Lo sguardo sociologico: come trasformare i fenomeni sociali in questioni di ricerca
1.1. Lo
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sguardo sociologico
I fenomeni sociali, ma la considerazione potrebbe essere estesa anche agli eventi naturali, sono degli “oggetti di studio” estremamente complessi, sottoposti a continua trasformazione nel tempo e per questo difficilmente circoscrivibili. Rispetto a tale complessità lo scienziato sociale non può che procedere con cautela, ritagliando nell’infinita molteplicità degli aspetti conoscibili della realtà solo alcuni elementi, in modo tale da farli rientrare poi in uno schema concettuale significativo. Anticipando alcune questioni trattate da Max Weber, un autore di cui avremo modo di parlare diffusamente in seguito, possiamo dire che lo scienziato sociale è guidato, nella sua attività di ricerca, da un proprio interesse conoscitivo che è in relazione con la sua personale presa di posizione di fronte al mondo. L’atteggiamento selettivo del sociologo di fronte alla complessità della realtà sociale può essere dettato, come vedremo nei prossimi capitoli, da una “relazione di valore” (Weber, 1904) che instaura con l’oggetto della sua conoscenza. La relazione di valore costituisce, in un certo senso, lo strumento che il ricercatore ha a disposizione per conoscere i fenomeni sociali. Nell’esaminare l’influenza dei sistemi di credenza nel processo della conoscenza scientifica altri autori (Longino, 1990; Isernia, 2001) hanno messo in luce l’importanza di ulteriori valori come quelli di tipo “contestuale” e “costitutivo”. I valori contestuali rimandano al contesto sociale e culturale in cui il sociologo lavora, mentre i valori costitutivi hanno a che fare con i principi e le pratiche che la comunità scientifica di riferimento, in un determinato momento storico, stabilisce come legittimi e validi (Isernia, 2001). Il problema è capire il tipo di relazione che esiste tra i valori contestuali e i valori costitutivi, e se i valori, le ideologie prevalenti in una società e in una cultura, possano influenzare il ricercatore nella scelta del fenomeno da studiare, nonché il metodo e le tecniche da utilizzare nella raccolta dei dati e, non ultimo, le interpretazioni fornite. A questo proposito il contributo di Thomas Kuhn si è rivelato, soprattutto alla luce del dibattito contemporaneo sulla scienza, di particolare rilievo, costituendo a sua volta una vera e propria rivoluzione epistemologica.
Atteggiamento selettivo del sociologo
Relazione di valore
Valori contestuali Valori costitutivi
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Parte I – Il ragionamento sociologico
Paradigma
Come è stato illustrato nella premessa, l’originalità delle tesi di Kuhn (1962) risiede nel concepire la scienza come attività socialmente determinata: lo scopo della conoscenza scientifica non è quello di scoprire o di approssimarsi all’idea di “verità”, piuttosto quello di legittimare la visione della realtà che emerge dalla comunità di scienziati di una determinata disciplina. Il modo in cui lo scienziato osserva il mondo è plasmato da ciò che la sua comunità scientifica, in un determinato momento storico, stabilisce come vero, e non dal rapporto fra la teoria e la realtà. L’argomentazione di Kuhn, come è stato detto, si basa sul concetto di paradigma che corrisponde a una prospettiva teorica globale che guida e organizza l’elaborazione concettuale e l’attività di ricerca dello scienziato. Ne discende che l’osservazione empirica non può essere intesa come una fotografia oggettiva, ma risente delle circostanze sociali e culturali in cui viene effettuata. La concezione di Kuhn della scienza costituisce una posizione di rottura nel dibattito epistemologico sulla conoscenza scientifica. Fino agli anni Sessanta il tema centrale della discussione sull’oggettività della scienza (considerata nel senso più lato del termine includendo, quindi, anche le scienze sociali) consisteva, a seconda dei punti di vista, da una parte nella ricerca di un punto di partenza indubitabile e di mezzi infallibili di ragionamento, dall’altra parte nella ricerca di procedure di valutazione e verificabilità tali da poter essere applicate a una teoria (Brown, 1977). Lo scopo della ricerca empirica nelle scienze della natura, ma anche nelle scienze sociali, è stato, quindi, prevalentemente quello di avvicinarsi all’infallibilità della conoscenza, eliminando il giudizio umano – per definizione fallibile –, sostituendolo con delle procedure di valutazione che potessero essere applicate alle teorie con la sicurezza infallibile delle tecniche con cui si individuano gli errori nelle scienze esatte (Kuhn, 1962). Queste considerazioni erano applicabili anche al contesto della sociologia e, con la tradizione positivista si ipotizzava la possibilità di accesso diretto, non mediato, in quanto libero da pregiudizi, alla realtà sociale, accesso che sarebbe stato garantito dall’affidarsi ai precetti metodologici (rigore intellettuale e neutralità affettiva) e agli schemi teorici delle scienze naturali (Durkheim, 1895). Gli sviluppi successivi della conoscenza sociologica hanno mostrato come il discorso scientifico abbia sempre inizio da presupposti teorici e da problemi formulati a partire non solo dalla osservazione empirica, ma da scelte valutative “pre-scientifiche” i cui criteri non sono empiricamente dimostrabili. Il ricercatore, riconosciuta l’impossibilità di studiare la realtà nella sua totalità, opererebbe sempre una duplice selezione: dapprima individuando i fenomeni che intende studiare, successivamente la prospettiva dalla quale intende approfondire il fenomeno precedentemente scelto. Il criterio che guida questa scelta è basato sui valori e sugli interessi dei singoli scienziati. Si tratta semplicemente di un principio di scelta che serve a stabilire quali siano i problemi, gli aspetti dei fenomeni, il campo di ricerca dell’indagine. Il riferimento ai valori non ha nulla a che fare con una valutazione etica o morale, né ha alcunché da condividere con qualche sistema universale di valori assoluti, in grado di esprimere una gerarchia di credenze univoca e definitiva. Sulla base di tali considerazioni è bene liberarci del convincimento che la sociologia (ma il discorso vale naturalmente anche per
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le scienze della natura) possa stabilire delle verità assolute. Come ricorda Bourdieu (2003), diventa sempre più difficile parlare oggi di autonomia della scienza e, in particolare, della sociologia in quanto, secondo lo studioso, l’autonomia che la scienza aveva progressivamente conquistato negli anni contro il potere religioso, politico ed economico si è indebolita, al punto da mettere in discussione i principi su cui si basava la sua scientificità. E questo perché, attraverso l’esercizio del potere, si verrebbe a esercitare un condizionamento e a definire gli orientamenti nel campo della ricerca. Se siamo d’accordo sul fatto che il concetto di conoscenza scientifica non coincide con quello di verità scientifica e che ciò che si intende per conoscenza sia un insieme più vasto di fattori, tra cui il punto di vista del ricercatore, il contesto storico in cui opera, la visione del mondo e la tradizione di ricerca all’interno, nel quale si collocano le teorie e, non ultimo, ciò che abitualmente la comunità scientifica di riferimento crede e accetta come verità scientifica, allora la ricerca sociologica, più che stabilire verità assolute, può sperare di raggiungere un consenso razionale sulle evidenze empiriche che produce. Se così stanno le cose, si capisce come il compito del sociologo non sia quello di rappresentare la realtà, né tanto meno di rispecchiarla (Gallino, 1994). Il ragionamento scientifico segue un procedimento “creativo” nel senso che il ricercatore, sia che si muova nei confini di paradigmi (in senso Kuhniano) e, quindi, utilizzi metodi abituali, conosciuti per produrre le sue scoperte (Abbott, 2007), sia che sperimenti nuove euristiche della ricerca, attingendo idee altrove (Abbott, 2007)1 assume sempre un atteggiamento attivo, vale a dire si pone delle domande, formula delle questioni di ricerca. La particolare natura delle scienze sociali ci induce, dunque, a riflettere non tanto sui criteri di validità del suo sapere che, se l’analisi fatta è corretta, poggiano sul consenso di chi opera all’interno della disciplina, piuttosto sulla funzione sociale svolta e, più in generale, sui dilemmi etici che produce. Il sapere sociologico non pretende, dunque, di fornire la “verità”, ma di proporre, sulla base di un metodo scientifico, immagini alternative della società che mostrino come le cose siano diverse da come, ad esempio, vengono proposte dai mezzi di comunicazione (che, come dice Gallino, sono i “costruttori delle immagini convenzionali”) (Gallino, 1994). In questo senso la conoscenza sociologica dovrebbe tendere a produrre un’immagine della società tendenzialmente riconoscibile da tutti i suoi membri, dimostrando che applicando un metodo scientifico si possono sostituire le immagini convenzionali dei fenomeni sociali con immagini che riflettono realmente interessi più ampi. A questo proposito, come si chiede Bruner (1996), osservando la società americana, i sociologi dovrebbero domandarsi come sia possibile che nelle società contemporanee, definite egualitarie, ci sia una distribuzione altamente squilibrata della ricchezza e dei guadagni. La sociologia viene ad acquisire così, grazie al ruolo del sociologo e della 1
Autonomia della scienza
Procedimento “creativo”
Il riferimento è tratto dal libro di Andrew Abbott (2007) dove lo studioso presenta le euristiche della ricerca come modi di attingere idee altrove e, in particolare, si riferisce al concetto di analogia. Le analogie possono riguardare i dati, i metodi, la teoria. 21
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Parte I – Il ragionamento sociologico
Immaginazione sociologica
sua immaginazione, una funzione innovatrice nello studio della società. Se a noi “profani” l’organizzazione della società appare immutabile perché in quanto attori sociali, recitando il nostro ruolo riproduciamo costantemente il modello organizzativo sociale, costruendolo quotidianamente, il sociologo ha uno strumento importante per uscire da questo circolo vizioso e vedere come la società potrebbe essere organizzata diversamente. Grazie all’immaginazione sociologica (Mills, 1995), concetto che approfondiremo nei prossimi paragrafi (vedi anche Approfondimento 1.1), il ricercatore può operare un distanziamento e un’attività comparativa con altri contesti per la ricerca di soluzioni alternative ai problemi sociali. In particolare, il distanziamento (fingersi stranieri nella società in cui si vive) permette all’osservatore di chiedersi perché le cose accadano in un certo modo e quali siano i fattori e i processi che contribuiscono a produrre un certo evento (Gallino, 1994). Infine, se le scienze della natura si trovano talvolta ad affrontare dei dilemmi etici, quando, ad esempio, sono in gioco particolari applicazioni pratiche come accade oggi nel campo delle biotecnologie, per le scienze sociali, o meglio per la sociologia, i dilemmi etici sono pressoché ineliminabili. Questo per due ragioni: la prima riguarda il fatto che il sociologo è parte attiva dell’universo che osserva e non può distaccarsene; la seconda è che ha a che fare con gli esiti che produce. Le teorie sociali, una volta entrate nel circolo della comunicazione pubblica, possono contribuire a modificare le percezioni che gli attori hanno delle relazioni sociali, influenzarne per questa via i comportamenti e, quindi, determinare cambiamenti nella situazione sociale stessa (Panebianco, 2000).
1.2 Sociologia Sociologia e senso comune
e senso comune
Il rapporto tra sociologia e senso comune è stato fin dagli esordi della sociologia come disciplina scientifica un rapporto di contrapposizione dialettica che si presenta “problematico”, data l’esistenza di un ampio disaccordo sull’insieme di
APPROFONDIMENTO 1.1 L’immaginazione sociologica “L’immaginazione sociologica permette a chi la possiede di vedere e valutare il grande contesto dei fatti storici nei suoi riflessi sulla vita interiore e sul comportamento esteriore di tutta una serie di categorie umane” (Mills, 1962, p. 15). L’immaginazione sociologica consiste nella capacità del sociologo di: ▪ passare da una prospettiva all’altra; ▪ abbracciare con la mente le trasformazioni più impersonali e remote della società e le reazioni più intime della persona umana e di fissarne il rapporto reciproco; ▪ afferrare ciò che avviene nel mondo e di comprendere ciò che si svolge all’interno degli esseri umani. 22
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fenomeni cui ci si riferisce con l’espressione “senso comune”, sulla sua natura e, soprattutto, sulla posizione che dovrebbe occupare in relazione alla conoscenza sociologica. Nella visione tradizionale della disciplina, pur ammettendo, dal punto di vista dell’evoluzione delle rappresentazioni sociali e dello sviluppo dell’apprendimento individuale, la priorità storica e cronologica della conoscenza e del ragionamento di senso comune e l’importanza che esso assume nelle interazioni sociali, i due domini di esperienza (senso comune) e conoscenza sono tra loro contrapposti. Durkheim, uno tra i primi sociologici empirici, si espresse molto chiaramente circa gli effetti di ragionamenti di senso comune nella ricostruzione scientifica della realtà sociale. Secondo questo studioso, qualora si confidi nelle categorie empiriche normalmente utilizzate dalla gente comune, si corre il rischio di confondere ciò che va tenuto distinto nella conoscenza scientifica e di distinguere ciò che andrebbe comparato; solo una definizione ottenuta attraverso una comparazione accurata di un gran numero di casi può, infatti, condurre all’ordine di fatti studiabili scientificamente. Lo studioso, quindi, “non deve prendere come oggetto delle proprie ricerche i gruppi di fatti precostituiti cui corrispondono i vocaboli del linguaggio corrente; al contrario è costretto a costituire egli stesso i gruppi che vuole studiare, al fine di dar loro l’omogeneità e la specificità necessarie per poter essere trattati scientificamente” (Durkheim, 1895; trad. it. p. 165). La posizione espressa da Durkheim sul rapporto tra conoscenza scientifica e ragionamento di senso comune ha rappresentato, anche in epoca contemporanea, una sorta di posizione ufficiale condivisa all’interno della teorizzazione e della ricerca sociologica di tipo quantitativo. La versione sociologica della realtà sociale è entrata in competizione con il senso comune e, nonostante occasionali coincidenze, si è proposta in alternativa ad esso in quanto ricostruzione della realtà chiara, univoca, rigorosa e, soprattutto, liberata dai preconcetti che distorcono e minano le facoltà di giudizio dell’uomo della strada. La realtà sociale, tuttavia, si contraddistingue rispetto a qualunque altro dominio di esperienza proprio perché risulta da un processo di attribuzione di senso socialmente e localmente prodotto ed è, quindi, comprensibile solo in relazione alle situazioni e ai significati soggettivi attribuiti dagli attori sociali, nel corso delle loro attività pratiche e delle interazioni sociali. Il mondo sociale, a differenze di quello della natura, va considerato come il prodotto dell’attività qualificata di soggetti umani che si avvalgono di strumenti linguistici e, più in generale, espressivi nel condurre le loro attività pratiche, nel corso delle quali viene continuamente realizzata l’intelligibilità e la comprensione del mondo in quanto dotato di senso. Se la significatività identifica in prima istanza tutto ciò che viene inteso con realtà sociale, la traduzione del problema durkheimiano concernerà il modo di accedere a tale universo in termini compatibili con il metodo scientifico, che escludano, quindi, qualsiasi riferimento alla conoscenza di senso comune. In che modo lo scienziato sociale, che allo stesso tempo “partecipa della stessa sostanza” dell’oggetto di studio, può porsi in una condizione che gli permetta di penetrare i quadri di significato cui fanno riferimento gli agenti stessi per costruire 23
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Parte I – Il ragionamento sociologico
Complessità dell’osservazione sociologica
Costruzione circolare “costruttiva”
Sociologia qualitativa
e ricostruire il mondo, senza basarsi sullo stesso tipo di conoscenze e competenze adoperate dagli attori e che egli stesso, in quanto membro a pieno titolo della società, utilizza continuamente e inevitabilmente? Perché una tale concezione possa continuare a essere sostenibile, è necessario dimostrare che, nel corso di ogni ricerca sociologica, è possibile fare assegnamento su “evidenze empiriche”, adeguatamente interpretabili come rappresentazioni di oggetti sociali, evidenze prodotte e utilizzate senza affidarsi “alla [sua] competenza pragmatica di osservatore, ovvero a ciò che egli “sa” al momento di spiegare un comportamento” (Dal Lago, 1983, p. 195). L’interrogativo, se esiste un criterio per distinguere la conoscenza scientifica da quella di senso comune, è tutt’ora aperto e rimanda a due questioni che comportano una notevole differenza in termini di valori, scopi e procedimenti della ricerca sociologica. Il primo aspetto riguarda la complessità dell’osservazione sociologica: vi è una notevole differenza nell’osservare e spiegare i cambiamenti del mondo della natura ricorrendo alle leggi della fisica o della biologia; un’altra cosa è spiegare i fenomeni sociali per i quali, come si è detto precedentemente, bisogna considerare una pluralità di fattori e interpretazioni. Non solo, ma sappiamo che il processo di osservazione presuppone una costruzione circolare “costruttiva” tra osservatore e sistema osservato e chiama in causa un rapporto che Popper (1959) ha definito “corpo-mente”, vale a dire che nell’atto osservativo la mente del soggetto non è mai una “tabula rasa”, in una condizione di vuoto teorico. La seconda questione si riferisce, invece, a una prospettiva teorica che separa la sociologia quantitativa da quella qualitativa, per cui è importante che i sociologi possano trovare dei metodi per accedere al mondo della vita degli individui (Schwartz e Jacobs, 1979). A tal fine è decisivo per il ricercatore conoscere le attività quotidiane, le motivazioni, i significati, le azioni dell’attore individuale nel contesto della sua vita quotidiana. Il punto di partenza della sociologia qualitativa è che se si vogliono comprendere i fenomeni sociali è necessario che il ricercatore si “metta nei panni” del soggetto osservato per poter accedere al suo punto di vista, cioè alla sua percezione e interpretazione della realtà e ai rapporti di entrambe con il suo comportamento (Schwartz e Jacobs, 1979). Appare chiaro che per il sociologo che lavora all’interno di questa prospettiva teorica, il ricorso al senso comune diventa una risorsa per la comprensione dei significati sociali che orientano il comportamento umano. L’ipotesi di partenza è che la vita quotidiana è un mondo che ci preesiste e ci resiste, che siamo in grado di manipolare efficacemente e che, proprio grazie a questo insieme di interpretazioni, conoscenze e teorie ingenuamente accettate, possiamo rendere oggetto di uno studio scientifico. Secondo Zimmermann e Pollner (1970), la conoscenza di senso comune è una risorsa continuamente utilizzata, in modo implicito e non spiegato, nelle indagini sociologiche (Dal Lago e Giglioli, 1983, pp. 90-1). La comprensione di senso comune costituisce il punto di partenza e di arrivo delle indagini sull’azione umana. L’assunzione è che non viviamo in un “mondo naturale” di “fatti sociali”, ma in un mondo “artificiale” prodotto dalle nostre interpretazioni. Senza l’ausilio del senso comune non sarebbe possibile aver accesso al mondo dell’azione sociale, raccoglie-
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re i dati – intesi come significati sociali – analizzati nella ricerche empiriche, oltre che comunicare a un pubblico eterogeneo, composto da addetti ai lavori e non, i risultati delle analisi. Come vedremo nei capitoli che seguono, per i sociologi quantitativi il punto di vista dell’attore viene preso in considerazione solo nella misura in cui può essere assimilato al modello di razionalità scientifica adottato dall’osservatore. Si ipotizza che tra ricercatore e osservato esista un rapporto per cui da un lato vi è un osservatore che si avvale sempre degli schemi della razionalità scientifica, dall’altro lato, attori sociali, accomunati da una stessa cultura, la cui condotta è determinata normativamente. In assenza di criteri di scelta informati dalla razionalità scientifica, si ipotizza che valori, norme e sistemi di aspettative interiorizzate guidino le scelte dell’attore, operando “dietro le sue spalle”. L’interazione tra spiegazione razionale e normativa dell’azione espunge dalla scena sociologica proprio la conoscenza di senso comune, negando, di fatto, il ruolo degli attori sociali nella costruzione del significato dell’esperienza. In questo contesto i dati raccolti si riferiscono sempre a qualche tipo di fatto conoscibile e ricostruibile empiricamente. Per esempio, un fenomeno come il prestigio professionale (il grado di stima, status, valore che le persone attribuiscono alle varie professioni), che appare come un fenomeno essenzialmente soggettivo e che può essere compreso, in base alla prospettiva teorica dell’interazionismo simbolico, studiando i modelli di interazione, può essere considerato anche come un fatto esteriore, lontano dall’esperienza e dalle interpretazioni soggettive degli individui (Schwartz e Jacobs, 1979). A questo proposito, in diverse indagini empiriche condotte negli Stati Uniti e in Italia2 il prestigio professionale è stato operazionalizzato in una scala sottoposta poi al giudizio di un campione di intervistati a cui era stato chiesto di esprimersi attribuendo un punteggio a ogni professione. Ne è risultata una classifica come indice complessivo della valutazione relativa che la popolazione intervistata associava a ogni professione. L’operazione di trasformare concetti di uso comune in concetti scientifici è efficacemente descritta da Becker (2007): i sociologi scelgono come indicatore del concetto che vogliono descrivere un concetto che spesso ha una relazione imperfetta con il fenomeno stesso, considerando l’indicatore in questione come se fosse il fenomeno a cui sono interessati. Ad esempio, se vogliamo studiare la classe sociale e scegliamo come indicatore l’occupazione, possiamo chiedere tramite un questionario a un campione di individui qual è la loro occupazione e considerare la risposta come una misurazione della 2
Razionalità scientifica
Concetti di uso comune
Concetti scientifici
Si veda la famosa indagine condotta nel 1947 negli Stati Uniti dal NORC sul prestigio di novanta professioni (National Opinion Research Center, Jobs and occupations: a popular evaluation, Public Opinion New, 9, 1947, pp. 3-13). Ai soggetti intervistati fu chiesto di rispondere alla seguente domanda: “Per ogni professione qui elencata, siete pregati di contrassegnare il giudizio che meglio rappresenta la vostra opinione personale sulla reputazione di tale professione: 1) eccellente, 2) buona, 3) media, 4) sotto la media, 5) scarsa, 6) non saprei”. Si veda anche l’indagine condotta in Italia nel 1985 da Antonio de Lillo e Antonio Schizzerotto. 25
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Parte I – Il ragionamento sociologico
Prospettiva “non ovvia”
classe sociale di appartenenza degli intervistati. Per quanto accurata sia la misurazione è difficile sostenere che stiamo misurando il concetto di classe sociale nel significato che la teoria sociologica (si pensi a Marx o a Weber) attribuisce a questo termine. Ne deriva che ciò che abbiamo rilevato poco ci aiuta nella comprensione del concetto di classe sociale (Becker, 2007, p. 142). Al di là della querelle tra sociologia qualitativa e sociologia quantitativa e dei metodi più adeguati per descrivere la realtà sociale, la ricerca sociologica dovrebbe assumere un’ottica, come dice Collins (2008), “non ovvia”, cioè il ricercatore dovrebbe sondare la realtà sociale in profondità, scovandone e illuminandone gli aspetti meno evidenti, ma spesso essenziali. Ogni discorso scientifico prende inizio e si conclude attraverso l’osservazione e i riferimenti alla realtà dovrebbero porsi sempre in termini di controllo delle variazioni del fenomeno osservato (le domande a cui rispondere sono: perché, quanto, quando, come) (Ammaturo, 2003). Perché questo avvenga il sociologo deve assumere un atteggiamento attivo intriso di “immaginazione sociologica” che gli consente di riformulare i problemi sociali in problemi sociologici. Questa particolare qualità che, a partire dalla prima concettualizzazione di Mills (1962), ha avuto diverse declinazioni, di fatto si basa su un insieme di elementi motivazionali e creativi che combinandosi insieme orientano il sociologo a un analisi articolata dei fenomeni sociali secondo alcuni criteri. In particolare, Mills sostiene che ogni affermazione o giudizio sulla realtà umana debbano essere sempre contestualizzati, ovvero riferirsi a una specifica struttura che poi conferisce loro un senso. La letteratura sociologica classica e contemporanea abbonda di indicazioni sui compiti della sociologia e sull’atteggiamento che il sociologo dovrebbe assumere verso il mondo sociale. Tra tutte le ipotesi ci sembra che quella fornita da Collins di usare una prospettiva “non ovvia” per analizzare gli aspetti meno evidenti, ma spesso essenziali della realtà sociale, sia quella più promettente. Affinché ciò avvenga è importante che siano soddisfatte due condizioni (Altieri e Perino, 1998; Ammaturo, 2003). La prima è che il ricercatore sia in grado di cogliere dalle azioni e dai fatti che osserva i significati, le norme, i valori e i simboli che danno senso ai comportamenti collettivi. In altre parole, deve poter comprendere il punto di vista altrui, i significati attribuiti dagli altri alle cose, anche quando questi sono divergenti dai propri e, inoltre, essere disponibile a mettere continuamente in discussione le proprie conoscenze (quadri teorici) e le proprie ipotesi. La seconda condizione riguarda le procedure di osservazione che, per essere considerate scientifiche, devono essere usate in modo sistematico e rigoroso. Ritornando alla questione posta inizialmente nel capitolo, ovvero se esiste un criterio per distinguere la conoscenza scientifica da quella di senso comune, l’interrogativo rimane aperto in quanto appare chiaro che non è possibile distinguere in modo così netto l’osservazione scientifica da quella di senso comune in un dominio come quello sociale, dove la comprensione rappresenta il principio caratterizzante di quel sapere che si pone l’obiettivo di studiarla. Non solo, ma in molti casi è proprio il senso comune ad orientare l’osservazione empirica. Come avremo modo di
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vedere negli esempi di ricerca descritti nella seconda parte del libro, la realtà non è mai completamente in subordine all’osservazione poiché qualsiasi teoria o ipotesi non potrebbe mai essere formulata senza avere avuto un impatto empirico.
Riepilogo • I fenomeni sociali sono degli “oggetti di studio” estremamente complessi, sottoposti a continua trasformazione nel tempo e per questo difficilmente circoscrivibili. Il ricercatore, riconosciuta l’impossibilità di studiare la realtà nella sua totalità, opererebbe sempre una duplice selezione: dapprima individuando i fenomeni che intende studiare, successivamente la prospettiva dalla quale intende approfondire il fenomeno precedentemente scelto. Il criterio che guida questa scelta è basato sui valori e sugli interessi dei singoli scienziati. • Secondo Thomas Kuhn il modo in cui lo scienziato osserva il mondo è plasmato da ciò che la sua comunità scientifica, in un determinato momento storico, stabilisce come vero, e non dal rapporto fra la teoria e la realtà. L’argomentazione di Kuhn si basa sul concetto di paradigma che corrisponde a una prospettiva teorica globale che guida e organizza l’elaborazione concettuale e l’attività di ricerca dello scienziato. Ne discende che l’osservazione empirica non può essere intesa come una fotografia oggettiva, ma risente delle circostanze sociali e culturali in cui viene effettuata. Sulla base di tali considerazioni è bene liberarci del convincimento che la sociologia (ma il discorso vale naturalmente anche per le scienze della natura) possa stabilire delle verità assolute. • Il compito del sociologo non è tanto quello di rappresentare la realtà, né tanto meno di rispecchiarla. Il ragionamento scientifico segue un procedimento “creativo” nel senso che il ricercatore, sia che si muova nei confini di paradigmi (in senso kuhniano) e, quindi, utilizzi metodi abituali, conosciuti per produrre le sue scoperte, sia che sperimenti nuove euristiche della ricerca, attingendo idee altrove assume sempre un atteggiamento attivo, vale a dire si pone delle domande, formula delle questioni di ricerca. • In che modo lo scienziato sociale, che è allo stesso tempo membro a pieno titolo della società che studia, può nella ricostruzione dei fenomeni sociali distanziarsi dal tipo di conoscenze e competenze adoperate dagli attori sociali e che egli stesso, in quanto parte di quel contesto, utilizza continuamente e inevitabilmente? L’interrogativo se esiste un criterio per distinguere la conoscenza scientifica da quella di senso comune è tutt’ora aperto e rimanda a due questioni che comportano una notevole differenza in termini di valori, scopi e procedimenti della ricerca sociologica. La prima questione riguarda la complessità dell’osservazione sociologica, mentre la seconda si riferisce alla prospettiva teorica che separa la sociologia quantitativa da quella qualitativa. Nella prospettiva qualitativa è importante che i sociologi possano trovare dei metodi per accedere al mondo della vita degli individui. Appare, quindi, chiaro che per il sociologo che lavora all’interno di questa prospettiva teorica, il ricorso al senso comune diventa una risorsa per la comprensione dei significati sociali che orientano il comportamento umano. • Al di là del rapporto controverso tra sociologia e senso comune la ricerca sociologica dovrebbe assumere un’ottica – come dice Collins (2008) – “non ovvia”, cioè il ricercatore 27
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dovrebbe sondare la realtà sociale in profondità, scovandone e illuminandone gli aspetti meno evidenti, ma spesso essenziali. Perché questo avvenga il sociologo deve assumere un atteggiamento attivo intriso di “immaginazione sociologica” che gli consente di riformulare i problemi sociali in problemi sociologici. Questa particolare qualità che, a partire dalla prima concettualizzazione di Mills (1962), ha avuto diverse declinazioni, di fatto si basa su un insieme di elementi motivazionali e creativi che, combinandosi insieme, orientano il sociologo a un’analisi articolata dei fenomeni sociali secondo alcuni criteri.
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