Bestiario, II: funzioni trascendenti Conoscenze e capacità Dopo aver studiato questo capitolo conoscerai i seguenti concetti: • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •
la definizione del numero e di Nepero tramite un limite (Paragrafo 6.1); funzioni esponenziali e loro proprietà (Paragrafo 6.1); funzioni logistiche (Paragrafo 6.2); funzione gaussiana (Paragrafo 6.2); funzioni logaritmiche e loro proprietà (Paragrafo 6.3); funzioni periodiche (Paragrafo 6.4); radiante (Paragrafo 6.4); funzioni trigonometriche: seno, coseno, tangente e cotangente (Paragrafo 6.4); periodicità delle funzioni trigonometriche (Paragrafo 6.4); la relazione fondamentale fra seno e coseno (Paragrafo 6.4); formule di addizione, sottrazione e duplicazione per seno e coseno (Paragrafo 6.4); formule di prostaferesi (Paragrafo 6.4); il limite di ϕ1 sin ϕ per ϕ → 0 e altri limiti notevoli coinvolgenti funzioni trigonometriche (Paragrafo 6.4); coordinate polari (Paragrafo 6.4); funzioni trigonometriche inverse (Paragrafo 6.4); funzioni sinusoidali (Paragrafi 6.4 e 6.5); periodo, frequenza, frequenza angolare, ampiezza, valor medio e fase di una funzione sinusoidale (Paragrafo 6.5); successione (Paragrafo 6.6); successioni (o progressioni) aritmetiche e geometriche (Paragrafo 6.6); successione di Fibonacci (Paragrafo 6.6); limite di una successione (Paragrafo 6.6); successioni limitate, superiormente o inferiormente (Paragrafo 6.6); successioni crescenti, decrescenti e monotone (Paragrafo 6.6); ogni successione monotona limitata è convergente e ogni successione monotona illimitata è divergente (Paragrafo 6.6); serie (Paragrafo 6.6);
6
216 Capitolo 6
• una serie a termini positivi converge se limitata, diverge se illimitata (Paragrafo 6.6); • serie armonica (Paragrafo 6.6). Inoltre sarai in grado di: • tracciare il grafico di funzioni esponenziali (Paragrafo 6.1); • costruire funzioni esponenziali o logistiche con caratteristiche desiderate, utili per costruire modelli di fenomeni con o senza saturazione (Paragrafi 6.1 e 6.2); • effettuare semplici calcoli usando le proprietà dei logaritmi (Paragrafo 6.3); • tracciare il grafico di funzioni logaritmiche (Paragrafo 6.3); • passare dalla misura in gradi alla misura in radianti di angoli e viceversa (Paragrafo 6.4); • calcolare seno, coseno e tangente di angoli notevoli (Paragrafo 6.4); • tracciare il grafico delle funzioni seno, coseno, tangente e cotangente (Paragrafo 6.4); • usare le principali formule trigonometriche (Paragrafo 6.4); • passare da coordinate polari a coordinate cartesiane e viceversa (Paragrafo 6.4); • tracciare il grafico delle funzioni trigonometriche e delle funzioni trigonometriche inverse (Paragrafo 6.4); • costruire funzioni sinusoidali che rappresentino semplici fenomeni periodici (Paragrafo 6.5); • effettuare operazioni algebriche con i limiti di successioni (Paragrafo 6.6); • sommare successioni aritmetiche e geometriche (Paragrafo 6.6).
6.1 Funzioni esponenziali
Funzioni trascendenti
Esempio 6.1
Le funzioni che abbiamo studiato nel capitolo precedente agivano sull’argomento con operazioni algebriche (somma, prodotto, eccetera). Invece le funzioni che studieremo in questo capitolo agiscono in maniera più complicata, non algebrica; per questo motivo sono chiamate funzioni trascendenti. Fra di esse si trovano alcune delle funzioni più importanti e utili per la modellizzazione di fenomeni naturali, probabilmente persino più importanti delle funzioni polinomiali. Questo paragrafo è dedicato alle funzioni esponenziali ma, prima di darne una definizione ufficiale, vediamo tre esempi in cui appaiono in maniera naturale. Supponiamo di avere una popolazione di cellule in ambiente ideale: calore e luce adatti, cibo in abbondanza per tutte. In queste condizioni, ogni cellula si riproduce sdoppiandosi dopo un tempo t0 , misurato in secondi (per semplicità, supporremo t0 uguale per ogni cellula). Se all’inizio la popolazione di cellule è composta da p0 individui, da quanti individui sarà composta al tempo nt0 ? L’idea è che ogni t0 secondi tutte le cellule si riproducono, per cui la popolazione raddoppia. Quindi se al tempo 0 la popolazione è composta da p(0) = p0 cellule, al tempo t0 sarà composta
Bestiario, II: funzioni trascendenti 217 da p(t0 ) = 2p0 cellule, al tempo 2t0 sarà composta da p(2t0 ) = 2(2p0 ) = 4t0 cellule e in generale al tempo nt0 sarà composta da p(nt0 ) = 2n p0 cellule.
Questo esempio, anche se non d’interesse strettamente scientifico, è sicuramente utile per gli scienziati, che come ogni altro lavoratore nella società contemporanea devono necessariamente contrattare con le banche. Supponi di avere a disposizione un capitale di c0 euro e di volerlo depositare in banca per ricavarne un qualche interesse. Il funzionario bancario, con un sorriso da un orecchio all’altro, ti propone il seguente schema, detto d’interesse semplice, secondo lui molto vantaggioso: a intervalli regolari di tempo (per esempio, una volta all’anno) la banca ti concede un interesse pari al p% del capitale iniziale. Non devi fare nulla: basta che non tocchi i tuoi soldi in banca e questi aumentano da soli. Se l’interesse viene attribuito a intervalli di tempo lunghi t0 e se al p tempo 0 depositi il capitale c0 , allora al tempo t0 avrai un capitale uguale a IS(t0 ) = c0 + 100 c0 , p 2p al tempo 2t0 avrai un capitale uguale a IS(2t0 ) = IS(t0 ) + 100 c0 = c0 + 100 c0 e in generale al tempo nt0 avrai un capitale uguale a IS(nt0 ) = c0 + n
p n ) c0 . 100
Ricordandoti la formula dello sviluppo del binomio (se non te la ricordi la trovi nella formula (10.20) del Paragrafo 10.10) ottieni (1 +
p n p n(n − 1) p 2 p ) =1+n + ( ) +⋯>1+n , 100 100 2 100 100
per cui l’interesse composto ti fornisce più soldi dell’interesse semplice. Richiedi quindi che ti venga applicato l’interesse composto e il funzionario, pur mugugnando, accetta. Leggendo le clausole scritte in piccolo nel contratto noti però un fatto curioso. Mentre l’interesse composto al tuo capitale viene attribuito a intervalli di t0 , in caso tu andassi in rosso la banca calcolerebbe l’interesse sul tuo debito a intervalli di t0 /2. Insospettito, chiedi lumi al funzionario; lui (sorriso ridotto al lumicino) ti rassicura dicendo che sì, è vero, calcolano l’interesse a intervalli di t0 /2 ma ogni volta applicano un interesse dimezzato: solo di p/2%. Subodorando qualcosa, provi a fare il conto: posto (per semplicità di notazione) r = p/100, partendo da un capitale t0 il metodo della banca dopo un tempo t0 porta a un capitale pari a (1 +
Interesse semplice
p c . 100 0
Tu guardi il funzionario di banca e decidi che sorride troppo. Rifletti un attimo e realizzi che in questo modo l’interesse viene calcolato sempre e soltanto sul capitale iniziale; il fatto che il capitale aumenti nel tempo non viene tenuto in considerazione. E questo non è giusto: se al tempo t0 hai in banca un capitale pari a IS(t0 ), allora il nuovo interesse dev’essere calcolato su questa cifra e non sul capitale iniziale. Il sorriso del funzionario di banca si restringe mentre ammette che effettivamente è previsto anche questo schema, detto d’interesse composto. Con questo schema, al tempo t0 hai un capitale IC(t0 ) uguale a quello ottenuto con l’interesse semplice ma al tempo 2t0 hai un capitale p p 2 IC(2t0 ) = (1 + ) IC(t0 ) = (1 + ) c 100 100 0 e in generale al tempo nt0 avrai un capitale pari a IC(nt0 ) = (1 +
Esempio 6.2
r r r2 ) (1 + ) c0 = (1 + r + ) c0 > (1 + r)c0 = IC(t0 ) ; 2 2 4
il metodo adottato dalla banca fa aumentare il capitale (o il debito) più velocemente dell’interesse composto che ti avevano concesso! Minacci di portare il tuo capitale a un’altra banca; borbottando “Questi matematici rompiscatole”, con il sorriso completamente scomparso, il funzionario cede e accetta di usare lo stesso metodo di calcolo degli interessi sia per i crediti sia per i debiti del tuo conto.
Interesse composto
218 Capitolo 6 La storia non finisce qui. Il funzionario di banca, rimasto solo, riflette. Calcolando un interesse della metà il doppio delle volte, il capitale che s’ottiene è maggiore. Che succede calcolando un interesse di un terzo il triplo delle volte? Un veloce conto mostra che il capitale che s’ottiene dopo un tempo t0 calcolando un interesse di r/3 ogni t0 /3 giorni è r 3 r r2 r3 r2 r3 ) c0 = (1 + 3 + 3 + ) c0 = (1 + r + + )c 3 3 9 27 3 27 0 r 2 > (1 + ) c0 ; 2
(1 +
è più alto di quello che s’otteneva applicando la metà dell’interesse il doppio delle volte. Al funzionario brillano gli occhi. Allora applicando un quarto dell’interesse il quadruplo delle volte sarà ancora più alto, un quinto cinque volte sarà ancora più alto… e applicando un interesse minuscolo un numero sufficientemente alto di volte si potrebbe ottenere un capitale sempre più grande, astronomico! Il funzionario si precipita dal suo capo, sicuro che una scoperta del genere gli assicurerà una promozione, se non addirittura un posto di dirigente. Il capo, che un poco di matematica dell’università ancora se la ricorda, ringrazia il funzionario ma lo rimanda al suo posto suggerendogli di comprare questo libro e studiarsi matematica e statistica. Infatti, il funzionario ha ragione a dire che la procedura che ha proposto produce interessi crescenti, cioè che 1 + r < (1 +
Numero di Nepero
n+1 r 2 r 3 r n r ) < (1 + ) < ⋯ < (1 + ) < (1 + ) <⋯ 2 3 n n+1
ma ha torto a dire che in questo modo si possono ottenere interessi arbitrariamente grandi. Infatti, si può dimostrare (vedi la Curiosità 6.1) che esiste un numero reale, il numero di Nepero, usualmente indicato con e, pari a e = 2.718281828459 … , n
tale che (1 + r/n) è arbitrariamente vicino a er a patto di prendere n abbastanza grande: r n lim (1 + ) = er . n→+∞ n
(6.1)
Quindi applicando lo schema proposto dal funzionario dopo un tempo t0 s’ottiene al massimo un capitale pari a er c0 , che è più di quanto s’ottenesse prima ma non è arbitrariamente grande: er c0 è strettamente minore di 3r c0 (in quanto e < 3 e la funzione potenza è strettamente crescente). Per esempio, se r = 1/100 si ha: IS(t0 ) = IC(t0 ) = 1.01 c0 < er c0 ≃ 1.01005 c0 .
Successione
Limite di successioni
Il limite in (6.1) è il limite di una successione, cioè di una sequenza di numeri x0 , x1 , x2 , … , xn , …. Abbiamo già notato (Osservazione 2.4) che una successione è semplicemente una funzione con dominio l’insieme ℕ dei numeri naturali; essendo ℕ ⊂ ℝ, la definizione di limite di una successione è analoga a quella di limite di una funzione per n che tende a +∞. Diremo quindi che una successione {x0 , x1 , …} (o, come spesso scriveremo, {xn }) ha limite ℓ ∈ ℝ se xn è arbitrariamente vicino a ℓ a patto di prendere n sufficientemente grande, cioè se per ogni ε > 0 (arbitrariamente piccolo) esiste N > 0 (sufficientemente grande) tale che n > N implica |xn − ℓ| < ε. Analogamente diremo che la successione {xn } ha limite +∞ (o −∞) se per ogni M > 0 (arbitrariamente grande) esiste N > 0 (sufficientemente grande) tale che n > N implica xn > M (rispettivamente, xn < −M). Siccome la definizione di limite di una successione è identica a quella di limite di una funzione, tutte le proprietà dei limiti che abbiamo visto nel Paragrafo 5.7 valgono anche per i limiti delle successioni; ne riparleremo più in dettaglio nel Paragrafo 6.6.
Bestiario, II: funzioni trascendenti 219
Osservazione 6.1 Nell’Esempio 6.2 abbiamo supposto r > 0. In realtà, il limite (6.1) vale anche per r = 0 (ovvio: 1n = 1 = e0 quale che sia n ∈ ℕ) e per r < 0 (vedi la Curiosità 6.1); quindi vale per ogni r ∈ ℝ.
In realtà, il limite in (6.1) può essere visto come il limite di una funzione: infatti (vedi la Curiosità 6.2) si ha (nota che stiamo calcolando una foma indeterminata del tipo 1+∞ ): r t lim (1 + ) = er t→+∞ t
(6.2)
per ogni r ∈ ℝ. Cambiando il segno a r e ponendo s = −t troviamo anche il limite per t che tende a −∞: r t −r t lim (1 + ) = lim (1 + ) t→−∞ t→−∞ t −t = lim [1 / (1 + s→+∞
−r s 1 ) ] = −r = er . s e
Ora, t tende a ±∞ se e solo se x = 1/t tende a 0± ; quindi (6.2) si può scrivere anche come lim (1 + rx)1/x = er
x→0
per ogni r ∈ ℝ. Osservazione 6.2 In particolare, prendendo r = 1 vediamo che (1 + x)1/x è molto vicino a e se x è sufficientemente piccolo; o, in altre parole, ex è molto vicino a 1 + x se x è sufficientemente piccolo. Ne riparleremo nel Paragrafo 7.6.
Lasciamo gli ambienti bancari e vediamo un altro esempio. Decadimento radioattivo. Un atomo radioattivo, quando decade, libera particelle alfa, che possono indurre il decadimento di altri atomi. Quindi più atomi ci sono, più atomi decadono; il numero di atomi che decadono nell’unità di tempo è proporzionale al numero di atomi radioattivi presenti. Se indichiamo con N(t) il numero di atomi radioattivi presenti al tempo t in un campione di isotopo radioattivo, esiste quindi una costante λ > 0, detta costante di decadimento, tale che ΔN = N(t1 ) − N(t0 ) = −λ(t1 − t0 )N(t0 ) = −λΔt N(t0 ) , o anche
ΔN = −λN , Δt almeno per Δt piccolo (e il segno meno è dovuto al fatto che il numero di atomi radioattivi diminuisce col passare del tempo). Vediamo come recuperare la forma della funzione N. Supponiamo che il nostro campione contenga N0 atomi radioattivi al tempo t0 = 0. Allora al tempo t1 (piccolo) ne conterrà N(t1 ) = N0 − λt1 N0 = (1 − λt1 )N0 . Analogamente, al tempo 2t1 ne conterrà N(2t1 ) = (1 − λt1 )N(t1 ) = (1 − λt1 )2 N0 ;
Esempio 6.3
220 Capitolo 6 in generale per ogni k ∈ ℕ si ha: N(kt1 ) = (1 − λt1 )k N0 . Ponendo t = kt1 questa formula diventa: N(t) = (1 −
λt k ) N0 . k
Ora, questa formula vale solo per t multiplo di t1 . Inoltre, di fatto abbiamo supposto che tutti i decadimenti avvengano solo agli istanti multipli di t1 ; in realtà, avvengono in continuazione. Quindi per calcolare N(t) per t > 0 fissato ma qualsiasi (per modellizzare meglio il fenomeno reale) dobbiamo rendere t1 arbitrariamente piccolo, facendolo tendere a 0+ . Siccome k = t/t1 , far tendere t1 a 0 equivale a far tendere k a +∞, per cui otteniamo il risultato cercato: N(t) = lim (1 − k→+∞
λt k ) N0 = e−λt N0 . k
Questa è la formula del decadimento esponenziale di costante λ. A volte, per descrivere il decadimento radioattivo di un dato isotopo, invece della costante λ s’usa il tempo di dimezzamento (o emivita) t1/2 , definito come il tempo necessario perché il numero di atomi radioattivi si dimezzi. In altre parole, t1/2 deve soddisfare la seguente condizione: 1 e−λt1/2 = . 2 Nell’Esempio 6.7 vedremo come calcolare t1/2 partendo da λ.
Funzione esponenziale
Siamo ora pronti per definire cos’è una funzione esponenziale: è una funzione f ∶ ℝ → ℝ della forma f (x) = apx ,
Base
per opportuni p > 0 (detto base della funzione esponenziale) e a ≠ 0. Osservazione 6.3 Se p = 1 abbiamo f (x) = a per ogni x ∈ ℝ, cioè ogni funzione esponenziale di base 1 è costante. Per questo motivo la base 1 non s’usa mai.
Le proprietà delle potenze ci dicono che x
1 ap−x = a ( ) p
e
apcx = a(pc )x ;
quindi ogni funzione della forma f (x) = apcx con p > 0 e a, c ≠ 0 si può scrivere come funzione esponenziale, a patto di scegliere opportunamente la base. La funzione esponenziale per antonomasia è quella di base e e con coefficiente 1. È talmente importante da avere meritato un simbolo specifico: exp(x) = ex . Nel Capitolo 7 vedremo perché questa funzione esponenziale è particolarmente amata dai matematici; ma prima (nel Paragrafo 6.3) mostreremo che ogni funzione esponenziale può essere scritta nella forma f (x) = a exp(cx) per opportuni a, c ≠ 0; vedi la formula (6.5).
Bestiario, II: funzioni trascendenti 221
Osservazione 6.4 Attento a non confondere le funzioni esponenziali con le funzioni potenza. Nelle funzioni esponenziali, la base è fissata e la variabile è a esponente; nelle funzioni potenza è l’esponente a essere fissato, mentre la variabile è la base.
Vogliamo ora studiare le funzioni esponenziali seguendo lo schema visto nel capitolo precedente. Prima di tutto, la generica funzione esponenziale dipende da due parametri (p e a); quindi ci aspettiamo che per determinarla bastino due punti del suo grafico. Infatti, se f (x) = apx e x0 , x1 ∈ ℝ, abbiamo f (x1 ) = apx1 = apx0 ⋅ px1 −x0 = px1 −x0 f (x0 ) ; quindi se (x0 , y0 ) e (x1 , y1 ) sono due punti con ascisse distinte del grafico di f , cioè y0 = f (x0 ) e y1 = f (x1 ) con x0 ≠ x1 , otteniamo: y p = ( 1) y0
1/(x1 −x0 )
x
1/(x1 −x0 )
y y1 e a = x0 = ( 0x0 ) p0 y1
.
Un altro modo per trovare a è notare che a = f (0). Ricaviamo ora le caratteristiche del grafico di f (x) = apx . Prima di tutto, una funzione esponenziale non s’annulla mai. Più precisamente, apx > 0 per ogni x ∈ ℝ se a > 0, mentre apx < 0 per ogni x ∈ ℝ se a < 0. Poi, un numero maggiore di 1 diventa sempre più grande se viene elevato a esponenti più grandi, cioè x0 < x1 implica px0 < px1 . Invece, un numero positivo minore di 1 diventa sempre più piccolo se elevato a esponenti più grandi; infatti, se 0 < p < 1 allora 1/p > 1, per cui x0 < x1 implica 1/px0 = (1/p)x0 < (1/p)x1 = 1/px1 , e quindi px0 > px1 . Tenendo presente anche il segno di a otteniamo le seguenti informazioni sulla monotonia delle funzioni esponenziali: se f (x) = apx allora f è strettamente crescente se a > 0 e p > 1 oppure se a < 0 e 0 < p < 1; è strettamente decrescente se a > 0 e 0 < p < 1 oppure se a < 0 e p > 1. In particolare, se p > 1 allora px > 1 per x > 0 e px < 1 per x < 0. Nell’Esempio 6.2 abbiamo visto che la successione (1 + x/n)n tende crescendo a ex quando x > 0; in particolare, prendendo n = 1 otteniamo ex > 1 + x per ogni x > 0. In particolare, siccome 1 + x, tende a +∞ per x che tende a +∞, anche ex , essendo più grande, non può fare diversamente: lim ex = +∞ .
x→+∞
222 Capitolo 6
Ponendo y = −x (in modo che x → −∞ se e solo se y → +∞) e ricordando che e−x = 1/ex , otteniamo 1 1 = , ey lim ey
lim ex = lim e−y = lim
x→−∞
y→+∞
y→+∞
y→+∞
per cui: lim ex = 0 .
x→−∞
Come detto a pagina 220 e come dimostreremo nel Paragrafo 6.3, ogni funzione esponenziale si può scrivere nella forma a exp(cx), con c > 0 se la base è maggiore di 1 e c < 0 se la base è minore di 1. Quindi tenendo presente il segno di a otteniamo:
lim
x→+∞
apx
⎧+∞ { = −∞ ⎨ {0 ⎩
se a > 0 e p > 1 se a < 0 e p > 1 se 0 < p < 1 ;
e lim
x→−∞
apx
⎧0 se p > 1 { = +∞ se a > 0 e 0 < p < 1 ⎨ {−∞ se a < 0 e 0 < p < 1 . ⎩
In particolare, se a > 0 la funzione f (x) = apx può assumere sia valori arbitrariamente grandi sia valori arbitrariamente piccoli positivi, mentre se a < 0 può assumere sia valori arbitrariamente negativi sia valori arbitrariamente piccoli negativi e per passare dagli uni agli altri deve assumere anche tutti i valori intermedi (per il Teorema dei valori intermedi, in quanto le funzioni esponenziali sono continue; vedi la Curiosità 6.5). Quindi: l’immagine di f (x) = apx è tutto ℝ+ se a > 0, o tutto ℝ− se a < 0. La Figura 6.1 contiene il grafico di un paio di funzioni esponenziali, in cui sono evidenti tutte le caratteristiche di cui abbiamo parlato. Figura 6.1 (a) f (x) = ex (b) f (x) = 2−x = (1/2)x
10
10
9
y = ex
8
–3 –2 –1
9
y = 2–x
8
7
7
6
6
5
5
4
4
3
3
2 1
2 1 1
(a)
2
3
–3 –2 –1
(b)
1
2
3
Bestiario, II: funzioni trascendenti 223
Osservazione 6.5 Come abbiamo visto nell’Osservazione 5.6, una funzione strettamente monotona è sempre iniettiva. Quindi una funzione esponenziale f (x) = apx è una funzione bigettiva dal suo dominio ℝ alla sua immagine ℝ+ (o ℝ− a seconda del segno di a); in particolare, è una funzione invertibile. Come vedrai, questo fatto sarà essenziale nel Paragrafo 6.3.
Curiosità 6.1
L’esponenziale come limite, parte prima
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Curiosità 6.2
L’esponenziale come limite, parte seconda
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6.2 Funzioni logistiche Le funzioni esponenziali possono essere usate per costruire altre funzioni con comportamenti interessanti. I neuroni comunicano gli uni con gli altri scambiando cariche elettriche. La carica elettrica si accumula su un dato neurone fino a quando il potenziale raggiunge una certa soglia (dipendente dalle condizioni fisico-chimiche del neurone, dei neuroni a cui è collegato e delle altre cellule circostanti); superata la soglia, si scarica su un altro neurone. Sperimentalmente si è trovato che prima della scarica il potenziale elettrico V (t) (misurato in milliVolt) accumulato da un neurone al tempo t segue un andamento della forma
Esempio 6.4
V (t) = V0 (1 − e−kt ) , per opportuni k, V0 > 0, dove l’origine dei tempi è fissata a un istante in cui il neurone è completamente scarico, cioè V (0) = 0. Vogliamo tracciare il grafico di V (t) e capire il significato di V0 . La funzione V (t) è ottenuta a partire da una funzione esponenziale di base e−k con una serie di operazioni; seguiamole e vediamo cosa succede al grafico. Siccome k > 0, la base e−k è minore di 1, per cui la funzione esponenziale f1 (t) = e−kt è positiva, strettamente decrescente, con limite +∞ per t che tende a −∞ e con limite 0 per t che tende a +∞; vedi la Figura 6.2(a). La funzione f2 (t) = −e−kt è ottenuta da f1 moltiplicando per −1, per cui il grafico di f2 è il simmetrico rispetto all’asse delle ascisse del grafico di f1 . Quindi f2 è negativa, strettamente crescente, con limite −∞ per t che tende a −∞ e con limite 0 per t che tende a +∞; vedi la Figura 6.2(b). 1.5
1.5
1
1
f 1 ( t) = e{2
0.5 –1
1
2
3
t
0.5 –1
1
–0.5
–0.5
–1
–1
(a)
–1
2.5
2
2
1.5
1.5
1
1
f 3 ( t) = 1{ e{2 1
(c)
2
f 2 ( t) = {
3
e{2 t
(b)
2.5
0.5
Figura 6.2 V (t) = 2(1 − e−2t )
2
t
V( t) = 2(1 { e{2 t )
0.5 3
–1
1
(d)
2
3
224 Capitolo 6 La funzione f3 (t) = 1 − e−kt è ottenuta da f2 sommando 1, operazione che abbiamo visto corrispondere a traslare verso l’alto di 1 unità il grafico di f2 . In particolare, f3 (t) < 0 se e solo se f2 (t) < −1 se e solo se f1 (t) > 1 e quindi se e solo se t < 0 (in quanto f1 (0) = 1 e f1 è strettamente decrescente). Quindi f3 è negativa sulla semiretta (−∞, 0), s’annulla in 0, è positiva sulla semiretta (0, +∞), è strettamente crescente, ha limite −∞ per t che tende a −∞ e ha limite 1 per t che tende a +∞; vedi la Figura 6.2(c). Infine, V (t) = V0 f3 (t) è ottenuta da f3 moltiplicando la funzione per V0 . Di conseguenza, V è negativa sulla semiretta (−∞, 0), s’annulla in 0, è positiva sulla semiretta (0, +∞), è strettamente crescente, ha limite −∞ per t che tende a −∞ e ha limite V0 per t che tende a +∞; vedi la Figura 6.2(d). In particolare, il potenziale accumulato dal neurone (in assenza di scariche) aumenta col tempo tendendo ad appiattirsi verso il valore limite V0 , che rappresenta quindi il potenziale massimo che può accumularsi sul neurone lasciato evolvere per conto suo senza influenze esterne.
Le funzioni f ∶ ℝ → ℝ della forma f (x) = a (1 − e−k(x−x0 ) ) + b
Saturazione
Saturazione inversa
(6.3)
con a, k > 0 e x0 , b ∈ ℝ sono utili ogni qualvolta si voglia rappresentare una quantità che assume un valore specificato b in un punto specificato x0 , inizia a crescere per x > x0 , poi (per l’intervento di fenomeni usualmente detti di saturazione) tende ad appiattirsi verso il valore limite a + b. Le funzioni della forma (6.3) sono di solito usate solo per studiare un fenomeno che presenta saturazione, seguendone lo sviluppo a partire da un punto preciso x0 con un valore preciso f (x0 ) = b e proseguendo con x > x0 . In alcune situazioni, invece, non abbiamo un punto di partenza preciso inviduato a priori; sappiamo solo che la quantità f (x) che vogliamo studiare può variare da un valore limite minimo a− a un valore limite massimo a+ , con fenomeni di saturazione per x grande e di saturazione inversa (cioè partenza piatta da un valore limite) per x molto negativo. Le funzioni esponenziali sono utili anche per riprodurre questi comportamenti; vediamo come. Dati a− < a+ , vogliamo trovare una funzione f ∶ ℝ → ℝ strettamente crescente e tale che lim f (x) = a− ,
x→−∞
lim f (x) = a+ .
x→+∞
Prima di tutto, traslando verticalmente di a− il grafico vediamo che basta trovare una funzione f1 ∶ ℝ → ℝ strettamente crescente tale che lim f (x) x→−∞ 1
=0,
lim f (x) x→+∞ 1
=a>0,
dove a = a+ − a− ; infatti, se f1 soddisfa queste condizioni, allora f = f1 + a− è come voluto. Poi, ponendo f1 (x) = af2 (x) vediamo che basta trovare una funzione f2 strettamente crescente tale che lim f (x) x→−∞ 2
=0,
lim f (x) x→+∞ 2
=1.
Dovendo essere strettamente crescente, f2 è (sai dire perché?) sempre positiva; quindi la funzione f3 (x) = 1/f2 (x) è sempre positiva, strettamente decrescente ed è tale che: lim f (x) x→−∞ 3
= +∞ ,
lim f (x) x→+∞ 3
=1.
Bestiario, II: funzioni trascendenti 225
Allora la funzione f4 (x) = f3 (x) − 1 è anch’essa positiva, strettamente decrescente e soddisfa lim f (x) x→−∞ 4
= +∞ ,
lim f (x) x→+∞ 4
=0.
Ora, noi conosciamo funzioni con questo comportamento; per esempio, f4 (x) = e−k(x−x0 ) , per qualsiasi k > 0 e x0 ∈ ℝ. Risalendo otteniamo quindi: f (x) = f1 (x) + a− = (a+ − a− )f2 (x) + a− = =
a+ − a− + a− f3 (x)
a+ − a− a+ − a− + a− = + a− . 1 + f4 (x) 1 + e−k(x−x0 )
Le funzioni della forma f (x) =
a 1+
+b,
e−k(x−x0 )
con a, k > 0 e x0 , b ∈ ℝ, sono dette funzioni logistiche e hanno esattamente l’andamento cercato: sono strettamente crescenti, hanno come immagine l’intervallo (b, a + b) e lim f (x) = b ,
Funzione logistica
lim f (x) = a + b .
x→−∞
x→+∞
Inoltre,
a , 2 cioè x0 è il punto in cui f assume come valore il punto medio della sua immagine. La Figura 6.3 mostra il grafico di una funzione logistica e il procedimento con cui ci siamo arrivati. f (x0 ) = b +
8
8
6
6
4 2 –6
–4
–2
4
f4(x) = e–(x–1) 2
4
6
–6
–4
–2
–6
–4
–2
2 8
6
6
4
f2(x) = 2
4
f3(x) = 1 + e–(x–1)
2
8
2
Figura 6.3 Costruzione di una funzione logistica
f1(x) =
1 + e–(x–1) –6
–4
–2
2
6 4
4
f(x) = 2 +
2 –2
4 1 + e–(x–1)
2
6
–4
6
4
1
8
–6
4
2
4
6
1 + e–(x–1)
4
6
226 Capitolo 6
Esempio 6.5
Proviamo a usare funzioni logistiche per studiare la dipendenza dalla temperatura T della percentuale P(T) di germinazione dei semi di pomodoro già trattati negli Esempi 5.1, 5.10, 5.11 e nell’Esercizio 11.18. Siamo in effetti proprio in una situazione che sembra fatta apposta per questo tipo d’approccio: abbiamo due valori limite, uno superiore (100) e uno inferiore (0); è molto ragionevole assumere che la percentuale P(T) cresca con la temperatura ed è plausibile ritenere che ci siano fenomeni di saturazione e di saturazione inversa. Siccome il limite superiore è b = 0 e il limite inferiore è a + b = 100, vogliamo usare una funzione del tipo P(T ) =
100 . 1 + e−k(T −T0 )
Dobbiamo determinare k e T0 . Nel Paragrafo 11.4 vedremo dei metodi per farlo al meglio; ma possiamo ottenere dei buoni risultati anche procedendo un po’ a occhio. Prima di tutto, siccome il punto medio dell’intervallo (0, 100) è 50, il punto T0 dev’essere scelto in modo tale che P(T0 ) = 50. Le misure sperimentali (vedi l’Esempio 5.11) danno P(12) = 40 e P(15) = 70; quindi dobbiamo avere 12 < T0 < 15. L’interpolazione lineare ottenuta nell’Esempio 5.1 fornisce una percentuale del 50% alla temperatura di 13 ∘ C; quindi una possibile stima per T0 è T0 = 13. Rimane da trovare k o, equivalentemente, e−k ; infatti, ponendo p = e−k possiamo riscrivere P nella forma 100 P(T ) = . 1 + pT −13 Siccome conosciamo P(12) = 40 e 12 − 13 = −1, viene naturale imporre la condizione 40 = P(12) =
100 1 + p−1
⟹
p=
2 ; 3
quindi otteniamo: P(T ) =
100 . 1 + (2/3)T −13
La Figura 6.4 riporta il grafico di questa funzione, dove si vede che non solo fornisce una buona approssimazione dei dati sperimentali ma ha anche un andamento che sembra compatibile con estrapolazioni credibili. Nell’Esempio 11.19 vedremo che metodi più raffinati forniscono come migliore interpolazione la funzione P(T ) =
100 , 1 + (0.702)T −12.94
non molto diversa da quella ottenuta qui a mano. Figura 6.4 Interpolazione logistica
100
(18,85)
80
(15,70) 60
40
20
–5
Gaussiana
(12,40) (9,20) 5
10
15
20
25
Un’altra funzione importante (vedi il Capitolo 12) che si può ottenere usando gli esponenziali è la gaussiana 1 G(x) = √ exp (−x 2 /2) ; 2π
Bestiario, II: funzioni trascendenti 227 Figura 6.5 La gaussiana
0.5 0.3 0.1 –2.5
–2.0
–1.5
–1.0
–0.5
0.5
1.0
1.5
2.0
2.5
puoi trovarne il grafico nella Figura 6.5. Usando le tecniche viste in questo paragrafo non dovrebbe esserti difficile dimostrare (Esercizio 6.18) che G è sempre positiva, strettamente crescente in (−∞, 0], strettamente decrescente in [0, +∞), ha un punto di massimo in x = 0 e ha limite 0 per x che tende a ±∞. Le Curiosità 6.3 e 6.4 descrivono altre funzioni interessanti costruibili a partire dalle funzioni esponenziali. web site
Curiosità 6.3
Funzioni iperboliche
Curiosità 6.4
Una funzione infinitamente piatta
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6.3 Funzioni logaritmiche Nell’Osservazione 6.5 abbiamo notato che la funzione f (x) = px (con p > 0, p ≠ 1) è invertibile come funzione da ℝ a ℝ+ . La funzione inversa si chiama logaritmo in base p ≠ 1 e s’indica con logp ∶ ℝ+ → ℝ. In particolare, i logaritmi sono definiti solo sui numeri (strettamente) positivi, in quanto la funzione esponenziale px ha valori solo positivi. Essendo la funzione inversa della funzione px , il logaritmo in base p soddisfa le identità seguenti: logp (px ) = x
logp x
e p
=x.
In particolare, da p0 = 1 e p1 = p ricaviamo: logp 1 = 0 e
logp p = 1 .
Siccome il grafico dell’inversa di una funzione f s’ottiene scambiando ascisse e ordinate, cioè prendendo il simmetrico del grafico di f rispetto alla retta y = x, dalle proprietà delle funzioni esponenziali deduciamo le seguenti proprietà delle funzioni logaritmiche: – se p > 1, allora logp è strettamente crescente, negativa in (0, 1), positiva in (1, +∞) e lim logp x = +∞ ,
x→+∞
lim logp x = −∞ ;
x→0+
Logaritmo
228 Capitolo 6
– se invece 0 < p < 1, allora logp è strettamente decrescente, positiva in (0, 1), negativa in (1, +∞) e lim logp x = −∞ ,
x→+∞
lim logp x = +∞ .
x→0+
Infine, le funzioni logaritmiche sono continue, in quanto inverse delle funzioni esponenziali che sono continue (vedi la Curiosità 6.5). La Figura 6.6 contiene dei grafici di logp x per p > 1 e per 0 < p < 1. Le funzioni logaritmo godono di una proprietà estremamente importante. Applicando logp all’identità px py = px+y otteniamo: logp (px py ) = x + y . Ora, se poniamo a = px e b = py , ricaviamo x = logp a e y = logp b, per cui logp (a ⋅ b) = logp a + logp b ; Logaritmo del prodotto
il logaritmo del prodotto è uguale alla somma dei logaritmi. In particolare, se a = b, otteniamo logp (a2 ) = 2 logp a; con b = a2 otteniamo logp (a3 ) = 3 logp a e, più in generale, logp (an ) = n logp a per ogni a > 0 e n ∈ ℕ. Inoltre 1 1 0 = logp 1 = logp (a ⋅ ) = logp a + logp , a a per cui logp
1 = − logp a a
per ogni a > 0. Infine, da a/b = a ⋅ (1/b) ricaviamo logp
a = logp a − logp b b
per ogni a, b > 0. Figura 6.6 (a) f (x) = loge x (b) f (x) = log1/2 x
4 3 2 1 –1 –2 –3 –4
y = loge x
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
(a)
4 3 2 1 –1 –2 –3 –4
y = log1/2 x
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
(b)
Bestiario, II: funzioni trascendenti 229
Adesso siamo in grado di mostrare che ogni funzione esponenziale può essere scritta nella forma a exp(cx) per opportuni a, c ∈ ℝ, come anticipato a pagina log q 220. Dati p, q > 0, per definizione di logaritmo abbiamo q = p p ; quindi qx = p
(logp q)x
(6.4)
per ogni x ∈ ℝ e p, q > 0. In particolare, prendendo p = e otteniamo aqx = a exp((loge q)x) ,
(6.5)
come promesso. Inoltre, applicando logp a entrambi i membri di (6.4) otteniamo logp (qx ) = x logp q per ogni x ∈ ℝ e p, q > 0. La formula (6.4) ci permette anche di trovare come cambia il logaritmo cambiando base. Infatti, mettendo logp x/ logp q al posto di x in (6.4) otteniamo q
logp x/ logp q
logp x
=p
=x
e applicando logq a entrambi i membri deduciamo l’importante formula logq x =
logp x logp q
.
(6.6)
In particolare, ponendo x = p ricaviamo: logq p =
1 . logp q
Inoltre, prendendo q = 1/p in (6.6) e ricordando che logp (1/p) = −1, otteniamo: log1/p x = − logp x . Quindi, a meno di un cambiamento di segno, possiamo limitarci a lavorare con logaritmi la cui base sia maggiore di 1. La formula (6.6) ci dice che tutti i logaritmi sono multipli della stessa funzione; quindi non è strettamente necessario usare logaritmi in base qualsiasi ma è sufficiente fissare una base e lavorare solo con quella. La base più comune in ambito matematico (per motivi che vedrai nel Capitolo 7) è il numero di Nepero e; il logaritmo in base e è detto logaritmo naturale e viene indicato con log (con la base sottintesa) o con ln. In ambito applicativo (per motivi che vedrai nell’Osservazione 6.6) la base più comune è invece 10. Il logaritmo in base 10 è talvolta detto logaritmo decimale, e s’indica con Log o con log quando non si corre il rischio di confonderlo con il logaritmo naturale. Infine, in ambito informatico talvolta s’usa anche il logaritmo in base 2, indicato (senza molta fantasia) con log2 .
Logaritmo naturale
Logaritmo decimale
230 Capitolo 6
Osservazione 6.6 Il logaritmo decimale di un numero positivo è strettamente legato alla sua rappresentazione decimale. Per esempio, n ≤ Log x < n + 1
Mantissa e caratteristica
se e solo se
10n ≤ x < 10n+1 ,
per cui la parte intera di Log x è il numero di cifre (prima della virgola) nella rappresentazione decimale di x. Inoltre, Log funziona bene in combinazione con la notazione scientifica. Infatti, se scriviamo x = a⋅10b con 1 ≤ a < 10 e b ∈ ℕ, allora Log x = b+Log a, con 0 ≤ Log a < 1. Si dice che Log a è la mantissa di Log x, mentre b è la caratteristica di Log x.
Nell’Osservazione 6.2 abbiamo visto che ex è molto vicino a 1 + x quando |x| è piccolo. Da questo segue che log(1 + x) è molto vicino a x quando |x| è piccolo; scriveremo: log(1 + x) ≈ x
per x ≈ 0 .
(6.7)
Questa formula è uno dei motivi per cui log è chiamato “logaritmo naturale”; la formula analoga per logaritmi in altre basi è meno elegante. Infatti, la (6.6) implica x logp (1 + x) ≈ per x ≈ 0 , loge p formula decisamente più brutta della (6.7). In queste formule la definizione del simbolo ≈ è la seguente: f (x) ≈ g(x) per x ≈ x0 (dove x0 può essere un numero reale oppure ±∞) se lim
x→x0
Ordine di funzioni
f (x) =1. g(x)
Se questo accade, si dice che f e g hanno lo stesso ordine in x0 . Osservazione 6.7 Un problema che non affronteremo ma che è importante menzionare è come si calcolano in pratica i logaritmi. Esistono degli algoritmi che permettono di approssimare il logaritmo di un numero dato con la precisione voluta usando solo le quattro operazioni; calcolatori e calcolatrici usano questi algoritmi per calcolare i logaritmi. Tieni comunque presente che i logaritmi forniti dai calcolatori sono approssimazioni e in alcuni casi è importante poter controllarne la precisione.
Vediamo ora delle applicazioni dei logaritmi, cominciando con alcune questioni lasciate in sospeso nei paragrafi precedenti. Esempio 6.6
Come anticipato nel Paragrafo 5.5, il grafico di una funzione potenza f (x) = ax p è completamente determinato dal passaggio per due punti (x0 , y0 ) e (x1 , y1 ), con x0 ≠ x1 e x1 /x0 , y1 /y0 > 0. Infatti, da f (xj ) = yj per j = 0, 1 otteniamo (x1 /x0 )p = y1 /y0 , e quindi: p=
log(y1 /y0 ) log(x1 /x0 )
e
a=
y0 p . x0
Bestiario, II: funzioni trascendenti 231 Nell’Esempio 6.3 abbiamo visto che la costante di decadimento λ e il tempo di dimezzamento t1/2 di un materiale radioattivo sono legati dalla formula e−λt1/2 =
Esempio 6.7
1 . 2
Calcolando il logaritmo naturale di entrambi i membri otteniamo −λt1/2 = log
1 = − log 2 , 2
per cui il tempo di dimezzamento s’ottiene a partire dalla costante di decadimento con la formula log 2 t1/2 = . λ In particolare, e−λt = e−(log 2)t/t1/2 = 2−t/t1/2 , per cui la formula per il numero N(t) di atomi radioattivi presenti al tempo t diventa: N(t) = N0 2−t/t1/2 .
Si è verificato sperimentalmente in numerose situazioni che le variazioni percepite nell’intensità di uno stimolo non sono proporzionali alla variazione assoluta dell’intensità. Per esempio, mentre percepiamo bene la differenza di peso fra 10 g e 20 g, abbiamo difficoltà a percepire la differenza di peso fra 1000 g e 1010 g, anche se la variazione assoluta di peso è la stessa. Aumentare la dose di un farmaco da 5 mg a 10 mg potrebbe causare una risposta significativamente diversa; aumentarla da 1000 mg a 1005 mg probabilmente no. La frequenza della nota musicale “La” centrale è 440 Hz, quella del “La” un’ottava sopra è 880 Hz e quella del “La” due ottave sopra è 1760 Hz: l’aumento assoluto di frequenza necessario per passare da un’ottava percepita alla successiva non è costante, ma raddoppia. La variazione percepita dell’intensità di uno stimolo dipende spesso dalla variazione relativa dello stimolo, cioè al rapporto fra la variazione assoluta dello stimolo e lo stimolo stesso; per esempio, nel caso delle note musicali un aumento di un’ottava corrisponde a una variazione relativa pari a 1 (verificalo con i dati precedenti). Questa situazione è descritta dalla legge di Weber: la variazione assoluta dell’intensità percepita è proporzionale alla variazione relativa dello stimolo. In simboli, se indichiamo con P l’intensità percepita, con s lo stimolo e con ΔP e Δs le relative variazioni assolute, per cui la variazione relativa dello stimolo è Δs , abbiamo la formula s ΔP = λ
Δs . s
(6.8)
Nell’Osservazione 7.9 vedremo che questo implica che P deve dipendere dal logaritmo di s e più precisamente che si deve avere P(s) = λ log(s/s0 ) ,
(6.9)
dove s0 rappresenta la soglia della percezione: infatti, la formula (6.9) dice (sai dire perché?) che si percepisce un segnale solo se lo stimolo s ha un’intensità almeno pari a s0 . Diamo un’idea di come mai la funzione (6.9) può soddisfare la (6.8), almeno per variazioni relative Δs/s piccole. Infatti, se P è data da (6.9), otteniamo ΔP = P(s + Δs) − P(s) = λ log = λ log (1 +
s + Δs s s + Δs − λ log = λ log s0 s0 s
Δs Δs )≈λ s s
per Δs/s ≈ 0, grazie alla (6.7). Un tipico caso di applicazione della legge di Weber consiste nella misura dell’intensità percepita dei suoni. L’intensità assoluta dei suoni è una potenza per unità d’area, quindi è misurata in W/m2 . La soglia della percezione uditiva per un suono di frequenza 1000 Hz è I0 = 10−12 W/m2 : l’orecchio umano di solito non è in grado di sentire suoni d’intensità
Esempio 6.8
Legge di Weber
232 Capitolo 6 inferiore a quella frequenza. Allora l’intensità percepita P(I) di un suono d’intensità assoluta I è misurata in decibel, abbreviati in dB, con la formula I P(I) = 10 Log ( ) dB . I0
(6.10)
Vediamo ora un esempio di applicazione di queste formule. Una centrifuga di laboratorio causa un rumore di 64 dB a una distanza di 1 m. Qual è l’intensità I assoluta del suono? Se le centrifughe sono due, come cambia il valore in decibel del suono? Se ricopriamo entrambe le centrifughe con un isolante acustico che a 1 m di distanza riduce il suono di 45 dB, a quanto abbiamo ridotto l’intensità assoluta del suono? La (6.10) ci dice che per rispondere alla prima domanda dobbiamo risolvere l’equazione I 10 Log ( ) = 64 . I0 Dividendo per 10, applicando la funzione esponenziale 10x a entrambi i membri e ricordando che I0 = 10−12 W/m2 , otteniamo: I = 106.4 I0 = 106.4−12 = 10−5.6 ≃ 2.5 ⋅ 10−6 W/m2 . Avere due centrifughe equivale a raddoppiare l’intensità assoluta del suono emesso. Siccome 10 Log (
2I I ) = 10 Log 2 + 10 Log ( ) , I0 I0
raddoppiando l’intensità il rumore in decibel aumenta di 10 Log 2 ≃ 3.01 dB, per cui il rumore totale è circa 64 + 3.01 = 67.01 dB . L’isolante acustico riduce il rumore di 45 dB, portandolo a 67.01 − 45 = 22.01 dB. Quindi l’intesità assoluta Irid del suono ridotto deve soddisfare l’equazione 10 Log ( e quindi vale
Curiosità 6.5
Curiosità 6.6
Irid ) = 22.01 I0
Irid = 102.201 I0 = 10−9.779 ≃ 1.589 ⋅ 10−10 W/m2 .
Continuità delle funzioni esponenziali e logaritmiche Potenze irrazionali
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6.4 Funzioni trigonometriche
Funzione periodica Periodo
Le funzioni che abbiamo visto finora sono decisamente utili e hanno una vasta gamma di applicazioni ma non sono adatte a rappresentare un tipo di fenomeni piuttosto comune in natura: i fenomeni periodici. Un fenomeno è periodico se si ripete uguale a intervalli prestabiliti di tempo. Analogamente, una funzione f ∶ ℝ → ℝ è periodica di periodo P > 0 se f (x + P) = f (x) per ogni x ∈ ℝ. In altre parole, una funzione f è periodica di periodo P se il suo grafico non cambia traslandolo orizzontalmente (a destra o a sinistra) di P unità; in altre parole ancora, l’intero grafico s’ottiene giustapponendo una di
Bestiario, II: funzioni trascendenti 233 P
P
P
P
fianco all’altra copie del grafico di f ristretta a un qualsiasi intervallo chiuso di lunghezza P (vedi la Figura 6.7). Nessuna delle funzioni che abbiamo visto finora era periodica (a parte le costanti). Scopo di questo paragrafo è introdurre le funzioni periodiche di base; nel Paragrafo 6.5 vedremo come usarle per costruirne delle altre. Nella matematica elementare esistono degli oggetti che presentano una natura periodica: gli angoli. Un angolo di 90∘ e un angolo di 90 + 360 = 450∘ sono in realtà lo stesso angolo: aggiungendo o togliendo 360∘ da un angolo la sua ampiezza non muta. Il nostro obiettivo sarà usare questa periodicità naturale per costruire funzioni periodiche a valori reali. Abbiamo appena parlato di angoli misurandoli in gradi ma il grado non è l’unità di misura migliore per gli angoli. Il principale problema è che si tratta di un’unità di misura arbitraria, del tutto slegata dall’unità di misura delle lunghezze e quindi priva di significato geometrico. Un’unità di misura molto più naturale e strettamente legata all’unità di misura delle lunghezze è invece il radiante (abbreviato, se necessario, con “rad”). Per definizione, l’angolo di 1 radiante è l’angolo che sottende un arco di lunghezza 1 in una circonferenza di raggio 1. Di conseguenza, la misura in radianti di un angolo coincide con la lunghezza dell’arco sotteso in una circonferenza di raggio unitario. Per esempio, l’angolo giro (360∘ ) sottende l’intera circonferenza, che è lunga 2π; quindi l’angolo giro misura 2π radianti. L’angolo piatto (180∘ ) sottende mezza circonferenza, che è lunga π; quindi l’angolo piatto misura π radianti. Analogamente, l’angolo retto (90∘ ) sottende un quarto di circonferenza, per cui misura π/2 radianti. In generale, un angolo di d ∘ sottende d/360 di circonferenza, per cui misura 2πd/360 radianti: d∘ =
d π rad . 180
In particolare, la misura in radianti di alcuni angoli comuni (vedi la Figura 6.8) è 1∘ =
Figura 6.7 Una funzione periodica
π π π π π rad , 30∘ = rad , 45∘ = rad , 60∘ = rad , 90∘ = rad . 180 6 4 3 2
Viceversa, avendo la misura in radianti si recupera la misura in gradi moltiplicando per 180/π: r rad = (
180r ∘ ) . π
Radiante
234 Capitolo 6 Figura 6.8 Angoli notevoli
π/3
π/4
π/6
π π/2
3π/2
–π/2 –π
In particolare, 1 rad = (
180 ∘ ) ≃ 57.29∘ , π
dove 57.29∘ significa “57 gradi e 29 centesimi di grado”; nella pratica scientifica i minuti e i secondi di grado non s’usano mai. Gli angoli hanno un verso: possiamo percorrerli in senso orario oppure in senso antiorario. Di conseguenza, la misura degli angoli ha un segno: esistono angoli positivi e angoli negativi. Per convenzione, si considera positivo un angolo percorso in senso antiorario, negativo un angolo percorso in senso orario. Per esempio, l’angolo dalla semiretta positiva delle ascisse alla semiretta positiva delle ordinate è +π/2 (in radianti) mentre l’angolo dalla semiretta positiva delle ascisse alla semiretta negativa delle ordinate è −π/2. La misura degli angoli contiene una periodicità intrinseca. Siccome ruotare di un angolo giro (360∘ ovvero 2π radianti) ci riporta al punto di partenza, un angolo di r radianti (o d ∘ ) e un angolo di r +2π radianti (o (d +360)∘ ) identificano la stessa semiretta uscente dall’origine; vedi la Figura 6.9(a). Analogamente, un angolo di r radianti (o d ∘ ) e un angolo di r − 2π radianti (o (d − 360)∘ ) identificano la stessa semiretta uscente dall’origine; vedi la Figura 6.9(b). In generale, un angolo di r radianti (o d ∘ ) e un angolo di r + 2kπ radianti (o (d + 360k)∘ ) identificano la stessa semiretta uscente dall’origine quale che sia k ∈ ℤ. In questo senso, la misura degli angoli è periodica di periodo 2π radianti (o 360∘ ). Vogliamo sfruttare la periodicità degli angoli per definire le due principali funzioni periodiche. Sia C ⊂ ℝ2 la circonferenza nel piano cartesiano di centro l’origine e raggio unitario. Per ogni ϕ ∈ ℝ l’angolo di ϕ radianti (misurato a partire dalla semiretta positiva delle ascisse) identifica in modo unico un punFigura 6.9 Periodicità degli angoli
r r + 2π
r r – 2π
(a)
(b)
Bestiario, II: funzioni trascendenti 235 Figura 6.10 Seno e coseno
P(φ)
sin φ
P(φ)
sin φ
φ
φ cos φ
cos φ
φ
φ
cos φ
cos φ φ – 2π
P(φ)
sin φ
sin φ
P(φ)
to P(ϕ) della circonferenza C, ottenuto partendo dal punto (1, 0) e ruotando di ϕ, cioè seguendo la circonferenza per una lunghezza pari a |ϕ|, procedendo in senso antiorario se ϕ ≥ 0 e in senso orario se ϕ ≤ 0. Il coseno cos ϕ Seno e coseno dell’angolo ϕ è allora l’ascissa del punto P(ϕ) mentre il seno1 sin ϕ di ϕ è l’ordinata di P(ϕ); vedi la Figura 6.10. In questo modo abbiamo definito due funzioni cos, sin ∶ ℝ → ℝ chiaramente periodiche di periodo 2π: ∀k ∈ ℤ
cos(ϕ + 2kπ) = cos ϕ
e
sin(ϕ + 2kπ) = sin ϕ .
Siccome l’ascissa e l’ordinata dei punti della circonferenza di centro l’origine e raggio unitario variano fra 1 e −1, lo stesso fanno seno e coseno: −1 ≤ cos ϕ ≤ 1 ,
−1 ≤ sin ϕ ≤ 1 ;
più precisamente, le funzioni seno e coseno hanno come immagine esattamente l’intervallo chiuso [−1, 1]. Seguendone (vedi la Figura 6.10) l’andamento per angoli crescenti, osserviamo che il coseno parte dal valore massimo cos 0 = 1 e poi decresce, annullandosi in ϕ = π/2, fino a raggiungere il valore minimo cos π = −1. A quel punto ricomincia a crescere, annullandosi in ϕ = 3π/2, fino a ritornare al valore massimo cos(2π) = 1. Per ϕ > 2π (o ϕ < 0) la periodicità ci assicura che l’andamento si ripete. Riassumendo: – cos ϕ = 1 nel punto di massimo ϕ = 0 e, più in generale, nei punti di massimo ϕ = 2kπ, con k ∈ ℤ; – cos ϕ = −1 nel punto di minimo ϕ = π e, più in generale, nei punti di minimo ϕ = π + 2kπ, con k ∈ ℤ; 1
In questo testo indicheremo sempre il seno con il simbolo internazionale sin e mai con sen.
236 Capitolo 6 Figura 6.11 f (ϕ) = cos ϕ
y = cos x 1
–2π
–
3π 2
–π
–
π 2
π 2
π
3π 2
2π
–1
– cos ϕ s’annulla in ϕ = π/2, 3π/2 e, più in generale, s’annulla negli angoli ϕ = π/2 + kπ con k ∈ ℤ; – cos ϕ è positivo nell’intervallo (−π/2, π/2) e, più in generale, negli intervalli (2kπ − π/2, 2kπ + π/2) al variare di k ∈ ℤ; – cos ϕ è strettamente decrescente nell’intervallo [0, π] e, più in generale, negli intervalli [2kπ, (2k + 1)π] al variare di k ∈ ℤ; – cos ϕ è strettamente crescente nell’intervallo [π, 2π] e, più in generale, negli intervalli [(2k − 1)π, 2kπ] al variare di k ∈ ℤ. La Figura 6.11 mostra il grafico di cos ϕ. Seguendo invece (vedi sempre la Figura 6.10) il seno per ϕ crescenti, notiamo che parte da sin 0 = 0 e poi cresce, raggiungendo il valore massimo sin(π/2) = 1. A quel punto comincia a decrescere, annullandosi in ϕ = π, fino a raggiungere il valore minimo cos(3π/2) = −1. Poi risale, fino a tornare a sin(2π) = 0. Per ϕ > 2π (o ϕ < 0) la periodicità ci assicura che l’andamento si ripete. Riassumendo: – sin ϕ = 1 nel punto di massimo ϕ = π/2 e, più in generale, nei punti di massimo ϕ = 2kπ + π/2, con k ∈ ℤ; – sin ϕ = −1 nel punto di minimo ϕ = −π/2 e, più in generale, nei punti di minimo ϕ = 2kπ − π/2, con k ∈ ℤ; – sin ϕ s’annulla in ϕ = 0, π e, più in generale, negli angoli ϕ = kπ con k ∈ ℤ; – sin ϕ è positivo nell’intervallo (0, π) e, più in generale, negli intervalli (2kπ, (2k + 1)π) al variare di k ∈ ℤ; – sin ϕ è strettamente crescente nell’intervallo [−π/2, π/2] e, più in generale, negli intervalli [2kπ − π/2, 2kπ + π/2] al variare di k ∈ ℤ; – sin ϕ è strettamente decrescente nell’intervallo [π/2, 3π/2] e, più in generale, negli intervalli [2kπ + π/2, 2kπ + 3π/2] al variare di k ∈ ℤ. La Figura 6.12 mostra il grafico di sin ϕ. Confrontando le Figura 6.11 e 6.12 risulta evidente (e lo verificheremo rigorosamente fra poco) che il grafico di cos ϕ s’ottiene traslando verso sinistra di π/2 il grafico di sin ϕ. Il grafico di sin ϕ è detto sinusoide; qualunque altra curva che s’ottiene da una sinusoide tramite traslazioni o moltiplicazioni Figura 6.12 f (ϕ) = sin ϕ
y = sin x
1
–2π
–
3π 2
–π
–
π 2
–1
π 2
π
3π 2
2π
Bestiario, II: funzioni trascendenti 237 Figura 6.13 f (x) = sin(1/x)
1
y = sin(1/x)
–1.5
–1
–0.5
0.5
1
1.5
–1
di ascisse e/o ordinate si chiama curva sinusoidale ed è il grafico di una funzione sinusoidale. Ne riparleremo nel Paragrafo 6.5.
Funzione sinusoidale
Osservazione 6.8 Seno e coseno ci forniscono esempi di funzioni che non hanno limite per x che tende a +∞ o −∞. Infatti, al crescere di x il valore di sin x e di cos x continua a oscillare fra −1 e 1, senza mai tendere ad alcun limite, finito o infinito; la stessa cosa accade quando x diventa arbitrariamente negativo. Sempre usando seni e coseni è possibile costruire funzioni che non ammettono limite anche per x che tende a un valore x0 ∈ ℝ finito. Per esempio, la funzione f ∶ ℝ → ℝ data da 1 ⎧ se x ≠ 0 {sin x f (x) = ⎨ { se x = 0 , ⎩0 non ammette limite per x che tende a 0, né da sopra né da sotto: infatti, quando x si avvicina a 0 1/x diventa arbitrariamente grande (o arbitrariamente negativo), per cui sin(1/x) oscilla freneticamente fra −1 e 1 senza mai tendere a un valore limite, come si può vedere nella Figura 6.13. La Curiosità 6.7 contiene altri esempi di funzioni curiose ottenute a partire da sin x1 .
Una conseguenza dell’Osservazione 6.8 è che non sempre i limiti esistono. In diversi casi capire se un dato limite esiste o meno e, se esiste, calcolarlo, può essere un’impresa tutt’altro che banale. Un primo esempio di limite di questo genere l’abbiamo incontrato nel Paragrafo 6.1 (vedi anche l’Osservazione 6.1 e la Curiosità 6.1); un altro esempio importante è legato alla funzione seno. Noi sappiamo che sin 0 = 0. Inoltre, sin ϕ è l’ordinata del punto P(ϕ), che s’ottiene partendo da P(0) = (1, 0) e seguendo la circonferenza per una lunghezza ϕ. Ora, per ϕ piccolo l’arco da P(0) a P(ϕ) pare distare sempre meno dalla corda da P(0) a P(ϕ) e quest’ultima tende a confondersi con il segmento verticale di altezza sin ϕ uscente da P(ϕ) (vedi la Figura 6.14).
P(φ) sin φ
φ P(0)
Figura 6.14 Confronto fra angolo, corda e seno
238 Capitolo 6
Quindi sembra plausibile aspettarsi che qualcosa del genere valga: lim
ϕ→0
Relazioni di periodicità
sin ϕ =1, ϕ
(6.11)
cioè sin x ≈ x per x ≈ 0. Ti dev’essere ben chiaro che il discorso precedente non dimostra la validità di (6.11) ma semplicemente la rende plausibile — e quindi spinge a cercare di verificare se è vera o non lo è. La Curiosità 6.10 conterrà una dimostrazione corretta di (6.11); la Curiosità 6.8 contiene invece un esempio in cui un ragionamento di questo genere porta a una conclusione sbagliata. La morale è che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio: quando si tratta di ragionamenti che coinvolgono limiti o, più in generale, quantità che diventano arbitrariamente piccole o arbitrariamente grandi, bisogna procedere con i piedi di piombo e controllare (o far controllare a un matematico) ogni passaggio. Vogliamo ora raccogliere le principali proprietà delle funzioni seno e coseno. Prima di tutto, cambiare di segno a un angolo significa ruotare in senso opposto; quindi i punti P(ϕ) e P(−ϕ) sono simmetrici rispetto all’asse delle ascisse, dunque: cos(−ϕ) = cos ϕ
e
sin(−ϕ) = − sin ϕ .
(6.12)
In altre parole, il coseno è una funzione pari mentre il seno è una funzione dispari. Ruotando di ±180∘ (cioè aggiungendo ±π agli angoli) cambiamo di segno ascisse e ordinate dei punti; quindi: cos(ϕ ± π) = − cos ϕ ,
sin(ϕ ± π) = − sin ϕ .
Ruotando in senso antiorario di 90∘ (cioè aggiungendo π/2 agli angoli) trasformiamo le ascisse in ordinate e le ordinate nelle ascisse cambiate di segno; quindi cos (ϕ +
π ) = − sin ϕ , 2
sin (ϕ +
π ) = cos ϕ , 2
(6.13)
come anticipato a pagina 236. Queste proprietà sono visualizzate nella Figura 6.15. E se ruotiamo in senso orario di π/2 radianti? Cosa succede lo deduciamo subito da quanto già ottenuto: cos (ϕ −
π π π ) = cos [(ϕ + ) − π] = − cos (ϕ + ) , 2 2 2
per cui (vedi l’Esercizio 6.32) cos (ϕ −
π ) = sin ϕ , 2
sin (ϕ −
π ) = − cos ϕ . 2
(6.14)
Bestiario, II: funzioni trascendenti 239 cos φ φ + π2 – cos φ
sin φ φ –φ
sin φ
sin φ φ+π
cos φ
–sin φ
Figura 6.15 Periodicità di seno e coseno
φ cos φ – sin φ
– sin φ
φ cos φ
φ–π
Essendo P(ϕ) un punto della circonferenza di centro l’origine e raggio unitario, la distanza fra P(ϕ) e l’origine è esattamente 1. Scrivendo la distanza dall’origine in coordinate otteniamo la relazione fondamentale che lega seni e coseni: sin2 ϕ + cos2 ϕ = 1 ,
Relazione fondamentale
(6.15)
dove sin2 ϕ è il quadrato di sin ϕ e analogamente cos2 ϕ è il quadrato di cos ϕ. In particolare, otteniamo: sin ϕ = ±√1 − cos2 ϕ ,
cos ϕ = ±√1 − sin2 ϕ .
Attenzione: il segno davanti alle radici quadrate dipende da ϕ, in quanto deve coincidere con il segno di sin ϕ (o di cos ϕ). Osservazione 6.9 La relazione (6.15), assieme a (6.11) e alle proprietà dei limiti, ci permette di calcolare due altri limiti importanti: lim
x→0
1 − cos x 1 − cos2 x 1 = lim ( ⋅ ) x→0 x x 1 + cos x sin2 x 1 ) ⋅ (lim ) x→0 x→0 1 + cos x x sin x 1 = (lim sin x) ⋅ (lim ) ⋅ (lim ) x→0 x→0 x x→0 1 + cos x 1 =0⋅1⋅ =0 2 = (lim
e 1 − cos x 1 − cos2 x 1 = lim ( ⋅ ) 2 x→0 x→0 x x2 1 + cos x lim
sin2 x 1 ) ⋅ (lim ) x→0 x 2 x→0 1 + cos x
= (lim
sin x 2 1 ) ⋅ (lim ) x→0 x x→0 1 + cos x 1 1 = 12 ⋅ = , 2 2 = (lim
cioè 1 − cos x ≈ 12 x 2 per x ≈ 0.
Usando (6.15) possiamo ricavare il valore di seno e coseno di altri angoli speciali. Per esempio, il punto P(π/4) appartiene alla bisettrice del Angoli notevoli
240 Capitolo 6
primo quadrante; quindi sin(π/4) = cos(π/4) > 0. Allora (6.15) implica 2 sin2 (π/4) = 1, per cui: √ π π 2 sin = cos = . 4 4 2
Osservazione 6.10 Un altro modo per dedurre che sin π/4 = cos π/4 è usare le formule di periodicità come segue: sin
π π π 3π π π π = − cos ( + ) = − cos = − cos (− + π) = cos (− ) = cos . 4 4 2 4 4 4 4
L’angolo di π/3 radianti (cioè 60∘ ) è l’angolo interno di un triangolo equilatero. Quindi l’origine, P(π/3) e (1, 0) formano un triangolo equilatero di lato 1 (vedi la Figura 6.8); siccome nei triangoli equilateri l’altezza coincide con la mediana deduciamo: π 1 cos = , 3 2
√ π 3 sin = . 3 2
Usando (6.12) e (6.13) otteniamo anche cos per cui
Formule di addizione e sottrazione
π π π π π = cos (− ) = sin (− + ) = sin , 6 6 6 2 3 √ π 3 cos = , 6 2
sin
π 1 = . 6 2
Un’altra formula molto importante è quella che permette di calcolare il coseno della differenza di due angoli: cos(ϕ − ψ) = cos ϕ cos ψ + sin ϕ sin ψ .
(6.16)
La Curiosità 6.9 mostra come ricavare questa formula; qui vediamo come usarla per calcolare il coseno della somma di due angoli e il seno della somma e della differenza di due angoli. Prima di tutto cos(ϕ + ψ) = cos(ϕ − (−ψ)) = cos ϕ cos(−ψ) + sin ϕ sin(−ψ) , per cui usando (6.12) otteniamo: cos(ϕ + ψ) = cos ϕ cos ψ − sin ϕ sin ψ .
(6.17)
Poi (6.14) ci dà sin(ϕ + ψ) = cos (ϕ + ψ −
π π π ) = cos ϕ cos (ψ − ) − sin ϕ sin (ψ − ) , 2 2 2
Bestiario, II: funzioni trascendenti 241
per cui: sin(ϕ + ψ) = cos ϕ sin ψ + sin ϕ cos ψ .
(6.18)
Analogamente (Esercizio 6.33): sin(ϕ − ψ) = sin ϕ cos ψ − cos ϕ sin ψ . Ponendo ψ = ϕ in (6.17) otteniamo le formule di duplicazione:
Formule di duplicazione
cos(2ϕ) = cos2 ϕ − sin2 ϕ = 1 − 2 sin2 ϕ = 2 cos2 ϕ − 1 , dove abbiamo usato (6.15). Analogamente, (6.18) dà sin(2ϕ) = 2 sin ϕ cos ϕ . Sommando cos(ϕ + ψ) e cos(ϕ − ψ) otteniamo invece cos(ϕ + ψ) + cos(ϕ − ψ) = 2 cos ϕ cos ψ . Ponendo α = ϕ + ψ e β = ϕ − ψ, in modo che ϕ = (α + β)/2
e ψ = (α − β)/2,
ricaviamo quindi la formula di prostaferesi per la somma di coseni: cos α + cos β = 2 cos
α+β α−β cos . 2 2
In maniera analoga (Esercizio 6.37) si ricavano le formule di prostaferesi per la differenza di coseni e per la somma e differenza di seni: α+β α−β sin , 2 2 α+β α−β sin α + sin β = 2 sin cos , 2 2 α+β α−β sin α − sin β = 2 cos sin . 2 2
cos α − cos β = −2 sin
Seno e coseno possono essere usati per introdurre un altro sistema di coordinate, a volte utile, sul piano privato dell’origine. Prendiamo un punto P = (x, y) ≠ (0, 0) del piano, a distanza r dall’origine. Indichiamo con ϕ ∈ [0, 2π) l’angolo fra l’asse positivo delle ascisse e la semiretta
Formule di prostaferesi
242 Capitolo 6 Figura 6.16 Coordinate polari
P = (x,y)
y = r sin φ r sin φ 1
11π/6
√ 2
φ
P 2
π/4 √ 2 3 √ 2
cos φ x = r cos φ
4 –2
(a)
Q
(b)
uscente dall’origine passante per P. Allora usando i triangoli simili evidenti nella Figura 6.16(a) otteniamo subito: x = r cos ϕ ,
Coordinate polari
y = r sin ϕ .
(6.19)
Quindi conoscendo la distanza r e l’angolo ϕ è possibile ritrovare2 le coordinate cartesiane del punto P; la coppia (r, ϕ) determina il punto P ≠ (0, 0) altrettanto bene della coppia (x, y). Per questo motivo, (r, ϕ) vengono dette coordinate polari del punto P; sono definite per tutti i punti del piano tranne il polo (0, 0) che è a distanza 0 dall’origine ma a cui non è possibile associare in modo univoco un angolo. La (6.19) ci dice come recuperare le coordinate cartesiane (x, y) di un punto conoscendone le coordinate polari (r, ϕ). Viceversa, il Teorema di Pitagora (vedi nuovamente la Figura 6.16(a)) ci dice che r 2 = x 2 + y2 , per cui: r = √x 2 + y2 . Una volta trovato r, l’angolo ϕ è l’unico angolo nell’intervallo [0, 2π) tale che cos ϕ =
x x = r √x 2 + y2
e
sin ϕ =
y y = , r √x 2 + y2
per cui siamo in grado di recuperare le coordinate polari a partire dalle coordinate cartesiane. Esempio 6.9
Il punto P di coordinate polari (2, π/4) ha coordinate cartesiane π √ π √ x = 2 cos = 2 , y = 2 sin = 2 . 4 4 √ Viceversa, vogliamo trovare le coordinate polari del punto Q di coordinate cartesiane (2 3, −2). La distanza dall’origine è √ √ r = √(2 3)2 + (−2)2 = 16 = 4 . 2 In termini più formali, abbiamo definito una corrispondenza biunivoca fra (0, +∞)×[0, 2π) e ℝ2 \{(0, 0)} che associa alla coppia (r, ϕ) il punto di coordinate (r cos ϕ, r sin ϕ).
Bestiario, II: funzioni trascendenti 243 L’angolo ϕ è l’unico angolo nell’intervallo [0, 2π) tale che √ √ 2 3 3 −2 1 cos ϕ = = e sin ϕ = =− . 4 2 4 2 Un angolo che soddisfa queste condizioni è −π/6; ma siccome vogliamo una soluzione in [0, 2π) dobbiamo aggiungere 2π a −π/6 ottenendo ϕ = 11π/6. In conclusione, le coordinate polari di Q sono (4, 11π/6); vedi la Figura 6.16(b).
Osservazione 6.11 Attenzione: non è sufficiente conoscere solo cos ϕ o solo sin ϕ per ricavare ϕ. Per esempio, abbiamo cos ϕ = cos(2π − ϕ), per cui ϕ e 2π − ϕ sono due angoli diversi (non appena ϕ ≠ π) appartenenti all’intervallo [0, 2π) e con lo stesso coseno. Analogamente, se ϕ ∈ [0, π], allora ϕ e π − ϕ sono due angoli diversi (non appena ϕ ≠ π/2) appartenenti all’intervallo [0, 2π) e con lo stesso seno e se ϕ ∈ (π, 2π), allora questo accade per ϕ e 3π − ϕ. In altre parole, per trovare le coordinate polari di (x, y) bisogna usare sia x/r sia y/r; una sola delle due non basta.
Alcuni studi suggeriscono che certe specie animali utilizzano sistematicamente le coordinate polari; per esempio, le api. Quando un’ape operaia vuole segnalare alle altre api dove si trovano dei fiori rispetto all’alveare, comunica loro la distanza dall’alveare e la direzione (rispetto al sole) in cui volare per raggiungerli; in altre parole, comunica le coordinate polari dei fiori, piazzando l’origine nell’alveare e orientando il semiasse positivo delle ascisse verso il sole. Per farlo, l’ape operaia esegue una specie di danza, che consiste in un tratto rettilineo seguito da una curva che riporta l’ape al punto di partenza a un angolo ϕ rispetto al segmento iniziale e questo tragitto viene ripetuto un certo numero di volte. Il numero di ripetizioni indica la distanza di volo dei fiori dall’alveare; l’angolo ϕ indica la direzione di volo.
Seno e coseno sono le più importanti funzioni trigonometriche (cioè funzioni con argomento un angolo) ma non le uniche. Un’altra funzione trigonometrica utile è la tangente definita da tan ϕ =
Esempio 6.10
Tangente
sin ϕ ; cos ϕ
alcuni testi usano il simbolo tg ϕ invece di tan ϕ. Osservazione 6.12 Il motivo per cui il rapporto fra seno e coseno si chiama “tangente” è mostrato nella Figura 6.17. Se ϕ ∈ [0, π/2), allora il segmento QS tangente in Q = (1, 0) alla solita circonferenza di raggio unitario e centro l’origine e intersecante in S la semiretta passante per P(ϕ), ha lunghezza esattamente uguale a tan ϕ, come si verifica subito usando i triangoli simili. tan φ
S P(φ)
sin φ Q(φ) φ O
cos φ Q
Figura 6.17 Tangente
244 Capitolo 6
Dalla definizione e dalle proprietà di seno e coseno si deducono subito le seguenti proprietà della tangente: – la tangente non è definita solo dove il coseno s’annulla, cioè nei punti π/2 + kπ per k ∈ ℤ punti, che sono delle singolarità per tan ϕ; – tan ϕ è periodica di periodo π, cioè tan(ϕ + kπ) = tan ϕ per ogni k ∈ ℤ; – la tangente è una funzione dispari; – tan ϕ è strettamente crescente negli intervalli (−π/2 + kπ, π/2 + kπ), per k ∈ ℤ; – tan ϕ è positiva negli intervalli (kπ, π/2 + kπ) e negativa negli intervalli (−π/2 + kπ, kπ), per k ∈ ℤ; – il grafico di tan ϕ ha un asintoto verticale nelle singolarità, e ∀k ∈ ℤ
lim
x→(π/2+kπ)±
tan ϕ = ∓∞ ;
– l’immagine di tan ϕ ristretta a ciascun intervallo (−π/2 + kπ, π/2 + kπ) è l’intera retta reale ℝ.
Cotangente
La Figura 6.18(a) contiene il grafico di tan ϕ. La cotangente cot ϕ (talvolta indicata anche con ctg ϕ o cotan ϕ) è il reciproco della tangente: cot ϕ =
1 cos ϕ = . tan ϕ sin ϕ
Le proprietà della tangente implicano le seguenti proprietà della cotangente: – la cotangente non è definita solo dove il seno s’annulla, cioè nei punti kπ per k ∈ ℤ punti, che sono delle singolarità per cot ϕ; – cot ϕ è periodica di periodo π, cioè cot(ϕ + kπ) = cot ϕ per ogni k ∈ ℤ; – la cotangente è una funzione dispari; – cot ϕ è strettamente decrescente in ciascun intervallo (kπ, (k + 1)π), per k ∈ ℤ; Figura 6.18 (a) f (x) = tan x (b) f (x) = cot x
–2π
10
10
5
5
–π
π
2π
–2π
–π
π
–5
–5
–10
–10
(a)
(b)
2π
Bestiario, II: funzioni trascendenti 245
– cot ϕ è positiva negli intervalli (kπ, π/2 + kπ) e negativa negli intervalli (−π/2 + kπ, kπ), per k ∈ ℤ; – il grafico di cot ϕ ha un asintoto verticale nelle singolarità e ∀k ∈ ℤ
lim cot ϕ = ±∞ ;
x→(kπ)±
– l’immagine di cot ϕ ristretta a ciascun intervallo (kπ, (k + 1)π) è l’intera retta reale ℝ. La Figura 6.18(b) contiene il grafico di cot ϕ. Osservazione 6.13 Sia f (x) = mx una funzione lineare (con q = 0) e P = (x, y) un punto del suo grafico; in particolare, y = f (x) = mx. Se (r, ϕ) sono le coordinate polari di P, allora y r sin ϕ m= = = tan ϕ , x r cos ϕ cioè m è la tangente dell’angolo fra l’asse delle ascisse e la retta grafico di f . Questo è il motivo per cui m è chiamato coefficiente angolare della retta.
La Curiosità 6.11 contiene la definizione di altre due funzioni trigonometriche classiche. Le funzioni periodiche non possono essere globalmente invertibili, in quanto non sono iniettive. Però, restringendole a opportuni intervalli, si possono trovare delle inverse. Per esempio, abbiamo visto che il seno è strettamente crescente sull’intervallo [−π/2, π/2], con immagine uguale a tutto l’intervallo [−1, 1]. Siccome le funzioni strettamente crescenti sono invertibili, possiamo definire la funzione inversa del seno, chiamata arcoseno e indicata con arcsin ∶ [−1, 1] → [−π/2, π/2]; Arcoseno in altre parole, arcsin x è l’unico angolo nell’intervallo [−π/2, π/2] il cui seno sia uguale a x. Quindi, arcsin x è l’unica soluzione nell’intervallo [−π/2, π/2] dell’equazione sin ϕ = x. Osservazione 6.14 Attenzione: ti dev’essere ben chiaro che arcsin x non è l’unica soluzione dell’equazione sin ϕ = x; è solo l’unica soluzione che appartiene all’intervallo [−π/2, π/2]. Per periodicità, tutti gli angoli della forma arcsin x + 2kπ con k ∈ ℤ sono soluzioni della stessa equazione ma ce ne sono anche altre. Per esempio, l’equazione sin ϕ = 1/2 ha due soluzioni nell’intervallo [0, π]: la soluzione arcsin x = π/4 e la soluzione 3π/4. Il modo più semplice per capire cosa succede è intersecare il grafico di sin x con una retta orizzontale, come discusso nel Paragrafo 2.5.
Analogamente, abbiamo visto che il coseno è strettamente decrescente nell’intervallo [0, π]. Quindi possiamo definire la funzione inversa del coseno, chiamata Arcocoseno arcocoseno e indicata con arccos ∶ [−1, 1] → [0, π]; in altre parole, arccos x è l’unico angolo nell’intervallo [0, π] il cui coseno sia uguale a x.
246 Capitolo 6 Figura 6.19 (a) f (x) = arcsin x (b) f (x) = arccos x
π 2
π
3π 4
π 4
–1
0.5
–0.5
y = arcsin x
–
π 4
–
π 2
π 2
1
π 4
–1
–0.5
0.5
(a)
Arcotangente
y = arccos x
1
(b)
Quindi arccos x è l’unica soluzione nell’intervallo [0, π] dell’equazione cos ϕ = x. Anche per l’arcocoseno valgono le stesse avvertenze fatte per l’arcoseno. Inoltre, vale la pena di sottolineare che arcoseno e arcocoseno hanno immagine in intervalli diversi: il seno non è iniettivo nell’intervallo [0, π], per cui non possiamo definire un’inversa a valori in [0, π]. Analogamente, il coseno non è invertibile nell’intervallo [−π/2, π/2]. La Figura 6.19 contiene i grafici di arcoseno e arcocoseno. Più interessante è l’inversa della tangente. Abbiamo visto che la tangente è strettamente crescente nell’intervallo (−π/2, π/2), con immagine tutta la retta reale. Quindi esiste la funzione inversa della tangente, chiamata arcotangente e indicata con arctan ∶ ℝ → (−π/2, π/2); in altre parole, arctan x è l’unico angolo nell’intervallo (−π/2, π/2) la cui tangente sia uguale a x. Quindi arctan x fornisce l’unica soluzione nell’intervallo (−π/2, π/2) dell’equazione tan ϕ = x. L’arcotangente (contrariamente ad arcoseno e arcocoseno) ha il grosso vantaggio di essere definita su tutto l’asse reale. Inoltre dalle proprietà della tangente si deduce subito che: arctan x è una funzione strettamente crescente, negativa per x < 0, positiva per x > 0; inoltre s’annulla in x = 0 e lim arctan x = −
x→−∞
π , 2
lim arctan x =
x→+∞
π . 2
In particolare, l’arcotangente ha un asintoto orizzontale sia a +∞ che a −∞. La Figura 6.20 contiene il grafico dell’arcotangente. Figura 6.20 Arcotangente
y = arctan x
π 2 π 4
–6
–4
–2
–π 4 –π 2
2
4
6
Bestiario, II: funzioni trascendenti 247
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Curiosità 6.7
Funzioni curiose
Curiosità 6.8
Un paradosso
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Curiosità 6.9
Coseno della differenza
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Curiosità 6.10
Un limite notevole
Curiosità 6.11
Altre funzioni trigonometriche
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6.5 Funzioni sinusoidali A pagina 236 abbiamo detto che una funzione sinusoidale è una funzione il cui grafico è ottenuto a partire dal grafico del coseno (o del seno) traslando e/o moltiplicando ascisse e ordinate. Usando come punto di partenza il coseno e ricordando quanto visto nel Paragrafo 5.3, troviamo che una generica Funzioni sinusoidali funzione sinusoidale f ∶ ℝ → ℝ è della forma f (x) = A cos(ω(x − x0 )) + y0 .
(6.20)
Le quattro costanti A, y0 , ω e x0 determinano completamente la funzione sinusoidale e hanno un significato molto preciso; vediamo quale. Il coseno varia fra −1 e 1 (cioè la sua immagine è l’intervallo [−1, 1]). Di conseguenza, la funzione sinusoidale (6.20) varia fra y0 − A e y0 + A (cioè la sua immagine è l’intervallo [y0 − A, y0 + A]). Quindi y0 è il punto di mezzo dell’intervallo dei valori di f e 2A è la lunghezza di questo intervallo; per questo motivo y0 è detto valore medio e A ampiezza della funzione sinusoidale. Valore medio In particolare, |f (x) − y0 | ≤ A, cioè i valori della funzione sinusoidale distano e ampiezza al più A dal valore medio; inoltre il valore massimo di f è y0 + A, mentre il valore minimo di f è y0 − A. Il coseno è periodico di periodo 2π; di conseguenza, anche le funzioni sinusoidali sono periodiche. Infatti, 2π 2π f (x + ) = A cos (ω (x + − x0 )) + y0 ω ω = A cos(ω(x − x0 ) + 2π) + y0 = A cos(ω(x − x0 )) + y0 = f (x) . Dunque una funzione sinusoidale (6.20) è periodica di periodo P=
2π . ω
Il reciproco F = 1/P del periodo è detto frequenza; mentre 2π ω = 2πF = P è detta frequenza angolare.
Periodo e frequenza
248 Capitolo 6 P = 2π/ω
y0 + A
}
y0
A
x0
}
Figura 6.21 Funzione sinusoidale
A
y0 – A
Fase
Infine, rimane da determinare il significato di x0 in (6.20). L’effetto di x0 è di traslare le ascisse (e quindi il grafico di f ) verso destra o verso sinistra; in particolare, vengono traslati i punti di massimo. I punti di massimo del coseno sono 2kπ per k ∈ ℤ; i punti di massimo della funzione cos(ωx) sono 2kπ/ω = kP per k ∈ ℤ; quindi (sai dire perché?) i punti di massimo della funzione sinusoidale (6.20) sono x0 + kP per k ∈ ℤ. In particolare, grazie alla periodicità possiamo prendere come x0 il primo punto non negativo di massimo di f ; in tal caso x0 ∈ [0, P) è chiamato fase della funzione sinusoidale f . Riassumendo: una funzione sinusoidale è completamente determinata da ampiezza, valore medio, periodo (o frequenza angolare) e fase. La Figura 6.21 mostra graficamente quanto detto.
Esempio 6.11
Il coseno ha ampiezza 1, valore medio 0, frequenza angolare 1 (cioè periodo 2π) e fase 0. Invece il seno ha ampiezza 1, valore medio 0, frequenza angolare 1 e fase π/2.
Vediamo ora un esempio d’utilizzo di una funzione sinusoidale. Esempio 6.12
Molti fenomeni biologici hanno un andamento periodico; per esempio quelli legati alle stagioni. Il tuo assistente ha tenuto sotto osservazione una popolazione di uccelli stanziali nella zona del lago di Massaciuccoli, notando che il numero d’individui nella popolazione varia in modo periodico nel corso dell’anno da (circa) 1000 individui a (circa) 1500 individui. Il minimo numero di uccelli è misurato intorno all’inizio di aprile, il massimo circa 6 mesi dopo. Vogliamo trovare una funzione sinusoidale f che rappresenti questo andamento. Il discorso precedente ci dice che dobbiamo estrarre dai dati ampiezza, valore medio, periodo e fase della nostra funzione sinusoidale. Le osservazioni del tuo assistente dicono che l’intervallo dei valori della funzione è [1000, 1500]. Il valore medio y0 è il punto medio di quest’intervallo, mentre l’ampiezza A è metà della lunghezza dell’intervallo; quindi: y0 =
1000 + 1500 = 1250 , 2
A=
1500 − 1000 = 250 . 2
Misurando il tempo in giorni e trascurando per semplicità gli anni bisestili, la nostra funzione deve avere periodo P = 365 e quindi frequenza angolare ω=
2π . 365
Rimane da determinare la fase x0 ∈ [0, 365). I dati raccolti dal tuo assistente indicano che la funzione ha massimo all’inizio di ottobre, cioè dopo 274 giorni. Quindi x0 = 274 e la funzione cercata è: 2π f (x) = 250 cos ( (x − 274)) + 1250 . 365 Il tuo assistente aveva notato che il numero minimo di uccelli cade all’inizio di aprile; vediamo se la nostra funzione riproduce questo fenomeno. Il punto di minimo del coseno subito
Bestiario, II: funzioni trascendenti 249 precedente il massimo in 0 è −π. Quindi un punto di minimo della funzione cos((2π/365)x) è (−π) ⋅ (365/2π) = −365/2 (sai dire perché?) e un punto di minimo di f è x1 = −
365 + 274 = 91.5 , 2
che corrisponde al 2 aprile. Quindi la funzione trovata rappresenta sensatamente tutti i dati raccolti dal tuo assistente. Ne puoi vedere il grafico nella Figura 6.22 Figura 6.22 Fenomeno periodico
1500
1000
500
Gennaio
Aprile
Luglio
Ottobre
Gennaio
Osservazione 6.15 Sommando funzioni sinusoidali di uguali ampiezza e periodo ma differente fase (e valore medio nullo per semplicità) possono avvenire fenomeni curiosi. Usando le formule di prostaferesi otteniamo A cos(ω(x − x0 )) + A cos(ω(x − x0′ )) = 2A cos (ω
x0′ − x0 x + x0′ ) cos [ω (x − 0 )] . 2 2
In particolare, se ω(x0′ − x0 )/2 = π/2, cioè x0′ − x0 =
π P = ω 2
allora la somma s’annulla! Questo accade per esempio con la luce: illuminando lo stesso punto con due raggi di luce della stessa intensità (cioè con la stessa ampiezza) e uguale colore (cioè con la stessa frequenza F = 1/P) ma con fasi che differiscono di P/2, otteniamo il buio. Questo tipo di fenomeni cade sotto il nome di fenomeni di interferenza. Un altro esempio di fenomeno di interferenza è dato dai colori delle penne di un pavone: la struttura fine delle penne cambia la fase della luce che viene riflessa in modo diverso da punto a punto, con il risultato che vediamo colori diversi a seconda del punto d’osservazione che scegliamo.
Non tutti i fenomeni periodici si possono rappresentare con funzioni sinusoidali o, in altre parole, non tutte le funzioni periodiche sono sinusoidali (vedi per esempio la Figura 6.23). Si può però procedere in maniera un poco diversa. Per spiegare come, cominciamo con l’usare (6.16) per espandere il coseno della differenza in (6.20): otteniamo A cos(ω(x − x0 )) + y0 = A cos(ωx0 ) cos(ωx) + A sin(ωx0 ) sin(ωx) + y0 = y0 + a1 cos ωx + b1 sin ωx , dove abbiamo posto a1 = A cos ωx0 e b1 = A sin ωx0 . Una funzione sinusoidale è quindi un caso molto particolare di poli- Polinomi nomio trigonometrico, dove un polinomio trigonometrico di frequenza trigonometrici
250 Capitolo 6 Figura 6.23 f (x) = cos(2x) + 2 sin(4x)
y = cos(2x) + 2sin(4x) 2 1
–3
–2
–1
1
2
3
4
5
6
–1 –2
angolare ω è una funzione della forma p(x) = y0 + a1 cos ωx + a2 cos(2ωx) + ⋯ + an cos(nωx) + b1 sin ωx + b2 sin(2ωx) + ⋯ + bn sin(nωx) , con y0 , a1 , … , an , b1 , … , bn ∈ ℝ. I polinomi trigonometrici di frequenza angolare ω sono tutti periodici di periodo 2π/ω (controlla), ma non sono funzioni sinusoidali (vedi per esempio la Figura 6.23). L’importanza dei polinomi trigonometrici è dovuta al fatto che: ogni funzione periodica continua (e molte funzioni discontinue) di frequenza angolare ω è approssimabile arbitrariamente bene con polinomi trigonometrici di frequenza angolare ω. In altre parole, se f ∶ ℝ → ℝ è una funzione periodica di frequenza angolare ω e ε > 0 è un qualsiasi numero (arbitrariamente piccolo), esiste sempre un polinomio trigonometrico p di frequenza angolare ω tale che |f (x) − p(x)| < ε per ogni x ∈ ℝ. La tecnica per trovare il polinomio trigonometrico che approssima la funzione si chiama analisi di Fourier (o analisi armonica) ed è sfortunatamente troppo complessa per essere presentata in questo testo. Esempio 6.13
Se hai studiato un po’ di musica, saprai che quando pizzichi una corda di una chitarra (per esempio il “La”) il suono che ottieni non è composto solo dalla frequenza corrispondente al “La” fondamentale ma anche dai cosiddetti armonici. Ebbene: il “La” puro è rappresentato da una sinusoide, mentre gli armonici corrispondono esattamente ai termini successivi della rappresentazione del suono tramite un polinomio trigonometrico. I termini di frequenza angolare 2ω corrispondono al “La” dell’ottava superiore, i termini di frequenza angolare 3ω forniscono la quinta (cioè il “Mi”), quelli di frequenza angolare 4ω il “La” due ottave sopra e così via.
6.6 Successioni e serie Nell’Esempio 6.2 abbiamo studiato il limite della successione 1 n xn = (1 + ) ; n in questo paragrafo raccogliamo un po’ di informazioni e risultati sulle successioni in generale.
Bestiario, II: funzioni trascendenti 251
Come già detto nell’Osservazione 2.4, una successione è una lista ordinata di numeri reali x0 , x1 , x2 , … , xn , …, cioè una funzione con dominio l’insieme ℕ dei numeri naturali (in alcuni casi può essere utile associare il primo termine di una successione al numero 1 invece che a 0, cioè cominciare la successione con x1 ; in tal caso il dominio è ℕ∗ ). I due modi più comuni per descrivere una successione sono:
Successione
– fornire una formula per calcolare direttamente il termine generale xn ; – fornire una formula per calcolare il termine generale xn in funzione di qualcuno dei termini precedenti e poi specificare abbastanza termini iniziali per poter calcolare tutti i successivi.
Termine generale
Vediamo alcuni esempi di entrambe queste procedure. La successione {0, 1, 2, 3, … } dei numeri naturali è facilmente definita dalla formula
Esempio 6.14
xn = n . La successione {1, 1/2, 1/3, …} dei reciproci dei numeri naturali (tipico esempio di successione che comincia con il termine che ha indice 1) è definita da yn =
1 . n
Una successione (o progressione) aritmetica {an } di ragione m ≠ 0 è definita da an+1 = an + m . Perché questa formula permetta di calcolare tutti i termini della successione occorre conoscere anche il termine iniziale a0 . Noto a0 , troviamo a1 = a0 + m, poi a2 = a1 + m = a0 + 2m e così via. In particolare, abbiamo anche una formula che esprime direttamente il termine generale:
Esempio 6.15 Successioni aritmetiche
an = a0 + mn .
Una successione (o progressione) geometrica {gn } di ragione p ≠ 0 è definita da gn+1 = gn p . Anche in questo caso occorre conoscere il termine iniziale g0 . Noto g0 , troviamo g1 = g0 p, poi g2 = g1 p = g0 p2 e in generale gn = g0 pn .
Esempio 6.16 Successioni geometriche
L’Esempio 6.1 dice allora che una popolazione di cellule in condizioni ideali cresce seguendo una successione geometrica di ragione 2.
Una delle successioni più famose è la successione di Fibonacci, definita da F0 = F1 = 1 e Fn+1 = Fn + Fn−1 per n ≥ 2. Per esempio, F2 = F1 + F0 = 1 + 1 = 2, F3 = F2 + F1 = 2 + 1 = 3, F4 = 3 + 2 = 5, F5 = 5 + 3 = 8 e così via. Oltre a godere di innumerevoli proprietà matematiche (vedi per esempio la Curiosità 6.13), compare molto spesso in natura. Per esempio, i semi di un girasole sono disposti in modo da formare delle spirali e il numero di spirali è praticamente sempre un numero della successione di Fibonacci. Un fenomeno analogo accade per i pistilli di diversi fiori o in alcune pigne e, più in generale, i numeri della successione di Fibonacci appaiono
Esempio 6.17 Successione di Fibonacci
252 Capitolo 6 spesso nella disposizione delle foglie di diverse piante (fillotassi). I meccanismi che causano questo fenomeno non sono ancora chiari; sembra però abbiano a che fare con l’efficienza della distribuzione dei semi e/o delle foglie.
Esempio 6.18
Poniamo b0 = 1 e bn = √2 + bn−1 . I primi termini della successione sono b1 =
√
3,
b2 = √ 2 +
√
3,
b3 = √2 + √2 +
√
3
e così via. In questo caso non c’è una formula semplice che ci dia direttamente il termine generale della successione.
Limite di successioni
Come anticipato nel Paragrafo 6.1 possiamo definire il concetto di limite di successioni in maniera analoga a quanto fatto per le funzioni. Diremo che una successione {xn } ha limite ℓ ∈ ℝ (o che tende a ℓ) e scriveremo lim xn = ℓ , n→+∞
se xn s’avvicina arbitrariamente a ℓ quando n è sufficientemente grande o, in termini più formali, se ∀ε > 0 ∃n0 ∈ ℕ ∶
n ≥ n0 ⟹ |xn − ℓ| < ε .
Diremo invece che {xn } tende a +∞ (rispettivamente, a −∞) se xn diventa arbitrariamente grande (rispettivamente, arbitrariamente negativo) quando n è sufficientemente grande; in termini più formali, ∀M ∈ ℝ Successioni convergenti e divergenti
∃n0 ∈ ℕ ∶
n ≥ n0 ⟹ xn > M (rispettivamente, xn < −M) .
Quando {xn } tende a +∞ o a −∞ diremo che diverge mentre diremo che converge se ha limite finito.
Esempio 6.19
La successione xn = n tende chiaramente a +∞. Invece, la successione yn = 1/n dei reciproci tende a 0: infatti a patto di prendere n sufficientemente grande possiamo rendere 1/n arbitrariamente piccolo.
Esempio 6.20
Una successione aritmetica diverge sempre: tende a +∞ se la ragione m è positiva, a −∞ se la ragione m è negativa. Se ci pensi un attimo (vedi l’Osservazione 6.16 e l’Esercizio 6.49) il motivo è lo stesso per cui una funzione lineare con coefficiente angolare positivo (rispettivamente, negativo) tende a +∞ (rispettivamente, −∞) quando x tende a +∞.
Esempio 6.21
Una successione geometrica di ragione 0 < p < 1 tende a 0, per lo stesso motivo per cui una funzione esponenziale di base 0 < p < 1 tende a 0 quando x tende a +∞. Invece una successione geometrica di ragione p > 1 diverge, tendendo a +∞ o −∞ a seconda del segno del termine iniziale g0 (a meno che g0 sia uguale a 0, nel qual caso tutti i termini della successione valgono 0). La situazione è un attimo più delicata per successioni geometriche di ragione negativa. Se −1 < p < 0 allora |gn | = |g0 ||p|n è una successione geometrica di ragione 0 < |p| < 1, per cui {gn } converge a 0. Ma se p < −1 allora il modulo di gn diventa arbitrariamente grande, mentre il segno è alternativamente positivo e negativo; quindi in questo caso {gn } non ha limite, né
Bestiario, II: funzioni trascendenti 253 finito né infinito. Anche quando p = −1 la successione geometrica non ha limite, in quanto continua a oscillare fra g0 e −g0 .
Osservazione 6.16 Più in generale, supponiamo che {an } sia una successione per cui esiste una funzione f tale che an = f (n). Allora si vede facilmente (Esercizio 6.50) che se f ha limite ℓ ∈ ℝ ∪ {±∞} per x → +∞, anche {an } ha limite ℓ.
Esiste una famiglia di successioni che hanno sempre limite. Per individuarle, introduciamo alcuni termini. Diremo che una successione {xn } è: limitata superiormente se esiste Successioni limitate M ∈ ℝ tale che xn ≤ M per ogni n ∈ ℕ; limitata inferiormente se esiste N ∈ ℝ tale che N ≤ xn per ogni n ∈ ℕ; limitata se è limitata sia superiormente sia inferiormente (vedi anche l’Osservazione 5.9). In altre parole, una successione è: limitata superiormente se tutti i termini della successione sono più piccoli di un M dato; limitata inferiormente se tutti i termini della successione sono più grandi di un dato N; limitata se tutti i termini della successione appartengono a un dato intervallo limitato [N, M]. Diremo che una successione {xn } è: crescente se xn ≤ xn+1 per ogni n ∈ ℕ; decrescente se invece xn ≥ xn+1 per ogni n ∈ ℕ; monotona se è crescente Successioni monotone oppure decrescente. Allora non è difficile dimostrare (vedi la Curiosità 6.12) che: ogni successione monotona limitata è convergente, mentre ogni successione monotona non limitata è divergente.
Osservazione 6.17 Il limite di successioni gode di molte delle proprietà dei limiti di funzioni viste nel Paragrafo 5.7. In particolare, valgono le proprietà algebriche (5.19) (con le stesse avvertenze riguardo le forme indeterminate) e il confronto di limiti: se xn ≤ yn per tutti gli n abbastanza grandi allora lim xn ≤ lim yn ,
n→+∞
n→+∞
ammesso che i limiti esistano.
Un tipo particolare (ma particolarmente importante) di successioni è dato dalle serie. Supponiamo di avere una successione {a0 , a1 , a2 , …} di numeri reali. Allora possiamo costruire la successione {s0 , s1 , s2 , …} delle somme parziali sommando un numero finito di termini alla volta: s0 = a0 ,
s1 = a0 + a1 ,
s2 = a0 + a1 + a2 ,
s 3 = a0 + a1 + a2 + a3
e, più in generale, n
s n = ∑ aj . j=0
Se la successione {sn } ammette un limite finito per n → +∞, allora è ragionevole considerare questo limite come somma della successione infinita di
Somme parziali
254 Capitolo 6 Serie
addendi a0 , a1 , a2 , …. Questa somma infinita viene detta serie di termine generale an e indicata col seguente simbolo: +∞
∑ aj . j=0
Serie convergente
Quindi per definizione la somma della serie (quando esiste; nel qual caso diremo che la serie converge) è data dal limite delle somme parziali: +∞
n
∑ aj = lim ∑ aj . n→+∞
j=0
Serie divergente Serie a termini positivi
j=0
Analogamente, se la successione delle somme parziali diverge a ±∞, diremo che la serie diverge a ±∞. Serie particolarmente utili sono quelle a termini positivi, cioè i cui termini an sono tutti maggiori o uguali a 0. Infatti, in questo caso la successione delle somme parziali è (sai dire perché?) necessariamente crescente; quindi una serie a termini positivi converge se è limitata e diverge a +∞ se non è limitata.
Esempio 6.22
Prendiamo una successione aritmetica an = a0 + mn; vogliamo studiare la serie corrispondente. Le somme parziali sono date da sn = a0 + ⋯ + an = (a0 + m0) + (a0 + m1) + ⋯ + (a0 + mn) n
= (n + 1)a0 + m ∑ j . j=0 n
Per calcolare la somma Sn = ∑ j dei primi n numeri naturali notiamo che j=0
n
n
2Sn = (0 + 1 + ⋯ + n) + (n + (n − 1) + ⋯ + 0) = ∑ j + ∑(n − j) j=0 n
j=0
n
= ∑[j + (n − j)] = ∑ n = (n + 1)n . j=0
j=0
Quindi n
∑j = j=0
n(n + 1) , 2
per cui le somme parziali delle successioni aritmetiche sono date da: n(n + 1) mn = (n + 1) [a0 + ] . 2 2 Ora, la successione {n + 1} diverge chiaramente a +∞, mentre la successione {a0 + (mn)/2} diverge (sai dire perché?) a ±∞ a seconda del segno di m. Quindi la serie di una successione aritmetica diverge sempre: sn = (n + 1)a0 + m
+∞
∑(a0 + mj) = { j=0
+∞ −∞
se m > 0 se m < 0 .
Bestiario, II: funzioni trascendenti 255
Studiamo ora la serie di una successione geometrica (serie che spesso si chiama serie geometrica) di ragione p ≠ 0, 1. Se gn = g0 pn , le somme parziali sono date da:
Esempio 6.23 Serie geometrica
n
sn = g0 ∑ pj . j=0
Per calcolarle notiamo che n
n
n
(1 − p) ∑ pj = ∑ pj − ∑ pj+1 j=0
j=0
j=0
= (1 + p + ⋯ + pn ) − (p + p2 + ⋯ + pn+1 ) = 1 − pn+1 ; quindi: n
∑ pj = j=0
1 − pn+1 . 1−p
Di conseguenza, una serie geometrica di ragione p ≠ 0, 1 è convergente se 0 < |p| < 1, divergente a ±∞ se p > 1 (il segno dipende dal segno di g0 ) e non ha limite se p ≤ −1. In particolare, +∞
∑ pj = j=0
1 1−p
non appena 0 < |p| < 1. L’Osservazione 6.18 spiega perché questa formula risolve l’antico paradosso di Zenone su Achille e la tartaruga.
La Curiosità 6.15 mostra come usare la serie geometrica per vedere se una serie a termini positive converge. Ora, perché una serie a termini positivi converga occorre che il termine generale tenda a 0. Infatti, se ogni an è maggiore o uguale a un qualche ε > 0, allora sn è maggiore o uguale a (n + 1)ε, per cui sn diverge a +∞ e la serie diverge. Il viceversa però non è vero: esistono serie a termini positivi divergenti con termine generale che tende a 0. L’esempio più famoso è la serie armonica 1+
Serie armonica
∞ 1 1 1 1 + + + ⋯ = ∑ = +∞ ; 2 3 4 j j=1
la Curiosità 6.14 spiega come mai questa serie diverge nonostante il termine generale tenda a 0. Concludiamo il paragrafo con un esempio di uso delle serie in genetica. Alcune malattie genetiche sono causate dalla presenza di un singolo allele dominante A in un gene. In certe situazioni, l’allele sano a può mutare nell’allele malato A con una probabilità r da una generazione all’altra e non capita mai che un allele A muti tornando a essere sano. Indichiamo poi con s la percentuale di malati che passano l’allele A ai propri discendenti; s dipenderà anche dalla mortalità dei malati prima di raggiungere l’età riproduttiva, quindi sarà tipicamente minore di 0.5. Supponiamo anche per semplicità che ogni malato abbia al più un figlio. Supponendo che nella popolazione iniziale questa malattia non sia presente, quale sarà l’incidenza della malattia (cioè la percentuale di malati) nella popolazione dopo n generazioni? E per n che tende all’infinito? Per ipotesi, l’allele A non è presente nella generazione 0. Quindi nella generazione 1 la malattia sarà dovuta solo a mutazioni, per cui avrà un’incidenza p1 = r. Nella generazione 2, invece, l’incidenza p2 sarà dovuta a mutazioni ma anche ai discendenti dei malati della
Esempio 6.24
256 Capitolo 6 generazione 1, presenti in percentuale pari a rs, per cui p2 = r + rs. In generale, nella generazione n l’incidenza pn sarà dovuta alle mutazioni r e ai discendenti pn−1 s dei malati della generazione precedente. Quindi: pn = r + pn−1 s = r + (r + pn−2 s)s = r + rs + (r + pn−3 s)s2 = ⋯ n−1
= r + rs + rs2 + ⋯ + rsn−1 = r ∑ sj = r j=0
1 − sn . 1−s
In particolare, quando n tende a +∞ abbiamo: ∞
p = lim pn = r ∑ sj = n→+∞
j=0
r . 1−s
Osservazione 6.18 La convergenza della serie geometrica di ragione 1/2 risolve l’antico paradosso di Zenone su Achille e la tartaruga. La tartaruga affronta Achille in una gara di corsa; Achille cavallerescamente le offre cento metri di vantaggio. Ahinoi, dice Zenone: in questo modo Achille non raggiungerà mai la tartaruga. Infatti, dopo che Achille avrà percorso 50 metri, gli rimarrà ancora da percorrere metà della distanza; e dopo che avrà percorso metà di questa distanza, gli rimarrà da percorrere ancora metà del rimanente; quindi gli resterà da percorrere sempre metà della distanza rimanente, fino all’infinito, senza mai raggiungere la tartaruga. Nonostante ciò la tartaruga, che aveva studiato un poco di Matematica, si arrende prima ancora che Zenone finisca il suo discorso. Infatti, supponiamo che Achille percorra i primi 50 metri in un secondo. Allora percorrerà i successivi 25 metri in mezzo secondo, la successiva metà in 1/4 di secondo e così via; quindi per percorrere tutti i 100 metri Achille impiegherà solo 1+
∞ 1 1 1 1 + +⋯=∑ j = =2 2 4 2 1 − (1/2) j=0
secondi, con buona pace di Zenone.
Curiosità 6.12
Limite di una successione monotona
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Curiosità 6.13
I numeri di Fibonacci e la sezione aurea
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Curiosità 6.14
La serie armonica
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Curiosità 6.15
Il criterio del rapporto
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Bestiario, II: funzioni trascendenti 257
Formulario In questo capitolo hai visto le seguenti formule: • i limiti notevoli che definiscono l’esponenziale (Paragrafo 6.1): r t lim (1 + ) = lim (1 + rx)1/x = er ; t→+∞ x→0 t • il logaritmo in base p è la funzione inversa della funzione esponenziale di base p (Paragrafo 6.3): logp (px ) = x
e
logp x
p
=x;
• le proprietà dei logaritmi (Paragrafo 6.3): (a) logp 1 = 0 e logp p = 1; (b) logp (ab) = logp a + logp b e logp (a/b) = logp a − logp b; (c) logp (qx ) = x logp q; (logp q)x
(d) qx = p
(e) logq x =
logp x
= e(log q)x ;
logp q ,
logq p = 1/ logp q e log1/p x = − logp x;
(f) log(1 + x) ≈ x; • relazioni fra la misura in gradi e la misura in radianti di un angolo (Paragrafo 6.4): d∘ =
d π rad 180
e r rad = (
180r ∘ ) ; π
• periodicità delle funzioni trigonometriche (Paragrafo 6.4): sin(x + 2kπ) = sin x , cos(x + 2kπ) = cos x , tan(x + kπ) = tan x , cot(x + kπ) = cot x ; • limiti notevoli coinvolgenti le funzioni trigonometriche (Paragrafo 6.4): lim
x→0
sin x =1, x
lim
x→0
1 − cos x =0, x
lim
x→0
1 − cos x 1 = ; 2 x 2
• parità delle funzioni trigonometriche (Paragrafo 6.4): cos(−x) = cos x , sin(−x) = − sin x , tan(−x) = − tan x , cot(−x) = − cot x ; • comportamento delle funzioni trigonometriche sommando all’argomento angoli notevoli (Paragrafo 6.4): (a) cos(x ± π) = − cos x, sin(x ± π) = − sin x, tan(x ± π) = tan x, cot(x ± π) = cot x;
258 Capitolo 6
(b) cos (x ± π2 ) = ∓ sin x, sin (x ± π2 ) = ± cos x, tan (x ± π2 ) = − cot x, cot (x ± π2 ) = − tan x; • la relazione fondamentale fra seno e coseno (Paragrafo 6.4): sin2 x + cos2 x = 1 ; • il valore delle funzioni trigonometriche in angoli notevoli (Paragrafo 6.4): (a) sin 0 = 0, cos 0 = 1, tan 0 = 0, cot 0 non è definita; (b) sin π = 0, cos π = −1, tan π = 0, cot π non è definita; (c) sin π2 = 1, cos π2 = 0, tan π2 non è definita, cot π2 = 0; √ √ √ (d) sin π3 = 23 , cos π3 = 12 , tan π3 = 3, cot π3 = 33 ; √ 2 π 2 ,√tan 4 = 3 π π 6 = 2 , tan 6
(e) sin π4 = cos π4 =
cot π4 = 1;
√ √ (f) sin π6 = 12 , cos = 33 , cot π6 = 3; • formule per il coseno e seno della somma e della differenza di due angoli (Paragrafo 6.4):
cos(x ± y) = cos x cos y ∓ sin x sin y e sin(x ± y) = cos x sin y ± sin x cos y ; • formule di duplicazione (Paragrafo 6.4): cos(2x) = cos2 x − sin2 x = 1 − 2 sin2 x = 2 cos2 x − 1 e sin(2x) = 2 sin x cos x ; • formule di prostaferesi per il coseno (Paragrafo 6.4): cos x + cos y = 2 cos
x+y x−y cos , 2 2
x+y x−y sin ; 2 2 • formule di prostaferesi per il seno (Paragrafo 6.4): cos x − cos y = −2 sin
sin x + sin y = 2 sin
x+y x−y cos , 2 2
x+y x−y sin ; 2 2 • relazioni fra le coordinate cartesiane (x, y) e le coordinate polari (r, ϕ) di un punto del piano (Paragrafo 6.4): sin x − sin y = 2 cos
x = r cos ϕ , y = r sin ϕ , x y r = √x 2 + y2 , cos ϕ = , sin ϕ = ; 2 2 2 √x + y √x + y2
Bestiario, II: funzioni trascendenti 259
• relazione fra il periodo P e la frequenza angolare ω di una funzione sinusoidale (Paragrafo 6.5): P=
2π ; ω
• termine generale di una successione (o progressione) aritmetica di ragione m (Paragrafo 6.6): an = a0 + nm ; • termine generale di una successione (o progressione) geometrica di ragione p (Paragrafo 6.6): gn = g0 pn ; • formula per la somma dei primi n + 1 termini di una successione aritmetica di ragione m (Paragrafo 6.6): n
∑(a0 + jm) = (n + 1) [a0 + j=0
mn ] ; 2
• formula per la somma dei primi n + 1 termini di una successione geometrica di ragione p ≠ 0, 1 (Paragrafo 6.6): n
∑ g0 pj = g0 j=0
1 − pn+1 ; 1−p
• somma di una serie geometrica di ragione 0 < p < 1 (Paragrafo 6.6): +∞
∑ pj = j=0
1 . 1−p