Capitolo 6 l intermediazione creditizia

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L’intermediazione creditizia Obiettivi di apprendimento • •

• • • •

Definire le specificità dell’intermediazione creditizia e i bisogni da essa soddisfatti (Paragrafi 6.1.1 e 6.1.2). Identificare le forme gestionali fondamentali di questo tipo di intermediazione e riflettere sulla sua evoluzione (Paragrafi 6.1.3 e 6.1.4). Descrivere e far comprendere le caratteristiche di alcuni strumenti di raccolta e impiego tipici della banca (Paragrafi 6.2.1 e 6.2.2). Descrivere e far comprendere la natura di leasing, factoring e credito al consumo (Paragrafi 6.2.3, 6.2.4 e 6.2.5). Tracciare i profili fondamentali della regolamentazione sull’intermediazione creditizia (Paragrafo 6.3). Fornire alcuni elementi di base del bilancio delle banche e della loro gestione (Paragrafo 6.4).

6.1 •  L’intermediazione creditizia Per inquadrare il vasto argomento dell’intermediazione creditizia, in questo primo paragrafo si evidenzieranno le peculiarità e i bisogni soddisfatti dall’intermediazione creditizia, alcune forme gestionali basilari sottese allo svolgimento di questo tipo di intermediazione, l’evoluzione in atto riguardo a essa e, conseguentemente, ai suoi punti critici in prospettiva. Nella restante parte del capitolo saranno trattati gli strumenti dell’intermediazione creditizia, il suo ordinamento in Italia, i profili fondamentali di bilancio e di gestione con particolare riferimento alla banca. 6.1.1  Le peculiarità e l’articolazione dell’intermediazione creditizia L’intermediazione creditizia rappresenta, insieme a quella mobiliare e a quella assicurativa, uno dei tre tipi di intermediazione a cui si fa riferimento quando vengono esaminati i sistemi finanziari. In tempi recenti, per effetto delle innovazioni regolamentari, nella realtà operativa i confini tra questi tre tipi di intermediazione sono in parte sfumati. Dal punto di vista didattico, e di apprendimento, appare comunque utile mantenere tale distinzione. In premessa, occorre precisare alcune peculiarità dell’intermediazione creditizia, da cui discendono tutte le considerazioni che verranno svolte in seguito. Essa favorisce, al pari dell’intermediazione mobiliare, il trasferimento di risorse finanziarie nello spazio e nel tempo, ma, a differenza di quella, ciò avviene attraverso il cosiddetto “circuito indiretto”. Tale trasferimento può avvenire con il concorso di

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uno o più intermediari (in questi casi si usano, per esempio, le locuzioni “doppia” e “tripla intermediazione”). Il ruolo dell’intermediazione creditizia, seppur variabile nei diversi sistemi finanziari, è comunque centrale in tutti i sistemi finanziari del mondo. In sostanza, anche nei Paesi in cui sono più sviluppati i mercati di strumenti finanziari e l’intermediazione mobiliare, l’intermediazione creditizia, nei suoi vari aspetti, contribuisce a soddisfare i bisogni di famiglie, imprese, istituzioni. La crisi dell’intermediazione creditizia, e quindi dei soggetti principali che se ne occupano (cioè le banche), è, non da oggi, segno della crisi del sistema finanziario (e del sistema economico nel suo complesso). L’attuale e grande attenzione e preoccupazione per i cosiddetti Non Performing Loans (NPL), cioè dei crediti concessi dalle banche e non più esigibili, da parte di molti degli attori del sistema finanziario (Governi, Autorità di vigilanza, banchieri, depositanti, imprese prenditrici di credito), è una prova lampante dell’effetto sistemico delle crisi bancarie legate alla crisi dell’attività più tradizionale svolta da esse. Nel partecipare al circuito indiretto, i soggetti che svolgono intermediazione creditizia interpongono il proprio stato patrimoniale tra datori e prenditori di risorse finanziarie. Essi infatti assumono impegni nei confronti dei datori di fondi e posizioni di credito nei confronti dei prenditori di fondi: pertanto, all’attivo figurano gli impieghi (ossia l’insieme degli strumenti graditi ai prenditori di fondi in termini di costo, rischio e scadenza) e al passivo le fonti (ossia l’insieme degli strumenti graditi ai datori di fondi in termini di rendimento, rischio e scadenza). L’intermediazione creditizia comporta, per soddisfare fabbisogni divergenti, un’attività di trasformazione (di scadenza, di rischio, di liquidità) che ricade sotto la responsabilità ed entro l’assunzione dei rischi dei soggetti (intermediari) che frappongono il proprio stato patrimoniale e il proprio sistema di risorse (finanziarie, tecniche, umane) tra gli scambisti. In essa i contratti, pur riconducibili a schemi negoziali comuni, possono essere sempre adattabili ai mutevoli e vari bisogni della domanda e dell’offerta di risorse finanziarie; inoltre, la ricerca della controparte è tipicamente condotta su base individuale. Ciò significa che i contratti stipulati sono, in questo senso e rispetto a quelli negoziati su mercati mobiliari organizzati, fortemente personalizzati. Essi si fondano su informazioni specifiche circa la qualità dei contraenti: in particolare, ciò vale per i prenditori di risorse e per lo svolgimento della funzione di finanziamento svolta dagli intermediari. In tal modo, lo svolgimento dell’attività di intermediazione creditizia contribuisce a limitare le asimmetrie informative presenti tra datori e prenditori nel circuito diretto (lo stesso viene fatto, secondo differenti modalità, dall’intermediazione mobiliare) e il moral hazard che su tali asimmetrie si poggia. Ciò non esclude il fatto che asimmetrie e moral hazard siano presenti anche negli scambi in cui si svolge l’attività di intermediazione creditizia: non a caso, tali attività sono oggetto di molteplici tipi di intervento da parte delle Autorità di vigilanza, come si vedrà in seguito. Oltre alla natura delle informazioni relative a potenziali ed effettivi debitori (finanziati) e creditori (depositanti), spesso riservate in quanto in esclusivo possesso dell’intermediario, la fiducia è l’altro elemento centrale negli scambi creditizi. Tale fiducia deve essere reciproca – e basata sui concetti di solvibilità e di liquidità, su cui torneremo più avanti – tra gli intermediari e gli altri operatori (prenditori e datori di risorse finanziarie) che si trovano a scambiare con essi (tra cui vi sono anche gli intermediari stessi: si pensi a quanto avviene, per esempio, sul mercato interbancario). La solvibilità degli intermediari è oggetto di controlli e di diffusione di informazione pubblica da parte delle Autorità, che in tal modo mirano a mantenere un livello adeguato di fiducia e a consentire lo svolgimento delle attività di intermediazione


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creditizia. La fiducia è inoltre basata, in primo luogo, sull’efficacia e la trasparenza dei processi di valutazione del merito di credito e sulla capacità di tutelare depositanti, obbligazionisti e azionisti. La massima responsabilità della creazione di tale fiducia sta in capo agli organi di governo e al management delle banche e degli altri intermediari impegnati in attività di intermediazione creditizia. Alcuni casi recenti di banche italiane (la banca popolare di Vicenza e quella delle Marche, le casse di risparmio di Chieti e di Ferrara), prima poste in amministrazione straordinaria e poi fallite, sono la chiara dimostrazione di quanto affermato. Dalla personalizzazione dei contratti, dalla natura delle informazioni e dalla fiducia discende altresì il concetto di relazione, centrale nelle attività di intermediazione creditizia (da qui il concetto di relationship banking). In una prospettiva evolutiva, il relationship banking, caratterizzato nelle sue forme pure dalla non trasferibilità degli strumenti utilizzati (per esempio, depositi e prestiti), è stato affiancato e in parte ha ceduto e continuerà a cedere spazio al transaction banking, basato sulla trasformazione degli attivi rappresentati da prestiti attraverso diversi meccanismi (tra cui l’accettazione, il factoring e la cartolarizzazione) in strumenti finanziari negoziabili sui mercati. Il transaction banking viene impiegato tipicamente per moltiplicare l’offerta di credito a sostegno di rapidi ampliamenti dello spazio economico internazionale. Ciò è accaduto diverse volte nella storia, soprattutto a partire dal XIX secolo, e si è verificato anche in tempi recenti, con effetti negativi che non sono tanto imputabili alle tecniche utilizzate (tra tutte la più criticata è stata la cartolarizzazione) quanto all’uso poco trasparente e controllato (e talvolta fraudolento) che ne è stato fatto, anche durante la fase iniziale della più recente crisi finanziaria. In Italia, la cartolarizzazione è stata regolata dalla Legge 130/1999. Su ciò che comporta questo passaggio, sui modelli di intermediazione a esso sottesi e sulle relative criticità, si tornerà in seguito in questo capitolo. Quanto appena ricordato ci permette di osservare che i soggetti impegnati nell’intermediazione creditizia a vario titolo e con vario grado di specializzazione e diversificazione funzionale e di area di attività non svolgono solo intermediazione creditizia: tipico esempio è la banca, che nell’ordinamento europeo vigente può svolgere ogni attività, oltre alla combinazione minima (richiesta per definire “banca” un intermediario) di raccolta da clientela attraverso depositi e concessione di prestiti. All’intermediazione creditizia, nel caso della banca, è legato lo svolgimento della funzione monetaria: ciò rende questo intermediario speciale rispetto agli altri intermediari creditizi, che non raccolgono risorse dal pubblico attraverso strumenti (depositi) che svolgono tale funzione. I profili di gestione finanziaria, e le esigenze di liquidità – a livello di singola banca e di sistema bancario –, sono associati a questa caratteristica specifica dell’intermediario creditizio banca. Infine, gli intermediari creditizi diversi dalle banche sono costituiti nell’ordinamento italiano da società di leasing, società di factoring e società di credito al consumo, alle quali si sono progressivamente affiancati i Confidi, la Cassa Depositi e Prestiti e i veicoli per la cartolarizzazione (SPV, Special Purpose Vehicle). Tali intermediari sono accomunati da una duplice caratteristica: • la raccolta delle risorse necessarie per soddisfare le esigenze dei prenditori di fondi – non potendo essere svolta nei confronti del pubblico attraverso depositi – avviene prevalentemente presso le banche o altri soggetti istituzionali dando origine a fenomeni di doppia intermediazione; • la concessione di finanziamenti alle imprese e alle famiglie avviene con modalità tali da soddisfare esigenze dei prenditori di fondi di carattere particolare, perché

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collegate, in particolare per le imprese, all’attivo immobilizzato (leasing) e all’attivo circolante (factoring) e, per le famiglie, alle necessità di consumo (credito al consumo).

IFM (Istituzioni Finanziarie Monetarie): banche centrali, banche, fondi comuni monetari e altre istituzioni finanziarie residenti, la cui attività consiste nel ricevere depositi e/o strumenti altamente sostituibili ai depositi da enti diversi dalle IFM e nel concedere crediti e/o effettuare investimenti in titoli per proprio conto. Le IFM comprendono anche gli IMEL (Istituti di Moneta ELettronica) e, dal settembre 2006, la CDP (Cassa Depositi e Prestiti SPA).

L’intermediazione creditizia può essere svolta con ampiezza (e quindi gamma di diversificazione) diversa. Accanto a intermediari maggiormente diversificati, ve ne sono altri che si specializzano nella concessione di finanziamenti di differente tipo (per destinazione rispetto alla gestione finanziaria d’impresa, per forma tecnica, per durata, valuta, tassi e altre condizioni applicate ecc.) e a destinatari differenti (imprese non finanziarie operanti in molteplici settori, intermediari finanziari, istituzioni pubbliche, famiglie ecc.). La diversificazione può rimanere nell’ambito dell’intermediazione creditizia (si pensi alla varietà di contratti e ai segmenti di clientela che possono contraddistinguere l’offerta di società di leasing, factoring, credito al consumo), oppure ampliarsi oltre essa (si pensi al modello di banca universale, con un largo spettro potenziale di attività, proposto dalla normativa europea), includendo forme di intermediazione mobiliare, in conto proprio e per conto terzi. In particolare, la banca, intermediario creditizio tipico, può essere compresa all’interno delle IFM (Istituzioni Finanziarie Monetarie), il che comporta una serie di conseguenze sulla sua gestione che altri intermediari creditizi non hanno, specificamente con riferimento alla gestione della liquidità. Alcune attività di intermediazione specialistica che sono trattate nel capitolo (leasing, factoring e credito al consumo) possono essere esercitate anche da banche. In alcuni casi, attività simili vengono portate a termine da banche specializzate, frutto della trasformazione in banca di preesistenti società specializzate non bancarie: esse risultano, dal punto di vista dell’ordinamento e della vigilanza, banche a tutti gli effetti, avendo ottenuto autorizzazione alla trasformazione. 6.1.2  I bisogni soddisfatti dagli intermediari creditizi e i loro stakeholder Le attività di intermediazione creditizia soddisfano fondamentalmente i bisogni di investimento, di finanziamento e di gestione degli incassi e dei pagamenti, lasciando all’intermediazione mobiliare e a quella assicurativa la soddisfazione dei bisogni di copertura dai rischi finanziari (speculativi) e puri. Alcuni strumenti finanziari che rispondono ai bisogni di investimento e di finanziamento sono trattati nel Paragrafo 6.2. Il bisogno di gestione degli incassi e dei pagamenti è ampiamente trattato nelle parti del volume dedicate a sistemi e strumenti di pagamento. Tutti i tipi di intermediari creditizi soddisfano il bisogno di finanziamento nei confronti di differenti categorie di operatori economici. Si riscontra un’estrema varietà di specializzazione nella concessione di finanziamenti: si pensi alla diversa natura degli strumenti finanziari utilizzati (prestiti per cassa e di firma, a breve e a medio-lungo termine, ricorso a contratti particolari quali la locazione finanziaria ecc.), ai diversi settori di appartenenza dei soggetti finanziati (agricoltura, vari settori industriali, terziario), al diverso profilo giuridico dei soggetti stessi (settore privato e pubblico), alla diversa localizzazione (residenti, non residenti). La combinazione di due o più di questi criteri trova riscontro in intermediari creditizi focalizzati, in termini di attività di finanziamento, in tutti i Paesi del mondo. In Italia si sono storicamente sviluppati intermediari specializzati nel credito agrario, fondiario, industriale, in finanziamenti erogati in specifiche regioni o a specifici settori (per esempio, le opere pubbliche), che tuttora operano, spesso essendo stati inglobati in gruppi bancari. La peculiarità di tutti questi intermediari si situa dal


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L’intermediazione creditizia

lato dell’attivo, essendo il passivo strumentale a tale attività e composto da strumenti finanziari di mercato quali obbligazioni e certificati di deposito, sottoscritti principalmente da altri intermediari finanziari, creditizi e non, spesso legati agli intermediari creditizi specializzati da legami proprietari (cioè appartenenti al medesimo gruppo aziendale) e solo in piccola parte collocati presso il più ampio pubblico dei risparmiatori. Solo la banca, tra gli intermediari creditizi, può soddisfare congiuntamente i tre tipi di bisogni precedentemente individuati. Essa peraltro, svolgendo anche le attività di intermediazione mobiliare – tranne quella, riservata, di gestione collettiva del risparmio (Paragrafo 7.6) – può soddisfare direttamente il bisogno di copertura dai rischi finanziari (per esempio, attraverso la predisposizione di appositi contratti a termine o derivati). Lo svolgimento della funzione monetaria, di quella di trasferimento di risorse finanziarie tra unità in surplus e in deficit e di quella – a quest’ultima connessa – di trasformazione e gestione del rischio (dal lato dell’attivo e del passivo), pone la banca al centro di flussi di intermediazione assai complessi, caratterizzati da molteplici relazioni con diversi tipi di clienti e oggetto di attenzione da parte di altri portatori di interesse (stakeholder), oltre alla proprietà, al management e al personale dipendente. In particolare, il servizio di liquidità (offerto mediante i propri depositi e la partecipazione ai sistemi di pagamento) e il servizio di finanziamento (offerto mediante i prestiti), svolti congiuntamente, rendono la banca l’intermediario più importante e più centrale nel sistema finanziario, e quindi oggetto di attento controllo da parte delle Autorità di vigilanza e di quelle preposte al controllo monetario e creditizio. Basti pensare che questi due servizi, pur essendo espletati anche da altri intermediari (creditizi e non: si pensi al servizio di liquidità offerto da un fondo comune; Capitolo 7), dal punto di vista formale concorrono a definire la nozione di banca nell’ordinamento europeo e italiano, mentre dal punto di vista sostanziale si rivelano i due servizi fondamentali per la sopravvivenza e lo sviluppo di qualsiasi sistema economico. Il loro svolgimento congiunto è conveniente (cioè riduce i costi di transazione rispetto agli scambi negoziati sui circuiti diretti), soprattutto se gli intermediari riescono a realizzare economie di costo (di scala, di produzione congiunta, di esperienza e specializzazione). D’altra parte, pur in presenza di un vantaggio di costo, certamente lo svolgimento congiunto delle funzioni in questione può aumentare la probabilità di diffondere contagio nei sistemi finanziari, dovuto al fatto che la mancata prevenzione dei rischi (di credito e di liquidità) da parte delle banche si può trasformare in un rischio specifico per i depositanti delle banche coinvolte (si vedano i molteplici casi avvenuti in Italia e in Europa) e, ancor peggio, in un rischio sistemico (di cui alla fine non sono responsabili solo le banche, ma anche le Autorità e i Governi, come dimostra la recente crisi finanziaria). Nonostante questi pericoli per la stabilità complessiva del sistema finanziario, la limitazione delle attività svolte dagli intermediari creditizi, e in particolare dalla banca, paventata spesso nei momenti di crisi, non appare attualmente né utile né perseguibile (l’articolazione dei sistemi economici e finanziari oggi è ben più complessa rispetto a quella presente ai tempi della grande crisi del 1929). Ciò significa che l’ampia delega che implicitamente ricevono gli intermediari dai propri finanziatori (obbligazionisti e depositanti) deve essere attuata garantendo gli equilibri patrimoniali, finanziari ed economici della gestione (Paragrafo 6.5). In altri termini, l’intermediario creditizio, in particolare quello che raccoglie tra il pubblico e soprattutto la banca in quanto svolgente funzione monetaria tramite una parte rilevante delle proprie passività, deve garantire diritti e attese dei clienti

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dal lato del passivo e dal lato dell’attivo. Su quest’ultimo lato, l’intermediario deve fronteggiare adeguatamente i rischi assunti, evitando che essi si scarichino sul valore dell’attivo e quindi mettano in pericolo gli impegni assunti nei confronti dei datori e della parte sana dei prenditori, oltre che il valore che gli azionisti si attendono. Giova ricordare, a questo proposito, che, sebbene alcuni importanti studi di teoria della banca parlino di attività di monitoraggio delegato, l’intermediario creditizio in generale agisce in conto proprio, cioè negozia in contropartita diretta con i datori e i prenditori di risorse finanziarie, interponendo il proprio stato patrimoniale e quindi assumendo su di sé i rischi di solvibilità e liquidità. Dal punto di vista gestionale, perciò, l’intermediazione creditizia non è caratterizzata da delega, che invece connota le attività svolte dagli intermediari sui circuiti diretti (e quindi nell’ambito dell’intermediazione mobiliare). Per esempio, il depositante è un creditore della banca, mentre il cliente che ottiene un servizio di gestione del proprio portafoglio finanziario è un delegante. Si osservi infine che la funzione pubblica degli intermediari creditizi (nel senso del contributo offerto al benessere complessivo del sistema economico), e in particolare di quelli tra essi configurati come banca, giustifica la rete di sicurezza che viene stesa sotto di essi, il sostenimento di spesa pubblica a tal fine e la richiesta – da parte della clientela, delle Autorità di vigilanza e dei Governi – di svolgere la propria attività di impresa considerando che l’ottenimento del valore per gli azionisti deve essere perseguito rispettando interessi che sono più diffusi, e in questo senso pubblici. L’attuale crisi ha evidenziato con forza quanto tale richiesta sia necessaria in tutti i Paesi del mondo. 6.1.3  Le forme gestionali fondamentali dell’intermediazione creditizia In presenza, nella realtà osservabile in Italia e in altri Paesi, di diversi tipi di intermediari creditizi (monetari e non monetari), di diversi modelli di business (caratterizzati da diversi gradi di focalizzazione/diversificazione), dal diverso spazio economico coperto (da locale a internazionale), da diversi strumenti finanziari utilizzati, da diversi segmenti di clientela e bisogni serviti, è ancora possibile identificare le forme gestionali fondamentali dell’intermediazione creditizia? L’ordinamento italiano, allineato a quanto previsto a livello europeo, precisa le caratteristiche dell’attività bancaria e prevede l’inclusione in un elenco generale (art. 106 del TUB) e in uno speciale (art. 107 del TUB) degli altri intermediari specializzati in attività di intermediazione creditizia (definiti finanziari nell’ordinamento), questi saranno trattati in seguito (leasing, factoring, credito al consumo). Il tratto comune delle attività di intermediazione creditizia (al di là che esse siano svolte da una banca o da intermediari specializzati “non bancari”, cioè non svolgenti funzione monetaria) consiste nella gestione degli attivi, con particolare riferimento all’erogazione di finanziamenti monetari e di firma. La valutazione del merito di credito, e tutte le fasi del processo che porta all’erogazione del finanziamento e poi al monitoraggio del suo rimborso e alla gestione eventuale del suo recupero in caso di non puntuale rimborso dello stesso, sono attività peculiari che richiedono competenze e sistemi informativi specifici. Il contenimento dei rischi di controparte (di credito) – rischi che devono essere adeguati rispetto al capitale investito –, e quindi le scelte di diversificazione del portafoglio prestiti e di non eccessiva concentrazione dello stesso, oltre che il presidio attento dei tassi di insolvenza, sono al centro delle decisioni fondamentali degli intermediari creditizi. Se l’asset management, nel senso qui descritto, caratterizza tutti gli intermediari creditizi, la gestione del passivo e l’integrazione di questa con quella dell’attivo rap-


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Capitolo 6

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Cenni di regolamentazione 6.1 Le norme relative all’esercizio dell’intermediazione creditizia Decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia e successive integrazioni Articolo 1 (Definizioni) Nel presente decreto legislativo l’espressione: […] (b) “banca” indica l’impresa autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria. Articolo 10 (Attività bancaria) 1. La raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria. Essa ha carattere d’impresa. 2. L’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle banche. 3. Le banche esercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali. Sono salve le riserve di attività previste dalla legge. Articolo 11 (Raccolta del risparmio) 1. Ai fini del presente decreto legislativo è raccolta del risparmio l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma. 2. La raccolta del risparmio tra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche. 2-bis. Non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico la ricezione di fondi connessa all’emissione di moneta elettronica. 2-ter. Non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico la ricezione di fondi da inserire in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione di servizi di pagamento (2). 3. Il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio) stabilisce limiti e criteri, anche con riguardo all’attività e alla forma giuridica del soggetto che acquisisce fondi, in base ai quali non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico quella effettuata presso specifiche categorie individuate in ragione di rapporti societari o di lavoro. 4. Il divieto di raccolta del risparmio tra il pubblico non si applica: a) agli Stati comunitari, agli organismi internazionali ai quali aderiscono uno o più Stati co-

munitari, agli enti pubblici territoriali ai quali la raccolta del risparmio è consentita in base agli ordinamenti nazionali degli Stati comunitari; b) agli Stati terzi e ai soggetti esteri abilitati da speciali disposizioni del diritto italiano; c) alle società, per la raccolta effettuata ai sensi del codice civile mediante obbligazioni, titoli di debito o altri strumenti finanziari; d) alle altre ipotesi di raccolta espressamente consentite dalla legge, nel rispetto del principio di tutela del risparmio. 4-bis. Il CICR determina i criteri per l’individuazione degli strumenti finanziari, comunque denominati, la cui emissione costituisce raccolta del risparmio. 4-ter. Se non disciplinati dalla legge, il CICR fissa limiti all’emissione e, su proposta formulata dalla Banca d’Italia sentita la CONSOB, può determinare durata e taglio degli strumenti finanziari, diversi dalle obbligazioni, utilizzati per la raccolta tra il pubblico. 4-quater. Il CICR, a fini di tutela della riserva dell’attività bancaria, stabilisce criteri e limiti, anche in deroga a quanto previsto dal codice civile, per la raccolta effettuata dai soggetti che esercitano nei confronti del pubblico attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. 4-quinquies. A fini di tutela del risparmio, gli investitori professionali, che ai sensi del codice civile rispondono della solvenza della società per le obbligazioni, i titoli di debito e gli altri strumenti finanziari emessi dalla stessa, devono rispettare idonei requisiti patrimoniali stabiliti dalle competenti Autorità di vigilanza. 5. Nei casi previsti dal comma 4, lettere c) e d), sono comunque precluse la raccolta di fondi a vista e ogni forma di raccolta collegata all’emissione o alla gestione di mezzi di pagamento a spendibilità generalizzata. Articolo 13 (Albo) 5. La Banca d’Italia iscrive in un apposito albo le banche autorizzate in Italia e le succursali delle banche comunitarie stabilite nel territorio della Repubblica. 6. Le banche indicano negli atti e nella corrispondenza l’iscrizione nell’albo.


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Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Articolo 14 (Autorizzazione all’attività bancaria) 1. La Banca d’Italia autorizza l’attività bancaria quando ricorrano le seguenti condizioni: a) sia adottata la forma di società per azioni o di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata; a-bis) la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della Repubblica; b) il capitale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato dalla Banca d’Italia; c) venga presentato un programma concernente l’attività iniziale, unitamente all’atto costitutivo e allo statuto; d) sussistano i presupposti per il rilascio dell’autorizzazione prevista dall’articolo 19 per i titolari delle partecipazioni ivi indicate; e) i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo siano idonei, ai sensi dell’articolo 26; f) non sussistano, tra la banca o i soggetti del gruppo di appartenenza e altri soggetti, stretti legami che ostacolino l’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza. 2. La Banca d’Italia nega l’autorizzazione quando dalla verifica delle condizioni indicate nel comma 1 non risulti garantita la sana e prudente gestione. 2-bis. Abrogato 3. Non si può dare corso al procedimento per l’iscrizione nel registro delle imprese se non consti l’autorizzazione del comma 1. 4. Lo stabilimento in Italia della prima succursale di una banca extracomunitaria è autorizzato dalla Banca d’Italia, sentito il Ministero degli Affari Esteri, subordinatamente al rispetto di condizioni corrispondenti a quelle del comma 1, lettere b), c) ed e). L’autorizzazione è rilasciata tenendo anche conto della condizione di reciprocità. 4-bis. La Banca d’Italia emana disposizioni attuative del presente articolo, con particolare riguardo alla procedura di autorizzazione e alle modalità di presentazione dell’istanza, ai criteri di valutazione delle condizioni previste dal comma 1, alle ipotesi di decadenza e di revoca dell’autorizzazione. Articolo 106 (Albo degli intermediari finanziari) 1. L’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservato agli intermediari finanziari au-

torizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia. 2. Oltre alle attività di cui al comma 1 gli intermediari finanziari possono: a) emettere moneta elettronica e prestare servizi di pagamento a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell’articolo 114–quinquies, comma 4, e iscritti nel relativo albo, oppure prestare solo servizi di pagamento a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell’articolo 114–novies, comma 4, e iscritti nel relativo albo; b) prestare servizi di investimento se autorizzati ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; c) esercitare le altre attività a loro eventualmente consentite dalla legge nonché attività connesse o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dalla Banca d’Italia. 3. Il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, specifica il contenuto delle attività indicate nel comma 1, nonché in quali circostanze ricorra l’esercizio nei confronti del pubblico. Articolo 107 (Autorizzazione) 1. La Banca d’Italia autorizza gli intermediari finanziari a esercitare la propria attività al ricorrere delle seguenti condizioni: a) sia adottata la forma di società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e cooperativa; b) la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della Repubblica; c) il capitale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato dalla Banca d’Italia anche in relazione al tipo di operatività; d) venga presentato un programma concernente l’attività iniziale e la struttura organizzativa, unitamente all’atto costitutivo e allo statuto; e) sussistano i presupposti per il rilascio dell’autorizzazione prevista dall’articolo 19 per i titolari delle partecipazioni ivi indicate (1); e-bis) i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo siano idonei, secondo quanto previsto ai sensi dell’articolo 110; f) non sussistano, tra gli intermediari finanziari o i soggetti del gruppo di appartenenza e altri soggetti, stretti legami che ostacolino l’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza;


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Capitolo 6

g) l’oggetto sociale sia limitato alle sole attività di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 106. 2. La Banca d’Italia nega l’autorizzazione quando dalla verifica delle condizioni indicate nel comma 1 non risulti garantita la sana e prudente gestione.

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3. La Banca d’Italia disciplina la procedura di autorizzazione, i casi di revoca, nonché di decadenza, quando l’intermediario autorizzato non abbia iniziato l’esercizio dell’attività, e detta disposizioni attuative del presente articolo.

presentano l’altra componente fondamentale. La gestione equilibrata delle strutture attivo-passivo è propria di tutti gli intermediari in questione: essa presenta livelli superiori di complessità fronteggiata, nel caso delle banche a motivo della natura liquida (a vista) del loro passivo, e quindi del connaturato e ampio sbilanciamento tra durata media (o duration) dell’attivo rispetto al passivo. Ciò significa che l’impegno a rimborsare i depositanti rende la gestione della liquidità (e degli aggiustamenti di sbilanci momentanei dei flussi monetari: la gestione della tesoreria) più difficile e delicata nelle banche rispetto agli altri intermediari creditizi non deposit-based. Inoltre, e come conseguenza di quanto appena precisato, le decisioni circa l’adeguatezza del capitale proprio (in base anche a quanto previsto dalle regole di vigilanza) sono anch’esse centrali nella gestione degli intermediari creditizi, in particolare – per la più ampia trasformazione di rischi, scadenza e liquidità – della banca. Le scelte effettuate dal management e dagli organi di governo degli intermediari creditizi devono garantire quanto richiesto dalle Autorità di vigilanza, cioè una sana e prudente gestione. Adeguatezza del capitale proprio, qualità (soprattutto in termini di contenimento dei rischi di insolvenza) dell’attivo, liquidità dell’attivo, capacità di produrre reddito – e per questa via alimentare il capitale proprio –, capacità di gestire i rischi derivanti dall’esposizione alle variazioni delle condizioni di mercato (tassi, prezzi), qualità del management sono le condizioni per la sana e prudente gestione. Ciò significa definire obiettivi e politiche (di gestione integrata di attivo e passivo, di pricing dei servizi forniti, di dimensionamento efficiente delle risorse tecniche e umane impiegate ecc.) che rispettino condizioni di equilibrio reddituale, finanziario e patrimoniale sostenibili nel medio-lungo periodo. Le cause e le conseguenze dell’attuale crisi finanziaria hanno sottolineato, per l’ennesima volta nella storia dei sistemi finanziari, che gli intermediari creditizi devono saper osservare questi principi, che sono alla base dei profili fondamentali della loro gestione, e devono essere indotti a farlo da un adeguato sistema di regole. Altrimenti essi, non rispettando tali principi, generano costi a carico della collettività, venendo inoltre meno all’importante ruolo propulsivo nei confronti dell’economia reale. Al di là delle situazioni contingenti, che acuiscono la difficoltà della gestione, gli intermediari creditizi devono ottemperare in modo adeguato ai profili di solvibilità, liquidità e redditività della gestione. In particolare, la banca, per conseguire ciò, deve: • assorbire (contenere) i rischi caratteristici della propria attività (di credito, di mercato, operativi ecc.); • mantenere stabilmente nel tempo le condizioni di liquidità e di rischio contrattualmente definite nelle obbligazioni assunte verso i terzi (creditori e mandanti); • assicurare continuità di servizio alla propria clientela (per esempio, servizi di incasso e pagamento);


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

• assicurare continuità di finanziamento della domanda di credito meritevole, in condizioni di efficienza allocativa; • svolgere le funzioni di intermediazione in condizioni di adeguata efficienza operativa. Al di là di quanto riferito allo svolgimento della funzione monetaria, tali principi si applicano a tutti gli intermediari creditizi (e, in parte, ad altri tipi di intermediari).

6.1.4  L’intermediazione creditizia in evoluzione: vantaggi e limiti

Agenzia di rating: società privata specializzata, che esprime la valutazione del merito di credito di un soggetto emittente obbligazioni sui mercati finanziari internazionali, ovvero la stima della probabilità che questi faccia fronte puntualmente al servizio del debito. Il rating fornisce agli operatori finanziari un’informazione omogenea sul grado di rischio degli emittenti e riveste una grande importanza per gli investitori che non sono in grado di effettuare autonomamente l’analisi del rischio di credito.

La crisi finanziaria che stiamo attraversando ha accentuato l’attenzione di studiosi, Autorità e pubblico in generale sull’attualità e l’utilità dell’intermediazione creditizia tradizionale. In Italia, soprattutto a partire dalle riforme dell’attività bancaria e delle attività di intermediazione sui mercati finanziari, entrambe avvenute negli anni novanta del secolo scorso, ci si è interrogati sui vantaggi e sui limiti della complementarità, nell’ambito di uno stesso intermediario (tipicamente una banca), di attività di intermediazione creditizia e di intermediazione mobiliare. La crisi, per come si è manifestata, da un lato ha portato molti osservatori prima a mettere in dubbio e poi a rimpiangere la sopravvivenza del modello di intermediazione creditizia tradizionale, in cui il finanziamento viene originato dall’intermediario, il quale, dopo aver svolto un’attenta valutazione del merito di credito e dei rischi assunti nell’operazione, detiene il prestito nel proprio stato patrimoniale (modello OTH, Originate-To-Hold). Dall’altro lato, sono stati criticati con intensità crescente gli effetti negativi che si generano quando l’intermediario che origina i prestiti li cede a una società veicolo, che li trasforma in titoli strutturati (cartolarizzazione) da collocare presso gli investitori (modello OTD, Originate-To-Distribute): in questi casi, si afferma, l’intermediario allenta il proprio autonomo giudizio sul merito di credito e sui rischi connessi alle operazioni, delegando in toto ad altri la valutazione di questi profili, in particolare alle agenzie di rating. Inoltre l’intermediario, abbandonando la raccolta diretta al dettaglio (depositi) a favore della raccolta all’ingrosso sui mercati finanziari (interbancario, emissioni di carta commerciale) e delle entrate derivanti dalla cartolarizzazione dei prestiti concessi, e spingendo l’indebitamento oltremisura (uso eccessivo della leva finanziaria), si espone a rischi di liquidità dipendenti dal mercato dei capitali e dal comportamento di alcune (poche) grandi banche internazionali, che possono portarlo verso lo stato di insolvenza. Rinviamo per approfondimenti alla lettura di contributi specifici sulla crisi del modello OTD e sui rimedi proposti, i quali partono dalla considerazione che “non è il modello OTD o la cartolarizzazione in sé che sono problematici. Piuttosto, questi problemi, e le sottese debolezze che diedero origine a essi, dimostrano che i prerequisiti del modello OTD devono essere rinforzati” (Financial Stability Forum, 2008). Qui ci si limita a riportare alcune considerazioni sull’evoluzione dell’intermediazione creditizia e sui relativi vantaggi e limiti. In primo luogo, i modelli di business degli intermediari che svolgono, in modo più o meno specialistico, attività di intermediazione creditizia, sono assai vari: si va da una banca al dettaglio che opera a livello locale sia per la raccolta sia per gli impieghi in prestiti in contropartita di famiglie e piccole imprese, a una grande banca internazionale che effettua raccolta all’ingrosso sui mercati finanziari, impiega in larga parte sugli stessi mercati e finanzia grandi imprese, ricorrendo in modo sistematico alle cartolarizzazioni e a complessi strumenti finanziari. In mezzo, tra gli


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L’intermediazione creditizia

estremi, trovano collocazione svariati modelli di intermediazione creditizia, più o meno diversificati e collegati ad altre attività di intermediazione. In ogni caso, com’è osservabile anche in Italia soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ottanta del secolo scorso, l’ampliamento dei mercati di strumenti finanziari ha mutato sia l’offerta degli intermediari sia la domanda di famiglie e imprese. Per effetto di ciò, il modello tradizionale dell’intermediazione creditizia si è trovato sempre più connesso, seppur in misura diversa da intermediario a intermediario (e comunque con ampiezza maggiore per le banche), con le attività di intermediazione mobiliare: banche e mercati, in sintesi, si trovano da tempo strettamente legati e complementari nei sistemi finanziari avanzati. I vantaggi di questo sviluppo dei modelli tradizionali dell’intermediazione creditizia, favorito da ondate progressive di innovazione finanziaria e deregolamentazione, sono evidenti sia per gli operatori sia per gli intermediari. Dal lato della domanda di servizi finanziari, tutti gli operatori (famiglie, imprese, enti pubblici) hanno potuto fruire di nuovi strumenti con cui diversificare le proprie fonti finanziarie e le destinazioni del risparmio: maggiori alternative di finanziamento, di investimento, di regolazione degli incassi e dei pagamenti hanno creato migliori opportunità di soddisfazione dei diversi bisogni presenti. L’ampliamento degli strumenti e dei mercati utilizzati ha favorito anche la diversificazione delle fonti di ricavo e dei rischi per gli intermediari creditizi. D’altra parte, le stesse origini dei vantaggi per operatori e per intermediari sono alla base dei limiti e dei rischi insiti nel passaggio da modelli tradizionali di intermediazione creditizia (basati sul presidio, da parte degli intermediari, dell’equilibrio tra attivo e passivo e su una gestione in proprio di liquidità e patrimonio) a modelli aperti ai mercati e alla volatilità degli stessi, dove liquidità, redditività e solvibilità dipendono sempre più da reti di relazioni spesso difficilmente controllabili dagli intermediari stessi. Questo è anche il motivo di fondo per cui si sono rinforzati, nel corso degli ultimi vent’anni, gli interventi delle Autorità di vigilanza e di altri organi quali il Fondo Monetario Internazionale, anche se questi non sono bastati a evitare crisi finanziarie e bancarie di rilievo proprio per la difficoltà di individuare in tempo le interdipendenze tra gli intermediari e quindi per l’impossibilità di prevenire la diffusione del contagio. L’evoluzione dell’intermediazione creditizia, con la sua progressiva apertura ai mercati finanziari, appare come un fenomeno non arrestabile, ma che deve essere meglio governato, a livello sia di singolo intermediario (soprattutto in riferimento ai profili gestionali tipici: impieghi in prestiti, raccolta delle risorse finanziarie, rischio di liquidità, altri rischi, capitalizzazione) sia di regolamentazione e vigilanza. I fondamentali dell’intermediazione creditizia (in primo luogo, la valutazione del merito di credito) non sono mutati, e vanno utilizzati con attenzione anche in un mercato creditizio che è certamente cambiato – per effetto delle innovazioni finanziarie e della deregolamentazione – ma in cui i concetti di trasformazione, di rischi assunti (e di capacità di gestirli), di utilizzo efficiente (in termini operativi e allocativi) delle informazioni e del patrimonio sono tuttora centrali. La crisi finanziaria ha gettato luce sui gap informativi e di monitoraggio dei rischi presenti sia dal lato dell’offerta sia dal lato della domanda di risorse finanziarie, coinvolgendo anche gli intermediari creditizi che dovrebbero, per la natura dell’attività svolta, essere in grado di colmare questi gap. In particolare, essa ha confermato che obiettivi di profitto nel breve termine, sostenuti da contesti favorevoli in termini di elevata liquidità e bassi tassi di interesse, spingono gli intermediari ad aumentare la velocità della crescita dei prestiti (grazie al modello OTD) utilizzando in modo eccessivo la leva finanziaria, sino a perdere progressivamente il controllo dei rischi e arrivando a dover svalutare pesantemente il valore dei propri attivi (e quindi a ot-

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6.1

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Approfondimento Modelli di intermediazione in evoluzione tra banche e mercati

Banche e mercati svolgono funzioni complementari nell’allocazione delle risorse, nella distribuzione del rischio, nella creazione di liquidità. Negli anni più recenti i confini tra queste due componenti del sistema finanziario si sono progressivamente attenuati a causa dei cambiamenti normativi e tecnologici, dell’evoluzione della domanda, del rapido processo di innovazione finanziaria; le loro funzioni hanno mostrato una progressiva convergenza. La crisi dei mutui subprime ha interrotto questo processo, mettendo in discussione il modello di intermediazione finanziaria basato sullo stretto collegamento tra banche e mercati. La convergenza tra banche e mercati Nel modello di intermediazione tradizionale, le banche concedono finanziamenti, vagliando le caratteristiche dei propri clienti dal momento della concessione a quello del rimborso del prestito; esse forniscono inoltre servizi di pagamento e di liquidità, trasformando depositi a breve termine in finanziamenti a più lunga scadenza. I mercati consentono invece di stabilire una relazione diretta tra gli operatori che offrono fondi e quelli che richiedono finanziamenti; il loro ordinato funzionamento richiede pertanto un flusso continuo di informazioni accurate e tempestive. In passato – in presenza di imprese di piccole dimensioni e poco trasparenti e di un basso grado di protezione dei creditori e degli azionisti di minoranza – le banche hanno svolto in molti Paesi un ruolo preminente. Nel tempo, la maggiore disponibilità di informazioni, la crescita dimensionale delle imprese, la maggiore complessità delle loro esigenze finanziarie, i progressi nel campo del diritto societario hanno ampliato il ruolo dei mercati. Già alla metà degli anni novanta era evidente come i mercati e gli intermediari non bancari stes-

sero progressivamente erodendo l’attività delle banche nei diversi comparti del sistema finanziario. Negli ultimi dieci anni la capitalizzazione di Borsa è raddoppiata negli Stati Uniti (a circa 20 000 miliardi di dollari), è triplicata in Europa (a 17 000 miliardi). Tra il 2000 il 2007 il valore nozionale dei derivati OTC (Over The Counter) è passato da meno di 100 000 a circa 600 000 miliardi di dollari. Si sono formati nuovi mercati, che hanno raggiunto dimensioni considerevoli. Nel 2006 negli Stati Uniti l’attivo delle banche era sceso a circa il 10% del totale delle attività finanziarie complessive; nei principali Paesi europei l’analoga quota oscillava tra il 25% e il 35%. Gli sviluppi che ho appena descritto sono stati sospinti in primo luogo da fattori di offerta quali la deregolamentazione, il progresso tecnologico, l’innovazione finanziaria, che hanno contribuito ad accrescere la disponibilità di strumenti per la gestione dei rischi e ad ampliare le combinazioni possibili di rischio e rendimento. Al tempo stesso, la globalizzazione e i guadagni di efficienza derivanti da economie di scala hanno stimolato lo sviluppo di mercati cross border e il consolidamento di mercati nazionali in precedenza segmentati, aumentandone la liquidità e riducendone i costi di transazione. L’innovazione finanziaria, attraverso tecniche quali la cartolarizzazione, ha accresciuto il grado di standardizzazione delle attività finanziarie. Dal lato della domanda mi limiterò a citare solo i principali tra i fattori che hanno concorso allo sviluppo dei mercati. Da un lato, l’invecchiamento demografico e le riforme del sistema pensionistico attuate in più Paesi hanno reso le famiglie più direttamente responsabili del finanziamento della loro assistenza sanitaria e dell’accumulo di ricchezza pensionistica; corrispondentemente, è aumentata la

tenere un risultato opposto a quanto atteso: la distruzione di valore per gli azionisti e la generazione di costi a carico della collettività). In sintesi, mentre l’intermediazione creditizia si evolve e si fa sempre più interdipendente con quella mobiliare nei diversi modelli di business, è necessario che gli intermediari non perdano di vista i principi fondamentali della gestione né, soprattutto, la centralità dell’uso attento delle informazioni nella valutazione del merito di credito e l’attenzione costante ai bisogni della clientela (seguendo l’approccio relazionale e fiduciario che è connaturato all’intermediazione creditizia). Gli sviluppi della regolamentazione e della vigilanza (di cui si tratta nei Capitoli 10 e 11), pur necessari, non devono far dimenticare che un’adeguata cultura del rischio è una componente centrale dell’etica di governo e gestione dell’attività creditizia e che essa è responsabilità principale dei vertici aziendali degli intermediari.


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Capitolo 6

quota di risparmio investita in prodotti assicurativi e previdenziali. Dall’altro lato, negli ultimi anni il livello eccezionalmente basso dei tassi di interesse e la conseguente forte domanda di abitazioni hanno alimentato la crescita dei mutui, in qualche Paese concessi anche da intermediari non bancari. Infine, il credito al consumo è divenuto parte del nostro stile di vita. Lo sviluppo dei mercati ha sospinto quello degli intermediari non bancari, quali i fondi di private equity e le società di venture capital. Le ristrutturazioni societarie – sempre più frequenti nelle moderne economie industriali – richiedono a loro volta un volume di finanziamenti assai ampio, reperibile agevolmente solo presso una pluralità di investitori e di fonti di finanziamento. Nel periodo più recente hanno assunto rilievo nuovi attori, quali i fondi sovrani (Sovereign Wealth Funds) provenienti da Paesi emergenti. Evoluzione dell’attività delle banche Le banche – in particolare quelle più grandi e operanti a livello internazionale – hanno risposto alle opportunità dischiuse dallo sviluppo dei mercati estendendo le proprie funzioni oltre il tradizionale modello di intermediazione. Hanno in primo luogo “frammentato” l’attività di concessione del credito, cedendo ad altri operatori finanziari i prestiti da esse stesse in precedenza erogati. Dal lato della raccolta, hanno diversificato le fonti di finanziamento, accrescendo il peso delle componenti all’ingrosso e riducendo quello dei tradizionali depositi al dettaglio. Le banche sono oggi intermediari che forniscono liquidità e, al tempo stesso, un’ampia gamma di strumenti di finanziamento con un elevato grado di complessità; a differenza che in passato, esse non sono più caratterizzate dalla specifica natura delle loro attività e passività. Il volume delle attività di bilancio – in particolare i crediti – pertanto non rap-

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presenta più correttamente l’importanza delle banche all’interno del sistema finanziario. Le trasformazioni appena descritte non hanno ridotto l’importanza delle banche: al contrario, nonostante il cambiamento avvenuto nella composizione dei loro ricavi, il loro ruolo è nel complesso maggiore oggi rispetto al passato. Negli Stati Uniti la quota dei ricavi da servizi sul margine di intermediazione è salita dal 20% dei primi anni ottanta all’attuale 45%. Andamenti simili si osservano in molti Paesi europei, dove alle banche fa capo una quota rilevante del mercato del risparmio gestito. I legami sempre più stretti tra banche e mercati pongono nuove sfide. L’attività di cartolarizzazione impone alle banche di detenere ammontari cospicui di attività finanziarie, inclusi i prestiti che saranno successivamente ceduti e le tranche detenute – direttamente o mediante veicoli fuori bilancio – al fine di facilitare la vendita delle altre tranche derivanti dalle cartolarizzazioni. Nell’ultimo anno la volatilità dei mercati ha influenzato la redditività delle banche assai più del previsto, annullando di fatto i benefici derivanti dalla diversificazione dei ricavi. Dal lato del passivo, la dipendenza della raccolta bancaria dai mercati all’ingrosso ha ampliato l’instabilità e i rischi di contagio, soprattutto a livello internazionale. In sintesi, nonostante il settore finanziario sia oggi più complesso e articolato, con un maggior numero di passaggi attraverso cui il risparmio viene intermediato, le banche rimangono al cuore del sistema. L’esperienza dei mesi più recenti mostra come le difficoltà dei mercati e delle banche possano alimentarsi a vicenda, fino a minacciare la stabilità dell’intero sistema finanziario globale. Fonte: Draghi (2008)

6.2 •  Gli strumenti dell’intermediazione creditizia 6.2.1  Gli strumenti di raccolta delle banche La raccolta di risorse finanziarie a titolo di debito da parte delle banche avviene con diversi strumenti, collocati presso diversi tipi di operatori (intermediari finanziari e altri operatori, residenti e non residenti nel Paese in cui la banca è stata autorizzata, nel nostro caso l’Italia). La Banca d’Italia, nelle sue statistiche, distingue tra due macrocategorie di strumenti: depositi e obbligazioni. Tra i primi vengono inclusi: i conti correnti, i depositi con durata prestabilita e quelli rimborsabili con preavviso, le passività subordinate stipulate con una forma tecnica diversa dalle obbligazioni, le operazioni di pronti contro termine passive. I depositi in conto corrente comprendono anche gli assegni circolari, mentre non comprendono i conti correnti vincolati. I de-


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Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Raccolta all’ingrosso: raccolta effettuata attraverso poche operazioni di rilevante importo unitario nei confronti di altre banche, imprese non finanziarie e pubbliche amministrazioni. Raccolta al dettaglio: raccolta effettuata attraverso numerose operazioni di modesto importo unitario nei confronti di clientela retail.

positi con durata prestabilita includono i certificati di deposito, compresi quelli emessi per la raccolta di prestiti subordinati, i conti correnti vincolati e i depositi a risparmio vincolati. I depositi rimborsabili con preavviso comprendono i depositi a risparmio liberi e altri depositi non utilizzabili per pagamenti al dettaglio. Tra le seconde sono comprese le obbligazioni ordinarie (emesse con durata media non inferiore ai 24 mesi) e quelle garantite (covered bond); si veda al riguardo il Capitolo 3. Le politiche di raccolta sono differenti a seconda del tipo di operatori ai quali ci si rivolge e degli strumenti utilizzati. Nello specifico, le banche impostano le proprie politiche di raccolta in base alle dimensioni, al tipo di attività di intermediazione (creditizia, mobiliare) prevalente, al segmento di clientela a cui si orientano (imprese di diversa dimensione, privati, clienti istituzionali, ovvero altri intermediari, pubbliche amministrazioni). Tali politiche assumono quindi grande varietà nello spazio (tra banche caratterizzate da diverse dimensioni e diverse tipologia e ampiezza di attività svolte) e nel tempo (dalla stessa banca nel corso del proprio sviluppo, secondo la congiuntura presente sui diversi mercati di raccolta e le strategie di intermediazione seguite). Peraltro, le scelte inerenti alle politiche di raccolta a titolo di debito non possono prescindere dalle scelte di composizione dell’attivo e dalle politiche seguite con riferimento al patrimonio. Le banche, infatti, attraverso scelte combinate rispetto alle passività e attività finanziarie e al patrimonio cercano di conseguire congiuntamente adeguati equilibri di gestione (Paragrafo 6.5) sotto il profilo economico, finanziario e patrimoniale. Nella Figura 6.1 si presenta la composizione del passivo delle banche italiane, che evidenzia, tra l’altro, le fondamentali forme tecniche (depositi e obbligazioni) e le principali controparti (residenti e non residenti, Eurosistema, controparti centrali – in Italia la Cassa di Compensazione e Garanzia). In questo paragrafo vengono presentate solo alcune forme tecniche adottate nelle operazioni di raccolta dalla banca. Si rimanda ai Capitoli 3 e 5 per la trattazione delle obbligazioni bancarie e per approfondimenti relativi alla raccolta sul mercato interbancario. Nel linguaggio corrente utilizzato nei bilanci bancari, si distingue tuttora tra raccolta diretta (qui trattata con le limitazioni di strumenti appena ricordate) e raccolta indiretta. Quest’ultima consiste nella raccolta di risorse finanziarie a titolo non oneroso che, in base alle scelte e alle indicazioni della clientela, vengono destinate a investimenti intestati alla clientela stessa. Si tratta del cosiddetto “risparmio amministrato” e di quello “gestito” (in particolare, investimenti in titoli accompagnati dal servizio di custodia e amministrazione e gestioni individuali di patrimoni; Capitolo 7). Questo tipo di raccolta non ha manifestazione patrimoniale (non rientra tra le passività onerose della banca): in tal senso, originando ricavi da commissioni e provvigioni, si può dire che generi risorse finanziarie per la banca. Con la raccolta diretta la banca, attraverso proprie passività, si pone l’obbligo di rimborsare a scadenza il capitale ricevuto e di corrispondere al cliente la remunerazione (interessi) pattuita. Tale raccolta può avvenire con operazioni di ammontare medio unitario elevato (raccolta all’ingrosso) o basso (raccolta al dettaglio). In entrambi i tipi di raccolta (all’ingrosso o al dettaglio) si può ricorrere a diversi strumenti. Si osserva un prevalente ricorso dei seguenti strumenti nella raccolta al dettaglio: • • • • •

depositi bancari; certificati di deposito; conti correnti di corrispondenza; pronti contro termine; obbligazioni bancarie.


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Depositi da residenti

Passività nette verso controparti centrali

Depositi da non residenti

Obbligazioni all'ingrosso

Obbligazioni al dettaglio

Rifinanziamento da Eurosistema

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Raccolta complessiva Fonte: segnalazioni di vigilanza. (1) La somma dei contributi è pari alla variazione percentuale sui 12 mesi della raccolta complessiva. Le variazioni percentuali delle singole componenti sono calcolate al netto degli effetti di riclassificazioni, variazioni di cambio, aggiustamenti di valore e altre variazioni non derivanti da transazioni. Non sono considerate le passività nei confronti delle Istituzioni fnanziarie monetarie residenti. Le passività nette nei confronti di controparti centrali rappresentano la raccolta in pronti contro termine con non residenti effettuata per mezzo delle controparti centrali. La variazione sui 12 mesi dei depositi da residenti terminanti nel novembre 2015 potrebbe rifettere gli effetti della diversa scadenza fiscale per i versamenti in autotassazione, fissata nel 2015 al 30 novembre e nel 2014 al 1° dicembre.

Figura 6.1 Crescita della raccolta in Italia: contributi delle diverse componenti (1) (dati mensili; punti percentuali; variazioni sui 12 mesi). Fonte: Banca d’Italia, Relazione Annuale 2015, p. 154.

La raccolta al dettaglio, in genere meno onerosa per la banca di quella all’ingrosso, coinvolge una cerchia numerosa e indifferenziata di clienti depositanti che compiono con la banca operazioni normalmente a basso importo unitario, collegate alla richiesta di accesso a diversi servizi per soddisfare due tipi di bisogni: la gestione degli incassi e dei pagamenti e l’investimento del risparmio. A parte la componente obbligazionaria (per definizione, orientata all’investimento), la clientela al dettaglio chiede alla banca di poter disporre di depositi moneta, essenzialmente rivolti alla gestione monetaria, e depositi tempo per l’investimento dei propri risparmi. Tipico deposito moneta è il conto corrente di corrispondenza, la cui apertura presso una banca è il primo passo per ottenere successivamente molteplici altri servizi. Nella raccolta diretta all’ingrosso si utilizzano i seguenti strumenti: • obbligazioni bancarie; • depositi interbancari; • commercial paper e pronti contro termine. Queste operazioni, in genere più rapide nel coprire i fabbisogni e anche più onerose, sono di taglio unitario elevato e vengono realizzate sulla base di rapporti intrattenuti


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

selettivamente con poche controparti (per esempio, banche, imprese non finanziarie, pubbliche amministrazioni), su mercati aperti e altamente competitivi. Nella raccolta all’ingrosso è del tutto assente la funzione monetaria. Nel seguito ci concentreremo sull’analisi delle operazioni di raccolta diretta effettuata al dettaglio dalla banca e in particolare sui seguenti strumenti: depositi bancari (a risparmio libero e vincolato), certificati di deposito, conti correnti di corrispondenza e operazioni pronti contro termine. I depositi bancari I depositi bancari consentono di raccogliere mezzi monetari indispensabili per lo svolgimento della funzione di intermediazione creditizia. Si tratta di una forma di raccolta molto tradizionale che permette di sottrarre al consumo delle risorse in modo duraturo o temporaneo (a seconda della forma tecnica scelta). Il deposito svolge un’importante funzione sociale attraverso il dirottamento dei risparmi verso le imprese, che li utilizzano per realizzare investimenti produttivi e conseguentemente favorire l’espansione del reddito nazionale e dell’occupazione. Dal punto di vista giuridico, il deposito bancario rappresenta un contratto unilaterale, con obbligazioni unicamente a carico della banca. Esso coinvolge due soggetti: il depositante (il cliente), che deposita le somme di denaro, e il depositario (la banca), che riceve la somma in deposito. È un contratto reale che si perfeziona alla consegna del denaro depositato, ed è oneroso in quanto (in proporzione al denaro depositato) la banca si impegna a corrispondere periodicamente al cliente una remunerazione rappresentata dall’interesse. Secondo la definizione fornita all’articolo 1834 del codice civile, con il rinvio all’articolo 1782 dello stesso codice civile, i depositi bancari sono appartenenti alla fattispecie giuridica dei depositi irregolari. Questo significa che, al momento della consegna delle somme di denaro presso le casse della banca, la proprietà delle stesse si trasferisce dal depositante al depositario con la conseguente possibilità da parte di quest’ultimo di utilizzare i capitali versati. Coloro che depositano somme di denaro in banca possono avere differenti esigenze e motivazioni. Possiamo genericamente individuare tre categorie di depositanti: • coloro che depositano in banca i propri risparmi di importo molto modesto, messi da parte in previsione di future esigenze (depositi a lungo periodo); • coloro che versano in banca somme considerevoli solo a titolo transitorio per poi destinarle successivamente a forme più remunerative di investimento finanziario (depositi a breve periodo); • coloro che usano il deposito essenzialmente con funzioni monetarie, variando con frequenza il relativo ammontare del capitale. I depositi bancari possono essere classificati sulla scorta dei seguenti criteri: • • • •

modalità di restituzione del denaro; modalità di attuazione del rapporto; durata del contratto sottoscritto; tipologia di contratto.

In base alla modalità di restituzione del denaro, si distingue tra depositi bancari liberi e vincolati. Nel primo caso il cliente può pretendere il rimborso della somma di denaro in qualsiasi momento rispettando i termini di preavviso contrattuali; nel


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Capitolo 6

L’intermediazione creditizia

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secondo caso, invece, il depositante può pretendere il rimborso della somma di denaro solo alla scadenza prestabilita. In base alla modalità di attuazione del rapporto, si distingue tra: • depositi semplici, in cui il depositante versa una somma di denaro e la ritira in un’unica soluzione; • depositi a risparmio, comprovati da un libretto di deposito, in cui il cliente può intervenire eseguendo prelevamenti e/o versamenti; • conti correnti, oggetto di numerose movimentazioni. In base alla durata del contratto sottoscritto, i depositi possono essere rimborsabili a vista, ossia in un tempo molto breve; rientrano in questa categoria i depositi liberi. I depositi con preavviso sono invece quelli in cui il cliente può rientrare in possesso delle somme solo dopo preavviso dato alla banca (in genere stabilito e prefissato nel contratto di deposito). Infine, nei depositi a scadenza fissa il depositante può ritirare le somme depositate solo alla scadenza del contratto sottoscritto. Venendo all’ultimo criterio di classificazione, in base alla tipologia di contratto sottostante distinguiamo fra depositi a risparmio libero, depositi a risparmio vincolato a scadenza fissa o a scadenza indeterminata, certificati di deposito, conti correnti di corrispondenza e altre forme personalizzate di risparmio (per esempio, raccolta di pronti contro termine). I depositi a risparmio I depositi possono assumere contrattualmente la forma di libretto (nel caso di depositi liberi e vincolati) o di certificato (nella fattispecie dei certificati di deposito). Nei depositi a risparmio, il libretto rappresenta lo strumento che consente al risparmiatore di esercitare tutti i diritti che gli derivano dalla stipulazione del contratto sottoscritto con la banca e gli permettono di movimentare il deposito mediante prelevamenti e versamenti. Ogni operazione deve avere luogo presso la dipendenza della banca e dietro esibizione del libretto da parte del cliente o del suo legittimo possessore. Dal punto di vista dell’intestazione, i libretti possono essere nominativi o al portatore. Il libretto di deposito nominativo è un documento di legittimazione, poiché conferisce all’intestatario la qualifica di originario titolare del rapporto di deposito e, pertanto, unico individuo che possa compiere delle operazioni. Al suo interno è specificamente indicato che si tratta di un libretto nominativo e all’apertura del deposito il legittimo proprietario appone la sua firma su un apposito modulo/scheda chiamato “specimen”, al fine di permettere alla banca di confrontare la firma di colui che esegue il prelevamento e quella depositata. I libretti di deposito nominativi possono essere intestati a più persone che, dopo aver depositato la propria firma in banca, sono legittimate a effettuare prelevamenti e operazioni. Il libretto nominativo non è trasferibile, quindi per il trasferimento del credito si applicano le norme sulla cessione del credito con contestuale cambiamento dell’intestazione. In caso di morte dell’intestatario i diritti si trasferiscono ai suoi legittimi eredi. Il libretto di deposito al portatore è un titolo di credito che può circolare con la semplice consegna. Nel libretto è specificamente indicato che è al portatore. In questo caso la banca non è tenuta a verificare le generalità di chi si reca in banca per eseguire il prelevamento.1

Libretto di deposito: documento di legittimazione nominativo o al portatore che rappresenta la titolarità di un deposito, su cui si annotano le operazioni di versamento e di prelievo.


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Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Per la legge italiana antiriciclaggio (D.lgs. n. 231 del 21 novembre 2007) i libretti di deposito al portatore non possono avere un saldo pari o superiore a 1000 euro e, per la legge sugli accertamenti bancari, chiunque si presenti allo sportello per operare in qualunque modalità con un libretto al portatore deve presentare un documento di identità e il codice fiscale. Nel 2010 il saldo massimo era stato abbassato a 4999,99 euro rispetto al limite di 12 500 euro stabilito nel 2008. La Legge del 28 dicembre 2015 n. 208 (Legge di Stabilità 2016) ha confermato il limite di 1000 euro, reintrodotto dal D.lgs. del 6 dicembre 2011 n. 201; invece, il limite massimo di denaro trasferibile mediante libretto è stato portato da 1000 a 2999,99 euro: è dunque legittimo raggiungere tale soglia mediante più operazioni; per importi pari Approfondimento 6.1w o superiori a 3000 euro occorre utilizzare strumenti di pagamento tracciabili. “D.lgs. n. 231 del 2007 I depositi a risparmio si distinguono in liberi e vincolati. e successive modifiche” I depositi liberi sono esigibili a vista, per cui al depositante è riconosciuto il diritto di ottenere a richiesta l’immediato rimborso delle disponibilità versate. Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, solitamente le operazioni avvengono presso uno sportello unico dove opera un terminalista-cassiere. All’atto del versamento il cliente è obbligato a compilare una distinta di versamento. Essendo le operazioni svolte con denaro Valuta: data a partire dalla contante, viene attribuita valuta giornaliera. La valuta è la data a partire dalla quale quale le somme accreditate le somme accreditate iniziano a produrre interessi e quelle addebitate cessano di iniziano a produrre interessi produrre interessi. Viene assegnata la stessa valuta anche se si effettuano operazioni e le somme addebitate cessano di produrre interessi. con assegni emessi dalla banca o tratti su banche diverse. Il tasso di interesse subisce frequenti variazioni in relazione alle condizioni del mercato e può differire da banca a banca. Sovente il tasso viene graduato per scaglioni di consistenza media (sono cioè applicate delle scale di tassi). Le eventuali variazioni di tasso vengono portate a conoscenza del depositante con apposite comunicazioni, in modo tale che egli possa recedere entro 60 giorni dal ricevimento della suddetta. La variazione ha valuta il giorno antecedente a quello da cui decorre il nuovo tasso. Gli interessi sono calcolati automaticamente dal CED (Centro Elaborazione Dati) con il metodo scalare amburghese, cioè sulla base dei “numeri” ottenuti moltiplicando i saldi del conto per i giorni che decorrono dalla valuta a quella successiva. La capitalizzazione degli interessi può essere: • annuale; • semestrale; • trimestrale. Gli interessi accreditati sono al netto della ritenuta fiscale del 27%. Le banche addebitano una somma a titolo di spese forfettarie e un importo per ogni operazione compiuta. I depositi vincolati, invece, sono così denominati perché si caratterizzano per l’esistenza di alcune limitazioni che si traducono, peraltro, in una remunerazione più elevata. Tali limitazioni possono riguardare la presenza di un termine per riscuotere il denaro da parte del cliente (depositi a scadenza fissa), per cui la banca si impegna a rimborsare soltanto a una scadenza prestabilita le somme ricevute, oppure la necessità di segnalare con un preavviso (depositi con preavviso), per cui il depositante può richiedere il rimborso in qualunque momento, ma previo preavviso. I depositi vincolati si differenziano dai depositi liberi per: • una più bassa movimentazione; • un più limitato grado di liquidità; • un più elevato livello di remunerazione.


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Per quanto concerne la capitalizzazione degli interessi, le soluzioni possono essere diverse: • si capitalizzano alla scadenza del vincolo, e perciò a fine anno sarà necessario calcolare i ratei passivi; • si capitalizzano a fine anno. I tassi di solito sono graduati in funzione della consistenza del deposito e della durata del vincolo. Anche sugli interessi dei depositi vincolati è calcolata la ritenuta del 27%. I principali parametri che vengono utilizzati per analizzare i depositi (liberi e vincolati) sono: • consistenza media, che indica l’ammontare delle somme mediamente depositate in un certo periodo (totale numeri/totale giorni); • movimentazione, che esprime la frequenza e l’entità dei versamenti e dei prelevamenti in un certo periodo; • giacenza media, che denota il periodo medio di permanenza delle somme depositate ed è dunque indice di stabilità ([consistenza/saldo iniziale + totale versamenti]/365); • velocità di circolazione, che rappresenta il numero delle volte che il deposito si rinnova completamente in un certo periodo. I certificati di deposito I certificati di deposito sono titoli di credito emessi da una banca per reperire risorse finanziarie a scadenza fissa e rappresentano una forma moderna di raccolta di risparmio vincolato più vicina, dal punto di vista pratico, agli strumenti del mercato finanziario che non alle altre tipologie di depositi. Rispetto agli altri valori mobiliari, tuttavia, sono strumenti del tutto individuali e ognuno di essi rappresenta una specifica operazione di prestito. I certificati di deposito sono titoli trasferibili rilasciati a fronte di somme di denaro depositate per un certo periodo e costituiscono quindi una forma di raccolta vincolata a tempo con un rendimento superiore rispetto alle altre, permettendo alla banca di fronteggiare la concorrenza generata da ulteriori tipi di investimento in titoli di Stato. Generalmente i certificati di deposito sono emessi al portatore (sebbene talvolta possano anche essere nominativi). In base alla variabile tempo, si distinguono due tipologie di certificato di deposito: quelli compresi fra i 3 e i 18 mesi e quelli fra i 18 e i 60 mesi. I primi possono essere emessi liberamente dalla banca, i secondi, invece, trovano una limitazione nel volume quantitativo di prestito erogato dalla banca. Elementi essenziali del certificato di deposito sono la data di emissione, la scadenza, l’importo, la denominazione di certificato di deposito, il beneficiario, la banca di emissione, il tasso di interesse lordo e netto e la ritenuta fiscale. Gli importi dei certificati di deposito possono essere a taglio fisso (2500, 5000, 25 000, 50 000, 250 000 euro) o a taglio aperto (comunque multipli di 2500 euro) o anche pari a 1000 euro. Il tasso di interesse è fisso per tutta la durata dei certificati di deposito emessi fra i 3 e i 18 mesi, è invece anche variabile per quelli emessi fra i 18 e i 60 mesi. La remunerazione deve essere corrisposta al momento del rimborso per i certificati di deposito a breve, per gli altri la corresponsione dei frutti maturati può anche essere periodica.

Approfondimento 6.2w “I depositi  a risparmio libero”


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Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Approfondimento 6.3w “Aliquota fiscale dei certificati di deposito”

Approfondimento 6.4w “Esempio cc, staffa, prospetto, pronti contro termine ed esercizio sul cc”

La ritenuta fiscale è del 27% indipendentemente dalla scadenza. Al fine di offrire sempre nuovi strumenti, le banche hanno concepito altre forme di raccolta. I certificati di deposito possono essere a tasso fisso o variabile. Tra quelli a tasso fisso rientrano gli zero-coupon, cioè a cedola zero, ove, anziché un rendimento, sono previsti un valore di sottoscrizione e un valore di rimborso: la differenza costituisce la remunerazione. Nella categoria a tasso variabile rientrano quelli assoggettati a parametri di indicizzazione, ovvero con revisione periodica dei tassi. I certificati di deposito corridor sono invece quelli che evidenziano contenuti speculativi: prevedono una cedola minima, il rimborso del capitale e un premio alla scadenza, corrisposto se il titolo si è mantenuto nel parametro di oscillazione individuato. Più elevato è il premio e più è appetibile il certificato di deposito corridor. I certificati di deposito possono essere emessi anche in valuta estera. I conti correnti di corrispondenza Fra le operazioni bancarie, quella che ha raggiunto la più grande diffusione e che risulta costantemente in crescita è sicuramente rappresentata dal conto corrente di corrispondenza. Nell’ambito della classificazione delle attività bancarie, il conto corrente rappresenta una forma di raccolta diretta, ma con altre finalità. Con il conto corrente è collegata l’opportunità di utilizzare, oltre alla moneta legale, anche la moneta bancaria (assegni bancari) o quella elettronica (Bancomat, giroconti, bonifici bancari), nonché altri servizi a favore della clientela. Con il conto corrente di corrispondenza la banca si impegna a svolgere tutte le operazioni che le sono affidate dai clienti a fronte di una definizione contrattuale. Il conto corrente di corrispondenza è, dunque, un rapporto atipico, disciplinato dall’art. 1852 c.c. e riconducibile alla disciplina del mandato attraverso cui una parte contrae l’obbligo di eseguire uno o più atti giuridici per conto dell’altra. Il mandatario, nel compiere i suoi atti, è tenuto ad agire con diligenza professionale, rigore e precisione. La banca risponde per l’esecuzione di incarichi provenienti dal correntista o da altro cliente e si obbliga a ricevere il denaro versato e a restituirlo a scadenza. I conti correnti si chiamano “di corrispondenza” poiché molte delle possibili operazioni ordinate o confermate avvengono attraverso lettere o rilascio di documenti. Essi possono essere creditori, se rappresentano un debito per la banca o un’operazione di raccolta, oppure debitori, se rappresentano per la banca un’apertura di credito ai propri clienti e sono iscritti in bilancio fra le operazioni di finanziamento. Possiamo, in base all’alternarsi dei saldi, distinguere tra conti correnti di corrispondenza attivi, passivi o per elasticità di cassa. I conti correnti attivi presentano un saldo favorevole alla banca che ha concesso al cliente un finanziamento a tempo indeterminato salvo revoca. I conti correnti passivi hanno un saldo generalmente sfavorevole alla banca e sono utilizzati dal cliente per le sue esigenze di cassa. I conti correnti per elasticità di cassa presentano un frequente alternarsi di saldi positivi e negativi per il cliente, tanto che in alcuni momenti possono risultare scoperti. In tali circostanze la banca può anche accordare al cliente un fido di cui non rischia l’immobilizzo essendo lo scoperto a durata breve. Le caratteristiche generali dei conti correnti di corrispondenza I movimenti in conto corrente corrispondono al numero di prelevamenti (o addebitamenti) e versamenti (o accreditamenti) eseguiti in un certo periodo di tempo: sono l’insieme delle operazioni a debito e a credito, registrate dal punto di vista contabile rispettivamente in dare o in avere. I movimenti bancari possono essere cartolari (per esempio, assegni) e non (per esempio, giroconti e bonifici). Il giroconto è un trasferimento contabile di somme dal conto corrente dell’ordinante a quello di un beneficiario. I conti correnti possono essere nell’ambito della


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stessa dipendenza o presso dipendenze diverse o addirittura tra banche diverse. Nella pratica, per “giroconto” si intende il trasferimento di denaro da un conto corrente all’altro intestato a uno stesso soggetto. Il bonifico indica il trasferimento di denaro dal conto corrente dell’ordinante a quello intestato a un beneficiario. Prima di ordinare un bonifico è necessario essere in possesso delle esatte coordinate del beneficiario. Al fine di eseguire i trasferimenti nell’ambito dei circuiti telematici, per ogni ordine il correntista deve indicare, oltre al numero di conto corrente, le coordinate bancarie CIN (Control Internal Number), ABI (Associazione Bancaria Italiana) e CAB (Codice di Avviamento Bancario). Dal 1° gennaio 2008 è diventato obbligatorio l’uso dell’IBAN (International Bank Account Number). L’IBAN è uno standard internazionale utilizzato per identificare un’utenza bancaria e viene impiegato sia per i bonifici nazionali (in sostituzione delle coordinate bancarie ABI, CAB e numero di conto) sia per quelli diretti nell’area SEPA (Single Euro Payments Area). I bonifici disposti senza indicazione del codice IBAN sono stati accettati fino al 1° giugno 2008 senza ulteriori costi. Successivamente, i bonifici privi di codice IBAN sono stati assoggettati a tempi di esecuzione e costi maggiori. I bonifici possono essere di due tipologie: “ordinari” o “urgenti”. I primi vengono solitamente eseguiti entro e non oltre 3 giorni dall’ordine, i secondi in giornata o al massimo il giorno successivo. A ogni operazione a credito o a debito corrisponde una valuta, indispensabile al fine dei successivi calcoli degli interessi attivi e passivi. Le valute sono differenti per accrediti e addebiti: le prime sono sempre posteriori, le seconde invece coincidono con la data di operazione. Il saldo corrisponde alla differenza delle operazioni a credito e a debito e può essere letto in tre modi differenti: • saldo contabile, che esprime la differenza tra tutte le operazioni a debito e a credito non considerando la valuta; • saldo liquido, che prende in considerazione la differenza di tutte le operazioni la cui valuta è maturata fino a un determinato momento; • saldo disponibile, che sintetizza solo le operazioni di cui la banca conosce già l’esito. La liquidazione degli interessi Per procedere al calcolo degli interessi è necessario rielaborare l’estratto conto, mettendo in ordine di data (e non di “data valuta”, ossia la data a partire dalla quale, o fino alla quale, l’importo produce interessi attivi o passivi; tipicamente, è diversa dalla data nella quale la banca ha ricevuto l’ordine dal cliente) tutte le operazioni e tenendo distinte quelle a debito da quelle a credito, poiché il tasso non è reciproco. In altre parole, nei conti correnti di corrispondenza i tassi sono differenziati: quelli a debito sono più elevati di quelli a credito. Tale documento informativo è funzionale al calcolo degli interessi attivi e passivi. Nella Tabella 6.1, si riporta un esempio di estratto conto. Alla prima riga viene riportato il saldo contabile del periodo precedente; nelle successive, le operazioni effettuate nel periodo corrente. Da notare che le date valuta non necessariamente sono in ordine cronologico. I prospetti utilizzati per il calcolo degli interessi sono due: • il riassunto scalare o staffa, in cui le operazioni sono riportate in ordine di valuta; • il prospetto per la liquidazione delle competenze, al cui interno sono compresi anche gli interessi.

Estratto conto: documento periodicamente inviato ai titolari di conto corrente, contenente il riepilogo delle operazioni a credito e a debito effettuate, in ordine di data contabile.

Riassunto scalare: prospetto in cui si riepilogano, in ordine di data valuta, le operazioni a debito e a credito effettuate attraverso il conto corrente in un certo periodo, al fine di procedere al calcolo degli interessi.


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Tabella 6.1 Estratto conto

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Valuta

Dare (addebiti)

Avere (accrediti)

31/12/2015 31/01/2016

01/01/2016 02/01/2016

– € 230,00

€ 500,00 –

07/01/2016 08/01/2016

10/01/2016 06/01/2016

– € 550,00

€ 1450,00 –

13/01/2016 20/01/2016

11/01/2016 22/01/2016

€ 256,00 –

– 550,00

27/01/2016 31/01/2016

30/01/2016 29/01/2016

€ 295,00 € 150,00

– –

31/01/2016 31/01/2016

01/02/2016 31/01/2016

€ 5,00

– € 1014,00

Data

Descrizione operazione Saldo contabile precedente Prelevamento sportello bancomat Bonifico stipendio Prelevamento sportello bancomat Addebito per acquisto titoli Versamenti contanti o assegni Accrediti per vendite titoli Prelevamento sportello bancomat Imposta di bollo

Nella compilazione del riassunto scalare bisogna tenere conto delle operazioni postergate e antergate. Le prime sono quelle che compaiono nell’estratto conto del periodo di riferimento, ma non nel riassunto scalare del periodo successivo. Si definiscono invece antergate le operazioni che hanno una valuta anteriore a quella relativa all’apertura del conto corrente. Queste si registrano normalmente nel conto, ma si utilizza una procedura particolare per il calcolo degli interessi, collocandole subito dopo il saldo iniziale. I numeri sono calcolati con la procedura del rimaneggio, ossia sono iscritti con segno negativo nella sezione di riferimento. Ciò serve a rettificare i valori del conto e a calcolare in modo corretto gli interessi maturati a credito e a debito. Gli interessi sono calcolati in base alla procedura dell’anno civile. Gli interessi creditori e debitori maturano trimestralmente. Per calcolare gli interessi creditori (I) bisogna tenere conto della consistenza media del conto nel periodo di riferimento. Individuato il tasso di interesse (R) di riferimento, si procede moltiplicando per i numeri (N), ottenuti come prodotto dell’importo di ciascuna operazione per i giorni intercorrenti tra la valuta e la data di chiusura del periodo di riferimento. Il valore così ottenuto viene diviso per 36 500 (36 600 negli anni bisestili): I=

(N ⋅ R) 36 500

A questo punto si applica la ritenuta fiscale del 27% e si calcolano gli interessi netti. La procedura per il calcolo degli interessi debitori è del tutto simile, ma il tasso di interesse di riferimento è unico. Nella Tabella 6.2, si riporta un esempio di staffa applicata al precedente estratto conto. Le operazioni vengono ordinate per data valuta e il loro ordine può cambiare rispetto a come figurano nell’estratto conto. Dai relativi importi, viene calcolato un saldo per ciascuna data valuta: per esempio, a partire dal saldo iniziale di 500 euro, il saldo per valuta al 2 gennaio viene ottenuto detraendo l’importo del prelevamento di 230 euro; il saldo per valuta al 6 gennaio viene ottenuto detraendo l’importo del


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Valuta 01/01/2016 02/01/2016 06/01/2016 10/01/2016 11/01/2016 22/01/2016 29/01/2016 30/01/2016 01/02/2016

Saldi per valuta € 500,00 € 270,00 – € 280,00 € 1170,00 € 914,00 € 1464,00 € 1314,00 € 1019,00 € 5,00

Giorni 1 4 4 1 11 7 1 2 1 32

Numeri debitori – – – € 1120,00 – – – – – – –€ 1120,00

L’intermediazione creditizia

Numeri creditori

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Tabella 6.2 Riassunto scalare (staffa)

€ 500,00 € 1080,00 – € 1170,00 €10 054,00 € 10 248,00 € 1314,00 € 2038,00 € 5,00 € 26 409,00

prelevamento di 550 euro in quanto avente data valuta anteriore all’accreditamento del bonifico stipendio (dal 6 al 10 gennaio, la banca ha di fatto prestato al cliente la somma di 280 euro). La colonna “Giorni” riporta il numero dei giorni che intercorrono tra ciascuna data valuta e la successiva. La colonna dei “Numeri debitori (creditori)” contiene il valore dei saldi per valuta negativi (positivi) moltiplicato per i giorni valuta corrispondenti. Nel prospetto per la liquidazione delle competenze, oltre agli interessi (e a eventuali commissioni di massimo scoperto) bisogna ricordare le spese che la banca sostiene per la tenuta del conto. Si tratta di: • spese di movimentazione (che possono essere variabili o fisse o entrambe, ossia una quota fissa e una variabile in funzione del numero di operazioni); • recupero dell’imposta di bollo. Alcuni conti correnti, di più recente introduzione, prevedono il pagamento di un canone fisso, comprensivo di un certo numero di operazioni, con limitazione delle altre voci di spesa. Nella Tabella 6.3, si riporta un esempio di prospetto, anch’esso applicato al precedente estratto conto. La commissione di massimo scoperto remunera la banca per il fatto di concedere lo scoperto di conto quando i pagamenti eccedono gli incassi: la base di calcolo è il più alto scoperto registrato nel periodo e non il saldo dei numeri debitori (in questo esempio, l’uguaglianza è dovuta alla presenza di un solo numero debitorio). La raccolta di pronti contro termine Una tipologia particolare di raccolta è quella pronti contro termine, tramite cui la banca cede a pronti (contanti) valori mobiliari con patto di riacquisto a termine. Con espressione anglosassone, tale raccolta è anche chiamata repurchase agreement e consiste in una duplice compravendita di segno opposto: una a pronti (spot) e una a termine (forward). L’operazione consiste, quindi, in un prestito di denaro da parte dell’acquirente e un prestito di titoli da parte del venditore. Il venditore (un istituto di credito) concede i pronti contro termine per un temporaneo bisogno di liquidità e lucra investendo il denaro fino alla data di riacquisto dei titoli. Il cliente acquista valori mobiliari a due prezzi diversi: il prezzo a pronti al quale compra è inferiore al prezzo a termine a cui vende; conseguentemente egli lucra la differenza positiva tra i due prezzi. L’operazione rientra in quelle di raccolta diretta e compare nello stato patrimoniale fra le passività, ossia fra gli impegni che la banca ha nei confronti

Prospetto per la liquidazione delle competenze: altro documento allegato all'estratto conto, in cui vengono calcolati gli interessi a credito e a debito (a partire da quanto contenuto nella staffa) e le spese relative al conto corrente.


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Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Tabella 6.3 Prospetto per la liquidazione delle competenze – dal 01/01 al 31/01/2016

Interessi creditori Tasso 0,2500% 0,2500%

Numeri creditori € 500,00 € 26 409,00

Ritenuta fiscale

Interessi creditori € 0,0034 € 0,1804 Totale lordo:  € 0,1838 Imponibile:  € 0,1838

27%

Totale netto:  € 0,1342

Interessi debitori Tasso 6,5000%

Numeri debitori € 1120,00

Interessi debitori € 0,1989 Totale interessi:  € 0,1989

Commissione di scoperto di conto Aliquota

Base di calcolo*

Importo commissione

0,5000%

– € 1120,00

€ 5,6000

Spese Voci di spesa Spese per ciascuna operazione**

Importo € 0,75

Spese di tenuta del conto** Spese fisse** Spese per recupero assicurazione** Recupero spese postali** Riepilogo competenze

€ 5,2500 7,0000 14,0000 1,12300 0,6700

a debito

Interessi netti a credito

a credito € 0,1342

Interessi a debito Commissione di scoperto di conto Spese

€ 0,1989 € 5,6000 € 28,1500

Totali

€ 33,9489

Sbilancio competenze

€ 33,8147

€ 0,1342

* In questo caso c’è coincidenza tra saldo dei numeri debitori e maggiore numero debitorio registrato nel periodo di riferimento, ma la regola è che la base di calcolo consiste nel secondo: se avessimo avuto un altro numero debitorio, a fronte del maggior saldo sarebbero aumentati gli interessi debitori, ma non la commissione di scoperto di conto. ** Valori arbitrari.

dei suoi clienti. Il contratto prevede esplicitamente il prezzo a cui la banca vende i valori mobiliari e quello a cui il cliente li rivenderà alla banca. Il prezzo a pronti viene fissato in base al valore di mercato dei titoli, quello a termine viene calcolato capitalizzando il prezzo a pronti in base a un tasso di interesse concordato tra le parti. Le banche evitano che le cedole dei titoli siano staccate nel periodo in cui è in corso l’operazione di pronti contro termine, poiché esse spetterebbero al cliente.


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Il contratto è a breve termine e non è ammessa l’estinzione anticipata. I valori mobiliari oggetto del contratto sono obbligazioni o titoli del mercato monetario ad ampia diffusione, in particolare titoli di Stato (ma possono essere anche titoli esteri, tenendo conto del valore di cambio). Non necessariamente si tratta, comunque, di investimenti a basso rischio, benché la banca si impegni a garantire un interesse certo al cliente. Per la banca l’operazione presenta un triplice vantaggio: • consente di reperire nuovi clienti; • consente la raccolta di capitali vincolati per un certo periodo di tempo; • consente di escludere tale tipologia di operazioni dall’aggregato di riserva obbligatoria (su indicazione della Banca d’Italia). Per quanto riguarda l’investitore, l’operazione garantisce un rendimento spesso superiore a investimenti alternativi di pari durata, si caratterizza per un livello di rischio più contenuto (in quanto prodotto bancario) e non è soggetta a rischi di variazione dei tassi di interesse o di cambio. Nella Tabella 6.4, si riporta un esempio di operazione pronti contro termine.

6.2.2  Gli strumenti di impiego delle banche Nonostante il forte sviluppo del mercato dei capitali e la crescita dell’attività bancaria nel campo dell’intermediazione mobiliare, l’esercizio del credito continua a rappresentare la forma di impiego più tipica e rilevante. Attraverso la concessione di prestiti alla clientela, le banche contribuiscono alla realizzazione di un’efficiente allocazione delle risorse finanziarie, consentendo la conclusione di scambi, seppure indiretti, tra datori e prenditori di risorse caratterizzati da una diversa propensione al rischio e alla liquidità. L’instaurazione di una relazione durevole con la clientela, inoltre, permette alle banche di accedere a una significativa mole di informazioni sulle controparti affidate, anche di natura riservata, ponendole in una posizione particolarmente

Valore incassato a scadenza Esborso iniziale Holding period (giorni) Tassazione sul differenziale Tassazione sugli interessi maturati (titoli di Stato) Tassazione sugli interessi maturati (titoli Corporate) Canone mensile Spese di gestione Imposta di bollo Penale per l’estinzione anticipata Tasso di interesse sui titoli di Stato sottostanti Interessi maturati nell’holding period (titoli di Stato)

S(T) S(0) T TD Tpub Tpr FC FE Tb P r Int

Tabella 6.4

€ 100 884,3100 Pronti Contro Termine € 100 000,0000 (PCT) 60 26,0000% 12,5000% 26,0000% € 35,0000 € 14,0000 0,2000% 0,3000% 1,5000% € 8,0063

i = [S(T)  S(0)] * 36 600/[S(0) * T] = 5,3943% = 3,7991%* * questo tasso tiene conto delle imposte sugli interessi dei titoli di Stato maturati nel corso dell’holding period (T) e la formula è la seguente: i = ((((S(T)  S(0)  FC  FE + Int)*(1  TD))*(1  Tb))*(36 600/(T*S(0))))/100


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Fido: limite massimo entro il quale una banca è disposta a concedere credito a un cliente.

Prestiti monetari: affidamenti in cui la banca sostiene con certezza almeno un’uscita di risorse finanziarie, seguita da un rimborso. Prestiti non monetari: affidamenti in cui la banca non eroga direttamente risorse finanziarie, ma si limita ad assumere o garantire l’obbligazione del soggetto affidato.

privilegiata per l’esercizio di una costante azione di monitoraggio, tesa a limitare l’incidenza dei fenomeni di selezione avversa e comportamento opportunistico. Questa capacità di intervenire negli scambi finanziari riducendo le conseguenze delle imperfezioni e dell’incompletezza del mercato è la ragione che giustifica l’esistenza stessa degli intermediari finanziari e che spiega la centralità delle banche come soggetti particolarmente efficaci nell’azione di delegated monitoring. Da un punto di vista macroeconomico, l’esercizio del credito bancario può contribuire a veicolare il risparmio verso gli impieghi maggiormente produttivi, a sostegno della crescita dell’economia reale, tanto che il grado di sviluppo del sistema economico e di quello bancario appaiono spesso fortemente correlati. Da un punto di vista microeconomico, infine, l’esistenza di uno stretto rapporto con la clientela affidata produce effetti positivi anche in altre aree dell’attività bancaria, favorendo lo sviluppo della raccolta e delle opportunità di cross selling. La concessione di un prestito, indipendentemente dalla forma tecnica utilizzata, è sempre preceduta da un’istruttoria di fido, attraverso la quale la banca valuta il merito creditizio della controparte e le garanzie reali o personali che possono assistere il finanziamento. Tale fase di valutazione si concretizza nella determinazione dell’importo massimo che la banca si impegna a mettere a disposizione del cliente (detto anch’esso fido o affidamento), sotto forma di crediti sia monetari sia non monetari. I prestiti monetari o per cassa sono caratterizzati dalla certezza di almeno un flusso finanziario in uscita per la banca, che eroga direttamente risorse finanziarie al soggetto affidato. In questo caso i ricavi conseguiti sono rappresentati da interessi attivi, proporzionali all’importo e alla durata del finanziamento. I prestiti non monetari o di firma, invece, non comportano necessariamente un flusso finanziario in uscita, poiché la banca si limita ad assumere o garantire l’obbligazione del soggetto affidato, sopportando un effettivo impegno di cassa solo qualora questo si riveli insolvente. Il conto economico della banca è in questo caso alimentato da commissioni attive piuttosto che da interessi. Nel seguito del paragrafo saranno brevemente descritti dapprima i prestiti monetari che, con particolare riferimento alla clientela rappresentata da imprese, possono essere a loro volta distinti in strumenti di finanziamento del capitale circolante o del capitale fisso in base al tipo di fabbisogno finanziario soddisfatto (Figura 6.2). Infine, saranno tracciate le caratteristiche fondamentali dei crediti di firma.

Figura 6.2 Una classificazione dei prestiti bancari. Prestiti per cassa o monetari Prestiti bancari Prestiti di firma o non monetari

Strumenti di finanziamento del capitale circolante

Strumenti di finanziamento del capitale fisso


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Capitolo 6

L’intermediazione creditizia

Gli strumenti di finanziamento del capitale circolante Il fabbisogno di capitale circolante1 nasce nell’intervallo di tempo che intercorre tra il sostenimento dei costi operativi e l’incasso dei ricavi: esso deriva, per esempio, dalla necessità di detenere adeguate scorte di magazzino o di concedere dilazioni di pagamento alla propria clientela. Mentre gli investimenti in capitale fisso (per esempio, per l’acquisto di impianti o attrezzature) sono meno frequenti e più facilmente programmabili, il fabbisogno di capitale circolante è una costante nella vita dell’azienda e il suo ammontare risulta di più difficile previsione. Le principali forme di finanziamento a breve termine concesse dalle banche a copertura di tale fabbisogno sono: 1. l’apertura di credito in conto corrente; 2. le operazioni di smobilizzo dei crediti commerciali; 3. le anticipazioni garantite. Sebbene la naturale funzione di questi strumenti sia quella di ottenere un margine di liquidità a copertura di temporanee carenze di tesoreria o di anticipare l’incasso dei propri crediti commerciali, la possibilità che siano concesse aperture di credito a tempo indeterminato (unita alla pratica dei fidi multipli) può portare a farne un uso distorto, a copertura di fabbisogni di capitale fisso. L’apertura di credito in conto corrente L’apertura di credito in conto corrente è un contratto tipico, disciplinato dal codice civile agli articoli 1842-1845. La banca, previa valutazione dell’affidabilità del cliente, si impegna a tenere a sua disposizione una data somma di denaro, per un certo periodo o a tempo indeterminato. Se il contratto è a tempo determinato la banca può recedere solo per giusta causa (per esempio, per un grave deterioramento del merito creditizio della controparte o per falsità delle dichiarazioni da questa rilasciate in merito alla sua situazione patrimoniale e finanziaria). Se il finanziamento, invece, è a tempo indeterminato, il codice civile stabilisce che ciascuna parte possa recedere dando un preavviso non inferiore a 15 giorni, salvo diversa specificazione nel contratto. In realtà, le condizioni previste dalle banche impongono spesso un termine inferiore, pari a pochi giorni. La somma di denaro corrispondente al fido accordato non viene automaticamente accreditata sul conto corrente: il cliente, infatti, può disporne producendo saldi dare (cioè a debito) per l’importo e per il tempo che meglio rispondono alle sue esigenze, in una o più soluzioni, potendo anche ricostituire l’ammontare a sua disposizione attraverso versamenti successivi. L’apertura di credito ordinaria ha quindi carattere rotativo (revolving), a differenza dell’apertura di credito semplice in cui la somma messa a disposizione dalla banca può essere utilizzata una sola volta, anche in modo frazionato. Tali caratteristiche rendono questa forma di finanziamento particolarmente flessibile, nonché onerosa nei limiti dell’effettivo utilizzo. Qualora il rapporto di credito sia stato formalizzato e il conto corrente presenti frequentemente saldi negativi, si parla di apertura di credito ordinaria; se invece il cliente è autorizzato in via informale a effettuare saltuariamente prelievi oltre le proprie disponibilità per brevissimi intervalli, si parla di apertura di credito per elasticità di cassa. Entrambe le fattispecie devono essere distinte dallo scoperto per valuta, ossia dal caso in cui il cliente abbia

1

Gli strumenti di copertura di fabbisogni finanziari a breve termine con riferimento alla clientela non rappresentata da imprese, ma da privati, saranno esaminati nel Paragrafo 6.2.5 dedicato al credito al consumo.

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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Approfondimento 6.5w “Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 30 giugno 2012, n. 644”

Commissione di massimo scoperto: commissione calcolata sulla massima esposizione debitoria del periodo di riferimento, in aggiunta agli interessi convenzionali.

www.normattiva.it/do/ atto/ export

Clausola salvo buon fine: clausola mediante la quale la banca si riserva il diritto di riaddebitare al cliente l’importo dei crediti ceduti o degli strumenti di pagamento incassati qualora a scadenza non vadano a buon fine, a causa dell’insolvenza del debitore.

posizioni debitorie solo dal punto di vista dei saldi liquidi, per effetto del cosiddetto “gioco delle valute”. Il funzionamento del conto e il calcolo delle competenze risultano analoghi a quanto già visto per un normale conto corrente di corrispondenza; il tasso debitore previsto è generalmente più elevato rispetto ad altre forme di finanziamento, proprio in ragione della flessibilità dello strumento, peraltro in genere non assistito da garanzie. In più, le banche sono solite richiedere al cliente, ai sensi dell’articolo 117-bis del TUB e del D. del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 30 giugno 2012 n. 644, una commissione di istruttoria veloce e un tasso sull’ammontare e per la durata dello sconfinamento. La prima è fissa, in valore assoluto e commisurata ai costi sostenuti per l’istruttoria; il secondo è lasciato alla determinazione della banca, salva l’osservanza della normativa sull’usura. Gli altri oneri che la banca può addebitare al cliente sono una commissione onnicomprensiva, calcolata in maniera proporzionale sia alla somma che alla durata dell’affidamento, e un tasso sulle somme effettivamente utilizzate. La commissione non può superare lo 0,5% trimestrale della somma messa a disposizione. Quest’ultima commissione sostituisce di fatto la previgente commissione di massimo scoperto, dichiarata dalla giurisprudenza illegittima in quanto costo ingiustificato alla luce dei già previsti interessi debitori: l’onnicomprensività comporta che non possono essere previsti ulteriori oneri in relazione alla messa a disposizione dei fondi né all’utilizzo dei medesimi. Queste considerazioni si aggiungono ai già previsti casi di nullità, come l’assenza della forma scritta, fra gli altri. Le operazioni di smobilizzo dei crediti commerciali Le imprese possono soddisfare il proprio fabbisogno finanziario di breve periodo anche attraverso strumenti che consentano di liquidare anticipatamente i crediti vantati nei confronti della propria clientela (operazioni di smobilizzo dei crediti commerciali). In questo caso l’azienda affidata non ottiene “nuove” risorse finanziarie, ma si limita a disporre dei crediti commerciali derivanti dalla propria attività prima della loro naturale scadenza. La concessione di credito è comunque preceduta da un’analisi di fido; tuttavia, rispetto all’apertura di credito in conto corrente (in bianco, cioè non assistita da alcuna garanzia) il rischio di credito subìto dalla banca risulta mitigato, poiché l’affidato non ha la possibilità di distrarre le risorse finanziarie destinate al rimborso del prestito, essendo queste direttamente pagate dal debitore terzo ceduto e incassate dalla banca (cosiddette “operazioni autoliquidabili”). Inoltre, la cessione del credito avviene generalmente pro solvendo, con l’apposizione della clausola salvo buon fine (SBF): in caso di insolvenza del debitore, infatti, la banca può rivalersi sul suo affidato addebitandogli l’importo del credito inesigibile maggiorato delle spese sostenute per ottenere il rimborso. Risulta quindi possibile affermare che il rischio di credito è ripartito su almeno due soggetti: l’impresa affidata e il suo cliente/debitore. L’operazione più classica di smobilizzo di crediti commerciali è senza dubbio rappresentata dallo sconto, un “contratto mediante il quale la banca, previa deduzione dell’interesse, anticipa al cliente l’importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, mediante cessione, salvo buon fine, del credito stesso” (art. 1858 del codice civile). Sebbene il dettato normativo non si riferisca esclusivamente a crediti rappresentati da pagherò o tratte, lo sconto cambiario è stato sicuramente l’operazione più diffusa prima della comparsa di strumenti di regolamento delle transazioni commerciali alternativi agli effetti cambiari. Lo sconto può riguardare singole cambiali o effetti che l’azienda cede sistematicamente alla banca: in questo secondo caso, il cliente dispone di un cosiddetto “castelletto di sconto”, ossia di un importo di fido


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Capitolo 6

L’intermediazione creditizia

massimo di natura rotativa (revolving) che si reintegra ogniqualvolta un effetto precedentemente scontato giunge regolarmente a scadenza. L’importo anticipato al cliente, detto “netto ricavo”, si ottiene sottraendo al valore nominale degli effetti: • gli interessi passivi (detti anche “sconto”) calcolati sull’intervallo temporale che intercorre tra la data di ammissione allo sconto e la data di scadenza della cambiale, alla quale si aggiungono un numero variabile di giorni banca (di solito da 5 a 10), per effetto dei quali aumenta l’onerosità dell’operazione per il cliente; • le commissioni di incasso in proporzione fissa all’importo della cambiale, indipendentemente dal tempo mancante alla scadenza; • i diritti di brevità per le cambiali con scadenza particolarmente ravvicinata. In caso di insolvenza del debitore, l’importo anticipato dalla banca viene riaddebitato al cliente maggiorato delle spese sostenute per il protesto. Il fatto che la banca trattenga in via anticipata interessi passivi e altri oneri rende lo strumento dello sconto cambiario meno flessibile rispetto all’apertura di credito in conto corrente, poiché il cliente sostiene un costo del finanziamento indipendente dall’effettivo utilizzo delle somme messe a sua disposizione dalla banca. Pertanto, il ricorso a tale strumento appare consigliabile a copertura di fabbisogni finanziari di entità e di durata prevedibili. Gli effetti cambiari sono uno strumento sempre meno utilizzato nelle transazioni commerciali a causa della riluttanza della clientela nell’accettare la firma di tali effetti e in ragione della loro onerosità fiscale, dovuta all’esistenza di un bollo in misura pari al 12‰ del valore nominale. Di conseguenza, le operazioni di smobilizzo dei crediti commerciali si basano sempre più spesso su altri strumenti, primi fra tutti le ricevute bancarie (RIBA; Capitolo 5). Come nello sconto cambiario, si ha evidenza della natura commerciale della transazione sottostante il credito oggetto di cessione, che però non risulta incorporato in un vero e proprio titolo di credito, bensì in uno strumento che rappresenta una semplice quietanza di pagamento. La banca può essere delegata solo all’incasso o anticipare l’importo della RIBA prima della sua scadenza con apposizione della clausola salvo buon fine e nei limiti del fido concesso all’azienda (che, in questo caso, prende il nome di “castelletto SBF”). Le modalità con cui le somme anticipate sono poste a disposizione della clientela possono essere distinte in: • accredito diretto in conto corrente; • utilizzo di un conto fruttifero salvo buon fine. Nel primo caso, l’ammontare delle RIBA viene accreditato direttamente in conto corrente con data contabile pari a quella di registrazione e data valuta fissata come data di scadenza della ricevuta maggiorata di un certo numero di giorni banca. In tal modo si determinano scoperti di valuta solo nella misura in cui l’impresa affidata utilizza effettivamente le somme anticipate prima della scadenza delle RIBA (Figura 6.3). Nel caso di utilizzo di un conto fruttifero SBF, invece, gli effetti sono accreditati su tale conto con valuta pari alla scadenza maggiorata dei giorni banca e contestualmente addebitati con data valuta pari a quella di effettuazione dell’operazione in contropartita dell’accredito in conto corrente. Il cliente, pertanto, paga automaticamente interessi per tutto il periodo e per tutta la somma anticipata, indipendentemente dall’effettivo utilizzo (Figura 6.3).

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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Figura 6.3 Modalità di accredito degli effetti salvo buon fine.

Accredito diretto in conto corrente

Conto corrente Accredito effetti SBF Data valuta: scadenza + gg. banca

Accredito con utilizzo del conto fruttifero SBF

Conto fruttifero SBF Addebito effetti SBF

Accredito effetti SBF

Data valuta: Data valuta: data contabile scadenza + gg. banca

Conto corrente Accredito effetti SBF Data valuta: data contabile

Si ricorda infine come, in assenza di altri documenti comprovanti l’esistenza di crediti commerciali, l’impresa possa chiedere finanziamenti a breve scadenza basati su anticipi delle fatture emesse. La banca generalmente si limita ad anticipare il 70-80% dell’importo complessivo fatturato, seguendo la procedura del conto transitorio fruttifero precedentemente descritta. Le anticipazioni garantite Il contratto di anticipo su pegno è un contratto tipico, disciplinato dal codice civile (artt. 1846-1851), in cui la banca eroga un finanziamento a breve termine contestualmente alla costituzione, da parte dell’affidato, di un pegno su beni mobili. L’importo del finanziamento concesso risulta pari al valore della garanzia, decurtato di uno scarto prudenziale che dipende anche dalla volatilità del prezzo dei beni in pegno. Il rischio di credito appare mitigato dal fatto che il legame tra entità della somma prestata e valore dei beni oggetto di garanzia deve essere strettamente mantenuto per tutta la vita del contratto, tanto che il debitore è obbligato a reintegrare la garanzia in caso di deprezzamento superiore al 10%. La garanzia può essere costituita da: • merci, o titoli rappresentativi di merci, che la banca si impegna a custodire presso magazzini generali, ad assicurarli (a spese del cliente) e a restituirli a scadenza; • titoli, preferibilmente quotati su mercati regolamentati, anch’essi custoditi dalla banca e restituiti a scadenza. A causa delle maggiori difficoltà di valutazione e conservazione, le anticipazioni su merci sono meno diffuse di quelle su valori mobiliari; tra questi, le banche prediligono titoli a reddito fisso, dal prezzo meno volatile, come i titoli di Stato.


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Capitolo 6

L’intermediazione creditizia

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A seconda delle caratteristiche e della prevedibilità del fabbisogno finanziario da coprire, è possibile distinguere: • anticipazioni a scadenza fissa, nelle quali la banca eroga il prestito in un’unica soluzione e il cliente paga interessi per tutto il periodo, indipendentemente dall’effettivo utilizzo delle somme poste a sua disposizione; • anticipazioni in conto corrente, in cui il finanziamento risulta oneroso solo nei limiti dell’effettivo utilizzo; qui il tasso nominale applicato è generalmente superiore a quello dell’anticipazione a scadenza fissa. In tal caso l’anticipazione appare simile all’apertura di credito in conto corrente garantita da titoli, dalla quale si distingue comunque per il più stretto rapporto esistente tra importo del finanziamento e valore della garanzia. Gli strumenti di finanziamento del capitale fisso In seguito all’entrata in vigore del TUB (Testo Unico Bancario) e all’eliminazione dei criteri di specializzazione temporale e funzionale dettati dalla Legge Bancaria del 1936, tutte le banche sono abilitate a concedere credito a medio-lunga scadenza, a copertura di fabbisogni di capitale fisso. La forma tecnica indubbiamente più diffusa è il mutuo, definito all’articolo 1813 del codice civile come “il contratto col quale una parte (mutuante) consegna all’altra (mutuatario) una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e quantità”. Rispetto a tale definizione, piuttosto generica, nella prassi bancaria il mutuo rappresenta un contratto dalle peculiarità meglio identificabili. Innanzitutto si tratta di una forma di finanziamento dalla struttura piuttosto rigida, caratterizzata dall’erogazione del prestito in un’unica soluzione e dalla sua restituzione secondo un prestabilito piano di ammortamento. Il suo utilizzo è frequente sia presso le famiglie, per l’acquisto di immobili a uso abitativo, sia presso le imprese industriali e commerciali, per la copertura di fabbisogni finanziari di durata ed entità prevedibili (per esempio, per l’acquisizione di impianti o macchinari). Nel caso delle famiglie la durata del finanziamento è piuttosto lunga e varia tra i 5 e i 30 anni, sebbene non manchino proposte di operatori anche per 40 anni; il trend di notevole aumento dei prezzi delle abitazioni, manifestatosi negli anni precedenti la crisi finanziaria del 2007, aveva infatti determinato un allungamento della durata media dei finanziamenti, affinchè la rata fosse sostenibile dal punto di vista finanziario. Nel caso delle imprese, invece, il finanziamento ha generalmente vita più breve, pur coprendo fabbisogni finanziari di medio-lungo periodo (in media 3-5 anni). Il mutuo, proprio in ragione della sua estesa durata, che rende meno facili e stabili le valutazioni circa l’affidabilità della controparte, risulta in genere accompagnato da una garanzia reale, rappresentata da ipoteca di primo grado sull’immobile o da privilegio sugli impianti e macchinari di cui si finanzia l’acquisto. Il metodo più diffuso per la definizione del piano di rimborso è l’ammortamento alla francese, con rate costanti date dalla somma di una quota capitale crescente e una quota interessi decrescente; tuttavia è possibile riscontrare diverse varianti, come nel caso del cosiddetto “ammortamento italiano”, caratterizzato da rate decrescenti (con quota capitale costante e quota interessi in diminuzione), o di previsione di un periodo di pre-ammortamento durante il quale vengono pagati esclusivamente interessi. Il tasso di interesse applicato a un mutuo può essere di diverso tipo. • Tasso fisso. Stabilito contrattualmente per tutta la durata del finanziamento; il rischio è che il tasso così determinato si riveli successivamente molto elevato in base alle evoluzioni delle condizioni di mercato; il vantaggio è quello di conoscere in anticipo l’ammontare di ciascuna rata, potendo gestire meglio il proprio budget.

Ammortamento alla francese: modalità di rimborso progressivo di un prestito caratterizzata da rate costanti composte da una quota capitale crescente e una quota interessi decrescente.

Approfondimento 6.6w “Il mutuo a rata costante”


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

• Tasso variabile in base alle condizioni di mercato. L’indicizzazione più frequente è all’EURIBOR, maggiorato di uno spread fisso. Può anche essere prevista un’opzione cap, cioè un tetto massimo che il tasso applicato non può comunque superare (e che viene pagata implicitamente dal cliente in termini di spread più elevato). Il vantaggio è quello di avere un tasso equilibrato rispetto alle condizioni di mercato, a fronte dello svantaggio di pagare una rata variabile e non nota in via anticipata. Recentemente si sono diffusi anche mutui a tasso variabile con rata fissa: in questo caso un aumento dei tassi di mercato non produce un incremento della rata da pagare, ma provoca un allungamento della durata del finanziamento. • Tasso misto. In questo caso il contratto consente di passare da un regime di tasso fisso a uno di tasso variabile. La convenienza del prodotto è però limitata dagli elevati costi da corrispondere per l’esercizio di tale facoltà, spesso non esplicitati chiaramente, ma subìti in termini di maggiori tassi fissi o spread applicati.

ISC (Indicatore Sintetico di Costo): indicatore del costo totale del mutuo; esso tiene in considerazione la periodicità delle rate, gli interessi pagati e tutte le spese accessorie necessarie per accedere al finanziamento.

Approfondimento 6.7w “I prestiti in pool”

Oltre al tasso di interesse, il richiedente un mutuo deve sostenere altri oneri, quali le spese di istruttoria, le spese di riscossione delle singole rate, la stipula di polizze assicurative che sono imposte dal creditore per la concessione del finanziamento, la mediazione di terzi intermediari del credito. Tutte queste voci di costo, rapportate all’importo del mutuo, sono espresse dall’ISC (Indicatore Sintetico di Costo), che segue la logica del tasso interno di rendimento di un’operazione finanziaria e si configura come il tasso che, in regime di capitalizzazione composta, rende uguale il valore dell’erogato al valore attuale di tutti gli esborsi sostenuti dal debitore, a titolo sia di rate di rimborso sia di altre spese. Prima di passare ai crediti di firma, appare opportuno ricordare come i fabbisogni finanziari di importo particolarmente rilevante possano essere soddisfatti grazie al concorso di più banche che uniscono le proprie risorse finanziarie per offrire un prestito in pool. Non si tratta di una vera e propria forma tecnica, ma di una particolare modalità organizzativa che vede la partecipazione di più istituti per la concessione di un prestito che, in termini di modalità e tempi di utilizzo, può avere caratteristiche molto eterogenee. I crediti di firma Come anticipato, le banche possono concedere credito anche sotto forma di prestiti non monetari, i cosiddetti crediti di firma, attraverso cui la banca si impegna ad assumere direttamente su di sé o a garantire l’obbligazione del soggetto affidato. Le finalità di questo tipo di operazioni possono essere di varia natura. Innanzitutto, la banca può garantire per conto del cliente l’adempimento di obbligazioni non monetarie (per esempio, di obbligazioni di fare): si pensi, per esempio, a una ditta che abbia partecipato a una gara e vinto un appalto; a garanzia della regolare esecuzione dei lavori, la banca può rilasciare una fideiussione, evitando all’impresa di dover prestare ingenti cauzioni in denaro alla controparte committente. Diversamente, un prestito di firma può assistere le imprese che si rivolgono al mercato per la raccolta di risorse finanziarie; in questo caso la banca, piuttosto che accordare direttamente un finanziamento all’impresa affidata, le concede un prestito non monetario, secondo diverse modalità. • Accettazione bancaria. L’impresa affidata spicca tratta sulla banca che assume, in tal caso, la veste di obbligato in via principale. La tratta, avendo come firmatario un intermediario finanziario caratterizzato da elevato merito creditizio, diviene uno strumento a basso rischio di insolvenza che può essere facilmente negoziato sul mercato monetario, ottenendone in anticipo il valore attuale. In questo modo,


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Capitolo 6

L’intermediazione creditizia

quindi, l’impresa è facilitata nella raccolta di risorse finanziarie poiché, in virtù della concessione di un credito di firma, la banca assume su di sé l’obbligazione relativa al rimborso a scadenza. L’effetto circola tramite il meccanismo della girata, senza però che i diversi giranti assumano la veste di obbligati in via di regresso. Prima della scadenza, l’impresa affidata deve provvedere a costituire presso la banca creditrice la provvista necessaria al rimborso dell’effetto a favore dell’ultimo portatore. In caso di insolvenza, la banca rimane comunque l’unico obbligato senza alcuna possibilità di sollevare eccezioni nei confronti del beneficiario; solo successivamente potrà rivalersi sul cliente inadempiente. • Polizza di credito commerciale. La banca non assume su di sé l’obbligazione dell’impresa affidata, ma si limita a far da garante rispetto al rimborso di un credito derivante da una transazione commerciale. L’insieme del documento in cui si riconosce l’esistenza di tale credito e della fideiussione bancaria rappresenta la polizza di credito commerciale che può essere scontata sul mercato monetario dall’impresa creditrice per anticipare l’incasso dei propri crediti commerciali. • Cambiale finanziaria. La banca funge da garante all’impresa che vuole raccogliere risorse finanziarie a breve. L’emissione di questo strumento (introdotto nel nostro ordinamento con la Legge 43/1994) è consentita solo a società con titoli quotati su mercati regolamentati; le altre società di capitali possono accedervi solo in presenza della garanzia di un intermediario finanziario. Strumento simile è rappresentato dal certificato di investimento, che però non ha natura cambiaria e appare destinato alla soddisfazione di fabbisogni finanziari di più lunga scadenza. Infine, i crediti di firma possono anche garantire il buon fine di transazioni commerciali con l’estero, facilitando la conclusione di negoziazioni tra controparti che non hanno una profonda conoscenza e quindi non sono legate da fiducia reciproca. 6.2.3  Il leasing Il leasing costituisce uno strumento ampiamente diffuso in Europa e negli Stati Uniti, utile al finanziamento del capitale fisso di un’impresa. Gli elementi alla base della sua crescente diffusione sono riconducibili alla flessibilità dello strumento e alla sua capacità di adattamento allo scenario finanziario e alle normative (civilistiche e fiscali) presenti nei vari Paesi. Nei mercati finanziari evoluti, le operazioni di leasing assumono configurazioni molto eterogenee in termini di funzione economica del prodotto per l’utilizzatore, distribuzione dei rischi e dei benefici derivanti dalla proprietà del bene e coinvolgimento della società di leasing nella gestione del bene. In base agli “elementi comuni” presenti nelle varie fattispecie, il leasing può essere definito come un contratto con cui il proprietario di un bene (detto “locatore” o “concedente”) permette a un’altra parte (detta “locatario” o “utilizzatore”) di disporre dell’utilizzo di un bene per un periodo di tempo determinato a fronte del pagamento di un canone periodico. La definizione inglese (Stati Uniti) fornita riflette quella contenuta nello IAS 17, in cui il leasing è definito come “an agreement whereby the lessor conveys to the lessee, in return for a payment or series of payments, the right to use an asset for an agreed period of time”. Gli elementi “minimi” caratterizzanti sono quindi due: il trasferimento della disponibilità dell’uso del bene e il pagamento di un canone periodico. Tale (ampia) definizione del leasing evidenzia la flessibilità dello strumento: nell’ambito delle operazioni di asset finance (Figura 6.4), il leasing occupa uno spazio economico ampio, delimitato dall’acquisto del bene tramite forme di finanziamento tradizionali e dalla locazione tradizionale (Figura 6.5).

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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Figura 6.4 Operazioni di asset finance.

Mezzi propri Acquisto del bene Indebitamento (per es., finanziamenti bancari)

Motivazione dell’operazione

Leasing finanziario

Utilizzo del bene

Leasing operativo

Noleggio

Fonte: adattata da Monferrà (1998, p. 48).

Durata del contratto

Figura 6.5 Spazio economico del leasing.

Decisione di investimento

Decisione di finanziamento

Finanziamenti tradizionali

Leasing finanziario

Leasing operativo

Noleggio a breve termine

Vita utile del bene

A seconda delle diverse modalità con cui questi elementi sono combinati nell’operazione, il leasing tende ad avvicinarsi all’acquisto del bene tramite forme di finanziamento tradizionali oppure alla locazione tradizionale. Questa flessibilità dell’operazione di leasing ha portato a “tipizzare” due forme di leasing: il leasing finanziario


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Capitolo 6

L’intermediazione creditizia

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e quello operativo. Il criterio distintivo adottato dalla normativa contabile internazionale (IAS 17/IFRS 16) è l’assunzione dei rischi e dei benefici (risk-reward) derivanti dalla proprietà del bene. Al riguardo, si configura un’operazione di leasing finanziario qualora il contratto presenti delle clausole atte a trasferire i rischi/benefici della proprietà del bene dal concedente (proprietario legale) all’utilizzatore (che ne diverrebbe il proprietario sostanziale), così da rendere l’operazione un mero finanziamento per il locatore. Precisamente, il contratto è qualificato come leasing finanziario se prevede: 1. il trasferimento automatico della proprietà al termine del contratto; 2. un’opzione di acquisto del bene a favore del locatario a un prezzo che è stimato sufficientemente inferiore rispetto al fair market value alla data in cui l’opzione diviene esercitabile (cosicché, alla data di stipulazione del contratto, l’esercizio dell’opzione da parte del locatario appare certo); 3. una durata del contratto che copra la maggior parte della vita utile del bene, anche se la proprietà del bene non viene trasferita; 4. un valore attuale dei canoni di leasing contrattualmente previsti che, al momento di stipulazione del contratto, sia equivalente al valore di mercato del bene (cosiddetta operazione full-payout); 5. il sostenimento da parte del locatario dei profitti e delle perdite derivanti dalla volatilità del prezzo di mercato del bene; 6. la possibilità per il locatario di rinnovare il contratto di leasing a un canone sostanzialmente inferiore al canone di mercato. In tutti questi casi, il locatore sopporta unicamente dei rischi finanziari (per esempio, il rischio di credito, il rischio di interesse e/o di cambio, qualora il contratto preveda un tasso di interesse fisso o sia effettuato in una valuta estera), ma non il rischio bene (ossia il rischio che una variazione imprevista del valore di mercato del bene abbia un effetto economico imprevisto per il locatore). Viceversa, se il contratto non presenta nessuna delle clausole sopra menzionate, l’operazione di leasing non costituisce un mero finanziamento poiché il locatore sopporta anche il rischio bene (per esempio, sopportando una perdita in caso di ribasso del valore di mercato del bene dato in leasing o beneficiando di un rialzo). In questo caso, infatti, i rischi e i benefici della proprietà del bene restano in capo al concedente (realizzando quindi una coincidenza tra proprietario formale e sostanziale del bene) e le modalità di gestione/utilizzo del bene assumono rilievo, cosicché l’operazione è detta di leasing operativo. Nell’ordinamento italiano, il leasing è un contratto atipico (ossia non disciplinato dalla normativa civilistica), ma dettagliatamente regolamentato dalla normativa contabile e fiscale, e presenta un elevato grado di standardizzazione attraverso l’adozione di contratti già predisposti dalle società di leasing. In base alla definizione proposta nella Legge 183/1976 ed entrata nella prassi contrattuale “le operazioni di locazione finanziaria sono rappresentate dai contratti di locazione dei beni materiali o immateriali, acquistati o fatti costruire dal locatore su scelta e indicazione del conduttore che ne assume tutti i rischi e con facoltà di quest’ultimo di divenire proprietario dei beni locati al termine della locazione, dietro versamento di un prezzo stabilito (riscatto); le operazioni di leasing finanziario sono rappresentate dai contratti per mezzo dei quali il locatore trasferisce al locatario (conduttore o anche utilizzatore), in cambio di una serie di pagamenti aventi natura creditizia, il diritto all’utilizzo di beni materiali (mobili e immobili) o immateriali (per esempio, marchi e software)”. Rispetto alla definizione “internazio-

Operazione full-payout: operazione di leasing in cui il valore attuale dei canoni previsti nel contratto di leasing è equivalente al costo totale di acquisto del bene sopportato dal concedente. In caso contrario, l’operazione è detta non-full-payout e la differenza tra costo di acquisto e valore attuale dei canoni è detta “valore residuo”.


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Approfondimento 6.8w “Il contratto di leasing”

nale” precedentemente fornita, il leasing finanziario “italiano” si contraddistingue perché:

Approfondimento 6.9w “Il leasing operativo in Italia”

1. il bene dato in leasing è strumentale all’esercizio di un’arte, di una professione o attività imprenditoriale del locatario o di un’attività istituzionale (di natura pubblica o non profit); 2. esiste un’opzione di acquisto del bene stesso, al termine del contratto, a favore del locatario per una cifra pattuita, di norma inferiore al valore di mercato del bene (anche pari all’1%); 3. è necessaria la presenza di tre soggetti (Figura 6.6): l’utilizzatore (che sceglie e utilizza il bene), la società di leasing (che acquista materialmente il bene scelto dall’utilizzatore conservandone la proprietà sino al momento dell’eventuale riscatto); il fornitore (che vende tale bene alla società di leasing).

La prassi contrattuale ha inoltre previsto il pagamento di un canone iniziale maggiorato, detto “maxi canone”, di importo variabile. Nell’ambito del leasing finanziario, sono individuati diversi segmenti di operazioni: in base al tipo di bene, vi è il “leasing immobiliare”, il “leasing auto”, il “leasing nautico” e il “leasing strumentale” (per esempio, di attrezzature, impianti, macchinari ecc.); in base al tipo di locatario, si distingue il “leasing pubblico” e il “leasing ai privati” (in quest’ultimo caso, nell’operazione viene meno il requisito della strumentalità del bene). Qualora siano previste agevolazioni fiscali, si parla di “leasing agevolato”. Un’operazione di leasing finanziario particolare è il lease-back, tramite cui un’impresa vende Approfondimento 6.10w alla società di leasing il bene e la società di leasing concede lo stesso bene in leasing “La domanda al venditore. La definizione del “leasing operativo” in Italia appare invece più incerta: e l’offerta di leasing” secondo Assilea (2016), il leasing operativo è “quell’operazione in cui non è prevista un’opzione di riscatto”. Per l’analisi della domanda e dell’offerta del leasing in Italia si rimanda a quanto riportato sul sito web del libro. Figura 6.6 Struttura “tipo” di un’operazione di leasing finanziario in Italia.

1 Utilizzatore

Fornitore dei beni 4

3

2 5 6

Società di leasing

1. 2. 3. 4. 5. 6.

L’utilizzatore sceglie il bene L’utilizzatore e la società di leasing stipulano il contratto La società di leasing procede all’acquisto del bene dato in leasing Il fornitore consegna il bene all’utilizzatore L’utilizzatore procede al pagamento periodico dei canoni di leasing Alla scadenza del contratto, l’utilizzatore ha l’opzione di riscattare il bene


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Capitolo 6

L’intermediazione creditizia

Nel caso del leasing finanziario, l’interesse degli utilizzatori è quello di acquisire la proprietà del bene, e la preferenza accordata al leasing (rispetto al tradizionale finanziamento per l’acquisto del bene) trova le sue ragioni in diversi fattori, tra cui: • un miglior trattamento fiscale connesso al verificarsi di talune condizioni, all’ammortamento dei beni strumentali in un tempo più breve e, pertanto, a una deduzione in via anticipata del suo costo di acquisto; • la possibilità di frazionare il pagamento dell’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto); • la possibilità per l’utilizzatore di evitare l’iscrizione in bilancio del bene e del corrispondente finanziamento, riuscendo pertanto a entrare in possesso del bene senza “peggiorare” i suoi indici economici e finanziari. Trattandosi di un’operazione prettamente finanziaria, l’offerta del leasing finanziario è riservata dalla legge agli intermediari bancari (iscritti nell’Albo unico degli intermediari bancari ex art. 13 del TUB) e agli intermediari finanziari (iscritti nell’Albo unico degli intermediari finanziari ex art. 106 del TUB; Paragrafo 6.3.1). Questi ultimi sono di norma di emanazione bancaria (cosiddette “società di leasing tradizionali”) o di gruppi industriali (cosiddette “società captive”): in effetti, le più elevate quote di mercato fanno capo a intermediari specializzati appartenenti a gruppi bancari. Più complesso è il caso del leasing operativo. In ragione della prevalente natura “non finanziaria” dell’operazione, il leasing operativo non è sottoposto a riserva di legge e può essere pertanto liberamente offerto da società commerciali: questa operazione è definita nella prassi commerciale con l’espressione “noleggio a lungo termine”. Qualora questo strumento sia offerto da intermediari bancari e/o finanziari, l’operazione viene indicata con l’espressione “leasing operativo”. Proprio la natura commerciale dell’operazione impedisce agli intermediari bancari e/o finanziari di poter liberamente offrire tale strumento [ex art. 106 TUB: “Oltre alle attività di cui al comma 1 gli intermediari finanziari possono: a) emettere moneta elettronica e prestare servizi di pagamento a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell’articolo 114–quinquies, comma 4, e iscritti nel relativo albo, oppure prestare solo servizi di pagamento a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell’articolo 114–novies, comma 4, e iscritti nel relativo albo; b) prestare servizi di investimento se autorizzati ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; c) esercitare le altre attività a loro eventualmente consentite dalla legge nonché attività connesse o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dalla Banca d’Italia”], vincolando l’offerta al rispetto delle seguenti condizioni (Banca d’Italia, Disposizioni di Vigilanza per gli Intermediari Finanziari – Circ. del 3 aprile 2015 n. 288, p. 66): 1. gli acquisti di beni oggetto dell’attività sono effettuati in presenza di contratti di leasing già stipulati con la clientela; 2. è negozialmente previsto il trasferimento in capo ad altri soggetti (per esempio, fornitori dei beni) di ogni rischio e responsabilità concernenti il bene locato previsti a carico del locatore nonché delle obbligazioni accessorie riguardanti l’assistenza e la manutenzione del bene; 3. è contrattualmente previsto l’obbligo di riacquisto del bene da parte del fornitore o di altro soggetto terzo nei casi in cui al termine della locazione non si renda possibile procedere per l’intermediario a ulteriori locazioni del bene stesso. Tenuto conto che i canoni di locazione devono essere rapportati alla durata economica del bene, tale vincolo contrattuale non è necessario qualora la durata dell’operazione sia sostanzialmente pari a quella dell’obsolescenza tecnica del bene computata in base al tempo dell’ammortamento.

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Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

6.2.4  Il factoring Il factoring è una tecnica finanziaria basata sullo smobilizzo dei crediti commerciali che consente alle imprese di poter finanziare il capitale circolante. Il factoring è infatti un contratto con cui un’impresa cede (secondo la disciplina contenuta nella Legge 52/1991, nel caso di cessione dei crediti d’impresa, o secondo la disciplina ordinaria della cessione del credito ex art. 1260 c.c., nel caso di crediti diversi da quelli commerciali) una parte significativa dei propri crediti commerciali (di norma, con scadenza compresa tra 30 e 180 giorni) a un soggetto specializzato (il factor) che finanzia l’impresa anticipando una quota consistente (di norma, fino al 70%) del credito ceduto (Figura 6.7). Il factoring è un prodotto composito avente una componente finanziaria (costituita dall’anticipo prima del pagamento), una gestionale e una di garanzia. La componente gestionale consiste nello svolgimento delle funzioni contabili, amministrative e finanziarie relative alla gestione del credito acquisito: il factor subentra infatti all’impresa cedente nella relazione con il debitore ceduto. L’ampiezza dell’intervento dipende dalle esigenze dell’impresa cedente: il factor può offrire una consulenza circa il merito creditizio dei debitori dell’impresa, la gestione del totale o del parziale del portafoglio crediti, la contabilizzazione delle operazioni, la cura della riscossione e, in caso di inadempimento del debitore ceduto, anche delle procedure di recupero. Nel factoring può inoltre essere presente anche una componente di garanzia, qualora venga previsto il trasferimento al factor del rischio di inadempimento del debitore. In questo caso, la cessione è detta pro soluto. Viceversa, in assenza della componente di garanzia, la cessione è detta pro solvendo, l’anticipo del credito è erogato con la

Figura 6.7 Struttura “tipo” di un’operazione di factoring in Italia.

1

Impresa (cedente)

Debitore (ceduto)

2 4

3

5

6

Factor

1. L’impresa matura un credito commerciale nei confronti del debitore (per esempio, vendita di prodotti o servizi) 2. L’impresa (cedente) cede il suo credito al factor (ex art. 1260 c.c. o ex Legge 52/1991) 3. Il factor eroga all’impresa (cedente) i vari servizi finanziari (l’anticipo di una parte sostanziale del credito), gestionali (di informazione, contabilizzazione ecc.) e, eventualmente, di garanzia 4. Il factor notifica la cessione del credito al debitore (ceduto), indicandogli che il pagamento del credito dovrà essere effettuato a lui e non all’impresa cedente 5. L’utilizzatore procede al pagamento del suo debito 6. Dopo l’incasso, la società di factoring eroga la parte residua del credito al netto delle sue competenze


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Capitolo 6

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clausola “salvo buon fine” (analogamente a quanto accade nell’operazione di anticipo su fattura) e l’onere relativo all’inadempimento del debitore ricade sull’impresa cedente: il factor richiederà la restituzione dell’anticipo erogato e addebiterà le spese sostenute per il recupero del credito. Le operazioni di factoring si connotano quindi in base all’esistenza delle componenti finanziaria, gestionale e di garanzia. Il prodotto più completo è il cosiddetto full factoring, in cui l’impresa cede su base continuativa i propri crediti commerciali e l’operazione di factoring presenta tutte le componenti del prodotto: a seconda delle caratteristiche dei crediti via via ceduti, la cessione sarà pro soluto o pro solvendo. Analogamente, a seconda delle esigenze finanziarie dell’impresa cedente, può essere previsto anche un eventuale anticipo. In tal senso, il full factoring non è tanto un prodotto preconfezionato, quanto una sorta di filosofia di conduzione del rapporto con il cliente. Il maturity factoring è una cessione dei crediti in cui è presente la componente gestionale e (eventualmente) di garanzia, mentre è assente quella finanziaria (quindi il factor non eroga alcun anticipo). Nell’invoice discounting, al contrario, è presente unicamente la componente finanziaria (configurando quindi un prodotto analogo all’anticipo su fatture erogato dalle banche), mentre le componenti gestionali e di garanzia sono marginali o del tutto assenti. Per alcuni dati sulla domanda e sull’offerta del factoring in Italia si rimanda a quanto riportato sul sito web del libro. Approfondimento 6.11w “La domanda Il factoring è un prodotto particolarmente interessante per le imprese in cui la gestione della politica commerciale assume una valenza critica. La componente finanziaria e l’offerta di factoring” del factoring permette infatti all’impresa di smobilizzare i propri crediti commerciali a breve scadenza e finanziare quindi lo sviluppo del capitale circolante. La componente gestionale del factoring consente all’impresa di “esternalizzare” una fase critica del processo produttivo (la gestione dei crediti commerciali e la copertura del relativo fabbisogno finanziario), la quale richiede competenze specialistiche che potrebbero non essere presenti nelle imprese, specialmente se di piccola o media dimensione e/o in forte espansione. Il factoring è in grado dunque di trasformare i costi fissi inerenti alla gestione dei crediti commerciali delle imprese in costi variabili, commisuratamente alla quantità dei crediti ceduti: la trasformazione completa di tutti i costi fissi in variabili implica quindi la cessione completa e continuativa di tutti i crediti commerciali. La componente di garanzia permette, infine, di eliminare il rischio di insolvenza del debitore ceduto e accresce perciò la certezza dei flussi di cassa in entrata. La valutazione della convenienza del factor presuppone quindi un’attenta ricognizione dei suoi costi e benefici. Per quanto attiene ai costi, il factoring prevede due tipi di costi per l’impresa cedente: gli interessi finanziari corrisposti sull’anticipo e le commissioni di factoring volte a remunerare la componente gestionale e quella di garanzia. Al riguardo, l’impresa cedente è tenuta al pagamento di una spesa di istruttoria per la valutazione del suo portafoglio crediti (di norma, con un costo complessivo compreso tra i 500 e i 1000 euro), delle spese di gestione della fattura (con un costo unitario compreso, di solito, tra i 3-5 euro per una fattura italiana e i 10-15 euro per una estera) e di una commissione per l’operazione (di norma, compresa tra lo 0,2% e l’1,0% per le cessioni pro solvendo e tra il 2% e il 4% per le cessioni pro soluto). La semplice somma di tali costi fornisce il costo apparente (esplicito) del factoring, mentre il costo effettivo richiede l’analisi anche delle componenti implicite nell’operazione (per esempio, minori costi fissi, assenza di perdite in caso di insolvenza – se presente la componente di garanzia –, maggiori ricavi connessi a una migliore gestione del credito commerciale ecc.). Trattandosi di un’operazione prettamente finanziaria, l’offerta del factoring è riservata dalla legge agli intermediari bancari (iscritti nell’Albo unico degli intermediari


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Il costo del factoring

Esempio 6.1

La Nattido SRL è una società in forte crescita nel settore tessile che nell’anno in corso (t0): •

ha avuto un fatturato medio mensile di 10 milioni di euro (quindi 120 milioni di euro all’anno), interamente nel mercato italiano, ripartiti in 4800 fatture di ammontare medio di 25 000 euro; ha seguito una politica commerciale che prevede il pagamento dei fornitori e l’erogazione di un credito alla clientela di 30 giorni.

Il dott. Viapreti, nuovo direttore finanziario dell’impresa, sta valutando se ricorrere ai servizi gestionali di un factor e, dopo una ricerca delle migliori condizioni, seleziona per la cessione dei propri crediti la società FactorK, che gli propone le seguenti condizioni: • • • • • •

percentuale anticipata del monte crediti (c): 75% del valore del credito; tasso annuo di interesse per l’anticipo dei crediti (i): 8%; commissione di factoring per le cessioni pro solvendo (FPSO): 0,5%; commissione di factoring per le cessioni pro soluto (FPSU): 3,5%; spesa di istruttoria per la valutazione del portafoglio crediti (SI): 700 euro; spese unitarie di gestione della fattura (d): 4 euro per una fattura.

Il dott. Viapreti intende stimare quale sarebbe il costo esplicito del factoring, nel caso di una cessione integrale dei crediti al factor, e identifica quindi tre scenari: 1. una cessione secondo la modalità pro solvendo della totalità dei crediti, con anticipo dei crediti ceduti; 2. una cessione secondo la modalità pro soluto della totalità dei crediti, con anticipo dei crediti ceduti; 3. una cessione secondo la modalità pro soluto della totalità dei crediti, senza anticipo dei crediti ceduti. La valutazione del costo del factoring (Cf) in ciascuno dei tre scenari può essere fatta secondo la seguente formula: Cf = (VCPSO  FPSO) + (VCPSU  FPSU) + [VC  c  i · (sm  sr)/360] + NF · d + SI dove: VCPSO = volume di crediti ceduti secondo la modalità pro solvendo;

bancari ex art. 13 del TUB) e a quelli finanziari specializzati (iscritti nell’Albo unico degli intermediari finanziari ex art. 106 del TUB). Questi ultimi (cosiddette “società di factoring”) sono di norma di emanazione bancaria (cosiddetti “factor tradizionali”) o di gruppi industriali (cosiddette “società captive”). Il processo produttivo del factoring prende avvio con la valutazione del portafoglio crediti dell’impresa da parte del factor, volta a individuare i crediti oggetto di una successiva cessione. Di norma, l’impresa cedente sottopone ad analisi l’intero portafoglio dei crediti (commerciali), fornendo tutte le informazioni rispetto alla sua evoluzione attesa. Il factor procede dunque a una valutazione circa: 1. la regolarità dei crediti ceduti (per esempio, l’effettiva sussistenza di rapporto commerciale alla sua base e l’assenza di controversie in corso tra le parti); 2. la quota di crediti ceduti rispetto al totale di quelli detenuti dall’impresa (analisi quantitativa); 3. la tipologia e il grado di rischio a essi associato (valutazione qualitativa).


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FPSO = commissione di factoring pro solvendo; VCPSU = volume di crediti ceduti secondo la modalità pro soluto; FPSU = commissione di factoring pro soluto; VC = volume dei crediti ceduti; F = commissione di factoring; c = percentuale anticipata del monte crediti; i = tasso di interesse per l’anticipo dei crediti; sm = scadenza media dei crediti; sr = scadenza del regolamento che si ottiene dal factor (espressa in giorni); NF = numero di fatture cedute; d = diritto fisso su ogni fattura; SI = spese di istruttoria. Approfondimento 6.12w “La convenienza del factoring”

Applicando la formula, il dott. Viapreti arriva alle seguenti conclusioni: Scenario 1 VCPSO FPSO VCPSU FPSU VC c i sm NF d SI Cf Cf/VC

Scenario 2

Scenario 3

120 000 000

0

0

0,5%

0,5%

0,5%

0

120 000 000

120 000 000

3,5%

3,5%

3,5%

120 000 000 75,0% 8,0% 30 4800 4 700 Costi stimati 1 219 200 4 819 200

120 000 000 0,0% 8,0% 30 4800 4 700

120 000 000 75,0% 8,0% 30 4800 4 700

1,02%

4,02%

4 219 900 3,52%

Il dott. Viapreti osserva che, come si attendeva, il secondo scenario è il più costoso, essendovi previste tutte le componenti del factoring (gestionale, finanziaria e assicurativa), mentre il primo è meno oneroso ma anche meno interessante per la società.

Al termine della valutazione, il factor indica i crediti accettati in cessione definendo quindi un plafond globale a carattere rotativo disponibile per l’impresa cedente. I crediti possono essere selezionati in base a un criterio di omogeneità (per esempio, per area territoriale, settore merceologico o tipo di clientela) o su base puntuale (per esempio, scegliendo in base al nominativo del debitore). Il factor procede inoltre alla valutazione preventiva dell’idoneità dei crediti dell’impresa a essere ceduti in modo pro solvendo o pro soluto: al riguardo, due indicatori importanti sono la durata del credito (per esempio, una lunga durata potrebbe essere sintomatica di scarsa forza contrattuale o difficoltà finanziarie) e il relativo importo (per esempio, un basso importo del credito potrebbe rendere non conveniente l’operazione per le parti). Alla cessione del credito segue la prestazione dei servizi da parte del factor secondo quanto stabilito contrattualmente (per esempio, servizi gestionali e/o anticipo e/o garanzia). Il factor subentra così nella gestione della relazione con il debitore. In caso di mancato pagamento da parte del debitore, l’attivazione della procedura per il recupero del credito (per esempio, l’onere dell’azione giudiziaria) spetta al factor nelle

Approfondimento 6.13w “La variazione del reddito incrementale: l’effetto del factoring”


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

operazioni pro soluto e al creditore nelle operazioni pro solvendo (che può comunque avvalersi dell’assistenza del factor). 6.2.5  Il credito al consumo Nell’ambito dello scambio di risorse finanziarie, le famiglie sono tradizionalmente considerate tra i soggetti economici in surplus (cioè soggetti che preferiscono non consumare interamente il proprio reddito al tempo presente e ne destinano una parte per sostenere consumi futuri) che trasferiscono tali fondi (cosiddetto “risparmio”) a unità economiche in deficit (tradizionalmente, le imprese e lo Stato), stante il vincolo contrattuale del rimborso in un tempo futuro e della remunerazione. Le operazioni di credito al consumo sono in tal senso una novità nello schema classico dello scambio finanziario, perché vedono le famiglie come prenditori di fondi: si tratta infatti di operazioni volte a finanziare un livello di consumi al tempo corrente (per esempio, l’acquisto di beni mobili e/o servizi destinati al soddisfacimento di bisogni personali o familiari) eccedente il reddito corrente e volte quindi ad anticipare una quota dei redditi futuri attesi. La normativa attuale definisce il credito al consumo come “la concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta (consumatore)” (art. 121 del TUB). Stante l’ampiezza della definizione fornita dal Legislatore, l’elemento caratterizzante del credito al consumo è la destinazione del finanziamento a favore di una persona fisica per l’acquisto di beni e/o di servizi caratterizzati dalla completa assenza di ogni finalità produttiva. Il credito al consumo è riservato alle persone consumatrici e ha un importo compreso tra 200 e 75 000,00 euro. Ai fini del computo della soglia minima si prendono in considerazione anche casi in cui più contratti di credito sono riconducibili a una stessa operazione economica. I prodotti finanziari nell’ambito del credito al consumo sono numerosi. Una prima possibile distinzione è quella tra finanziamenti finalizzati e prestiti personali (o non finalizzati). Nel primo caso, il finanziamento è erogato direttamente al fornitore del bene/servizio (nell’ambito di una convenzione preesistente tra il venditore del bene/servizio e la società finanziatrice), che procede a consegnarlo all’acquirente (Figura 6.8). Nel secondo caso, il finanziamento è erogato al consumatore senza alcun vincolo di destinazione: l’acquisto del bene/servizio è portato a termine autonomamente dal consumatore in un momento successivo all’erogazione del finanziamento e non vi è alcuna relazione tra il venditore del bene/servizio e la società finanziatrice (Figura 6.9). Un elemento comune a entrambi è relativo al rimborso del prestito: una volta ottenuto il finanziamento, il consumatore è tenuto a rimborsare il finanziamento, di norma in base a un piano di ammortamento (con una durata compresa tra 12 e 48 mesi) a rate costanti mensili e a canali di pagamento concordati (per esempio, RID o bollettini postali). Il consumatore finanziato ha sempre la facoltà di estinguere anticipatamente il prestito, versando il capitale residuo e gli interessi e gli altri oneri maturati fino al momento dell’estinzione, più (se previsto dal contratto e consentito dalla legge) un indennizzo che deve mantenersi nei limiti previsti dalla legge (attualmente l’1% del capitale residuo se la vita residua è superiore a un anno, lo 0,5% altrimenti, ai sensi dell’art. 125-sexies del TUB). Il contratto di acquisto del bene/servizio e il contratto di finanziamento sono di norma distinti sia nell’erogazione del credito finalizzato sia in quella dei prestiti per-


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Capitolo 6

L’intermediazione creditizia

2 Consumatore finanziato

Fornitore del bene/servizio 5

Figura 6.8 Credito al consumo: la struttura “tipo” del credito finalizzato.

1 3 4

6

Società finanziatrice

1. Stipula di un accordo tra il venditore del bene (per esempio, il produttore o il distributore di beni e/o servizi) e la società finanziatrice, volto a finanziare i clienti del venditore 2. Il consumatore procede all’acquisto del bene/servizio e richiede un finanziamento direttamente presso i locali del venditore 3. Il venditore trasferisce la richiesta di finanziamento e tutta la documentazione necessaria alla società finanziatrice per la valutazione del merito creditizio 4. In caso di accettazione della richiesta di finanziamento, la società finanziatrice eroga il finanziamento al venditore del bene/servizio 5. Il venditore del bene/servizio procede alla consegna del bene e/o all’erogazione del servizio acquistato dal consumatore 6. Il consumatore procede al pagamento periodico delle rate del finanziamento

3 Consumatore finanziato

Fornitore del bene/servizio 4

1 2 5

Società finanziatrice

1. Il consumatore richiede un finanziamento per l’acquisto di un bene/servizio 2. In caso di accettazione della richiesta di finanziamento, la società finanziatrice eroga il finanziamento al consumatore 3. Il consumatore procede autonomamente all’acquisto del bene/servizio 4. Il venditore del bene/servizio procede alla consegna del bene e/o all’erogazione del servizio acquistato dal consumatore 5. Il consumatore procede al pagamento periodico delle rate del finanziamento

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Figura 6.9 Credito al consumo: la struttura “tipo” del credito non finalizzato.


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

sonali. In altri termini, il contratto d’acquisto riguarda il consumatore e il venditore del bene/servizio, mentre le parti del contratto di finanziamento sono il consumatore e la società finanziatrice. Questa distinzione è rilevante nel caso di problemi legati al funzionamento del bene/servizio acquisito e/o di controversie o disguidi tra il consumatore e il venditore del bene/servizio: in linea di principio, l’impegno a rimborsare puntualmente le rate (assunto dal consumatore nei confronti del finanziatore) va comunque rispettato. Per esempio, nel caso di un contratto di acquisto sottoscritto al di fuori dei locali commerciali del venditore (tramite un programma televisivo, per strada, in casa propria, via posta, via telefono ecc.) in cui sia previsto un finanziamento per pagare il bene o il servizio, il debitore dovrà immediatamente informare la società finanziatrice in caso di ripensamento e/o di controversie con il venditore e, in attesa che il contenzioso si risolva, non dovrà interrompere il pagamento delle rate, per evitare di diventare inadempiente nei confronti del finanziatore. Di seguito si riportano le forme tecniche in cui le operazioni di credito al consumo possono essere erogate.

Carta di credito: strumento che permette di effettuare dei pagamenti per l’acquisto di beni e servizi presso esercizi commerciali e di regolarli in un momento successivo (per esempio, i pagamenti del mese di gennaio sono regolati con addebito sul c/c il 15 del mese successivo).

Approfondimento 6.14w “La domanda e l’offerta di credito  al consumo”

• Credito rateale, ossia un finanziamento di importo determinato che prevede un piano di rimborso definito e con rate quantificate sin dall’origine (se il tasso di interesse pattuito è fisso). L’importo del finanziamento può essere versato direttamente al cliente, nel caso dei prestiti personali, oppure al venditore del bene o servizio acquistato a rate dal consumatore, nel caso dei prestiti finalizzati. • Apertura di credito rotativo (o revolving credit), in cui il soggetto finanziatore mette a disposizione del consumatore una somma di denaro predeterminata che lo stesso può utilizzare a sua discrezione. Il consumatore è libero di definire il piano di rimborso, con il solo vincolo di assicurare il pagamento di una rata minima mensile. L’utilizzo di tale forma di finanziamento può essere collegato all’uso di una carta di credito “revolving”: il titolare della carta è autorizzato a effettuare spese per un corrispettivo di denaro prestabilito e procederà alla restituzione secondo una rata minima mensile. Queste carte sono spesso utilizzate dalle società finanziarie come strumento di fidelizzazione: per esempio, al rimborso di un credito finalizzato, se la società ha registrato la puntualità nei pagamenti da parte del soggetto affidato, può offrirgli una carta di credito con un fido massimo per i suoi futuri acquisti. • Cessione del quinto dello stipendio, ovvero un prestito personale garantito il cui elemento caratterizzante è dato dalla garanzia sottostante l’operazione; il soggetto finanziato ha infatti il diritto a percepire periodicamente un emolumento (per esempio, salario, stipendio o pensione) che viene ceduto, nella misura massima del quinto, al soggetto finanziatore a rimborso del prestito. Poiché l’oggetto della garanzia è un “bene” legalmente protetto, la cessione è una delle rare forme di finanziamento disciplinate in dettaglio dall’ordinamento, che ne regola struttura, caratteristiche e processo di erogazione. In particolare, la disciplina della cessione del quinto dello stipendio è stata introdotta dal D.P.R. n. 180 del 1950, che ne rappresenta tuttora la principale fonte normativa. Per alcuni dati sul credito al consumo si veda quanto riportato sul sito web del libro. L’articolo 121, comma 1, del TUB prevede una riserva di legge per l’offerta del credito al consumo, precisando che questo tipo di finanziamento può essere erogato unicamente da banche, intermediari finanziari (ex artt. 106 e 107 del TUB) e soggetti autorizzati alla vendita di beni e/o servizi nel territorio della Repubblica, nella sola forma della dilazione del pagamento del prezzo. In termini di importi medi erogati e di numero di operazioni, banche e soggetti specializzati detengono quote di mercato simili, ovvero di circa il 50%.


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Capitolo 6

L’intermediazione creditizia

299

Per quanto attiene agli intermediari finanziari, questi sono di norma di emanazione bancaria (cosiddette “società tradizionali”) o di gruppi industriali (cosiddette “società captive”). La normativa attuale (ex artt. 121 ss. del TUB) prevede specifici oneri di trasparenza allo scopo di migliorare il grado di informazione dei consumatori e il loro livello di protezione e la possibilità di raffronto tra le condizioni e i costi del credito, mentre la “Direttiva sul Credito al Consumo” (2008/48/CE) ha introdotto una serie di obblighi per gli intermediari creditizi relativi alle informazioni da fornire nella pubblicità e nella fase precontrattuale. Tra tali obblighi informativi rientra la comunicazione del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) del credito, comprensivo di tutti i costi di cui il creditore è a conoscenza. Il credito immobiliare ai consumatori Dal 21 aprile 2016, in recepimento della Direttiva 2014/17/UE, con il D.lgs. n. 72 è stata introdotta una nuova fattispecie di credito al consumo, che si contraddistingue per la natura del bene sottostante. La Direttiva, coerentemente con il processo di unificazione promosso con il nuovo assetto di vigilanza (Parte 4, La regolamentazione, la vigilanza e i controlli), fornisce standard di valutazione dell’immobile e sottolinea l’importanza di una tutela specifica del cliente. Infatti, da un lato il mercato immobiliare contribuisce in modo significativo alla creazione del mercato unico, dall’altro la rilevanza dell’operazione sul bilancio del cliente richiede specifiche forme di adeguatezza, trasparenza e correttezza da parte degli operatori abilitati.

Approfondimento 6.15w “Il calcolo del TAEG”

6.3  •  Elementi essenziali di regolamentazione In questo paragrafo sono descritti gli elementi fondamentali del contesto normativo con particolare riguardo ai seguenti profili: le principali fonti normative, l’accesso all’esercizio dell’attività di intermediazione creditizia, cenni alla nuova architettura di vigilanza e i profili di bilancio.

Approfondimento

6.2

Il TAEG e il TAN Il TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) misura l’onere complessivamente sostenuto dal cliente per accedere al finanziamento. A differenza del TAN (Tasso Annuo Nominale), che esprime il solo costo per interessi, il TAEG comprende anche le spese di istruttoria, le spese per l’incasso delle rate (per esempio, tramite procedura RID), l’eventuale compenso per l’attività di mediazione svolta da terzi (qualora tale interposizione sia necessaria), nonché il costo della polizza assicurativa o delle garanzie imposte dal creditore per accordare il prestito. Il TAEG può essere definito come il tasso su base annua che rende uguale il valore attuale di tutti gli importi che compongono il finanziamento a quello di tutti gli esborsi sostenuti dal debitore: m

ƒ (1 + i ) k =1

Ak

tk

=

m′

Ak′ ′

ƒ (1 + i ) k ′=1

tk ′

dove: k è il numero d’ordine di un prestito; m è il numero d’ordine dell’ultimo prestito; Ak è l’importo del prestito numero k; i è il tasso globale effettivo; tk è l’intervallo, espresso in anni e frazioni di anni, tra la data del prestito numero 1 e le date degli ulteriori prestiti da 2 a m; k’ è il numero d’ordine di una rata di rimborso o di pagamento di oneri; m’ è il numero d’ordine dell’ultimo rimborso o dell’ultimo pagamento degli oneri; A’k’ è l’importo del rimborso o del pagamento di oneri numero k’; tk’ è l’intervallo, espresso in anni e frazioni di anni, tra la data del prestito numero 1 e le date dei rimborsi o pagamenti di oneri da 1 a m’.


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Nello scambio delle risorse finanziarie tra il datore dei fondi (depositante) e l’intermediario creditizio, la presenza di problemi di asimmetria informativa, costi sociali legati al fallimento di un intermediario creditizio e fragilità finanziaria dell’intermediazione creditizia hanno nel tempo giustificato l’intervento delle Autorità di controllo per tutelare i clienti della banca. Tale esigenza è rafforzata dall’importanza crescente che il sistema creditizio assume per la trasmissione degli impulsi di politica economica e di politica monetaria unica (Capitolo 13). In ragione di ciò, il nuovo assetto, ossia il Single Supervisory Mechanism (SSM) in vigore dal primo gennaio 2014, prevede un puntuale sistema di regole volte a garantire la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, la stabilità complessiva, l’efficienza e la competitività del sistema finanziario, nonché l’osservanza delle disposizioni in materia creditizia (ex art. 5 del TUB), il tutto a livello comunitario. Considerato il ruolo determinante delle Autorità di vigilanza nazionali nel processo di armonizzazione, il loro operato è sottoposto a un articolato sistema di regole, linee guida e indirizzi di vigilanza condivisi. Per maggiori dettagli sulla nuova architettura di vigilanza, si rimanda al Capitolo 11. 6.3.1  Le principali fonti normative di riferimento Con la Circolare 285/2013 e successivi aggiornamenti (Disposizioni di vigilanza per le banche) la Banca d’Italia dà attuazione alla Direttiva 2013/36/UE (CRD IV): le relative disposizioni sono in vigore dal primo gennaio 2014 e riguardano: 1. 2. 3. 4. 5.

le condizioni per l’accesso all’attività bancaria; la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi; le partecipazioni detenibili; il processo di controllo prudenziale; le riserve patrimoniali addizionali.

A partire dalla stessa data è direttamente applicabile negli Stati membri il Regolamento UE n. 575/2013 (CRR), che disciplina gli istituti di vigilanza prudenziale del Primo Pilastro e le regole sull’informativa al pubblico del Terzo Pilastro. Queste due fonti normative, sono i principali atti che traspongono i contenuti di Basilea 3 negli ordinamenti nazionali comunitari nell’ambito del sistema di vigilanza unico europeo, facente a sua volta parte dell’Unione bancaria europea. Con la Circolare 288/2013 e successivi aggiornamenti (Disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari), le stesse materie vengono disciplinate con riferimento agli intermediari finanziari non bancari, che in questa sede rilevano in quanto effettuano intermediazione creditizia diversa dall’attività bancaria. Nel contesto italiano, l’ordinamento vigente prevede tre tipi di vigilanza (regolamentare, informativa e ispettiva) esercitate dalla Banca d’Italia conformemente alla nuova architettura di vigilanza (Capitolo 11). 6.3.2  La definizione di intermediazione creditizia Alla luce della sempre meno riscontrabile tripartizione dell’attività finanziaria in intermediazione creditizia, mobiliare e assicurativa, dare una definizione della prima significa fare riferimento non solo all’attività bancaria, esercitata in via esclusiva dalle banche autorizzate (ex artt. 13 e 14 del TUB), ma anche all’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, che racchiude le forme di intermediazione creditizia diverse dall’attività bancaria. In altri termini, si tratta di sog-


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Capitolo 6

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getti abilitati solo a erogare credito: ne deriva che questi soggetti ricorrono ad altre forme di raccolta presso soggetti diversi dal pubblico dei risparmiatori, sostenendo dunque costi tendenzialmente superiori. A tale proposito la Banca d’Italia, con un recente provvedimento, ha ampliato quelle a cui possono ricorrere i soggetti diversi dalle banche (per esempio, vengono introdotte norme sul peer-topeer lending). L’attività bancaria consiste nell’esercizio congiunto della raccolta del risparmio tra il pubblico e della concessione del credito (ex artt. 10 e 11 del TUB). Le banche raccolgono il pubblico risparmio con l’obbligo di rimborsarlo sia sotto forma di depositi che sotto altra forma equivalente. Coerentemente con l’ordinamento europeo, oltre all’attività bancaria, le banche possono svolgere ogni altra attività finanziaria, tranne quelle riservate a soggetti di altra natura. In particolare si fa riferimento ai servizi di intermediazione mobiliare (a eccezione della gestione collettiva del risparmio, soggetta a riserva a favore delle SGR, e ai servizi di pagamento e di moneta elettronica). L’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è esercitata dagli intermediari finanziari diversi dalle banche e iscritti nell’albo di cui all’art. 106 del TUB, e per essa si intende la concessione di crediti, compreso il rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di firma; tale attività comprende anche ogni tipo di finanziamento connesso a operazioni di locazione finanziaria, acquisto di crediti, credito al consumo (come definito all’art. 121 del TUB), credito ipotecario, prestito su pegno e rilascio di fideiussioni. 6.3.3  I soggetti abilitati e il regime di autorizzazione L’accesso all’esercizio dell’attività di intermediazione creditizia è sottoposto a riserva di legge sia per le banche sia per gli altri intermediari creditizi, peraltro definiti nel TUB “intermediari finanziari” determinando un disallineamento rispetto a una “categoria economica” molto più ampia perché comprende un insieme molto più vario di soggetti. Per le banche, il TUB prevede una riserva di legge (ex art. 1, lettera b) per l’esercizio dell’attività bancaria e la Banca d’Italia iscrive in un apposito albo (ex art. 13 del TUB) le banche autorizzate in Italia e le succursali delle banche comunitarie stabilite nel territorio della Repubblica. L’autorizzazione può essere concessa sia a nuove banche sia a società già esistenti, previa modifica dell’oggetto sociale e verifica dell’esistenza di condizioni atte a garantire la sana e prudente gestione. A tal fine, sono richieste (ex art. 14, comma 1 del TUB) le condizioni di seguito elencate. 1. Adozione della forma di società per azioni o di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata e l’ubicazione della sede legale e della direzione generale nel territorio della Repubblica. 2. Esistenza di un capitale versato di ammontare non inferiore a 10 milioni di euro, ovvero a 5 milioni di euro per le BCC (Banche di Credito Cooperativo). Questi limiti contemperano l’esigenza, da un lato, di non ostacolare l’accesso al mercato Approfondimento 6.16w “Circolare n. 285 di nuovi operatori, dall’altro di assicurare adeguati mezzi finanziari alle banche della Banca d’Italia – nella fase d’inizio dell’attività. Per le sole BCC, ciascun socio può sottoscrivere Parte Prima, Titolo I, capitale della banca fino a un massimo di 50 000 euro e il valore nominale di Capitolo 1, Sezione III ciascuna azione deve essere compreso tra 25 e 500 euro. Programma di attività” 3. Presentazione di un programma di attività, unitamente all’atto costitutivo e allo statuto, e di una relazione tecnica contenente documenti previsionali dei primi tre esercizi (utili a stimare l’ammontare degli investimenti pianificati per impian-


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Esponenti aziendali: membri del Consiglio di Amministrazione, del Collegio sindacale (sindaci effettivi e supplenti) e il direttore generale della banca, ovvero i soggetti che ricoprono cariche equivalenti comunque denominate.

tare la struttura tecnico-organizzativa e le relative coperture finanziarie, le dimensioni operative previste e i risultati economici attesi). 4. Possesso da parte dei partecipanti al capitale dei requisiti di onorabilità e degli altri presupposti soggettivi necessari per il rilascio dell’autorizzazione (ex art. 25 del TUB). 5. Possesso da parte degli esponenti aziendali dei requisiti di professionalità e di onorabilità (ex art. 26 del TUB). L’istruttoria della Banca d’Italia deve concludersi entro 180 giorni dalla data di ricevimento della domanda. Qualora dall’accertamento dei requisiti previsti non risulti garantita la sana e prudente gestione, la Banca d’Italia nega l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria (ex art. 14, comma 2, del TUB). La Banca d’Italia può richiedere ulteriori informazioni e chiarimenti a integrazione della documentazione già prevista dalla legge. Tali notizie possono anche essere richieste direttamente alla Federazione nazionale delle BCC qualora la domanda di autorizzazione venga presentata per il tramite degli organismi della categoria. In sede di rilascio dell’autorizzazione, la Banca d’Italia può fornire indicazioni affinché le linee di sviluppo dell’operatività assicurino il rispetto delle regole prudenziali e delle esigenze di sana e prudente gestione. Una volta iscritte nell’albo di cui all’art. 13 del TUB, le banche potranno esercitare, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali (art. 10, comma 3 del TUB). Per quanto attiene agli intermediari creditizi non bancari (denominati semplicemente “intermediari finanziari” nel Titolo V del TUB), la normativa è stata razionalizzata dalla già citata Circolare 288/2015. L’art. 106, comma 1, del TUB prescrive che l’attività di concessione di finanziamenti (sotto qualsiasi forma) presso il pubblico sia riservata agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti nell’albo unico tenuto dalla Banca d’Italia. Analogamente a quanto previsto per le banche, gli intermediari finanziari potranno prestare anche altre attività finanziarie (ai sensi dell’art. 106 del TUB, comma 2) quali: emissione di moneta elettronica e servizi di pagamento (se autorizzati ai sensi dell’articolo 114-quinquies, comma 4, del TUB e iscritti nel relativo albo) oppure solo servizi di pagamento (se autorizzati ai sensi dell’articolo 114–novies, comma 4 del TUB, e iscritti nel relativo albo); servizi di investimento (se autorizzati ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del TUF); altre attività a loro eventualmente consentite dalla legge (per esempio, la distribuzione dei prodotti assicurativi); attività connesse o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dalla Banca d’Italia. La prestazione di queste “altre” attività da un lato non dovrà snaturare le caratteristiche dell’intermediario finanziario la cui attività tipica è la concessione di finanziamenti e, dall’altro, può esporre l’intermediario a nuove tipologie di rischio. In tal senso, le disposizioni di vigilanza prevedono che esse siano svolte in via subordinata alla concessione di finanziamenti e che l’intermediario, prima di avviare iniziative in tali settori, invii alla Banca d’Italia il programma di attività e la relazione sulla struttura organizzativa aggiornati. Ai sensi dell’art. 107, comma 1, del TUB, l’iscrizione nell’albo degli intermediari finanziari è subordinata al ricorrere delle seguenti condizioni. 1. Adozione della forma di società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e cooperativa. 2. Sede legale e direzione generale situate nel territorio della Repubblica Italiana. 3. Capitale sociale iniziale non inferiore a 2 milioni di euro. Per gli intermediari che intendono anche prestare garanzie, tale requisito è elevato a 3 milioni di euro e


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Capitolo 6

4.

5. 6.

7.

L’intermediazione creditizia

si riduce a 1,2 milioni di euro in casi di adozione della forma di società cooperativa a mutualità prevalente e di esercizio esclusivo dell’attività di concessione di finanziamenti nei confronti del pubblico senza rilasciare garanzie. Presentazione di un programma di attività che descrive le linee di sviluppo dell’intermediario e l’evoluzione delle grandezze finanziarie e patrimoniali nella fase di avvio dell’operatività e della struttura organizzativa, unitamente all’atto costitutivo e allo statuto. La valutazione di tali documenti ha una rilevanza centrale nel procedimento di autorizzazione. Possesso da parte dei titolari di partecipazioni di cui all’articolo 19 del TUB e degli esponenti aziendali dei requisiti previsti ai sensi degli articoli 25, 26 e 110 del TUB. Non sussistenza, tra gli intermediari finanziari o i soggetti del gruppo di appartenenza e altri soggetti, di stretti legami che ostacolino l’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza. Oggetto sociale limitato alle sole attività di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 106 del TUB. Pertanto, a fronte della riserva di legge, gli intermediari finanziari sono vincolati dalla regola dell’esclusività che preclude lo svolgimento di ogni attività diversa da quelle finanziarie per le quali si è proceduto all’iscrizione.

Qualora dalla verifica delle condizioni sopramenzionate, la Banca d’Italia non valuti garantita la sana e prudente gestione dell’intermediario finanziario, essa potrà negare l’autorizzazione, ai sensi dell’articolo 107, comma 2, del TUB. Tra i vari elementi, la Banca d’Italia verifica: l’adeguatezza del programma di attività rispetto agli obiettivi di sviluppo e alle attività programmate; la sussistenza delle condizioni di idoneità degli esponenti aziendali e di coloro che detengono una partecipazione qualificata al capitale e del gruppo di appartenenza dell’intermediario finanziario a garantirne la sana e prudente gestione (al riguardo, le disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari prevedono che i soggetti che detengono, anche indirettamente, partecipazioni qualificate in un intermediario finanziario devono possedere, fra gli altri, i requisiti di onorabilità previsti dall’art. 25 del TUB e dalle relative disposizioni di attuazione); la coerenza e l’attendibilità delle informazioni contenute e delle previsioni formulate nel programma; la sostenibilità del programma per assicurare condizioni di equilibrio patrimoniale, reddituale e finanziario. In base agli esiti delle verifiche circa la sussistenza delle condizioni per l’autorizzazione e tenuto conto dell’esigenza di assicurare la sana e prudente gestione dell’intermediario, la Banca d’Italia rilascia o nega l’autorizzazione entro 180 giorni dalla data di ricevimento della domanda, corredata della richiesta documentazione. Le disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari prevedono inoltre disposizioni specifiche relative al rilascio dell’autorizzazione. Infatti, per la prestazione di servizi di investimento (di cui all’art. 18, comma 3, TUF), l’autorizzazione è condizionata al fatto che tali servizi siano effettivamente correlati con l’attività di concessione dei finanziamenti svolta in via principale e che l’esercizio degli stessi sia espressamente previsto nell’oggetto sociale. In tal caso, la Banca d’Italia valuta, inoltre, l’idoneità della struttura tecnico-organizzativa dell’intermediario ad assicurare il rispetto della disciplina dei servizi di investimento e la sana e prudente gestione. Disposizioni specifiche sono previste anche per gli intermediari esteri insediati in paesi comunitari che intendono prestare l’attività di concessione di finanziamenti attraverso una stabile organizzazione. L’intermediario finanziario decade dall’autorizzazione se rinuncia all’autorizzazione entro dodici mesi dal rilascio oppure non si serve dell’autorizzazione entro dodici mesi dall’iscrizione all’albo (almeno 60 giorni prima della scadenza di tale termine, l’intermediario può chiedere alla Banca d’Italia, in presenza di giustificate e soprav-

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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

venute motivazioni, un periodo di proroga non superiore a 6 mesi) oppure ha cessato la prestazione dell’attività di concessione di finanziamenti per un periodo continuativo superiore a 18 mesi. Qualora intervenga la decadenza, la Banca d’Italia cancellerrà l’intermediario dal relativo albo senza ulteriori formalità. 6.3.4  L’operatività transfrontaliera Per quanto attiene l’operatività al di fuori del territorio della Repubblica Italiana, le banche italiane possono offrire tutte le attività ammesse al mutuo riconoscimento (elencate all’art. 1, comma f del TUB tra cui, per esempio, il leasing finanziario, i servizi di pagamento, il rilascio di garanzie e impegni di firma, le operazioni per conto proprio o della clientela in strumenti del mercato monetario, cambi ecc.) con o senza succursali estere: 1. “liberamente” all’interno di uno Stato Comunitario; 2. “previa autorizzazione” della Banca d’Italia, all’interno di uno Stato extra-comunitario. Analogamente, le banche comunitarie possono esercitare le attività ammesse al mutuo riconoscimento nel territorio della Repubblica italiana, con o senza succursali dopo che la Banca d’Italia sia stata informata dall’Autorità competente dello Stato di appartenenza. Al fine di evitare che gli azionisti rilevanti possano esercitare i loro poteri in pregiudizio della gestione sana e prudente della banca o della capogruppo, la normativa ha tradizionalmente previsto una separazione tra l’attività bancaria e quella industriale (cosiddetta “separazione banca-industria”).

6.3.5  La disciplina delle partecipazioni L’ordinamento vigente prevede specifiche norme volte a regolare l’assunzione (direttamente e indirettamente, laddove la partecipazione indiretta al capitale di banche è quella acquisita per il tramite di società controllate, di società fiduciarie o per interposta persona e anche quella esercitata di concerto, ex art. 22 del TUB) di partecipazioni nel capitale di una banca con finalità “strutturali”, poiché incidono sia sulla morfologia del sistema finanziario sia sul grado di diversificazione e la modalità di organizzazione e svolgimento dell’attività del gruppo, e con finalità “prudenziali”, poiché incidono sul complessivo livello di rischio. La normativa, modificata a seguito della Direttiva 2007/44/CE (Direttiva in materia di acquisto di partecipazioni qualificate in banche, assicurazioni e imprese di investimento – Comunicazione al mercato), prevede un obbligo di autorizzazione all’acquisizione di partecipazioni nel capitale di una banca (art. 19 del TUB). I soggetti che intendono acquisire, direttamente o indirettamente, partecipazioni in banche o capogruppo sono tenuti a richiedere preventivamente l’autorizzazione della Banca d’Italia allorquando, tenuto conto di quelle già possedute, esse danno luogo: 1. al controllo, indipendentemente dall’entità della partecipazione. 2. alla possibilità di esercitare un’influenza notevole sulla gestione; 3. a una partecipazione non inferiore al 10% ovvero al raggiungimento o superamento delle soglie del 20%, 30% e 50% del capitale sociale o dei diritti di voto.


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Capitolo 6

L’intermediazione creditizia

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In relazione ai criteri per la valutazione dell’istanza, la Banca d’Italia considera, al fine di garantire la gestione sana e prudente della banca cui si riferisce il progetto di acquisizione e in modo proporzionale alla probabile influenza del candidato acquirente sulla banca medesima, la qualità del candidato acquirente e la solidità finanziaria della prevista acquisizione. La valutazione viene condotta sulla base dei seguenti criteri: 1. la reputazione del candidato acquirente (che include il possesso dei requisiti di onorabilità di cui all’art. 25 del TUB, la correttezza nei comportamenti e nelle relazioni d’affari, nonché la competenza professionale); 2. la reputazione e l’esperienza (quindi anche i requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza di cui all’art. 26 del TUB) di coloro che, in esito alla prevista acquisizione, svolgeranno funzioni di amministrazione, direzione e controllo nella banca; 3. la solidità finanziaria della società acquirente; 4. la capacità della banca di rispettare e continuare a rispettare le disposizioni di vigilanza; 5. l’esistenza di motivi ragionevoli per sospettare che, in relazione alla prevista acquisizione, sia in corso o abbia avuto luogo un’operazione o un tentativo di riciclaggio di proventi di attività illecite o di finanziamento del terrorismo o che la prevista acquisizione potrebbe aumentarne il rischio. In relazione alla procedura di autorizzazione, la Banca d’Italia invia all’acquirente la comunicazione di avvio del procedimento entro due giorni lavorativi dalla ricezione dell’istanza ed è tenuta a pronunciarsi entro 60 giorni lavorativi comunicando l’eventuale provvedimento di autorizzazione, completo delle relative motivazioni. La mancata adozione del provvedimento di rigetto dell’istanza entro il termine di conclusione del procedimento equivale al rilascio dell’autorizzazione (principio del “silenzio-assenso”). Al fine di evitare un eccessivo coinvolgimento della banca in società non finanziarie in pregiudizio della gestione sana e prudente della banca (per esempio, facendo venir meno l’indipendenza di giudizio nella valutazione del merito creditizio delle società partecipate), la normativa ha tradizionalmente previsto dei limiti stringenti alle partecipazioni detenibili dalla banca. La normativa attuale per le banche2 (contenuta nella Circolare della Banca d’Italia 285/2013 e successivi aggiornamenti) prevede una regola quantitativa generale secondo la quale il complesso delle partecipazioni detenute da una banca, unitamente agli investimenti in immobili, non può eccedere l’ammontare dei fondi propri e delle regole “specifiche” concernenti l’assunzione di partecipazioni con riferimento a due distinte fattispecie. 1. Partecipazioni in banche, in IMEL, in imprese finanziarie, in imprese strumentali e in imprese assicurative. In questo caso, l’acquisizione di una partecipazione è sottoposta a preventiva autorizzazione della Banca d’Italia qualora il suo ammontare: (a) superi il 10% dei fondi propri consolidati del gruppo; (b) comporti il controllo o l’influenza notevole.

2 Banca d'Italia, Circolare n. 288 del 3 aprile 2015, in recepimento della CRD IV (Direttiva 2013/36/UE del 26 giugno 2013) e della CRR (Regolamento UE n. 575/2013 del 26 giugno 2013) per gli intermediari finanziari.

Società strumentali: società non finanziarie nelle quali la banca o un gruppo finanziario detiene una partecipazione di controllo ed esercita (in via esclusiva o prevalente) un’attività con carattere ausiliario a quella svolta dalla banca.


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Imprese non finanziarie: società che svolgono attività diverse da quelle bancaria, finanziaria, assicurativa, ovvero non sono società strumentali.

2. Partecipazioni in imprese non finanziarie. In questo caso, i limiti previsti dalla normativa sono più complessi e sono statuiti un vincolo “complessivo” e uno di “concentrazione”. Il vincolo complessivo prevede che il totale delle partecipazioni in imprese non finanziarie non possa superare il 60% del patrimonio di vigilanza della banca. Il vincolo di concentrazione impone che le banche possano acquisire partecipazioni nel capitale di una singola impresa non finanziaria entro il limite del 15% del patrimonio di vigilanza della banca. La normativa in materia di partecipazioni ora contenuta nella citata Circolare 285/2013 rappresenta la conclusione di un processo di allentamento dei vincoli avviato dalla deliberazione del CICR 276/2008 rispetto al principio della separatezza banca-impresa storicamente sancito dalla legge bancaria del 1936.

6.4 •  Il bilancio delle banche e degli intermediari finanziari Recentemente, la Circolare 217/1996 della Banca d’Italia è stata modificata per allineare i dati di fine esercizio ai nuovi schemi di bilancio IAS, alle segnalazioni prudenziali e per soddisfare i nuovi maggiori fabbisogni informativi conseguenti all’evo-

6.3

Approfondimento Partecipazioni bancarie e crisi d’impresa

Le disposizioni di vigilanza consentono operazioni di acquisizione di partecipazioni da parte delle banche in relazione alla finalità di offrire un sostengo finanziario alle imprese in difficoltà. Partecipazioni in imprese in temporanea difficoltà finanziaria Tali acquisizioni possono avvenire mediante acquisizione di azioni o altri strumenti di nuova emissione o conversione dei crediti al fine di consentire il riequilibrio di imprese in difficoltà finanziarie. Esse devono essere valutate dalla banca con estrema cautela per la complessità e l’elevato grado di incertezza che caratterizzano tali operazioni. In particolare, deve essere verificata la sussistenza di una convenienza economica. La conversione di crediti può rivelarsi vantaggiosa a condizione che la crisi dell’impresa sia temporanea, riconducibile essenzialmente ad aspetti finanziari e non di mercato, e perciò esistano ragionevoli prospettive di riequilibrio nel medio periodo. Tali partecipazioni non sono computate nei limiti di concentrazione e complessivo per le partecipazioni qualificate detenibili in imprese non finanziarie per un periodo corrispondente alla durata del piano di risanamento e di norma non superiore a 5 anni (Istruzioni di vigilanza, Tit. V, Cap. 4, Sez. IV). È pertanto necessario disporre di un piano di risanamento finalizzato a conseguire l’equilibrio eco-

nomico e finanziario in un periodo di tempo di norma non superiore a 5 anni e predisposto da un numero di banche che rappresentino una quota elevata dell’esposizione complessiva dell’impresa. Il piano deve essere approvato da parte delle banche interessate che devono valutare la convenienza economica dell’operazione rispetto a forme alternative di recupero e verificare la sussistenza delle condizioni stabilite per l’acquisizione. La banca capofila si assume la responsabilità di verificare la corretta esecuzione del piano e il sostanziale conseguimento degli obiettivi intermedi e finali previsti. Partecipazioni acquisite per recupero crediti Le acquisizioni devono essere finalizzate a facilitare il recupero del credito attraverso lo smobilizzo dell’attivo della società al fine di liquidare il patrimonio dell’impresa. Tale intervento deve essere approvato dall’organo con funzione di gestione con una delibera che ne metta in luce la convenienza rispetto all’avvio di altre iniziative di recupero, anche coattivo. L’organo con funzione di gestione può delegare le operazioni della specie a un comitato specializzato, fissando limiti e criteri di esercizio del potere delegato diretti ad assicurare un attento scrutinio delle stesse. L’acquisizione può essere effettuata nel rispetto dei limiti di concentrazione (Istruzioni di vigilanza, Tit. V, Cap. 4, Sez. IV).


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luzione operativa, al processo di innovazione e alla crescente rilevanza sistemica degli intermediari finanziari. La normativa di riferimento La disciplina del bilancio di esercizio della banca è composita e va ricercata nei diversi provvedimenti succedutisi nel tempo. • D.lgs. 38/2005, con cui sono stati recepiti i principi contabili internazionali (IAS, International Accounting Standards, e IFRS, International Financial Reporting Standards: di particolare rilievo per le banche sono lo IAS 32, lo IAS 39 unitamente all’IFRS 9 e l’IFRS 7, che integra in modo sostanziale quanto previsto dallo IAS 32 in materia di informativa di bilancio sugli strumenti finanziari. In particolare, lo IAS 32 riguarda l’esposizione e l’informativa relativa agli strumenti finanziari. Lo IAS 39 e l’IFRS 9 riguardano l’iscrizione e la misurazione degli strumenti finanziari. L’IFRS 9 sta progressivamente rimpiazzando lo IAS 39) adottati dall’Unione Europea con il Regolamento n. 1606 del 2002, attualmente in fase di revisione e recepimento graduale in seguito al dibattito sollevato dalla crisi finanziaria del 2007. A ogni modo, ai sensi degli artt. 2, 3 e 4, i principi contabili internazionali si applicano alle società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati di qualsiasi Stato membro dell’Unione Europea, alle società aventi strumenti finanziari diffusi tra il pubblico, alle banche italiane, alle società di intermediazione mobiliare e agli intermediari finanziari. • D.lgs. 136/2015, di derivazione comunitaria (2013/34/UE), che ha aggiornato la regolamentazione speciale (ante-IFRS) riguardante i bilanci delle banche, rinviando per aspetti tecnici, come per esempio l’informativa al pubblico, a provvedimenti della Banca d’Italia. • Circolare 262/2005 della Banca d’Italia, con cui, sulla base della normativa sopra menzionata, viene dettata una nuova disciplina organica del bilancio di esercizio delle banche: l’ultimo aggiornamento è del 15 dicembre 2015. • “Istruzioni per la redazione dei bilanci e dei rendiconti degli Intermediari finanziari non bancari, degli Istituti di pagamento, degli IMEL, delle SGR e delle SIM” emanate dalla Banca d’Italia il 15/12/2015. 6.4.1  Il bilancio delle banche La disciplina relativa alla redazione del bilancio delle banche è analizzata con riferimento ai seguenti aspetti: 1. 2. 3. 4.

i documenti obbligatori; lo stato patrimoniale; il conto economico; le voci di bilancio “tipiche” dell’attività bancaria.

1. I documenti obbligatori Approfondimento 6.17w Nel redigere il bilancio, gli amministratori devono rispettare il requisito della chia“Prospetto delle variazioni rezza e della rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’esercizio. Il bilancio della banca è costituito dallo stato del patrimonio netto, patrimoniale, dal conto economico, dal prospetto delle variazioni del patrimonio netto, rendiconto finanziario e nota integrativa” dal rendiconto finanziario e dalla nota integrativa. Questi documenti vanno redatti secondo gli schemi previsti dalla Banca d’Italia (Tabelle 6.5 e 6.6). Il bilancio è altresì corredato di una relazione degli amministratori sull’andamento della gestione


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Tabella 6.5 Schema dello stato patrimoniale per l’impresa bancaria previsto dalla Banca d’Italia

1.  Stato patrimoniale (T = anno di riferimento del bilancio) Voci dell’attivo 10. 20. 30. 40. 50. 60. 70. 80. 90. 100. 110. 120. 130.

140. 150.

80.

90. 100. 110. 120.

130. 140. 150. 160. 170. 180. 190. 200.

T  1

Cassa e disponibilità liquide Attività finanziarie detenute per la negoziazione Attività finanziarie valutate al fair value Attività finanziarie disponibili per la vendita Attività finanziarie detenute sino alla scadenza Crediti verso banche Crediti verso clientela Derivati di copertura Adeguamento di valore delle attività finanziarie oggetto di copertura generica (+/) Partecipazioni Attività materiali Attività immateriali di cui – avviamento Attività fiscali (a) correnti (b) anticipate Attività non correnti e gruppi di attività in via di dismissione Altre attività Totale dell’attivo Voci del passivo e del patrimonio netto

10. 20. 30. 40. 50. 60. 70.

T

Debiti verso banche Debiti verso clientela Titoli in circolazione Passività finanziarie di negoziazione Passività finanziarie valutate al fair value Derivati di copertura Adeguamento di valore delle passività finanziarie oggetto di copertura generica (+/) Passività fiscali (a) correnti (b) differite Passività associate ad attività in via di dismissione Altre passività Trattamento di fine rapporto del personale Fondi per rischi e oneri: (a) quiescenza e obblighi simili (b) altri fondi Riserve da valutazione Azioni rimborsabili Strumenti di capitale Riserve Sovrapprezzi di emissione Capitale Azioni proprie () Utile (perdita) d’esercizio (+/) Totale del passivo e del patrimonio netto

T

T  1


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L’intermediazione creditizia

2.  Conto economico (T = anno di riferimento del bilancio) Voci 10. Interessi attivi e proventi assimilati 20. Interessi passivi e oneri assimilati 30. Margine di interesse 40. Commissioni attive 50. Commissioni passive 60. Commissioni nette 70. 80. 90. 100.

Dividendi e proventi simili Risultato netto dell’attività di negoziazione Risultato netto dell’attività di copertura Utili (perdite) da cessione o riacquisto di: (a) crediti (b) attività finanziarie disponibili per la vendita (c) attività finanziarie detenute sino alla scadenza (d) passività finanziarie 110. Risultato netto delle attività e passività finanziarie valutate al fair value

120. Margine di intermediazione 130. Rettifiche/riprese di valore nette per deterioramento di: (a) crediti (b) attività finanziarie disponibili per la vendita (c) attività finanziarie detenute sino alla scadenza (d) altre operazioni finanziarie 140. Risultato netto della gestione finanziaria 150. Spese amministrative: (a) spese per il personale (b) altre spese amministrative 160. Accantonamenti netti ai fondi per rischi e oneri 170. Rettifiche/riprese di valore nette su attività materiali 180. Rettifiche/riprese di valore nette su attività immateriali 190. Altri oneri/proventi di gestione 200.

Costi operativi

210. 220.

Utili (perdite) delle partecipazioni Risultato netto della valutazione al fair value delle attività materiali e immateriali 230. Rettifiche di valore dell’avviamento 240. Utili (perdite) da cessione di investimenti 250. Utile (perdita) dell’operatività corrente al lordo delle imposte 260. Imposte sul reddito dell’esercizio dell’operatività corrente 270. Utile (perdita) dell’operatività corrente al netto delle imposte 280. Utile (perdita) dei gruppi di attività in via di dismissione al netto delle imposte 290. Utile (perdita) d’esercizio

T

T  1

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Tabella 6.6 Schema del conto economico per l’impresa bancaria previsto dalla Banca d’Italia


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Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

e sulla situazione della banca o della società finanziaria e dell’insieme delle imprese incluse nel consolidamento. 2. Lo stato patrimoniale Per quanto attiene allo stato patrimoniale, lo schema proposto dalla Banca d’Italia nella Circolare 262/2005 prevede che le poste siano ordinate secondo un criterio di “liquidità” per l’attivo, di “esigibilità” per il passivo e che, in entrambe le sezioni, ci sia un’articolazione delle voci in base alla loro destinazione funzionale. Tale classificazione permette al lettore del bilancio di poter apprezzare la condizione finanziaria della banca e di formulare un giudizio sull’entità dei rischi insiti nelle poste dell’attivo. Con riferimento all’attivo, le voci “tipiche” della banca sono analizzate di seguito. • 20. Attività finanziarie detenute per la negoziazione, cioè tutte le attività finanziarie (per esempio, titoli di debito, titoli di capitale, finanziamenti, derivati ecc.) allocate nel portafoglio di negoziazione della banca. • 30. Attività finanziarie valutate al fair value, cioè tutte le attività finanziarie per cassa (titoli di debito, titoli di capitale ecc.) designate al fair value con i risultati Approfondimento 6.18w “Evoluzione valutativi iscritti nel conto economico, sulla base della facoltà riconosciuta alle della fair value option imprese (cosiddetta fair value option) dall’IFRS 9, dallo IAS 28 e dall’IFRS 11. dallo IAS 39 all'IFRS 9 • 40. Attività finanziarie disponibili per la vendita, cioè tutte le attività finanziarie (per esempio, titoli di debito, titoli di capitale ecc.) classificate nel portafoglio disponibile per la vendita. • 50. Attività finanziarie detenute sino alla scadenza, cioè i titoli di debito quotati su un mercato attivo e i finanziamenti quotati allocati nel portafoglio detenuto sino alla scadenza (cosiddetti HTM, Held To Maturity). • 60. Crediti verso banche, cioè le attività finanziarie non quotate su un mercato attivo verso banche (conti correnti, depositi cauzionali, titoli di debito, crediti di funzionamento ecc.) classificate nel portafoglio “crediti”. • 70. Crediti verso clientela, cioè tutte le attività finanziarie non quotate su un mercato attivo verso clientela (per esempio, mutui, operazioni di locazione finanziaria, operazioni di factoring, titoli di debito, crediti di funzionamento connessi ad attività di servicing ex TUB e TUF ecc.) allocate nel portafoglio “crediti”. Sono anche inclusi i crediti verso gli uffici postali e la Cassa Depositi e Prestiti, nonché i margini di variazione presso organismi di compensazione a fronte di operazioni su contratti derivati. Questi ultimi, come anche la categoria che segue, sono trattati nel Capitolo 4 del presente volume, al quale si rimanda per una loro definizione generale e per una classificazione per tipologie. • 80. Derivati di copertura, cioè i derivati finanziari e creditizi (sempreché non assimilabili alle garanzie ricevute secondo lo IAS 39) di copertura che alla data di riferimento del bilancio presentano un fair value positivo. • 90. Adeguamento di valore delle attività finanziarie oggetto di copertura generica, cioè il saldo, positivo o negativo, delle variazioni di valore delle attività oggetto di copertura generica (macrohedging) dal rischio di interesse. • 100. Partecipazioni, cioè le partecipazioni in società controllate (anche in modo congiunto) e sottoposte a influenza notevole, diverse da quelle ricondotte nelle voci 20. e 30. dell’attivo, ai sensi dello IAS 28, Paragrafo 1, e IAS 31, Paragrafo 1. Con riferimento al passivo, le voci “tipiche” della banca sono analizzate di seguito. • 10. Debiti verso banche, cioè i debiti (inclusi quelli di funzionamento succitati) verso banche, qualunque sia la loro forma tecnica (depositi, conti correnti, finanziamenti), diversi da quelli ricondotti nelle voci 30., 40. e 50. del passivo.


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• 20. Debiti verso clientela, cioè tutti i debiti verso la clientela, qualunque sia la loro forma tecnica (per esempio, depositi, conti correnti, finanziamenti), diversi da quelli ricondotti nelle voci 30., 40. e 50. del passivo. • 30. Titoli in circolazione, cioè tutti i titoli emessi dalla banca (inclusi i buoni fruttiferi, i certificati di deposito e gli assegni circolari emessi al portatore), quotati e non quotati, valutati al costo ammortizzato. • 40. Passività finanziarie di negoziazione, cioè le passività finanziarie, qualunque sia la loro forma tecnica (per esempio, titoli di debito, finanziamenti ecc.), classificate nel portafoglio di negoziazione. • 50. Passività finanziarie valutate al fair value, cioè le passività finanziarie, qualunque sia la loro forma tecnica (titoli di debito, finanziamenti ecc.), designate al fair value con i risultati valutativi iscritti nel conto economico, sulla base della facoltà riconosciuta dall’IFRS 9 alle imprese in specifiche ipotesi (cosiddetto fair value option). Va esclusa la quota dei titoli di debito di propria emissione non ancora collocata presso terzi. • 60. Derivati di copertura, cioè i derivati finanziari e creditizi (sempreché non assimilabili alle garanzie ricevute secondo lo IAS 39) di copertura che alla data di riferimento del bilancio presentano un fair value negativo. • 130. Riserve da valutazione, cioè le riserve da valutazione relative alle attività finanziarie disponibili per la vendita, alle attività materiali e immateriali nell’ipotesi di utilizzo del metodo della rivalutazione, alla copertura di investimenti esteri, alla copertura dei flussi finanziari, alle differenze di cambio da conversione, alle “singole attività” e ai gruppi di attività in via di dismissione. • 150. Strumenti di capitale, cioè gli strumenti rappresentativi di patrimonio netto, diversi dal capitale e dalle riserve. • 160. Riserve, cioè le riserve di utili (legale, statutaria, per acquisto azioni proprie, utili/perdite portati a nuovo ecc.). • 180. Capitale, cioè l’importo delle azioni (o delle quote) emesse dalla banca o il suo fondo di dotazione, al netto dell’importo del capitale sottoscritto e non ancora versato alla data di riferimento del bilancio. Sono incluse anche le azioni o le quote che attribuiscono ai loro possessori una maggiorazione del dividendo rispetto ai soci ordinari (per esempio, azioni di risparmio e privilegiate). 3. Il conto economico Per quanto attiene al conto economico, questo documento è proposto in forma scalare con l’evidenziazione di margini e risultati economici intermedi. Le voci principali sono analizzate di seguito. • 10. Interessi attivi e proventi assimilati e 20. Interessi passivi e oneri assimilati, cioè gli interessi attivi e passivi, i proventi e gli oneri assimilati relativi, rispettivamente, a disponibilità liquide, attività finanziarie detenute per la negoziazione, attività finanziarie disponibili per la vendita, attività finanziarie detenute sino alla scadenza, crediti, attività finanziarie valutate al fair value (si vedano le voci 10., 20., 30., 40., 50., 60. e 70. dell’attivo) e a debiti, titoli in circolazione, passività finanziarie di negoziazione, passività finanziarie valutate al fair value (si vedano le voci 10., 20., 30., 40. e 50. del passivo), nonché eventuali altri interessi maturati nell’esercizio. Nel calcolo degli interessi attivi e passivi, è altresì necessario considerare i differenziali o i margini, positivi e negativi, maturati sino alla data di riferimento del bilancio e relativi ai contratti derivati finanziari, oltre alle commissioni di intermediazione percepite a fronte della gestione di fondi messi a dispo-

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sizione da enti pubblici e destinati a particolari operazioni di impiego previste per legge (“fondi di terzi in amministrazione”). 40. Commissioni attive e 50. Commissioni passive, cioè i proventi e gli oneri relativi, rispettivamente, ai servizi prestati e a quelli ricevuti dalla banca o dalla società finanziaria (per esempio, garanzie, incassi e pagamenti, gestione e intermediazione ecc.). Sono incluse le spese per l’assicurazione/riassicurazione dei crediti e i premi dei derivati creditizi assimilati alle garanzie ai sensi dello IAS 39. 70. Dividendi e proventi simili, cioè i dividendi relativi ad azioni o quote di capitale detenute in portafoglio diverse da quelle valutate in base al metodo del patrimonio netto. Sono compresi anche i dividendi e gli altri proventi di quote di OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio). 80. Risultato netto dell’attività di negoziazione, cioè, per “sbilancio” complessivo, la somma algebrica di due elementi: (a) il saldo tra i profitti e le perdite delle operazioni classificate nelle “attività finanziarie detenute per la negoziazione” e nelle “passività finanziarie di negoziazione”, inclusi i risultati delle valutazioni di tali operazioni ed esclusi i risultati riguardanti derivati connessi alla fair value option; (b) il saldo tra i profitti e le perdite delle operazioni finanziarie, diverse da quelle designate al fair value e da quelle di copertura, denominate in valuta, inclusi i risultati delle valutazioni di tali operazioni. Il tutto deve essere depurato da risultati derivanti da oscillazioni dei cambi valutari. 100. Utili (perdite) da cessione o riacquisto, con un’articolazione in quattro sottovoci. Nelle prime tre [indicate come (a), (b) e (c)] sono riportati i saldi tra gli utili e le perdite realizzati con la vendita, rispettivamente, delle attività finanziarie classificate nei portafogli “crediti”, delle “attività finanziarie disponibili per la vendita” e delle “attività finanziarie detenute sino alla scadenza”. La quarta sottovoce [indicata come (d)] rappresenta il saldo tra gli utili e le perdite realizzati in occasione del riacquisto di proprie “passività finanziarie” (diverse da quelle di negoziazione e da quelle designate al fair value). 110. Risultato netto delle attività e passività finanziarie valutate al fair value, cioè il saldo tra gli utili e le perdite delle “attività finanziarie valutate al fair value” e delle “passività finanziarie valutate al fair value”, inclusi i risultati delle valutazioni al fair value di tali attività e passività, nonché il risultato delle valutazioni dei derivati creditizi e finanziari connessi con la fair value option. 130. Rettifiche/riprese di valore nette per deterioramento, con un’articolazione in quattro sottovoci [indicate come (a), (b), (c) e (d)] in cui figurano i saldi tra le rettifiche di valore e le riprese di valore connesse con il deterioramento dei “crediti” verso clientela e verso banche, delle “attività finanziarie disponibili per la vendita”, delle “attività finanziarie detenute sino alla scadenza” e delle “altre operazioni finanziarie”. 210. Utili (perdite) delle partecipazioni, cioè il saldo tra i proventi e gli oneri relativi alle partecipazioni in società controllate, controllate congiuntamente e sottoposte a influenza notevole. 220. Risultato netto della valutazione al fair value delle attività materiali e immateriali, cioè il saldo fra le svalutazioni e le rivalutazioni (diverse dalle rettifiche di valore e dalle riprese di valore da deterioramento) delle attività materiali e immateriali (diverse dall’avviamento) valutate al fair value o al valore rivalutato, che ai sensi degli IAS 16, 36 e 40 devono essere iscritte nel conto economico.

4. Le voci di bilancio “tipiche” dell’attività bancaria Nell’ambito del bilancio della banca, vi sono alcune voci la cui analisi merita un’attenzione particolare sotto il profilo della loro iscrizione (recognition), classi-


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ficazione (classification) e valutazione (measurement). Le poste qui analizzate sono le seguenti: 1. 2. 3. 4.

titoli di proprietà della banca; crediti della banca; passività della banca; fondo rischi su crediti.

Per quanto attiene ai titoli di proprietà della banca, l’IFRS 9 impone di suddividere il portafoglio titoli di proprietà in tre possibili categorie, in relazione alle ragioni della detenzione, individuando per ciascuna di esse un determinato procedimento di valutazione e prevedendo diversi criteri di iscrizione. Un’attività finanziaria, una volta associata a una delle categorie, difficilmente viene riclassificata. Di seguito vengono identificate in dettaglio le tre categorie. • Titoli AC (Amortised Cost). Si tratta di attività finanziarie di norma detenute fino a scadenza, ossia allo scopo di beneficiarne in termini di cash flow previsti contrattualmente, oltre che in un’ottica di patrimonio. Tali cash flow devono consistere nella restituzione del capitale e nel rendimento a titolo di interesse (il tasso di interesse deve riflettere il rischio, il valore del tempo e un margine di profitto “normale/di mercato”); altrimenti vengono classificati come FVTPL (si veda la categoria finale), a meno che non siano azioni. Sono previsti casi nei quali la vendita prima della scadenza è ritenuta compatibile con le ragioni della detenzione (per esempio, un significativo incremento del rischio, un ammontare trascurabile). L’iscrizione iniziale avviene al fair value al momento dell’acquisto; la valutazione successiva è al costo ammortizzato. A questo criterio è associata una minore volatilità della posta di bilancio in quanto il relativo valore non viene aggiornato alle fluttuazioni di mercato dal lato del valore di scambio. Tuttavia, interessi attivi, svalutazione dovuta a un accresciuto rischio di credito (impairment), proventi e perdite da fluttuazioni di tassi di cambio vengono iscritti in conto economico, come anche perdite o proventi realizzati con la vendita. • Titoli FVTOCI (Fair Value Through Other Comprehensive Income). In questo caso, si presume che le ragioni della detenzione associate al dato titolo siano realizzabili mediante una più equilibrata combinazione tra detenzione fino a scadenza e vendita sul mercato. Per esempio, quando il portafoglio attivi, o una sua parte, è strumentale al soddisfacimento di un fabbisogno di liquidità. Anche in questo caso, i cash flow del dato titolo devono rispondere ai requisiti richiesti ai titoli classificati al costo ammortizzato; analoghe anche le modalità e i requisiti di iscrizione iniziale; la valutazione successiva è al fair value. Tuttavia, occorre fare una distinzione tra strumenti di debito e di capitale. Per i primi vale quanto detto per la categoria AC, ma ogni altro provento e perdita non viene iscritto in conto economico (OCI); al momento della vendita, quanto registrato in OCI viene contabilizzato in conto economico. Per i secondi, i dividendi vengono iscritti in conto economico e i cambiamenti nel fair value in OCI, ma al momento della vendita quanto contabilizzato in OCI non viene iscritto in conto economico, così come l’impairment. • Titoli FVTPL (Fair Value Through Profit And Loss). Si tratta di una categoria residuale, in cui cioè si presume che le ragioni della detenzione vengono realizzate in ogni altro modo diverso dai precedenti: per esempio, titoli gestiti in modo da massimizzarne il prezzo di vendita; un portafoglio le cui performance vengono valutate con un criterio di fair value; un portafoglio detenuto nell’ambito di una strategia di trading di breve termine. L’iscrizione iniziale è al fair value; la valutazione successiva segue invece le oscillazioni di mercato e i differenziali positivi

Fair value: definito dallo IAS 32 (sezione 11) come il corrispettivo al quale un’attività finanziaria può essere scambiata o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli e disponibili (si veda anche IAS 39/IFRS 7).


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o negativi vengono iscritti al conto economico (dal momento che l’orizzonte temporale è di breve termine, si presume che, tendenzialmente, tali differenziali vengano realizzati).

Downgrading: peggioramento del giudizio di rating.

Per quanto attiene ai crediti della banca, la normativa precedente l’adozione dei principi contabili internazionali prevedeva che questi fossero valutati secondo il valore presumibile di realizzazione. La normativa attuale, recependo l’IFRS 9, prevede l’iscrizione di tali poste secondo i criteri indicati per i titoli di proprietà della banca. Tuttavia, sono previste delle regole specifiche. Per esempio, qualora un credito sia originato con lo scopo di cartolarizzarlo, ciò non impedisce di presumere che verrà detenuto fino a scadenza. Nonostante i cash flow del credito non vengano trattenuti dalla banca, ma trasferiti agli acquirenti dei titoli cartolari, essi spettano contrattualmente alla banca: solo con un successivo accordo essi passano agli investitori. Inoltre, i crediti potrebbero essere racchiusi in un sub-portafoglio qualora siano gestiti secondo un modello di business diverso da quello predominante dell’entità. La normativa prevede altresì una procedura di svalutazione (cosiddetto impairment) dei crediti allorché in un momento successivo all’iscrizione iniziale si verifichi una perdita durevole di valore di una posta che non sia classificata come un FVTPL, tra cui i crediti. In passato, è stato osservato che le politiche di accantonamento non erano efficaci rispetto alle perdite su crediti. Il nuovo modello si basa sulle perdite attese, invece che su quelle storiche, in modo da migliorare la rilevazione delle potenziali perdite e accantonare le risorse necessarie. Le perdite attese possono essere calcolate su un orizzonte di 12 mesi o rispetto alla scadenza del credito; tuttavia, fintantoché il rischio di quest’ultimo aumenta in modo significativo, occorre passare al secondo metodo, se non già adottato: ciò segnala agli investitori come cambiano le aspettative dell’entità rispetto al dato credito. In altri termini, nel caso in cui il valore contabile del credito risulti superiore al valore di realizzo, è prevista la possibilità di operare una svalutazione (iscritta nel conto economico della banca come “rettifiche di valore”). L’impairment va operato su singole operazioni di credito (cosiddetto impairment analitico): la banca dovrà identificare le posizioni su cui vi sia un’obiettiva evidenza di perdite durevoli di valore dei crediti in portafoglio dovuti all’inadempimento del debitore (crediti impaired). Nell’identificare quale sia l’evento scatenante l’impairment, vi è in teoria un continuum di soluzioni fra un estremo più restrittivo (ossia impairment = insolvenza in senso stretto) e un estremo più ampio (quindi impairment = downgrading). In pratica, la necessità di operare una svalutazione si manifesta per i crediti caratterizzati da: 1. significative ed evidenti difficoltà finanziarie del debitore, che ne accrescono la probabilità di default; 2. una vita a scadenza estesa o una concentrazione dei flussi di cassa rilevanti a ridosso della data di scadenza a cui corrisponde l’inadempimento del debitore con riferimento a delle clausole non direttamente monetarie (covenant); 3. un output dell’attività ordinaria di monitoring che riveli un maggior rischio di credito. La determinazione analitica dell’impairment richiede che per ogni singola posta si proceda a: 1. determinare la stima dell’importo recuperabile; 2. definire l’arco temporale entro il quale si ritiene di recuperare parte del valore dell’attività;


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3. distribuire i flussi di cassa attesi nell’arco temporale definito; 4. attualizzare i flussi di cassa attesi sulla base del tasso di interesse effettivo originario dell’attività. Il valore del credito è quindi ottenuto attraverso l’attualizzazione (al tasso interno di rendimento originario) dei flussi di cassa futuri, stimati tenendo conto delle mutate condizioni del debitore. Qualora i valori siano più bassi dei flussi di cassa contrattuali o le scadenze appaiano slittate, il valore contabile dovrà essere svalutato di un ammontare pari alla cash shortfall, ossia la differenza tra ammontare dovuto e ammontare atteso del credito. Alternativamente a questa procedura di calcolo, il valore di recupero del credito e la perdita possono essere determinate sulla base del fair value del credito determinato utilizzando un prezzo di mercato osservabile. Se in un periodo successivo alla rilevazione di un deperimento economico di un’attività aumenta il valore di recupero/fair value del credito e se tale aumento può essere correlato “oggettivamente” a un evento occorso dopo la svalutazione, bisogna rilevare una ripresa di valore utilizzando la medesima procedura di calcolo seguita per la svalutazione. Successivamente al processo di valutazione analitica, occorre identificare gli strumenti finanziari che devono essere valutati collettivamente (cosiddetto impairment collettivo). Ai sensi dell’IFRS 9, si tratta delle singole attività che non presentano delle caratteristiche che consentono una valutazione oggettiva delle perdite attese (per esempio, nei prestiti di ammontare ridotto il default è spesso rilevabile solo una volta accaduto in quanto l’attività di monitoring durante l’holding period è onerosa). Le categorie omogenee di attività finanziarie vanno individuate con riferimento alla tipologia di rischio che le caratterizza. Le variabili sono: il tipo di contratto, il rating, le garanzie prestate, la data di erogazione, la vita a scadenza, il settore merceologico del debitore e la sua collocazione geografica, l’impatto della garanzia sulla probabilità di default. Il criterio può cambiare nel tempo, se ciò ne accresce l’efficacia. In questi casi, l’impairment si calcola confrontando il valore di iscrizione contabile del gruppo omogeneo di crediti con il valore effettivo di recupero, ottenuto dopo aver stimato la perdita attesa secondo una certa distribuzione di probabilità: non viene prescritto un preciso metodo di stima, se non il fatto di considerare la vita a scadenza e altre informazioni rilevanti, fatte salve le indicazioni del Comitato di Basilea. Oppure, al momento dell’iscrizione iniziale del portafoglio di crediti viene definito un tetto massimo di rischio tollerabile, con il quale confrontare il rischio effettivo: se quest’ultimo è maggiore, verrà utilizzato il metodo della vita a scadenza, se non già utilizzato. Inoltre, allorché siano disponibili informazioni che permettono di identificare in modo specifico le perdite all’interno di gruppi di attività valutate collettivamente, queste vanno rimosse dal gruppo e valutate analiticamente. Per quanto attiene alle passività della banca, l’IFRS 9, confermando il previgente IAS 39, impone di suddividere il portafoglio delle passività in due possibili categorie (classification). • PFV (Passività finanziarie valutate al Fair Value). Si tratta delle passività finanziarie detenute a scopo di negoziazione (HFT), ossia passività finanziarie originate da scoperti tecnici oppure obbligazioni emesse dalla banca con l’unico fine di beneficiare delle variazioni del tasso di interesse. All’atto della rilevazione iniziale (recognition), queste passività vanno contabilizzate al loro fair value, senza considerare i costi e proventi di transazioni direttamente attribuibili allo strumento stesso, che sono invece inputati nel conto economico. Per quanto concerne la valutazione in sede di redazione del bilancio (measurement), questi titoli vanno valutati secondo il criterio

Comitato di Basilea: istituito dai governatori delle banche centrali del G10 nel dicembre del 1974 a seguito della crisi determinata dal fallimento della banca tedesca Herstatt; esso elabora raccomandazioni, formalmente non vincolanti, in materia di vigilanza bancaria.


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Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

del fair value e gli eventuali utili o perdite conseguenti al procedimento di valutazione dovranno essere poi inputati direttamente nel conto economico della banca. • APF (Altre Passività Finanziarie). Si tratta delle passività finanziarie originate dalla banca (per esempio, debiti verso banche e clienti; obbligazioni emesse ecc.). All’atto della rilevazione iniziale (recognition), queste passività vanno contabilizzate al loro fair value, considerando anche i costi e proventi di transazioni direttamente attribuibili all’emissione della passività. Per quanto riguarda la valutazione in sede di redazione del bilancio (measurement), queste passività vanno valutate secondo il criterio del costo ammortizzato. La Figura 6.10 sintetizza i criteri per le fasi di recognition e measurement da applicarsi alle attività e passività della banca in relazione ai suoi portafogli. Per quanto attiene al fondo rischi su crediti, la normativa precedente al recepimento dei principi contabili IAS/IFRS lo definiva come il fondo destinato a fronteggiare i

@,,+<+.1(A=8:,+.4:88B&!CD.E Attivi regolati dall'IFRS 9 No

L'attivo consiste in un'azione Sì

È detenuta allo scopo di fare trading?

No

L'entità ha esercitato la scelta irrevocabile di registrarla come OCI?

Sì I flussi di cassa in entrata &.78*00+.4+.9:00:.+/.(/,1:,:.;1(<+0,+. previsti consistono 9=/0+0,=/=./(8.1+25=10=.4(8.9:;+,:8(.(. nel rimborso del capitale /(88:.1(2*/(1:>+=/(.0=,,=.7=12:.4+. e+/,(1(00+? nella remunerazione sotto forma di interessi?

No

No

L'obiettivo dell'entità è di detenere Sì l'attività per beneficiare di tali flussi di cassa? No

L'obiettivo dell'entità è di detenere l'attività sia per beneficiare dei flussi di cassa previsti sia per venderla quando conveniente?

No Sì

Sì !"#$%& FVTOCI '()*+,-.+/0,1*2(/,03 (strumenti di capitale)

I dividendi sono solitamente iscritti in conto economico (P&L) Modificazioni del fair value sono iscritte nelle altre poste di reddito Quando l'attivo "esce dal bilancio", le variazioni di valore non vengono trasferite nel conto economico (P&L), come neanche l'impairment

FVTPL** Modificazioni del fair value sono iscritte in conto economico (P&L)

!"#$%& FVTOCI '4(5,.+/0,1*2(/,0366 (strumenti di debito)**

Interessi, impairment di crediti e profitti/perdite da cambi sono iscritti in conto economico (P&L, come nel costo ammortizzato) Quando l'attivo "esce dal bilancio", quanto iscritto in OCI viene trasferito in conto economico (P&L)

@2=1,+0(4.9=0,66 Costo ammortizzato**

Interessi, impairment di crediti e profitti/perdite da cambi sono iscritti in conto economico (P&L) Quando l'attivo "esce dal bilancio", profitti e perdite vengono trasferiti in conto economico

* Alcuni crediti possono essere iscritti in FVTPL se viene utilizzato un derivato creditizio iscritto in FVTPL per fini di copertura totale o parziale ** L'entità può iscrivere l'attivo in FVTPL se e solo se questa scelta realizza il principio della prevalenza della sostanza sulla forma

Figura 6.10 Criterio di classificazione delle poste dell'attivo di una banca secondo quanto previsto dall'IFRS 9. Fonte: KPMG, 2014.


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Capitolo 6

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rischi eventuali. Tale fondo era ricompreso nelle poste del patrimonio di vigilanza supplementare (Tier 2) ed era alimentato da accantonamenti (e non in sede di distribuzione di utile). La natura di fondi rischi di carattere generale non è oggi più riconosciuta: la normativa attuale, recependo i principi IAS, è infatti molto più restrittiva. Il principio IAS 37 consente l’effettuazione di accantonamenti in bilancio solo con riferimento a obbligazioni in essere derivanti da un evento passato e per le quali l’impresa ritiene probabile un impiego di risorse economiche di cui è in grado di stimare attendibilmente l’ammontare. Lo stesso principio stabilisce che nella stima dell’ammontare da accantonare debba essere considerato il tempo che presumibilmente intercorrerà prima dell’effettivo pagamento. Lo IAS 30 permette invece di effettuare degli accantonamenti in casi di perdite di valore ulteriori rispetto a quelle analitiche o forfettarie; tali accantonamenti sono considerati come destinazione di utili e non come costi. 6.4.2  Il bilancio degli intermediari finanziari Attraverso le “Istruzioni per la redazione dei bilanci e dei rendiconti degli Intermediari finanziari ex articolo 107 del TUB, degli Istituti di pagamento, degli IMEL, delle SGR e delle SIM” emanate il 15/12/2015, la Banca d’Italia ha sostanzialmente allineato (a partire dal bilancio chiuso o in corso al 31 dicembre 2015) la disciplina di bilancio per gli intermediari finanziari a quella delle banche. Il presente paragrafo propone un esame sintetico delle voci specifiche degli intermediari finanziari (di cui all’art. 106 del TUB) focalizzandosi sull’attivo dello stato patrimoniale e sul conto economico. Per quanto attiene all’attivo, la voce tipica per gli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del TUB è la voce “crediti” in cui rientrano, a titolo di esempio, le esposizioni connesse con l’attività di leasing finanziario e di factoring. Nella sottovoce “altri finanziamenti” figurano anche i finanziamenti a fronte di operazioni di leasing finanziario per beni in corso di costruzione e/o in attesa di locazione nel caso di contratti “con trasferimento dei rischi” (cioè nel caso in cui i rischi sono trasferiti sul locatario anteriormente alla presa in consegna del bene e alla decorrenza dei canoni di locazione). Nel caso delle attività finanziarie acquisite nell’ambito di operazioni factoring, si distinguono i casi delle operazioni di factoring: 1. “pro-soluto” che vanno rilevate in base al corrispettivo pattuito (anche se regolato in via differita), al netto dei rimborsi e di eventuali rettifiche di valore dovute a deterioramento, e le controparti sono i debitori ceduti; 2. “pro-solvendo” che vanno rilevate in base agli anticipi effettuati al soggetto cedente (inclusi gli interessi e le competenze contabilizzati nonché le eccedenze rispetto al “monte crediti”), al netto dei rimborsi e di eventuali rettifiche di valore www.unicreditgroup.eu/ dovute a deterioramento; 3. le altre voci dell’attivo specifiche per gli intermediari finanziari sono le voci “at- content/dam/unicredit group/documents/it/ tività materiali” e “attività immateriali” che comprendono sia gli immobili, gli imInvestitori/Bilanci_e_ pianti e i macchinari e le altre attività materiali disciplinate dallo IAS 16 sia gli investimenti immobiliari (terreni e fabbricati) disciplinati dallo IAS 40, e l’avvia- Relazioni/2011/Relazioni %20e%20Bilancio%20 mento e le altre attività immateriali disciplinate dallo IAS 38. Sono incluse le at- Consolidato%202011.pdf tività oggetto di operazioni di leasing finanziario (per i locatari) e di leasing opewww.bccroma.it/doc/ rativo (per i locatori) disciplinate dallo IAS 17/IFRS 16. Per quanto attiene il conto economico, le voci tipiche per gli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del TUB sono le rettifiche/riprese di valore nette su attività materiali e immateriali: si tratta del saldo fra le rettifiche di valore e le riprese di

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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

valore relative alle attività materiali e immateriali detenute a uso funzionale o a scopo di investimento, incluse quelle relative ad attività acquisite in leasing finanziario e ad attività concesse in leasing operativo; vi figurano convenzionalmente anche i risultati delle valutazioni, effettuate ai sensi dell’IFRS 5, delle attività materiali classificate come “singole attività”.

6.5 •  L’equilibrio patrimoniale, economico e finanziario

nella gestione delle banche Dopo aver esaminato il bilancio delle banche e alcuni profili di iscrizione, classificazione e valutazione di voci tipiche dello stesso, in quest’ultima parte del capitolo osserveremo, secondo un approccio tradizionale e consolidato, l’equilibrio di gestione che una banca cerca di realizzare nel tempo, tenendo conto della propria funzione obiettivo. La descrizione seguente è stilizzata rispetto alle reali situazioni decisionali in cui si trova il management delle banche.

6.5.1  La funzione obiettivo e gli equilibri di gestione La funzione obiettivo di una banca, come di qualunque impresa, può essere articolata variamente, perché possono risultare diversi i profili giuridici, i soggetti economici, gli stakeholder, e quindi diverso il peso attribuito agli argomenti della funzione obiettivo. L’argomento comune è, in ogni caso, la produzione di reddito, che va in primo luogo a beneficio degli apportatori di capitale (gli azionisti) e che è fondamentale, per la sostenibilità della banca, anche qualora sia presente un forte orientamento sociale. Peraltro, la produzione di reddito, ovvero il cosiddetto “orientamento al profitto”, non può andare a detrimento della sopravvivenza nel medio periodo della banca e del soddisfacimento delle giustificate esigenze di altri stakeholder (per esempio, la clientela, o la collettività nel suo insieme), come è dimostrato ogni volta che le banche (come e più di altri tipi di imprese) entrano in crisi e generano esternalità negative. Nel perseguire la propria funzione obiettivo, la banca deve raggiungere un equilibrio di gestione unitario e una condizione di sostenibilità nel medio-lungo periodo. Esso è comunemente scisso in tre equilibri, tra loro interdipendenti. • Equilibrio patrimoniale. Si ottiene quando, in un certo istante, il valore complessivo delle attività finanziarie e reali è superiore a quello delle passività. In questo caso, il patrimonio netto è positivo e si dice che la banca è solvibile. La solvibilità della banca è oggetto di regolamentazione e vigilanza, nell’ambito dell’approccio prudenziale (Capitolo 11). La sottocapitalizzazione delle banche si rivela molto grave per la solvibilità della stessa e per la stabilità del sistema bancario in generale, stante la funzione di ammortizzatore che il capitale proprio svolge nei confronti dei rischi assunti – i quali sono legati alle attività di trasformazione che la banca compie – e che è caratterizzata dal divario strutturale tra duration dell’attivo e duration del passivo. In altri termini, il ricorso a un eccessivo indebitamento (leverage, o leva finanziaria), nella banca, può avere risvolti positivi immediati sulla redditività del capitale (ROE, Return On Equity), ma conseguenze negative sulla solvibilità. • Equilibrio economico. Si ottiene quando, in un certo intervallo di tempo – comunemente, l’esercizio o un periodo interno a esso –, la somma dei costi (finanziari e operativi) non supera quella dei ricavi (finanziari e non). In questo


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Capitolo 6

L’intermediazione creditizia

caso, l’utile d’esercizio prodotto favorisce sia l’equilibrio patrimoniale (un maggior autofinanziamento aumenta il capitale netto e riduce la necessità di indebitamento), sia l’equilibrio finanziario (maggiori entrate). Per le banche, nel modello tradizionale dell’intermediazione creditizia (interest based), tale utile discende soprattutto dai maggiori ricavi finanziari rispetto ai costi finanziari (margine di interesse) e dalla capacità di contenere i costi operativi. Nel modello allargato ai servizi di intermediazione per conto terzi e alla gestione dei servizi di pagamento (fee based), esso è influenzato anche dai ricavi non finanziari (commissioni e provvigioni). • Equilibrio finanziario. Si ottiene quando i flussi di cassa in entrata riescono a coprire, con continuità, i flussi di cassa in uscita, o quando, in presenza di uno sbilanciamento dei secondi rispetto ai primi, la banca ha la capacità in tempi brevi e a costi sostenibili di compensare tale sbilanciamento. La considerazione elementare è che nessun pagamento può essere effettuato se non si ha disponibilità di cassa. La disponibilità di cassa può essere ottenuta attraverso un’attenta previsione dell’andamento atteso delle fonti e degli usi di fondi: nelle banche ciò appare assai complesso, soprattutto a causa dei gradi di libertà che sia depositanti (a vista) sia finanziati (a vista) hanno nell’utilizzo dei propri crediti e debiti. Il ricorso ad attività e passività bilanciate per scadenza (o, meglio, per durata finanziaria o duration) rende meno complicato il conseguimento dell’equilibrio finanziario (è il caso di intermediari creditizi con bassi componenti di raccolta a vista, come le società di leasing o le banche specializzate in mutui che presentano una raccolta a medio-lungo termine). La mancanza di liquidità può influenzare negativamente sia l’equilibrio economico (in presenza di costi marginali crescenti per la raccolta di risorse finanziarie attraverso nuove passività, e/o di minusvalenze derivanti dal realizzo sul mercato di componenti dell’attivo) sia quello patrimoniale (maggior ricorso all’indebitamento e/o diminuzione del valore dell’attivo per vendita dello stesso), sino a provocare situazioni di insolvenza economica. Ci si può chiedere se le banche, rispetto ad altri tipi di imprese e di intermediari, presentino specificità rispetto a queste tre componenti dell’equilibrio complessivo della gestione. Solvibilità, redditività e liquidità sono altrettanto importanti agli occhi degli stakeholder più diretti (tra cui gli azionisti, in primo luogo), degli operatori presenti nel mercato e delle Autorità e dei Governi? Oggi si pone particolare enfasi sulla liquidità e sulla solvibilità, ma occorre ricordare che la redditività ha guidato le scelte delle banche (soprattutto di quelle quotate in Borsa e con progetti di crescita), e che la creazione di valore per l’azionista è stata al centro di strategie molto aggressive di performance (pur considerando i rischi e i necessari livelli di capitalizzazione), anche in Italia, negli ultimi vent’anni. Il rilievo che viene dato, a fasi ricorrenti, a uno dei tre obiettivi, non deve far dimenticare che la gestione equilibrata è quella che considera contemporaneamente tutti questi tre profili e tiene conto delle collegate manifestazioni negative dei collegati rischi (insolvenza, perdita, illiquidità), anch’essi interdipendenti, cercando di prevederli, prevenirli e assorbirli. 6.5.2  Lo stato patrimoniale riclassificato Al fine di svolgere alcune considerazioni di base sugli equilibri di gestione, è utile commentare brevemente lo stato patrimoniale e il conto economico riclassificato di una banca, per poi passare all’individuazione di alcuni indici di bilancio attraverso cui

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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Tabella 6.7 Criteri di recognition e di measurement

Portafoglio HFT (Held For Trading) HTM (Held To Maturity)

AFS (Available For Sale)

LR (Loans and Receivables)

PFV (Passività finanziarie valutate al Fair Value) APF (Altre Passività Finanziarie)

Criterio di recognition

Criterio di measurement

Fair value (non vanno aggiunti i costi di transazione) Fair value + costi di transazione direttamente attribuibili all’acquisto di un’attività finanziaria Fair value + costi di transazione direttamente attribuibili all’acquisto di un’attività finanziaria Fair value + costi di transazione direttamente attribuibili all’acquisto di un’attività finanziaria Fair value (non vanno aggiunti i costi di transazione)

Fair value con iscrizione delle variazioni direttamente nel conto economico Costo ammortizzato

Fair value + costi di transazione direttamente attribuibili all’emissione di una passività finanziaria

Costo ammortizzato

Fair value con iscrizione delle variazioni nel patrimonio netto fino allo storno dell’attività

Costo ammortizzato

Fair value con iscrizione delle variazioni direttamente nel conto economico

leggere i profili principali della gestione di una banca. Alcuni cenni introduttivi allo stato patrimoniale e al conto economico della banca sono contenuti nel Capitolo 3. Lo stato patrimoniale riclassificato, al di là dell’incidenza dei nuovi principi di valorizzazione descritti nella Tabella 6.7, presenta le seguenti caratteristiche (Tabella 6.8). • Attività proprie dell’attività di intermediazione. Si distinguono tra AFI (Attività Fruttifere di Interesse), che generano flussi di ricavo finanziario nella forma di

Tabella 6.8 Stato patrimoniale riclassificato di una banca

Attivo AFI (Attività Fruttifere di Interessi)

Passivo PO (Passività Onerose) PNO (Passività Non Onerose)

ANF (Attività Non Fruttifere)

AR (Attività Reali)

MP (Mezzi Propri)


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Capitolo 6

• • •

L’intermediazione creditizia

interessi attivi (crediti in varia forma verso clientela e banche, titoli obbligazionari), e ANF (Attività Non Fruttifere di interesse), in cui rientrano, oltre a partecipazioni, azioni, quote di fondi comuni (che forniscono altri frutti: dividendi, commissioni, provvigioni), anche le attività legate alla gestione ma non direttamente all’intermediazione (margini su contratti derivati di copertura, ratei e risconti attivi, crediti di natura fiscale). AR (Attività Reali). Immobilizzazioni materiali e immateriali, che da un lato sono strumentali allo svolgimento delle attività e non sono quindi tipiche delle banche, e che dall’altro rappresentano costi capitalizzabili (costi di impianto, spese legate all’avviamento, alle operazioni di acquisizione ecc.). PO (Passività Onerose). Rappresentano tutti i debiti della banca, contratti per l’acquisizione di risorse finanziarie, su cui vengono pagati interessi passivi. PNO (Passività Non Onerose). Rappresentano tutti gli altri tipi di debito legati alla gestione (fondi di natura fiscale e previdenziale, ratei e risconti passivi). Patrimonio (di natura contabile, distinto quindi dal concetto di patrimonio di vigilanza; Capitolo 11). Raccoglie varie voci (capitale, sovrapprezzi, riserve legali e statutarie ecc.) intese come fonti di finanziamento ascrivibili agli azionisti – da qui le denominazioni di capitale proprio o di MP (Mezzi Propri), spesso usate in alternativa – e che costituiscono un “cuscinetto” (buffer) a fronte dei rischi assunti.

Nella Tabella 6.8 si può osservare che la banca manifesta una situazione di solvibilità, dato che le attività sono superiori alle passività; in particolare essa ha un capitale circolante netto positivo (AFI  PO  0, con AFI  PO = CCN), il che significa che una parte dell’attivo è finanziato da mezzi non onerosi, e quindi genera solo ricavi per la gestione, con un conseguente impatto positivo sull’equilibrio economico (si veda più avanti l’Espressione [2]). 6.5.3  Il conto economico riclassificato Il conto economico in forma scalare, come previsto per le banche dalle normative vigenti, consente di mettere in evidenza diversi tipi di risultato economico (margini), corrispondenti ad altrettante aree della gestione bancaria (Tabella 6.9).

(+) () (=) +/ (=) +/ (=) () (=) () (=) +/ (=) () (=)

IA IP MI CN MICN PMV MIF RR RNGF CO RG OS UL IM UN

Interessi attivi Interessi passivi Margine di interesse Commissioni nette Margine di intermediazione tradizionale Plus- e minusvalenze realizzate e stimate Margine di intermediazione complessivo Rettifiche e riprese (impairment) Risultato netto della gestione finanziaria Costi operativi (spese, accantonamenti, rettifiche e riprese su AR) Risultato della gestione Saldo delle operazioni straordinarie Utile (perdita) dell’operatività corrente al lordo delle imposte Imposte sul reddito dell’esercizio dell’operatività corrente Utile (perdita) dell’operatività corrente al netto delle imposte

Tabella 6.9 Conto economico riclassificato (forma scalare)

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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Partendo dall’alto, si individua il margine di interesse (MI), che è tradizionalmente il risultato dell’attività di intermediazione creditizia in senso stretto, derivante dalle scelte di dimensionamento, composizione e pricing delle attività e passività tipiche di tale attività, in quanto generanti ricavi e costi da interesse, frutti e oneri tipici della negoziazione di contratti diretti e personalizzati tra la banca e i datori e prenditori di risorse. Sommando i ricavi e i costi non finanziari legati ad altre attività svolte tipicamente dalla banca (tra i ricavi da commissioni e provvigioni, quelli provenienti da servizi di incasso e pagamento, da negoziazione per conto terzi di titoli e valute, da collocamento di prodotti di terzi [per esempio, quote di fondi o polizze assicurative]; tra i costi, le commissioni e provvigioni corrisposte a fornitori di servizi di varia natura, legate al collocamento di analoghi prodotti della banca, all’intervento nei servizi di incasso e pagamento ecc.), si arriva a un margine di intermediazione che si è definito tradizionale (MICN), in quanto le aree successive del conto scalare (a parte l’area dei costi), sino all’utile lordo, hanno assunto rilievo in tempi più recenti, per effetto dell’apertura ai mercati finanziari della gestione e delle nuove regole contabili. Il margine di intermediazione complessivo (MIF) comprende dunque il margine che si ottiene dalla somma algebrica delle plus- e delle minusvalenze realizzate o stimate rispetto ai valori di vendita o di carico di attività finanziarie dismesse o mantenute con valore diverso tra l’inizio e la fine dell’esercizio. Tale margine è tipicamente presente negli intermediari dediti all’investment banking (Capitolo 7) e nei fondi comuni di investimento. Nelle banche generaliste, che svolgono sia attività di intermediazione creditizia sia attività di intermediazione mobiliare, tale margine esprime il risultato dell’“area finanza”, al lordo dei costi operativi sostenuti nell’area stessa. Si osservi che accanto a componenti operative (minus- e plusvalenze realizzate, che diminuiscono o aumentano i flussi di cassa), l’area è caratterizzata da componenti valutative, che sono puramente contabili. Il risultato netto della gestione finanziaria (RNGF) tiene conto di attività di valutazione (rettifiche e riprese) delle attività finanziarie detenute a vario scopo dalle banche, secondo le nuove regole IAS/IFRS. Anche gli altri intermediari considerati in questo capitolo (leasing, factoring, credito al consumo) hanno come margine prevalente quello di interesse (a parte il factoring, che – come detto – fruisce anche di ricavi derivanti dalla fornitura di servizi inerenti alla gestione amministrativa dei crediti ceduti) e sono interessati dalle rettifiche di valore, data la natura creditizia dei loro attivi. La banca (il cui orizzonte gestionale tende sempre più spesso ad allargarsi rispetto alla mera gestione finanziaria caratteristica – a volte tuttora definita come “gestione denaro”), che produce il margine di interesse, presenta tutti gli altri margini tipici di un intermediario (da commissioni, da plusvalenze ecc.), oltre a un’ampia incidenza delle rettifiche di valore su crediti, attività e operazioni finanziarie di mercato. Sottraendo i costi operativi, gli accantonamenti ai fondi rischi e oneri (dettati dalla rischiosità prevedibile, tra le altre poste attive, dei prestiti concessi) e le rettifiche/riprese di valore delle attività reali, si ottiene il risultato della gestione (RG) caratteristico della banca. Anche in questo caso, al risultato si perviene attraverso decisioni operative rispetto ai costi amministrativi (tra cui tuttora preponderante è quello del personale) e stime relative ad altre voci contabili (accantonamenti, rettifiche, riprese ecc.). In termini generali, quest’area del conto economico sottolinea gli sforzi di recupero di efficienza nella gestione, finalizzati a ottenere livelli più elevati di RG. Sotto il risultato di gestione trova spazio il risultato delle operazioni straordinarie (dette così perché non rientranti tra quelle che caratterizzano la gestione della banca), che contribuisce all’utile lordo (UL), dal quale a sua volta, sottratte le imposte, si ottiene l’utile netto (UN).


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Capitolo 6

L’intermediazione creditizia

6.5.4  Alcuni indici di bilancio e uno schema di lettura integrato Gli indici di bilancio, anche in riferimento alla banca, consentono di individuare alcuni fatti della gestione e le decisioni a essi sottese, permettendo così un confronto semplificato nello spazio (con altre banche concorrenti simili quanto a indirizzi strategici, politiche di composizione degli attivi e dei passivi e politiche competitive, perché altrimenti il confronto avrebbe scarso significato) e nel tempo (per evidenziare miglioramenti o peggioramenti di profili rilevanti della gestione). Tali indici (che al numeratore e al denominatore presentano voci di stato patrimoniale e di conto economico) sono spesso inseriti in alberi che tendono a fornire una rappresentazione integrata e di sintesi della gestione, con particolare riguardo agli aspetti economici e patrimoniali. L’albero più utilizzato è quello che pone al vertice il rapporto tra UN e MP, cioè il ritorno sull’investimento degli azionisti (ROE). Al di là dei limiti di questo indice di origine contabile e della preferibilità di altri indicatori per misurare il valore per gli azionisti, si può affermare che esso, salvo poche eccezioni, sia stato al centro dell’attenzione del management delle banche quotate (e quindi sottoposte a controllo da parte degli investitori e del più ampio mercato) a partire dalla fine degli anni ottanta del secolo scorso. Per le banche italiane di grandi e medie dimensioni ciò è avvenuto con crescente importanza dall’inizio degli anni novanta, in seguito al processo di privatizzazione delle grandi e medie banche sino ad allora sotto controllo pubblico. Il confronto con il mercato, con il costo da sostenere per attrarre nuovo capitale e con i rischi della gestione ha spinto le principali banche a non limitarsi a misure contabili della redditività, ma ad adottare misure corrette per il rischio, affiancando sistemi di controllo e governo dei rischi e di previsione dei flussi finanziari ai più consolidati strumenti di programmazione e controllo economico della gestione. L’indice UN/UL misura il peso della fiscalità sulla banca, tema di indubbio interesse, specie in Italia, ma che qui non è possibile approfondire. Anche l’indice UL/RG, che misura l’incidenza della gestione straordinaria, risulta qui di non particolare interesse. L’indice RG/RNGF misura invece l’incidenza dell’area dei costi, e quindi dell’efficienza operativa della banca. Altri indicatori molto usati sono il cosiddetto cost/income, espresso normalmente dal rapporto tra CO e MICN (il margine di intermediazione tradizionale nella Tabella 6.9) e il MIF (il margine di intermediazione complessivo). Il perseguimento del ROE, o di altri indicatori di performance economica, ha spinto molte banche a mirare a forti recuperi di efficienza, che sono stati in molti casi realizzati, anche se non ancora in modo sufficiente. Tale obiettivo ha indotto, parallelamente, a trovare nuove vie per generare ricavi: questo orientamento può essere rappresentato dall’indice MI/MICN, che rileva, nel caso di tendenza al ribasso, un accresciuto contributo dei cosiddetti “ricavi netti da servizi”. Anche la diminuzione dell’incidenza di MICN su MIF indica un ampliamento del contributo dell’area “finanza” alla redditività dell’intermediazione svolta, senza considerare le componenti (fortemente valutative) rappresentate da rettifiche e riprese. Lo spostamento della banca da aree tradizionali di contribuzione (il margine di interesse, MI) verso le aree commissionali e quelle legate alla negoziazione delle attività finanziarie sui mercati è avvenuto in molti casi soprattutto a motivo della difficoltà di mantenere livelli adeguati di spread, dato dalla differenza tra rendimento medio dell’attivo finanziario (IA/AFI) e costo medio del passivo finanziario (IP/PO). Tale difficoltà è stata causata dal processo di disintermediazione subìto, attraverso

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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

diverse fasi nel corso degli ultimi trent’anni in Italia, dalle banche sia dal lato dell’attivo (maggior ricorso a prestiti erogati da intermediari creditizi specializzati, rispetto alle tradizionali aperture di credito in conto corrente, e maggior ricorso ai mercati dei capitali da parte delle imprese medio-grandi) sia da quello del passivo (concorrenza subita dalle tradizionali forme di raccolta diretta da parte dei titoli di Stato, dei fondi comuni, di altre forme di risparmio gestito). Negli anni recenti tale difficoltà è apparsa ancor più evidente, dato il basso livello dei tassi di interesse, tipico della fase di deflazione che molte economie (Europa e Giappone in particolare) stanno tuttora vivendo. Come osservato in precedenza, le banche si sono parzialmente appropriate di spazi in queste nuove aree, incrementando i ricavi da servizi e da attività di negoziazione sui mercati finanziari e attenuando il peso delle attività tradizionali di intermediazione creditizia (questo passaggio è testimoniato anche dallo sviluppo di nuovi modelli gestionali: l’OTD rispetto all’OTH; Paragrafo 6.1.4). Riassumendo, l’albero del ROE può essere così schematizzato: UN UN UL RG RNGF MIF MICN MI TA = ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ MP UL RG RNGF MIF MICN MI TA MP

[1]

Gli ultimi due indici rappresentano rispettivamente il ROA (Return Of Asset; MI/TA), cioè il MI rispetto al totale della produzione della banca, qui assunta come pari al totale dell’attivo (TA), e la leva finanziaria (leverage), misurata dal grado di copertura dell’attivo assicurato dai mezzi propri (MP). L’effetto moltiplicativo di un alto grado di indebitamento sul ROA mette peraltro in risalto il dilemma tra il ricorso alla leva per migliorare la redditività e il ricorso ad adeguate dotazioni di MP per fronteggiare i rischi assunti nella gestione. Non è casuale, infatti, che nell’ambito della crisi che le banche stanno attraversando, e per prevenire ulteriori impatti negativi sul sistema finanziario, sia stato introdotto un limite esplicito all’utilizzo del leverage, con un ritorno a quanto previsto in Basilea 1, insieme alla richiesta di MP più alti, soprattutto in presenza di grandi dimensioni delle banche (e quindi di TA). L’effetto leva e il suo ruolo moltiplicativo (con tutti i rischi che ciò sempre comporta, se lo si utilizza oltre certi limiti) su spread calanti (al fine di sostenere la redditività dell’intermediazione creditizia più tradizionale) sono ancor più evidenti se si esamina la redditività rispetto ai mezzi propri di tale area della gestione della banca, approfondendo l’ultima parte dell’espressione [1]: MI  IA IP  PO IA CCN = + ⋅  ⋅   MP AFI PO MP AFI MP

[2]

Per i profili legati alla gestione dei rischi e ai profili finanziari della gestione, con particolare riferimento al rischio di liquidità, si rimanda a quanto esposto nel Capitolo 3.


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Capitolo 6

L’intermediazione creditizia

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Riepilogo Il ruolo dell’intermediazione creditizia, seppur variabile nei diversi sistemi finanziari del mondo, è comunque centrale, e questo anche nei Paesi in cui sono più sviluppati i mercati di strumenti finanziari e l’intermediazione mobiliare; infatti l’intermediazione creditizia, nei suoi vari aspetti, contribuisce a soddisfare bisogni di famiglie, imprese, istituzioni. Nel partecipare al circuito indiretto, i soggetti che svolgono intermediazione creditizia interpongono il proprio stato patrimoniale tra datori e prenditori di risorse finanziarie. Essi infatti assumono impegni nei confronti dei datori di fondi e posizioni di credito nei confronti dei prenditori di fondi: pertanto, all’attivo figurano gli impieghi, ossia l’insieme degli strumenti graditi ai prenditori di fondi in termini di costo, rischio e scadenza, e al passivo le fonti, ossia l’insieme degli strumenti graditi ai datori di fondi in termini di rendimento, rischio e scadenza. Dalla personalizzazione dei contratti, dalla natura delle informazioni e dalla fiducia discende anche il concetto di relazione, centrale nelle attività di intermediazione creditizia (da qui il concetto di relationship banking). All’intermediazione creditizia, nel caso della banca, è legato lo svolgimento della funzione monetaria: ciò rende questo intermediario speciale rispetto agli altri intermediari creditizi, che non raccolgono risorse dal pubblico attraverso strumenti (depositi) che svolgono tale funzione. I profili di gestione finanziaria e le esigenze di liquidità – a livello di singola banca e di sistema bancario – sono legati a questa caratteristica specifica dell’intermediario creditizio banca. Tutti i tipi di intermediari creditizi soddisfano il bisogno di finanziamento nei confronti di diversi tipi di operatori economici. Esiste un’estrema varietà di specializzazione nella concessione di finanziamenti: solo la banca, tra gli intermediari creditizi, può soddisfare congiuntamente i bisogni di finanziamento, investimento, incasso e pagamento. Essa peraltro, svolgendo anche le attività di intermediazione mobiliare (tranne quella riservata di gestione collettiva del risparmio), può soddisfare direttamente anche il bisogno di copertura dai rischi finanziari, per esempio attraverso la predisposizione di appositi contratti a termine o derivati. Il tratto comune delle attività di intermediazione creditizia, a prescindere da chi siano svolte (banca o in-

termediari specializzati “non bancari”, cioè non svolgenti funzione monetaria), consiste nella gestione degli attivi, con particolare riferimento all’erogazione di finanziamenti monetari e di firma. La valutazione del merito di credito e tutte le fasi del processo che porta all’erogazione del finanziamento e poi al monitoraggio del suo rimborso (e alla gestione eventuale del suo recupero in caso di non puntuale rimborso dello stesso) sono attività peculiari che richiedono competenze e sistemi informativi specifici. Soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, l’ampliamento dei mercati di strumenti finanziari ha mutato sia l’offerta degli intermediari sia la domanda di famiglie e imprese. Di conseguenza, il modello tradizionale dell’intermediazione creditizia si è trovato sempre più connesso, seppur in misura diversa da intermediario a intermediario (e comunque con ampiezza maggiore per le banche), con le attività di intermediazione mobiliare: banche e mercati, in sintesi, si trovano da tempo strettamente legati e complementari nei sistemi finanziari avanzati. L’evoluzione dell’intermediazione creditizia e la sua progressiva apertura ai mercati finanziari appaiono come fenomeni non arrestabili, ma che devono essere meglio governati, sia a livello di singolo intermediario (soprattutto in relazione ai profili gestionali tipici: impieghi in prestiti, raccolta delle risorse finanziarie, rischio di liquidità, altri rischi, capitalizzazione), sia a livello di regolamentazione e vigilanza. La raccolta di risorse finanziarie a titolo di debito da parte delle banche avviene con diversi strumenti (riconducibili a due grandi macrocategorie: depositi e obbligazioni) collocati presso diversi tipi di operatori (intermediari finanziari e altri operatori, residenti e non residenti nel Paese in cui la banca è stata autorizzata, nel nostro caso l’Italia). In questo capitolo sono state analizzate le operazioni di raccolta diretta effettuata al dettaglio, in particolare i seguenti strumenti: depositi bancari (a risparmio libero e vincolato), certificati di deposito, conti correnti di corrispondenza e operazioni pronti contro termine. In relazione agli impieghi in prestiti, la concessione di un prestito, indipendentemente dalla forma tecnica utilizzata, è sempre preceduta da un’istruttoria di fido attraverso la quale la banca valuta il merito creditizio


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

della controparte e le garanzie reali o personali che possono assistere il finanziamento. Tale fase di valutazione si concretizza nella determinazione dell’importo massimo che la banca si impegna a mettere a disposizione del cliente (detto anch’esso fido o affidamento), sotto forma di crediti sia monetari sia non monetari. Vengono analizzati i prestiti monetari che, in particolare in relazione alla clientela rappresentata da imprese, possono essere a loro volta distinti in strumenti di finanziamento del capitale circolante o del capitale fisso, in base al tipo di fabbisogno finanziario soddisfatto. Infine, sono considerati i crediti di firma. Riguardo al leasing, gli elementi “minimi” caratterizzanti sono due: il trasferimento della disponibilità dell’uso del bene e il pagamento di un canone periodico. Tale (ampia) definizione del leasing evidenzia la flessibilità dello strumento: nell’ambito delle operazioni di asset finance, il leasing occupa uno spazio economico ampio, delimitato dall’acquisto del bene tramite forme di finanziamento tradizionali e dalla locazione tradizionale. Nell’ordinamento italiano, il leasing è un contratto atipico (ossia non disciplinato dalla normativa civilistica), ma dettagliatamente regolamentato dalla normativa contabile e fiscale e presenta un elevato grado di standardizzazione attraverso l’adozione di contratti già predisposti dalle società di leasing. Il factoring è una tecnica finanziaria basata sullo smobilizzo dei crediti commerciali che consente alle imprese di poter finanziare il capitale circolante. Si tratta di un prodotto composito avente una componente finanziaria (costituita dall’anticipo prima del pagamento), una gestionale e una di garanzia. La componente gestionale consiste nello svolgimento delle funzioni contabili, amministrative e finanziarie relative alla gestione del credito acquisito: il factor subentra infatti all’impresa cedente nella relazione con il debitore ceduto. È presente una componente di garanzia qualora venga previsto il trasferimento al factor del rischio di inadempimento del debitore. In questo caso, la cessione dei crediti commerciali è detta pro-soluto. L’elemento caratterizzante del credito al consumo è la destinazione del finanziamento a favore di una persona fisica per l’acquisto di beni e/o di servizi caratterizzati dalla completa assenza di ogni finalità produttiva. I prodotti finanziari nell’ambito del credito al consumo sono numerosi. Una prima possibile distinzione è quella tra finanziamenti finalizzati e prestiti personali (o non finalizzati). Nel primo caso, il finanziamento è erogato direttamente al fornitore del bene (nell’ambito di una convenzione preesistente

tra il venditore del bene e la società finanziatrice), che procede a consegnarlo all’acquirente. Nel secondo caso, il finanziamento è erogato al consumatore senza alcun vincolo di destinazione: l’acquisto del bene è portato a termine autonomamente dal consumatore in un momento successivo all’erogazione del finanziamento e non vi è alcuna relazione tra il venditore del bene e la società finanziatrice. Con riferimento alla regolamentazione dell’attività creditizia, si ricorda che con la Circolare 285/2013 e successivi aggiornamenti (Disposizioni di vigilanza per le banche) la Banca d’Italia dà attuazione alla Direttiva 2013/36/UE (CRD IV). Le relative disposizioni sono in vigore dal primo gennaio 2014 e riguardano: 1. le condizioni per l’accesso all’attività bancaria; 2. la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi; 3. le partecipazioni detenibili; 4. il processo di controllo prudenziale; 5. le riserve patrimoniali addizionali. I punti 1, 2 e 3 sono trattati in questo capitolo, i punti 4 e 5 nel Capitolo 11. L’accesso all’esercizio dell’attività di intermediazione creditizia è sottoposto a riserva di legge sia per le banche sia per gli altri intermediari creditizi. Al fine di evitare che gli azionisti rilevanti possano esercitare i loro poteri in pregiudizio della gestione sana e prudente della banca o del capogruppo, la normativa ha tradizionalmente previsto una separazione tra l’attività bancaria e quella industriale (cosiddetta “separazione banca-industria”). Tale separazione è stata recentemente attenuata, allentando i vincoli all’assunzione di partecipazioni nelle banche. Per quanto attiene agli intermediari creditizi non bancari (denominati semplicemente “Intermediari Finanziari” nel Titolo V del TUB), la normativa è stata razionalizzata dalla Circolare 288/2015. L’articolo 106, comma 1, del TUB prescrive che l’attività di concessione di finanziamenti (sotto qualsiasi forma) presso il pubblico sia riservata agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti nell’albo unico tenuto dalla Banca d’Italia Analogamente a quanto previsto per le banche, gli intermediari finanziari potranno prestare anche altre attività finanziarie (ai sensi dell’art. 106 del TUB, comma 2) quali: emissione di moneta elettronica e servizi di pagamento (se autorizzati ai sensi dell’articolo 114quinquies, comma 4 del TUB, e iscritti nel relativo albo) oppure solo servizi di pagamento (se autorizzati ai


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Capitolo 6

sensi dell’articolo 114–novies, comma 4 del TUB, e iscritti nel relativo albo); servizi di investimento (se autorizzati ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del TUF); altre attività a loro eventualmente consentite dalla legge (per esempio, la distribuzione dei prodotti assicurativi); attività connesse o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dalla Banca d’Italia. La prestazione di queste “altre” attività da un lato non dovrà snaturare le caratteristiche dell’intermediario finanziario la cui attività tipica è la concessione di finanziamenti e, dall’altro, può esporre l’intermediario a nuove tipologie di rischio. In tal senso, le disposizioni di vigilanza prevedono che esse siano svolte in via subordinata alla concessione di finanziamenti e che l’intermediario, prima di avviare iniziative in tali settori, invii alla Banca d’Italia il programma di attività e la relazione sulla struttura organizzativa aggiornati. Il bilancio della banca è costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico, dal prospetto delle variazioni del patrimonio netto, dal rendiconto finanziario e dalla nota integrativa. Questi documenti vanno redatti secondo gli schemi previsti dalla Banca d’Italia. Vengono

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esaminate le voci principali dell’attivo e del passivo dello stato patrimoniale, e il conto economico in forma scalare. Nell’ambito del bilancio della banca, vi sono alcune voci (i titoli di proprietà della banca, i crediti della banca, le passività della banca, il fondo rischi su crediti) la cui analisi merita un’attenzione particolare sotto il profilo della loro iscrizione (recognition), classificazione (classification) e valutazione (measurement), secondo quanto previsto dalle norme contabili IAS/IFRS. Nel perseguire la propria funzione obiettivo, la banca deve conseguire un equilibrio di gestione che è unitario e condizione di sostenibilità nel non breve periodo. Esso è comunemente scisso in tre equilibri, tra loro interdipendenti: l’equilibrio patrimoniale, quello economico e quello finanziario. Attraverso la riclassificazione dello stato patrimoniale e del conto economico della banca, l’individuazione di indici di bilancio e uno schema di lettura integrato degli indici stessi, si svolgono alcune considerazioni di base sugli equilibri della gestione, ponendo attenzione al rischioso utilizzo della leva finanziaria per ottenere risultati reddituali nel breve periodo.

Domande di ripasso 1. Quali sono le caratteristiche fondamentali dell’intermediazione creditizia? 2. Quali sono i bisogni soddisfatti dagli intermediari creditizi? Da questo punto di vista, quali tipi di intermediari creditizi si possono individuare? 3. In che senso è importante che gli intermediari creditizi considerino tutti gli stakeholder, e non solo gli azionisti? 4. Quali sono i profili della gestione che gli intermediari creditizi debbono rispettare con attenzione? 5. Come avviene la liquidazione degli interessi relativa a un conto corrente di corrispondenza? 6. Nelle operazioni di smobilizzo dei crediti commerciali, qual è la differenza tra la modalità di accredito diretto in conto corrente e l’utilizzo di un conto fruttifero SBF? 7. Che tipo di tasso di interesse può essere applicato in un contratto di mutuo? 8. Che differenza esiste tra leasing operativo e leasing finanziario?

9. Quali sono le principali componenti del factoring? 10. In quali forme tecniche può realizzarsi un’operazione di credito al consumo? 11. Quali sono le regole per l’accesso all’attività creditizia? 12. Come sono regolati gli intermediari creditizi non bancari? 13. Quali sono le principali regole sull’assunzione delle partecipazioni? 14. Come si possono descrivere la riclassificazione dello stato patrimoniale e del conto economico di una banca? 15. Quali sono le voci di bilancio più importanti a cui si applicano i nuovi principi contabili IAS/IFRS? 16. Quali sono gli indici di bilancio più significativi per una banca? 17. Come si possono descrivere l’importanza e la peculiarità del leverage?

Materiali di approfondimento disponibili sul sito www.ateneonline.it/n/nadotti3e


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Parte 3

Le attività di intermediazione e gli intermediari finanziari

Mappa concettuale

Capitolo 2 Le teorie dell’intermediazione finanziaria Capitolo 7 L’intermediazione mobiliare

Capitolo 4 Gli strumenti Capitolo 5 I mercati

Capitolo 11 La regolamentazione, la supervisione, la governance e i controlli interni

Capitolo 4 Gli strumenti

Capitolo 3 I rischi dell’intermediazione finanziaria Capitolo 7 L’intermediazione mobiliare

Paragrafo 6.1 L’intermediazione creditizia

Paragrafo 6.2 Gli strumenti dell’intermediazione creditizia

Paragrafo 6.3 Elementi essenziali di regolamentazione

Paragrafo 6.4 Il bilancio delle banche e degli intermediari finanziari

Paragrafo 6.5 L’equilibrio patrimoniale, economico e finanziario nella gestone delle banche

Capitolo 9 La strategia e l’organizzazione delle attività di intermediazione finanziaria Capitolo 10 Il controllo sul sistema finanziario nel quadro dell’Unione Bancaria Europea Capitolo 11 La regolamentazione, la supervisione, la governance e i controlli interni

Capitolo 7 L’intermediazione mobiliare

Capitolo 7 L’intermediazione mobiliare

Capitolo 10 Il controllo sul sistema finanziario nel quadro dell’Unione Bancaria Europea


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