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CAPITOLO
9
Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi Sommario 9.1 9.2
La teoria della cinetica molecolare dei liquidi e dei solidi Le forze intermolecolari Le forze dipolo-dipolo • Le forze ione-dipolo • Le forze di dispersione • Il legame idrogeno
9.3
Le proprietà dei liquidi La tensione superficiale • Viscosità • La struttura e le proprietà dell’acqua
9.4
La struttura cristallina
9.5 9.6
La diffrazione dei raggi X nei cristalli I legami nei solidi
L’impaccamento delle sfere
I cristalli ionici • I cristalli molecolari • I cristalli covalenti • I cristalli metallici
I passaggi di stato
©Ken Karp/McGraw-Hill Education
9.7
L’equilibrio liquido-vapore • L’equilibrio liquido-solido • L’equilibrio solido-vapore
9.8
I diagrammi di stato Il biossido di carbonio • L’acqua
Concetti fondamentali Le forze intermolecolari Le forze intermolecolari, che sono responsabili del comportamento non ideale dei gas, giustificano anche l’esistenza degli stati condensati della materia – quello liquido e quello solido. Queste interazioni s’instaurano tra molecole polari, tra ioni e molecole polari, e tra molecole apolari. Un tipo speciale di forza intermolecolare, denominato legame idrogeno, descrive l’interazione tra l’atomo di idrogeno coinvolto in un legame polare e un atomo elettronegativo come O, N o F. Lo stato liquido I liquidi tendono ad assumere le forme dei loro contenitori. La tensione superficiale di un liquido è l’energia necessaria per aumentare la sua area superficiale. Si manifesta nella sua azione capillare, che è responsabile dell’innalzamento (o abbassamento) di un liquido in un piccolo tubicino. La viscosità è la misura della resistenza di un liquido al fluire. Essa diminuisce sempre all’aumentare della temperatura. La struttura dell’acqua presenta la singolarità per cui il suo stato solido (il ghiaccio) è meno denso del suo stato liquido. Lo stato cristallino Un solido cristallino possiede un ordine rigido e a lungo raggio. È possibile ottenere differenti strutture cristalline impaccando sfere identiche in modi diversi nelle tre dimensioni. Il legame nei solidi Gli atomi, le molecole o gli ioni sono tenuti insieme in un solido mediante diversi tipi di legame. Le for-
In condizioni atmosferiche, il biossido di carbonio solido non fonde; può soltanto sublimare.
ze elettrostatiche sono responsabili della formazione dei solidi ionici, le forze intermolecolari dei solidi molecolari, i legami covalenti dei solidi covalenti e un tipo particolare d’interazione, che coinvolge elettroni delocalizzati sull’intero cristallo, spiega l’esistenza dei metalli. I passaggi di stato È possibile passare da uno stato all’altro della materia mediante riscaldamento o raffreddamento. Due fasi si trovano all’equilibrio alla temperatura di transizione, come durante l’ebollizione o il congelamento. I solidi possono anche essere convertiti direttamente in vapore mediante la sublimazione. Al di sopra di una determinata temperatura, il gas di una sostanza non può essere liquefatto. Le relazioni pressionetemperatura per gli stati solido, liquido e vapore sono perfettamente rappresentate in un diagramma di stato.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
9.1
La teoria della cinetica molecolare dei liquidi e dei solidi
Nel Capitolo 8 abbiamo usato la teoria della cinetica molecolare per spiegare il comportamento dei gas in termini di movimento costante e casuale delle sue molecole. Nei gas, le distanze tra le molecole sono così grandi (se confrontate con i loro diametri) che a temperatura e pressione ordinaria (cioè a 25 °C e 1 atm) non si registra alcuna apprezzabile interazione tra le molecole. Poiché vi è una grande quantità di spazio vuoto in un gas – cioè spazio non occupato da molecole – questo può essere facilmente compresso. La mancanza di forti interazioni tra le molecole, inoltre, permette a un gas di espandersi fino a riempire il volume del suo contenitore. In aggiunta, la grande quantità di spazio vuoto a disposizione spiega anche perché i gas abbiano densità molto basse in condizioni normali. I liquidi e i solidi sono tutta un’altra storia. La principale differenza tra gli stati condensati (ovvero i liquidi e i solidi) e lo stato gassoso è data dalla distanza tra le molecole. In un liquido, le molecole sono così ravvicinate che lo spazio vuoto è ridotto al minimo. I liquidi sono quindi molto più resistenti alla compressione e sono anche molto più densi in condizioni normali. Le molecole in un liquido sono tenute insieme da uno o più tipi di forze attrattive, che saranno discusse nel Paragrafo 9.2. Un liquido possiede anche un volume definito, perché le molecole in un liquido non riescono a sfuggire alle loro forze attrattive. Tuttavia, le molecole possono scorrere l’una sull’altra liberamente e questo permette ai liquidi di fluire, essere versati e assumere la forma del loro contenitore. In un solido le molecole sono rigidamente mantenute nella loro posizione, quasi senza alcuna libertà di movimento. Molti solidi sono caratterizzati da un ordine a lungo raggio; questo significa che le molecole sono disposte in configurazioni regolari nelle tre dimensioni. In un solido c’è persino meno spazio vuoto che in un liquido. Quindi, i solidi sono quasi incomprimibili e possiedono forma e volume definiti. Salvo pochissime eccezioni (e l’acqua è la più importante), per una data sostanza, la densità della forma solida è maggiore di quella della forma liquida. Non è insolito che due stati di una sostanza coesistano. Un cubetto di ghiaccio (solido) che galleggia in un bicchiere d’acqua (liquido) costituisce un esempio a noi familiare. Per ogni differente stato di aggregazione di una sostanza, si dice che esso appartiene a una fase diversa. Dunque, il nostro bicchiere d’acqua e ghiaccio contiene sia la fase solida sia quella liquida dell’acqua. Una fase indica più generalmente una porzione di materia chimicamente e fisicamente omogenea. La Tabella 9.1 riassume alcune delle proprietà caratteristiche dei tre stati della materia.
Per semplicità utilizziamo il termine “forze intermolecolari” sia per gli atomi sia per le molecole.
Tabella 9.1
Stato della materia
9.2
Le forze intermolecolari
Le forze intermolecolari sono le forze che s’instaurano tra le molecole. Esse sono le responsabili del comportamento non ideale dei gas descritto nel Capitolo 8. Tuttavia,
Le proprietà caratteristiche dei gas, dei liquidi e dei solidi
Volume/Forma
Densità
Comprimibilità
Movimento delle molecole
Gas
Assume il volume e la forma del suo contenitore
Bassa
Molto comprimibile
Movimento molto libero
Liquido
Ha un volume definito, ma assume la forma del suo contenitore
Alta
Solo debolmente comprimibile
Scorrono l’una sull’altra liberamente
Solido
Ha volume e forma definiti
Alta
Quasi incomprimibile
Vibrano intorno a posizioni fisse
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
esercitano un’influenza ancora maggiore negli stati condensati – i liquidi e i solidi. Quando la temperatura di un gas cala, l’energia cinetica media delle sue molecole diminuisce. Alla fine, raggiunta una temperatura sufficientemente bassa, le molecole non hanno più un’energia cinetica sufficiente per sottrarsi all’attrazione delle molecole vicine. A questo punto queste si aggregano per formare piccole gocce di liquido. Questa transizione dalla fase gassosa a quella liquida è nota come condensazione. Al contrario delle forze intermolecolari, le forze intramolecolari tengono insieme gli atomi all’interno di una molecola (il legame chimico, discusso nei Capitoli 6 e 7, coinvolge forze intramolecolari). Le forze intramolecolari stabilizzano le singole molecole, mentre le forze intermolecolari sono principalmente responsabili della maggior parte delle proprietà della materia (per esempio, del punto di fusione e di ebollizione). Generalmente le forze intermolecolari sono più deboli delle forze intramolecolari. Solitamente è richiesta molta meno energia per far evaporare un liquido rispetto a quella necessaria per rompere i legami all’interno delle molecole del liquido. Per esempio, sono necessari circa 41 kJ di energia per vaporizzare una mole d’acqua al suo punto di ebollizione; ma per rompere i due legami OH in una mole di molecole d’acqua servono circa 930 kJ di energia. I punti di ebollizione delle sostanze spesso rispecchiano l’intensità delle forze intermolecolari che operano tra le molecole. Al punto di ebollizione, deve essere fornita energia sufficiente per vincere le forze attrattive tra le molecole prima che queste possano passare alla fase vapore. Se è richiesta una maggiore quantità di energia per separare le molecole della sostanza A rispetto a quelle della sostanza B, poiché le molecole di A sono tenute insieme da attrazioni intermolecolari più forti, allora il punto di ebollizione di A sarà maggiore di quello di B. Lo stesso principio viene applicato anche ai punti di fusione delle sostanze. In generale, i punti di fusione delle sostanze aumentano con l’intensità delle forze intermolecolari. Per discutere le proprietà della materia condensata dobbiamo conoscere i diversi tipi di forze intermolecolari. Le forze dipolo-dipolo, dipolo-dipolo indotto e le forze di dispersione costituiscono quello che i chimici comunemente chiamano forze di van der Waals, dal fisico olandese Johannes van der Waals (vedi Paragrafo 8.7). Gli ioni e i dipoli si attraggono l’un l’altro mediante forze elettrostatiche chiamate forze ionedipolo, che non sono forze di van der Waals. Il legame idrogeno è un tipo particolarmente forte d’interazione dipolo-dipolo. Poiché solo pochi elementi possono partecipare alla formazione del legame idrogeno, questo è trattato come una categoria a parte. In base alla fase di una sostanza, la natura dei legami chimici e i tipi di elementi presenti, più di un tipo d’interazione può contribuire all’attrazione totale tra le molecole, come vedremo di seguito.
9.2.1
Le forze dipolo-dipolo
Le forze dipolo-dipolo sono forze tra molecole polari, cioè tra molecole che possiedono momenti di dipolo (vedi Paragrafo 7.2). La loro origine è elettrostatica e possono essere spiegate in base alla legge di Coulomb. Maggiore è il momento di dipolo, maggiore è la forza. La Figura 9.1 mostra l’orientazione delle molecole polari in un solido. Nei liquidi le molecole polari non si dispongono così rigidamente come in un solido, ma tendono ad allinearsi in modo da massimizzare mediamente l’interazione attrattiva.
Alcuni fenomeni come i passaggi di stato avvengono per particolari coppie di valori temperatura-pressione dette punti. In questo testo utilizzeremo spesso il termine "punto" come sinonimo di temperatura misurata a 1 atm, detta anche temperatura "normale".
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–
+
–
Figura 9.1 Le molecole che hanno un momento di dipolo permanente, tendono ad allinearsi con polarità opposte nella fase solida per massimizzare l’interazione attrattiva. Na+
9.2.2
Le forze ione-dipolo
La legge di Coulomb spiega anche le forze ione-dipolo, che sono in grado d’indurre un’attrazione reciproca tra uno ione (sia catione sia anione) e una molecola polare (Figura 9.2). La forza di questa interazione dipende dalla carica e dalla dimensione dello ione e dalla misura del momento di dipolo e della dimensione della molecola. Le cariche sui cationi sono generalmente più concentrate perché i cationi sono solitamente
–
+
+
–
I–
Figura 9.2 Due tipi d’interazione ionedipolo.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
Interazione debole Na+
Interazione forte
Mg2+
(a)
(b)
Figura 9.3
(a) Interazione di molecole d’acqua con lo ione Na+ e lo ione Mg2+. (b) Nelle soluzioni acquose, gli ioni metallici sono abitualmente circondati da sei molecole d’acqua in una disposizione ottaedrica.
Il debye (D) è l'unità di misura del momento di dipolo elettrico. Nel Sistema Internazionale, 1 D = 3.336 10-30 C · m.
più piccoli degli anioni. Di conseguenza, un catione interagisce più efficacemente con un dipolo di quanto non faccia un anione avente la stessa carica. L’idratazione, discussa nel Paragrafo 10.6.1, è un esempio d’interazione ione-dipolo. La Figura 9.3 mostra l’interazione ione-dipolo degli ioni Na+ e Mg2+ con una molecola d’acqua, che presenta marcato momento di dipolo (1.87 D). Poiché lo ione Mg2+ ha una carica maggiore e un minore raggio atomico (78 pm) dello ione Na+ (98 pm), questi interagisce maggiormente con le molecole d’acqua (in realtà ciascuno ione è circondato da un certo numero di molecole d’acqua in soluzione). Osservazioni analoghe si possono fare anche per anioni di cariche e dimensioni differenti.
9.2.3 (a) Dipolo indotto
Catione
–
+
+
(b) Dipolo indotto Dipolo – +
–
+
(c)
Figura 9.4 (a) Distribuzione di carica sferica in un atomo di elio. (b) Distorsione provocata dall’avvicinamento di un catione. (c) Distorsione causata dall’avvicinamento di un dipolo.
Le forze di dispersione
Quali interazioni attrattive esistono nelle sostanze apolari? Per trovare la risposta a questa domanda consideriamo la disposizione illustrata nella Figura 9.4. Se poniamo uno ione o una molecola polare accanto a un atomo (o a una molecola apolare), la distribuzione elettronica dell’atomo (o molecola) viene deformata dalla forza esercitata dallo ione o molecola polare, portando alla formazione di un dipolo. Il dipolo nell’atomo (o nella molecola apolare) viene detto dipolo indotto perché la separazione delle cariche positive e negative nell’atomo (o molecola apolare) è dovuta alla vicinanza di uno ione o di una molecola polare. L’interazione attrattiva tra uno ione e il dipolo indotto è detta interazione ione-dipolo indotto. La facilità con cui può essere indotto un momento di dipolo dipende non solo dalla carica sullo ione o dall’intensità del dipolo, ma anche dalla polarizzabilità dell’atomo o molecola – cioè, la facilità con cui la distribuzione elettronica nell’atomo (o molecola) può essere deformata. Solitamente, maggiore è il numero di elettroni e più ampiamente è diffusa la nube elettronica nell’atomo (o molecola), maggiore è la sua polarizzabilità. Per nube diffusa intendiamo una nube elettronica che sia distribuita su un volume apprezzabile, così che gli elettroni non siano strettamente vincolati al nucleo. La polarizzabilità permette a gas costituiti da atomi o molecole apolari (per esempio, He e N2) di condensare. In un atomo di elio gli elettroni si muovono a una certa distanza dal nucleo. A ogni istante è come se l’atomo avesse un momento di dipolo creato dalle specifiche posizioni degli elettroni. Questo momento di dipolo è detto dipolo istantaneo
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
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Figura 9.5 Dipoli indotti che interagiscono tra di loro. Tali modelli esistono soltanto temporaneamente; nell’istante successivo si formano nuove distribuzioni. Questo tipo d’interazione è responsabile della condensazione dei gas apolari.
perché esso dura appena una piccola frazione di secondo. All’istante successivo, trovandosi gli elettroni in posizioni differenti, l’atomo presenta un nuovo dipolo istantaneo e tale situazione si ripete per ogni ulteriore istante successivo. Tuttavia, mediamente (cioè nel tempo necessario per misurare un momento di dipolo), l’atomo non presenta momento di dipolo, perché i dipoli istantanei si annullano l’uno con l’altro. In un insieme di atomi di He, un dipolo istantaneo di un atomo He può indurre un dipolo in ciascuno degli atomi più vicini (Figura 9.5). Un istante dopo, un diverso dipolo istantaneo può creare temporaneamente dei dipoli negli atomi di He circostanti. L’aspetto importante è che questo tipo d’interazione produce forze di dispersione, forze attrattive che s’instaurano a seguito di dipoli temporanei indotti in atomi o molecole. A temperature molto basse (e velocità atomiche ridotte) le forze di dispersione risultano abbastanza forti da tenere insieme gli atomi di He, inducendo la condensazione del gas. L’attrazione tra molecole apolari può essere spiegata in modo analogo. Un’interpretazione quantomeccanica dei dipoli temporanei fu fornita dal fisico tedesco Fritz London1 nel 1930. London dimostrò come l’intensità di questa interazione attrattiva sia direttamente proporzionale alla polarizzabilità dell’atomo o molecola. Come potremmo aspettarci, le forze di dispersione possono essere piuttosto deboli. Ciò è certamente vero per l’elio, che ha un punto di ebollizione di soli 4.2 K, o 269 °C (nota che l’elio ha solo due elettroni, costretti nell’orbitale 1s; di conseguenza, l’atomo di elio ha una bassa polarizzabilità). Le forze di dispersione, anche dette forze di London, aumentano solitamente all’aumentare della massa molecolare, perché le molecole con una massa maggiore solitamente hanno più elettroni e le forze di dispersione aumentano in intensità con il numero di elettroni. Inoltre, massa maggiore spesso significa atomo più grande, la cui distribuzione elettronica è perturbata più facilmente, perché gli elettroni più esterni sono attratti più debolmente dal nucleo. La Tabella 9.2 mette a confronto i punti di fusione di sostanze simili che sono costituite da molecole apolari. Come previsto, il punto di fusione aumenta all’aumentare del numero di elettroni nella molecola. Poiché queste sono tutte molecole apolari le uniche forze intermolecolari attrattive presenti sono le forze di dispersione. In molti casi, le forze di dispersione sono paragonabili o persino maggiori delle forze dipolo-dipolo tra molecole polari. Come esempio lampante, confrontiamo i punti di ebollizione di CH3F (78.4 °C) e CCl4 (76.5 °C). Sebbene CH3F abbia un momento di dipolo di 1.8 D, esso bolle a una temperatura decisamente più bassa di CCl4, che è una molecola apolare. CCl4 bolle a una temperatura maggiore semplicemente perché contiene più elettroni. Di conseguenza, le forze di dispersione tra le molecole di CCl4 sono più forti della somma delle forze di dispersione e delle forze dipolo-dipolo tra le molecole di CH3F (tieni a mente che le forze di dispersione si hanno tra specie di qualsiasi tipo, sia che siano neutre o che presentino una carica netta sia che siano polari o apolari). 1
Fritz London (1900-1954). Fisico tedesco. London fu un fisico teorico il cui lavoro riguardò principalmente la superconduttività nell’elio liquido.
Tabella 9.2 Punti di fusione di composti apolari simili
Composto
Punto di fusione (°C)
CH4
182.5
CF4
150.0
CCl4
23.0
CBr4 CI4
90.0 171.0
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
Esempio 9.1 Stabilisci i tipi di forze intermolecolari che si hanno tra le seguenti coppie di composti: (a) HBr e H2S; (b) Cl2 e CBr4; (c) I2 e NO3; (d) NH3 e C6H6.
Impostazione Classifichiamo le specie secondo tre categorie: ionica, polare (che possiede un momento di dipolo) e apolare. Tieni a mente che le forze di dispersione si realizzano tra tutte le specie. Soluzione (a) Sia HBr sia H2S sono molecole polari: Dipolo risultante
Quindi, le forze intermolecolari presenti sono forze dipolo-dipolo, così come pure le forze di dispersione. (b) Sia Cl2 sia CBr4 sono apolari (m = 0), perciò ci sono solo forze di dispersione tra queste molecole.
Problema simile: 9.10. Risposta: (a) forze ioniche e di dispersione, (b) forze di dispersione, (c) forze dipolodipolo e di dispersione.
(c) I2 è una molecola diatomica omonucleare e quindi apolare, perciò le forze che si verificano tra questa e lo ione NO3 sono forze ione-dipolo indotto e forze di dispersione. (d) NH3 è polare mentre C6H6 è apolare. Le forze sono di tipo dipolo-dipolo indotto e forze di dispersione.
Problema di verifica Indica i tipi di forze intermolecolari che si hanno tra le molecole (o le unità base) in ciascuna delle seguenti specie: (a) LiF; (b) CH4; (c) SO2.
9.2.4
Il legame idrogeno
Generalmente, i punti di ebollizione di una serie di composti simili, contenenti elementi dello stesso gruppo, aumentano all’aumentare della massa molecolare. Questo incremento del punto di ebollizione è dovuto all’aumento delle forze di dispersione per molecole aventi un maggior numero di elettroni. Gli idruri del Gruppo 4A seguono questo andamento, come mostrato nella Figura 9.6. Il composto più leggero, CH4, ha il punto di ebollizione più basso, mentre il composto più pesante, SnH4, ha il punto di ebollizione più alto. Tuttavia, gli idruri degli elementi dei Gruppi 5A, 6A, e 7A deviano da questo trend. In ciascuna di queste serie, il composto più leggero (NH3, H2O e HF) ha il punto di ebollizione più alto, contrariamente a quanto ci aspetteremmo in base alle masse molecolari. Questa osservazione deve significare che ci sono attrazioni intermolecolari più forti in NH3, H2O e HF rispetto a quelle che coinvolgono le altre molecole degli stessi gruppi. Infatti, questo tipo particolarmente forte di attrazione intermolecolare è detto legame idrogeno, un tipo d’interazione dipolo-dipolo
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
Figura 9.6 100
H2O
Punto di ebollizione (°C)
Gruppo 6A HF 0
H2Te SbH3
Gruppo 7A H2Se
NH3
H2S
Gruppo 5A
AsH3
HCl
–100
HI
Punti di ebollizione dei composti dell’idrogeno con gli elementi dei Gruppi 4A, 5A, 6A e 7A. Sebbene ci aspettiamo che normalmente il punto di ebollizione aumenti scendendo lungo il gruppo, notiamo che tre composti (NH3, H2O e HF) si comportano diversamente. L’anomalia può essere spiegata in termini di legami idrogeno intermolecolari.
SnH4 HBr GeH4
PH3 SiH4
Gruppo 4A CH4 –200 2
3
4
5
Periodo
tra l’atomo di idrogeno coinvolto in un legame polare, come NH, OH o FH, e un atomo elettronegativo O, N o F. L’interazione è così rappresentata: AH … B
o
1A
8A 2A
3A 4A 5A 6A 7A N O F
AH … A
A e B rappresentano O, N o F; AH è una molecola o parte di essa e B è parte di un’altra molecola; la linea puntinata rappresenta il legame idrogeno. I tre atomi sono solitamente disposti linearmente, ma l’angolo AHB (o AHA) può deviare anche di 30° dalla linearità. Nota come gli atomi O, N e F possiedano tutti almeno una coppia elettronica solitaria che può interagire con l’atomo di idrogeno nella formazione del legame idrogeno. L’energia media di un legame idrogeno è abbastanza alta per trattarsi di una semplice interazione dipolo-dipolo (arriva fino a 40 kJ/mol). Quindi, il legame idrogeno ha un forte effetto sulle strutture e le proprietà di molti composti. La Figura 9.7 mostra diversi esempi di legame idrogeno. La forza di un legame idrogeno è determinata dall’interazione coulombiana tra la coppia elettronica solitaria dell’atomo elettronegativo e il nucleo dell’atomo di idrogeno. Per esempio, il fluoro è più elettronegativo dell’ossigeno e quindi ci aspettiamo un legame idrogeno più forte in HF liquido rispetto a quello presente in H2O. In fase liquida, le molecole di HF formano catene a zigzag.
I tre elementi più elettronegativi che prendono parte al legame idrogeno.
Figura 9.7 H H― O :⋯H― O :
|
H
|
H
H
| H― N :⋯H― O : | | H
H
| |
| |
H― N :⋯H― N : H
H
H
|
H
H H
| H― F :⋯H― N : | H
| |
H― O :⋯H― N : H
H
| |
H― N :⋯H― F : H
Legame idrogeno nell’acqua, nell’ammoniaca e nell’acido fluoridrico. Le linee intere rappresentano i legami covalenti, quelle puntinate rappresentano i legami idrogeno.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
I legami idrogeno sono interazioni non covalenti deboli, di natura essenzialmente elettrostatica, che coinvolgono un atomo di idrogeno (H) legato a un atomo più elettronegativo (donatore di legame idrogeno), come ossigeno (O), azoto (N) o anche zolfo (S), e un altro atomo elettronegativo (accettore di legame idrogeno) appartenente a un’altra molecola (legame intermolecolare) o a una parte diversa della stessa molecola (legame intramolecolare). I legami idrogeno sono molto più deboli delle interazioni covalenti; parliamo di 1-10 kcal/mol (4-42 kJ/mol) rispetto ai 100 kcal/mol (418 kJ/mol) di un legame carbonio-idrogeno covalente. Essi sono anche più lunghi dei legami covalenti e sono caratterizzati da una forte direzionalità: i legami idrogeno più forti sono quelli in cui i tre atomi coinvolti XH―Y sono collineari. I legami idrogeno giocano un ruolo fondamentale nella biochimica dei processi della vita, così come nelle stabilizzazione delle strutture di macromolecole biologiche [acidi nucleici (DNA e RNA), proteine] e nelle loro interazioni con altre molecole, inclusa l’acqua. L’acqua è il solvente naturale ed è una molecola polare che forma con se stessa una rete di legami idrogeno. Questo tipo di interazioni reversibili, non covalenti, sono essenziali, per esempio, per una replicazione efficiente dell’acido desossiribonucleico (DNA), determinando la struttura tridimensionale delle proteine (detto folding) e, di conseguenza, la loro funzione biologica. Sono anche fondamentali nei processi di riconoscimento dei substrati da parte degli enzimi, proteine che catalizzano specifiche reazioni chimiche necessarie al metabolismo e al funzionamento cellulare. Oltre agli enzimi, esistono altre proteine (quali gli anticorpi, l’emoglobina, le albumine e molte altre, determinanti per i processi cellulari) tutte con ruoli importanti nelle reazioni chimiche che avvengono in vivo e la cui specificità è strettamente legata alla possibilità di formare legami idrogeno. Accanto al legame
©Double Brain/Shutterstock
Il legame idrogeno nei sistemi biologici
Struttura del DNA.
H, esistono anche altre interazioni covalenti importanti anche se meno specifiche come le interazioni elettrostatiche e le interazioni di Van der Waals. La biochimica è la chimica di tutti i processi che accadono all’interno degli esseri viventi.
©molekuul/123RF
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Struttura tridimensionale della proteina prionica umana (hPrP). Tale proteina è associata a malattie neurodegenerative come la malattia di CreutzfeldtJakob.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
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Il punto di ebollizione di HF è più basso di quello dell’acqua perché ciascuna molecola di H2O è coinvolta in ben quattro legami idrogeno intermolecolari. Quindi, le forze che tengono insieme le molecole sono maggiori in H2O di quanto non lo siano in HF. Torneremo su questa importantissima proprietà dell’acqua nel Paragrafo 9.3.
Esempio 9.2 Stabilisci quale dei seguenti composti può dare legami idrogeno con l’acqua: CH3OCH3; CH4; F; HCOOH; Na+.
Impostazione Una specie può formare legami idrogeno con l’acqua se contiene uno dei tre elementi elettronegativi (F, O o N) o ha un atomo H legato a uno di questi tre elementi.
Soluzione Non ci sono elementi elettronegativi (F, O o N) né in CH4 né in Na+. Quindi, solo CH3OCH3, F e HCOOH possono formare legami idrogeno con l’acqua. O H H
HCOOH forma legami idrogeno con due molecole d’acqua.
O H―C
O―H
O
H F H
−
H―O
H3C―O
H―O
H
H3C
H
|
|
|
Controllo Nota che HCOOH (acido formico) può formare legami idrogeno con l’acqua in due modi differenti.
Poblema simile: 9.12.
Problema di verifica Stabilisci quali tra le seguenti specie sono in grado di dare legami idrogeno con loro stesse: (a) H2S; (b) C6H6; (c) CH3OH.
Le forze intermolecolari discusse finora sono tutte di natura attrattiva. Tuttavia, tieni a mente che le molecole esercitano anche delle forze repulsive l’una con l’altra. Quindi, quando due molecole si avvicinano l’una all’altra, entrano in gioco le repulsioni tra gli elettroni e tra i nuclei. L’intensità della forza repulsiva aumenta molto velocemente al diminuire della distanza che separa le molecole nello stato condensato. Questo è il motivo per cui è così difficile comprimere i liquidi e i solidi. In queste fasi le molecole sono già in stretto contatto tra loro e, quindi, resistono fortemente a un’ulteriore compressione.
9.3
Le proprietà dei liquidi
Le forze intermolecolari sono all’origine di una serie di caratteristiche strutturali e di proprietà dei liquidi. In questo paragrafo daremo uno sguardo a due di questi aspetti associati generalmente ai liquidi: la tensione superficiale e la viscosità. Poi tratteremo la struttura e le proprietà dell’acqua.
Risposta: CH3OH.
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274
CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
9.3.1
Figura 9.8
©Jan Miko/Shutterstock
Forze intermolecolari che agiscono su una molecola in uno strato superficiale del liquido e in una regione interna del liquido.
©Ken Karp/McGraw-Hill Education
La tensione superficiale permette agli insetti pattinatori di “camminare” sull’acqua.
La tensione superficiale
Le molecole all’interno di un liquido sono attratte in tutte le direzioni da forze intermolecolari; in nessun caso esse vengono attirate verso una singola specifica direzione. Tuttavia, se è vero che le molecole presenti sulla superficie sono tirate verso il basso e lateralmente dalle altre, esse non subiscono alcuna attrazione verso l’alto (Figura 9.8). Queste forze intermolecolari tendono, quindi, ad attirare le molecole verso l’interno del liquido e fanno sì che la superficie si tenda come un film elastico. Poiché c’è un’attrazione scarsa o nulla tra le molecole polari dell’acqua e, per esempio, quelle apolari della cera che ricopre una macchina appena lucidata, una goccia d’acqua sulla carrozzeria assume la forma di una piccola perlina rotonda, anche perché la forma sferica è quella che minimizza l’area superficiale del liquido. Si ha lo stesso effetto sulla superficie lucida di una mela bagnata (Figura 9.9). Una misura della forza elastica della superficie di un liquido è la tensione superficiale. La tensione superficiale è la quantità di energia richiesta per stirare o aumentare la superficie di un liquido di un’unità d’area (per esempio di 1 cm2). I liquidi che presentano forti interazioni intermolecolari hanno anche elevate tensioni superficiali. Quindi, grazie al legame idrogeno, l’acqua ha una tensione superficiale decisamente superiore rispetto alla maggior parte degli altri liquidi. Un altro esempio di tensione superficiale è dato dall’azione capillare. Due sono i tipi di forze coinvolte nell’azione capillare. Una è la coesione, che rappresenta l’attrazione intermolecolare tra molecole simili (in questo caso le molecole d’acqua). La seconda, detta adesione, è un’attrazione che si realizza tra molecole diverse, come quelle dell’acqua e quelle sulle pareti in vetro del tubo. Se l’adesione è più forte della coesione, come succede nella Figura 9.10a, il contenuto del tubo sarà spinto verso l’alto. Questo processo continua fino a quando la forza adesiva è bilanciata dal peso dell’acqua nel tubo. Questa proprietà non è affatto generale per i liquidi, come mostrato nella Figura 9.10b. Nel mercurio la coesione è maggiore dell’adesione tra il mercurio stesso e il vetro, e così, quando il tubicino capillare viene immerso nel mercurio, il risultato è una depressione o abbassamento al di sotto del livello del mercurio – cioè, l’altezza del liquido nel tubo capillare risulta inferiore al livello della superficie del mercurio nel contenitore.
9.3.2
Viscosità
La viscosità è una misura della resistenza del fluido al suo scorrere. Maggiore è la viscosità, più lentamente scorrerà il fluido. La viscosità di un liquido solitamente diminuisce all’aumentare della temperatura. Figura 9.9 Gocce d’acqua su una mela dalla superficie lucida.
Figura 9.10 (a) Quando l’adesione è maggiore della coesione, un liquido (per esempio, l’acqua) sale nel tubo capillare. (b) Quando la coesione è maggiore dell’adesione, come per il mercurio, si osserva una depressione del liquido nel tubo capillare. Nota che il menisco nel tubo dell’acqua è concavo, o arrotondato verso il basso, mentre quello nel tubo del mercurio è convesso, o arrotondato verso l’alto.
(a)
(b)
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
Tabella 9.3
Viscosità di alcuni tra i liquidi più comuni a 20 °C
Viscosità (N. s/m2)*
Liquido Glicerolo (C3H8O3)
1.49 4 103
Sangue
*
275
Mercurio (Hg)
1.55 103
Etanolo (C2H5OH)
1.20 103
Acqua (H2O)
1.01 103
Tetracloruro di carbonio (CCl4)
9.69 104
Benzene (C6H6)
6.25 104
Acetone (C3H6O)
3.16 104
Etere dietilico (C2H5OC2H5)
2.33 104
L’unità di misura SI per la viscosità è newton-secondo per metro quadro.
I liquidi che presentano forti interazioni intermolecolari hanno una maggiore viscosità di quelli che sono caratterizzati da interazioni intermolecolari deboli (Tabella 9.3). L’acqua ha una viscosità superiore a molti altri liquidi grazie alla sua capacità di formare legami idrogeno. È interessante, tuttavia, notare come il glicerolo (o glicerina) abbia viscosità sensibilmente maggiore rispetto a tutti gli altri liquidi riportati nella Tabella 9.3. Il glicerolo ha struttura: CH 2 ― OH
|
CH ― OH
|
CH 2 ― OH Come l’acqua, anche il glicerolo può dar luogo a legami idrogeno. Ciascuna molecola di glicerolo ha tre gruppi ―OH che possono partecipare al legame idrogeno con altre molecole della stessa sostanza. Inoltre, a causa della loro forma, le molecole hanno un’elevata tendenza ad aggrovigliarsi piuttosto che allinearsi come fanno le molecole dei liquidi meno viscosi. Queste interazioni contribuiscono alla sua elevata viscosità.
9.3.3
Il glicerolo è un liquido sciropposo incolore e inodore, utilizzato per fare esplosivi, inchiostri e lubrificanti.
La struttura e le proprietà dell’acqua
L’acqua è una sostanza così diffusa sulla Terra che spesso non cogliamo la sua unicità. È coinvolta in tutti i processi vitali. È un ottimo solvente per molti composti ionici, così come per altre sostanze in grado di formare legami idrogeno con le sue molecole. Come mostrato nella Tabella 6.2, l’acqua ha un calore specifico elevato. Il motivo è che per aumentare la temperatura dell’acqua (vale a dire per aumentare l’energia cinetica media delle molecole d’acqua), dobbiamo prima rompere i numerosi legami idrogeno intermolecolari. Dunque, l’acqua può assorbire una considerevole quantità di calore, mentre la sua temperatura aumenta di poco. È vero anche il contrario: l’acqua può fornire una grande quantità di calore anche solo con una leggera diminuzione della sua temperatura. Per questo motivo, l’enorme quantità d’acqua presente nei nostri laghi e mari è in grado di mitigare il clima dei territori circostanti assorbendo calore in estate per rifornirlo in inverno, il tutto con variazioni molto piccole della temperatura dell’acqua stessa. La proprietà più sorprendente dell’acqua è che la sua forma solida è meno densa di quella liquida: il ghiaccio galleggia sulla superficie dell’acqua liquida. La densità di quasi tutte le altre sostanze è maggiore nello stato solido che in quello liquido (Figura 9.11).
Se l’acqua non avesse la capacità di formare legami idrogeno, sarebbe un gas a temperatura ambiente.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
Figura 9.11
©Ken Karp/McGraw-Hill Education
A sinistra: cubetti di ghiaccio che galleggiano sull’acqua. A destra: benzene solido che cade sul fondo del benzene liquido.
Per capire come mai l’acqua abbia un comportamento differente, dobbiamo esaminare la struttura elettronica della molecola H2O. Come abbiamo visto nel Capitolo 6, vi sono due coppie elettroniche non di legame, o coppie solitarie, sull’atomo di ossigeno: O
H
Mappa del potenziale elettrostatico dell’acqua.
H
Sebbene molti composti siano in grado di formare legami idrogeno intermolecolari, la differenza tra l’acqua e le altre molecole polari, come NH3 e HF, è che ciascun atomo di ossigeno può formare due legami idrogeno, lo stesso numero delle coppie elettroniche solitarie presenti sull’atomo di ossigeno. Quindi, le molecole d’acqua sono legate insieme in un reticolo esteso nelle tre dimensioni in cui ciascun atomo di ossigeno è legato, con geometria approssimativamente tetraedrica, a quattro atomi di idrogeno, due mediante legami covalenti e altri due con legami idrogeno. Questa uguaglianza tra numero di legami idrogeno e numero di coppie elettroniche solitarie non si osserva per NH3 o HF o qualsiasi altra molecola in grado di formare legami idrogeno. Di conseguenza, queste molecole possono formare anelli o catene, ma non strutture tridimensionali. La struttura tridimensionale altamente ordinata del ghiaccio (Figura 9.12) impedisce alle molecole di avvicinarsi troppo l’una all’altra. Ma vediamo cosa succede
Figura 9.12 Struttura tridimensionale del ghiaccio. Ogni atomo di O è legato a quattro atomi di H. I legami covalenti sono mostrati da piccole linee intere e i legami idrogeno più deboli tra O e H da linee puntinate. Lo spazio vuoto nella struttura spiega la bassa densità del ghiaccio.
=O =H
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
9.4
1.00 Densità (g/mL)
quando il ghiaccio fonde. Al punto di fusione, un certo numero di molecole d’acqua ha energia cinetica sufficiente per liberarsi dai legami idrogeno intermolecolari. Queste molecole vengono intrappolate nelle cavità della struttura tridimensionale, che viene demolita in blocchi più piccoli. Di conseguenza, si hanno più molecole per unità di volume nell’acqua liquida di quante se ne abbiano nel ghiaccio. Quindi, poiché densità = massa/volume, la densità dell’acqua liquida è maggiore di quella del ghiaccio. Innalzando ulteriormente la temperatura appena sopra il punto di fusione, un maggior numero di molecole si libera dai legami idrogeno intermolecolari facendo aumentare sempre più la densità dell’acqua. Ovviamente, allo stesso tempo, poiché è stata riscaldata, l’acqua si espande e questo, invece, fa diminuire la sua densità. Questi due processi – l’intrappolamento delle molecole d’acqua nelle cavità e l’espansione termica – agiscono in direzione opposta. Da 0 °C a 4 °C l’intrappolamento prevale e l’acqua diviene progressivamente più densa. Sopra i 4 °C, tuttavia, l’espansione termica predomina e la densità dell’acqua diminuisce all’aumentare della temperatura (Figura 9.13).
277
0.99 0.98 0.97 –20
0 20 40 60 Temperatura (°C)
80
Figura 9.13 Grafico della densità in funzione della temperatura per l’acqua liquida. La densità massima dell’acqua è raggiunta a 4 °C. La densità del ghiaccio a 0 °C è circa 0.92 g/cm3.
La struttura cristallina
I solidi possono essere divisi in due categorie: i cristallini e gli amorfi. Il ghiaccio è un esempio di solido cristallino. Un solido cristallino possiede un ordine ben definito e a lungo raggio; i suoi atomi, molecole o ioni occupano posizioni specifiche. La disposizione degli atomi, molecole o ioni all’interno del solido cristallino è tale da massimizzare le forze attrattive intermolecolari. Le forze responsabili della stabilità di un qualsiasi cristallo possono essere di diverso tipo: legami ionici, covalenti, forze di van der Waals, legami idrogeno o una combinazione di tutte queste. I solidi amorfi, come il vetro, non sono caratterizzati da un arrangiamento ben definito e da un ordine molecolare a lungo raggio. In questo paragrafo ci concentreremo sulla struttura dei solidi cristallini. L’unità strutturale ripetitiva di un solido cristallino è detta cella elementare. La Figura 9.14 mostra una cella elementare e la sua estensione nelle tre dimensioni. Ogni sfera rappresenta un atomo, uno ione o una molecola e viene detta punto reticolare. In molti cristalli, il punto reticolare non contiene effettivamente un atomo o uno ione o una molecola. Piuttosto, ci possono essere diversi atomi, ioni o molecole disposti in modo identico intorno a ciascun punto reticolare. Per semplicità, tuttavia, possiamo assumere che ciascun punto reticolare sia occupato da un atomo. Ogni solido cristallino può essere descritto mediante uno dei sette tipi di celle elementari mostrate nella Figura 9.15. La geometria della cella elementare cubica è particolarmente semplice perché tutti i lati e tutti gli angoli sono uguali. Ogni cella elementare, quando viene ripetuta nelle tre dimensioni dello spazio, dà luogo alla caratteristica struttura reticolare del solido cristallino. Figura 9.14 (a) Una cella elementare e (b) la sua estensione tridimensionale. Le sfere nere possono rappresentare sia atomi sia ioni sia molecole.
(a)
(b)
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
Figura 9.15 I sette tipi di cella elementare. L’angolo a è definito dai bordi b e c, l’angolo b dai bordi a e c, e l’angolo g dai bordi a e b.
b a α
β
c
γ Cubica semplice a=b=c α = β = γ = 90°
Tetragonale a=b≠c α = β = γ = 90°
Monoclina a≠b≠c γ ≠ α = β = 90°
9.4.1
Ortorombica a≠b≠c α = β = γ = 90°
Triclina a≠b≠c α ≠ β ≠ γ ≠ 90°
Romboedrica a=b=c α = β = γ ≠ 90°
Esagonale a=b≠c α ≠ β = 90°, γ = 120°
L’impaccamento delle sfere
Possiamo comprendere i requisiti geometrici generali per la formazione del solido cristallino considerando i diversi modi in cui delle sfere identiche (per esempio, delle palline da ping-pong) possono essere impaccate per formare una struttura tridimensionale ordinata. Il modo in cui le sfere vengono disposte sui piani determina il tipo di cella elementare coinvolta. Nel caso più semplice, uno strato di sfere può essere disposto come mostrato nella Figura 9.16a. La struttura tridimensionale può essere generata posizionando nuovi strati sopra e sotto il piano, in modo tale che le sfere di uno strato siano perfettamente sovrapposte a quelle dello strato sottostante. Questa procedura può essere estesa per generare un numero elevato di strati, come avviene in un cristallo. Concentrandoci sulla sfera contrassegnata con x, vediamo come questa sia a contatto con altre quattro sfere sul suo stesso piano, con una sul piano superiore e una su quello inferiore. Con questa disposizione ogni sfera ha un numero di coordinazione pari a 6 perché conta sei sfere nell’immediata vicinanza. Il numero di coordinazione è definito come il numero di atomi (o ioni) che circondano un atomo (o ione) in un reticolo cristallino. L’unità ripetitiva base per questa disposizione di sfere è detta cella cubica semplice (cs) (Figura 9.16b). Gli altri tipi di celle cubiche sono la cubica a corpo centrato (ccc) e la cubica a facce centrate (cfc) (Figura 9.17). Una distribuzione di tipo cubico a corpo centrato si differenzia dal cubico semplice perché il secondo strato di sfere va a riempire le cavità del primo strato, mentre il terzo si dispone nelle cavità del secondo. Il numero Figura 9.16 Disposizione di sfere identiche in un reticolo cubico semplice. (a) Vista dall’alto di uno strato di sfere. (b) Definizione di un reticolo cubico semplice. (c) Poiché ogni sfera è condivisa da otto celle elementari e poiché ci sono otto angoli in un cubo, c’è l’equivalente di una sfera intera dentro una cella elementare cubica semplice.
x
(a)
(b)
(c)
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Figura 9.17 Tre tipi di celle cubiche. Nella realtà, in queste celle cubiche, le sfere che rappresentano atomi, molecole o ioni sono in contatto l’una con l’altra.
Cubica semplice
Cubica a corpo centrato
Cubica a facce centrate
di coordinazione di ciascuna sfera in questa struttura è pari a 8 (ciascuna sfera è a contatto con 4 sfere del piano superiore e 4 sfere del piano inferiore). Nella cella cubica a facce centrate, oltre alle otto sfere posizionate nei vertici, ci sono 6 sfere centrate su ciascuna delle facce e il numero di coordinazione per ciascuna sfera è 12. Poiché in un reticolo cristallino ogni cella elementare è adiacente ad altre celle, la maggior parte degli atomi di una cella è condivisa con le celle vicine. Per esempio, in tutti i tipi di cella cubica, ogni atomo posto sui vertici appartiene a 8 celle elementari (Figura 9.18a); un atomo lungo un bordo è condiviso con altre quattro celle elementari (Figura 9.18b) e un atomo centrato su di una faccia appartiene contemporaneamente a due celle (Figura 9.18c). Poiché ogni sfera posta su un vertice è condivisa tra otto celle elementari e ci sono otto vertici in un cubo, all’interno di una cella cubica semplice vi sarà complessivamente solo una sfera completa (Figura 9.19). Una cella cubica a corpo centrato conterrà l’equivalente di due sfere, una al centro più otto sfere ai vertici condivise con altre celle. Una cella cubica a facce centrate conterrà quattro sfere complete – tre derivanti dagli atomi centrati sulle sei facce e una dalle sfere poste sui vertici. La Figura 9.19 riassume anche la relazione tra il raggio atomico r e la lunghezza del bordo a per una cella cubica semplice, una cubica a corpo centrato e una cubica a facce centrate. Questa relazione può essere usata per determinare la densità di un cristallo, come mostrato nell’Esempio 9.3.
(a)
(b)
(c)
Figura 9.18 (a) In ogni cella, un atomo al vertice è condiviso tra otto celle elementari. (b) Un atomo sul bordo è condiviso tra quattro celle. (c) Un atomo centrato su una faccia in una cella cubica è condiviso tra due celle elementari.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
b
c
r
a
b
a
r
cs
ccc
a = 2r
b2 = a2 + a2
r
a
cfc b = 4r b2 = a2 + a2 16r2 = 2a2 a = √8r
c2 = a2 + b2 = 3a2 c = √3a = 4r a = 4r √3
Figura 9.19 La relazione tra la lunghezza del bordo (a) e il raggio (r) degli atomi in una cella cubica semplice (cs), in una cella cubica a corpo centrato (ccc) e in una cella cubica a facce centrate (cfc).
Esempio 9.3 L’oro (Au) cristallizza in una struttura cubica compatta (la cella elementare è cubica a facce centrate) e ha una densità di 19.3 g/cm3. Calcola il raggio atomico dell’oro in picometri.
Impostazione Vogliamo calcolare il raggio di un atomo d’oro. Per una cella elementare cubica a facce centrate, la relazione tra il raggio (r) e la lunghezza del bordo (a), in base alla Figura 9.19, è a = 8r . Quindi, per determinare r per un atomo Au dobbiamo trovare a. Il volume di un cubo è dato da V = a3 per cui a = 3 V Quindi, se possiamo determinare il volume della cella elementare, possiamo calcolare a. Il testo ci fornisce il valore della densità:
da trovare
massa densità = ———— volume nota
da calcolare
La sequenza dei passaggi è la seguente: densità della cella elementare
volume della cella elementare
lunghezza raggio del bordo della dell’atomo cella elementare Au
Soluzione Passaggio 1:
conosciamo la densità, quindi per determinare il volume dobbiamo trovare la massa della cella elementare. Ogni cella elementare ha otto vertici e sei facce. Il numero totale di atomi all’interno della cella, in base alla Figura 9.18, sarà: ⎛ ⎞ ⎛ ⎞ ⎜⎜8 × 1 ⎟⎟ + ⎜⎜6 × 1 ⎟⎟ = 4 ⎜⎝ 8 ⎟⎠ ⎜⎝ 2 ⎟⎠
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
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La massa di una cella elementare in grammi è: m=
4 atomi 1 mole 197.0 g Au × × 1 cella elementare 6.022 × 1023 atomi 1 mole Au
= 1.31 × 10−21 g/cella elementare
Dalla definizione di densità (d = m/V) calcoliamo il volume della cella come segue:
V =
Passaggio 2:
m 1.31 × 10−21 g = = 6.79 × 10−23 cm3 d 19.3 g/cm3
Ricorda che la densità è una proprietà intensiva, per cui è la stessa per una cella elementare e per 1 cm3 di sostanza.
poiché il volume è dato dalla lunghezza al cubo, estraiamo la radice cubica del volume della cella elementare per ottenere la lunghezza del bordo (a) della cella. a= 3 V = 3 6.79 × 10−23 cm3 = 4.08 × 10−8 cm
Passaggio 3:
dalla Figura 9.19 si può vedere che il raggio di un atomo d’oro (r) è collegato alla lunghezza del bordo dalla relazione: a = 8r Quindi
r=
a 4.08 × 10−8 cm = 8 8
= 1.44 × 10−8 cm = 1.44 × 10−8 cm ×
1 × 10−2 m 1 pm × 1 cm 1 × 10−12 cm
= 144 pm
Problema di verifica Quando l’argento cristallizza, forma celle cubiche a facce centrate. La lunghezza del bordo della cella è 408.7 pm. Calcolare la densità dell’argento.
9.5
La diffrazione dei raggi X nei cristalli
La struttura dei cristalli è notoriamente determinata mediante studi di diffrazione a raggi X. Con il termine diffrazione a raggi X s’intende la deviazione angolare (scattering) della propagazione dei raggi X da parte di una unità di un solido cristallino. La tipologia e l’entità dello scattering o diffrazione fornisce informazioni sull’arrangiamento delle particelle nel lattice solido. Nel Paragrafo 7.6, abbiamo discusso del fenomeno d’interferenza associato al moto ondulatorio. Essendo i raggi X un particolare tipo di radiazioni elettromagnetiche (e per-
Problema simile: 9.50.
Risposta: 10.50 g/cm3.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
Scudo Cristallo
Fascio di raggi X
Lastra fotografica
Generatore di raggi X (a)
(b)
Figura 9.20 (a) Allestimento per ottenere uno schema di diffrazione di un cristallo. Lo scudo (shield) impedisce ai raggi X non rifratti di danneggiare la lastra fotografica. (b) Schema di diffrazione del lisozima (una proteina) cristallino. La lettera “L” bianca è l’ombra del supporto del cristallo e dello scudo.
Figura 9.21
Raggi incidenti
Riflessione dei raggi X da due strati di atomi. L’onda inferiore percorre rispetto a quella superiore una distanza maggiore di 2d sin . Affinché le due onde ritornino in fase dopo la riflessione, deve verificarsi 2d sin = nl, dove l è la lunghezza del fascio di raggi X e n = 1, 2, 3 ... . I punti netti e definiti mostrati in Figura 9.20 si osservano solo se il cristallo è sufficientemente grande da contenere centinaia di strati atomici paralleli.
Raggi riflessi
A
θ
θ
θ θ d D
B d sin θ
C
d sin θ
tanto onde), ci aspettiamo che mostrino lo stesso comportamento in opportune condizioni. Nel 1912, il fisico tedesco Max von Laue2 affermò correttamente che, essendo la lunghezza d’onda dei raggi X confrontabile in dimensioni con la distanza tra due punti del lattice cristallino, il cristallo è in grado di diffrarre i raggi X. La sequenza di diffrazione dei raggi X è il risultato dell’interferenza delle onde a essi associate. La Figura 9.20 mostra un tipico allestimento per la diffrazione a raggi X. Un fascio di raggi X viene diretto verso un cristallo fissato su un supporto. Gli atomi del cristallo assorbono parte della radiazione incidente che viene poi riemessa; il processo è detto dispersione (scattering) dei raggi X. Per comprendere come viene generato lo schema di diffrazione, consideriamo lo scattering dei raggi X da parte di atomi in due piani paralleli (Figura 9.21). Inizialmente, i due raggi incidenti sono in fase tra loro (i loro massimi e minimi cadono nelle stesse identiche posizioni). Il raggio superiore viene deviato, o rifratto, da un atomo del primo strato, mentre quello inferiore viene deviato, o rifratto, da un atomo del secondo strato. Per ritornare in fase, l’onda inferiore deve percorrere una distanza 2
Max Theodor Felix von Laue (1879-1960). Fisico tedesco. Von Laue ricevette il premio Nobel per la fisica nel 1914 per la scoperta della diffrazione a raggi X.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
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aggiuntiva che è un multiplo intero della lunghezza d’onda (l) della radiazione a raggi X. Si ha quindi: BC + CD = 2 d sin θ = nλ
n = 1, 2, 3, ...
2 d sin θ = nλ
ovvero
(9.1)
dove è l’angolo compreso tra i raggi X e il piano del cristallo, d la distanza tra i piani adiacenti. L’Equazione (9.1) è nota come l’equazione di Bragg.3 La tecnica della diffrattometria a raggi X permette una determinazione accurata delle lunghezze e angoli di legame in molecole allo stato solido. Essendo i raggi X rifratti dagli elettroni, i chimici possono ricostruire la mappa di densità elettronica direttamente dagli schemi di diffrazione utilizzando complesse procedure matematiche. Sostanzialmente, la mappa a curve di livello della densità elettronica identifica le densità relative nei vari punti della molecola. Le densità raggiungono un massimo in prossimità del centro di ciascun atomo. In questo modo, diventa possibile determinare le posizioni dei nuclei e quindi tutti i parametri geometrici della molecola stessa.
9.6
I legami nei solidi
La struttura e le proprietà dei solidi cristallini, come il punto di fusione, la densità e la durezza, dipendono dalle forze attrattive che tengono insieme le particelle. Possiamo classificare i cristalli in base ai tipi di forze che s’instaurano tra le particelle: ionici, molecolari, covalenti e metallici (Tabella 9.4).
9.6.1
I cristalli ionici
I cristalli ionici sono costituiti da ioni tenuti insieme da legami ionici. La struttura di un cristallo ionico dipende dalle cariche sul catione e sull’anione e dai loro raggi. Abbiamo già visto la struttura del cloruro di sodio, che ha un reticolo cubico a facce centrate (vedi Figura 2.11). La Figura 9.22 mostra le strutture di altri tre cristalli ionici: CsCl, ZnS e CaF2. Poiché Cs+ è considerevolmente più grande di Na+, CsCl ha una struttura reticolare cubica semplice. ZnS ha la struttura della zincoblenda, che si basa su un reticolo a facce centrate. Se gli ioni S2 sono situati sui punti reticolari, gli ioni Tabella 9.4
Tipi di cristalli e proprietà generali
Tipo di cristallo
Forze che tengono insieme le particelle
Ionico
Attrazione elettrostatica
Molecolare*
Forze di dispersione, forze dipolo-dipolo, legami idrogeno
Covalente
Legame covalente
Metallico
Legame metallico
* In † Il
3
Proprietà generali
Esempi
Duro, friabile, elevato punto di fusione, cattivo conduttore termico ed elettrico Tenero, basso punto di fusione, cattivo conduttore termico ed elettrico
NaCl, LiF, MgO, CaCO3
Duro, elevato punto di fusione, cattivo conduttore termico ed elettrico Tenero o duro, punto di fusione basso o elevato, buon conduttore di calore ed elettricità
C (diamante),† SiO2 (quarzo)
questa categoria sono inclusi i cristalli costituiti da singoli atomi. diamante fa eccezione perché è un eccezionale conduttore termico.
William Henry Bragg (1862-1942). Fisico inglese. Il lavoro di Bragg si focalizzò per lo più sulla cristallografia a raggi X. Egli condivise il premio Nobel per la fisica con suo figlio Sir William Bragg nel 1915. Sir William Lawrence Bragg (1890-1972). Fisico inglese. Bragg formulò l’equazione fondamentale per la diffrazione a raggi X e condivise il premio Nobel in fisica con suo padre nel 1915.
Ar, CO2, I2, H2O, C12H22O11 (saccarosio)
Tutti gli elementi metallici; per esempio: Na, Mg, Fe, Cu
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
(a)
(b)
(c)
Figura 9.22 Strutture cristalline di (a) CsCl, (b) ZnS e (c) CaF2. In tutti i casi, il catione è la sfera più piccola.
Zn2+ si trovano a un quarto della distanza lungo la diagonale della cella. Altri composti ionici hanno una struttura tipo zincoblenda, inclusi CuCl, BeS, CdS e HgS. CaF2 ha la struttura della fluorite. Gli ioni Ca2+ sono situati sui punti reticolari e ciascun ione F è circondato tetraedricamente da quattro ioni Ca2+. Anche i composti SrF2, BaF2, BaCl2 e PbF2 hanno la struttura della fluorite. I solidi ionici hanno elevati punti di fusione, il che è indice di intense forze coesive che tengono insieme gli ioni. Questi solidi non conducono elettricità perché gli ioni hanno una posizione fissa. Tuttavia, allo stato fuso o disciolti in acqua, gli ioni sono liberi di muoversi e il liquido risultante è un buon conduttore elettrico.
Esempio 9.4 Quanti ioni Na+ e Cl si trovano in una cella elementare di NaCl?
Soluzione NaCl ha una struttura basata su un reticolo cubico a facce centrate. Come
Cl–
Na+
Figura 9.23
Porzioni di ioni Na+ e Cldentro una cella elementare cubica a facce centrate. Problema simile: 9.49.
mostrato nella Figura 2.11, un intero ione Na+ si trova al centro della cella elementare e ci sono altri 12 Na+ sui bordi. Poiché ogni Na+ situato sul bordo è condiviso con altre quattro celle elementari, il numero totale di ioni Na+ è 1 + (12 × 1 4) = 4. Analogamente, vi sono sei ioni Cl al centro delle facce e 8 ioni Cl sui vertici. Ciascun ione centrato sulla faccia è condiviso tra due celle elementari, mentre ciascun ione situato sui vertici appartiene a otto diverse celle elementari (vedi Figura 9.18). Quindi, il numero totale di ioni Cl è dato da (6 × 1 2) + (8 × 1 8) = 4. Dunque, in una cella elementare di NaCl vi sono quattro ioni Na+ e quattro ioni Cl. La Figura 9.23 mostra le porzioni di Na+ e Cl incluse nella cella elementare.
Problema di verifica Quanti atomi ci sono in una cella cubica a corpo centrato, assumendo che tutti gli atomi occupino i punti reticolari?
Risposta: due.
9.6.2
S8
I cristalli molecolari
I cristalli molecolari sono costituiti da atomi o molecole tenuti insieme da forze di van der Waals e/o legami idrogeno. Un esempio di cristallo molecolare è il diossido di zolfo solido (SO2), in cui la forza attrattiva predominante è di tipo dipolo-dipolo. Il legame idrogeno intermolecolare è il principale responsabile del reticolo tridimensionale del ghiaccio (vedi Figura 9.12). Altri esempi di cristalli molecolari sono I2, P4 e S8. In generale, fatta eccezione per il ghiaccio, le molecole dei cristalli molecolari sono impaccate tanto quanto è permesso dalla loro forma e dimensione. Poiché le forze di van der Waals e i legami idrogeno sono generalmente abbastanza deboli, se confrontati con i legami covalente e ionico, i cristalli molecolari sono sgretolabili molto più facilmente di quelli ionici e covalenti. In effetti, la maggior parte dei cristalli molecolari fonde sotto i 200 °C.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
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E tutto per la mancanza di un bottone
9.6.3
efficienti per la battaglia, abbia consentito l’uso della latta per i bottoni. La storia della latta, se fosse vera, potrebbe essere parafrasata nella vecchia filastrocca inglese: “E tutto per la mancanza di un bottone” (And all for the want of a button).
Per gentile concessione di National Gallery of Art, Washington
Nel giugno 1812, il potente esercito di Napoleone, circa 600 000 soldati, marciava verso la Russia. All’inizio di dicembre, tuttavia, le sue forze furono ridotte a meno di 10 000 uomini. Una teoria intrigante per la sconfitta di Napoleone ha a che fare con i bottoni di latta sui cappotti dei suoi soldati. Lo stagno esiste in due forme allotropiche dette a (stagno grigio) e b (stagno bianco). Lo stagno bianco ha una struttura cubica e un aspetto metallico lucente, è stabile a temperatura ambiente e oltre. Sotto i 13 °C, esso si trasforma lentamente in stagno grigio. La crescita casuale dei microcristalli di stagno grigio, che ha una struttura tetragonale, indebolisce il metallo e lo fa sbriciolare. Pertanto, nel rigido inverno russo, i soldati erano probabilmente più impegnati a tenere i loro cappotti con le mani che a portare armi. In realtà, la cosiddetta “malattia dello stagno” è nota da secoli. Nelle cattedrali non riscaldate dell’Europa medievale, le canne d’organo fatte di stagno si sono sbriciolate a causa del passaggio allotropico da stagno bianco a stagno grigio. È quindi sconcertante che Napoleone, un grande sostenitore della necessità di mantenere le sue truppe in condizioni
Napoleone sta tentando di spiegare ai suoi soldati come tener stretti i loro cappotti?
I cristalli covalenti
Nei cristalli covalenti (qualche volta detti cristalli a reticolo covalente), gli atomi sono tenuti insieme esclusivamente da legami covalenti in un reticolo tridimensionale esteso. Non ci sono singole molecole come nei solidi molecolari. Esempi ben noti sono le due forme allotropiche del carbonio: il diamante e la grafite (vedi Figura 5.14). Nel diamante ciascun atomo di carbonio è ibridato sp3 ed è, dunque, legato con geometria tetraedrica ad altri quattro atomi (Figura 9.24). I forti legami covalenti, che si sviluppano nelle tre dimensioni, ne determinano la straordinaria durezza (si tratta del materiale più duro conosciuto) e l’elevato punto di fusione (3550 °C). Nella grafite gli atomi di carbonio sono disposti in anelli esagonali. Gli atomi sono tutti ibridati sp2 e ciascuno è legato covalentemente ad altri tre atomi. L’orbitale 2p non ibridato è impiegato nella formazione di legami p. Infatti, gli elettroni presenti in questi orbitali 2p sono liberi di muoversi, facendo della grafite un buon conduttore di elettricità lungo i piani degli atomi di carbonio legati. I vari strati sono tenuti insieme da deboli interazioni di van der Waals. I legami covalenti presenti nella grafite ne giustificano la durezza; tuttavia, poiché gli
Gli elettrodi centrali nelle pile tascabili sono fatti di grafite.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
Figura 9.24 (a) La struttura del diamante. Ogni carbonio è tetraedricamente legato ad altri quattro atomi di carbonio. (b) La struttura della grafite. La distanza tra strati successivi è 335 pm.
335 pm
(a)
(b)
1 1A
18 8A 2 2A
Esagonale compatta
Cubica a corpo centrato
Li
Be
Cubica a facce centrate
Altri tipi di strutture (vedi didascalia)
Na
Mg
3 3B
4 4B
5 5B
6 6B
7 7B
8
9 8B
10
11 1B
12 2B
Al
K
Ca
Sc
Ti
V
Cr
Mn
Fe
Co
Ni
Cu
Zn
Ga
Rb
Sr
Y
Zr
Nb
Mo
Tc
Ru
Rh
Pd
Ag
Cd
In
Sn
Cs
Ba
La
Hf
Ta
W
Re
Os
Ir
Pt
Au
Hg
Tl
Pb
13 3A
14 4A
15 5A
16 6A
17 7A
Figura 9.25 Struttura cristallina dei metalli. Viene mostrata in figura la posizione dei metalli nella tavola periodica. Mn ha una struttura cubica, Ga una struttura ortorombica, In e Sn una struttura tetragonale e Hg una struttura romboedrica.
strati possono scorrere l’uno sull’altro, la grafite è scivolosa al tatto ed è efficace come lubrificante. È anche usata nelle matite e in altri strumenti di scrittura. Un altro tipo di cristallo covalente è il quarzo (SiO2). La disposizione degli atomi di silicio nel quarzo è simile a quella degli atomi di carbonio nel diamante, ma nel quarzo c’è un atomo di ossigeno tra ciascuna coppia di atomi Si. Poiché Si e O hanno elettronegatività differenti (vedi Figura 9.5), il legame SiO è polare. Tuttavia, SiO2 è simile al diamante per molti aspetti, come la durezza e l’elevato punto di fusione (1610 °C). Figura 9.26 Sezione trasversale di un cristallo metallico. Ogni carica positiva cerchiata rappresenta il nucleo e gli elettroni interni di un atomo metallico. L’area grigia che circonda i cationi metallici indica il mare mobile di elettroni.
Questo confronto può essere fatto solo per i metalli più rappresentativi.
9.6.4
I cristalli metallici
In un certo senso, la struttura dei cristalli metallici è la più semplice perché ciascun punto reticolare in un cristallo è occupato da un atomo dello stesso metallo. I cristalli metallici sono per lo più cubici a corpo centrato, cubici a facce centrate o impaccati esagonali (Figura 9.25), conseguentemente gli elementi metallici sono generalmente molto densi. Il legame nei metalli è molto diverso da quello descritto per gli altri tipi di cristalli. In un metallo gli elettroni sono distribuiti (o delocalizzati) sull’intero cristallo. In effetti, gli atomi metallici in un cristallo si possono immaginare come una sequenza di ioni positivi immersi in un mare di elettroni di valenza delocalizzati (Figura 9.26). La grande forza coesiva che deriva dalla delocalizzazione è all’origine della resistenza del metallo, che aumenta all’aumentare del numero di elettroni coinvolti nel legame. Per esempio, il punto di fusione del sodio, che presenta un solo elettrone di valenza, è di 97.6 °C, mentre
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
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quello dell’alluminio, con tre elettroni di valenza, è di 660 °C. La mobilità degli elettroni delocalizzati fa sì che i metalli siano buoni conduttori di calore e di elettricità. I solidi sono prevalentemente stabili nella loro forma cristallina. Tuttavia, se un solido viene formato rapidamente (per esempio, quando si raffredda velocemente un liquido) i suoi atomi o molecole non hanno tempo di allinearsi e possono bloccarsi in posizioni diverse da quelle proprie di un cristallo regolare. Il solido che ne deriva è detto amorfo. I solidi amorfi, come il vetro, sono privi di una regolare disposizione degli atomi nelle tre dimensioni.
9.7
I passaggi di stato
Le considerazioni fatte nel Capitolo 8 e in questo capitolo ci hanno fornito una panoramica sulle proprietà dei tre stati della materia: gassoso, solido e liquido. Ciascuno di questi stati è spesso definito come fase, che rappresenta una parte omogenea del sistema in contatto con altre parti dello stesso sistema, ma è separata da esse da un contorno ben definito. Un cubetto di ghiaccio che galleggia nell’acqua mostra due fasi dell’acqua – la fase solida (il ghiaccio) e la fase liquida (l’acqua). I passaggi di stato, trasformazioni da una fase all’altra, avvengono quando viene sottratta o somministrata energia (solitamente sotto forma di calore). I passaggi di stato sono variazioni fisiche caratterizzate da cambiamenti nell’ordine molecolare; le molecole nello stato solido hanno ordine massimo mentre quelle in fase gas hanno massimo disordine. Tenere a mente la relazione tra variazione di energia e aumento o diminuzione dell’ordine molecolare ci aiuterà a capire la natura dei passaggi di stato.
9.7.1
L’equilibrio liquido-vapore
La tensione di vapore Le molecole di un liquido non sono immobilizzate in un reticolo rigido. Sebbene manchino della totale libertà propria delle molecole gassose, queste molecole sono in costante movimento. Poiché i liquidi sono più densi dei gas, il tasso di collisione tra le molecole è decisamente più alto nella fase liquida che in quella gassosa. A una data temperatura, un certo numero di molecole nel liquido possiede energia cinetica sufficiente per fuggire dalla superficie. Il passaggio di stato da liquido a vapore è detto vaporizzazione e, se avviene sulla superficie, evaporazione. Consideriamo il sistema illustrato nella Figura 9.27. Prima che inizi il processo di evaporazione, i livelli del mercurio nel manometro a forma di U sono uguali. Non appena alcune molecole abbandonano il liquido si stabilisce una fase vapore. La pressione esercitata dal vapore è misurabile solo quando una discreta quantità di vapore è presente. Tuttavia, il processo di evaporazione non prosegue indefinitamente. Alla fine i livelli del mercurio si stabilizzano e non si osservano ulteriori variazioni.
La differenza tra gas e vapore è spiegata in una nota laterale del Paragrafo 8.1.
Figura 9.27 Vuoto
Spazio vuoto
h
Liquido
Liquido
(a)
(b)
Il sistema per misurare la tensione di vapore di un liquido (a) prima che inizi l’evaporazione e (b) all’equilibrio, quando nessuna ulteriore variazione è evidente. In (b) il numero di molecole che lasciano il liquido è uguale al numero di molecole che tornano nel liquido. La differenza nei livelli di mercurio (h) dà la tensione di vapore all’equilibrio del liquido alla temperatura specifica.
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Velocità
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
Velocità di evaporazione
Equilibrio dinamico stabilito
Velocità di condensazione Tempo
Figura 9.28 Confronto tra le velocità di evaporazione e di condensazione a temperatura costante.
L’equilibrio della tensione di vapore è indipendente dalla quantità di liquido, a patto che ci sia del liquido presente.
Che cosa succede a livello molecolare durante l’evaporazione? All’inizio lo spostamento è solo in una direzione: le molecole si muovono dal liquido verso lo spazio vuoto disponibile. Immediatamente le molecole che si vengono a trovare nello spazio sopra il liquido determinano una fase vapore. All’aumentare della concentrazione delle molecole nella fase vapore, alcune di queste ritornano alla fase liquida, secondo il processo detto di condensazione. La condensazione avviene perché una molecola, urtando la superficie del liquido, viene intrappolata nel liquido stesso a causa delle forze intermolecolari. La velocità di evaporazione è costante a una data temperatura, mentre la velocità di condensazione aumenta all’aumentare della concentrazione delle molecole nella fase vapore. Quando le velocità di condensazione ed evaporazione divengono uguali (Figura 9.28), si raggiunge uno stato di equilibrio dinamico, in cui la velocità di un processo è esattamente bilanciata dalla velocità del processo inverso. La pressione del vapore misurata al punto di equilibrio dinamico tra condensazione ed evaporazione è detta pressione o tensione di vapore all’equilibrio. Spesso si usa semplicemente il termine “tensione di vapore” per indicare la pressione di vapore all’equilibrio di un liquido. Questa semplificazione è accettabile nella misura in cui siamo consapevoli del significato del termine abbreviato. È importante notare come la tensione di vapore all’equilibrio sia la massima pressione di vapore che un liquido possa avere a una data temperatura e che è costante a temperatura costante. Tuttavia, la tensione di vapore varia con la temperatura. Nella Figura 9.29 sono riportati gli andamenti della tensione di vapore in funzione della temperatura per tre liquidi differenti. Sappiamo che il numero di molecole con maggiore energia cinetica è più elevato a temperature più alte e quindi è maggiore la velocità di evaporazione. Per questa ragione, la tensione di vapore di un liquido aumenta all’aumentare della temperatura. Per esempio, la tensione di vapore dell’acqua è 17.5 mmHg a 20 °C, ma raggiunge i 760 mmHg a 100 °C.
Il calore di vaporizzazione e il punto di ebollizione Il calore molare di vaporizzazione (DHvap) è una misura di quanto le molecole siano legate insieme in un liquido ed è definito come l’energia (espressa solitamente in chilojoule) necessaria per vaporizzare una mole di un liquido. Il calore molare di vaporizzazione è direttamente collegato all’intensità delle forze intermolecolari che s’instaurano in un liquido. Se l’attrazione intermolecolare è forte, è richiesta molta energia per liberare le molecole dalla fase liquida. Di conseguenza, il liquido ha una tensione di vapore relativamente bassa e un elevato calore molare di vaporizzazione. La relazione quantitativa tra la tensione di vapore P di un liquido e la temperatura assoluta T è data dall’equazione di Clausius4-Clapeyron5 Figura 9.29 Aumento della tensione di vapore con la temperatura per tre liquidi. Le temperature normali di ebollizione dei liquidi (cioè a 1 atm) sono mostrate sull’asse orizzontale.
Tensione di vapore (atm)
2
Etere dietilico
Mercurio
1
–100
4
Acqua
0 34.6
100 200 Temperatura (°C)
357 400
Rudolf Julius Emanuel Clausius (1822-1888). Fisico tedesco. Il lavoro di Clausius riguardò principalmente l’elettricità, la teoria cinetica dei gas e la termodinamica. 5 Benoit Paul Emile Clapeyron (1799-1864). Ingegnere francese. Clapeyron diede un contributo importante alla comprensione degli aspetti termodinamici dei motori a vapore.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
ln P = −
ΔH vap +C RT
289
(9.2)
in cui ln è il logaritmo naturale, R è la costante dei gas (8.314 J/K · mole) e C è una costante. L’equazione di Clausius-Clapeyron ha la forma di un’equazione lineare del tipo y = mx + b: ⎛ ΔH vap ⎞⎟⎛ 1 ⎞ ⎟⎜⎜ ⎟⎟ + C ln P = ⎜⎜− ⎜⎝ R ⎟⎟⎠⎜⎝ T ⎟⎠ y = m x +b
ln P
C2H5OC2H5
Misurando la tensione di vapore a diverse temperature e riportando in grafico il ln P in funzione di 1/T, si può determinare il coefficiente angolare della linea descritta dall’equazione, che è uguale a DHvap/R (si assume che DHvap sia indipendente dalla temperatura). Questo è il metodo utilizzato per determinare i calori di vaporizzazione. La Figura 9.30 mostra gli andamenti di ln P in funzione di 1/T per l’acqua e per l’etere dietilico (C2H5OC2H5). Nota come la linea retta dell’acqua abbia una pendenza maggiore perché l’acqua ha un maggiore DHvap (Tabella 9.5). Se conosciamo i valori di DHvap e P di un liquido a una data temperatura, possiamo usare l’equazione di Clausius-Clapeyron per calcolare la tensione di vapore del liquido a un’altra temperatura. Alle temperature T1 e T2 le tensioni di vapore saranno rispettivamente P1 e P2. Partendo dall’Equazione (9.2) possiamo scrivere: ln P1 = −
ΔH vap +C RT1
(9.3)
ln P2 = −
ΔH vap +C RT2
(9.4)
Sottraendo l’Equazione (9.4) dall’Equazione (9.3) otteniamo ln P1 − ln P2 = − =
Tabella 9.5
ΔH vap ⎛⎜ ΔH vap ⎞⎟ ⎟ − ⎜− ⎜⎝ RT2 ⎟⎟⎠ RT1
ΔH vap R
⎞ ⎛1 ⎜⎜ − 1 ⎟⎟ ⎜⎝ T2 T1 ⎟⎟⎠
Calori molari di vaporizzazione di alcuni liquidi
Sostanza
Punto di ebollizione* (°C)
DHvap (kJ/mole)
Argon (Ar)
186
6.3
Metano (CH4)
164
9.2
Etere dietilico (C2H5OC2H5)
34.6
26.0
Benzene (C6H6)
80.1
31.0
Etanolo (C2H5OH)
78.3
39.3
Acqua (H2O)
100
40.79
Mercurio (Hg)
357
59.0
* Misurato a 1 atmosfera.
H2O
1/T
Figura 9.30 Grafico di ln P in funzione di 1/T per l’acqua e l’etere dietilico. La pendenza in entrambi i casi è uguale è DHvap/R.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
Quindi ln
ΔH vap ⎛⎜ 1 P1 1⎞ = ⎜⎜ − ⎟⎟⎟⎟ P2 R ⎝ T2 T1 ⎠
ln
P1 ΔH vap ⎛⎜ T1 − T2 ⎞⎟ ⎟ = ⎜ P2 R ⎜⎝ T1T2 ⎟⎟⎠
(9.5)
Esempio 9.5 L’etere dietilico è un liquido organico volatile e altamente infiammabile che è usato principalmente come solvente. La tensione di vapore dell’etere dietilico a 18 °C è di 401 mmHg. Calcola la sua tensione di vapore a 32 °C.
Impostazione Conosciamo la pressione di vapore dell’etere dietilico a una temperatura e ci è richiesto di trovare la pressione a un’altra temperatura. Quindi, abbiamo bisogno dell’Equazione (9.5). Soluzione La Tabella 9.5 ci dice che il DHvap = 26.0 kJ/mole. I dati sono: P1 = 401 mmHg
P2 = ?
T1 = 18 °C = 291 K
T2 = 32 °C = 305 K
Dall’Equazione (9.5) abbiamo: ln
401 26 000 J/mol ⎡⎢ 291 K − 305 K ⎤⎥ = P2 8.314 J/K ⋅ mol ⎢⎣ (291 K)(305 K) ⎥⎦ = −0.493
Da cui: 401 = e−0.493 = 0.611 P2 Quindi P2 = 656 mmHg
Problema simile: 9.82. Risposta: 369 mmHg.
L’isopropanolo (un disinfettante).
Controllo Ci aspettiamo che la tensione di vapore sia maggiore a una temperatura più alta. Quindi la risposta è ragionevole. Problema di verifica La tensione di vapore dell’etanolo è 100 mmHg a 34.9 °C. Qual è la sua tensione di vapore a 63.5 °C? (Il DHvap per l’etanolo è di 39.3 kJ/mole).
Un modo pratico per esperire il calore molare di vaporizzazione è frizionare dell’alcol sulle mani. Il calore che deriva dalle mani aumenta l’energia cinetica delle molecole d’alcol. L’alcol evapora rapidamente, estraendo calore dalle mani che, quindi, si raffredderanno. Il processo è analogo a ciò che avviene con la sudorazione, che è uno dei metodi che il corpo umano utilizza per mantenere costante la propria temperatura. È necessaria una considerevole quantità di energia per vaporizzare l’acqua del sudore, caratterizzata da forti legami idrogeno, che si trova sulla superficie del corpo. Questa energia è fornita dal calore generato dai vari processi metabolici. Si è già visto come la tensione di vapore di un liquido aumenti all’aumentare della temperatura. Per ciascun liquido esiste una temperatura per cui il liquido stesso inizia a bollire. La temperatura di ebollizione è la temperatura alla quale la tensione
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
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di vapore di un liquido è uguale alla pressione esterna. La temperatura normale di ebollizione di un liquido è il punto di ebollizione quando la pressione esterna è 1 atm. Al punto di ebollizione si formano delle bolle all’interno del liquido. La pressione esercitata sulla bolla è prevalentemente quella atmosferica, più una componente di pressione idrostatica (cioè la pressione esercitata dalla presenza del liquido). La pressione all’interno della bolla è dovuta solamente alla tensione di vapore del liquido. Solo quando la tensione di vapore eguaglia la pressione esterna, le bolle possono formarsi, salire sulla superficie del liquido e scoppiare. Se la tensione di vapore della bolla fosse più bassa della pressione esterna, la bolla collasserebbe prima di risalire in superficie. Possiamo, quindi, concludere che il punto di ebollizione di un liquido dipende dalla pressione esterna (solitamente s’ignora il piccolo contributo derivante dalla pressione idrostatica). Per esempio, a 1 atm l’acqua bolle a 100 °C, ma se la pressione viene ridotta a 0.5 atm, l’acqua bolle solamente a 82 °C. Poiché il punto di ebollizione dipende dalla tensione di vapore del liquido, ci aspettiamo che esso sia direttamente collegato al calore molare di vaporizzazione: maggiore è il DHvap, più alto è il punto di ebollizione. I dati riportati nella Tabella 9.5 confermano le nostre previsioni. In definitiva, sia il punto di ebollizione sia il DHvap dipendono dall’intensità delle forze intermolecolari. Per esempio, l’argon (Ar) e il metano (CH4), che hanno deboli forze di dispersione, hanno bassi punti di ebollizione e piccoli calori molari di vaporizzazione. L’etere dietilico (C2H5OC2H5) ha un momento di dipolo e le forze dipolo-dipolo spiegano il punto di ebollizione e il DHvap moderatamente alti. Sia l’etanolo (C2H5OH) sia l’acqua hanno forti legami idrogeno, il che spiega gli elevati punti di ebollizione e i grandi valori di DHvap. Il forte legame metallico fa sì che il mercurio abbia il punto di ebollizione e il DHvap più alti tra i liquidi di questo gruppo. È interessante notare come il punto di ebollizione del benzene, che è apolare, sia confrontabile con quello dell’etanolo. Il benzene ha un’elevata polarizzabilità e le forze di dispersione tra le molecole di benzene possono essere perfino più intense di quelle dipolo-dipolo e/o dei legami idrogeno.
La temperatura e la pressione critica L’opposto della vaporizzazione è la condensazione. In linea di principio, un gas può essere liquefatto mediante due diverse tecniche. Mediante il raffreddamento di un campione di gas possiamo diminuire l’energia cinetica delle sue molecole, in modo che alla fine queste si aggreghino per formare piccole gocce di liquido. In alternativa, possiamo esercitare una pressione sul gas. Mediante la compressione, viene ridotta la distanza media tra le molecole così che queste siano legate insieme dalle reciproche attrazioni. Il processo industriale della liquefazione è una combinazione di questi due metodi. Tutte le sostanze hanno una temperatura critica (Tc ), sopra la quale la sua forma gassosa non può essere liquefatta, indipendentemente dall’entità della pressione esercitata. La pressione minima che deve essere esercitata per ottenere la liquefazione alla temperatura critica è detta pressione critica (Pc ). La temperatura critica può essere spiegata qualitativamente come segue. L’attrazione intermolecolare è una quantità finita per una data sostanza. Al di sotto della Tc, questa interazione è sufficientemente forte da tenere insieme le molecole in un liquido (sotto una certa pressione). Al di sopra della Tc, il moto molecolare diventa così energetico che le molecole possono sempre sfuggire a questa attrazione. La Figura 9.31 mostra cosa succede quando lo zolfo esafluoruro viene riscaldato sopra la sua temperatura critica (45.5 °C) e raffreddato sotto la stessa temperatura. La Tabella 9.6 riporta le temperature e le pressioni critiche per una serie di sostanze comuni. Il benzene, l’etanolo, il mercurio e l’acqua, che presentano forti interazioni intermolecolari, hanno anche elevate temperature critiche se confrontate con le altre sostanze riportate nella tabella.
Le forze intermolecolari sono indipendenti dalla temperatura; l’energia cinetica delle molecole aumenta con la temperatura.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
©Ken Karp/McGraw-Hill Education
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a
b
c
d
Figura 9.31 Il fenomeno critico dell’esafluoruro di zolfo. (a) Al di sotto della temperatura critica è visibile la fase liquida trasparente. (b) Al di sopra della temperatura critica, è scomparsa la fase liquida. (c) La sostanza è raffreddata appena al di sotto della sua temperatura critica. La nebbia rappresenta la condensazione del vapore. (d) Infine, ricompare la fase liquida. Tabella 9.6
Temperature critiche e pressioni critiche per diversi liquidi
Sostanza
Tc (°C)
Idrogeno molecolare (H2)
239.9
Argon (Ar)
186
Azoto molecolare (N2)
147.1
33.5
Ossigeno molecolare (O2)
118.8
49.7
83.0
45.6
Biossido di carbonio (CO2)
31.0
73.0
Zolfo esafluoruro (SF6)
45.5
37.6
Ammoniaca (NH3)
132.4
111.5
Etere dietilico (C2H5OC2H5)
192.6
35.6
Etanolo (C2H5OH)
243
63.0
Benzene (C6H6)
288.9
47.9
Metano (CH4)
Acqua (H2O) Mercurio (Hg)
9.7.2 Un fusibile interrompe un circuito elettrico quando un contatto metallico fonde a causa del calore generato dalla corrente elettrica eccessivamente alta.
Pc (atm)
374.4 1462
12.8 6.3
219.5 1036
L’equilibrio liquido-solido
La trasformazione di un liquido in un solido è detta solidificazione e il processo inverso è detto fusione. Un punto di fusione di un solido (solitamente coincidente con il punto di solidificazione di un liquido) è una coppia di valori pressione e temperatura alla quale la fase solida e quella liquida coesistono in equilibrio tra loro. La temperatura di fusione normale di una sostanza è la temperatura di fusione (o di solidificazione) misurata alla pressione di 1 atm. Talora, quando si parla generalmente di punto di fusione o temperatura di fusione, s’intende la temperatura normale di fusione.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
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Figura 9.32 Curva tipica di transizione di fase solido-liquido-gas. Poiché DHfus è minore di DHvap, una sostanza fonde in minor tempo rispetto a quanto impiega per evaporare. Questo spiega perché AB è più corto di CD. Il posizionamento e il gradiente relativo delle linee rappresentanti solido, liquido e gas dipende dallo specifico valore del calore in ciascuna fase di una determinata sostanza.
Vapore Temperatura
Punto di ebollizione C
Punto di fusione Solido e liquido in equilibrio A
D
Liquido e vapore in equilibrio Liquido
B
Solido Tempo
L’equilibrio liquido-solido a noi più familiare è quello dell’acqua con il ghiaccio. A 0 °C e 1 atm, l’equilibrio dinamico è rappresentato da: ghiaccio acqua Una dimostrazione pratica di questo equilibrio dinamico è data da un bicchiere di acqua e ghiaccio mantenuto alla temperatura di 0 °C. La Figura 9.32 mostra come la temperatura di una sostanza cambia quando assorbe calore dall’ambiente circostante. Quando un solido viene riscaldato, la sua temperatura aumenta fino a raggiungere la temperatura di fusione. A questa temperatura, l’energia cinetica media delle molecole diventa sufficientemente alta da permettere la rottura delle forze intermolecolari che tengono unite le molecole allo stato solido. Una transizione dalla fase solida alla fase liquida inizia quando l’assorbimento di calore viene usato per disperdere le molecole nel solido. L’energia (solitamente espressa in chilojoule) necessaria per fondere una mole di un solido è detta calore (o entalpia) molare di fusione (DHfus). La Tabella 9.7 mostra i calori molari di fusione per le sostanze riportate nella Tabella 9.5. Un confronto tra i dati riportati nelle due tabelle mostra come, per ciascuna sostanza, DHfus sia inferiore a DHvap. Questo è in accordo con il fatto che le molecole in un liquido sono ancora abbastanza impaccate, quindi, è sufficiente una quantità di energia minima per ridisporle passando dal solido al liquido. Al contrario, quando un liquido
Tabella 9.7
Calori molari di fusione di alcuni liquidi
Sostanza
DHfus (kJ/mole)
Metano (CH4)
183
0.84
Argon (Ar)
190
1.3
Acqua (H2O)
0
Etere dietilico (C2H5OC2H5)
116.2
Etanolo (C2H5OH)
117.3
Benzene (C6H6) Mercurio (Hg) *
Punto di fusione* (°C)
Misurato a 1 atmosfera.
5.5 39
6.01 6.90 7.61 10.9 23.4
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
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evapora, le sue molecole devono completamente separarsi l’una dall’altra e quindi è richiesta una quantità di energia considerevolmente maggiore per vincere le forze attrattive.
9.7.3
L’equilibrio solido-vapore
Anche i solidi sono soggetti al fenomeno dell’evaporazione e quindi possiedono una tensione di vapore. Consideriamo il seguente equilibrio dinamico: solido vapore Lo iodio solido in equilibrio con il suo vapore.
Congelamento
Brinamento
Condensazione
Vaporizzazione
Liquido
Fusione
Sublimazione
Temperatura
Gas
Il processo in cui le molecole passano direttamente dalla fase solida a quella vapore è detto sublimazione e quello inverso (cioè di passaggio diretto da vapore a solido) è detto brinamento o deposizione. La naftalina (la sostanza usata come tarmicida) ha una tensione di vapore abbastanza alta per un solido (1 mmHg a 53 °C); quindi, i suoi vapori pungenti impregnano velocemente uno spazio chiuso. Generalmente, poiché le molecole sono trattenute più strettamente in un solido, la tensione di vapore di un solido è di gran lunga inferiore rispetto a quella del liquido corrispondente. L’energia (solitamente espressa in chilojoule) necessaria per sublimare 1 mole di un solido, detta calore (o entalpia) molare di sublimazione (DHsub), è data dalla somma dei calori molari di fusione e vaporizzazione: ΔH sub = ΔH fus + ΔH vap
(9.6)
L’Equazione (9.6), che è un’applicazione della legge di Hess, è vera se tutti i passaggi di stato avvengono alla stessa temperatura. L’entalpia, o il calore scambiato, per l’intero processo è lo stesso se la sostanza passa direttamente dalla forma solida a quella di vapore o se passa da solido a liquido e poi da liquido a vapore. La Figura 9.33 riassume i tipi di passaggi di stato discussi in questo paragrafo.
Solido
Figura 9.33 I vari passaggi di stato che può subire una sostanza.
9.8
I diagrammi di stato
Lo stato fisico di una sostanza non dipende solo dalle forze attrattive intermolecolari, ma anche dalla temperatura e dalla pressione cui si trova. Riportando su un grafico la tensione di vapore di una sostanza in funzione della temperatura, è possibile rappresentare perfettamente le relazioni complessive tra le diverse fasi della materia (solida, liquida e gassosa). Tale grafico, noto come diagramma di stato, riassume le condizioni per le quali una sostanza può esistere nella forma di solido, liquido o gas. In esso si possono individuare delle regioni (generalmente tre – ma possono essere anche di più) che corrispondono a una specifica fase della sostanza. All’interno di queste regioni la pressione e la temperatura possono entrambe essere variate entro certi limiti senza che l’equilibrio venga turbato (non c’è variazione di fase). All’interno di queste regioni, il sistema ha cioè due gradi di libertà (P e T) e si ha un equilibrio bivariante. Le curve che separano le diverse regioni definiscono i valori di P e 2 per cui le due fasi sono in equilibrio tra loro: a ogni valore di T corrisponde uno specifico valore di P. Il sistema lungo queste curve è monovariante (un solo grado di libertà), ovvero si può scegliere un solo parametro senza alterare l’equilibrio: scelta T, 2 è univocamente definita e viceversa. La pendenza di queste curve è generalmente positiva (sempre per i passaggi solido-vapore e liquido-vapore). Ciò può essere spiegato facilmente se si considera l’effetto di un aumento di P sulle trasformazioni che stiamo studiando. Un aumento di pressione favorisce, infatti, sempre la fase più condensata, cioè quella che occupa meno spazio, la quale potrà quindi esistere in un intervallo
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
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Figura 9.34 Fluido supercritico
Pressione (atm)
sl Solido
Liquido Punto critico
5.2
Punto triplo
1
Vapore –78
Diagramma di stato del biossido di carbonio. Notare che la linea di confine solido-liquido ha una pendenza positiva. La pendenza della curva solido-liquido è enfatizzata. La fase liquida non è stabile al di sotto di 5.2 atm, così soltanto le fasi solido e vapore possono esistere a condizioni atmosferiche.
Gas
–57 TC Temperatura (°C)
più ampio di temperature. Ciò è vero in genere anche per il passaggio solido-liquido (ma l’acqua, come vedremo più avanti in questo paragrafo, è un’importante eccezione); tuttavia, poiché lo spazio occupato dalle due fasi condensate differisce solo leggermente, la curva di equilibrio solido-vapore risulta essere quasi una retta con una lieve pendenza (a destra appunto, nella maggior parte dei casi). La curva liquido-vapore termina nel punto critico (definito da Tc e Pc, descritti precedentemente), che delimita lo stato critico della materia. Un modo per raggiungere tale punto è scaldare a oltranza del liquido in un recipiente ermeticamente chiuso. In tal caso il liquido non giungerà mai a bollire, ma la sua densità tenderà a diminuire così come quella della fase vapore tenderà ad aumentare. Le densità si eguaglieranno nel punto critico e per pressioni e temperature superiori a Pc e Tc si avrà una nuova fase con proprietà intermedie detta fluido supercritico. Infine, le tre curve di equilibrio s’incontrano nel punto triplo, che individua una coppia di valori di temperatura e pressione in corrispondenza dei quali si hanno in equilibrio tutte e tre le fasi. Non si può variare né T né P senza che l’equilibrio venga turbato: il sistema è zerovariante. Di seguito discuteremo brevemente i diagrammi di stato del biossido di carbonio e dell’acqua.
Il biossido di carbonio
La Figura 9.34 riporta il diagramma di stato del biossido di carbonio. Coerentemente con quanto descritto in precedenza, il grafico è diviso in quattro regioni, ciascuna delle quali rappresenta una fase pura (la fase vapore e quella gassosa costituiscono una fase unica che può chiamarsi aeriforme). La linea che separa due regioni tra loro indica le condizioni per le quali queste due fasi si trovano in equilibrio. Per esempio, la curva tra la fase liquida e la fase gas mostra la variazione della tensione di vapore in funzione della temperatura. Analogamente le altre due curve indicano le condizioni di equilibrio tra il solido e il liquido e tra il solido e il gas (nota come la linea divisoria tra il solido e il liquido abbia una pendenza positiva, come si osserva per la maggior parte delle sostanze). Il punto triplo del biossido di carbonio è a 5.2 atm e 57 °C. Si può fare un’osservazione interessante sul diagramma di stato riportato nella Figura 9.34. Come si può vedere l’intera fase liquida è situata ben al di sopra della pressione atmosferica; perciò, è impossibile che il biossido di carbonio fonda alla pressione di 1 atm. Quando la CO2 solida viene scaldata a 78 °C a 1 atm, essa sublima, trovandosi il punto critico ben al di sopra della pressione atmosferica ordinaria. Il biossido di carbonio solido viene detto ghiaccio secco perché sembra ghiaccio (Figura 9.35). Il ghiaccio secco viene utilizzato come refrigerante perché presenta un du-
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9.8.1
Figura 9.35 In condizioni atmosferiche, il biossido di carbonio solido non fonde; può soltanto sublimare. Il biossido di carbonio gassoso freddo fa sì che il vapore d’acqua circostante condensi formando una nebbiolina.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
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Punto critico
Liquido
Gas (vapore surriscaldato)
Solido 1.0 0.006
Pressione (atm)
Pressione (atm)
Fluido supercritico
1.0
Punto triplo Vapore
0
0.01 100 374 Temperatura (°C)
(a)
0
100 Temperatura (°C)
(b)
Figura 9.36 Diagramma di stato dell’acqua. Ogni linea solida tra due fasi specifica le condizioni di pressione e temperatura in cui le due fasi possono esistere in equilibrio. La pendenza della curva solido-liquido è enfatizzata. Il punto in cui tutte e tre le fasi possono esistere in equilibrio (0.006 atm e 0.01 °C) è detto punto triplo. (b) Questo diagramma di stato ci dice che aumentando la pressione sul ghiaccio si abbassa il suo punto di fusione e incrementando la pressione sul liquido aumenta il suo punto di ebollizione.
plice vantaggio rispetto al ghiaccio di acqua: è generalmente più freddo e, inoltre, non passando attraverso lo stato liquido, non fonde (vedi Figura 9.34), e quindi non bagna il materiale refrigerato.
9.8.2
L’acqua
Il diagramma di stato dell’acqua (Figura 9.36a) è simile a quello del biossido di carbonio con un’importante eccezione – la curva che separa la fase solida da quella liquida si piega verso sinistra al crescere della pressione. Se, infatti, è vero che un aumento di pressione favorisce la fase che occupa meno spazio, nel caso dell’acqua questa fase è quella liquida. Quindi, l’acqua si comporta in modo diverso perché il ghiaccio è meno denso dell’acqua liquida e di conseguenza la curva solido-liquido ha pendenza negativa. Il punto triplo per l’acqua si trova a 0.01 °C e 0.006 atm. Il valore così basso della pressione per il punto critico spiega perché, contrariamente a quanto osservato per il biossido di carbonio, alla pressione di 1 atm si osservi il passaggio dallo stato solido allo stato liquido, prima di passare a quello vapore. I diagrammi di stato ci permettono di prevedere le variazioni dei punti di fusione e di ebollizione a patto di considerare sull’asse delle ascisse non la pressione parziale della sostanza in fase vapore a una data temperatura, ma la pressione esterna complessiva. La temperatura di fusione e quella di ebollizione normali dell’acqua, misurate cioè a 1 atm, sono rispettivamente 0 °C e 100 °C. Che cosa succederebbe se la fusione e l’ebollizione fossero condotte a un’altra temperatura? La Figura 9.36b mostra chiaramente che aumentando la pressione esterna al di sopra di 1 atm aumenterà il punto di ebollizione e diminuirà il punto di fusione. Una diminuzione della pressione abbasserà invece il punto di ebollizione e aumenterà quello di fusione. Ma perché si dice che il biossido di carbonio è un gas in condizioni standard, mentre si parla di vapore acqueo? In generale si parla di gas al di sopra della Tc (temperatura, come si è visto, al di sopra della quale non è possibile ottenere la condensazione per semplice compressione), mentre si definisce vapore la fase aeriforme al di sotto della Tc. Per convenzione, quelle sostanze che hanno una Tc vicina o anche inferiore alla temperatura ambiente sono dette gassose (non solo il biossido di carbonio, ma anche l’ossigeno e l’azoto molecolari, per esempio), mentre per i composti con Tc ben al di sopra dei 25 °C, si parla di vapore in condizioni standard.
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IN SINTESI ■
RIEPILOGO
1. Tutte le sostanze possono esistere in uno dei tre stati: gas, liquido o solido. La principale differenza tra gli stati condensati e lo stato gassoso è la distanza tra le molecole. 2. Le forze intermolecolari agiscono tra molecole oppure tra molecole e ioni. In genere, tali forze sono più deboli delle forze di legame. Le forze dipolo-dipolo e le forze ione-dipolo attraggono molecole dotate di momenti dipolari verso altre molecole polari o ioni. Le forze di dispersione sono il risultato del momento dipolare temporaneo indotto nelle molecole che, generalmente, non sono polari. La misura in cui un momento dipolare può essere indotto in una molecola è determinata dalla sua polarizzabilità. Il termine “forze di van der Waals” si riferisce alle forze dipolodipolo, dipolo-dipolo indotto e alle forze di dispersione.
6.
7.
8.
3. Il legame idrogeno è una forza dipolo-dipolo relativamente intensa che agisce tra un legame polare contenente un atomo di idrogeno e atomi elettronegativi, quali N, O oppure F, a loro volta coinvolti in altri legami. I legami idrogeno nelle molecole d’acqua sono particolarmente forti. 4. Fuori da un contenitore, i liquidi tendono ad assumere la forma sferica perché è quella che offre la superficie minima (pensa a una goccia). La tensione superficiale è l’energia richiesta per estendere la superficie liquida; forze intermolecolari più intense determinano una maggiore tensione superficiale. La viscosità è una misura della resistenza di un fluido a scorrere; diminuisce all’aumentare della temperatura. 5. Le molecole d’acqua allo stato solido formano un reticolo tridimensionale in cui ogni atomo di ossigeno è legato a due atomi di idrogeno con legame covalente e ad altri due mediante legame idrogeno. Questa struttura unica spiega perché il ghiaccio è meno denso dell’acqua liquida. La caratteristica che permette all’acqua di modificare il clima è il suo elevato calore specifico, proprietà anch’essa dovuta ai suoi forti legami idrogeno. Pur variando di poco
■
10.
EQUAZIONI CHIAVE
2 d sin θ = nλ ln P = − ln
9.
la loro temperatura, grandi masse d’acqua sono infatti capaci di mitigare il clima rilasciando e assorbendo quantità considerevoli di calore. I solidi possono essere cristallini (con una struttura regolare di atomi, ioni o molecole) oppure amorfi (privi di una struttura regolare a lungo raggio). L’unità ripetitiva base di un solido cristallino è la cella elementare, che si ripete per formare un reticolo cristallino tridimensionale. I quattro tipi di cristalli (e le corrispettive forze che li tengono uniti) sono i seguenti: cristalli ionici e legami ionici; cristalli molecolari e forze di van der Waals e/o legami idrogeno; cristalli covalenti e legami covalenti; cristalli metallici e legami metallici. Un liquido in un recipiente chiuso arriva più facilmente a stabilire un equilibrio dinamico tra evaporazione e condensazione. A queste condizioni la tensione di vapore sul liquido è la tensione di vapore all’equilibrio, che spesso è definita semplicemente come tensione di vapore. Per ogni punto di ebollizione, la tensione di vapore del liquido è uguale alla pressione esterna. Il calore molare di vaporizzazione di un liquido è l’energia necessaria per vaporizzare 1 mole del liquido. Esso può essere determinato misurando la tensione di vapore del liquido in funzione della temperatura e usando l’Equazione (9.2). Il calore molare di fusione di un solido è l’energia necessaria per fondere 1 mole del solido. Per ogni sostanza c’è una temperatura, detta temperatura critica, al di sopra della quale la sua forma gassosa non potrà mai liquefare. Le relazioni tra le tre fasi di una singola sostanza sono rappresentate dal diagramma di stato, in cui ogni regione rappresenta una fase pura e i limiti tra le regioni mostrano le temperature e le pressioni a cui le due fasi sono in equilibrio. Al punto triplo, tutte e tre le fasi sono in equilibrio.
ΔH vap +C RT
ΔH vap ⎛⎜ T1 − T2 ⎞⎟ P1 ⎟ = ⎜ P2 R ⎜⎝ T1T2 ⎟⎟⎠
ΔH sub = ΔH fus + ΔH vap
(9.1)
Equazione di Bragg
(9.2)
L’equazione di Clausius-Clapeyron per determinare il DHvap di un liquido.
(9.5)
Per calcolare il DHvap, la tensione di vapore o il punto di ebollizione di un liquido.
(9.6)
Applicazione della legge di Hess.
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CAPITOLO 9 Le forze intermolecolari, i liquidi e i solidi
PAROLE CHIAVE
Adesione
Diagramma di stato
Forze intramolecolari
Brinamento
Diffrazione a raggi X
Forze ione-dipolo
Calore molare di fusione (DHfus)
Dipolo indotto
Legame idrogeno
Punto triplo (PT) Solido amorfo Solido cristallino
Equilibrio dinamico
Calore molare di sublimazione (DHsub)
Evaporazione Fase
Numero di coordinazione Passaggio di stato
Sublimazione Temperatura critica (Tc)
Polarizzabilità
Temperatura di ebollizione
Calore molare di vaporizzazione (DHvap)
Fluido supercritico Forze di dispersione
Pressione critica (Pc) Punti reticolari
Tensione di vapore all’equilibrio
Cella elementare
Forze di van der Waals
Punto critico
Tensione superficiale
Coesione
Forze dipolo-dipolo
Vaporizzazione
Condensazione
Forze intermolecolari
Punto di ebollizione Punto di fusione
Viscosità