4 Neuropsicologia e deficit
delle funzioni cognitive V. Isella, P. Nichelli
Key
points
La neuropsicologia si occupa dello studio, dell’inquadramento diagnostico e della riabilitazione delle funzioni cognitive (memoria, attenzione, linguaggio, prassie, gnosie, abilità esecutive e visuospaziali) e delle manifestazioni affettivo-comportamentali, e relativi deficit. Il deficit neuropsicologico post-ictus più frequente in assoluto è rappresentato dalle afasie, distinte in fluenti e non fluenti in base all’abbondanza dell’eloquio spontaneo. Conseguono a danno delle aree silviane e perisilviane dell’emisfero dominante. La memoria può risultare compromessa per patologia cerebrale focale o diffusa in una o più delle sue componenti. Le aprassie consistono in un disturbo della elaborazione superiore del gesto e della sua esecuzione su base volontaria, in assenza di deficit motori elementari. Le agnosie sono un deficit unimodale della capacità di riconoscere i percetti, in assenza di deficit sensoriali elementari. Con il termine “attenzione” vengono indicate una serie di funzioni eterogenee: • la capacità di focalizzarsi su uno stimolo o un compito mentale o pratico (attenzione selettiva), e quella di attendere simultaneamente a stimoli e compiti multipli (attenzione divisa); • la possibilità di mantenere a lungo un buon livello attentivo (vigilanza); • lo stato di attivazione tonica della corteccia cerebrale, che varia in risposta a fattori fisiologici e patologici, ed è prerequisito per il compiersi dell’attività mentale (arousal ). L’eminattenzione spaziale unilaterale, o neglect, è un disturbo dell’attenzione spaziale, la cui distribuzione nell’emispazio destro e sinistro è controllata, in maniera crociata, da due network reticolocorticali afferenti ciascuno a uno dei due emisferi.
Linguaggio:
le afasie e i disturbi del linguaggio scritto
Afasie L’afasia è un deficit della produzione e/o della comprensione del linguaggio, in assenza di disturbi intellettivi o del pensiero o di deficit sensoriali o motori (viene perciò distinta dalla disartria, che riguarda esclusivamente gli aspetti articolatori).
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Le afasie conseguono tipicamente a lesione corticale della regione silviana e perisilviana dell’emisfero dominante, ma non sono infrequenti i casi da lesione dei nuclei della base o del talamo. La causa più frequente è senza dubbio l’ictus cerebrale: l’afasia è il deficit neuropsicologico postictus più frequente in assoluto, interessando il 30% o più dei pazienti in fase acuta. Qualsiasi patologia neurologica focale (traumatica, infettiva, vascolare ecc.) può comunque determinare un’afasia ove interessi le aree del linguaggio. Deficit di questa abilità compaiono anche nel corso della malattia di Alzheimer
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(esordendo in genere con anomie), e dominano il quadro clinico nelle afasie progressive. Esistono diverse forme di afasia (con diverso correlato lesionale), distinte sulla base del profilo clinico. L’esame del linguaggio comincia con la valutazione della produzione spontanea, per esempio in risposta a una domanda del tipo: “Mi spieghi cosa è successo. Perché è stato ricoverato in Ospedale?”. Il linguaggio prodotto dal paziente dovrà essere esaminato sotto l’aspetto della fluenza e degli errori o parafasie. Un’afasia si dice fluente se il paziente parla senza sforzo e senza difficoltà articolatorie, se mantiene la normale intonazione prosodica, se il linguaggio è ricco di parole di raccordo (preposizioni, congiunzioni e avverbi), ma povero di sostantivi. L’afasia non fluente, al contrario, è caratterizzata da disartria, disprosodia, frasi brevi e con eccesso di sostantivi, verbi e aggettivi, mentre sono pressoché assenti gli elementi di raccordo. Questo aspetto quasi “telegrafico” della produzione verbale denota il cosiddetto agrammatismo. Le parafasie possono essere verbali (uso di una parola al posto di un’altra), semantiche (per esempio, “sedia” invece di “tavolo”) o fonemiche (per esempio, “vatolo” invece di “tavolo”). Nella produzione spontanea si può anche notare la presenza di anomie (inceppi nell’eloquio dovuti alla difficoltà di evocare una singola parola), talvolta recuperate dopo vari tentativi (conduite d’approche) o sostituite da frasi descrittive (circonlocuzioni) o da parole “passe-partout” (per esempio, “coso, affare”). L’esame del linguaggio deve poi prevedere una valutazione dalla comprensione, della ripetizione, della denominazione, della lettura e della scrittura. La comprensione si esamina chiedendo al paziente di eseguire ordini verbali prima semplici (per esempio, “prenda le chiavi”) e poi via via sempre più complessi (per esempio, “prenda il foglio di carta con la mano destra, lo pieghi a metà e lo metta sul comodino”). La ripetizione deve essere esaminata utilizzando parole, logotomi (cioè pseudo-parole: per esempio, “trilibelmo”) e frasi di diversa lunghezza e complessità. In alcuni soggetti la ripetizione risulta molto più compromessa rispetto al deficit di comprensione o all’espressione spontanea. Al contrario in altri la ripetizione è conservata a fronte di una cattiva comprensione e/o espressione, fino al caso estremo dell’ecolalia (la ripetizione di frasi o di parole appena pronunciate dall’esaminatore). La denominazione può essere valutata per via visiva (chiedendo al soggetto di nominare oggetti
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presentati dall’esaminatore) o per via verbale (chiedendo il nome di oggetti descritti dall’esaminatore). A fronte di difficoltà o errori nella denominazione visiva è importante distinguere quelli dovuti alle difficoltà di riconoscimento da quelli dovuti a difficoltà di accesso al lessico. Nel primo caso gli errori rivelano una somiglianza visiva con lo stimolo da denominare e le difficoltà scompaiono se gli stimoli sono presentati attraverso un’altra modalità sensoriale (per esempio, tattile o uditiva). L’analisi della lettura e della scrittura sono complementi indispensabili dell’esame del linguaggio orale perché è possibile che ciascuna di queste modalità sia compromessa in modo selettivo. Le sindromi afasiche sono solitamente distinte, in relazione alle caratteristiche della produzione spontanea, in afasie fluenti e afasie non fluenti. Le afasie fluenti comprendono l’afasia di Wernicke, di conduzione, transcorticale sensoriale, e l’afasia amnesica. Tra le afasie non fluenti figurano le afasie di Broca, transcorticale motoria e mista, e l’afasia globale, che associa deficit di espressione e comprensione, ed è dovuta a lesioni estese delle aree silviane dell’emisfero dominante (Tab. 4.1).
Non
dimenticare che…
La presenza di un’afasia permette di localizzare la lesione nell’emisfero dominante (con rarissime eccezioni). Un eloquio non fluente rimanda a una lesione più anteriore (frontale), un eloquio fluente a una più posteriore (temporale).
Afasia di Broca Il paziente con afasia di Broca presenta un eloquio non fluente, caratterizzato, cioè, da una ridotta produzione di elementi linguistici nell’unità di tempo: nei casi più gravi è mutacico, oppure tende a esprimersi in maniera telegrafica, con frasi brevi ed essenziali o addirittura singole parole. In altri casi l’eloquio si limita a stereotipie o automatismi verbali. La produzione è agrammatica, con errori di sintassi e parafasie fonemiche. La comprensione è sostanzialmente intatta, sia orale che scritta. La ripetizione è invariabilmente alterata, e ciò permette di distinguere l’afasia di Broca dall’afasia transcorticale motoria. Anche la lettura ad alta voce e la scrittura sono gravemente compromesse.
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Tabella 4.1 Classificazione delle sindromi afasiche Tipo di afasia
Eloquio spontaneo
Parafasie
Comprensione orale
Ripetizione
Localizzazione
Broca
Non fluente
Rare
Buona
Alterata
Pre-rolandica soprasilviana
Wernicke
Fluente
Frequenti
Gravemente alterata
Alterata
1/3 Posteriore della 1a circonvoluzione temporale
Conduzione
Fluente
Comuni
Buona
Gravemente alterata
Giro sopramarginale (fascicolo arcuato)
Globale
Non fluente
Comuni
Gravemente alterata
Alterata
Perisiliviana fronto-temporale
Transcorticale motoria
Non fluente
Rare
Buona
Preservata
Corteccia dorso-laterale o mesiale del lobo frontale
Transcorticale sensoriale
Fluente
Comuni
Gravemente alterata
Preservata
Parieto-temporale, l’area di Wernicke
Transcorticale mista
Non fluente
Rare
Alterata
Buona
Cortico-sottocorticali circostanti le aree del linguaggio
Amnesica (o anomica)
Fluente
Rare
Buona
Buona
Temporo-basale e/o circonvoluzione temporale media
Una manifestazione di accompagnamento frequente è rappresentata dalla reazione catastrofica caratterizzata da un’intensa reazione emotiva alle difficoltà espressive, in genere di tipo depressivo, con correlati comportamentali che segnalano una intensa frustrazione. La lesione associata all’afasia di Broca è localizzata nella regione prerolandica e soprasilviana sinistra e comprende l’area di Broca (piede della terza circonvoluzione frontale dell’emisfero dominante, area di Brodmann 44), il polo temporale, la sostanza bianca della parte anteriore dell’insula fino al putamen. Una lesione limitata alla sola area di Broca determina una afasia di grado lieve, spesso transitoria.
Afasia di Wernicke Il paziente con afasia di Wernicke presenta un eloquio fluente, cioè con una scorrevolezza e/o un numero di elmenti linguistici, nell’unità di tempo, paragonabili a quelli di un soggetto normale, se non superiori; nei casi più severi la produzione verbale è incomprensibile a causa delle numerose parafasie fonemiche, verbali e semantiche e dei neologismi, che talvolta trasformano l’eloquio in un “gergo” o nella co-
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circostante
siddetta “insalata di parole”, o lo rendono sostanzialmente non comunicativo (vuoto). Gli eventuali errori agrammatici, di tipo sintattico, sono lievi. La prosodia è bene conservata, l’espressione è ricca di inflessioni e la mimica e la gestualità sono spesso adeguate. Spesso, a differenza di quanto avviene nell’afasia di Broca, il paziente ha una consapevolezza scarsa o nulla dei propri deficit linguistici (anosognosia per l’afasia). Tratto caratteristico è la significativa compromissione della comprensione, sia verbale che scritta. Deficitari anche la ripetizione e il linguaggio scritto. La lesione responsabile dell’afasia di Wernicke è localizzata nel terzo posteriore della prima circonvoluzione temporale di sinistra (area di Wernicke o area 22 di Brodmann), spesso con un’estensione alla seconda circonvoluzione temporale, all’opercolo parietale e a parte del giro angolare e sopramarginale. Ne consegue che i pazienti con questo tipo di afasia raramente presentano deficit di moto e di sensibilità, mentre più frequentemente si notano deficit di campo visivo, quali emianopsia laterale omonima destra o quadrantanopsia superiore destra per lesione del contingente temporale delle radiazioni ottiche.
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Afasia di conduzione
Afasia amnesica (o anomica)
Si tratta di una forma di afasia fluente, la cui caratteristica clinica principale è una severa compromissione della ripetizione. L’eloquio è caratterizzato da circonlocuzioni e parafasie fonemiche. La comprensione e la denominazione sono conservate. Compromesse sono sia la lettura ad alta voce (con comprensione intatta) che la scrittura. L’afasia di conduzione consegue a una lesione localizzata nella porzione posteriore della regione silviana dell’emisfero dominante, coinvolgente il giro sopramarginale e/o la sostanza bianca sottostante ove decorre il fascicolo arcuato che connette l’area di Wernicke con quella di Broca.
Il disturbo che caratterizza questa forma di afasia è l’anomia. Il linguaggio spontaneo, apparentemente facile e fluente, è privo di informazioni, interrotto da frequenti pause, talora compensate dal ricorso a circonlocuzioni e parole passe-partout. La comprensione è normale. La ripetizione, la lettura e la scrittura sono preservate. L’afasia amnesica è spesso un segno precoce della malattia di Alzheimer (soprattutto delle forme a esordio presenile) ed è classicamente associata a lesioni posteriori della porzione basale o della circonvoluzione temporale media tali da interrompere le connessioni fra le aree del linguaggio e l’ippocampo.
Afasie transcorticali
Disturbi isolati del linguaggio
Le afasie transcorticali, distinte in motoria, sensoriale e mista, sono accomunate dal risparmio della ripetizione:
Alessie
• l’afasia transcorticale motoria consegue a le-
Per convenzione si definiscono “alessie” i disturbi acquisiti della lettura (mentre i disturbi evolutivi si definiscono con il termine “dislessia”).
sione della superficie dorsolaterale o mesiale del lobo frontale dominante, in corrispondenza dell’area pre-Broca o supplementare motoria, rispettivamente. È classificata tra le afasie non fluenti, in quanto il suo tratto distintivo è una ridotta iniziativa verbale, con eloquio esitante e agrammatismo. La comprensione è integra. Lettura ad alta voce e scrittura sono deficitarie; • l’afasia sensoriale consegue a lesione più posteriore, parietotemporale, rispetto alla motoria, ed è infatti caratterizzata da compromissione della comprensione, in presenza di un eloquio fluente, simile a quello dell’afasia di Wernicke, con parafasie, neologismi, gergoafasia nei casi più severi e, tipicamente, frequente ecolalia. Lettura e scrittura sono deficitarie; • l’afasia mista consegue a lesione profonda delle aree linguistiche, le quali vengono in questo modo disconnesse dalla restante corteccia cerebrale (afasia “da isolamento”). Tipico e peculiare è il quadro clinico, caratterizzato da grave deficit dell’eloquio, di tipo non fluente, e della comprensione, a fronte del risparmio della capacità di ripetizione. Quest’ultimo elemento differenzia questo tipo di afasia dall’afasia globale.
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• L’alessia con agrafia è un disturbo che riguarda
la comprensione dello scritto e la capacità di scrivere, mentre linguaggio spontaneo e comprensione verbale sono risparmiati. Questo quadro, successivo a lesione del giro angolare dell’emisfero dominante e della sostanza bianca adiacente, si accompagna spesso ad altri sintomi quali l’acalculia, la confusione destra-sinistra e l’agnosia digitale, determinando in tal modo la cosiddetta sindrome di Gerstmann. • L’alessia senza agrafia (o alessia pura) è un disturbo caratterizzato unicamente dalla capacità di leggere ad alta voce, di comprendere il linguaggio scritto. Si associano di regola emianopsia laterale omonima destra e, spesso, anomia per i colori. Il linguaggio spontaneo è normale. La lettura avviene lentamente, “lettera-per-lettera”, ed è pertanto compromessa in funzione della lunghezza della parola. La lesione responsabile disconnette la corteccia occipitale dell’emisfero destro da una regione inferotemporale dell’emisfero sinistro dedicata al riconoscimento visivo delle parole (la cosiddetta Visual Word Form Area).
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Agrafie Con questo termine ci si riferisce ai disturbi acquisiti della scrittura. A quelli evolutivi si riserva il nome di “disgrafie”. L’agrafia pura, come unico disturbo del linguaggio, è molto rara ed è stata descritta in alcuni pazienti con lesioni perisilviane posteriori. Più frequenti sono le agrafie associate ad altri disturbi del linguaggio orale o scritto e i disturbi della scrittura successivi ad anomalie delle abilità motorie e visuospaziali necessariamente coinvolte nell’attività della scrittura (agrafie periferiche).
Anartria pura Consiste nella perdita della capacità di parlare in assenza di disturbi della comprensione orale e scritta e della scrittura. Si tratta di un disturbo solitamente transitorio, che si ritiene successivo a una lesione della sostanza bianca cortico-sottocorticale della parte inferiore dell’emisfero cerebrale dominante.
Sordità verbale pura È caratterizzata da un deficit della comprensione orale, della ripetizione e della scrittura sotto dettatura, mentre comprensione dello scritto, scrittura spontanea e copiata sono integre. Il paziente non è in grado di comprendere le parole, ma non ha difficoltà nell’interpretare suoni di natura non verbale. La lesione, in genere blaterale, è localizzata al terzo medio del giro temporale superiore, in una posizione tale da interrompere le connessioni tra la corteccia uditiva primaria e le aree associative della corteccia supero-posteriore del lobo temporale.
Memoria
e deficit mnesici
Dal punto di vista cognitivo, la memoria non è una funzione unitaria. Se ne distinguono diverse componenti, che possiedono substrato neurale e proprietà distinte, e che possono essere danneggiate selettivamente in seguito a patologia cerebrale. Una prima suddivisione è quella tra memoria a breve termine e memoria a lungo termine. Questi due tipi di memoria differiscono sia in termini di durata della traccia mnesica, che di “capienza” del magazzino mnesico. Entrambi questi elementi sono potenzialmente illimitati per la memoria a lungo ter-
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mine, mentre la memoria a breve termine è in grado di accogliere un numero massimo di elementi, compreso normalmente fra cinque e nove, e per un tempo massimo dell’ordine di due o tre decine di secondi. Il classico test di memoria a breve termine, infatti, chiamato digit span, consiste proprio nella ripetizione immediata di un numero di cifre crescente, fino a nove. Strettamente connessa alla memoria a breve termine è la memoria di lavoro (o working memory), termine con il quale ci si riferisce in modo complessivo a tutti i processi coinvolti non solo nell’archiviazione temporanea, ma anche nella manipolazione delle informazioni che deve essere utilizzata per ulteriori elaborazioni. Pertanto nei modelli di memoria di lavoro, accanto ai meccanismi di memoria a breve termine sono previsti anche, per esempio, i meccanismi che distribuiscono le risorse attentive. Le due forme di memoria hanno anche un diverso substrato neurofisiologico, corrispondente alla riverberazione temporanea del ricordo all’interno di un circuito per le tracce a breve termine, e a modifiche strutturali delle terminazioni sinaptiche (per esempio, un arricchimento dei bottoni sinaptici) per quelle a lungo termine. Secondo il modello proposto da Baddeley, all’interno della working memory le tracce mnesiche verbali possono essere mantenute per un tempo superiore grazie all’intervento di una componente cognitiva chiamata “loop articolatorio”: esse entrano, infatti, in un magazzino temporaneo, dal quale scomparirebbero dopo pochi secondi se non vi rientrassero grazie a un meccanismo di ripasso detto di “reiterazione articolatoria”. Un analogo sistema esisterebbe anche a supporto della memoria visuospaziale a breve termine (si parla, in questo caso, di “taccuino visuospaziale”). La durata della memoria a breve termine è circoscritta a pochi secondi: è pertanto scorretto, anche in ambito clinico, far riferimento alla memoria a breve termine quando si esamina la rievocazione di informazioni che sono state presentate al soggetto pochi giorni, poche ore o anche pochi minuti prima. Deficit della memoria a breve termine si possono in genere osservare solo in fase avanzata di demenza, con l’eccezione di una variante particolare di afasia progressiva, detta logopenica, caratterizzata sin dall’esordio da un deficit selettivo di memoria a breve termine (vedi Cap. 17). Sono molto rari i casi di deficit focale isolato, in genere in conseguenza a un danno a sede parietale sinistra. Un caso singolo storico (quello di P.V.) di compromissione selettiva della memoria verbale a
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breve termine ha permesso di studiare a fondo questa funzione cognitiva: la paziente presentava un digit span molto ridotto (inferiore a due cifre) e difficoltà nell’apprendimento di nuove parole. Questo è infatti uno dei ruoli fondamentali della memoria a breve termine, oltre a quello di contribuire alla comprensione di frasi sintatticamente complesse. Nell’ambito della memoria a lungo termine distinguiamo quella esplicita, o dichiarativa, e quella implicita. Di quest’ultima fanno parte varie tipologie di apprendimento che avvengono anche senza che il soggetto ne abbia consapevolezza e che si dimostrano attraverso il miglioramento delle prestazioni. Un esempio è l’apprendimento procedurale (andare in bicicletta, suonare uno strumento ecc.), tutto ciò insomma che riguarda abilità pratiche acquisite attraverso l’esecuzione diretta e in genere non verbalizzabili. Nell’acquisizione e nel consolidamento delle tracce procedurali sono implicate le strutture grigie sottocorticali (nuclei della base, talamo e cervelletto). Deficit di memoria procedurale si osservano nella corea di Huntington e nella malattia di Parkinson e solo tardivamente in corso di demenza di Alzheimer, e sono di regola assenti anche negli amnesici focali. La memoria esplicita riguarda la rievocazione consapevole dei ricordi propriamente detti, e comprende a sua volta la memoria episodica e quella semantica. La prima si compone del ricordo di eventi con un preciso contesto spazio-temporale (per esempio,
“per le vacanze estive sono stato a Parigi”), che siano pubblici o personali (memoria autobiografica). La formazione e rievocazione di questa tipologia di ricordi prevede diverse fasi successive: a. la codifica, correlata all’attenzione e alla motivazione; b. il consolidamento, che rende le tracce più stabili; c. l’immagazzinamento a lungo termine; d. il recupero. I test per valutare la memoria episodica indagano tutte queste fasi, e consistono in genere in prove di apprendimento di nuovo materiale, verbale (racconti, singole parole) o visuospaziale (figure, percorsi), che viene presentato, fatto ripetere nell’immediato e a distanza, dopo alcuni minuti, in rievocazione libera, con l’aiuto di qualche suggerimento o indizio (cosiddetto cue), o in compiti di riconoscimento. Il substrato neurale di questi processi è rappresentato dal circuito di Papez, che comprende l’ippocampo, localizzato a livello temporale mesiale, e la corteccia che lo circonda, il fornice, i corpi mammillari, il fascio mammillo-talamico, i nuclei del talamo (in particolare quelli dorsomediali) e il giro del cingolo (Fig. 4.1). La memoria semantica si riferisce, invece, a tracce mnesiche sganciate da precisi riferimenti spaziotemporali: le conoscenze generali sul mondo (per esempio, “Parigi è la capitale della Francia”),
Figura 4.1
Cingolo
Nuclei talamici anteriori
Stria terminale
Nucleo del talamo dorsomediale
Fornice
Circuito di Papez. La figura rappresenta le strutture cerebrali connesse nella formazione delle tracce della memoria episodica.
Commissura anteriore
Tratto mammillotalamico Ippocampo
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Corpi mammillari
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i concetti, i “significati” di oggetti e parole (nel magazzino semantico è infatti compreso anche il vocabolario). Tra i test semantici vi sono, infatti, prove di riconoscimento e denominazione di oggetti, luoghi o persone, comprensione di parole, associazioni tra stimoli o concetti attinenti tra loro per significato, o questionari veri e propri di conoscenze generali su oggetti e persone. Il substrato neurale delle conoscenze semantiche è considerato il lobo temporale nella sua porzione anteriore, polare, con una lateralizzazione sinistra per il materiale verbale, e destra per quello visivo e visuospaziale. A questo livello esse verrebbero “immagazzinate” in maniera multimodale, in una rappresentazione che sintetizzerebbe tutte le caratteristiche sensoriali dell’oggetto e che sarebbe associata alle relative informazioni generali su di esso (per un animale, per esempio, vi si ritroveranno l’aspetto, le notizie sull’ambiente in cui vive, il cibo di cui si nutre, e così via), e anche agli elementi sovra- e sottoordinati rispetto ad esso (per esempio, pecora ovino animale).
I
deficit mnesici nelle demenze e nelle amnesie focali La memoria episodica e quella semantica possono risultare compromesse in maniera selettiva, o combinata, in diverse condizioni di sofferenza cerebrale focale o diffusa. Un danno più o meno circoscritto di una o più componenti del circuito di Papez determina la comparsa di amnesia. Il caso singolo che ha contribuito in maniera sostanziale agli studi su memoria e relativi deficit è quello del paziente H.M., divenuto gravemente amnesico dopo parziale asportazione chirurgica bilaterale del lobo temporale eseguita per un’epilessia temporale farmaco-resistente. Altre cause di amnesia da lesioni focali coinvolgono, in genere, le strutture del circuito di Papez bilateralmente: i traumi cranici, la rottura di aneurismi dell’arteria cerebrale posteriore (con disfunzione temporale mesiale) o della comunicante anteriore (con sofferenza frontobasale), l’ipossia da arresto cardiaco o avvelenamento da ossido di carbonio, l’encefalite da herpes simplex, che si localizza elettivamente a livello temporale mesiale, e la cosiddetta sindrome di Korsakoff, conseguente alle carenze vitaminiche che si osservano tipicamente nell’etilismo
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cronico, nella quale sono interessate le componenti diencefaliche del circuito di Papez. In genere, le amnesie focali sono caratterizzate da deficit di tipo anterogrado, cioè riguardanti la formazione di nuovi ricordi a partire dal momento in cui il danno cerebrale si è instaurato, associate a un’amnesia più o meno severa per gli eventi passati (amnesia retrograda). Quest’ultima è solitamente caratterizzata da un gradiente temporale, di estensione variabile, che vede i ricordi più antichi meno colpiti rispetto ai più recenti. In alcuni casi ai deficit mnesici si possono associare manifestazioni paramnesiche, come le confabulazioni (tipiche, per esempio, della sindrome di Korsakoff), che consistono in falsi ricordi, in genere prodotti inconsapevolmente. Una condizione amnesica particolare è poi quella dell’amnesia globale transitoria, nella quale si osserva, spesso in seguito a uno stress fisico o psichico, un deficit anterogrado e retrogrado della memoria esplicita di tipo episodico. Gli episodi hanno un’incidenza stimata fra 3 e 8/100 000 per anno, si verificano soprattutto nelle persone di età superiore ai 50 anni e hanno una tendenza a ripetersi che varia fra il 6 e il 10% l’anno. Recenti studi di risonanza magnetica mostrano, in seguito a un episodio di amnesia globale transitoria, alterazioni focali della diffusione nella regione CA1 del corno di Ammone dell’ippocampo, ma il meccanismo fisiopatologico alla base di queste alterazioni non è stato ancora chiarito. Un’accurata diagnosi clinica deve distinguere l’amnesia globale transitoria dallo stato confusionale (vedi Focus on: Delirium, pag. 70) e può in molti casi evitare inutili indagini strumentali. Nella malattia di Alzheimer, la forma di demenza più tipicamente caratterizzata da deficit di memoria precoci e preponderanti, la neurodegenerazione interessa prevalentemente e fin dall’esordio il giro del cingolo e la corteccia entorinale e ippocampale. In questo caso il deficit mnesico riguarda inizialmente la formazione di nuove tracce, mentre la compromissione retrograda è più tardiva. In fase iniziale, inoltre, l’amnesia è prevalentemente di tipo episodico, mentre con l’evolversi della malattia e l’estendersi della degenerazione alle porzioni più anteriori dei lobi temporali iniziano a comparire anche deficit della memoria semantica. Tali deficit sono precoci e dominano il profilo cognitivo di un’altra forma di malattia dementigena, appartenente alle forme frontotemporali, indicata proprio come demenza semantica. I primi sintomi riguardano in genere il vocabolario, con anomie,
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parafasie semantiche e deficit di comprensione, e il riconoscimento di oggetti e persone che, a differenza di quanto avviene nelle agnosie (vedi oltre) è multimodale, e non riguarda l’esperienza dell’oggetto solo per presentazione visiva, uditiva, tattile. L’evoluzione è poi verso la degradazione completa delle conoscenze semantiche. Il corrispettivo focale della demenza semantica è rappresentato soprattutto dall’encefalite herpetica, il cui deficit mnesico più tipico non è quello della memoria episodica, bensì di quella semantica (in relazione al tropismo del virus herpetico per le regioni temporali anteriori). Oltre al profilo osservato nelle demenze, in questi pazienti è più frequente una particolare manifestazione dell’amnesia semantica, che consiste nella cosiddetta dissociazione categoriale. Il paziente può infatti presentare deficit semantici esclusivi o prevalenti per alcune specifiche categorie semantiche, per esempio per gli esseri viventi (animali, vegetali), rispetto a quelli non viventi (utensili, mezzi di trasporto, strumenti musicali e così via); meno frequente è la dissociazione opposta, con maggiore compromissione per la categoria degli oggetti non viventi. Sia per l’amnesia su base neurogenerativa, che per quella di origine focale, sono state formulate diverse ipotesi interpretative, probabilmente non mutualmente esclusive, che localizzano il deficit in una o più delle fasi di formazione e rievocazione delle tracce mnesiche (codificazione, consolidamento, immagazzinamento e recupero).
Non
dimenticare che…
Con il termine “amnesia” si indica un deficit (antero- e/o retrogrado) della memoria esplicita di tipo episodico. I deficit di memoria a breve termine e memoria procedurale sono molto rari dopo lesione focale, e lievi e tardivi in corso di demenza. Sono invece abbastanza frequenti gli episodi di amnesia globale transitoria.
Funzioni
prassiche: le aprassie
Con il termine aprassia si intende un disturbo dell’elaborazione del gesto in assenza di deficit motori elementari. Se ne distinguono diverse forme, sulla base del distretto corporeo coinvolto: • l’aprassia artuale è la più frequente e concerne
soprattutto i segmenti distali degli arti (mano e dita).
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Sulla base della natura del deficit cognitivo che le sottende, sono state definite le varianti ideativa e ideomotoria. È, invece, ormai derubricata tra i deficit motori elementari una terza forma, detta mielocinetica, caratterizzata da movimenti goffi e grossolani dell’arto controlesionale, che si produce in seguito a danno dell’area premotoria; • l’aprassia bucco-facciale, riguardante i movimenti del volto e dell’apparato fono-articolatorio, con difficoltà nella riproduzione di espressioni facciali e suoni. Consegue a lesioni della regione periopercolare, ed è infatti quasi invariabilmente presente nei pazienti con afasia di Broca o afasia non fluente progressiva; • l’aprassia del tronco coinvolge i muscoli assiali e rende difficoltosi gli spostamenti e l’assunzione di posture (anche solo nel sedersi o nell’alzarsi); • infine, l’aprassia costruttiva e quella dell’abbigliamento, che però oggi tendono a essere classificate tra i disordini visuospaziali. L’aprassia può essere provocata da lesioni cerebrali di qualsivoglia natura: vascolare, traumatica, neoplastica, infettiva, per le forme focali; degenerativa, per quelle che si sviluppano in ambito di demenza. Tra queste, è di particolare rilevanza clinica e diagnostica l’aprassia artuale progressiva che si osserva nella degenerazione corticobasale o nell’atrofia corticale posteriore, più precoce rispetto a quella che si sviluppa nella demenza di Alzheimer classica, e più grave rispetto a quelle di origine focale. Infatti, l’aprassia progressiva esercita invariabilmente una grave interferenza con le attività quotidiane, mentre la forma focale raramente è evidente nella vita quotidiana perché è caratterizzata dalla dissociazione automaticovolontaria (vedi oltre).
Aprassia artuale L’aprassia artuale si manifesta come difficoltà del paziente nell’eseguire un movimento con il braccio e la mano in maniera volontaria e intenzionale, per esempio in seguito a richiesta verbale, mentre lo stesso gesto viene compiuto correttamente quando è evocato dal contesto (dissociazione automaticovolontaria). Il paziente aprassico, per esempio, può non essere in grado di fare con la mano e il braccio il segno di saluto su ordine verbale, ma riesce a farlo spontaneamente al momento di andarsene. Il disturbo può coinvolgere sia i gesti simbolici (per esempio,
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CAPITOLO 4 – Neuropsicologia e deficit delle funzioni cognitive
il segno della croce), che atti motori privi di senso, e sia i gesti transitivi (che implicano l’uso di un oggetto), che gli intransitivi. Per entrambi gli arti, l’organizzazione gestuale spetta all’emisfero sinistro, che modula l’attività motoria dell’emisfero destro attraverso il corpo calloso. Ne consegue che una lesione sinistra causa aprassia di entrambi gli arti (anche se talvolta può essere valutata solo con l’arto di sinistra per la coesistenza di emiparesi destra), mentre una lesione che coinvolga il corpo calloso produce aprassia del solo arto superiore sinistro. Le sedi lesionali intraemisferiche sono il lobo parietale posteriore e, anche se meno frequentemente, l’area premotoria e l’area supplementare motoria, ma sono descritti anche casi da lesione dei nuclei della base. L’aprassia artuale è il disturbo extralinguistico più frequente nei cerebrolesi sinistri, con una prevalenza, in fase acuta, di circa il 30%, e spesso si associa ad afasia. A seconda del livello di elaborazione al quale l’organizzazione gestuale è lesa, si distinguono l’aprassia ideativa, nella quale il paziente non sa “cosa” deve fare, cioè non riesce a rappresentarsi mentalmente o a ideare il gesto che vorrebbe compiere, e l’aprassia ideomotoria, nella quale egli non è in grado di tradurre la sequenza motoria che ha in mente in un corretto programma innervatorio, cioè non sa “come” fare. Le due tipologie di aprassia avrebbero anche due differenti correlati neurali: la giunzione parieto-occipitale, per l’ideativa, il lobulo parietale superiore, per l’ideomotoria. Per la valutazione dell’aprassia artuale sono state approntate delle prove ad hoc, che prevedono l’esecuzione di gesti per braccio, mano e dita, su comando verbale e imitazione, simbolici e non, e con e senza l’utilizzo di oggetti. Ove concomiti paresi dell’arto superiore destro, le prove vengono fatte eseguire con il solo braccio sinistro. Alla prestazione del paziente può essere attribuito sia un punteggio numerico che un giudizio qualitativo, che tiene conto della tipologia degli errori compiuti (di sequenza, ampiezza, postura, orientamento dei segmenti corporei e così via).
Aprassia costruttiva Per aprassia costruttiva si intende genericamente la capacità di “assemblare” elementi singoli secondo
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una precisa configurazione spaziale, sia che si tratti di riprodurre un disegno (a memoria o su copia) o di costruire un modello bi- o tridimensionale. L’aprassia costruttiva può conseguire a lesione focale in sede parietale posteriore destra, più raramente parietale sinistra o frontale, oppure manifestarsi nel corso di malattia di Alzheimer, spesso in fase lieve di malattia, o di altre forme di patologia dementigena, come l’atrofia corticale posteriore o le demenze associate a Parkinson e parkinsonismi. Dal punto di vista cognitivo, le abilità costruttive sono sottese dalla complessa interazione di diverse abilità: motorie, prassiche, visuopercettive e immaginative di natura spaziale, oltre che di conoscenze semantiche e di capacità di programmazione. Sono stati formulati diversi modelli del processo di copia di un disegno, che sono accomunati dall’individuazione di una fase preliminare di analisi delle caratteristiche della figura, una di elaborazione di un piano di copia, poi realizzato concretamente, e infine di uno stadio di verifica dell’esito tramite confronto con il modello. Le lesioni parietali si associano a deficit prevalenti degli elementi spaziali del processo, con errori di orientamento o relazione tra elementi componenti (oltre, spesso, a neglect nei cerebrolesi destri), mentre per le lesioni frontali è soprattutto la fase di pianificazione a risultare compromessa, con conseguente semplificazione delle riproduzioni. In alcuni casi singoli è stato possibile descrivere anche deficit selettivi delle diverse fasi del processo. I test di aprassia costruttiva più utilizzati consistono nella copia di figure geometriche più o meno complesse e in prove di assemblamento di cubi o bastoncini. Dato che i compiti di aprassia costruttiva coinvolgono molteplici abilità, essi sono tra i test più sensibili, singolarmente, per svelare un deterioramento cognitivo lieve.
Non
dimenticare che…
L’aprassia costruttiva non ha significative ripercussioni funzionali, ma ha rilevanza in quanto indice precoce di decadimento cognitivo: la copia di un disegno può essere utilizzata come prova semplice e rapida per mettere in evidenza iniziali deficit visuospaziali, prassici o di pianificazione.
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Riconoscimento
e identificazione di oggetti e volti: le agnosie Viene definita agnosia l’incapacità di riconoscere o identificare stimoli attraverso una determinata via percettiva, in assenza di deficit elementari del corrispondente canale sensoriale. Per definizione le agnosie sono monosensoriali: la più nota è quella visiva, mentre meno frequenti sono l’uditiva e la tattile; descritte solo in rari casi singoli sono l’agnosia gustativa e olfattiva. Caratteristica del paziente agnosico è dunque quella di poter accedere all’identità dell’oggetto attraverso canali percettivi alternativi a quello compromesso. L’agnosico visivo, per esempio, è in grado di identificare uno strumento musicale che non riconosce su presentazione visiva sulla base del suono o manipolandolo. Il correlato lesionale delle agnosie è rappresentato da una lesione o disfunzione in corrispondenza del carrefour temporo-parieto-occipitale. La natura della patologia cerebrale può essere variabile: vascolare, traumatica, neoplastica, infettiva, o anche degenerativa. In fase moderato-avanzata di malattia, infatti, il paziente con demenza di Alzheimer diviene invariabilmente agnosico visivo per oggetti e volti (fino a non essere più in grado di riconoscere dapprima i propri familiari, e poi la sua stessa immagine allo specchio). Inoltre, in alcune forme di atrofia corticale posteriore il disturbo è particolarmente precoce e severo. Nella demenza semantica, infine, la disgregazione progressiva delle conoscenze semantiche può inizialmente manifestarsi come un’agnosia visiva per oggetti e volti, per poi realizzarsi a pieno come deficit più generale, multimodale, di conoscenze sul mondo e delle persone. L’agnosia visiva può essere generalizzata, o selettiva per gli oggetti, per i volti (prosopoagnosia), per i colori o per le lettere (in quest’ultimo caso provoca una forma di dislessia). Quella per gli oggetti consegue a lesione, solitamente bilaterale, delle stazioni finali della cosiddetta via ventrale che connette le aree visive primarie occipitali al lobo temporale. Dal punto di vista cognitivo, il processo di identificazione di uno stimolo visivo avviene attraverso fasi successive che vanno da un’analisi delle sue caratteristiche “fisiche” (forma geometrica, segregazione rispetto allo sfondo o a oggetti interposti, dettagli interni, orientamento, luminosità, tridimensionalità e così via), all’evocazione delle informazioni generali che lo riguardano (utilizzo, ambiente in cui lo si ritrova ecc.),
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al recupero del nome. La rappresentazione mentale risultante da questa iniziale analisi percettiva viene confrontata con quelle di oggetti visti in precedenza, ed eventualmente riconosciuta come familiare. Alla fine dell’ultima fase viene recuperata l’identità precisa (identificazione vera e propria) dell’oggetto. Per l’agnosia visiva si distinguono una forma appercettiva e una associativa. Nella prima è compromessa l’analisi “fisica” iniziale del percetto, per cui, per esempio, il paziente non è in grado di copiare una figura rispettandone i contorni, e riproducendone correttamente la forma o gli elementi interni, di descriverne verbalmente le caratteristiche visive, o di giudicare se due figure geometriche siano uguali o diverse tra loro. Nella seconda è deficitaria l’associazione tra l’oggetto, percepito normalmente e le informazioni che lo riguardano possedute dal paziente; in questo caso il paziente può copiare correttamente il disegno dell’oggetto, anche se non riconosce ciò che ha disegnato perché non è in grado di associarvi le relative conoscenze. Queste ultime non sono, comunque, compromesse. Ad esse il paziente può accedere utilizzando una via percettiva diversa da quella lesa. Per l’esame dell’agnosia visiva per oggetti sono disponibili batterie di test che permettono di indagare le fasi iniziali del processo (con, per esempio, prove di valutazione di orientamento di linee, dimensioni, forme geometriche, identificazione di figure sovrapposte) e anche quelle finali, come il disegno a memoria di oggetti o animali e la denominazione di figure. Nella prosopoagnosia, il disturbo di riconoscimento riguarda in modo elettivo i volti. La lesione responsabile interessa le porzioni basali (ventrali) del lobo temporale ed è solitamente bilaterale (anche se sono stati descritti casi di prosopoagnosia in cui la lesione riguardava solo il lobo temporale destro, e casi di agnosia per gli oggetti di tipo associativo nei quali la lesione era limitata al lobo temporale sinistro). Un modello cognitivo analogo a quello utilizzato per il riconoscimento degli oggetti prevede una fase iniziale di elaborazione delle caratteristiche percettive dei volti, il confronto con le rappresentazioni di volti noti (nella cosiddetta “unità di riconoscimento”), seguito da un processo di recupero delle conoscenze sulla persona cui il volto appartiene (contenute nel “nodo di identità personale”). Anche nel caso della prosopoagnosia, pertanto, si possono distinguere pazienti con un disturbo “appercettivo” che “percepiscono” i volti (anche sconosciuti) come distorti e non sono in grado di discriminarne le caratteristiche percettive (per esempio, il volto di un
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giovane da quello di un anziano) e altri con una forma associativa che hanno perso la capacità di riconoscimento di volti noti o che, pur mantenendo un senso di familiarità, non sono in grado di risalire all’identità della persona. Come per le altre forme di agnosia, altri elementi possono aiutare il prosopoagnosico nel processo di identificazione: la voce, la gestualità, l’abbigliamento vengono utilizzati come indizi per il riconoscimento, quando questo non è possibile sulla base del volto. Per l’esame della prosopoagnosia si utilizzano test di abbinamento (matching) di volti sconosciuti, presentati in diverse condizioni di illuminazione e orientamento, e batterie costruite con fotografie di personaggi noti, che il paziente deve riconoscere, denominare e di cui deve fornire alcune informazioni semantiche essenziali. L’agnosia uditiva consiste nell’incapacità di riconoscere gli oggetti sulla base del loro suono (in assenza di una ipoacusia significativa), ed è stata talvolta descritta in seguito a lesione in sede temporale bilaterale. Può riguardare qualsiasi tipologia di suono, o essere specifica per le voci umane, la musica (amusia) o i suoni ambientali (di oggetti e animali). L’agnosia tattile, o stereoagnosia, è rappresentata dal mancato riconoscimento degli oggetti attraverso il tatto, in assenza di deficit significativi delle sensibilità elementari. È stata descritta in casi rari, dopo lesione focale in sede parietale posteriore. Anche l’agnosia tattile viene distinta in appercettiva e associativa. Nel primo caso, noto anche come astereoanestesia, il paziente ha difficoltà a riconoscere le caratteristiche fisiche (tattili) dell’oggetto, quali le dimensioni o la forma (amorfoestesia), il peso, la temperatura, il materiale di cui è fatto (iloanestesia). Questa variante è dovuta a lesioni parietali anteriori, ed è unilaterale, a carico della mano controlaterale. Nel secondo caso egli è in grado di descrivere correttamente tali elementi, ma non è comunque in grado di risalire all’identità del percetto (asimbolia). Questa variante è dovuta a lesioni parietali posteriori sinistre ed è bilaterale. Ancora una volta l’identificazione è immediata se il paziente vede l’oggetto o ne ode il suono.
Non
dimenticare che…
La prosopoagnosia è caratterizzata da un gradiente di familiarità: il paziente ha più difficoltà con i volti di persone con le quali ha una frequentazione poco assidua, mentre i familiari stretti vengono riconosciuti con maggiore facilità e accuratezza.
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Funzioni
frontali: attenzione, funzioni esecutive e aspetti affettivo-comportamentali Le funzioni cosiddette “esecutive” e la regolazione dell’attenzione, del comportamento e dell’umore sono di pertinenza della porzione più anteriore dei lobi frontali, solitamente indicata come corteccia prefrontale. Il controllo delle funzioni esecutive e attentive, pur con alcune eccezioni, è attribuito alla superficie dorsolaterale della corteccia prefrontale, mentre dalla regione fronto-mesiale dipenderebbero la regolazione del tono motivazionale e la rievocazione della memoria autobiografica. La corteccia fronto-orbitaria è invece coinvolta nella regolazione delle emozioni e delle condotte sociali. Lesioni focali di queste aree cerebrali si hanno frequentemente in seguito a rottura di aneurisma dell’arteria comunicante anteriore o a trauma cranico (in particolare per contusione contro l’apice delle rocche petrose), e sono elettivamente coinvolte anche nella variante comportamentale delle demenze frontotemporali. Qualsiasi lesione focale a sede frontale (neoplastica, infettiva ecc.), se sufficientemente estesa, può comunque provocare la comparsa di deficit esecutivi più o meno selettivi, alterazioni della sfera neuropsichiatrica o disturbo dell’attenzione.
L’attenzione L’attribuzione esclusiva della regolazione dell’attenzione ai lobi frontali è in realtà leggermente fuorviante: infatti, nonostante essi rappresentino un locus fondamentale per i processi attentivi, e nonostante il disturbo attentivo sia spesso sotteso da una disfunzione frontale, l’attenzione è in realtà una funzione distribuita, il cui substrato neurale corrisponde a un network reticolo-talamo-corticale. Insulti di varia natura che agiscano su questo sistema nel suo insieme, oppure lesioni focali che interessino una o più delle stazioni che lo compongono, possono provocare alterazioni attentive. Un esempio classico di una condizione di questo tipo è il delirium, o stato confusionale acuto (vedi Focus on: Delirum, pag. 70). Dal punto di vista cognitivo, l’attenzione non è considerata una funzione unitaria. Si distinguono l’arousal (o livello di allerta), la vigilanza (o attenzione sostenuta), l’attenzione selettiva e l’attenzione divisa.
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FOCUS ON Delirium Secondo i criteri diagnostici del DSM-5, il delirium, o stato confusionale acuto, rappresenta una condizione transitoria di alterazione della vigilanza e dell’attenzione, per la quale è sempre possibile individuare una o più cause organiche. Si osserva molto frequentemente, soprattutto in ambiente ospedaliero e rappresenta una condizione a elevato rischio di morbilità e mortalità, essendo gravato da una percentuale di decessi che può arrivare al 30%. Fattori di rischio per la sua insorgenza sono l’età avanzata (oltre i 65 anni), la presenza di patologie internistiche o neurologiche (in particolare una demenza), un recente intervento chirurgico. Dal punto di vista neurofisiopatologico, lo stato confusionale acuto si instaura per disfunzione del sistema reticolo-talamo-corticale o di sue singole componenti, su base tossica (da farmaci, per esempio), infettiva, dismetabolica, o per lesioni neurologiche focali. Il delirium ha un caratteristico andamento temporale, perché insorge in maniera acuta o subacuta (nel giro di ore o pochi giorni), ha manifestazioni cliniche fluttuanti, ed è per definizione transitorio, anche se può perdurare per settimane, o terminare con il decesso del paziente. Dal punto di vista cognitivo, a dominare il quadro clinico è un severo disturbo dell’attenzione, con distraibilità e difficoltà di concentrazione. A ciò si associano, poi, frequentemente, disorientamento spazio-temporale e personale, deficit mnesici e turbe della percezione (allucinazioni, illusioni, deliri). L’eloquio può essere ridotto o logorroico, e spesso è incoerente e disorganizzato, sia nei contenuti che nella forma. Le alterazioni affettivo-comportamentali e il disturbo della coscienza sono variabili. Nel delirium cosiddetto agitato sono presenti ansia, aggressività, iperattività continua, insonnia o sonno agitato. Nel delirium tranquillo, invece, il paziente appare apatico, poco reattivo e può presentare un’alterazione della vigilanza che può andare da una lieve sonnolenza a un profondo stato di sopore. Lo stato confusionale acuto va sempre indagato con accertamenti di laboratorio e strumentali, e trattato tempestivamente sia con sintomatici, sia intervenendo sulla patologia di base.
L’arousal è un concetto neurofisiologico più che neuropsicologico. Corrisponde sostanzialmente al tono di base dell’attività corticale. È regolato dalle proiezioni diffuse alla corteccia provenienti dai nuclei talamici, a loro volta modulati dal sistema di fibre e nuclei grigi appartenenti alla formazione reticolare, che attraversa il tronco encefalico per tutta la sua lunghezza. L’arousal si modifica di continuo fisiologicamente (nel ciclo sonno-veglia, in risposta allo stato emotivo, e così via), e il suo livello di attivazione influenza l’estrinsecarsi di tutta la restante attività mentale, che risulta poco efficiente in condizioni sia di iperattivazione (come, per esempio, in un forte stato ansioso), che di ipoattivazione corticale. Sia per l’arousal che per la vigilanza, che invece consiste nella capacità di mantenere a lungo un buon livello d’attenzione, è stata individuata una dominanza del lobo frontale destro, che in diversi esperimenti
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di tempi di reazione è risultato superiore al sinistro nel garantire un’allerta migliore e un’attenzione più prolungata. L’attenzione selettiva viene in genere paragonata a un fascio di luce, puntato su una singola attività (che diviene il “focus attentivo”): viene esercitata ove ci si concentri su un compito, uno stimolo, un concetto o pensiero, escludendo il resto. Nell’ambito dell’attenzione selettiva vengono distinte quella volontaria, che risponde a motivazioni interne, e quella automatica, che è, invece, generalmente richiamata da stimoli esterni di vario tipo (un suono improvviso, l’ingresso di una persona ecc.), ed è indipendente dal controllo volontario. Per estrinsecarsi al meglio, l’attenzione volontaria deve in genere inibire quella automatica. Il paziente con sofferenza frontale si presenta con un’accentuazione patologica dell’attenzione automatica e un deficit
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dell’attenzione volontaria. Appare dunque facilmente distraibile e in balia degli stimoli ambientali, mostra grandi difficoltà a concentrarsi e tende a passare da un concetto o un compito a un altro, spesso senza portarne a termine nessuno. Speculare all’attenzione selettiva è quella divisa, che permette di svolgere contemporaneamente più compiti (per esempio, ascoltare mentre si legge o si scrive). Anche questa abilità è spesso compromessa nel paziente frontale, che ha necessità di dedicarsi a una sola mansione per volta per poterla svolgere efficientemente. Per la valutazione dell’attenzione sono disponibili test sia cartacei, che computerizzati. Tra questi ultimi sono utilizzati frequentemente i tempi di reazione semplici e complessi, che misurano l’accuratezza e la velocità con la quale il paziente è in grado rispondere a uno stimolo qualsiasi, oppure a uno specifico stimolo (visivo o acustico) in presenza di distrattori. I test carta e penna più diffusi per valutare l’attenzione selettiva sono quelli di ricerca di specifici stimoli (numeri, disegni) tra distrattori entro un tempo limite, oppure prove come il test di Stroop, nel quale il paziente deve concentrarsi su una specifica caratteristica dello stimolo, ignorandone altre: il paziente deve nominare il “colore dell’inchiostro con cui è scritto il nome di alcuni colori” (e che è incongruente rispetto al nome stesso, per esempio “rosso” è scritto in “verde”), per cui deve focalizzare la propria attenzione sul colore dell’inchiostro e non considerare il significato della parola. Infine si utilizzano prove di concentrazione su compiti mentali, come la sottrazione seriale di numeri, o la ripetizione a ritroso delle lettere dell’alfabeto, o di liste iperapprese (per esempio, i mesi dell’anno).
Le funzioni esecutive e i relativi deficit La corteccia prefrontale, oltre a essere sede della regolazione di alcune funzioni cognitive discrete, svolge un ruolo di controllo definito “esecutivo” sull’attività di altre regioni cerebrali (il termine, improprio in lingua italiana, deriva direttamente dalla terminologia inglese executive manager, in italiano “dirigente”). Per questa ragione le abilità cognitive a essa attribuite vengono nel loro insieme chiamate “funzioni esecutive”, e in uno dei principali modelli cognitivi di organizzazione della corteccia prefrontale essa viene indicata come central executive o sistema attenzionale supervisore (SAS).
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Il ruolo del SAS sarebbe quello di regolare lo svolgimento di tutte le operazioni cognitive allo scopo di programmare e organizzare efficientemente il comportamento (sia per gesti semplici, che per compiti complessi). In particolare, il SAS interverrebbe nelle situazioni volontarie e non routinarie nelle quali devono essere elaborate e implementate strategie e piani d’azione inediti, invece che applicati schemi semiautomatici di comportamento. Questa funzione verrebbe svolta dal SAS non direttamente, bensì modulando l’attività di un livello inferiore, chiamato sistema di selezione competitiva (SCS), che a sua volta attiva i comportamenti automatici. In caso di disfunzione frontale, per deficit del SAS, e dunque del sistema che normalmente alloca le risorse attentive selezionando le azioni in base alla volontà o alla situazione contingente, il paziente applica gli schemi suggeriti dalla SCS. Infatti il paziente frontale diviene dipendente dall’ambiente ed è incapace di inibire comportamenti indotti da stimoli ambientali, come oggetti (comportamento d’uso) o gesti fatti da altri (comportamento d’imitazione). Per valutare questi aspetti di scarso controllo degli impulsi si utilizza classicamente, in sede di seduta testistica, il cosiddetto paradigma del go–no go, nel quale il paziente deve compiere alcuni gesti e inibirne altri, secondo le istruzioni ricevute (per esempio, battere l’indice sul tavolo quando l’esaminatore lo batte una volta, e non batterlo quando l’esaminatore lo batte due volte). Un’altra classica prova che misura la capacità di frenare un comportamento automatico, a favore di uno volontario, è il test di Stroop già citato tra le misure di attenzione selettiva, nel quale il paziente deve inibire la lettura della parola (il nome di un colore) e nominare il colore dell’inchiostro con cui è scritta. Una scarsa capacità di inibizione di gesti, comportamenti e anche pensieri, si manifesta clinicamente con atteggiamenti perseveranti: il paziente frontale ha difficoltà nell’abbandonare un’operazione motoria o mentale in corso, uno stimolo o un concetto, per passare ad altro. In una prova di sequenze motorie della mano (pugno-taglio-piatto) persevera in uno stesso movimento, senza alternarlo agli altri. In un test di fluenza verbale in cui viene richiesto di produrre parole che inizino con una certa lettera, o elementi che appartengano a una certa categoria (frutti, animali ecc.), ripete più volte gli stessi elementi. Nel test denominato Wisconsin card sorting, in cui si devono accoppiare delle carte su cui sono riprodotti dei simboli distinti per numerosità, colore e
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forma geometrica, il paziente disesecutivo, una volta individuato un primo criterio di abbinamento, non riesce ad abbandonarlo per adottarne uno diverso (anche quando riesce a individuarlo). Analogamente, nel test del labirinto, in cui si deve tracciare un percorso che permetta di connettere il punto di entrata con quello di uscita di un labirinto, il paziente fallisce perché ripercorre sempre lo stesso tragitto, anche se palesemente errato. L’abilità di pianificazione della corteccia prefrontale si estrinseca anche nella elaborazione di strategie. Il paziente con deficit esecutivi ha scarsa capacità di risoluzione di problemi, siano essi compiti pratici od operazioni mentali. La cosiddetta “torre di Londra”, e altri test analoghi, prevede la programmazione di una serie di mosse per passare da una configurazione iniziale a una finale rispettando alcune regole date: il cerebroleso frontale viola le regole e/o non è in grado di ideare la sequenza di spostamenti da compiere. Nelle prove di fluenza verbale per lettere o categorie, è poco produttivo perché non riesce a individuare una strategia di ricerca lessicale (come potrebbe essere quella di utilizzare una stessa sillaba o procedere per raggruppamenti semantici – animali domestici, della savana, acquatici ecc.). Ciò compromette in particolare la versione fonemica del test, che impone una ricerca lessicale meno usuale rispetto a quella per categoria semantica. In una prova di apprendimento di parole correlate semanticamente, il paziente non sfrutta l’appartenenza degli stimoli alla stessa categoria semantica e dunque cade anche in questo compito di apprendimento facilitato. Analogamente, per mancanza di una strategia di ragionamento egli cade nelle stime cognitive, test in cui vengono posti una serie di quesiti (per esempio: “quanti cammelli ci sono in Italia?”) per i quali non esiste una risposta precisa, recuperabile in base a conoscenze acquisite, e che perciò prevedono la formulazione e il vaglio di varie ipotesi alle quali si può pervenire attraverso diversi approcci speculativi. A una scarsa prestazione a questa tipologia di prove concorre poi, nel paziente con disfunzione frontale, anche una compromissione della capacità di critica e giudizio, per cui il soggetto non realizza l’implausibilità delle propria stima e produce risposte bizzarre. Alle difficoltà di ragionamento del paziente frontale contribuiscono, inoltre, i deficit di concettualizzazione e astrazione. Si tratta dell’incapacità a elaborare deduzioni generali e astratte a partire da
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eventi o stimoli concreti. Ciò emerge, per esempio, nelle prove di interpretazione di proverbi (cosa significa “una rondine non fa primavera”?) o di analogie (“cosa hanno in comune un tavolo e una sedia?”), in cui si concentrano su aspetti pragmatici (“il fatto che arrivi una rondine, non significa che è arrivata la primavera” – “tavolo e sedia sono entrambi di legno”). Sebbene i pazienti con lesione frontale non presentino deficit della memoria episodica, essi spesso mostrano una prestazione scadente ai test di memoria a causa della distraibilità o dell’incapacità ad adottare strategie di apprendimento e rievocazione (infatti le loro prestazioni spesso migliorano passando dal richiamo libero a quello guidato o al riconoscimento). I lobi frontali, però, giocano anche un ruolo diretto e genuino su due forme particolari di memoria, quella prospettica e quella temporale. Quest’ultima consiste nella capacità di ricordare la sequenza temporale di stimoli o eventi. Per esempio, in una prova di apprendimento di parole scritte presentate in successione su cartoncini singoli, il paziente con disfunzione frontale può essere in grado di ricordare le parole, ma non quali siano state presentate prima di altre. La memoria prospettica, invece, è definita anche “memoria per il futuro” perché consiste nella capacità di ricordare ciò che è stato programmato, o che è noto che dovrà avvenire in un futuro più o meno lontano. In tempi relativamente recenti, oltre alle funzioni esecutive classiche appena descritte, sono state attribuite alla corteccia prefrontale anche la capacità di presa di decisioni e la competenza sociale. La prima viene valutata prevalentemente con l’utilizzo di test come lo Iowa Gambling Test che, per mezzo di vincite e perdite in rapporto alle scelte di gioco, simulano i processi decisionali della vita quotidiana. Nei pazienti con lesione frontale si osserva una maggiore tendenza a fare scelte rischiose, per incapacità a prevederne le conseguenze. Questo a sua volta potrebbe dipendere da un’iporeattività emotiva che renderebbe il paziente insensibile ai feedback derivanti dalle scelte compiute. Nell’ambito della corteccia prefrontale, la porzione dorsolaterale contribuirebbe ai processi decisionali con una componente più “cognitiva”, di tipo esecutivo (ragionamento, flessibilità, categorizzazione, applicazione di strategie), mentre le regioni orbitaria e ventromesiale, connesse con le strutture limbiche, agirebbero come un’interfaccia tra i processi emotivi e cognitivi che sottendono la presa di decisioni.
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Con l’espressione competenza sociale si indica un insieme eterogeneo di abilità riguardanti l’interazione con gli altri, dalla capacità di interpretare le emozioni altrui sulla base dello sguardo o dell’espressione facciale, a quella di immaginarne gli stati mentali (esemplificata nella cosiddetta theory of mind), o di riconoscere alcune norme di convivenza sociale o alcuni principi etici. La corteccia prefrontale, e soprattutto la sua porzione ventromesiale, sarebbe implicata in particolare nella capacità di “mettersi nei panni degli altri” e mostrare empatia nei loro confronti, e nell’adesione a comportamenti socialmente appropriati ed eticamente accettabili.
La regolazione dell’umore, della personalità e del comportamento e la sindrome frontale La conoscenza della neuropsicologia dei lobi frontali ha ricevuto un contributo fondamentale dalla descrizione del caso di Phineas Gage, operaio delle ferrovie statunitensi vissuto nella metà dell’Ottocento e vittima di un incidente sul lavoro nel quale si era procurato un’estesa lesione bifrontale (perforandosi la parte anteriore del cranio con una barra di ferro). Le alterazioni che seguirono il trauma furono quasi esclusivamente di ambito neuropsichiatrico, con radicali modificazioni della personalità e della condotta. Con l’espressione sindrome frontale si indica proprio l’insieme dei sintomi neuropsicologici che conseguono a danno (di qualsiasi origine) della corteccia prefrontale, con particolare riferimento alle alterazioni della sfera affettivo-comportamentale (che comunque solitamente si accompagnano a un corredo di deficit esecutivi). Il paziente frontale si può presentare apatico e depresso (sindrome pseudodepressiva) quando è coinvolta prevalentemente la corteccia mesiale, o subeuforico e disinibito (sindrome pseudo-psicotica) per maggiore interessamento orbitofrontale. Sono molto frequenti, tuttavia, i casi di coesistenza di apatia e disinibizione. La scarsa iniziativa (comportamentale, motoria, verbale) e l’umore depresso si accompagnano all’abbandono di attività e interessi, al ritiro sociale, alla trascuratezza della persona e del domicilio, alla scarsa partecipazione emotiva. La disinibizione, soprattutto se associata a umore euforico e spunti maniacali, può portare a condotte sessualmente e socialmente inappropriate e a comportamenti bizzarri. Questa tipologia di pazienti appare spesso puerile, superficiale, con
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tendenza al motteggio continuo, al riso immotivato, all’eccessiva confidenza nei rapporti interpersonali, e con linguaggio disinibito, talvolta scurrile, sia nei contenuti che nella forma. Altri tratti tipici della sindrome frontale sono la scarsa perspicacia, la caparbietà e la rigidità mentale, che rendono il paziente inflessibile e possono frequentemente diventare motivo di conflitto. Si tratta, infatti, di pazienti poco o nulla consapevoli dei propri deficit e dell’anomalia dei loro comportamenti (anosognosia). Infine, un aspetto non tanto appartenente al dominio neuropsicologico, quanto a quello vegetativo, è quello del disturbo dell’alimentazione, piuttosto specifico delle lesioni frontali o frontotemporali. Si può manifestare come voracità e iperfagia, spiccata prefenza per i cibi dolci, o adozione di una dieta monotona, spesso comprendente un solo o pochi cibi. Si può associare un eccessivo consumo di bevande alcoliche.
Disturbi
spaziali e fenomeni correlati Il neglect, o eminattenzione spaziale unilaterale, consiste nella tendenza del paziente a ignorare (negligere) gli stimoli localizzati nell’emispazio controlesionale (molto raramente il deficit si estrinseca sull’emispazio ipsilesionale), in assenza di deficit elementari, in particolare sensoriali, tali da giustificare il disturbo. L’eminattenzione può essere generalizzata, multimodale, o riguardare solo uno o alcuni canali sensoriali, per cui si distinguono un neglect visivo, tattile, uditivo e, descritti in realtà solo in casi aneddotici, gustativo e olfattivo. Inoltre, più recentemente è stata descritta una particolare forma di neglect, detta rappresentazionale in quanto si esercita sulle rappresentazioni mentali: il paziente riesce a rievocare solo la metà controlesionale di un’immagine mentale. Può concomitare o meno eminattenzione per stimoli sensoriali. Infine, sono riconosciute anche due forme motorie di neglect che riguardano l’esecuzione dei movimenti svolti nello spazio controlesionale, negletto, indipendentemente dall’arto effettore (ipocinesia direzionale), oppure con gli arti controlesionali (neglect motorio). In entrambi i casi si osservano un rallentamento o una riduzione dell’ampiezza dei gesti, o una riluttanza nell’utilizzo degli arti controlesionali o nel compiere movimenti diretti verso l’emispazio controlesionale.
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Tra i disturbi della lettura viene poi classificata la cosiddetta dislessia da neglect, che può essere isolata, o associata ad altre forme di eminattenzione, e in genere consegue a lesione emisferica destra (con omissione della lettura dell’inizio delle parole), più raramente sinistra (con omissione delle lettere finali). La severità del neglect può essere estremamente variabile. In alcuni casi (soprattutto quelli da lesione emisferica molto estesa), il disturbo può essere evidente alla semplice osservazione del paziente, che mantiene capo e occhi deviati verso lo spazio controlesionale, risponde solo a interrogazioni verbali che gli vengano poste da questo stesso emispazio, consuma solo il cibo presente in quella metà del piatto e, se in grado di deambulare, colpisce ostacoli (mobilio, stipiti) posti nell’emispazio negletto. In altri casi il disturbo è talmente lieve che si rende evidente solo ai test neuropsicologici, come la copia di un disegno di dimezzamento di linee o le prove di esplorazione spaziale quali, per esempio, prove di ricerca di oggetti nello spazio. Il neglect è un disturbo neuropsicologico relativamente frequente dopo danno cerebrale focale, in particolare per lesioni che si instaurano velocemente, com’è il caso dell’ictus o delle neoplasie a rapida crescita, che annullano l’effetto dei meccanismi di compenso da parte di strutture intraemisferiche (anche sottocorticali) o controlaterali. Tuttavia, esso si può riscontrare anche in alcune patologie neurodegenerative che interessino in maniera preponderante le regioni cerebrali posteriori, come l’atrofia corticale posteriore o la degenerazione cortico-basale. Il correlato lesionale è temporo-parietale posteriore (lobulo parietale inferiore, giro temporale superiore), anche se non infrequentemente si sviluppa eminattenzione per lesioni frontali (spesso con componente motoria) e anche talamiche o dei nuclei della base. Per quanto riguarda la lateralizzazione, eminattenzione è più grave e più frequente (come 2/1) nei pazienti con lesione rispetto a quelli con lesione sinistra. Per questo generalmente si osserva un neglect sinistro e, molto più raramente, un neglect destro. L’eminattenzione post-ictus caratteristicamente tende a regredire spontaneamente entro poche ore o giorni dalla lesione; i casi cronici, che rappresentano una percentuale minima, sono prevalentemente da lesione in sede parietale, destra ed estesa, e presentano in genere altri deficit neurologici e neuropsicologici associati, in particolare emianopsia laterale omonima sinistra.
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Le teorie cognitive che spiegavano il neglect in termini di deficit sensoriali o motori hanno ormai solo valore storico, sia per le doppie dissociazioni osservate tra eminattenzione e disturbi sensomotori, che per l’impossibilità ad applicare tali teorie al neglect rappresentazionale. Oggi la tesi più accreditata spiega il neglect nei termini di un disturbo della distribuzione dell’attenzione spaziale, il cui controllo spetterebbe a un sistema reticolo-talamo-corticale afferente in maniera separata dal troncoencefalo ai due emisferi. Questa tesi “attenzionale” è stata rivista, ma non abbandonata, dopo l’individuazione del neglect rappresentazionale. Si è ipotizzato che a essere deficitaria in questi casi sia l’attenzione necessaria in fase di generazione della metà controlesionale di una rappresentazione mentale. Per quanto riguarda la maggiore incidenza di neglect per lesione destra, si sono fatte diverse ipotesi. In un caso si ipotizza che l’emisfero sinistro “serva” il solo emispazio destro, mentre l’emisfero destro si occupa sia dell’emispazio destro che del sinistro, per cui in caso di lesione sinistra l’emispazio destro continua a essere “coperto” dall’emisfero destro e non si determina neglect. Secondo un’altra ipotesi, l’emisfero sinistro sarebbe più potente del destro nella sua funzione di allocazione dell’attenzione verso il rispettivo emispazio controlaterale, per cui a una lesione sinistra conseguirebbe un indebolimento minimo, non clinicamente manifesto, dell’attenzione per l’emispazio destro. Tra i test neuropsicologici più utilizzati per la valutazione dell’eminattezione visiva figurano la copia di disegni (o il disegno a memoria, nel caso del neglect rappresentazionale), le prove di cancellazione di stimoli (linee, lettere, figure) distribuiti in entrambi gli emispazi, oppure la lettura di frasi o la bisezione di linee. In quest’ultimo test, il paziente con neglect, al quale venga richiesto di segnare con la penna la metà di una retta orizzontale, la indica (nel caso più frequente di un neglect sinistro) più a destra rispetto alla metà reale della linea in quanto sottostima l’estensione spaziale della parte sinistra della linea. Nelle prove di cancellazione compie numerose omissioni per gli stimoli posti nella metà ipsilesionale del foglio, così come nelle copie di figure, di cui riproduce solo la porzione ipsilesionale. In considerazione della rapidità con cui il neglect regredisce spontaneamente, vengono sottoposti a riabilitazione solo i rari casi cronici. Oltre alle tecniche cognitive, appare promettente l’utilizzo di cicli di adattamento prismatico (con lenti che – indossate – spostano il campo visivo verso destra, ma che – quan-
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CAPITOLO 4 – Neuropsicologia e deficit delle funzioni cognitive
do vengono tolte – inducono un orientamento verso la direzione opposta), o di stimolazione optocinetica, vestibolare (calorica) o della muscolatura paravertebrale (vibratoria). Queste tecniche hanno infatti sorprendentemente dimostrato di ridurre significativamente il disturbo, anche se solo temporaneamente, forse agendo su alcune delle strutture che contribuiscono alla rappresentazione mentale dello spazio esterno. L’eminattenzione spaziale unilaterale si accompagna frequentemente a una serie di altri sintomi neurologici e neuropsicologici, che nel loro insieme vengono indicati come dischiria (dal greco cheiros che significa mano, per estensione “lato”, a indicare che si tratta di deficit neuropsicologici che per la maggior parte sono lateralizzati): l’estinzione, l’emisomatoagnosia, la somatoparafrenia e l’anosognosia. Anche questi disturbi sono caratteristicamente di breve durata, e osservabili in genere dopo lesione destra (con la sola eccezione dell’estinzione, che si osserva con uguale frequenza anche per lesioni sinistre). La tesi dominante rispetto alla loro origine suggerisce che possano rappresentare le manifestazioni negative (deficitarie) e produttive (con particolare riferimento alla somatoparafrenia) di una deafferentazione a partire dall’emisoma controlesionale, concomitante a una produzione di false convinzioni rispetto ad esso, non più controllate dal normale flusso di input sensoriali. Il paziente con estinzione non avverte, perlomeno consapevolmente, stimoli visivi, uditivi e/o tattili provenienti dall’emispazio controlesionale ma solo se stimolato contemporaneamente nell’altro emispazio, mentre riferisce correttamente stimoli unilaterali, sia ipsi- che controlesionali. In genere, l’estinzione viene indagata al letto del paziente, sia nell’ambito visivo, con una prova analoga a quella per i deficit campimetrici, che in quello tattile, nell’esame delle sensibilità: in entrambi i casi si valuta se la prestazione del paziente peggiora passando dalla presentazione di stimoli singoli a quella di stimoli bilaterali simultanei. Inizialmente l’estinzione era stata interpretata come un deficit sensoriale elementare. In realtà non sempre si associa a significativi deficit della vista, dell’udito o delle sensibilità. Oggi viene attribuita al crearsi di un conflitto tra gli stimoli provenienti dai due emisoma a livello della loro rappresentazione mentale e dell’associazione di questa con la componente di consapevolezza. L’anosognosia è il termine che fu utilizzato da Babinski per descrivere il caso di una paziente con cecità corticale per lesione occipitale bilaterale, che non mostrava alcuna consapevolezza del proprio de-
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ficit (sindrome di Anton-Babinski). L’anosognosia può riguardare il quadro clinico del paziente in toto, oppure essere circoscritta solo a una tipologia di deficit (per esempio, all’emiparesi, ma non all’emianopsia) o a una parte del corpo (per esempio, alla paresi dell’arto inferiore, ma non a quella del superiore). Essa viene distinta dall’anosodiaforia, nella quale il paziente riconosce il deficit neurologico, ma mostra scarsa partecipazione emotiva, apparendo sostanzialmente indifferente rispetto ad esso. L’emisomatoagnosia è rappresentata dalla tendenza del paziente a ignorare l’emicorpo controlesionale, che non viene utilizzato (in assenza di deficit motori elementari), e quindi nemmeno truccato, pettinato, vestito. La somatoparafrenia, invece, consiste in un vero e proprio senso di non appartenenza dell’emicorpo controlesionale (o di un solo segmento di esso, come l’arto superiore o l’inferiore), che viene visto come un elemento estraneo o attribuito ad altri (il vicino di letto, l’infermiere e così via). Talvolta il paziente arriva perfino a sviluppare una franca repulsione e a compiere gesti violenti nei confronti dell’emisoma (misoplegia), oppure a “personificarlo”, per esempio attribuendogli dei nomignoli. Sia l’emisomatoagnosia che la somatoparafrenia sono incluse anche nei cosiddetti disturbi dello schema corporeo, comprendenti fenomeni come l’arto fantasma, l’autotopoagnosia o l’agnosia digitale e il disorientamento destra-sinistra. Quest’ultimo consiste nella difficoltà nell’indicare il lato destro e sinistro sul proprio corpo e su terzi, mentre l’agnosia digitale è rappresentata dall’incapacità di riconoscere le dita delle due mani (denominarle, indicarle dietro presentazione del nome, e così via). Entrambi questi disturbi compongono, insieme a un deficit motorio specifico della scrittura (agrafia pura) e a un deficit della capacità di calcolo (acalculia), la cosiddetta sindrome di Gerstmann. Pur potendo comparire nelle patologie dementigene (in particolare l’atrofia corticale posteriore), essa è più spesso dovuta a lesioni focali che interessano il lobo parietale sinistro (giro angolare o sostanza bianca sottostante). Una lesione bilaterale della via dorsale, che collega le aree visive primarie occipitali al lobo parietale posteriore, determina un’alterazione gravissima della percezione spaziale che prende il nome di sindrome di Balint-Holmes, caratterizzata da: • simultanagnosia: mancata “percezione” di stimoli
periferici rispetto al punto di fissazione (o estrema
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Parte I – Semeiotica neurologica
focalizzazione dell’attenzione) per cui il paziente non è in grado di riconoscere due stimoli se presentati contemporaneamente e dunque di interpretare una scena visiva complessa; • aprassia dello sguardo: incapacità di esplorare con i movimenti oculari la scena visiva in assenza di deficit oculomotori (per cui gli occhi si muovono in modo caotico e disordinato); • atassia ottica: incapacità di coordinare i movimenti per raggiungere un oggetto presentato visivamente (mentre lo stesso movimento può essere eseguito in modo corretto in presenza di informazioni propriocettive sulla sua localizzazione spaziale); • deficit di valutazione delle distanze: riguarda sia la valutazione delle distanze dal proprio corpo che lo spessore degli oggetti.
Non
dimenticare che…
Il neglect visivo può essere difficile da distinguere dall’emianopsia laterale omonima (senza contare che i due disturbi possono concomitare). L’esame campimetrico computerizzato non è dirimente e i potenziali evocati visivi si utilizzano solo in ambito di ricerca. Un aiuto può venire dal test del confronto: a differenza del paziente emianopsico, quello eminattento fallisce anche quando lo si lascia libero di muovere lo sguardo in tutte le direzioni, perché non esplora l’emispazio negletto. Il paziente con emianopsia, inoltre, è spesso consapevole del disturbo, può riferirlo spontaneamente, e tende a compensare forzando la propria attenzione verso l’emispazio cieco.
L’esame
neuropsicologico: indicazioni, strumenti e interpretazione L’esame neuropsicologico trova indicazione in tutte quelle patologie che determinino una sofferenza cerebrale primitiva o secondaria, con coinvolgimento delle strutture responsabili della regolazione delle funzioni cognitive e affettivo-comportamentali. Senza dubbio indicazioni fondamentali sono le demenze, la misurazione del quoziente intellettivo in pazienti con ritardo mentale, e l’esame di alcune specifiche abilità cognitive in pazienti con lesioni neurologiche focali, in primis i soggetti con afasia.
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Una valutazione quantitativa e/o qualitativa può avere significato in fase diagnostica, a scopo psicometrico, o nel follow-up del paziente, per seguirne l’evoluzione nel tempo sia in termini di storia naturale di malattia, che come monitoraggio di eventuali trattamenti farmacologici o neurorabilitativi. Nonostante la modalità di realizzazione dell’esame neuropsicologico possa variare anche notevolmente in rapporto al quesito specifico, la diagnosi differenziale di alcuni disturbi del movimento in genere si avvale di test o scale standardizzati e tarati, per i quali siano disponibili cut-off di normalità ed, eventualmente, coefficienti di correzione della prestazione del paziente in base alle sue caratteristiche socio-demografiche (sesso, età, scolarità), calcolati in studi ad hoc eseguiti sulla popolazione generale.
Strumenti e interpretazione Il Mini Mental State Examination (MMSE; Fig. 4.2) viene utilizzato solo come screening, o per il monitoraggio del paziente nel tempo, ma non ha di per sé validità diagnostica. Per una valutazione più o meno estensiva sono disponibili, oltre a scale per il deterioramento cognitivo globale, che raggruppano una serie di prove per la valutazione dei principali domini e forniscono un unico punteggio finale di compromissione, numerosi test individuali per indagare singole funzioni cognitive: la memoria, in tutte le sue componenti (in particolare quella verbale episodica e semantica), il linguaggio, sia per il versante espressivo che per quello di comprensione, e sia scritto che orale, l’attenzione, le funzioni esecutive, il riconoscimento visivo, le abilità visuospaziali, le prassie. L’esame cognitivo viene spesso integrato anche con una valutazione delle manifestazioni affettivo-comportamentali, in genere tramite scale di autovalutazione compilate dal paziente o questionari rivolti a un informatore (solitamente un familiare). L’indagine neuropsichiatrica ha molteplici significati. I disturbi del tono dell’umore, del pensiero, del comportamento possono influenzare la prestazione del paziente ai test e vanno considerati in fase di interpretazione dei risultati della valutazione. Alcune alterazioni affettivo-comportamentali, o della percezione e dell’ideazione, fanno parte integrante del quadro clinico di diverse patologie dell’ambito neuropsicologico, come la demenza frontale o la
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CAPITOLO 4 – Neuropsicologia e deficit delle funzioni cognitive
ORIENTAMENTO TEMPORALE
Giorno del mese Mese Anno Giorno della settimana Stagione
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ORIENTAMENTO SPAZIALE
Luogo (ospedale, studio ecc.) Piano Città Regione Stato
012345
MEMORIA
L’E. pronuncia ad alta voce il nome di tre cose: CASA - PANE - GATTO e chiede subito di ripeterle Nel caso non tutte vengano ricordate, l’E. ripete la serie finché il P. non le ha imparate (max 6 ripetizioni)
0123
ATTENZIONE E CALCOLO
• Partendo da 100, sottrarre 7 unità per cinque volte consecutive (93 - 86 - 79 - 72 - 65) • Se dovessero esservi difficoltà, sostituire l’esercizio con la scansione lettera per lettera della parola CARNE all’indietro (E-N-R-A-C)
012345
Rievocare nuovamente le 3 parole apprese precedentemente: CASA - PANE - GATTO
0123
Riconoscere e denominare due oggetti: MATITA - OROLOGIO
012
Ripetere la frase: NON C’È SE, NÉ MA CHE TENGA
01
Eseguire su comando in tre tempi: 1. prenda un foglio con la mano destra 2. lo pieghi a metà 3. lo butti per terra
0123
Leggere ed eseguire ordine scritto: CHIUDA GLI OCCHI
01
Scrivere sponteneamente frase formata almeno da soggetto e verbo
01
Copiare il disegno indicato
01
MEMORIA DIFFERITA
LINGUAGGIO
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CHIUDA GLI OCCHI
Figura 4.2 Mini Mental State Examination. Il punteggio finale, che si ottiene attribuendo un punto a ogni riposta esatta, va da 0 (prestazione peggiore) a 3 (prestazione migliore). È considerato normale uno score >24/30 dopo correzione del punteggio in base all’età e scolarità del paziente (secondo i valori delle tarature eseguite su soggetti sani).
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Parte I – Semeiotica neurologica
malattia a corpi di Lewy. Infine, le patologie psichiatriche entrano spesso in diagnosi differenziale con le demenze. Un’ultima, importante componente dell’inquadramento neuropsicologico del paziente è la valutazione degli aspetti funzionali, che permette di stabilire l’influenza che le eventuali turbe cognitive effettivamente esercitano sulla vita professionale, sociale e familiare del paziente. Ciò è, tra l’altro, particolarmente rilevante nei pazienti che giungono all’osservazione per sospetto decadimento cognitivo, considerato che l’interferenza dei deficit cognitivi con l’autonomia nelle attività quotidiane è un criterio necessario per porre diagnosi di demenza. In fase di interpretazione dell’esito della valutazione neuropsicologica è necessario tenere in considerazione diversi elementi: oltre al punteggio ai test, possono essere estremamente informativi alcuni aspetti qualitativi della prestazione (tipologia degli errori, approccio del paziente all’esecuzione di alcune prove, e così via) e le osservazioni del comportamento del paziente durante la seduta d’esame, sia alla ricerca di indizi diagnostici, che per decidere dell’attendibilità della valutazione. Le conclusioni diagnostiche dovranno poi essere basate, oltre che sulle misure testistiche in sé, sui dati anamnestici e sull’esito di eventuali accertamenti di laboratorio o strumentali, e dovranno,
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per quanto possibile, proporre un orientamento diagnostico e definire la severità del quadro di compromissione eventualmente emerso.
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