Chimica e propedeutica biochimica 3/ed - Di: Luciano Binaglia e Bruno Giardina

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CAPITOLO Il nucleo dell’atomo

N

ell’aufbau degli elementi della tavola periodica, descritto nel capitolo precedente, non si è fatto alcun cenno ai neutroni che sono contenuti nel nucleo di tutti gli atomi (con la sola eccezione dell’atomo di idrogeno, il cui nucleo è costituito da un protone solitario). Né ci si è posti il problema di come nel nucleo degli atomi possano stabilmente coesistere più protoni, a dispetto delle grandi forze di repulsione elettrostatica che la fisica classica prevede quando particelle di uguale carica sono poste a piccolissima distanza. Per avere un’idea della distanza alla quale si trovano i protoni nel nucleo di un atomo è sufficiente mettere a confronto le dimensioni di un atomo con quelle del suo nucleo. L’atomo di ferro, per esempio, ha un raggio di 126 pm (1,26 · 10–10 m) mentre il suo nucleo ha un raggio di pochi femtometri (1 fm = 1 · 10–15 m). Ricorrendo a un paragone, se il nucleo dell’atomo avesse le dimensioni di un pallone da calcio, gli orbitali elettronici più esterni abitati allo stato fondamentale si troverebbero a qualche chilometro di distanza. Va anche considerato che, pur essendo le dimensioni del nucleo solo una piccola frazione delle dimensioni complessive dell’atomo, la sua massa rappresenta quasi il 99,99% dell’intera massa dell’atomo. Alla massa del nucleo contribuiscono sia i protoni sia i neutroni (il numero di questi ultimi è maggiore del numero dei protoni nel nucleo degli atomi di molti elementi). Alla massa del nucleo di un atomo di ferro, per esempio, contribuiscono 26 protoni e 30 neutroni e, a conti fatti, i neutroni contribuiscono quindi per oltre il 53% alla massa complessiva di un atomo di ferro.

Energia di legame nucleare Se si considera la sua composizione in protoni, neutroni ed elettroni, risulta molto semplice calcolare la massa di un atomo di ferro, sommando la massa dei nucleoni1 e degli elettroni contenuti in un singolo atomo. Calcolando la massa dei 26 protoni (mp), dei 30 neutroni (mn) e dei 26 elettroni (me) come: mp = 26 · 1,672623 · 10–24 g = 4,3488198 · 10–23 g mn = 30 · 1,6749286 · 10–24 g = 5,0247858 · 10–23 g me = 26 · 9,109389 · 10–28 g = 2,3684411 · 10–26 g e sommando i valori calcolati, si ottiene per la massa atomica (mcal) un valore di: mcal = 9,3759740 · 10–23 g

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Con il termine nucleone si indicano qui due dei componenti del nucleo: protoni e neutroni. La fisica moderna ha messo in evidenza una quantità di altri componenti del nucleo che in questo testo non è utile considerare in dettaglio. Occorre però precisare che quando si parla del protone si parla di un’entità del nucleo (un adrone) che è a sua volta costituita da tre quark: due dei quark hanno “sapore” up (su) e il terzo ha “sapore” down (giù), mentre il neutrone è formato da due quark down e un quark up. I fisici nucleari (ai quali non difetta certo la fantasia) hanno definito i “sapori” degli altri quattro quark esistenti con i nomi di strange, charm, bottom e top. 1

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Parte I - Chimica generale

Se la massa di un atomo di ferro viene misurata sperimentalmente (m sper) (utilizzando uno spettrometro di massa) si ottiene un valore abbastanza simile a quello calcolato, ma non identico: m sper = 9,28822 · 10–23 g Accertato che la differenza tra il valore misurato e il valore calcolato per la massa di un atomo di ferro non deriva da errori di calcolo o di misura, la differenza tra i due dati può essere giustificata nella maniera seguente: il difetto di massa (8,7754 · 10–25 g) riscontrato come differenza tra il valore calcolato e quello misurato è presente nel nucleo dell’atomo come energia di legame tra i nucleoni. La relazione esistente tra massa ed energia (equazione di Einstein) ci consente di calcolare il valore di energia corrispondente al difetto di massa: e = mc2 = 8,7754 · 10–25 · (3 · 1010)2 = 7,8979 · 10–5 erg = 7,8979 · 10–12 joule

L’energia di legame tra nucleoni è dovuta alle trasformazioni che avvengono nel nucleo dove, mediante scambio di quark, un neutrone si può trasformare in protone e viceversa.

2

Nel greco classico, isotopo significa “stesso posto”.

3

Questo valore di energia, calcolato per un singolo atomo di ferro, viene definito energia nucleare e rappresenta l’energia che occorre spendere per portare a distanza infinita i protoni e i neutroni contenuti nel nucleo dell’atomo2.

Isotopi La posizione che gli elementi occupano nella tavola periodica è definita dal loro numero atomico (Z), cioè dal numero dei protoni contenuti nel nucleo, indipendentemente dal numero di neutroni che abitano lo stesso nucleo. Per esempio, tre atomi che abbiano nel nucleo sei protoni (Z = 6) sono identificati come atomi di carbonio, indipendentemente dal fatto che il nucleo del primo contenga sei neutroni, quello del secondo ne contenga sette e quello del terzo ne contenga otto. Considerato il criterio scelto per costruire la tavola periodica, i tre atomi, avendo lo stesso numero di protoni nel nucleo, sono infatti collocati nella stessa casella e, per questo motivo, vengono definiti isotopi3. Come esistono tre isotopi possibili dell’elemento carbonio, esistono in natura forme isotopiche diverse di quasi tutti gli altri elementi. Per esempio, esistono tre isotopi dell’idrogeno: l’elemento il cui nucleo contiene solamente un protone, l’elemento il cui nucleo contiene un protone e un neutrone e quello che contiene nel nucleo un protone e due neutroni. I tre isotopi vengono identificati con il simbolo H dell’elemento (che indica che il nucleo contiene un solo protone) preceduto da un apice che indica il numero di nucleoni (cioè il numero di massa A): 1H (idrogeno), 2H (deuterio), 3H (tritio). Il pedice che si fa precedere talvolta al simbolo dell’elemento è il numero atomico (e quindi è una ripetizione non necessaria dello stesso simbolo). Per esempio, nella figura 2.1 il pedice 20 indica che i nuclidi elencati, pur variando il numero di neutroni da 20 a 28, contengono tutti 20 protoni nel nucleo e quindi sono tutti isotopi del calcio.

Massa relativa degli atomi La massa degli atomi è talmente piccola che l’utilizzazione del grammo come unità di massa non risulta affatto pratica. È ovvia l’utilità di definire un’unità di massa atomica che abbia un valore tale che la massa di qualsiasi atomo risulti un multiplo (possibilmente espresso da un numero intero) del valore della massa di riferimento. Tuttavia trovare una massa di riferimento che possieda queste caratteristiche non è possibile per i seguenti motivi:

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Capitolo 2 - Il nucleo dell’atomo

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Figura 2.1 Z

N

A

20

20

40

40 20

Ca

42

42 20

Ca

43

43 20

Ca

44

44 20

Ca

45

45 20

Ca

46

46 20

Ca

48

48 20

Ca

20 20 20 20 20 20

22 23 24 25 26 28

Simbolo

Gli isotopi del calcio hanno tutti lo stesso numero atomico Z ma differiscono per il numero di neutroni N contenuti nel nucleo. Di conseguenza, il numero di massa atomica A (cioè il numero di nucleoni complessivo) è diverso.

1. neutrone e protone hanno massa diversa e quindi scegliere la massa di uno dei due come unità non consentirebbe in ogni caso l’uso di numeri interi per indicare la massa atomica degli atomi. Inoltre, come si è visto, la massa di un atomo non è calcolabile semplicemente sommando le masse delle particelle subatomiche costituenti; 2. la scelta della massa dell’idrogeno come unità di misura non risolverebbe ugualmente il problema, in quanto tutti gli elementi più abbondanti in natura sono presenti in più di una forma isotopica. Per convenzione, si è deciso di adottare come riferimento la massa di un isotopo stabile e abbondante in natura, definendo l’unità di massa atomica convenzionale (uma) come la dodicesima parte della massa dell’isotopo 12 del carbonio: 1,66054 · 10–24 g. Questa unità di massa, come prevedibile, non coincide né con la massa del protone, che equivale a 1,007276 uma, né con la massa del neutrone (1,008665 uma). Inoltre, dato che per ogni elemento esistono più isotopi, anche il valore medio della massa degli atomi di un determinato elemento non coincide con multipli interi dell’unità di misura (fig. 2.2). Infatti, l’idrogeno naturale (che è una miscela di idrogeno, deuterio e tritio) ha un valore di massa pari a 1,00797 volte l’unità di massa atomica. Similmente, il bario (una miscela di isotopi con numero di massa compreso tra 130 e 138) ha una massa relativa di 137,34. Lo stesso carbonio, che in natura è presente soprattutto come 12C, ma anche nelle forme isotopiche 13C e 14C, ha una massa atomica relativa di 12,01115, diversa da un multiplo intero dell’unità di misura. Nel linguaggio corrente, la massa relativa degli atomi è chiamata peso atomico (PA ). Se si considera un composto chimico formato da più atomi, si definisce massa molecolare relativa o peso molecolare (PM ) di quel composto la somma dei pesi atomici degli elementi costituenti. Per esempio, il peso molecolare del glucosio, la cui formula bruta è C6H12O6, si calcola nel modo seguente: massa relativa di 6 atomi di carbonio = 6 · 12,01115 = 72,0669 massa relativa di 12 atomi di idrogeno =12 · 1,00797 =12,09564 massa relativa di 6 atomi di ossigeno = 6 · 15,9994 = 95,9964 massa molecolare relativa (PM) del glucosio = 72,0669 + 12,09564 + 95,9964 = 180,15894

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21

22 23

24

25

26

27 28

29

30

5 10,811

13

9,0122

6,939

39

88,905

57

38

Sr

87,62

37

Rb

85,47

226

223

227,1

Ac

89

138,91

La

260

Ku

104

178,49

Hf

72

91,22

Zr

40

47,90

231

232,038

92

91

Pa

90

140,907

140,12

Th

144,24

Pr

238,03

U

Nd

59

60

186,2

Re

75

98

Tc

43

54,938

Mn

58

183,85

W

74

95,94

Mo

42

51,996

Cr

Ce

180,95

Ta

73

92,906

Nb

41

50,942

V

Figura 2.2 Massa atomica relativa degli elementi.

88

Ra

Fr

137,34

132,91

87

56

Ba

55

Cs

Y

44,956

40,08

39,102

Ti

237

Np

93

147

Pm

61

190,2

Os

76

101,07

Ru

44

55,847

Fe

242

Pu

94

150,35

Sm

62

192,2

Ir

77

102,905

Rh

45

58,933

Co

243

Am

95

151,96

Eu

63

195,09

Pt

78

106,4

Pd

46

58,71

Ni

247

Cm

96

157,25

Gd

64

196,967

Au

79

107,870

Ag

47

63,54

Cu

247

Bk

97

158,924

Tb

65

200,59

Hg

80

112,40

Cd

48

65,37

Zn

31

K

Sc

20

19

Ca

26,982

24,312

22,990

251

Cf

98

162,50

Dy

66

204,37

Tl

81

114,82

In

49

69,72

Ga

Al

12

Mg

11

Na

B

4

Be

3

6

254

Es

99

164,930

Ho

67

207,19

Pb

82

118,69

Sn

50

72,59

Ge

32

28,086

Si

14

12,0112

C

7

253

Fm

100

167,26

Er

68

208,980

Bi

83

121,75

Sb

51

74,922

As

33

30,9738

P

15

14,007

N

8

256

Md

101

168,934

Tm

69

210

Po

84

127,60

Te

52

78,96

Se

34

32,064

S

16

15,994

O

9

254

No

102

173,04

Yb

70

210

At

85

126,904

I

53

79,909

Br

35

35,453

Cl

17

18,998

F

257

Lw

103

174,97

Lu

71

222

Rn

86

131,30

Xe

54

83,80

Kr

36

39,948

Ar

18

20,183

Ne

10

4,0026

1,0080

Li

2

He

1

H

26 Parte I - Chimica generale

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Capitolo 2 - Il nucleo dell’atomo

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Mole La tabella dei pesi atomici della figura 2.2 riporta per l’elemento Fe un valore del peso atomico di 55,847. Se si misura con una bilancia una quantitĂ di ferro di massa 55,847 g, si può facilmente calcolare il numero di atomi di ferro contenuti nella massa pesata. BasterĂ infatti dividere la massa pesata per la massa di un singolo atomo di ferro: il quoziente di questa divisione corrisponderĂ esattamente al numero di atomi. La massa di un atomo di ferro espressa in grammi si può calcolare moltiplicando il peso atomico dell’elemento per la massa espressa in grammi dell’unitĂ di massa atomica. Essendo la massa di un atomo di ferro uguale al prodotto per PA del ferro (55,847) per l’unitĂ di massa atomica (1,66054 ¡ 10-24 g), il numero di atomi contenuti in 55,847 g di ferro è calcolabile come: N. di atomi di Fe =

massa di ferro pesata (g) 55,847 = massa di 1 atomo di ferro (g) 55,847 u u <

Semplificando, nella massa di Fe pesata risultano contenuti 1/(1,66054 ¡ 10–24) = 6,022 ¡ 1023 atomi di Fe. Se, in modo analogo, si pesa una quantitĂ di sodio (PA = 22,9898) di massa 22,9898 g e si calcola il numero di grammi di sodio contenuti nella massa pesata, si ottiene: N. di atomi di Na =

massa di sodio pesata (g) 22,9898 = massa di 1 atomo di sodio (g) 22,9898 u u <

Semplificando, anche in questo caso si ottiene che nella massa pesata sono contenuti 1/(1,66054 ¡ 10–24) = 6,022 ¡ 1023 atomi di Na. Da questi due calcoli si può trarre una regola generale per cui un numero di grammi di un elemento uguale al valore del suo peso atomico contiene 6,022 ¡ 1023 atomi di quell’elemento. Il numero 6,022 ¡ 1023 è il numero di Avogadro. Esattamente gli stessi calcoli si potrebbero fare se invece che degli atomi si considerassero delle molecole. CosĂŹ, pesando 180,15894 g di glucosio (PM = 180,15894), si peserebbe una quantitĂ di glucosio contenente 6,022 ¡ 1023 molecole del composto. Dall’evidenza che emerge dagli esempi sopra riportati deriva la definizione di mole: • si definisce mole di atomi (o grammoatomo) la quantitĂ di un elemento puro che contiene un numero di Avogadro (6,022 ¡ 1023) di atomi dell’elemento; • si definisce mole di molecole (o semplicemente mole oppure grammomolecola) la quantitĂ di un composto puro che contiene un numero di Avogadro (6,022 ¡ 1023) di molecole del composto.

StabilitĂ dei nuclei atomici Se si considerano i primi 20 elementi della tavola periodica è possibile osservare che ciascuno di essi (eccezion fatta per l’idrogeno, l’isotopo dell’elemento con Z = 1 piĂš abbondante in natura) ha un numero di protoni uguale al numero di neutroni. Invece, quando il numero atomico è maggiore di 20, gli isotopi piĂš

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Parte I - Chimica generale

stabili presentano un rapporto ottimale neutroni/protoni maggiore di 1. Infatti, come evidenziato dal grafico della figura 2.3, al crescere del numero atomico, la curva che rappresenta gli isotopi stabili devia sempre più dalla retta N = Z. Per numeri atomici maggiori di 83 (bismuto) tutti gli isotopi sono instabili e i nuclei tendono a rompersi in due frammenti di dimensioni simili oppure a emettere frammenti di più piccole dimensioni o radiazioni elettromagnetiche o elettroni (fig. 2.4). Se si considera il grafico della figura 2.3, appare evidente che sono pochissime, tra le tante possibili, le combinazioni di protoni e neutroni nei nuclei degli atomi degli elementi presenti in natura, perché solo alcune combinazioni comportano per il nucleo una situazione di stabilità. Per rendere conto di questa peculiarità dei nuclei atomici stabili, la piccola area del grafico (in blu nella figura 2.3) che rappresenta il rapporto neutroni/protoni dei nuclidi stabili viene indicata come una piccola penisola di stabilità dispersa nel mare di instabilità rappresentato dalla restante superficie del grafico.

Decadimento radioattivo Quando il nucleo di un atomo non si trova all’interno della penisola di stabilità esso tende a stabilizzarsi emettendo una radiazione o una particella, consentendo a ciò che resta del nucleo di ormeggiare sulla costa della penisola di stabilità. Vediamo

120 110 100

Figura 2.3 Fino al 20° elemento gli isotopi stabili hanno un rapporto neutroni/protoni uguale a 1. Per valori più alti del numero atomico sono più stabili gli isotopi in cui il rapporto N/Z > 1. La zona blu rappresenta l’area di stabilità dei nuclidi. Gli isotopi che si collocano al di fuori di questa area sono instabili e decadono a nuclidi stabili emettendo energia.

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Numero di neutroni (N)

90 80 70 N= Z

60 50 40 30 20 10

10

20

30

40

50

60

70

80

90

Numero di protoni (Z )

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Capitolo 2 - Il nucleo dell’atomo

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Figura 2.4

Campo magnetico Nuclei di elio Radiazioni elettromagnetiche Ra

Pb

Elettroni

Nel decadimento di un campione di radio metallico sono emesse radiazioni elettromagnetiche ad alta frequenza (raggi γ), insieme a elettroni ad alta velocità (raggi α) e a nuclei di elio (raggio β). La rilevazione delle tre radiazioni si può ottenere ponendo un cam-po magnetico lungo il cammino del fascio di radiazioni: i raggi α e β (particelle con carica di segno opposto) sono deflessi dal campo magnetico mentre non si hanno effetti sulle radiazioni γ.

alcuni esempi di isotopi non stabili e delle trasformazioni nucleari che consentono loro di trasformarsi in isotopi stabili. L’isotopo a massa 14 del carbonio ha nel nucleo 6 protoni e 8 neutroni. Il rapporto neutroni/protoni è superiore a quello che comporta stabilità per il nucleo (6/6 nel 12C, 7/6 nel 13C). Per questo motivo, il nucleo dell’isotopo 14C tende a decadere in un nuclide più stabile trasformando un neutrone nucleare in protone. La trasformazione comporta che uno dei neutroni del nucleo perda un elettrone (emissione β–, cioè di una particella con carica negativa unitaria e massa piccolissima, indicata con il simbolo –01β), trasformandosi in protone e quindi che il numero atomico Z aumenti di un’unità: 14 C →–10β + 147N 6

L’elettrone (al quale è associata quasi tutta l’energia liberata nel processo4) viene emesso dal nucleo come radiazione β. L’isotopo 14C del carbonio, per la reazione nucleare che spontaneamente lo porta a decadere emettendo una radiazione β, è indicato come l’isotopo radioattivo del carbonio. L’isotopo del carbonio a massa 13 è invece un isotopo stabile (e quindi non è radioattivo). Un altro nucleo instabile β-emittente è quello dell’isotopo a massa 3 dell’idrogeno (il tritio). Anche il tritio si trasforma in un nuclide più stabile trasformando uno dei due neutroni nucleari in protone: 3 1H

0 –1 β

4 Parte dell’energia liberata nella reazione di decadimento radioattivo è convertita in massa (nel processo viene liberato anche un neutrino).

+ 32 He

Il decadimento radioattivo del tritio comporta quindi l’aumento del numero atomico da 1 a 2 e perciò il prodotto della trasformazione è l’isotopo di massa 3 dell’elio. Anche in questo caso, l’elettrone espulso dal nucleo nella trasformazione del neutrone in protone viene rilevato come radiazione β. Altri esempi di isotopi β-emittenti sono l’isotopo a massa 60 del cobalto, l’isotopo a massa 131 dello iodio, l’isotopo a massa 32 del fosforo. Nel decadimento

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Parte I - Chimica generale

radioattivo dei tre nuclidi si ha, insieme all’emissione di una radiazione β, l’aumento del numero atomico di un’unità: 60 27 Co 131 53 I

→ –10β + 60 28 Ni

0 –1β

+ 131 54 Xe

0 32 32 15 P → –1β + 16 S

Il positrone è un “antielettrone”, cioè un elettrone con carica positiva. (Materia e antimateria sono costituite da particelle che hanno la stessa massa ma carica opposta. Quando un elettrone e un antielettrone collidono si ha il loro annichilimento: le loro masse si trasformano in energia che viene emessa sotto forma di radiazioni elettromagnetiche γ.)

5

Nel grafico della figura 2.3, gli isotopi portati quali esempi di decadimento radioattivo sono tutti di poco sopra la curva di stabilità, vale a dire hanno un rapporto neutroni/protoni poco maggiore di quello che comporta stabilità del nucleo. Per decadimento β da questi isotopi si ottengono atomi stabili. I nuclidi che hanno un numero di neutroni minore di quello che conferisce stabilità al nucleo decadono con un altro meccanismo, trasformando uno dei protoni nucleari in neutrone. Il decadimento può verificarsi in due diverse maniere: per emissione di un positrone5 dal nucleo (detta anche emissione β+) o per cattura di un elettrone dall’orbitale 1s (cattura K). Un esempio di emissione di un positrone si ha nel decadimento dell’isotopo a massa 13 dell’azoto: 13 7N

→ +10β + 136C

Essendo l’emissione di un positrone dovuta alla trasformazione di un protone in neutrone, il numero atomico del prodotto del decadimento radioattivo è inferiore di un’unità rispetto al numero atomico del nuclide genitore: l’azoto si trasforma nell’isotopo a massa 13 del carbonio. Il decadimento radioattivo del 41Ca è invece un esempio di cattura K. Uno dei protoni nucleari viene convertito in neutrone per cattura di un elettrone dall’orbitale 1s. Il numero atomico diminuisce di un’unità anche in questo tipo di decadimento radioattivo e il 41Ca si trasforma nell’isotopo a massa 41 del K. Oltre all’emissione di una radiazione elettromagnetica (γ) dovuta al passaggio dell’elettrone dall’orbitale 1s al nucleo, in questo decadimento radioattivo si ha anche emissione di radiazioni elettromagnetiche a più bassa energia (raggi X) dovute al riempimento dell’orbitale 1s con un elettrone proveniente da orbitali più esterni: 0 41 41 20Ca+ –1e → 19 K Tutte le forme isotopiche degli elementi che hanno numero atomico superiore a 83 sono instabili e, mediante uno o più decadimenti radioattivi, si trasformano in elementi più stabili. Si prendano come esempio i decadimenti radioattivi dell’uranio 238 (238U) e del plutonio 239 (239Pu). La prima della serie di trasformazioni nucleari che portano a stabilizzazione del nucleo di questi atomi comporta l’emissione di una radiazione α (un nucleo di elio): 238 4 92 U → 2 He

+ 234 90 Th

239 4 94Pu → 2 He

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+ 235 92 U

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Capitolo 2 - Il nucleo dell’atomo

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Emivita o periodo di dimezzamento dei nuclidi radioattivi Come si è visto nel precedente paragrafo, quando il nucleo di un atomo emette una radiazione α, β– o β+ il numero atomico dell’atomo cambia e dall’elemento di partenza si ottiene un nuovo elemento. Se un composto contiene atomi di un isotopo radioattivo, la velocità con cui si verifica il decadimento dell’isotopo instabile può essere determinata, istante per istante, misurando le radiazioni emesse dallo stesso campione nell’unità di tempo6. Infatti esiste una relazione di proporzionalità diretta tra la velocità di decadimento radioattivo (attività o radioattività, A) e la quantità (N) di atomi dell’isotopo instabile: A = kN La costante di proporzionalità k, che è chiamata costante di decadimento dell’isotopo radioattivo in questione, può essere derivata anche da un’altra relazione (v. cap. 13): N ln = – kt N0

6 La velocità delle trasformazioni nucleari si esprime come numero di degradazioni per minuto (DPM) oppure come numero di degradazioni per secondo (Bq). Di un’altra unità (il Curie) si usano frequentemente i sottomultipli (1 nCi = 1 · 10–9 Ci = 2220 DPM).

dove N0 e N rappresentano, rispettivamente, il numero di atomi dell’isotopo radioattivo presenti nel campione al tempo zero e al tempo t. Il tempo necessario perché la quantità di atomi dell’isotopo radioattivo diventi metà della quantità iniziale è definito emivita dell’isotopo o tempo di dimezzamento (t1/2): N /2 ln 0 = –kt1/2 N0 cioè:

ln 0,5 = –kt1/2

da cui, essendo ln 0,5 = –0,693, deriva che: t1/2 = 0,693/k Il tempo di dimezzamento di un determinato isotopo dipende quindi soltanto dal valore della costante di decadimento di quell’isotopo (tab. 2.1).

Effetto ionizzante delle radiazioni Le radiazioni emesse dai nuclidi instabili interagiscono con la materia eccitando gli elettroni che abitano orbitali atomici o molecolari e, se la loro energia è sufficiente, producendo ioni positivi e/o frammentando le molecole con le quali interagiscono. Ovviamente, anche l’esposizione di un tessuto biologico alle radiazioni emesse da un nuclide radioattivo ha come effetto il danneggiamento delle strutture molecolari presenti nelle cellule. Quando le molecole danneggiate dall’effetto ionizzante delle radiazioni sono genomiche, il danno risulta irreversibile (e frequentemente letale). Occorre comunque sottolineare che le radiazioni emesse dai nuclidi radioattivi non sono le sole a danneggiare le strutture molecolari dei tessuti, avendo potere ionizzante anche le radiazioni X (usate con sempre maggior parsimonia nella pratica diagnostica), le radiazioni cosmiche (che raggiungono valori degni di attenzione alle alte quote) e le stesse radiazioni ultraviolette emesse da sorgenti

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Parte I - Chimica generale

TABELLA 2.1 Tempi di dimezzamento di alcuni isotopi* Isotopo

Decadimento

238.U

238U

234Th

Emivita (t 1/2)

239.Pu

239Pu

235U

14.C

14C

14

3.H

3H

→ 3He +

6.0Co

60Co

35.S

4He

+

+ 4He –1β

N+

–1β

4,47 ∙ 109 anni 2,44 ∙ 104 anni 5730 anni 12,3 anni

60Ni

+

–1β

5,27 anni

35S

35Cl

+

–1β

87,2 giorni

125.I

125I

125Te

32.P

32P

32S

131.I

131I

131Xe

+

+

–1β

–1β

+

–1β

60 giorni 14,3 giorni 8,1 giorni

* Si definisce tempo di dimezzamento di un isotopo radioattivo il tempo che occorre per dimezzare la quantità di atomi di quell’isotopo (e quindi la velocità di decadimento e perciò anche la quantità di radiazioni emesse nell’unità di tempo).

Le radiazioni α hanno il più elevato potere ionizzante e gli emettitori α sono quindi i nuclidi che maggiormente danneggiano i tessuti.

7

In effetti, questo non è completamente vero, soprattutto quando si usano composti tritiati. Infatti, la sostituzione con tritio (3H) di uno o più atomi di idrogeno di un composto può causare un importante “effetto isotopico”, cioè il riconoscimento delle molecole del composto marcato con il radioisotopo di massa 3 come molecole diverse da quelle contenenti l’isotopo stabile di massa 1. 8

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naturali o artificiali. La particolare pericolosità degli isotopi radioattivi per gli organismi viventi è collegata all’elevato potere di penetrazione delle radiazioni che emettono e al loro altissimo potere ionizzante7.

Uso degli isotopi radioattivi in medicina L’introduzione dell’uso dei radioisotopi nella ricerca biomedica è stata determinante per il conseguimento di molte delle conoscenze relative al metabolismo cellulare. La strategia utilizzata nello studio di un processo metabolico, mediante uso di radioisotopi, trae origine dalla considerazione che le reazioni chimiche consistono essenzialmente nella formazione e nella rottura di orbitali molecolari e che questi processi non sono modificati dal contenuto in neutroni del nucleo degli atomi8. Per esempio, se si sintetizza in laboratorio dell’acido acetico nel quale uno soltanto o tutti i due atomi di carbonio sono sostituiti con l’isotopo radioattivo 14C e lo si somministra a un animale da esperimento, la radioattività β emessa dall’isotopo consente di raccogliere informazioni sui meccanismi delle reazioni coinvolte nelle sue trasformazioni metaboliche. Infatti, isolando i composti cellulari radioattivi sintetizzati e misurandone la radioattività specifica si può derivare il percorso metabolico seguito dal precursore marcato (fig. 2.5). In ugual maniera, somministrando un farmaco marcato con un radioisotopo, si può seguire il suo destino metabolico, la sua diffusione nei tessuti e la velocità della sua escrezione. Composti marcati con radioisotopi sono anche utilizzati in procedure diagnostiche quali i saggi radioimmunologici, la scintigrafia e la tomografia a emissione di positroni. Un esempio di applicazione a scopo diagnostico degli isotopi radioattivi si ha nella scintigrafia della tiroide. Dopo avere somministrato al paziente ioduro di

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Capitolo 2 - Il nucleo dell’atomo

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Figura 2.5

H

O

Acido ossalacetico

HO — C — COOH —

O

CH2

CH2

OH

C—C—C—C —

Acido acetico

— —

— H

++

O

H

— —

— —

H—C—C

O

HO

OH

H

— —

COOH

COOH Acido citrico

COOH

COOH

Acido α-chetoglutarico

Acido isocitrico

— —

— —

CHOH

CH2

C — COOH

C—O

H — C — COOH

COOH

CH

CH2

CH2

CH2

COOH

— —

COOH

Volendo stabilire in quale maniera l’acido acetico viene utilizzato nella sintesi dell’acido α-chetoglutarico si sintetizza un campione di acido acetico in cui gli atomi di carbonio 1 e 2 sono sostituiti con l’isotopo radioattivo 14C del carbonio. Isolando il prodotto e gli intermedi del processo metabolico si può stabilire con precisione qual è il decorso della reazione.

COOH Acido cis-aconitico

sodio (125I), per valutare la funzionalità tiroidea si determina la velocità con cui l’isotopo radioattivo viene captato dalla ghiandola tiroide, misurando le radiazioni emesse dalla stessa ghiandola mediante l’uso di lastre fotografiche o di sistemi di rilevazione strumentali. La necessità di acquisire informazioni diagnostiche attendibili, non trascurando il potenziale danno biologico prodotto dai radioisotopi iniettati nell’organismo, orienta il “medico nucleare” verso l’uso di traccianti radioattivi caratterizzati da tempi di dimezzamento sempre più corti. Per esempio, lo iodio radioattivo (125I) (che ha un t1/2 di 60 giorni) è oggi sostituito da un derivato (Na99TcO4) del tecnezio, un elemento radioattivo artificiale che, avendo un tempo di dimezzamento molto più breve (6,05 ore), scompare con maggiore velocità dall’organismo. Altre applicazioni degli isotopi radioattivi in medicina si hanno nella radioterapia dei tumori: le radiazioni γ emesse da una sorgente radioattiva vengono concentrate sulla massa tumorale, utilizzando il loro effetto ionizzante per distruggere le cellule neoplastiche.

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Parte I - Chimica generale

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Uso dei radioisotopi in medicina nucleare La nascita della medicina nucleare è molto recente: basti pensare che l’American Medical Association l’ha riconosciuta ufficialmente come una branca specialistica della medicina soltanto nel 1971. Le nuove tecnologie della medicina nucleare, aggiungendo informazioni di tipo metabolicofunzionale alle rilevazioni anatomiche ottenibili con tecniche di radiologia convenzionale e tomografica, hanno determinato una svolta epocale nella diagnostica medico-chirurgica. Una svolta che, grazie alla continua crescita scientifico-tecnologica, promette ulteriori importanti avanzamenti della diagnostica per immagini. Nella medicina nucleare convenzionale viene somministrato per via endovenosa un radiofarmaco γ-emittente il cui accumulo in un distretto anatomico del paziente (rilevato mediante l’uso di rivelatori di radiazioni γ) fornisce un utile supporto alla diagnosi clinica. Per fare un esempio, la scintigrafia tiroidea consente di evidenziare la sede, la morfologia e le dimensioni della ghiandola, fornendo anche informazioni sulla funzionalità del parenchima tiroideo. Fino a vent’anni fa, per la scintigrafia della tiroide veniva usato come tracciante 131I, isotopo radioattivo di un elemento che gioca un ruolo fondamentale nel processo di biosintesi degli ormoni tiroidei. A causa dell’elevato valore dell’energia dei fotoni γ emessi da questo radioisotopo (che comporta la rilevazione di immagini poco nitide da parte della γ-camera) e del tempo di emivita eccessivamente lungo (che sottopone il paziente a un elevato assorbimento di radiazioni ionizzanti), si usa oggi il 99mTc (come anione pertecnetato), un isotopo metastabile del tecnezio che, come lo iodio, si concentra nel tessuto tiroideo funzionante. Il limite insito nella tecnica scintigrafica è rappresentato dal fatto che le immagini ottenibili sono bidimensionali e non rappresentano quindi la distribuzione tridimensionale del radiofarmaco iniettato. Questo limite è stato superato con l’introduzione di una nuova tecnica, la tomografia a emissione di positroni o PET (positron emission tomography), che consente la rilevazione tridimensionale dei traccianti radioattivi assorbiti da parte di un tessuto. Un esempio della logica su cui si basa l’analisi PET è rappresentato dall’uso del 2-18F-2-deossiglucosio (18-FDG), il radiofarmaco oggi maggiormente utilizzato per la rilevazione di formazioni neoplastiche. Il 18F è un isotopo positrone-emittente che viene prodotto in un ciclotrone bombardando con protoni molecole di acqua nelle quali l’isotopo a massa 16 dell’ossigeno è sostituito con 18O. La reazione nucleare che avviene nel ciclotrone comporta la sostituzione di un neutrone con un protone nel nucleo dell’ossigeno che si trasforma quindi nel nucleo di un atomo di fluoro: 18O

+ p → 18F + n

Il fluoro (purificato come ione fluoruro) viene quindi legato allo scheletro carbonioso del glucosio mediante la reazione di sostituzione nucleofila SN2 (v. cap. 19), rappresentata nella figura che segue. OAc OTf O AcO OAc

AcO OAc

OH

18 -

F

O

O AcO AcO

idrolisi OAc 18

F

HO OH

HO 18

F

Sintesi del 2-deossi-2-18F-D-glucosio da tetra-acetilmannosio-2-trifluorometansolfonato. (segue)

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Capitolo 2 - Il nucleo dell’atomo

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(continua)

Il 18-FDG prodotto in questa reazione è il radiofarmaco più comunemente utilizzato per la rilevazione di tessuti neoplastici mediante PET per i seguenti motivi: a. le proteine della membrana cellulare (GLUT) deputate al trasporto del glucosio sono in grado di trasportare all’interno delle cellule normali e tumorali anche il 18-FDG; b. sia il glucosio che il 18-FDG sono ottimi substrati per l’enzima citoplasmatico che converte il glucosio in glucosio-6-fosfato, mentre il successivo enzima della sequenza metabolica, la glucosio-6-fosfato isomerasi, riconosce come substrato soltanto il glucosio-6-fosfato. Come conseguenza, il 18-FDG-6-fosfato prodotto nella reazione catalizzata dalla esocinasi si accumula nel citoplasma; c. sebbene questa differenza fra il metabolismo del glucosio e quello del 18-FDG sia comune alle cellule normali e tumorali, queste ultime captano il glucosio più avidamente delle cellule normali (effetto Warburg) a causa della loro altissima attività glicolitica. Come conseguenza di questa dissimilarità metabolica, nel distretto anatomico analizzato mediante PET si rileva una più intensa emissione di positroni da parte del tessuto neoplastico nel quale si è verificato l’accumulo di 18-FDG-6-fosfato rispetto ai tessuti normali circostanti. Benché il 18-FDG sia ancora il radiofarmaco più comunemente utilizzato, molti nuovi ne sono stati sintetizzati e validati per rilevare con la tecnica PET un ampio spettro di patologie. Alcuni esempi sono riportati nei seguenti articoli: • https://www.jstage.jst.go.jp/article/tjem/230/3/230_155/_pdf • http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3627518/pdf/ajnmmi0003-0194.pdf • http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3881227/pdf/thnov04p0047.pdf • http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3784148/pdf/BMRI2013-102819.pdf

Non dimenticare che … • In natura esistono atomi che, pur avendo uguale numero atomico Z (lo stesso numero di protoni e quindi anche un’identica configurazione elettronica), presentano nel nucleo un diverso numero di neutroni. Questi atomi vengono definiti isotopi in quanto occupano la stessa casella nella tavola periodica. • Soltanto alcuni isotopi sono stabili, mentre altri subiscono modificazioni nucleari accompagnate dalla emissione di radiazioni elettromagnetiche (raggi γ e raggi X) oppure di elettroni, di positroni, di nuclei di elio. Per esempio, sono presenti in natura tre isotopi stabili dell’ossigeno (numero atomico Z = 8); il più abbondante (99,763%) è 16O (il nucleo contiene 8 neutroni) mentre 18O e 17O, i cui nuclei

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hanno, rispettivamente 10 e 9 neutroni, rappresentano soltanto lo 0,2% e lo 0,04% degli atomi di ossigeno; dei tre isotopi del carbonio sono stabili soltanto 12C e 13C mentre 14C è un isotopo radioattivo b-emittente. • L’unità convenzionale di massa atomica è la dodicesima parte della massa di un atomo di 12C. • Il peso atomico (PA) e il peso molecolare (PM), essendo rapporti fra due masse, sono adimensionali. • Si definisce mole di atomi (grammoatomo) la quantità di un elemento che contiene un numero di Avogadro di atomi. Si definisce mole di molecole (grammomolecola) la quantità di un composto che contiene un numero di Avogadro di molecole.

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