prezzo. Tavola 3.2 – La riduzione dei prezzi nel periodo 2008-2013 per le singole categorie di elettrodomestici. Ecco in sintesi i prezzi dal 2008: Lavabiancheria

(5 kg, classe A): 370 euro; 2013: 270 euro (7 kg, classe A+, A++)

Frigo

( 300 litri, classe A): 540 euro; 2013: 370 euro (320.330 litri, classe A+, A++)

Lavastoviglie

(12 coperti, classe B): 600 euro; 2013: 230 euro (12 coperti, classe A+, A++)

Cucine

(4 f uochi e forno a gas): 400 euro; 2013: 280 euro (6 fuochi)

V. Sole 24 ore, 31 ottobre 2013.

7

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Dinamiche di settore e cambiamento strategico  333

E qualcosa di simile si era verificato in passato nel settore giapponese della motocicletta, per iniziativa di Yamaha e di Honda, e nel settore del­ le macchine movimento terra, per iniziativa di Komatsu. In tutte queste circostanze, l’atteggiamento aggressivo adottato da sin­ goli individui (o gruppi di individui) ha avuto un effetto notevole nel de­ terminare il calo dei prezzi e – di riflesso – l’aumento della rivalità e della forza contrattuale dei clienti. Può sembrare a prima vista improprio attribuire a singoli individui cambiamenti di prezzo che sono in realtà adottati da singole aziende. Eppure da un lato è evidente che la politica di prezzo, specialmente nei settori caratterizzati da rapporti di concorrenza più intensi, può essere orientata in modo più o meno aggressivo, alimentando in modo maggiore o minore il rischio dell’innesco di guerre dei prezzi. Dall’altro, non vi è dubbio che l’aggressività espressa dalle aziende è spesso figlia degli orientamenti e delle ambizioni dei singoli individui che nelle diverse aziende assumono il ruolo di decision maker. C. I cambiamenti nei rapporti di sostituzione I cambiamenti nei rapporti di sostituzione rispondono alla stessa logica incontrata nei rapporti di rivalità e collaborazione. Infatti, anche in questo caso, essi possono scaturire da cambiamenti: –– nel livello di unicità del prodotto; –– nella relazione tra prezzo di vendita e quantità venduta, ovvero nella capacità di modificare il comportamento di acquisto del cliente; –– nella struttura dei costi delle aziende produttrici; –– nelle condizioni di utilizzo della capacità produttiva; –– nell’aggressività dei leader. Il modo in cui un’azienda e un produttore di beni sostitutivi si contendono la preferenza del cliente non è infatti diverso dal modo in cui la stessa preferenza è ricercata da due produttori di beni simili. A cambiare è solo il livello di differenziazione (o di unicità) del pro­ dotto, che di solito nel caso dei beni sostitutivi è relativamente accen­ tuato. Chi viaggia tra Milano e Roma considera aereo e treno ad alta velocità in concorrenza tra loro, indipendentemente dal modo in cui questo rap­

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porto di sostituzione può essere descritto negli schemi di analisi del siste­ ma competitivo. Benefici e costi offerti dall’uno e dall’altro. Questo è il punto. Ed è lo stesso punto che è alla base del confronto tra due vettori aerei, come Alitalia e Ryanair, che operano con aeromobili differenti da scali aeroportuali diversi, con tariffe e condizioni accessorie diverse. Ciò premesso, pur restando inalterata la logica, i cambiamenti nei rap­ porti di sostituzione transitano attraverso scelte parzialmente diverse. Il fatto che i prodotti sostitutivi abbiano spesso caratteristiche almeno parzialmente diverse rispetto ai prodotti che sono considerati concorrenti diretti comporta conseguenze notevoli per chi li propone. I cambiamenti di funzionalità e i cambiamenti di prezzo, per esempio, devono essere relativamente più ampi per essere “sentiti” dal prodotto so­ stitutivo. Così è accaduto quando Southwest Airlines ha promosso il servizio di trasporto aereo in sostituzione del servizio di trasporto su gomma negli Stati Uniti. La riduzione del prezzo rispetto alle compagnie aeree tradizionali è stata considerevole e questa era una condizione necessaria per dirottare una parte della clientela dalle corriere (“coach”) agli aerei low cost. Qualcosa di simile lo abbiamo osservato anche nel rapporto di sostitu­ zione tra treni e aerei nei collegamenti tra Milano e Roma. È stato necessario un aumento notevole nelle prestazioni dei treni, la cosiddetta “alta velocità”, affinché la maggior parte della clientela abitua­ ta a viaggiare in aereo sostituisse l’aereo con il treno. Allo stesso modo, è stata necessaria una forte riduzione delle tariffe affinché il telefono cellulare sostituisse il servizio di telefonia fissa, tradi­ zionalmente considerato come più economico per il consumatore. In molti casi, il rapporto di sostituzione è stato considerato come la ba­ se di alcune delle più grandi innovazioni nella definizione del business. Di qui l’idea – formalizzata tanto tempo fa – che chi operi nel settore ferroviario operi in realtà nel più ampio settore dei mezzi di trasporto e, pertanto, a essi debba pensare per definire la propria strategia e il proprio posizionamento8. Nello stesso modo, il Cirque Du Soleil è stato interpretato come un servizio di intrattenimento sostitutivo del circo tradizionale, frutto di

V. in proposito Levitt, 1975.

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un’innovazione nel soddisfacimento dei bisogni di portata tale da valicare i confini del settore dei circhi. Secondo la stessa logica, nella percezione comune, i fiori recisi posso­ no essere considerati come sostitutivi dei cioccolatini, o di altri oggetti regalo. Evidentemente, gli esercizi di fantasia che si possono compiere in quest’ambito sono illimitati. Ma il problema non è tanto l’ampiezza dell’orizzonte in cui i rapporti di sostituzione possono spaziare, quanto il presupposto della sostituzione e il presupposto del cambiamento nel rapporto di sostituzione. Di solito, affinché un prodotto possa alterare significativamente il rap­ porto di sostituzione nei confronti di un prodotto sostitutivo, occorre un cambiamento forte nel rapporto tra qualità della funzione svolta e prezzo richiesto. In seguito, una volta che il rapporto di sostituzione sia innescato, que­ sto rapporto condiziona simmetricamente la redditività dei due settori re­ ciprocamente sostitutivi in modo tanto più intenso quanto più il compra­ tore interpreta come efficace la sostituzione. Ovvero quanto più il rapporto qualità/prezzo dei due prodotti è para­ gonabile, come è accaduto nei servizi di trasporto aereo e ferroviario tra Milano e Roma da quando la differenza tra i tempi di viaggio effettivi (misurati per trasferimenti dal centro di una città al centro dell’altra) si è significativamente ridotta. Quando sia soddisfatta questa condizione di base, tutte le altre condi­ zioni che caratterizzano la concorrenza in senso stretto (elasticità della domanda, struttura dei costi e via dicendo) si mettono all’opera. Così compagnie aeree e ferroviarie possono ridurre in modo più o me­ no intenso i rispettivi prezzi in funzione delle considerazioni che possono sviluppare sull’elasticità della domanda, sulla struttura dei costi e sull’u­ tilizzo della capacità produttiva. Entrambi possono ragionare in termini di load factor ed entrambi pos­ sono considerare come relativamente contenuti i costi associati alla ven­ dita di un biglietto in più. Entrambi possono trovare quindi relativamente conveniente ridurre i prezzi di vendita in vista di un aumento del numero dei passeggeri. Ed entrambi possono risentire in modo più o meno marcato dell’ag­ gressività dei decision maker che hanno il potere di definire la rispettiva politica di prezzo.

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D. I cambiamenti nei rapporti con i potenziali entranti I rapporti con i potenziali entranti sono determinati soprattutto dalle bar­ riere all’entrata e dal prezzo di vendita, che – definito dai concorrenti in senso stretto – finisce per essere il principale elemento di attrazione per chi nel settore ancora non operi. Cambiamenti nei rapporti con i potenziali entranti scaturiscono quindi da modifiche in queste due variabili. I cambiamenti nelle barriere all’entrata derivano da una serie di carat­ teristiche, alcune delle quali sono indipendenti dall’azione di chi opera nel settore. Il settore farmaceutico, tradizionalmente l’esempio per eccellenza del settore protetto dalle barriere all’entrata, negli anni 2010 è diventato l’e­ sempio di come le barriere all’entrata possano cambiare. Agli operatori di settore è ben noto che il 2011 ha rappresentato l’anno del “patent cliff”, ovvero del burrone che ha portato a scadenza la validità di numerosi brevetti importanti, tra i quali quello detenuto da Pfizer per un farmaco finalizzato alla cura dell’artrite reumatoide, cui corrispondeva un fatturato annuale di oltre 10 miliardi di dollari su scala mondiale. Creare nuove barriere significa creare e lanciare nuovi farmaci. Ma la spesa per lo sviluppo di nuovi farmaci risulta dai primi anni 2000 meno efficiente e molto più onerosa di quanto sia stata in passato. Questo spiana la strada ai farmaci cosiddetti “off-patent” e in partico­ lare ai farmaci generici. In Italia (e in un certo numero di altri Paesi), il fenomeno è stato poi accentuato dal disposto governativo che ha reso necessaria la prescrizio­ ne del principio attivo, in sostituzione del farmaco. Per esempio, nell’ambito della prescrizione dei calmanti, l’indicazio­ ne del Lorazepam (benzodiazepina a breve durata di azione) in sostituzio­ ne del “Tavor”, prodotto molto noto e accreditato, di proprietà dalla casa farmaceutica Wyeth. Un fenomeno di portata ancora maggiore, di abbattimento istantaneo delle barriere all’entrata, era avvenuto negli Stati Uniti nel 1985, con la cosiddetta “deregulation” del settore del trasporto aereo. A seguito di quell’iniziativa, il settore del trasporto aereo statunitense rimane tutt’ora un settore dove non è difficile entrare. Circostanza che concorre a determinare la bassa redditività del settore, dove ciclicamente

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si registra l’ingresso di nuove aziende, che acquistano o affittano da terzi flotte più o meno grandi di aeromobili. In alcuni casi, la rimozione delle barriere all’entrata avviene a opera dei clienti, che così accrescono la rispettiva forza contrattuale. È quanto è avvenuto per esempio nel settore dello yogurt negli anni novanta, dove una barriera all’entrata era rappresentata dall’accesso alla grande distri­ buzione, ovvero dalla necessità di effettuare le consegne ai singoli punti di vendita. La creazione dei CE.DI. (centri di distribuzione) a opera delle princi­ pali catene della GDO cambiò improvvisamente le cose. Da quel momento in poi, i singoli produttori furono in grado di effet­ tuare le consegne sopportando costi di distribuzione molto più contenuti. Il numero dei produttori di yogurt aumentò e i prezzi di vendita degli yo­ gurt alla grande distribuzione si ridussero in modo più che proporzionale rispetto alla riduzione dei costi derivanti dalla semplificazione dell’attivi­ tà distributiva. Per effetto di tutto ciò, si ridusse la redditività dei produttori di yogurt e la GDO aumentò la redditività delle vendite di questo genere di refe­ renze. Se i casi precedenti rappresentano episodi di riduzione o di abbatti­ mento delle barriere all’entrata, esistono anche circostanze in cui nuove barriere all’entrata sono state elevate o sono aumentate per effetto di cir­ costanze esogene o endogene. Il caso forse più famoso di aumento delle barriere all’entrata per effet­ to di circostanze esterne è rappresentato dall’introduzione del divieto alla pubblicità delle sigarette. Nel momento in cui le autorità americane intro­ ducono questo divieto, la barriera all’entrata rappresentata dal “brand” delle sigarette diventa insuperabile. E, infatti, da allora nessun altro operatore di dimensioni significative è riuscito a entrare nel settore, malgrado l’altissimo livello di redditività e l’altissimo livello dei prezzi che caratterizza il settore delle sigarette. Barriere all’entrata di natura endogena, ovvero create dai concorrenti in senso stretto, sono quelle che hanno permesso la creazione di marchi forti per produttori di soft drink, come Coca Cola, o per produttori di bir­ ra, come Anheuser Busch (Budweiser). In entrambi i casi, un produttore esterno che volesse entrare nel settore si troverebbe costretto a sostenere costi ingenti e a sopportare il rischio di non ottenere i ritorni sperati. Questi esempi possono lasciare in ombra l’atto con il quale le barriere

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sono state costruite, dal momento che questi marchi esistono da molto tempo. Ma basta fare riferimento a settori di più recente costituzione, come per esempio quelli associati alla economia digitale, per avere evidenza di come la costituzione di barriere all’entrata sia avvenuta anche in tempi recenti. I cambiamenti nei prezzi di vendita Le barriere all’entrata sono solo uno degli elementi che determinano il rapporto con i potenziali entranti. L’altro elemento, forse ancora più importante, sono i prezzi di vendita fissati dai concorrenti in senso stretto. Per un dato livello delle barriere all’entrata, ovvero di costi e rischi da affrontare per entrare nel settore, il prezzo di vendita che il potenziale en­ trante pensa di poter ottenere è quello che determina la convenienza a en­ trare. Se il prezzo che il potenziale entrante programma di poter ottenere è inferiore a una certa soglia, ovvero al cosiddetto prezzo di dissuasione all’entrata9, la convenienza a entrare nel settore non sussiste. Richiamati questi concetti elementari, è evidente come i cambiamenti nel prezzo di vendita, portando il prezzo al di sotto o al di sopra del prez­ zo di dissuasione all’entrata, possano condizionare in modo determinante i potenziali entranti. Esaminati dal punto di vista delle imprese che nel settore già operano, i cambiamenti del prezzo di vendita potrebbero essere indispensabili al fine di evitare che l’accesso al settore sia considerato conveniente dai po­ tenziali entranti. Ciò significa anche che, al fine di mantenere la “dissuasione” all’in­ gresso, il prezzo di vendita dovrebbe essere progressivamente modificato al fine di compensare eventuali variazioni (in aumento o in diminuzione) delle barriere all’entrata. È quello che non ha fatto Alitalia negli anni novanta, quando la pre­ senza di una rotta altamente redditizia, come la “Milano – Roma”, ha at­ tratto potenziali entranti come Airone, Lufthansa e, in seguito, Ryanair. In questo caso, aver mantenuto una politica di prezzi alti ha senz’altro incoraggiato altri operatori a entrare nel settore.

V. Porter, 1980.

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Una politica di natura opposta è stata invece adottata da Wal Mart, che in tutte le sue aperture ha adottato una politica di prezzi espressamente mirata a scoraggiare la concorrenza di altri operatori. Ultimata la descrizione dei cambiamenti che possono interessare le cinque forze competitive, consideriamo ora le variazioni nella catena di fornitura, nel ruolo dei beni complementari e nella mappa dei raggruppa­ menti strategici. Le variazioni nella catena di fornitura hanno un ruolo fondamentale nel cambiamento del settore. Esse possono derivare da variazioni: –– nelle attività svolte; –– negli attori coinvolti; –– nella suddivisione delle attività tra i diversi operatori; –– nella concorrenza e nella suddivisione della redditività tra le diverse catene di fornitura. Variazioni nelle attività svolte e negli attori coinvolti scaturiscono soprat­ tutto dalla scelta di modificare il valore creato per il cliente finale della catena, che può essere un consumatore o un cliente industriale. Certo, qualsiasi cliente industriale alla fine lavora – direttamente o in­ direttamente – per un consumatore. Tuttavia, a volte, questo rapporto con il consumatore è talmente mediato e indiretto da permettere di dire che sia il cliente industriale l’anello finale della catena. Si pensi per esempio ai servizi di trasporto passeggeri di tipo business rivolti alle aziende industriali. Esse pure lavorano per qualche consumatore. Ma, nel momento in cui le compagnie aeree vendono loro i rispettivi servizi di trasporto, il cliente finale cui le aziende industriali alla fine indirizzano i propri prodotti appa­ re sullo sfondo e non influenza il processo decisionale. Il valore creato per il cliente finale – e di riflesso le attività e gli attori che lo producono – possono essere ampliati o ridotti, anche in ragione de­ gli obiettivi di soddisfazione del cliente e di efficienza del processo di produzione del valore complessivo. Così, alcune catene di fornitura hanno ampliato la propria offerta e hanno organizzato l’attività delle aziende produttrici mediante relazioni stabili, come è avvenuto per alcune aziende alberghiere, che si sono arric­ chite dei servizi relativi al benessere.

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Altre catene di fornitura hanno invece ridotto le attività e il valore creato, come è accaduto nella vendita dei biglietti aerei o dei pacchetti tu­ ristici, dove è stato significativamente ridotto il contatto diretto con il cliente, che avviene sempre più spesso “on line”. Southwest Airlines, negli Stati Uniti, ha eliminato il ruolo delle agen­ zie immediatamente dopo l’11 settembre 2001, nell’ambito di un pac­ chetto di iniziative volte a recuperare l’efficienza e a ridurre i costi. Le agenzie di business travel, che vendevano biglietti aerei alle azien­ de e ai consumatori, si sono ridotte in modo drastico negli anni 2000, per­ mettendo in molti casi al cliente di “saltare” le attività e i costi associati alla loro intermediazione. In altre occasioni, le variazioni della catena di fornitura sono passate attraverso modifiche nella suddivisione delle attività tra i diversi operato­ ri coinvolti. Si è detto sopra del cambiamento nella distribuzione degli yogurt ai singoli punti vendita, trasferita dai produttori di yogurt alle catene distri­ butive, mediante l’istituzione dei Centri di Distribuzione (CE.DI.) gestiti dalla GDO. In realtà, le catene di fornitura che hanno sperimentato la redistribu­ zione delle attività tra i diversi attori coinvolti sono numerose. Basti pensare alla diffusione dell’outsourcing in settori quali l’abbi­ gliamento, la profumeria e la cosmesi, nei quali la maggior parte delle aziende ha esternalizzato in modo più o meno significativo le principali fasi di lavorazione. O alla separazione tra l’attività di produzione dell’energia elettrica e le attività di distribuzione. O alla separazione tra le attività di vendita dei servizi di distribuzione dell’energia e l’attività di assistenza tecnica, spes­ so esternalizzata a una serie di aziende di dimensione minore. O alle attività di gestione dei call center o di recupero dei crediti, che spesso le aziende impegnate nella produzione di “utilities”, come l’ener­ gia elettrica e i servizi telefonici, hanno estensivamente decentrato ad aziende focalizzate su queste attività. Un’altra manifestazione dei cambiamenti che prendono corpo me­ diante le catene di fornitura sono i cambiamenti nei fenomeni di concor­ renza tra le stesse catene di fornitura, che sostituiscono in molti casi la concorrenza tra aziende. Nel settore dell’auto, per esempio, le catene di fornitura legate ai sin­ goli car maker possono promuovere cambiamenti che coinvolgono (o tra­

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scinano) tutti i soggetti legati tra loro in un confronto competitivo deter­ minato a livello d’insieme. Così, se una catena di fornitura promuove una politica di prezzi ag­ gressiva finalizzata a sottrarre quote di mercato alle altre, questa scelta si riflette a monte su tutte le unità aziendali coinvolte nella catena: se il ri­ sultato della catena risulta negativo e la catena di fornitura perde quote di mercato, le singole unità aziendali possono fare ben poco per migliorare i rispettivi risultati aziendali. Nella maggior parte dei casi, i risultati della catena di fornitura sono legati alle politiche del soggetto che della catena di fornitura risulta il lea­ der, o il regista. Così, nel settore dell’auto, i risultati dell’indotto sono legati a doppio filo ai successi e agli insuccessi del car maker, mentre nel settore della ge­ stione degli aeroporti di dimensione minore è spesso determinante l’azio­ ne delle compagnie aeree che al singolo aeroporto assicurano la maggior parte del traffico. I cambiamenti del settore legati a variazioni nei beni complementari possono avere anch’essi un grande impatto sul settore. Si pensi per esempio all’impatto che hanno avuto i contenuti distribui­ ti via internet sull’attrattività dei servizi di collegamento alla rete ad alta velocità. O all’impatto che ha avuto l’aumento del prezzo della benzina negli Stati Uniti (passato da 40 centesimi di dollaro per litro a 94 centesimi di dollaro per litro nel periodo 2002-2012) sull’attrattività delle auto a ridot­ to consumo di carburante. O all’impatto che la riduzione del prezzo dei computer ha avuto sull’aumento della domanda di software e di tutti i prodotti il cui impiego è collegato al computer. O all’impatto che i social network hanno avuto sulla diffusione degli smartphone. La verità è che i beni complementari concorrono a determinare il valo­ re d’uso del bene di cui rappresentano il complemento. L’aumento della disponibilità dei beni complementari, accrescendo il valore d’uso dei beni principali con i quali i beni complementari si inte­ grano, aumenta l’attrattività dei beni principali e migliora la forza con­ trattale di chi li offre.

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I cambiamenti nei raggruppamenti strategici contribuiscono a com­ pletare la mappa dei cambiamenti che possono interessare un settore. In realtà, poiché i raggruppamenti strategici sono insiemi di aziende esposte in modo omogeneo alle cinque forze, i cambiamenti nei raggrup­ pamenti strategici, per quanto importanti, non aggiungono alcun elemen­ to nuovo rispetto allo schema generale. Essi rappresentano semplicemente il modo in cui i cambiamenti nelle cinque forze, nelle catene di fornitura e nei beni complementari si rifletto­ no sulla formazione di gruppi di imprese esposte in modo omogeneo a tale tipo di cambiamenti. Si pensi, per esempio, al settore dell’auto, dove negli anni 2000 si so­ no accentuate nello stesso tempo la concorrenza dei produttori a basso costo e la polarizzazione degli acquisti su vetture di basso prezzo o su vetture di una certa qualità (premium). Tutto ciò ha naturalmente prodot­ to la contrazione del segmento delle vetture di fascia media, che per una serie di aziende, come Fiat, Renault, Peugeot avevano rappresentato per molti anni il core business e la principale fonte di profitti. In questo caso, è stato proprio il raggruppamento strategico delle vet­ ture di medio livello (Fiat, Renault, Peugeot) a soffrire le pressioni più forti. E sono stati proprio questi produttori a dover sviluppare strategie nuo­ ve per reagire alla crisi di mercato, soprattutto nel contesto europeo. La pressione competitiva naturalmente ha poi interessato tutto il setto­ re e tutti i raggruppamenti. La scelta da parte di Fiat e di altri produttori di fascia media di orien­ tarsi il più possibile su prodotti di maggiore qualità, come la Fiat 500x, ha esteso la pressione concorrenziale anche sui modelli di livello inferiore proposti da BMW, Mercedes e Audi. Ma il raggruppamento strategico delle vetture di medio livello è stato senz’altro quello che ha registrato le pressioni maggiori: e questo non so­ lo per il maggior calo sofferto nelle vendite dei prodotti di fascia media, ma anche per la presenza di una pressione concorrenziale esercitata sia dal basso (per effetto dei “car maker” asiatici), sia dall’alto (a opera dei “car maker” tedeschi).

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16.4  L’estinzione dei settori L’analisi delle dinamiche di settore non sarebbe completa se non si consi­ derassero anche i fenomeni che portano all’estinzione di alcuni settori. Alcuni prodotti vengono radiati dal catalogo e non sono più offerti. A volte, collettivamente o disgiuntamente, alcuni produttori del settore in­ terrompono la produzione e affrontano poi il problema della loro ricon­ versione verso altre produzioni, opzione che non è mai facile e che non sempre è possibile. Se le condizioni per la nascita di un settore sono da ricondursi a: –– l’innovazione nella soddisfazione dei bisogni dei clienti; –– l’aspettativa di redditività associata all’innovazione; è facile intuire come l’estinzione dei settori non possa che derivare dagli stessi elementi. Il venir meno dei bisogni dei clienti è spesso la causa principale. Nel 2016, i produttori di musicassette per uso amatoriale non esiste­ vano più. E chi avesse desiderato acquistare un registratore di musicasset­ te amatoriale non avrebbe potuto far altro che rivolgersi al mercato dell’u­ sato. Questi prodotti, molto diffusi negli anni settanta e ottanta del secolo ventesimo, sono stati spiazzati in prima battuta dai supporti digitali con­ sumabili (CD-R e DVD) e, successivamente, dagli stessi hard disk dei computer e di altri dispositivi elettronici portatili. Ma l’estinzione di un settore può anche derivare da considerazioni re­ lative alla redditività, che vengono di solito valutate congiuntamente con le barriere all’uscita. Il settore dei servizi di trasporto aereo su aerei supersonici si estinse nel 2003, quando i due unici operatori del settore, Air France e British Ai­ rways, optarono per l’interruzione dei voli, soprattutto per considerazioni di natura economica. La riduzione del numero di passeggeri (indotta dalla paura derivante dall’incidente di Parigi (2000) e dagli atti di terrorismo) e l’aumento del costo dei carburanti e dei costi di manutenzione finirono per rendere il progetto “Concorde” non più redditizio. In assenza di grandi barriere all’uscita, Air France e British Airways decisero di uscire dal settore.

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Nel settore del prosciutto crudo di Parma e di San Daniele, invece, le cose sono andate diversamente. Come accennato in precedenza, negli anni duemila le aziende riunite nei due consorzi faticavano a produrre un rendimento superiore al costo del capitale impiegato. L’aumento dei costi di produzione e – soprattutto – dei capitali investiti necessari, unitamente alla riduzione dei margini di contribuzione derivanti dalla vendita rendevano questo segmento del set­ tore dei salumi non redditizio. Tuttavia, se da una parte non si registravano nuove iniziative di inve­ stimento in questo settore (nessuno sarebbe mai partito dal “prato” per costruire un prosciuttificio), dall’altra l’uscita dal settore non avvenne se non in pochi casi. E questo a causa di alcune barriere di portata notevole: –– motivi di natura psicologica, riconducibili soprattutto alla tradizione e all’immagine. Le aziende identificate con le produzioni DOP di alta qualità non volevano rinunciare ai loro prodotti DOP e all’immagine che ne derivava; –– ostacoli di natura finanziaria, derivanti dagli elevati costi di chiusura. Oltre al peso dei costi necessari per ridurre il personale in esubero, i progetti di chiusura erano resi problematici dagli effetti che l’interru­ zione delle attività avrebbe prodotto sulla valutazione di alcuni cespiti.

17.  Il cambiamento strategico 17.1  Cos’è il cambiamento strategico Il cambiamento strategico è una variazione significativa del posiziona­ mento strategico di un’azienda all’interno di uno o più business. Può aver luogo per effetto di un’azione decisa e attuata dal manage­ ment o per effetto di cambiamenti promossi da altri soggetti, interni o esterni al settore. Il lancio e i successivi interventi di perfezionamento e rinnovamento dell’Iphone da parte di Apple sono un esempio di rinnovamento del posi­ zionamento strategico promosso soprattutto dall’interno. Negli anni di sviluppo degli smartphone, i cambiamenti di posiziona­ mento di Nokia e Rim, rimaste ancorate alle rispettive attività correnti

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tradizionali, rappresentano casi di indebolimento del posizionamento strategico originati per lo più da fattori esterni. Abbiamo visto che il posizionamento strategico è definito dalle attività correnti che l’azienda svolge in un certo momento e che in quel momento sono la principale determinante dei risultati aziendali. Ciò premesso, i risultati aziendali che le attività correnti permettono di ottenere in un certo momento non dipendono soltanto dalle attività cor­ renti in quanto tali, ma anche dal maggiore o minore livello di unicità e di coerenza che tali attività esprimono rispetto al settore. Se il settore e, più in generale, il contesto esterno cambiano, il posizio­ namento strategico e i risultati aziendali che ne derivano possono modifi­ carsi di conseguenza. E questo anche se le attività correnti rimangono so­ stanzialmente immutate. Ciò che cambia – e non è cosa di poco conto – è il livello di unicità e di coerenza di queste attività rispetto al settore di appartenenza, che sono all’origine della validità del posizionamento strategico e dei suoi risultati. Il cambiamento strategico si esprime quindi alternativamente: –– in una modifica delle attività correnti, dalle quali scaturisce di solito una modifica dei risultati aziendali; –– nel cambiamento delle condizioni ambientali esterne, qualora questo possa incidere sul livello di unicità e di coerenza delle attività correnti al punto tale da alterare i risultati aziendali che ne derivano. Come dire che il posizionamento strategico cambia anche quando l’a­ zienda si mantiene inerte di fronte a cambiamenti ambientali che lo inde­ boliscono, o lo privano dei suoi elementi di unicità e coerenza. E non è un fatto raro. La Ford che continua a produrre il modello T an­ che quando i concorrenti propongono ormai automobili differenziate è soltanto uno degli esempi che abitano la “galleria dell’inerzia aziendale”. È una galleria lunga, ricca di molte aziende con tradizioni di successo che, anche per effetto del condizionamento prodotto dai risultati passati, hanno tardato a riconoscere il venir meno delle condizioni esterne su cui si basavano i rispettivi risultati. Le aziende e i risultati che esse possono produrre sono una cosa molto diversa dagli immobili e dalle rendite. Gli immobili, anche in condizioni di crisi di mercato, possono perdere una parte significativa del loro valore, ma il valore degli asset di un’a­

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zienda immobiliare non arriva mai a zero, o sotto zero. Quello che può arrivare a zero o sotto zero, è il valore degli asset espresso al netto del de­ bito (il cosiddetto “Net Asset Value”), ma questo accade per lo più perché alcuni progetti di sviluppo immobiliare sono promossi trasferendo il ri­ schio di impresa sui finanziatori, ovvero con i soldi degli altri. Se rimuoviamo l’ipotesi dell’azienda immobiliare indebitata, gli inve­ stimenti negli immobili conservano in modo discreto il loro valore. Pos­ sono subire cali significativi, ma questi difficilmente spingono il valore degli asset al di sotto di un certo livello minimo. Il cosiddetto “floor”, cal­ colato in alcune valutazioni di investimento. Nelle aziende industriali e commerciali non vi è nulla di tutto questo. Non vi sono garanzie di “difesa” del valore degli asset, non esiste un va­ lore minimo, o un “floor”. Questo perché il valore degli asset è legato so­ prattutto ai flussi di reddito e ai flussi di cassa e questi a loro volta scatu­ riscono dalle attività industriali e commerciali di cui le aziende sono ca­ paci. Se il posizionamento strategico si deteriora, il valore dei flussi di red­ dito e dei flussi di cassa può diventare negativo e, se questo accade, il va­ lore dell’azienda può annullarsi o diventare anch’esso negativo. Il deterioramento del posizionamento strategico, innescato dal venir meno dei tratti di unicità e di coerenza rispetto al settore di riferimento, può trasformare un’azienda di grande valore in un’azienda da liquidare. E questo senza lasciare grandi aspettative sul valore di liquidazione. Ecco perché il cambiamento strategico è una cosa importante e perché la capacità di rinnovare il posizionamento strategico in risposta ai cam­ biamenti esterni ha un’importanza non inferiore alla capacità di condurre al meglio le attività correnti. Abbiamo visto che il cambiamento strategico è la variazione del posi­ zionamento strategico di un business, dal posizionamento iniziale e dal posizionamento finale. Ma il cambiamento strategico non è definito dalle due posizioni. Esso è definito piuttosto dalla “direzione strategica”10, che assicura il trasferi­ mento dalla posizione iniziale alla posizione finale. Questo movimento è rappresentato da una serie di attività, le attività di “set up”, il cui scopo è quello di rinnovare le attività correnti. Questo paragrafo illustra le attività che compongono il cambiamento

V. in proposito i Paragrafi 2 e 3.

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strategico e cerca di presentare gli effetti che tali attività producono sulle attività correnti e sul posizionamento strategico nel suo insieme. Uno dei tratti essenziali della strategia è quello di non essere facilmen­ te ed economicamente reversibile: nei primi studi di strategia, alcuni di­ cevano che le decisioni strategiche erano decisioni destinate a produrre effetti di lungo periodo11. Ora, di solito quando si avvia un processo irreversibile, uno dei punti più importanti consiste nell’identificazione del punto di non ritorno. Ebbene, nel rinnovamento della strategia il “punto di non ritorno” dell’irreversibilità si supera ben prima che il posizionamento strategico sia rinnovato. Il punto di non ritorno si supera quando le attività che compongono il cambiamento strategico cominciano a compromettere il posizionamento strategico di partenza, e questo di solito accade prima che il posiziona­ mento strategico nuovo sia raggiunto. Nello studio del cambiamento strategico, il business rimane l’unità lo­ gica fondamentale, anche se in alcuni settori e in alcuni business l’impat­ to delle sinergie prodotte dalle aziende diversificate diventa sempre più forte e vistoso. Il cambiamento del settore e del posizionamento strategico delle aziende operanti nel settore degli smartphone, per esempio, sembra lega­ to in modo significativo alle sinergie con altri business che alcuni produt­ tori hanno saputo valorizzare. E così che si è avuta la retrocessione di Nokia e di Rim (Blackberry), originariamente molto forti, ma concentrate sui telefoni cellulari, rispetto a Samsung e Apple, che nei cellulari erano entrate più tardi, ma godevano di sinergie industriali e commerciali maggiori.

17.2  L’avvio di nuovi business Uno dei passi più importanti nei percorsi di cambiamento strategico è quello che sfocia nell’avvio di nuovi business, operazione che può aver luogo mediante investimenti diretti o mediante acquisizioni. In entrambi i casi, il rinnovamento strategico avviene per effetto di una serie di attività di set up:

V. Andrews, 1965.

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–– nel caso dell’investimento diretto, le attività di set up sono finalizzate a creare attività nuove, che possono essere promosse da soggetti non operanti in business correlati, o da soggetti già operanti in business correlati; –– nel caso delle acquisizioni, le attività di set up sono orientate a integra­ re l’azienda acquisita nelle attività della controllante, operazione che può richiedere un lavoro di coordinamento e di rinnovamento più o meno intenso. L’avvio di nuovi business mediante investimento diretto consiste nella costituzione di un sistema di attività correnti nuove, che scaturisce da una serie di attività di set up. La prima attività di set up è quella che definisce il disegno delle attività correnti target che, unitamente alle condizioni di contesto target, definiscono il posizionamento strategico target. Fa seguito la definizione delle singole attività di set up programmate per dare vita alle singole attività correnti. La definizione del posizionamento strategico target è una delle attività di set up più importanti, soprattutto per effetto del ruolo che occupa nel percorso di apprendimento della strategia, individuandone in forma em­ brionale tutti gli elementi portanti. Essa parte da una certa previsione delle condizioni di contesto e, in ba­ se a esse, definisce il vantaggio competitivo ricercato e le caratteristiche del sistema di attività correnti target, completo dei suoi tratti di unicità e di coerenza desiderati. Il posizionamento strategico effettivo che l’azienda è destinata a ot­ tenere in futuro naturalmente non è uguale al posizionamento strategico target. Le differenze sono riconducibili: –– agli scostamenti tra i cambiamenti di contesto effettivi e quelli pre­ visti; –– agli scostamenti tra le attività di set up effettive e le attività di set up programmate. Le variabili in gioco sopra accennate sono riproposte in forma schematica nella Figura 3.4.

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Figura 3.4 – Il cambiamento strategico. Le Variabili in gioco Posizionamento strategico iniziale Condizioni di contesto attuali

Caratteristiche (unicità e coerenza) delle attività correnti attuali

Cambiamenti di contesto previsti

Attività di set up programmate

Posizionamento strategico target Condizioni di contesto target

Caratteristiche (unicità e coerenza) delle attività target

Cambiamenti di contesto effettivi

Attività di set up effettive

Posizionamento strategico effettivo Condizioni di contesto effettive

Caratteristiche (unicità e coerenza) delle attività effettive

Vi sono casi in cui gli scostamenti tra posizionamento strategico effet­ tivo e posizionamento strategico target definiscono un peggioramento del posizionamento e dei risultati correnti. Si pensi per esempio al fallimento del piano Alitalia che nel 2000 pre­ vedeva l’alleanza con la compagnia olandese KLM, finito con il naufra­ gio dell’accordo originario e con un arbitrato internazionale finalizzato a dirimere il contenzioso. Vi sono invece altri casi in cui gli scostamenti tra posizionamento ef­ fettivo e posizionamento target sono stati migliorativi, come è accaduto per esempio nel caso dell’ingresso di Honda sul mercato motociclistico americano negli anni sessanta del secolo ventesimo. Concepito per conquistare una quota di mercato nel segmento delle moto di media cilindrata, l’ingresso di Honda nel mercato statunitense fi­ nì per assicurare al produttore giapponese la leadership nel segmento (molto più ampio) dei ciclomotori. Al di là dei casi estremi sopra accennati, vi sono anche circostanze nelle quali le differenze tra posizionamento strategico effettivo e posizio­ namento strategico programmato risultano molto minori. Si pensi per esempio all’ingresso di Omnitel sul mercato della telefo­ nia mobile in Italia nei primi anni novanta, dove l’operatore di telefonia ha concepito e realizzato un percorso di cambiamento strategico volto ad assicurargli la leadership nel segmento consumer. Il tutto anche per evita­ re, almeno in un primo tempo, lo scontro diretto con Tim, che allora dete­

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neva una posizione di quasi monopolio sul ben più attrattivo segmento “business”. Ciò premesso, la qualità del disegno strategico iniziale è legata alla ca­ pacità di progettare un vantaggio competitivo raggiungibile e sostenibile rispetto ai concorrenti. Questa attività presuppone: –– la comprensione del cambiamento previsto nelle condizioni di conte­ sto, determinato soprattutto dalle caratteristiche dei clienti e dei con­ correnti e dalla loro probabile evoluzione; –– la progettazione di una “value proposition”, più o meno unica. L’uni­ cità della value proposition è un elemento essenziale per le strategie orientate al vantaggio di prezzo. Tuttavia, essa può avere una certa im­ portanza anche per le strategie orientate al vantaggio di costo, dal mo­ mento che alcune “semplificazioni” nella value proposition spianano la strada ad alcune opportunità di riduzione dei costi; –– la definizione di un sistema di attività uniche e coerenti, che siano rea­ lizzabili per l’azienda che le persegue e che permettano il raggiungi­ mento di performance superiori alla media dei concorrenti nel medio lungo periodo. a) la comprensione del cambiamento previsto nelle condizioni di contesto La comprensione del cambiamento previsto nelle condizioni di contesto presuppone la comprensione del settore e della clientela e la capacità di intuirne l’evoluzione futura. Per questo problema, si rinvia alle parti dedi­ cate all’analisi di settore e al cambiamento del settore. b) la progettazione della value proposition La progettazione della value proposition è il secondo passaggio fonda­ mentale. Essa si sviluppa in maniera differente secondo che l’azienda persegua un vantaggio di costo o un vantaggio di prezzo. Il vantaggio di costo presuppone infatti un’attenzione relativamente minore alla value proposition, dal momento che essa non è destinata a di­ ventare il criterio di scelta del cliente. Come accennato sopra, al più essa può essere utile per spianare la stra­ da al contenimento dei costi. Si pensi per esempio alla definizione della value proposition di Ikea, o

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di Ryan Air, o di Holiday Express. In ognuno di questi casi, il vantaggio di costo è stato favorito dalla riduzione del valore offerto e delle attività necessarie per produrlo. Il vantaggio di prezzo affida invece alla value proposition un ruolo fondamentale. Il valore offerto è il principale elemento di scelta del clien­ te, che – per ipotesi – è pronto a pagare un premio di prezzo a fronte dell’unicità di quanto riceve. In questi casi, evidentemente la definizione del valore da offrire è il punto di partenza della strategia. I processi di cambiamento strategico più raffinati sono partiti dall’i­ dentificazione di “vuoti di offerta”, ovvero di bisogni insoddisfatti, in quanto inespressi ma presenti allo stato latente. Si pensi al bisogno soddisfatto dai cosiddetti “family hotels”, capaci di offrire servizi concepiti per le famiglie con bambini, o ai Club Mediterra­ nee, sviluppati sulla base della formula “tutto compreso”, pensata però soprattutto per le esigenze dei “single”. In entrambi i casi, la value proposition – concepita per rispondere a esigenze dei clienti non soddisfatte dagli altri – ha aggiunto all’offerta del servizio alberghiero elementi che i concorrenti non offrivano. Qualcosa di analogo è avvenuto a opera di quei produttori che hanno prodotto capi di abbigliamento e calzature capaci di assicurare comodità ed eleganza, componendo elementi che in passato potevano essere otte­ nuti soltanto con capi o calzature diversi. Il caso di Tod’s, Hogan e Fay risponde a questo modello. Ma la stessa logica ha ispirato anche una parte delle collezioni di maison come Gucci, Dior e Louis Vitton. Nella definizione della strategia, i passi sopra indicati (comprensione del contesto e definizione di una value proposition più o meno innovati­ va) non sono però sufficienti per assicurare performance superiori alla media nel medio-lungo periodo. A questo scopo, è anche necessario che l’azienda definisca le attività correnti con le quali tale value proposition possa essere realizzata. c) la definizione di un sistema di attività uniche e coerenti La definizione del sistema di attività e delle sue caratteristiche è un punto fondamentale. Questo perché la specificazione di queste attività correnti (immaginate già nella loro versione “a regime”) è la base per le valutazio­ ni di fattibilità e di convenienza, sotto tutti i punti di vista.

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La definizione delle “attività correnti a regime” è il risultato di un complesso processo di studio e di esplorazione di attività nuove, che pre­ suppone una serie di “prove ed errori” e di aggiustamenti progressivi Per citarne solo alcuni, le domande cui questa attività deve rispondere possono essere sintetizzate come segue: –– i fattori di produzione necessari sono disponibili, o possono essere co­ munque acquisiti in un arco di tempo ragionevolmente breve e a costi contenuti? Questo quesito si riferisce naturalmente sia ai beni di con­ sumo immediato, come le materie prime e i componenti, sia agli im­ mobili, agli impianti e alle attrezzature necessarie per la produzione; –– l’attività produttiva e commerciale che si ipotizza di svolgere è realiz­ zabile con tempi e rischi sopportabili? Questo quesito presuppone anche la valutazione preliminare della di­ sponibilità delle persone in grado di svolgere le attività a regime; –– l’attività produttiva e commerciale che si ipotizza di svolgere sembra a prima vista avviabile con tempi e rischi sopportabili? Questo quesito presuppone invece una valutazione preliminare della disponibilità delle persone in grado di avviare le nuove attività. Non si tratta di una valutazione approfondita, che invece presuppor­ rebbe diversi studi di fattibilità sulle singole attività correnti, realizza­ bili soltanto mediante attività di set up diverse da quelle orientate a comporre il disegno iniziale. In questa fase, l’atto di definizione del “disegno” si limita di solito a una valutazione preliminare, finalizzata a: • evitare lo studio approfondito di progetti che appaiano a prima vi­ sta irrealizzabili. In questo senso essa esercita una funzione di sele­ zione finalizzata a evitare che l’azienda si imbarchi nello studio di progetti irrealizzabili dal punto di vista tecnico; • preselezionare le attività da svolgere tenendo anche conto delle ri­ sorse disponibili, o comunque attivabili. In questo senso essa eser­ cita una funzione di selezione finalizzata a evitare che l’azienda studi progetti che presupporrebbero “un passo più lungo della gamba”, dal punto di vista delle risorse umane e finanziarie dispo­ nibili. –– le limitate informazioni di natura economico-finanziaria (relative ai probabili prezzi e quantità vendute e ai probabili costi e investimenti

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produttivi e commerciali) giustificano un approfondimento dello stu­ dio e la definizione delle singole attività di set up da svolgere? Questo quesito non si traduce in un giudizio di convenienza economi­ ca e di fattibilità finanziaria del progetto, ma si limita a una valutazio­ ne preliminare del progetto, finalizzata semplicemente a capire se esso sia meritevole di approfondimento. Dopo la prima serie di attività di set up, se la risposta al quesito sopra in­ dicato giustifica l’approfondimento dell’analisi, il passo successivo è la definizione delle altre attività di set up necessarie per raggiungere il posizionamento strategico target. Si tratta di definire, in corrispondenza di ogni attività corrente che compone il posizionamento strategico target, cosa sia necessario fare per avviarla e – nello stesso tempo – di mettere a fuoco i costi e rischi asso­ ciati alla fase di avviamento. Esaminiamo tre esempi sintetici, dedicati rispettivamente a una strate­ gia finalizzata al vantaggio di costo su un ambito ampio, a una strategia orientata al vantaggio di prezzo su un ambito ampio e a una strategia di focalizzazione. Per un’azienda che voglia acquisire un vantaggio di costo nel settore dell’acqua minerale venduta attraverso il canale della GDO, alcune delle domande iniziali cui è necessario rispondere sono sintetizzate di seguito: –– qual è il concorrente di riferimento e quali sono le dimensioni della sua attività? A questa domanda risponde l’attività di set up di analisi dei concorren­ ti, finalizzata ad approfondire il contesto esterno di riferimento e la sua possibile evoluzione, con particolare enfasi su uno specifico operato­ re, assunto come benchmark; –– è possibile ottenere l’accesso a una sorgente di acqua? Quali sono le sorgenti cui è possibile accedere e quali sono i costi delle concessioni? A queste domande rispondono le attività di set up finalizzate alla ricer­ ca di informazioni sulle sorgenti d’acqua e le relative concessioni. Nel caso in cui il progetto sia avviato, in un tempo successivo a queste attività faranno seguito l’attività di set up di stipula del contratto ne­ cessario per l’ottenimento della concessione; –– quali soluzioni tecnologiche sono disponibili per l’imbottigliamento? Chi può fornire gli impianti e quali possono essere i costi e i tempi di

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realizzazione? Chi può seguire il progetto di investimento e quale può essere il costo delle attività di controllo? A queste domande rispondono le attività di set up finalizzate alla ricer­ ca di offerte per la costruzione degli impianti e per la locazione o l’af­ fitto di un’unità produttiva. Nel caso in cui il progetto sia avviato, in un tempo successivo a queste attività faranno seguito le attività di set up orientate all’acquisto o all’affitto dell’unità produttiva e all’acquisto e all’avviamento degli impianti; –– quali sono le risorse produttive e i costi a regime necessari per l’eser­ cizio dell’attività produttiva? A queste domande rispondono le attività di set up finalizzate alla ricer­ ca del personale e le attività di set up finalizzate alla definizione del programma dei costi di produzione. Nel caso in cui il progetto sia avviato, a queste attività faranno seguito le attività di set up orientate all’assunzione delle persone e all’avvia­ mento dell’attività produttiva, fino all’ottenimento delle condizioni di produzione cosiddette a regime; –– quali sono i costi di distribuzione, di marketing e di accesso alla GDO necessari per realizzare quantità idonee ad assicurare un vantaggio di costo? A queste domande rispondono le attività di set up finalizzate alla ricer­ ca del personale e le attività di set up finalizzate alla definizione del programma commerciale. Nel caso in cui il progetto sia avviato, a queste attività faranno seguito le attività di set up orientate all’assunzione delle persone e all’avvia­ mento dell’attività commerciale, ivi incluse le attività di definizione e di stipula dei relativi contratti; –– qual è il tracciato tempificato (o diagramma di Gantt) del progetto e come si distribuiscono nel tempo gli investimenti e i costi delle singo­ le attività? A queste domande rispondono le attività di set up finalizzate alla defi­ nizione del master plan delle singole attività; –– qual è il business plan del progetto? A questa domanda risponde l’attività di set up di definizione del busi­ ness plan, che presuppone la raccolta e l’elaborazione di tutte le infor­ mazioni necessarie per la produzione del preventivo economico-finan­

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Figura 3.5 – Domande chiave principali e attività di set up della fase esplorativa. Domande chiave principali

Fase esplorativa

Attività di set up finalizzate a rispondere alle domande chiave

Qual è il concorrente di riferimento e quali sono le dimensioni della sua attività?

Analisi dei concorrenti e analisi del leader

È possibile ottenere l'accesso a una sorgente di acqua? Quali sono le sorgenti cui è possibile accedere e quali sono i costi delle concessioni?

Ricerca di informazioni sulle sorgenti d'acqua e sulle concessioni

Quali sono le soluzioni tecnologiche disponibili per l'imbottigliamento?

Ricerca di offerte per gli impianti

Chi può fornire gli impianti e quali possono essere i costi e i tempi di realizzazione? Quali sono essere le risorse produttive e i costi a regime necessari per l'esercizio dell'attività produttiva? Quali sono i costi di distribuzione, di marketing e di accesso alla GDO necessari per realizzare quantità idonee ad assicurare un vantaggio di costo?

Ricerca di offerte per le unità produttive

Avviamento degli impianti Definizione del programma dei costi di produzione Definizione del programma commerciale

Qual è il tracciato tempificato (o diagramma di Gantt) del progetto e come si distribuiscono nel tempo gli investimenti e i costi delle singole attività?

Definizione del master pian delle singole attività

Qual è il business plan del progetto?

Definizione del business plan Raccolta ed elaborazione delle informazioni necessarie per il business plan Stress test

ziario e – di solito – alcune analisi di sensitività. Queste analisi, che prendono come punto di partenza l’ipotesi di base, sono orientate a de­ finire i possibili risultati ottenibili a fronte di scenari peggiorativi (co­ siddetti “stress test”) o migliorativi rispetto allo scenario di partenza. La risposta a queste domande presuppone una fase di approfondimento delle informazioni, di raccolta di “offerte commerciali”, di valutazione di candidati all’assunzione e di bozze di contratti. Dal punto di vista economico, in questa fase si sostengono soprattutto i costi degli studi, dellle consulenze, dei viaggi, delle ricerche di informa­ zioni e delle telefonate (v. Figura 3.5). Come accennato sopra, se la risposta ai principali quesiti di fattibilità e convenienza è positiva e il progetto è approvato, si inizia la fase degli “asse­ gni bancari maggiori”, ovvero degli investimenti, delle assunzioni e dell’as­ sunzione di vari altri impegni, finalizzati all’avvio delle attività correnti. La fase degli “assegni bancari maggiori” non comporta soltanto un au­

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Figura 3.6 – Attività correnti da avviare e attività di set up finalizzate a creare le condizioni per l’avvio delle attività correnti. Attività correnti da avviare

Attività correnti produttive, commerciali, logistiche, etc. Attività correnti produttive, commerciali, logistiche, etc. Attività correnti produttive Attività correnti produttive Attività correnti produttive Attività correnti commerciale

Fase degli assegni bancari maggiori

Attività di set up finalizzate alla predisposizione delle condizioni per l'avvio delle attività correnti Ricerca del personale Assunzione delle persone Acquisto o affitto di unità produttive Stipula del contratto per l'ottenimento della concessione Avviamento della produzione Definizione dei primi contratti con i clienti

mento degli impegni finanziari. Essa produce anche conseguenze di gran­ de portata sulle attività correnti che potranno essere realizzate in futuro. In una parola essa crea i “vincoli” per le future attività correnti, o un “Commitment”12, per usare un’altra parola che esprime, in modo forse più efficace, l’irrereversibilità, o gli ostacoli al cambiamento derivanti dalle scelte strategiche, una volta che siano state compiute e tradotte in azioni concrete. Per esempio, se la fonte di acqua risulterà caratterizzata da elementi non apprezzati dal pubblico, l’azienda potrà fare ben poco per cambiarla, a meno di interrompere il contratto di concessione e modificare radical­ mente le attività logistiche e produttive. Se le forme delle bottiglie in PET non incontreranno il gusto dei con­ sumatori, l’azienda non potrà fare molto per cambiarle a meno di dismet­ tere e sostituire gli impianti produttivi. E altrettanto potrà dirsi per l’ipo­ tesi in cui gli impianti non raggiugano i livelli di efficienza originaria­ mente programmati. Se i contratti di distribuzione con la GDO non risulteranno sufficiente­ mente remunerativi in rapporto ai costi di produzione, sarà improbabile ottenere dalle singole catene distributive aumenti dei prezzi di vendita. Se le persone assunte per l’esercizio delle principali attività produttive e commerciali non dovessero risultare adeguate, esse potranno essere so­ stituite.

V. Ghemavat, 1991.

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Tuttavia, l’esperienza insegna che spesso tali sostituzioni sono tardive e non avvengono se non dopo che gli errori di assunzione abbiano com­ promesso in modo notevole i risultati delle attività correnti di diversi esercizi. E l’esemplificazione potrebbe continuare. Tutto ciò non significa che le attività correnti siano irrilevanti. Anzi, esse possono essere oggetto di miglioramenti progressivi, riassunti nei cosiddetti effetti di apprendimento e di perfezionamento. Le attività di produzione e di logistica possono essere marginalmente migliorate. I capi reparto possono modificare la regolazione delle macchine e mi­ gliorare l’afflusso e il deflusso dei materiali dalle linee di imbottigliamen­ to, aumentando la velocità di programmazione delle macchine e l’effi­ cienza di produzione. I camion impegnati nella distribuzione dell’acqua possono modificare i rispettivi giri di consegna, riducendo il costo per quintale-km traspor­tato. Gli agenti di vendita possono essere via via più bravi e attenti nel co­ gliere le migliori opportunità per la promozione del prodotto e per la mo­ difica delle condizioni contrattuali. Tuttavia, mentre tutte le attività correnti migliorano sotto l’impulso dei principali responsabili di funzione, buona parte del destino economi­ co delle aziende che svolgono tali attività rimane scritto. La possibilità di ottenere un vantaggio di costo rispetto al leader è am­ piamente condizionata dalle quote di mercato raggiungibili e dalle carat­ teristiche di capacità e di efficienza degli impianti. Se il principale concorrente ha occupato in modo stabile i principali sbocchi della GDO, lo sfidante non potrà fare molto per sottrargli le quote di mercato. L’unica via praticabile sarà quella della riduzione dei prezzi (o dell’au­ mento dei premi di fine anno alla GDO, il che alla fine è la stessa cosa). E non si tratta di un’iniziativa di facile successo, considerato il rischio della “reazione” da parte dei concorrenti. Prescindendo quindi dall’ipotesi (poco probabile) che la riduzione dei prezzi di vendita possa generare un aumento delle quote di mercato senza innescare la reazione dei concorrenti, la possibilità di successo non dipen­ derà tanto dall’impegno – pur importante – dei singoli collaboratori sulle linee di produzione o nell’attività di vendita. La singola variabile più importante sarà il livello di efficienza com­ plessivamente raggiunto rispetto ai concorrenti, risultato derivante so­

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prattutto dalle caratteristiche degli impianti e dalla rispettiva velocità di produzione. In caso di difetto in questi parametri, elementi in gran parte “congela­ ti” dalle attività di set up iniziali, ben poco potrà fare l’impegno e la mo­ tivazione dei collaboratori impegnati nella gestione delle linee di produ­ zione. Per un’azienda che voglia acquisire un vantaggio di prezzo nel settore dell’abbigliamento, si tratta per esempio di rispondere a domande come quelle sintetizzate di seguito: –– quali sono le esigenze dei clienti e quale esigenza appare relativamen­ te insoddisfatta, al punto da poter essere oggetto di una value proposi­ tion ad hoc? A questa domanda risponde l’attività di set up di analisi dei bisogni dei consumatori e di analisi dei concorrenti, finalizzata ad approfondi­ re il contesto esterno di riferimento e la sua possibile evoluzione, con particolare enfasi sui gusti del cliente finale e sulla loro possibile evo­ luzione; –– è possibile sviluppare un prodotto nuovo capace di rispondere a tali esigenze? Quali sono le caratteristiche che dovrebbe avere? E quali sono i “punti di prezzo” ai quali dovrebbe essere proposto per essere attrattivo rispetto agli altri? A queste domande rispondono le attività di set up finalizzate allo svi­ luppo del nuovo prodotto e alla messa a punto delle caratteristiche estetiche e tecniche che lo contraddistinguono. Nel caso in cui il progetto sia avviato, in un tempo successivo a queste attività faranno seguito le attività di set up di avvio della progettazione del prodotto e della collezione; –– quali sono le risorse tecniche e i costi a regime necessari per l’avvio e per l’esercizio a regime dell’attività di produzione delle collezioni? A queste domande rispondono le attività di set up finalizzate alla ricer­ ca del personale da inserire nel reparto “stile” e le attività di set up fi­ nalizzate alla definizione del programma dei costi di progettazione delle collezioni. Nel caso in cui il progetto sia avviato, a queste attività faranno seguito le attività di set up orientate all’assunzione delle persone e all’avvia­

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mento dell’attività di progettazione delle collezioni, destinate a rinno­ varsi per ogni collezione; –– quali soluzioni sono disponibili per il confezionamento? Chi può rea­ lizzare il prodotto e quali possono essere i costi e i tempi di evasione degli ordini? Chi può seguire il progetto di realizzazione della produ­ zione esterna e quale può essere il costo dell’attività di controllo? A queste domande rispondono le attività di set up finalizzate alla ricer­ ca di offerte per la realizzazione del prodotto e per la locazione o l’af­ fitto di un’unità produttiva. Nel caso in cui il progetto sia avviato, in un tempo successivo a queste attività faranno seguito le attività di set up orientate alla definizione dei contratti e all’emissione degli ordini pilota per le prime campiona­ ture; –– quali sono i costi di distribuzione, di marketing e di accesso al canale distributivo necessari per realizzare quantità idonee a raggiungere i ri­ sultati economici ricercati? A queste domande rispondono le attività di set up finalizzate alla ricer­ ca del personale e le attività di set up finalizzate alla definizione del programma commerciale. Nel caso in cui il progetto sia avviato, a queste attività faranno seguito le attività di set up orientate all’assunzione delle persone e all’avvia­ mento dell’attività commerciale, ivi incluse le attività di definizione e di stipula dei relativi contratti; –– qual è il tracciato tempificato (o diagramma di Gantt) del progetto e come si distribuiscono nel tempo gli investimenti e i costi delle singo­ le attività? A queste domande rispondono le attività di set up finalizzate alla defi­ nizione del master plan delle singole attività; –– qual è il business plan del progetto? A questa domanda risponde l’attività di set up di definizione del busi­ ness plan, come presentata nell’esempio precedente. Anche in questo caso, a una prima fase di valutazione tecnica, se la rispo­ sta ai principali quesiti di fattibilità e convenienza è positiva e il progetto è approvato, fa seguito la fase in cui vengono assunti gli impegni finan­ ziari e i rischi maggiori.

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E anche questa volta, la fase degli impegni maggior finirà per produrre una serie di “vincoli” per le future attività correnti. Per esempio, se il prodotto e il posizionamento di prezzo non saranno apprezzati, l’azienda potrà fare ben poco per cambiarli, a meno di avviare un’attività nuova, con un marchio nuovo, stilisti nuovi e una rete distribu­ tiva diversa. Se le persone assunte per l’esercizio delle principali attività di svilup­ po prodotto e commerciali non dovessero risultare adeguate, il cambia­ mento di queste persone sarà probabilmente problematico e oneroso. Se i fornitori non si dimostreranno all’altezza degli incarichi loro asse­ gnati, la risoluzione dei contratti non sarà facile e produrrà probabilmente una serie di strascichi. Nel caso delle aziende che perseguono un vantaggio di prezzo, la qua­ lità delle attività di set up si misura soprattutto: –– nella definizione della value proposition, dalla quale scaturiscono le determinanti del valore di primo livello; –– nella definizione delle attività correnti capaci di portare al cliente tale “value proposition” e dei costi che da tali attività scaturiscono. Per un’azienda che voglia realizzare una strategia di focalizzazione orien­ tata al vantaggio di prezzo nel settore dei tessuti per arredamento, il pro­ blema si presenta più complesso. Infatti, nel caso delle strategie di foca­ lizzazione, i problemi sopra indicati di contenimento dei costi o di mi­ glioramento del valore si intrecciano con quelli della segmentazione. La segmentazione presuppone la concentrazione delle attività su una parte limitata del mercato, sulla base dell’aspettativa che tale scelta possa produrre benefici superiori agli svantaggi di costo derivanti dalla rinuncia a servire altri clienti. Lo sviluppo di una strategia orientata a ottenere vantaggi mediante la segmentazione presuppone quindi il riconoscimento di segmenti di mer­ cato che possano permettere performance superiori modificando le attivi­ tà e – in alcuni casi – la value proposition. In questo caso, le attività di set up necessarie potrebbero partire quindi da un insieme di quesiti come quelli proposti di seguito: –– quali sono le esigenze dei produttori di arredamento che possono esse­ re soddisfatte con tessuti diversi da quelli proposti dai concorrenti che

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si rivolgono indistintamente a tutti i clienti? Quali caratteristiche tec­ niche ed estetiche può avere il tessuto da proporre a questi clienti? A quale prezzo di vendita può essere proposto? A queste domande rispondono le attività di set up di analisi delle esi­ genze dei diversi segmenti di clientela e di definizione della value pro­ position che potrebbe soddisfarli. In un percorso analitico completo, questa domanda parte con l’identi­ ficazione delle esigenze della clientela finale e con la condivisione di queste esigenze con i produttori di arredamento. Questa analisi tiene conto non soltanto della situazione attuale, ma an­ che della sua possibile evoluzione, visto che il progetto di avvio delle nuove attività correnti richiede comunque un certo periodo di tempo per essere completato e portato a regime; –– quali sono le attività correnti che devono essere realizzate per soddi­ sfare le esigenze di questi clienti nel campo dello sviluppo prodotto, della produzione e delle vendite? A queste domande rispondono le attività di set up di definizione delle attività correnti necessarie per sviluppare, produrre e vendere i tessuti di arredamento dedicati a questo segmento. Queste domande presuppongono passaggi logici simili a quelli pre­ sentati in precedenza durante l’illustrazione delle strategie finalizzate a ottenere il vantaggio di prezzo. L’unica differenza consiste nel fatto che la strategia di focalizzazione pone in primo piano l’esigenza di an­ corare le differenze delle attività correnti (e, in questo caso, della va­ lue proposition) alle differenze del segmento prescelto; –– quali sono i ricavi e i costi a regime ottenibili mediante la concentra­ zione sulle esigenze di questi clienti? A queste domande rispondono le attività di set up finalizzate alla defi­ nizione delle attività correnti target, al diagramma di GANTT e al bu­ siness plan, definite secondo una logica simile a quella proposta negli esempi precedenti, calibrata anch’essa in funzione dei segmenti di mercato prescelti. Nel caso delle aziende che perseguono una strategia di focalizzazione, la qualità delle attività di set up si misura soprattutto: –– nella coerenza tra il segmento di mercato prescelto da un lato e la va­ lue proposition e le attività correnti target dall’altro. Da questa coeren­

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za scaturisce l’opportunità di acquisire e consolidare una posizione di mercato “focalizzata”; –– nella misura degli elementi economici associati al progetto di segmen­ tazione. Da questa misura scaturisce la possibilità di acquisire e con­ solidare performance economico-finanziarie superiori rispetto alla media di settore. Nel caso delle strategie di focalizzazione le attività di set up produrranno vincoli per le attività correnti ancora più stringenti di quelli descritti per le aziende che operano con un raggio di azione più ampio. Per esempio, se il segmento cui è dedicata la strategia di focalizzazio­ ne non apprezzerà le caratteristiche del prodotto offerto, o riterrà inaccet­ tabile il prezzo proposto, l’azienda si troverà chiusa all’interno di una si­ tuazione ancora più difficile. Cambiare le attività correnti sarà ancora più oneroso di quanto speri­ mentato nel caso delle strategie sviluppate su un raggio di azione ampio, dal momento che la “conversione” da un segmento all’altro richiederà una serie di costi aggiuntivi. Problemi di entità ancora maggiore potrebbero derivare da errori nella stima del segmento di riferimento. Se la strategia di focalizzazione è incappata nella trappola della “iper­ segmentazione”, ovvero della concentrazione su un segmento troppo ri­ stretto, ampliare il target, cooptando soggetti diversi da quelli originari, comporterà costi e investimenti ingenti. I casi appena descritti aiutano a illustrare quanto possa essere forte l’ere­ dità che le attività di set up lasciano sulle attività correnti. In questi esempi, i problemi delle attività correnti sembrano nascere direttamente dalle attività di set up. È bene dire subito che non siamo davanti a una piccola serie di ecce­ zioni, ma a quella che potremmo definire la “norma”, ovvero la modalità più comune. Anzi, esistono alcuni settori, come per esempio quelli dei servizi al­ berghieri e di ristorazione commerciale, dove gli elementi definiti me­ diante le attività di set up sono ancora più vincolanti. Se un albergo migliora l’efficienza e lo spirito di servizio al cliente da parte del personale, questo può permettere di contenere i costi del perso­

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nale e forse può garantire all’albergo una quota crescente dei flussi turisti­ ci verso quella destinazione. Ma se l’albergo è stato concepito e realizzato nella destinazione sba­ gliata, ben poco si può fare per far tornare i conti. Un ristorante “tre stelle Michelin” può impegnarsi di anno in anno per migliorare la qualità dei propri piatti e dei propri menù, il servizio in sala e l’efficienza delle attività di acquisto e di confezionamento dei pasti. Ma se la sua saracinesca si apre tutti i giorni in un territorio dove, mal­ grado tutti gli sforzi di marketing, non è possibile attrarre molte persone disposte a spendere duecento euro a coperto, per esempio in un territorio di aperta campagna, gli sforzi del personale di cucina e di sala potrebbero essere vani. Se il break even del ristorante è ottenuto con un’occupazione media dei tavoli dell’80% e l’occupazione dei giorni feriali risulta molto inferio­ re a questo parametro, i conti non torneranno mai. Il ristorante è stato aperto nel posto sbagliato. Punto e basta. È stato fatto un errore nelle attività di set up. Solo una correzione dell’errore ori­ ginario (ovvero il trasferimento del ristorante in altra sede) lo può sanare. Sviluppando queste considerazioni, è spontaneo pensare al contrasto tra l’impatto forte che le attività di set up esercitano sulle attività correnti e sui risultati delle aziende e lo scarso peso che hanno avuto negli studi e nella pratica della strategia. I tre casi di cambiamento strategico sopra indicati hanno in comune alcuni aspetti: –– cercano tutti una soluzione di “value proposition” e di “costi” che per­ metta di ottenere una performance superiore alla media. Nel caso dell’acqua minerale e – in generale – delle strategie orientate al vantaggio di costo, lo sforzo principale è dedicato al contenimento dei costi. Nel caso dell’abbigliamento e – in generale – delle strategie orientate al vantaggio di prezzo, lo sforzo principale è dedicato alla value proposition e al controllo degli effetti che la nuova value propo­ sition può generare sui costi necessari per produrla; –– presuppongono in ogni caso la definizione di un sistema di attività cor­ renti target caratterizzato da elementi di unicità e di coerenza. Questa è una regola universale, parte del patrimonio genetico di ogni strategia di successo.

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Assenza di unicità, vuol dire prossimità alle condizioni della concor­ renza perfetta: ovvero zero profitti. Assenza di coerenza vuol dire mancanza di coordinamento con le esi­ genze dei clienti, o difetti di coerenza economica, come accade quan­ do si offre una qualità molto alta a chi non è in grado di riconoscerla: i risultati si possono immaginare facilmente; –– le caratteristiche di unicità e di coerenza del sistema di attività corren­ ti target dipendono in larga misura dalle attività di set up che danno origine al disegno delle attività correnti e alle singole attività correnti incluse in tale disegno. È forse l’elemento più importante nell’interpretazione del modo in cui si compongono le attività, non solo nello sviluppo delle aziende, ma anche nella formazione degli enti pubblici e nello sviluppo professio­ nale delle persone, Larga parte di quello che viene fatto oggi è frutto della preparazione compiuta ieri; –– i margini di miglioramento delle performance prodotte dalle attività correnti, una volta che siano state configurate e avviate, sono limitati. Nella maggior parte dei casi, miglioramenti significativi delle perfor­ mance sono disponibili soltanto mediante la modifica strutturale delle attività correnti, che avviene mediante attività di set up onerose e ri­ schiose. Questo non è che un “corollario” del teorema di cui al punto prece­ dente. Se un’automobile si guasta continuamente e crea problemi ai clienti e ai concessionari, chi la produce e chi la vende può fare ben poco fin­ tantoché non siano stati modificati il progetto e la catena di montag­ gio; –– se l’unicità delle attività correnti deriva dalle caratteristiche di unicità e di coerenza delle attività di set up, le attività di set up diventano ne­ cessariamente la prima sede del confronto competitivo. Se le attività di set up sono riproducibili dai concorrenti senza partico­ lari difficoltà, è plausibile che le caratteristiche di unicità e di coerenza delle attività correnti da loro prodotte non possano essere mantenute nel tempo. Viceversa, se le attività di set up non possono essere replicate o imita­ te, allora è più probabile che le caratteristiche di unicità e di coerenza

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delle attività correnti da loro prodotte possano essere mantenute nel tempo. Se un tour operator costruisce un bellissimo villaggio turistico su una costa tropicale che si sviluppi per dieci chilometri sulla spiaggia bian­ ca, per quanto la location possa essere attrattiva, essa non può essere elemento di unicità. Altri tour operator, registrato il gradimento dei clienti per quella desti­ nazione, potranno ottenere altrettante concessioni e aprire i rispettivi villaggi turistici in posizione adiacente: a quel punto, la spiaggia bian­ ca e l’acqua trasparente che rappresentavano elementi di differenzia­ zione diventeranno dati acquisiti e la concorrenza sarà trasferita su altri elementi di unicità dell’offerta. Inoltre, anche nel caso in cui la probabilità di imitazione delle attività di set up sia ridotta, l’unicità e la coerenza delle attività correnti non sono comunque garantite per sempre. Alcuni concorrenti potrebbero “spiazzare” le attività correnti dell’azienda progettando attività cor­ renti più attrattive, ottenute attraverso attività di set up diverse da quel­ le realizzate dall’azienda. La value proposition di un’azienda che goda di una posizione superio­ re per effetto delle caratteristiche naturali della sabbia e del mare po­ trebbe essere insidiata da un operatore turistico che associ a uno sce­ nario naturale simile un pacchetto di servizi migliore. In questo caso, tutto dipenderà dal modo in cui l’insieme di queste at­ tività si differenzierà dalle altre sotto il profilo della value proposition offerta e dei costi sostenuti; –– la ricerca dell’unicità e della coerenza rispetto ai concorrenti non può essere interpretata soltanto alla luce delle attività correnti realizzate in un certo momento o in un certo periodo, opzione che condurrebbe a una valutazione di tipo statico. Considerata la dinamicità del contesto competitivo, il confronto strate­ gico deve guardare nello stesso tempo alle attività correnti adottate in un certo momento e alle attività di set up impegnate nel rinnovamento delle attività correnti. Questa prospettiva incontra tuttavia alcuni ostacoli significativi, rap­ presentati dal fatto che, se alcune attività correnti di ogni azienda pos­ sono essere scarsamente visibili dai concorrenti, le attività di set up sono spesso segrete. Lo spionaggio industriale, che rappresenta un’attività illegale, scaturi­

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sce proprio da comportamenti deviati (e sanzionati dalla legge) con i quali singole aziende cercano di conoscere le attività di set up dei ri­ spettivi concorrenti, al fine di imitarle o prevenirle; –– la valutazione della strategia, in quanto estesa sia alle attività correnti, sia alle attività di set up, incontra anch’essa ostacoli notevoli, dal mo­ mento che: –– mentre le attività correnti hanno risultati visibili e misurabili con relativa attendibilità, le attività di set up – oltre a non avere risultati visibili e misurabili – in molti casi non sono neanche note all’ester­ no delle aziende che le promuovono. Non solo, in alcuni casi le attività di set up possono essere talmente “confidenziali” da non essere diffusamente conosciute neppure all’interno delle aziende che le esercitano; –– anche nei casi in cui le aziende siano abituate a comunicare all’e­ sterno una serie di informazioni relative alle attività di set up, non è detto che queste informazioni siano tali da permettere una valuta­ zione attendibile di tali attività. Questo perché in molti casi il risultato di tali attività è scarsamente prevedibile anche da chi le eserciti in prima persona. Le considerazioni sopra esposte si riferiscono all’avvio di nuovi business mediante investimento diretto a partire da soggetti non operanti in business correlati. Nell’ipotesi in cui l’investimento diretto parta da attività già avviate in business correlati, le considerazioni appena sviluppate devono essere integrate per tener conto dell’impatto delle attività preesistenti. Il sistema di riferimento di partenza è sempre lo stesso. Si tratta di capire: –– se le nuove attività correnti, una volta a regime, possano godere di ele­ menti di superiorità rispetto a quelle dei concorrenti; –– quali siano i costi, i tempi e i rischi necessari per l’avvio di tali attività correnti. In questo caso, l’unico elemento che si aggiunge al panorama concettuale di riferimento è rappresentato dall’esistenza di una serie di attività corren­ ti iniziali, dedicate a un business diverso, ma in qualche modo correlato. E non si tratta di una circostanza di poco conto.

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L’integrazione di questo elemento nel quadro iniziale di riferimento permette di rinnovare il percorso analitico sopra proposto, con l’unica qualificazione che deriva dalla disponibilità di certe risorse iniziali ag­ giuntive. Nell’ipotesi in cui l’ingresso in un nuovo business sia realizzato mediante un’iniziativa di acquisizione, il quadro si complica ulterior­ mente. Infatti, in questo caso occorre considerare: –– le sinergie realizzabili dalla composizione dei due business. La casistica è ampia. La cosa forse più importante è l’opportunità di controllare i prezzi di vendita dei due produttori. Indiscutibilmente, diverse operazioni di acquisizione nascono anche con questo scopo. Ed è proprio nella consapevolezza di questo genere di obiettivi che esistono autorità nazionali e sovranazionali deputate a vigilare su que­ sto tipo di operazioni: è così che talvolta le operazioni vengono bloc­ cate o condizionate all’esecuzione di una serie di disinvestimenti da parte dei soggetti coinvolti. Ma la mappa delle sinergie non si esaurisce nel controllo dei prezzi. Si va dal cosiddetto “cross selling”, ovvero dalla vendita dei prodotti della società A ai clienti della società B (e viceversa), alla condivisio­ ne di impianti, centri di ricerca, risorse commerciali e amministrative e know how di vario genere. Nella maggior parte dei casi, la condivisione di risorse permette la ri­ duzione dei costi, mediante l’eliminazione delle “attività duplicate”; –– eventuali incoerenze che la composizione dei due business può provo­ care dal punto di vista del posizionamento percepito dai clienti o delle attività interne. Questo può accadere quando: • i clienti percepiscano differenze sensibili tra la qualità storicamente accreditata all’azienda A e quella accreditata all’azienda B, come accadde in Italia quando il gruppo Fiat acquisì Lancia e Alfa Ro­ meo; • i dipendenti abituati a lavorare con certi standard di qualità siano richiesti di impegnarsi nello sviluppo del prodotto, nella produzio­

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ne, nella vendita o nel controllo qualità relativi a prodotti concepiti con standard qualitativi diversi. In situazioni del genere è altamente probabile che persone abituate a lavorare su produzioni di qualità alta trovino difficile adeguarsi a standard inferiori e viceversa; –– le conseguenze di eventuali perdite di fatturato che possono derivare dalla ritrosia di alcuni clienti a concentrare i loro acquisti presso un unico gruppo. È un punto da non sottovalutare. Diversi clienti affrontano il cosiddetto rischio della “supply chain” differenziando le fonti di fornitura. Ciò consente di limitare i rischi derivanti da discontinuità accidentali nelle forniture provenienti da singoli siti produttivi e di contenere i ri­ schi di comportamenti opportunistici da parte del fornitore che rappre­ senti la fonte unica di singoli prodotti. È evidente che la concentrazione nello stesso gruppo di più aziende dotate di caratteristiche diverse può quindi comportare reazioni da parte di clienti che avvertissero i rischi sopra indicati; –– i costi e i rischi dei processi di integrazione tra aziende e culture di­ verse. Chi è familiare con i processi di M&A sa che il passaggio dalle siner­ gie sulla carta alle sinergie nei fatti non è facile, né economico. Nella maggior parte dei casi, la realizzazione di queste sinergie incon­ tra una serie di resistenze e di ostacoli, che spesso si traducono in costi di vario genere e in ritardi superiori alle aspettative. Una volta che questi elementi tipici dei processi di M&A, rappresentati da sinergie e da rischi potenziali, siano integrati nel problema del cambia­ mento strategico finalizzato all’ingresso in un nuovo business, il quadro cambia drasticamente. Non siamo più in presenza di iniziative destinate a modificare l’equili­ brio tra domanda e offerta, in quanto la capacità produttiva resta per defi­ nizione immutata. Non solo. Mentre l’investimento diretto parte dal foglio bianco (o al più dalla considerazione di possibili sinergie con business correlati) e dal prato verde, l’acquisizione aggiunge una pagina nuova a libri già scritti. Esistono prodotti, stabilimenti, reti di vendita, che – se da una parte rappresentano un punto di partenza avvantaggiato rispetto a chi parta da

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zero – dall’altra inseriscono nel sistema anche una serie di condiziona­ menti. Il lancio di un prodotto nuovo proposto con un marchio preesistente nel settore non crea nei clienti una percezione nuova, ma riapre con i clienti un dialogo che si pone in condizioni di continuità rispetto ai pro­ dotti preesistenti e alle esperienze pregresse. Ciò fa sì che l’ingresso nel settore mediante operazioni di acquisizione identifichi in realtà un caso particolare del cambiamento strategico attua­ to all’interno di business esistenti. Esso si differenzia dagli altri per il fatto che, invece di essere promos­ so da un’azienda operante nel settore con un solo business, è realizzato da un’azienda operante mediante due business, circostanza dalla quale pos­ sono scaturire obiettivi diversi. Infatti, in linea di principio, l’acquisizione di un business da parte di un’altra azienda operante nello stesso settore può avvenire anche al sem­ plice scopo di lasciare le cose come sono, senza modificare il posiziona­ mento di nessuno dei due business coinvolti. In questo caso, ai fini del cambiamento strategico il processo di acqui­ sizione è poco rilevante, dal momento che il posizionamento dei business cambia soltanto per il fatto che, sottoposti allo stesso controllo, i due bu­ siness vedono attenuarsi la rivalità. Per contro, il posizionamento può cambiare se – una volta unificate le attività dei due business – l’azienda decida di modificarne il posiziona­ mento, alterando la value proposition e le attività di ognuno dei due. Sull’analisi di questa fattispecie si avrà modo di tornare nell’ambito del prossimo paragrafo, dopo aver descritto la logica del cambiamento strategico all’interno di business esistenti.

17.3  Il cambiamento strategico all’interno di business esistenti Il cambiamento strategico all’interno di business esistenti è diverso dal cambiamento strategico finalizzato all’ingresso in un nuovo business. Le differenze principali sono due: –– in primo luogo, un business avviato offre un punto di partenza più avanzato rispetto a chi parta da zero: molte conoscenze e molte risorse sono disponibili; le attività esistono già e spesso sono già consolidate;

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Figura 3.7 – Il cambiamento strategico. La valutazione del posizionamento strategico inerziale. Posizionamento strategico iniziale Condizioni di contesto attuali

Caratteristiche (unicità e coerenza) delle attività correnti attuali

Posizionamento strategico inerziale Cambiamenti di contesto previsti

Condizioni di contesto previste

Caratteristiche (unicità e coerenza) delle attività correnti inerziali

–– inoltre, un business avviato soffre di una certa limitazione delle opzio­ ni disponibili, dal momento che deve fare i conti con il posizionamen­ to strategico iniziale e con la sua evoluzione inerziale. In particolare, nei business esistenti il quadro di riferimento iniziale del cambiamento strategico è definito: –– dal posizionamento strategico iniziale, rappresentato a sua volta da: –– le condizioni di contesto attuali; –– le attività correnti iniziali; –– dai cambiamenti di contesto previsti; –– dal posizionamento strategico inerziale, rappresentato a sua volta da: –– le condizioni di contesto previste; –– le attività correnti inerziali. Il posizionamento strategico inerziale si differenzia dal posizionamento attuale non soltanto per effetto dei cambiamenti di contesto previsti, de­ stinati a mutare le condizioni di contesto, ma anche per l’evoluzione iner­ ziale delle attività correnti. Infatti, in assenza di attività di set up destinate a modificarle, le carat­ teristiche delle attività correnti non rimangono inalterate, ma subiscono cambiamenti innescati da circostanze o decisioni consolidate in passato. Alcuni rapporti commerciali possono estinguersi senza opportunità di rinnovo, alcuni dipendenti possono lasciare l’azienda, altri possono svi­ luppare esperienze e capacità migliori, l’unicità di prodotti e attività può ridursi per iniziativa dei concorrenti. Tutto ciò è sufficiente a spiegare perché i processi di cambiamento strategico all’interno di business esistenti partano sempre, in modo impli­

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cito o esplicito, da un’attività di valutazione della situazione iniziale e della sua proiezione inerziale. Questa è la prima attività di set up in questi processi di cambiamento e, come è facile immaginare, presuppone un lavoro di analisi ben diverso da quello necessario per studiare un settore dall’esterno al fine di entrare in un business nuovo. La disponibilità di informazioni iniziali e di una serie di contatti di va­ rio genere da cui ottenere informazioni aggiuntive crea per certi aspetti una condizione di vantaggio. Ma questo vantaggio a volte è compensato da una distorsione della realtà maturata per effetto dell’esperienza e dell’abitudine a guardare al settore e alla clientela da un certo punto di vista. La consapevolezza di alcuni grandi investimenti effettuati in passato, con i quali i top manager e a volte gli “owner manager” sono identificati, può inquinare la valutazione della situazione iniziale con una serie di pre­ giudizi. Chi con quegli investimenti si identifichi potrebbe essere riluttante ad ammettere che siano frutto di scelte sbagliate, o comunque “superate dai tempi”. Non solo. Il riferimento privilegiato ad alcuni interlocutori, quali clienti, fornitori e concorrenti legati ai leader da una conoscenza e una confidenza maggiori, può finire anch’esso per impastoiarne la compren­ sione della situazione e la fantasia. A prima vista, questi possono sembrare problemi relativamente sem­ plici, in quanto sono la fonte di distorsioni prospettiche sanabili per chi sia capace di un approccio obiettivo, alimentato dal confronto con sogget­ ti indipendenti e aperto alla critica. In realtà, queste condizioni di indipendenza e di apertura alla critica non sono facili ad acquisirsi, soprattutto da chi abbia collezionato in pas­ sato lunghi periodi di successo. Muoviamo così dal campo della strategia al campo della psicologia, ma non siamo “fuori tema”, dal momento che la strategia – come ogni forma di comportamento – scaturisce innanzitutto dalla mente delle per­ sone che la sviluppano e la realizzano. Guardando al modo in cui la psicologia dei leader ha influito e influi­ sce sul comportamento dei vertici aziendali (così come dei vertici delle organizzazioni di altra natura), si vede quanto sia ampio il problema. Un problema che chiama i vertici aziendali ad agire innanzitutto su se stessi, per sviluppare il proprio spirito critico e le proprie capacità deci­

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sionali e per non finire intrappolati negli schemi derivanti dalle esperien­ ze e dai successi passati. Agli ostacoli derivanti dall’esperienza e dai risultati passati si aggiun­ gono poi quelli associati alle difficoltà tecniche ed economiche associate al rinnovamento delle attività correnti. Si tratta di tutto quanto il posizionamento strategico iniziale e il posi­ zionamento inerziale possono lasciare in eredità. Si pensi ai progetti di cambiamento del “posizionamento strategico dell’azienda” che presuppongano un miglioramento della qualità del pro­ dotto e un cambiamento dei “punti di prezzo” cui il prodotto è destinato. Ai fini della realizzazione di progetti di questo genere, non è sufficien­ te analizzare la situazione iniziale e la situazione inerziale. La cosa più importante, e forse più difficile, consiste nel mettere a fuo­ co la resistenza della situazione inerziale ai progetti di miglioramento, considerata la vischiosità delle percezioni dei clienti e dei comportamenti dei dipendenti. Quando la Maserati cercò di tornare a produrre autovetture di presti­ gio, dopo aver prodotto vetture di livello inferiore a quelle che ne aveva­ no costruito la tradizione fino al 1980, l’immagine derivante da questa esperienza rappresentò un ostacolo. Nel 1990 il marchio Maserati non aveva più il significato che un tem­ po era associato ai “venti del deserto” e questo rappresentava indubbia­ mente il fattore di inerzia più importante rispetto ai progetti di upgrade del prodotto e dell’immagine. Qualcosa di simile, a livello più basso, si verificò per il marchio Alfa Romeo, dopo che una serie di decisioni strategiche opinabili13 e l’acquisi­ zione da parte di Fiat ne aveva appannato l’identità. Ma l’inerzia non scaturisce soltanto dall’immagine consolidata nella comunità dei clienti. Le abitudini e i comportamenti dei dipendenti, gli assetti tecnici e im­ piantistici, le idee di base del top management sono altrettanti fattori che possono generare vischiosità o resistenza di fronte a progetti di cambia­ mento. Capire la portata di questi fattori rappresenta un passaggio fondamen­

Tra queste la più nota fu probabilmente il lancio della vettura “Arna”, prodotta in joint venture con Nissan, e rivolta a un pubblico diverso da quello tradizionalmente identificato con la clientela del marchio Alfa Romeo. 13

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tale per i successivi test di fattibilità cui sottoporre i progetti di cambia­ mento strategico. La definizione di un programma di cambiamento strategico a partire da un business esistente, nel valutare le condizioni di partenza, deve infat­ ti misurarne la flessibilità. Deve capire fino a che punto le attività iniziali e la loro evoluzione inerziale possano essere “piegate” nella direzione de­ finita dal progetto di cambiamento. In alcuni casi, il cambiamento previsto nelle condizioni di contesto e le attività correnti “inerziali” definiscono un quadro tale da rendere im­ possibile l’adeguamento alle mutate necessità. L’esperienza delle numerose operazioni di cessione a grandi gruppi internazionali di aziende di successo dotate di una tradizione centenaria di indipendenza fa riflettere. In alcuni casi, queste operazioni sono semplicemente il frutto della preferenza per la liquidità e dell’avversione al rischio sopraggiunta nel comportamento degli azionisti. In altre circostanze, esse sono invece il frutto di una riflessione obiet­ tiva sulle necessità di cambiamento che il settore impone all’azienda e sulle capacità di risposta da parte del management. Le circostanze che possono dare scacco al posizionamento strategico esistente rendendone quasi impossibile l’adeguamento senza il ricorso a operazioni di concentrazione con altri gruppi sono diverse. Si pensi per esempio ai casi seguenti: –– ai settori dove si osserva un rapido processo di concentrazione nel set­ tore a valle, che induce a sua volta una modifica nei criteri di scelta dei fornitori, che tendono a essere selezionati in base alla dimensione. Il processo di concentrazione nei settori della profumeria, della co­ smetica e del personal care hanno avuto come conseguenza un analo­ go fenomeno di concentrazione nel settore del packaging che serviva questi prodotti. Molti produttori hanno capito che i cambiamenti imposti dalla cliente­ la erano difficilmente realizzabili dall’azienda indipendente e di pic­ cole dimensioni. Non solo. Il processo di concentrazione operato da parte delle aziende della profumeria, della cosmesi e del personal care è stato indotto in misura significativa dalla concentrazione realizzata nella distribuzione dei prodotti di largo consumo.

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E un fenomeno analogo è stato osservato in numerosi comparti del set­ tore alimentare; –– ai settori dove la dimensione minima efficiente (ovvero il livello mini­ mo di attività che permetta di dotarsi della tecnologia necessaria con costi paragonabili a quelli della concorrenza) aumenta per effetto del cambiamento tecnologico. Questo è quanto è accaduto in numerosi settori, primo tra tutti quello dell’automobile, anche a causa dell’avvento dell’elettronica. Abbiamo visto così come in Italia sia rimasta una sola casa automobi­ listica, poi costretta a un’operazione di concentrazione con un grande car maker americano. E analoghi processi di concentrazione si sono verificati in tutti i Paesi europei; –– ai settori dove la concentrazione è stata imposta dall’avvento di con­ correnti molto agguerriti che hanno modificato le logiche del confron­ to competitivo, rendendo sempre più inefficiente il modello della pic­ cola azienda indipendente. Si pensi agli effetti della concorrenza innescata da Ikea nel settore dell’arredamento e al crescente numero di aziende che si sono trovate spiazzate dal confronto con i prezzi di vendita dell’azienda svedese. Sempre nel settore dell’arredamento, la concorrenza dal basso operata da Ikea e da altre catene di mobili dotate di politiche di prezzo aggres­ sive ha spinto numerose aziende nazionali a cercare gli sbocchi com­ merciali all’estero. Ma ciò ha reso in molti casi inadeguato il modello dell’impresa indi­ pendente, dal momento che i costi necessari per assicurare gli sbocchi commerciali in ogni singolo Paese straniero sono spesso eccessivi per i singoli produttori. Così molte aziende espressive del “design italiano” hanno finito per convergere sotto il tetto di grandi gruppi internazionali, che potevano favorire la presenza dei loro prodotti in showroom internazionali a co­ sti relativamente contenuti. Fenomeni analoghi sono stati osservati nei settori dell’abbigliamento di lusso, dei gioielli, degli orologi, dei diamanti, solo per citarne alcuni. In tutti questi casi, il processo di concentrazione è stato il frutto di consi­ derazioni in merito ai vincoli al cambiamento derivanti dall’assetto stra­ tegico esistente.

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Figura 3.8 – Il cambiamento strategico. La valutazione del posizionamento strategico necessario per la competitività. Posizionamento strategico iniziale Condizioni di contesto attuali

Cambiamenti di contesto previsti

Caratteristiche (unicità e coerenza) delle attività correnti attuali

Posizionamento strategico inerziale Cambiamenti di contesto previsti

Caratteristiche (unicità e coerenza) delle attività target necessarie

Caratteristiche (unicità e coerenza) delle attività correnti inerziali

ità

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Attività di set up necessarie per la competitività

Posizionamento strategico necessario per la competitività Condizioni di contesto previste

Condizioni di contesto previste

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Probabilmente, molti degli imprenditori che hanno deciso di cedere l’azienda, al momento della cessione, se non si fossero già trovati all’in­ terno del settore, si sarebbero guardati bene dal farvi ingresso. Il settore era già diventato un settore per grandi. Trovandosi all’interno per ragioni storiche, hanno avuto però quel che serviva per capire la situazione e mettere al sicuro le sorti dell’azienda, tutelando così anche la loro ricchezza personale. Questa è forse la prima prescrizione che il cambiamento delle condi­ zioni di contesto impone alle aziende. Prima in ordine di tempo e prima in ordine di importanza. Si tratta di chiedersi se il cambiamento delle condizioni di contesto che si prospetta all’orizzonte sia una sfida che l’azienda sia in grado di affrontare oppure no. E questa valutazione si fonda sul posizionamento iniziale, sul posizio­ namento inerziale, sul posizionamento strategico necessario per la com­ petitività e sulla resistenza del posizionamento inerziale rispetto alle istanze di cambiamento. In alcuni casi, la distanza tra le attività correnti inerziali e le attività correnti necessarie è semplicemente troppo ampia. Le attività di set up necessarie per la competitività sono quindi irrea­ lizzabili per la singola azienda indipendente. All’imprenditore, o al top management, non resta che fare un passo indietro.

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In alcuni casi, i limiti al rinnovamento possono essere anche di natura individuale, ovvero possono scaturire dalla persona che dirige e non dall’azienda. Un caso famoso nella letteratura del rinnovamento strategico è quello di Head Ski. Il signor Head, esperto della lavorazione del metallo, sviluppa la tec­ nica per la costruzione dello sci in metallo, fonda la Head Ski e porta l’a­ zienda e il suo prodotto al successo sul mercato internazionale e nelle ga­ re più importanti. Poi il settore vive l’avvento della tecnologia della plastica e nasce lo sci in fibra di vetro. Lo sci in metallo è condannato. L’imprenditore, abituato a una gestione accentrata, capisce che la tec­ nologia della plastica non fa per lui e sa di non essere la persona adatta per delegare la gestione a un manager di professione che operi alle sue dipendenze. Capisce di non essere adeguato e vende l’azienda. Salva la Head Ski e la sua ricchezza personale. La Head Ski produce tuttora sci in fibra di vetro, esportando in tutto il mondo e godendo di una posizione di mercato apprezzabile. Può sembrare un epilogo triste. L’imprenditore, solo al comando della sua azienda, che è costretto a cedere il passo al settore, che risulta più for­ te di lui. Ma è lo stesso che accade al pilota di un aereo o al comandante di una nave che si trovino a fronteggiare condizioni metereologiche proibitive o comunque pericolose. La forza della natura supera la forza del singolo. E la forza del cambiamento del settore può superare la forza della sin­ gola azienda e soprattutto del singolo individuo. È un punto fondamentale, che produce conseguenze di metodo impor­ tanti in sede di definizione del cambiamento strategico: la semplice rico­ gnizione che non tutti i cambiamenti sono possibili. Alcuni sono possibili, ma molto rischiosi. Alcuni invece sono sempli­ cemente impossibili. A volte, il cambiamento migliore è quello meno appagante per l’ego di chi lo decide. In altri i casi, il cambiamento ha ancora a che fare con le caratteristi­ che delle persone, ma il problema invece di essere limitato al vertice aziendale, interessa diffusamente la struttura. Sono naturalmente i casi più difficili. Si pensi ai settori dove il cambiamento del settore è avvenuto median­

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te l’introduzione di un diverso modo di gestire le attività, basato su livelli di efficienza e di capacità di contenimento dei costi radicalmente diversi da quelli consolidati in passato. È quanto è accaduto per effetto della concorrenza innescata dalle com­ pagnie low cost nel settore del trasporto aereo, cambiamento che ha crea­ to difficoltà per diverse compagnie aeree tradizionali (come per esempio Alitalia). Dei progetti di risanamento di Alitalia specialisti di settore, giornalisti e contribuenti hanno perso il conto. E l’uomo della strada ancora si chiede perché siano falliti tutti e cosa debba fare la società per uscire da una crisi che dura da decenni. Ma quando l’uomo della strada va in aeroporto e, prima ancora di im­ barcarsi sull’aereo, confronta i modelli di gestione del volo delle due compagnie, anche senza il ricorso a modelli di analisi strategica sofistica­ ti, egli avverte la differenza. Le compagnie low cost sono riuscite a diffondere tra le loro persone un orientamento diverso all’efficienza e alle esigenze aziendali. Forse anche in modo un po’ ruvido e non sempre esemplare, le compa­ gnie low cost hanno dimostrato che un volo può essere gestito e offerto a condizioni radicalmente diverse da quelle dell’aviazione tradizionale. Noi oggi vediamo i risultati finali. Ma forse non riusciamo a immagi­ nare la magnitudine delle attività di set up svolte sulle persone, mediante la formazione, l’istruzione e forse l’indottrinamento alla logica alla effi­ cienza. Eppure è questa la barriera all’imitazione più difficile a superarsi. La diffusione di condizioni di impegno da parte delle persone che sono diffi­ cilmente riproducibili. Chi ha studiato la storia della guerra ha riconosciuto spesso le cause del successo o dell’insuccesso nel modo in cui erano state addestrate e preparate le persone che componevano i diversi eserciti o le diverse for­ mazioni navali. Chi oggi studi la storia o l’esperienza delle aziende, non può che sco­ prire altrettanto. Il successo giapponese degli anni ottanta del secolo scor­ so è stato spesso ricondotto alle caratteristiche culturali dei dipendenti delle aziende giapponesi. Caratteristiche riconducibili in parte al contesto nazionale di origine e in parte alle attività di set up e alle attività correnti aziendali. Il successo attuale di molte imprese sudcoreane ci presenta qualcosa di simile. Un Paese relativamente povero di risorse naturali, ma comunque

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capace di creare colossi industriali in grado di crescere e strappare la lea­ dership ad aziende consolidate. E questo non perché i venti principali soffino da Est verso Ovest. Chi ha conosciuto la realtà delle aziende sudcoreane che esportano nel resto del mondo sa che all’origine del loro successo vi sono condizioni di motivazione e di impegno delle persone difficilmente riproducibili altrove. Alcune forme di impiego del lavoro possono anche risultare eccessive e non esemplari. Ma ciò non riduce l’importanza del lavoro fatto dal top management nel creare persone motivate e consapevoli di cosa sia la “competitività in­ ternazionale”. Chiarito il ruolo centrale esercitato dalle attività di miglioramento del personale a tutti i livelli, il cambiamento strategico all’interno di un busi­ ness esistente segue un percorso analogo a quello relativo alla strategia di ingresso in un settore nuovo. La principale differenza consiste nel fatto che le attività di set up come –– la progettazione della value proposition, –– la definizione del sistema di attività correnti target, –– la definizione e la realizzazione di quanto necessario per il rinnova­ mento delle attività correnti, sono tutte condizionate dall’assetto iniziale, che viene assunto come pun­ to di partenza dal quale muovere in via incrementale. Da questo punto di vista, il posizionamento strategico iniziale, oltre a esercitare una funzione di “sbarramento” nei confronti di alternative stra­ tegiche irrealizzabili, condiziona anche la percezione di convenienza del­ le opzioni disponibili. Il condizionamento avviene facendo apparire alcune possibili posizio­ ni target come relativamente più facili da raggiungersi rispetto ad altre, circostanza che produce l’effetto di presentarle come “le mele che pendo­ no più basse dall’albero”. È questa una delle manifestazioni della “irreversibilità” della strategia. Una volta presa una direzione e raggiunto un posizionamento strategi­ co, tornare indietro è difficile e costoso. Non solo. Nell’andare avanti, la posizione raggiunta nel percorso di rinnovamento condiziona la percezione di convenienza dei possibili cam­ biamenti alternativi.

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Un’azienda che si sia posizionata nella fascia alta del mercato trova più facile migliorare il posizionamento in quella fascia che trasferirsi dal segmento più alto al segmento più basso. E viceversa. Le attività di set up necessarie per migliorare i propri sbocchi com­ merciali all’estero, per mantenere aggiornata la tecnologia e per rinnova­ re i prodotti sono difficili e rischiose anche quando l’azienda rimanga fe­ dele al proprio patrimonio di esperienze. Se poi queste attività hanno anche l’obiettivo di trasferire l’azienda da un segmento all’altro, allora le difficoltà e i rischi si moltiplicano. La Tavola 3.3 illustra l’andamento delle vendite, dell’EBITDA e del valore dell’azienda (enterprise value) della Natuzzi, misurato a partire dall’andamento del valore delle azioni registrato presso la borsa di New York. Il peggioramento è drammatico. Il valore dell’azienda passa da 1,4 mi­ liardi di euro (maggio 1998) a poche decine di milioni di euro (aprile 2016).

Tavola 3.3 – Natuzzi SpA. Evoluzione delle vendite, dell’EBITDA e del lavore dell’azienda (enterprice value) 1600 valore dell'azienda mil Euro Ebitda (mil euro)

Net sales mil euro

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All’origine di questo peggioramento si possono riconoscere diverse cause. Tra queste l’andamento del dollaro, la concorrenza cinese e altro ancora. Tuttavia, nello stesso tempo, Natuzzi, che deve il suo successo iniziale ai contratti stipulati con alcune grandi catene distributive americane e con Ikea, clienti ai quali assicurava un ottimo rapporto qualità prezzo, ha cambiato il proprio posizionamento. Molti consumatori hanno avuto modo di osservare l’insegna di Natuz­ zi in una via del centro di Milano, dove si affacciano da tanti anni le vetri­ ne di diversi produttori di mobili di fascia alta. E la catena di negozi del gruppo Natuzzi (Divani e Divani) si è posi­ zionata tradizionamente su “punti di prezzo” sensibilmente superiori a quelli dei concorrenti diretti, come Poltrone e Sofa e Chateaux D’Ax. In questo caso, a una lettura esterna, l’azienda sembra aver perso i pro­ pri elementi di unicità tipici del produttore low cost. Nel frattempo, i consumatori che hanno visitato il negozio di Natuzzi probabilmente non hanno avuto una sensazione paragonabile a quella as­ sociata agli spazi espositivi di Cassina, B&B o Poltrona Frau, solo per citarne alcuni. D’altra parte chi cerca di acquistare un salotto economico attraverso una catena di negozi spesso si lascia attrarre dai concorrenti di Natuzzi che operano nella fascia bassa, con una ricetta fatta di continue promozio­ ni e grandi budget pubblicitari. Non solo. Se oggi Natuzzi volesse invertire nuovamente la rotta, ovve­ ro volesse promuovere un cambiamento a ritroso, tornando a produrre i mobili di basso costo, probabilmente si troverebbe di fronte a un cambia­ mento difficile e rischioso. I percorsi di cambiamento strategico sviluppati all’interno di business esistenti, se da una parte godono di condizioni di vantaggio, dall’altra de­ vono rispettare una gamma di vincoli di coerenza maggiori. Oltre alla coerenza con le condizioni di contesto e alla coerenza inter­ na delle attività, essi hanno anche il vincolo della coerenza “storica”, che li costringe a tenere conto della situazione di partenza e della scarsa re­ versibilità dei cambiamenti.

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