La strategia di business - Capitolo 1

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Strategia e risultati

CAPITOLO

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1.1 Strategia, obiettivi e risultati* La strategia è il disegno che definisce il sistema delle attività aziendali, orientandolo verso risultati e obiettivi comuni1. Tutte le aziende hanno un disegno che ne definisce il sistema delle attività. Tuttavia, mentre in alcune tale disegno può essere voluto, in altre può essere la risultante di scelte via via compiute nel tempo, anche in assenza di un disegno strategico predefinito. La scelta degli obiettivi verso i quali orientare il sistema delle attività è la prima importante decisione che si incontra quando ci si vuole dotare di una strategia esplicita, atta a indirizzare consapevolmente il corso delle attività. La definizione degli obiettivi è un problema che è in molti casi sottovalutato. Spesso, infatti, si presuppone che gli obiettivi aziendali si riconducano semplicemente alla redditività o all’aumento di valore delle azioni. In molti casi, i vertici aziendali non si soffermano neanche a riflettere su quali siano gli obiettivi aziendali. Questo accade anche in aziende che documentano nei rispettivi siti internet la propria sensibilità per la responsabilità sociale, per l’ambiente e per tante altre cose. Gli obiettivi, in altri termini, sono dati per scontati e, come tali, non sono oggetto di discussione o di riflessione; il problema è raggiungerli. L’approccio seguito in questo lavoro parte da un presupposto diverso: ovvero dalla convinzione che la definizione degli obiettivi aziendali non sia affatto scontata e meriti anch’essa una riflessione esplicita. La definizione degli obiettivi produce una serie di effetti a cascata sul modo in cui configurare e orientare il sistema delle attività. Non solo. Prima ancora, essa riflette un certo modo di guardare all’azienda e al ruolo che essa svolge nel sistema economico, per il soddisfacimento dei bisogni che costituiscono la sua ragion d’essere. I vertici aziendali hanno ampi gradi di libertà nel definire gli obiettivi verso i quali orientare l’azienda. È quindi possibile vedere da questo punto di vista una gamma di alternative. Ed è proprio dalle decisioni che il management assume in questo campo che scaturiscono strategie aziendali capaci di durare nel tempo e * Questo paragrafo è stato scritto da Vittorio Coda, Giorgio Invernizzi e Paolo Russo. 1  Al riguardo, si veda anche il Paragrafo 1.4, dove sarà introdotto il concetto di “sistema attività-risorse”.

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strategie aziendali di corto respiro; aziende che costruiscono e sostengono i rispettivi vantaggi competitivi e aziende che, perseguendo obiettivi di successo di breve termine, prima o poi si accorgono di quanto sia instabile e fragile la posizione raggiunta. Ciò premesso, come sono definiti e interpretati gli obiettivi aziendali nelle aziende di successo? Quali sono le caratteristiche che differenziano il loro approccio dalle strategie aziendali di corto respiro? Nelle aziende ben gestite gli obiettivi sono definiti in base alle aspettative di tutti gli interlocutori rilevanti con i quali l’azienda si confronta: • • • •

clienti; collaboratori; azionisti; altri stakeholder.

L’ordine con il quale sono elencati non è un ordine di importanza. Tutti gli interlocutori infatti sono a diverso titolo importanti: i clienti, perché il soddisfacimento dei loro bisogni è l’oggetto dell’attività produttiva dell’impresa; i collaboratori, interni ed esterni, perché sono essi che svolgono le attività da cui scaturiscono i risultati aziendali; gli azionisti, perché sono titolari dei diritti fondamentali sulla conduzione dell’azienda; gli altri stakeholder, perché apportano risorse e consensi necessari o comunque importanti per lo svolgimento dell’attività produttiva. Gli azionisti hanno un ruolo fondamentale nella governance aziendale. Precisamente, essi decidono la costituzione dell’azienda; ne esercitano i poteri di governo, a partire dalla nomina dei vertici aziendali; ne possono disporre la cessazione. Tali poteri e responsabilità si collegano alla circostanza che essi sopportano il massimo rischio di perdite in quanto la loro remunerazione avviene in termini residuali, dopo che è stata assicurata la soddisfazione di tutti gli altri soggetti che vantano diritti nei confronti dell’impresa. Gli azionisti possono essere soddisfatti soltanto dopo che sia stato assicurato un consistente livello di soddisfazione dei clienti, dei collaboratori e degli altri stakeholder. E questa circostanza fornisce uno stimolo importante all’assunzione delle decisioni migliori: infatti, a meno di circostanze di abuso (che sono possibili, ma illegali), se gli azionisti assumono decisioni sbagliate e producono un deterioramento delle performance, essi sono i primi a patirne le conseguenze. Realizzare sistematicamente un consistente livello di soddisfazione dei clienti, dei collaboratori e degli altri stakeholder è compito tanto più arduo quanto più intense sono le pressioni e le dinamiche competitive. Ma se questa condizione è verificata, come accade per le aziende di successo, allora gli azionisti possono ottenere grandi soddisfazioni. Il diritto al “risultato residuale” in alcuni casi supera le migliori aspettative. Basta osservare le variazioni registrate, su lunghi archi di tempo, dal valore delle azioni di alcune aziende quotate in mercati finanziari efficienti. Se per contro questa condizione non è soddisfatta, qualsiasi tentativo di raggiungere la soddisfazione degli azionisti stabili (non speculativi) è simile allo sforzo di Sisifo, che continuamente spinge il masso al vertice della montagna per poi vederlo rotolare nuovamente a valle.

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Ciò premesso, tutte le aziende producono risultati di varia natura, destinati ai loro diversi interlocutori: • risultati competitivi, ovvero l’apprezzamento che l’azienda ottiene da parte dei suoi clienti, in contesti di mercato più o meno concorrenziali; • risultati sociali, ovvero il consenso, l’approvazione, la fedeltà, la collaborazione che l’azienda ottiene dai suoi diversi collaboratori, interni ed esterni, e da altri stakeholder; • risultati economico-finanziari, ovvero l’apprezzamento da parte degli azionisti e dei creditori, che guardano rispettivamente al rendimento azionario e al mantenimento della solvibilità aziendale. Ciò che contraddistingue le aziende di successo è la composizione a unità degli obiettivi economico-finanziari, competitivi e sociali. Questo nella consapevolezza che nessuno di essi è raggiungibile con continuità nel medio-lungo termine se non si raggiunge anche un livello soddisfacente di risultati nel perseguimento degli altri obiettivi. In questo senso, si può affermare che, quando sono interpretati in una prospettiva di medio-lungo periodo, gli obiettivi economico-finanziari presuppongono anche il raggiungimento degli obiettivi competitivi e sociali. E lo stesso può dirsi degli altri obiettivi aziendali: la soddisfazione dei clienti e le quote di mercato non possono essere assicurate nel medio-lungo termine se non si ottengono risultati soddisfacenti dal punto di vista economico-finanziario e sociale; così come la soddisfazione dei collaboratori e degli altri interlocutori sociali non è perseguibile deludendo clienti e azionisti. Questo modo di intendere gli obiettivi aziendali produce una serie di conseguenze sulla definizione della strategia. In particolare: • porta a orientare la strategia in modo coerente con questa interpretazione degli obiettivi. La coerenza si ottiene selezionando le alternative strategiche sulla base di obiettivi di miglioramento lungo le tre direzioni indicate, considerate nelle loro interrelazioni dinamiche, anziché sulla base di una sola di esse. Ciò non significa occuparsi del profitto con il “vincolo” di non produrre insoddisfazione da parte della clientela, o malcontento tra i lavoratori. Non si tratta quindi di risolvere un problema di “massimo vincolato”. Come alcune recenti ricerche hanno evidenziato, significa piuttosto guardare alla produzione di valore in una prospettiva più ampia, ricercando opportunità di investimento dove la produzione di “valore condiviso” (Porter, Kramer, 2011) con clienti e collaboratori finisce per produrre una redditività maggiore delle iniziative finalizzate alla produzione di “valore esclusivamente destinato agli azionisti”; • si traduce nella definizione di singole attività aziendali conformi con il disegno complessivo e con l’insieme degli obiettivi indicati. Ciò presuppone, per esempio, l’orientamento delle singole attività aziendali in modo coerente con gli obiettivi di soddisfazione dei clienti, di coinvolgimento e di soddisfazione dei collaboratori, di miglioramento dell’efficienza (che è cosa ben diversa dal perseguire l’efficienza a tutti i costi); • determina metodi di responsabilizzazione, di valutazione dei risultati e di controllo coerenti con gli obiettivi così concepiti. Ciò significa che la valutazione

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del management e della strategia non si attua soltanto in base ai risultati economico-finanziari e alla soddisfazione degli azionisti, ma anche in base ai risultati competitivi e sociali e alla soddisfazione degli altri stakeholder.

1.2 Attività e risultati* Il sistema delle attività aziendali in cui si esprime la strategia è composto da attività correnti e da attività di set up. Le attività correnti definiscono il posizionamento strategico attuale di un’azienda. Esse sono quindi la principale determinante dei risultati aziendali attuali. Le attività correnti sono rappresentate tipicamente dalle attività di acquisto, produzione e vendita (e da tutte le relative attività di supporto) che si succedono in modo ricorrente. Queste attività definiscono il posizionamento strategico attuale di un’azienda e rappresentano la determinante principale dei risultati ottenuti nel periodo in cui sono svolte, contribuendo direttamente: • alla soddisfazione dei clienti, mediante la produzione e la fornitura di prodotti e servizi più o meno rispondenti alle loro aspettative, che si riflettono anche sulle quote di mercato e, più in generale, sull’apprezzamento ottenuto sui mercati di sbocco; • alla soddisfazione dei collaboratori, mediante l’offerta di condizioni di impiego più o meno competitive rispetto alle alternative disponibili, che si riflettono sull’indice di gradimento di cui l’azienda gode sul mercato del lavoro; • alla soddisfazione degli azionisti, mediante la produzione di rendimenti azionari più o meno capaci di soddisfare e superare le loro aspettative; • alla soddisfazione degli altri interlocutori, mediante l’attenzione dimostrata per gli effetti che le attività aziendali producono sulla società e sull’ambiente. Le attività di set up definiscono il posizionamento strategico target di un’azienda e il modo per raggiungerlo. Esse sono quindi la principale determinante dei risultati aziendali futuri. Le attività di set up pongono le condizioni per lo svolgimento e il rinnovamento delle attività correnti. Alle attività di set up è affidato il compito di rinnovare l’azienda, cosicché esse ne costituiscono la “direzione strategica” (o il “vettore strategico”), vettore che permette il passaggio dal posizionamento strategico attuale al posizionamento strategico futuro. Di conseguenza, esse esprimono pienamente i propri risultati soltanto in tempi successivi rispetto al periodo in cui si svolgono, durante il quale si limitano per lo più a generare investimenti e costi di esercizio. L’uso del termine “rinnovamento” non deve indurre a pensare che le attività di set up siano di per sé necessariamente cosa positiva. Esistono attività di set up capaci di mantenere vitale o di rendere più forte e più grande l’azienda, migliorandone il posizionamento attuale, o promuovendo l’efficienza e lo sviluppo. Vi sono però anche attività di set up che ottengono l’effetto contrario, come, per esempio, quelle che si traducono in cambiamenti di posiziona* Questo paragrafo è stato scritto da Paolo Russo.

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mento incoerenti con il quadro competitivo di riferimento oppure in cambiamenti originariamente ben concepiti, ma realizzati in modo insoddisfacente. Si pensi a quando Alfa Romeo, casa automobilistica riconosciuta per la tradizione sportiva e di eccellenza motoristica, avviò la joint venture con la Nissan, dando origine al progetto “ARNA”, la vettura “sportiva a basso costo”. Per la sua incoerenza con il brand Alfa Romeo, l’ARNA finì per produrre un impatto negativo sull’immagine di Alfa Romeo presso i consumatori, oltre che sul morale dei collaboratori, tradizionalmente orgogliosi dell’eccellenza motoristica della loro azienda. Il tutto senza neppure produrre utili significativi. Diverso è il caso di Mercedes, che negli anni Novanta avviò il progetto della Classe A, una vettura destinata a proporre sul segmento delle utilitarie da città standard di sicurezza ampiamente superiori a quelli allora prevalenti nella sua categoria. Il tutto secondo un disegno coerente con la tradizione della casa automobilistica tedesca e con le esigenze del contesto competitivo di riferimento. Peccato che un disegno strategico così ben concepito sia stato segnato nella fase di realizzazione da un incidente grave, consistente nel capovolgimento della vettura nel corso di una prova effettuata da un giornalista2. In entrambi i casi, si tratta di iniziative di rinnovamento rese possibili da numerose attività di set up, che produssero risultati ben differenti: • nel caso di Alfa Romeo, lasciarono l’azienda in una posizione peggiore rispetto a quella di partenza; • nel caso di Mercedes, costrinsero a correggere l’errore di progettazione attraverso nuove attività di set up, finalizzate al miglioramento del prodotto e al recupero della credibilità nei confronti del consumatore3. Nel periodo in cui sono compiute, le attività di set up non sono la determinante principale dei risultati del periodo, ma sono comunque una determinante secondaria, che influisce negativamente sulla redditività e sui risultati economico-finanziari nel loro insieme. Infatti, gli investimenti aumentano il capitale investito senza produrre effetti immediati sul reddito, mentre i costi di set up spesso sono spesati integralmente nel rispetto dei principi contabili, anche se la logica economica richiederebbe che fossero trattati come investimenti. Per contro le attività di set up, proprio perché incidono sulle condizioni di svolgimento delle attività correnti future, rappresentano una determinante fondamentale, ancorché indiretta, dei risultati futuri. Il legame con i risultati futuri è “indiretto” perché passa attraverso le attività correnti future: le attività di set up

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Il capovolgimento ebbe luogo perché la vettura, che aveva un baricentro più alto rispetto alla media delle altre vetture, inizialmente non era stata equipaggiata con gli strumenti di stabilizzazione necessari per assicurarne la stabilità. Si trattava evidentemente di un errore progettuale nell’ambito di un disegno comunque innovativo e intelligente, finalizzato a produrre una vettura dove, in caso di incidente frontale, il motore fosse destinato a scorrere sotto l’abitacolo, invece che a schiacciarlo, con conseguenze facili da immaginare per la sicurezza del conducente e dei passeggeri. 3 Come è noto, in un tempo successivo la classe A di Mercedes produsse i risultati positivi che era lecito attendersi da un disegno strategico intelligente e altamente innovativo.

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definiscono le attività correnti future, e le attività correnti future sono la determinante fondamentale dei risultati futuri. Per lo più le attività di set up non sono di natura ripetitiva, ma si svolgono “una tantum” oppure, come accade nel caso della maggior parte degli investimenti produttivi, si svolgono più volte ma con modalità non ripetitive. Attività di set up ripetitive sono svolte soprattutto da aziende multi-unità, che pongono le condizioni affinché le attività correnti possano essere replicate mediante nuove unità aziendali, spesso secondo un modello di funzionamento (o “format”) collaudato. Questa “replica” si accompagna frequentemente all’espansione territoriale dell’azienda, come osserviamo nelle realtà della grande distribuzione di prodotti alimentari, tessili, di arredamento e così via. Basti pensare a Walmart, IKEA, Media Markt, Metro, Carrefour, Zara, Calzedonia, Intimissimi. Le attività di set up, come si è detto, sono destinate a modificare il posizionamento strategico attuale (definito dalle attività correnti attuali) ponendo le condizioni che le consentono di muovere verso il posizionamento strategico target (definito dalle attività correnti target). Poiché i cambiamenti aziendali possono incontrare diversi imprevisti, può accadere che il posizionamento strategico futuro (che è definito dalle future attività correnti e rappresenta la determinante principale dei risultati futuri) sia diverso dal posizionamento strategico target. Per chiarire ulteriormente questi concetti e approfondire il legame fra attività e risultati (illustrato nella Figura 1.1) pensiamo al modo in cui si succedono le attività correnti e le attività di set up in una casa automobilistica; mentre questa svolge le Posizionamento strategico futuro Attività correnti future Direzione strategica (vettore strategico) Attività di set up attuali Posizionamento strategico attuale Attività correnti attuali

RISULTATI ECONOMICOFINANZIARI ATTUALI

Attività di set up future

Costi di set up • in parte spesati oggi (costi di set up di esercizio), che riducono il reddito operativo • in parte da ammortizzare in futuro (costi di set up pluriennali) che aumentano il capitale investito

Costi di set up futuri RISULTATI ECONOMICOFINANZIARI FUTURI

Strategia futura

Strategia attuale

Figura 1.1 L’impatto delle attività sui risultati economico-finanziari.

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attività correnti, producendo e vendendo i modelli attuali attraverso i canali di vendita consolidati, dedica una serie di attività di set up allo scopo di rinnovare i modelli e modificare di conseguenza le sue attività di produzione e di vendita. I modelli attuali sono la principale determinante dei risultati aziendali, ma gli sforzi di rinnovamento incidono anch’essi sui risultati attuali come determinante secondaria, in quanto generano costi e investimenti, oltre a condizionare le aspettative di clienti e collaboratori. In un tempo successivo, nuove attività correnti (introdotte dalle attività di set up) affiancheranno o sostituiranno le attività correnti attuali. Nuovi modelli usciranno sul mercato, alcune fabbriche e alcune filiali commerciali apriranno in sostituzione di altre che saranno chiuse. Quando sarà caduta la polvere su questi cambiamenti, la casa automobilistica realizzerà che: • le sue nuove attività correnti non saranno probabilmente le stesse che erano state definite come attività correnti target. Alcuni modelli programmati saranno stati soppressi, o avranno avuto risultati inferiori alle aspettative. Altri avranno avuto un andamento delle vendite superiore ai programmi. Acquisti, produzione e attività di supporto avranno registrato anch’essi una serie di eventi inaspettati; • le attività correnti future costituiranno la determinante principale dei risultati futuri. Considerato che esse saranno state rinnovate mediante le attività di set up del periodo precedente, queste ultime potranno essere considerate come una determinante indiretta dei risultati del periodo successivo. L’effetto sarà stato mediato dall’introduzione delle nuove condizioni di svolgimento delle attività correnti, a cui le attività di set up saranno state dedicate; • nello stesso tempo, secondo un processo incessante, l’azienda avrà avviato un nuovo insieme di attività di set up, volto a modificare nuovamente, in un tempo ancora successivo, le condizioni di svolgimento delle attività correnti. La Tavola 1.1 presenta in uno schema di sintesi l’impatto che le attività correnti e le attività di set up producono sui risultati economico-finanziari attuali e futuri. Tavola 1.1 L’impatto delle attività sui risultati economico-finanziari Risultati economico-finanziari Attività

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Attuali

Attività correnti attuali (posizionamento strategico attuale)

Determinante principale

Attività di set up attuali (direzione strategica attuale)

Determinante secondaria

Futuri

Determinante indiretta (agisce sui risultati futuri definendo le attività correnti future)

Attività correnti future (posizionamento strategico futuro)

Determinante principale

Attività di set up future (direzione strategica futura)

Determinante secondaria

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Attività correnti e attività di set up insieme formano la strategia, che è composta di diversi elementi: • il posizionamento strategico attuale, che è un po’ come la posizione iniziale di una nave, ovvero il punto (cosiddetto “punto nave”) dove essa si trova in un certo momento; • l’orientamento strategico, che corrisponde al piano di navigazione della nave, composto a sua volta da due elementi: — il posizionamento strategico target, che corrisponde alla destinazione della nave; — il “vettore strategico” (o, più semplicemente, la “direzione strategica”), espressioni utilizzate entrambe per rappresentare sinteticamente la “rotta da seguire” e la “propulsione lungo la rotta”. Quando Cristoforo Colombo partì alla volta delle Indie definì una rotta e una certa propulsione delle navi. Quando concluse la sua navigazione, originariamente diretta da La Gomera, nell’Arcipelago delle Canarie, verso le Indie, si accorse di aver raggiunto una terra (l’isola che poi avrebbe chiamato “San Salvador”) ben diversa (e ben lontana) da quella per la quale era partito. Naturalmente, le differenze tra posizionamento strategico futuro e posizionamento strategico target non sono sempre così ampie come quella tra la destinazione prescelta e la destinazione raggiunta da Cristoforo Colombo, che navigava senza conoscere i mari e le terre che stava esplorando. Tuttavia, differenze più o meno significative si registrano sempre, dal momento che in sede di progettazione del cambiamento non è possibile prevedere tutti gli eventi che possono determinare variazioni rispetto agli obiettivi originari, come evidenziato nella Figura 1.24.

1.3 Strategia e attività* Nel concetto di strategia come “disegno che definisce il sistema delle attività orientandolo al raggiungimento degli obiettivi aziendali” la “strategia” determina il “sistema delle attività”, il quale, a sua volta, è la determinante dei “risultati aziendali”. Ciò può essere schematicamente rappresentato come segue: Strategia ⇒ Sistema delle attività ⇒ Risultati Ora, per illustrare questo concetto, nel Paragrafo 1.1 si è detto dell’importanza degli obiettivi nell’orientare il sistema delle attività e nel determinare i risultati; nel Paragrafo 1.2 sono stati presentati il sistema delle attività (correnti e di set up) e le rela4 In

questo capitolo, quando utilizziamo il termine strategia facciamo riferimento alla strategia complessiva di un’azienda monobusiness o a un’azienda con un business prevalente, come può essere la Ferrari che affianca al suo business delle supercar il comparto di Formula 1 e i parchi di intrattenimento. Inoltre per le aziende multibusiness, quelle che – utilizzando la metafora proposta nel testo – posseggono diverse flotte, con diversi “punti nave” in diversi oceani e con – conseguentemente – piani di navigazione propri, il termine strategia è riferito a ciascuno dei business in cui operano. Da qui il titolo del libro “strategia di business”, nel senso che si riferisce al singolo business di un’azienda multibusiness o, in alternativa, alla strategia che caratterizza un’impresa monobusiness. Nel Paragrafo 1.5 e nel Capitolo 4 approfondiremo questa distinzione. * Questo paragrafo è stato scritto da Paolo Russo.

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Posizionamento strategico obiettivo Eventi imprevisti nel processo di implementazione

Attività correnti obiettivo Posizionamento strategico futuro

Direzione strategica

Attività correnti future

(vettore strategico)

Attività di set up Posizionamento strategico attuale

Attività correnti attuali

Figura 1.2 Strategia e attività.

zioni che lo collegano ai risultati aziendali; in questo paragrafo si introduce il “disegno” che costituisce la strategia di un’azienda e il suo rapporto con il sistema delle attività. La strategia – in quanto disegno che definisce il sistema delle attività, orientandolo verso il raggiungimento degli obiettivi aziendali – comprende: • il posizionamento strategico attuale, di cui sono espressione le attività correnti attuali; • il posizionamento strategico target, di cui sono espressione le attività correnti target; • la direzione strategica (o il vettore strategico) di cui sono espressione le attività di set up, che muovono l’azienda dal posizionamento strategico attuale al posizionamento strategico futuro5; • le relazioni dinamiche tra posizionamento strategico attuale (ovvero attività correnti attuali), direzione strategica (ovvero attività di set up), posizionamento strategico target (ovvero attività correnti target). 5

Il posizionamento strategico futuro di solito non coincide con il posizionamento strategico obiettivo, dal momento che quest’ultimo, pur rappresentando il principale punto di riferimento nel processo di rinnovamento, non viene mai raggiunto al 100%. Le differenze possono scaturire: • da cambiamenti intervenuti nelle condizioni esterne; • da attività di set up compiute in modo tale da non permettere il raggiungimento dei risultati desiderati; • da modifiche della posizione obiettivo intervenute durante il processo di rinnovamento.

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Così intesa, la strategia è la principale determinante: • delle performance che l’azienda è in grado di assicurare oggi; • delle performance che l’azienda sarà in grado di assicurare domani. Per produrre performance superiori alla media la strategia deve avere determinate caratteristiche. Queste sono diverse secondo che: A. ci si riferisca a un certo momento; B. ci si riferisca al lungo periodo. A. La strategia come determinante di risultati migliori in un certo momento Per assicurare il raggiungimento di performance superiori alla media in un certo momento il posizionamento strategico e le attività di cui si compone devono essere caratterizzati da: • significativi elementi di unicità rispetto al posizionamento strategico e alle attività delle aziende concorrenti; • un elevato livello di coerenza, sia esterna sia interna: — la coerenza “esterna” presuppone che strategia e attività siano coerenti con le aspettative di clienti e collaboratori, anche alla luce di quello che le altre aziende offrono loro6; — la coerenza “interna” presuppone che le attività correnti siano coordinate in modo sistematico e si rafforzino tra loro, senza generare elementi di contraddizione o di inefficienza. Unicità e coerenza sono entrambe condizioni necessarie affinché la strategia possa dar luogo a performance superiori. L’unicità è necessaria perché, quando le aziende sono simili o molto simili tra loro, le performance tendono ad appiattirsi avvicinandosi a quelle che si osservano nello scenario indicato nei modelli microeconomici con il nome di “concorrenza perfetta”. In questo scenario i “profitti”7 sono pari a zero per tutte le aziende.

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La coerenza esterna di cui si parla nel testo non assicura anche il soddisfacimento delle aspettative degli azionisti. Essa è uno degli elementi necessari per il successo della strategia di business. Se questo successo è ottenuto e se l’azienda raggiunge performance superiori alla media nel proprio settore, è plausibile che anche le aspettative degli azionisti possano essere soddisfatte. La soddisfazione degli azionisti dipende tuttavia da una serie di altre circostanze, tra le quali: • il livello delle aspettative degli azionisti, che – per effetto di motivi riconducibili alle decisioni di investimento individuali – possono essere più o meno differenti dalle aspettative prevalenti sul mercato azionario; • il prezzo al quale gli azionisti hanno acquistato i propri titoli (in borsa o sul mercato “privato”); • le altre circostanze che – per un dato livello delle performance di/dei business – possono incidere sul rendimento netto delle azioni, tra le quali vi sono: — le decisioni assunte in merito agli asset non impiegati nel business e in merito alle politiche finanziaria e fiscale; — le condizioni relative al mercato dei capitali e al mercato azionario in particolare, che possono incidere sul corso delle azioni anche per effetto di tendenze speculative, di durata più o meno breve. 7 Per profitto si intende in questo caso la differenza tra i ricavi di vendita e tutti i costi delle risorse impiegate, ivi inclusi il capitale proprio e il lavoro dell’imprenditore.

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La coerenza, esterna e interna, d’altra parte è anch’essa necessaria per raggiungere performance superiori rispetto alla media del settore. Le esperienze di insuccesso di aziende “uniche” ma “incoerenti” sono numerose e tendono a manifestarsi sistematicamente quando: • l’unicità sia indirizzata verso obiettivi non coerenti con le reali aspettative del cliente, ovvero con le prestazioni che il cliente richiede e con quello che è disposto a pagare per ottenerle; • l’unicità sia ottenuta senza coerenza interna, ovvero mediante attività facilmente imitabili o superabili dai concorrenti, o comunque inefficienti. B. La strategia come determinante di risultati migliori nel lungo periodo Per assicurare il raggiungimento e il mantenimento di performance superiori alla media nel lungo periodo occorre che la direzione strategica e le attività di set up di cui si compone: • si basino su: — un quadro realistico dell’evoluzione del mercato e della concorrenza; — un posizionamento strategico obiettivo caratterizzato da un sistema di attività unico e coerente nel senso sopra descritto; • siano coerenti con: — il divario che separa il posizionamento strategico target dal posizionamento strategico attuale; — le capacità professionali, la motivazione delle persone e le competenze che l’azienda è in grado di coinvolgere, mobilitare, sviluppare nel progetto di rinnovamento; — i vincoli di natura finanziaria con i quali l’azienda si confronta. Non solo. Così come le attività di set up definiscono le condizioni di svolgimento delle attività correnti, l’esperienza accumulata mediante le attività correnti pone le premesse per concepire e realizzare le attività di set up. Infatti, le attività correnti producono continuamente: • informazioni sui clienti, sui concorrenti e sul posizionamento strategico attuale. Queste informazioni possono presentare opportunità di sviluppo o di rinnovamento, stimolare la fantasia e alimentare l’innovazione; • esperienza del successo e dell’insuccesso (relativa al posizionamento strategico nel suo insieme) e degli indicatori di performance più o meno soddisfacenti (relativi a singole attività o a insiemi di attività). Questa esperienza può incidere anch’essa sugli orientamenti di chi gestisce le attività e, soprattutto, sulla percezione della necessità di rinnovamento. Si crea così una relazione di tipo circolare tra posizionamento strategico e rinnovamento strategico, che è alla base della dinamica della strategia e si alimenta soprattutto dalla circostanza che le persone responsabili del rinnovamento strategico sono spesso anche responsabili del posizionamento strategico, e in questo loro ruolo: • acquisiscono in modo più o meno strutturato e organizzato le informazioni esterne e interne necessarie per sottoporlo a una revisione critica;

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• valutano i risultati che ne scaturiscono traendone motivi di maggiore o minore soddisfazione o insoddisfazione; • formulano e realizzano con maggiore o minore prontezza i progetti necessari per rinnovarlo, mediante attività di set up concepite e concretizzate in modo più o meno efficace. Questa è una delle ragioni per le quali alcuni osservatori affermano che certe esperienze di successo abbiano in sé stesse i semi della propria distruzione. Per chi si sia lasciato alle spalle anni e anni di successi ottenuti con un’impostazione strategica consolidata nel tempo non è facile conservare l’attitudine a metterla in discussione e a intercettare tempestivamente i primi segnali deboli che la fanno apparire obsoleta o comunque destinata al tramonto. È questo il caso di Ford, che è stato il primo leader nella produzione di autovetture su scala globale. Nel 1914, quando la Ford Motor Company introdusse il famoso modello T, realizzò un’attività di rinnovamento radicale destinata ad assicurarle un posizionamento strategico unico e superiore rispetto a tutti i concorrenti del tempo. Alcuni risultati raggiunti allora, come la quota di mercato pari al 90%, o i due milioni di pezzi prodotti e venduti in un solo anno con un solo modello, ancora oggi sono risultati insuperati e che appaiono insuperabili. I risultati acquisiti con il posizionamento strategico che la società conservò da allora fino al 1925 possono essere intesi come il frutto di un processo di rinnovamento strategico innovativo e lungimirante, realizzato in modo esemplare mediante un insieme di attività di set up che ha fatto nascere la produzione di massa. Ma il mondo cambia. Cambiano i clienti e cambiano i concorrenti. A un certo punto, la vettura essenziale e frutto di un sistema di produzione efficiente ma rigido non era più adeguata a far fronte alle richieste di una clientela divenuta più esigente. General Motors lo capì per prima. Concepì un prodotto maggiormente differenziato, strappò a Ford la leadership di mercato e stabilì un vantaggio che Ford non poté più colmare. La strategia non disegna le attività con la matita. Il posizionamento strategico di Ford non si poteva cancellare con la gomma e non si poteva sostituire facilmente con un posizionamento nuovo. Ford avrebbe potuto capirlo, avrebbe potuto modificare le caratteristiche del prodotto e delle proprie linee di produzione prima di essere spiazzata da General Motors e avrebbe potuto conservare così il suo vantaggio. Ma non lo ha fatto. Questo è uno dei tratti della strategia. Si realizza a prezzo di costi e investimenti, anche di grande entità, e spesso non è reversibile o modificabile se non sopportando oneri di proporzione analoga o addirittura maggiore. Comporta inoltre una certa resistenza al cambiamento, che a volte ha radici di natura psicologica prima ancora che di natura finanziaria. Talvolta, gli investimenti fatti, i risultati raggiunti e gli investimenti richiesti da un cambio di marcia non aiutano a riconoscere l’opportunità di mettere in discussione il posizionamento strategico acquisito e difeso fino a quel momento, o la necessità di cambiarlo radicalmente. All’esperienza di Ford se ne potrebbero associare molte altre: Xerox, IBM, Kodak, Polaroid e Sony, solo per fare alcuni dei nomi più noti. Tutto ciò spiega perché uno dei problemi più importanti ai fini del mantenimento di performance superiori sia rappresentato dalla capacità dell’azienda di non

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adagiarsi sui successi acquisiti e di mantenere alta l’attenzione nei confronti dei segnali di cambiamento che possono richiedere un rinnovamento più o meno radicale del posizionamento strategico acquisito. La qualità delle singole attività, correnti o di set up, non basta. Per quanto possano essere efficienti o innovative, se non sono inserite in un disegno strategico unico e coerente, le singole attività non conducono a performance superiori. In conclusione, performance superiori nel lungo periodo si conservano solo assicurando che il sistema delle attività evolva conservandosi nel tempo unico e coerente con il contesto esterno, oltre che al proprio interno. Ciò comporta che: • quando i concorrenti si dimostrano capaci di imparare a svolgere altrettanto bene o meglio alcune attività cruciali per il successo nel business, l’azienda sia in grado di sviluppare elementi di unicità nuovi, al fine di mantenere o di ampliare la distanza rispetto a chi insegue; • quando le aspettative di clienti e dipendenti cambiano o le attività correnti prospettano esigenze di rinnovamento, l’azienda sia in grado di reagire in modo rapido e incisivo, modificando il sistema delle sue attività al fine di conservarlo coerente con le aspettative dei clienti e dei dipendenti e con le esigenze di coordinamento e di efficienza interna. Per quanto riguarda l’impatto dell’esperienza sul miglioramento progressivo del posizionamento strategico, le attività correnti producono continuamente: • le informazioni necessarie per concepire e realizzare miglioramenti incrementali in costanza di posizionamento strategico. Queste informazioni scaturiscono dal semplice ripetersi delle attività correnti e sono spesso il frutto dello spirito di osservazione e del desiderio di miglioramento che stimolano e animano la fantasia di chi lavora a un’attività di natura ripetitiva nelle condizioni di motivazione migliori; • il susseguirsi di risultati più o meno soddisfacenti, associati al manifestarsi di condizioni esterne e interne più o meno favorevoli che incidono sulle condizioni di svolgimento delle attività correnti. Questi risultati imprimono una serie di stimoli ulteriori al comportamento quotidiano, specialmente quando siano accompagnati da una politica di incentivazione appropriata e da un clima di attenzione diffusa per le performance delle diverse attività. Anche in questo caso dalle attività correnti ha origine una relazione di tipo circolare tra posizionamento strategico e rinnovamento, sia pure incrementale, delle attività che lo compongono. Tale relazione è alla base del miglioramento dell’efficienza e si alimenta soprattutto dalla circostanza che le persone responsabili delle attività correnti sono spesso anche in condizione di promuoverne modifiche incrementali. Questa è una delle ragioni per le quali alcune aziende che introducono per prime una nuova tecnologia o un nuovo prodotto conservano una posizione di vantaggio rispetto agli inseguitori. A questi infatti non spetta soltanto il compito di adottare la stessa soluzione tecnologica, ma anche quello di accumulare l’esperienza quotidiana che è alla base dei miglioramenti incrementali.

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L’esperienza che Ford ha compiuto con il famoso Modello T rappresenta uno degli esempi più illustri. Dal 1914 al 1925, oltre alle variazioni di natura impiantistica (che possono essere considerate come atti di rinnovamento), l’azienda ha beneficiato di un processo di accumulo di esperienza individuale e organizzativa senza precedenti. In ogni fase dell’evoluzione del suo assetto tecnologico e produttivo, l’esperienza quotidiana ha posto le condizioni affinché – giorno dopo giorno – la tecnologia e l’assetto produttivo allora in uso potessero essere impiegati in modo più efficiente. Questo è un altro degli elementi essenziali della strategia. Una volta che i cambiamenti siano stati introdotti, magari a prezzo di grandi sacrifici individuali, organizzativi e finanziari, non si ottengono immediatamente i frutti migliori. Occorrono di solito un certo intervallo di tempo e soprattutto tanto lavoro affinché le attività correnti arrivino a regime. In questo intervallo temporale la distinzione tra attività di set up e attività correnti, tra rinnovamento radicale e miglioramento marginale del posizionamento strategico, può essere per certi aspetti difficile a percepirsi. Ma questo non compromette la comprensione e l’interpretazione dei risultati, né il compiersi dei necessari interventi di miglioramento incrementale e di rinnovamento. È piuttosto la manifestazione di come in concreto avvengano i cambiamenti e di come si producano le performance: grandi passi in avanti, seguiti da una moltitudine di iniziative, singolarmente anche di modesta entità, finalizzate a mettere a frutto nel modo migliore la posizione raggiunta. Al riguardo possiamo ricordare, oltre alle vicende di Ford ante crisi, nei primi decenni del secolo ventesimo, diversi altri esempi a noi più vicini: • • • • • • •

Xerox e Canon nel settore delle fotocopiatrici; Southwest e Ryan Air nel settore del trasporto aereo; Nokia e Samsung nel settore dei telefoni cellulari e degli smartphone; Toyota e Volkswagen nel settore automobilistico; Dell nel settore dei computer; Amazon nelle vendite online; Apple nei settori della vendita della musica online, degli smartphone e dei tablet.

Queste aziende hanno associato alla capacità di “rinnovamento strategico” un impegno straordinario per i miglioramenti incrementali, fino a far sì che il posizionamento strategico da loro raggiunto generasse – almeno per un certo periodo di tempo – le performance migliori. L’impegno a un continuo miglioramento del posizionamento strategico attuale può per altro accrescere il rischio di inibire la percezione delle esigenze di rinnovamento radicale. L’impegno nel miglioramento incrementale, insieme agli investimenti effettuati e ai risultati raggiunti in passato, può infatti contribuire a rendere più difficile il cambiamento. Il rischio appare tanto più elevato: • quanto più intenso è l’impegno nel miglioramento incrementale; • quanto maggiori sono gli investimenti effettuati in passato; • quanto migliori sono i risultati ottenuti in passato. Condizioni tutte che concorrono ad alimentare il convincimento di camminare sulla strada giusta e a rinunciare a metterlo in discussione sottoponendolo a un processo di obiettiva autocritica.

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Pensiamo ancora all’esperienza di Ford nei primi decenni del secolo ventesimo. La concentrazione sui miglioramenti incrementali nella produzione del modello T ha favorito la sottovalutazione delle necessità di rinnovamento tempestivamente colte da General Motors, il concorrente diretto. Non si tratta soltanto del caso Ford. Basti pensare ai casi Xerox, IBM, Kodak, Polaroid e Sony segnalati in precedenza. Tutti casi di aziende impegnate nel miglioramento del posizionamento strategico attuale e tardive nella percezione delle necessità di rinnovamento. La sorte di queste aziende non è stata la stessa. Le storie di IBM e Sony hanno avuto a livello aziendale un epilogo migliore. Tuttavia, se si considera la sorte dei business interessati, quello dei personal computer per IBM e quello dei televisori per Sony, la loro sconfitta è evidente. Esiste un “antidoto” efficace nei confronti di questa “inerzia strategica”? Cosa avrebbero potuto fare Ford, Xerox e le altre aziende citate per evitare i loro errori, che sembrano nello stesso tempo così facili a riconoscersi ex post e così difficili a prevenirsi ex ante? Non è agevole indicare oggi le specifiche iniziative di rinnovamento delle attività che queste aziende avrebbero potuto realizzare allora. È evidente però che la continuità di successo o addirittura la sopravvivenza di un’azienda non si gioca soltanto sui miglioramenti incrementali, ma anche e soprattutto sull’apertura mentale e sull’obiettività con la quale l’azienda e gli organi di vertice in particolare raccolgono e valutano i segnali di cambiamento strutturale nel contesto competitivo. La necessità di rinnovare radicalmente il posizionamento strategico matura per lo più per effetto di condizioni esterne e spesso comincia a manifestarsi mediante “segnali deboli”. Segnali che anticipano cambiamenti strutturali nelle tecnologie o nelle esigenze dei clienti, destinati a rendere obsoleto lo stesso posizionamento strategico che aveva prodotto in passato performance da record. Il ritardo nella reazione a questi segnali deboli può avere conseguenze devastanti. E il ritardo dipende da elementi di natura psicologica più che dagli strumenti di controllo e dalle procedure interne. Un sistema di “gestione strategica” o di “controllo strategico” può essere di aiuto nella misura in cui favorisce la raccolta sistematica di alcune informazioni critiche sui clienti, sui concorrenti e sulle attività aziendali. Tuttavia, la questione decisiva non consiste tanto nell’accesso all’informazione, quanto nel modo in cui il segnale viene valutato e metabolizzato e – in particolare – nell’obiettività e nella qualità del lavoro di analisi e di autocritica. A volte l’apertura a una certa necessità di cambiamento comporta anche il riconoscimento di errori compiuti in passato. E talvolta gli organi di vertice hanno resistenze psicologiche, o derivanti da conflitti di interesse di varia natura, che li portano sistematicamente a evitare e a rinviare il momento in cui affrontare il problema, con le conseguenze che è facile immaginare.

1.4 Risorse e attività* Le attività presuppongono l’impiego di risorse e, a loro volta, ne alimentano lo sviluppo, per cui è implicito che la strategia definisce il sistema attività-risorse dell’azienda, dove le attività sono variabili-flusso, descrivibili con riferimento a un * Questo paragrafo è stato scritto da Giorgio Invernizzi.

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certo periodo di tempo, mentre le risorse sono variabili-livello, individuabili con riferimento a un certo momento. Qualsiasi riflessione sulle risorse rimanda alle attività cui sono legate e, viceversa, qualsiasi riflessione sulle attività implica la considerazione delle risorse che le alimentano e da cui provengono. Gestire l’azienda vuol dire svolgere delle attività e, di conseguenza, impiegare e sviluppare risorse. Per questo negli studi di strategia si è affermata una concezione dell’azienda che al centro pone le attività, in quanto le risorse sono strumento e “oggetto” di attività e le attività sono la determinante immediata dei risultati, come dalla rappresentazione che segue. Risorse ⇒ Attività ⇒ Risultati Nello svolgimento di questo libro si fa riferimento a questa consolidata concezione, che non è una activity-based view contrapposta alla resource-based view. Tutt’altro: è una concezione sistemica e dinamica, in cui le risorse sono trattate per quello che sono, ossia variabili-stock soggette a variare per effetto delle attività in cui trovano impiego e da cui sono alimentate. La strategia è dunque il disegno che definisce il sistema delle attività e, di conseguenza, anche la dinamica delle risorse; è un disegno che tiene conto anche delle esigenze di salvaguardia e di sviluppo delle risorse, ma sempre in funzione e come conseguenza delle attività da porre in essere. Questa concezione dell’azienda può essere schematicamente rappresentata come in Figura 1.3, dove le attività danno luogo a inflows (flussi in entrata) e a outflows (flussi in uscita) che fanno variare lo stock di risorse disponibili. Flussi in entrata e flussi in uscita sono ovviamente correlati, ma è importante tenere distinti i flussi riconducibili alle attività correnti da quelli connessi alle attività di set up (Figura 1.4). I primi, infatti, sono flussi in entrata e flussi in uscita correlati fra loro con tempi, durate ritmi scanditi dai cicli economici, finanziari e monetari della

RISORSE

INFLOWS (flussi in entrata)

OUTFLOWS (flussi in uscita)

ATTIVITÀ

Figura 1.3 La dinamica attività/risorse.

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RISORSE

OUTFLOWS

INFLOWS

ATTIVITÀ DI SET UP (gestione strategica)

ATTIVITÀ CORRENTI

Figura 1.4 La dinamica attività di set up/risorse/attività correnti.

gestione caratteristica. Quando il sistema delle attività correnti non è efficiente, i flussi si svolgono con disallineamenti più o meno gravi che possono determinare eccessi o scarsità di risorse destinati ad avere ripercussioni negative sulla funzionalità aziendale e sui risultati economico-finanziari. Per contro, se si svolgono con efficienza – e con rispetto delle regole e delle persone nel contesto di un buon posizionamento strategico -, le attività correnti determinano positivi risultati economico-finanziari e un accumulo di risorse – come, per esempio, motivazione del personale, notorietà e prestigio dei marchi, reputazione presso i diversi interlocutori esterni – che, a sua volta, retroagisce positivamente sui risultati economico-finanziari. Quanto alle attività di set up, i relativi outflows sono correlati ai margini che saranno generati, in tempi più o meno prossimi o remoti, dalle attività correnti che ne scaturiranno. Per entrare in una comprensione intima del funzionamento di un’azienda, delle sue performance e delle sue prospettive, il focus sulle attività – correnti e di set up – è essenziale. Questo per altro non significa che si possa trascurare la ricognizione dell’insieme di risorse disponibili in un certo momento. E ciò al fine di valutarne l’adeguatezza in rapporto alle attività presenti e future e di intraprendere le azioni necessarie a colmare eventuali gap. Vediamo dunque di chiarire che cosa sono le risorse, come si possono classificare, come formano ulteriori risorse e come si possono valutare. Le risorse sono i fattori produttivi a disposizione. Le risorse primarie sono riconducibili alle due fondamentali categorie del capitale e del lavoro. Le risorse che rientrano nella categoria del capitale sono “beni” (asset), anche se i principi contabili non ne consentono sempre adeguata rappresentazione nei bilanci di esercizio. I beni di cui un’azienda dispone, infatti, sono beni tangibili e

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intangibili, materiali e immateriali, visibili e invisibili, dove soltanto i beni tangibili, materiali, visibili trovano sempre riscontro nell’attivo patrimoniale di bilancio, mentre quelli intangibili, immateriali, invisibili si traducono in una posta di bilancio soltanto se per essi è stato sostenuto un costo di acquisizione e sempre che ai sensi dei principi contabili detto costo non debba essere portato a conto economico. Così, asset fondamentali come il patrimonio di relazioni che legano l’azienda alla sua clientela, al suo personale e ai suoi fornitori, la reputazione o immagine presso gli altri interlocutori, l’esperienza incorporata in collaudate routine organizzative e altri meccanismi operativi non trovano riscontro in voci dell’attivo di bilancio. Le risorse rientranti nella categoria del lavoro – le cosiddette “risorse umane” – esprimono delle capacità di svolgere attività. E ciò sia che tali risorse vengano considerate a se stanti sia, e soprattutto, ove esse vengano considerate nel loro combinarsi con le altre risorse (beni tangibili e intangibili) dando luogo alle “competenze organizzative” di un’azienda. Anch’esse sono risorse, in particolare sono risorse derivate, dato che derivano dallo svolgimento delle attività a seguito del combinarsi delle risorse primarie (beni tangibili e intangibili). Le competenze organizzative che contraddistinguono un’azienda si qualificano come “distintive” se le consentono di svolgere delle attività meglio e/o a costi minori di quanto non sappiano fare i concorrenti e, quindi, di generare un vantaggio competitivo, cioè un maggiore “valore economico” (inteso come differenza fra “valore per il cliente” dell’output e “costo” degli input). Competenze distintive possono essere alla base sia di attività correnti (per esempio, competenze di produzione, di commercializzazione, di gestione delle relazioni con i collaboratori) sia di attività di set up (quali sono, per esempio, le attività di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti o processi, oppure le attività di integrazione di aziende oggetto di acquisizioni). Se si inscrivono in una valida strategia, le competenze distintive sono difficilmente imitabili o acquisibili o comunque riproducibili da parte dei concorrenti e conferiscono al sistema delle attività quella “unicità” che genera un vantaggio competitivo sostenibile. Nell’insieme di competenze di un’azienda vi possono poi essere delle competenze core, così denominate per sottolineare che esse identificano il “cuore”, ovvero il nocciolo centrale/fondamentale delle risorse e delle attività che ne derivano. Ma in che cosa consiste questa centralità? E quale relazione intercorre tra competenze core e competenze distintive? Per rispondere a queste domande occorre partire dalla constatazione che non di rado la conoscenza e l’esperienza accumulatesi nelle competenze distintive sono rilevanti per conseguire superiori performance non soltanto dagli svolgimenti gestionali in corso, ma anche da quelli che si potrebbero intraprendere per sviluppare nuovi prodotti, nuovi processi, nuove aree di business, nuove aggregazioni aziendali. Questa valorizzazione delle competenze distintive al di fuori delle attività (correnti e di set up) in cui esse sono attualmente impiegate non può risolversi in un acritico, meccanico trasferimento di competenze, ma richiede un apprendimento che muova dalla percezione del “nocciolo” suscettibile di impiego in percorsi di innovazione e sappia adattarlo alle esigenze di svolgimento degli stessi. Le competenze core sono per l’appunto questo nocciolo nascosto nelle competenze distintive, suscettibile di valorizzazione per fare cose nuove mediante nuove attività di set up. Competenze core sono, per esempio: le capacità tecnologiche

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suscettibili di applicazioni in campi nuovi; le capacità di marketing trasferibili, mutatis mutandis, a business di differenti settori; le capacità di gestire progetti complessi (di ricerca e sviluppo o di altro tipo) applicabili in nuovi, sfidanti ambiti di lavoro; le capacità di costruzione o di riposizionamento di brand (in ambiti competitivi più vasti) valorizzabili in nuovi settori di beni di consumo; le capacità di intessere feconde relazioni di filiera in nuove realtà business to business8. Le risorse di un’azienda si possono esporre nei loro collegamenti con le attività muovendo da una classificazione che le riconduce alle vaste categorie delle risorse tecnologiche, commerciali, finanziarie, imprenditoriali e manageriali. Alcuni esempi di risorse costituenti il patrimonio così articolato sono presentati nella Tavola 1.2, Tavola 1.2 Articolazione delle risorse di un’azienda: alcuni esempi Imprenditoriali e manageriali

RISORSE

Commerciali

Tecnologiche

Finanziarie

BENI

Tangibili

• Negozi • Magazzini • Strutture fisiche per la logistica

• Impianti • Stabilimenti • Macchinari • Attrezzature hardware

• Mezzi propri • Riserve di liquidità

• Sistemi di gestione

Intangibili

• Marchi • Reti distributive • Portafoglio clienti • Fedeltà e soddisfazione della clientela • Sistema informativo di marketing

• Brevetti • Copyright • Software • Patrimonio di relazione con fornitori e centri di ricerca

• Reputazione presso la comunità finanziaria • Riserve di capacità di indebitamento

• Accordi di collaborazione • Reputazione del gruppo imprenditoriale e del top team

COMPETENZE ORGANIZZATIVE

• Capacità di ascolto, analisi, segmentazione della clientela • Capacità di servizio al cliente • Capacità di sviluppo di nuovi clienti

• Capacità artigianali • Capacità tecnicoproduttive impiantistiche e di processo • Capacità di ICT

• Capacità di analisi, previsione, simulazione, monitoraggio dell’andamento economicofinanziario

• Capacità di visione e di sintesi imprenditoriale • Capacità di guida degli uomini e di coinvolgimento dei collaboratori • Capacità di instillare disciplina e di liberare iniziativa diffusa • Capacità di coinvolgimento di terze parti nella propria strategia

8

Il focus, nell’ambito delle competenze distintive, sulle “risorse core” è poi essenziale nella valutazione della strategia di business a livello aziendale (si veda il Paragrafo 4.8).

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Risorse tecnologiche f

Risorse • Finanziarie • Manageriali e imprenditoriali

e

Investimenti

d

a

Approvvigionamenti

b g

Produzione Risorse commerciali

c

Commercializzazione

Figura 1.5 Il sistema attività-risorse in un’impresa monobusiness: una rappresentazione semplificata. Fonte: adattato da Coda (1988, p. 8).

mentre la Figura 1.5 è una rappresentazione semplificata del sistema attività-risorse in un’impresa monobusiness. In tale rappresentazione gli anelli a, b, c, d, singolarmente e nel loro insieme, esprimono lo svolgersi delle attività correnti con i connessi fenomeni di aumento o di consumo di risorse. Gli anelli e, f, g esprimono, invece, i processi di accrescimento delle risorse riconducibili agli investimenti in risorse (tecnologiche, commerciali, imprenditoriali e manageriali) in cui si esplicano le attività di set up. Queste ultime, si noti, sono evidenziate come “investimenti”. Con riferimento alla Figura 1.5, nel Box 1.1 si propone ora un esempio di rappresentazione del “sistema attività-risorse” di un’impresa monobusiness. Box 1.1 Risorse e attività nel caso Modafil*

Modafil è un’impresa di filatura laniera che vende l’intera sua produzione di filati per aguglieria in Italia per corrispondenza. Le principali attività correnti sono quelle di approvvigionamento della lana, di filatura e tintoria, progettazione e realizzazione del catalogo, vendita tramite invio del catalogo. Le principali attività di set up si evidenziano negli investimenti in impianti e in acquisizione di indirizzi nominativi di potenziali clienti. L’insieme delle risorse industriali è composto di beni tangibili come l’impianto di filatura e le competenze di tintoria, quello relativo alle risorse commerciali riguarda, tra l’altro, la reputazione di azienda specializzata e l’indirizzario dei clienti. Nell’insieme delle risorse manageriali e imprenditoriali si ritrova la capacità di apprendere sempre più le caratteristiche della clientela target e di allineare ai suoi bisogni la value proposition offerta. Infine, fra le caratteristiche delle risorse finanziarie vi è un’elevata reputazione da parte della comunità finanziaria. * Informazioni tratte da Lavino (1980).

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L’insieme delle risorse di un’azienda, com’è ovvio, può formare oggetto di valutazione con riferimento a un certo momento. Ora, il suo valore economico dipende fondamentalmente da tre determinanti a cui corrispondono altrettante logiche valutative: (i) il valore di mercato dei beni singolarmente considerati o, in presenza di beni senza un mercato (tipicamente quelli intangibili), il valore a essi attribuibile sulla base del loro costo di ricostruzione o riproduzione; (ii) la redditività scaturente dallo svolgimento delle attività, la quale, se strutturalmente superiore alla redditività media di investimenti comparabili in capitali d’impresa, contribuirà al riconoscimento di un valore di avviamento (goodwill) genericamente attribuibile all’insieme delle risorse (nel caso opposto si darebbe luogo alla rilevazione di un badwill); (iii) le opzioni strategiche di sviluppi redditizi che esso dischiude, grazie alla presenza di “risorse core”. La logica valutativa sub (ii) potrebbe spingersi ad analizzare il vantaggio di redditività (vantaggio competitivo di costo o di prezzo) risalendo alle attività da cui esso dipende e, da queste, alle risorse che ne sono alla base. Senza escludere che simili esercizi possano avere una qualche utilità in termini di una più approfondita comprensione dell’economics di un’azienda, dobbiamo osservare che essi incontrano un limite nel carattere sistemico e dinamico delle attività e, ancor più forse, nella complementarità delle risorse che per il loro svolgimento sono impiegate. La logica valutativa sub (iii), anziché guardare alle risorse in relazione alla loro capacità attuale di generare un vantaggio competitivo, si pone nell’ottica di considerare le potenzialità strategiche valorizzabili vuoi all’interno dell’azienda considerata vuoi nelle strategie di crescita di potenziali aziende acquirenti. È quest’ultima una logica valutativa stimolante, che mentre implica un ampliamento e allungamento dell’orizzonte valutativo, espone al rischio di grossi abbagli.

1.5 Livelli della strategia* La definizione di strategia proposta all’inizio del libro è di generale validità, ma, nel caso di aziende operanti in più business, essa va declinata su due livelli: quello aziendale e quello di business9. Le aziende impegnate in diversi settori industriali (o in diversi comparti di un medesimo settore), infatti, hanno necessità di mettere a punto un disegno complessivo che, possibilmente, orienti, coordini o addirittura integri le strategie dei singoli business. La strategia complessiva dell’impresa multibusiness per altro non può essere analizzata e valutata se non facendo riferimento, almeno in prima battuta a ogni specifico “campo di attività”, ossia a ogni business in cui l’impresa è presente. Ciò è vero anche quando l’impresa si presenta con le caratteristiche di un conglomerato di aziende per nulla interrelate. Non ha senso, per esempio, chiedersi chi siano i concorrenti, quali le prospettive di mercato, quali le determinanti del vantaggio competitivo del Gruppo De Agostini. Le attività facenti capo a De Agostini, infatti, spaziano dall’editoria ai * Questo paragrafo è stato scritto da Giorgio Invernizzi. 9  Non si considera il livello funzionale dato che si riserva l’impiego del termine “strategia” solo alle realtà che si compongono a sistema di attività relativamente autonomo.

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media, ai giochi, fino alla finanza ( private equity). È evidente che solo passando attraverso la considerazione distinta dei diversi ambiti di attività si può giungere a esprimere giudizi sull’azienda nel suo insieme. Similmente, nelle grandi multinazionali diversificate, come General Electric o Samsung, è necessario valutare sia il disegno di ciascun business sia il disegno sovraordinato e complessivo a livello aziendale. Ma anche nel caso di imprese operanti in settori meno marcatamente diversificati, come è il caso, per esempio, del Gruppo Calzedonia, la riflessione strategica non può non articolarsi sui due livelli: quello aziendale e quello dei singoli business. 1.5.1 La strategia a livello aziendale La strategia a livello aziendale (o corporate level strategy) è il disegno di sviluppo dell’impresa che definisce il sistema “attività-risorse” complessivo, nella sua interezza, articolandolo a livello centrale e a livello business. Due sono, conseguentemente, gli elementi caratterizzanti la strategia a livello aziendale: A. il sistema “attività-risorse” a livello centrale, considerato nella sua attitudine a generare o meno valore per i business, per gli azionisti e per agli altri stakeholder; B. il disegno di sviluppo dell’azienda nella sua interezza che definisce il vettore lungo il quale essa intende crescere. Consideriamo distintamente i due elementi. A. Il sistema “attività-risorse” a livello centrale Quanto alle attività eseguite centralmente, esse possono distinguersi, come quelle svolte a livello di business, in attività correnti e attività di set up. Tipiche attività correnti sono, per esempio, quelle relative al sistema informativo e di controllo, ai sistemi di gestione dei collaboratori, alla gestione finanziaria, alla comunicazione aziendale. Mentre attività di set up eseguite centralmente sono, per esempio: • le attività di guida e di controllo strategico (o attività di gestione strategica); • le operazioni straordinarie (come acquisizioni, fusioni, dismissioni, scissioni, spin off); • le ristrutturazioni organizzative; • il lancio e l’attuazione di progetti sfidanti volti a realizzare incrementi di produttività (come progetti di total quality management, action work out, business process reengineering, six sigma). Quanto, invece, alle risorse collocate a livello centrale, si propone nella Tavola 1.3 un’esemplificazione riprendendo la classificazione introdotta nel Paragrafo 1.4. Il sistema “attività-risorse” a livello centrale muta di articolazione e di contenuti soprattutto in ragione: • di come il vertice concepisce il proprio ruolo di guida dell’azienda; • della logica di sviluppo dell’impresa nella sua interezza.

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Tavola 1.3 Risorse a livello centrale: alcuni esempi RISORSE

Finanziarie

Imprenditoriali e manageriali

BENI

Tangibili

• Liquidità disponibile

• Palazzina uffici centrali

Intangibili

• Reputazione presso la comunità finanziaria

• Reputazione del vertice aziendale

• Capacità di relazionarsi con investitori, analisti finanziari e società di rating

• Competenze di general management • Capacità di networking, di intessere relazioni e instaurare alleanze • Capacità di integrare terze parti all’interno della propria strategia • Competenze di M&A

COMPETENZE ORGANIZZATIVE

Sul primo punto si immagini quanto diversa sarebbe la configurazione del sistema risorse-attività centrali nell’ipotesi che detto ruolo fosse concepito: • come quello di un distaccato azionista che si limita a gestire la sua partecipazione di controllo assumendo le decisioni che competono alla proprietà; • come quello di un management burocratico, operante con diversi livelli organizzativi e attrezzato con pesanti strutture di staff; • come quello di un vertice snello, che interagisce direttamente con il management dei singoli business in logica di forte responsabilizzazione degli stessi e quindi operante con strutture centrali leggere. Sul secondo punto, si considerino le logiche di sviluppo dell’impresa multibusiness di cui si tratta di seguito. B. Il disegno di sviluppo dell’azienda nella sua interezza Il disegno di sviluppo è il pensiero strategico che connette i diversi business e ne spiega la presenza in una stessa impresa o gruppo multibusiness. Esso definisce le direttrici lungo le quali l’impresa intende evolvere (per esempio, in quali settori/ business? In quali nuovi mercati geografici? Integrandosi a monte o a valle? Ricorrendo o meno a nuovi apporti di capitale?). Tale pensiero può essere orientato o meno a valorizzare le interrelazioni esistenti tra i business. Nel primo caso il disegno di sviluppo è guidato da una logica competitiva o da una logica di complementarietà; nel secondo da una logica di gestione del portafoglio di partecipazioni. La logica competitiva è logica di creazione di un valore aggiuntivo rispetto a quello che i singoli business gestiti come aziende stand alone sono in grado di produrre. Essa infatti punta a generare e sostenere un plus di vantaggio competitivo grazie alla capacità del management di cogliere e valorizzare le interrelazioni tangibili e intangibili. E ciò attraverso processi rispettivamente di condivisione di attività (per esempio, mettendo in comune infrastrutture amministrative, assetti produttivi, organizzazioni di vendita) e di trasferimento di competenze (per esempio, di ricerca e sviluppo, di marketing, di general management). Le imprese multibusiness guidate da tale logica sono oggetto di approfondimento nel Paragrafo 4.8.

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La logica di complementarietà è logica di utilizzo delle diverse dinamiche stagionali e/o congiunturali e/o dei profili di rischio (per esempio, valutario) dei business in vista di una stabilizzazione dei flussi di reddito aziendali, oppure è logica di valorizzazione dei differenti profili di cassa in vista di gestire una crescita aziendale finanziariamente sostenibile. Tale logica non porta a influire sullo svolgimento delle attività nei diversi business (né tramite condivisione di attività, né mediante trasferimento di competenze), infatti le interrelazioni valorizzate fra i differenti business sono tipicamente di natura monetaria, finanziaria, fiscale e infrastrutturale10. La logica di gestione del portafoglio di partecipazioni, invece, è logica di gestione di un patrimonio, in cui si ritrovano partecipazioni in aziende entrate a far parte di quel patrimonio per motivi diversi, comunque estranei a una logica di creazione di un vantaggio competitivo (e, perlopiù, anche a quella di complementarietà), e ivi custodite per essere amministrate esercitando i diritti/doveri della proprietà nell’interesse della medesima, con maggiore o minore lungimiranza e professionalità. Tale logica tende alla conservazione e all’accrescimento del patrimonio, a volte attenendosi a criteri di frazionamento del rischio. Tipicamente i business sono gestiti da società indipendenti, sotto il controllo di una holding finanziaria che prende e attua le decisioni spettanti alla proprietà e fornisce attività di supporto amministrative e finanziarie (in tema di sistema informativo e di controllo, gestione della tesoreria, garanzie per l’ottenimento di finanziamenti a condizioni vantaggiose, fiscalità e così via). Il risultato preso a riferimento della gestione è il NAV (Net Asset Value, pari al valore di mercato delle partecipazioni al netto della posizione finanziaria netta aziendale). Esempi significativi di questa logica si rinvengono nei gruppi di imprese facenti capo a holding familiari. È questo il caso, per esempio, di Exor Spa (famiglia Agnelli), De Agostini Spa (famiglia Boroli-Drago), Edizione Srl (famiglia Benetton). Tali gruppi si presentano come delle conglomerate con partecipazioni (alcune di maggioranza, altre anche solo di minoranza) in settori tipicamente non correlati. Le realtà di Edizione (holding della famiglia Benetton) e di De Agostini sono illustrate nei Box 1.2 e 1.3. Le tre logiche (quella competitiva, quella di complementarietà e quella di gestione del portafoglio di partecipazioni) non sono conciliabili nella medesima impresa, ma si possono riscontrare presenti nel medesimo gruppo societario, con la logica di gestione del portafoglio di partecipazione collocata a livello di holding finanziaria al vertice della gerarchia societaria, quella competitiva a livello business e quella di complementarietà a livello intermedio. A queste logiche si può aggiungere una quarta logica. Ci riferiamo alla logica del private equity. Il successo in questo settore della intermediazione finanziaria, com’è noto, richiede, generalmente parlando: capacità di scouting di imprese sottovalutate dalle elevate potenzialità reddituali e strategiche; competenze di strutturazione dei deal in fase di acquisizione; capacità di gestire le partecipazioni esercitando accortamente il ruolo di azionista di controllo; capacità di gestire l’uscita dal busi10

Il disegno di sviluppo con logica di complementarietà viene tipicamente governato dal management con le cosiddette “matrici di portafoglio”. Esse sono assai numerose, poiché, a partire dagli anni Sessanta, studiosi e società di consulenza continuano a proporne di nuove. Per un esame critico delle più importanti proposte si rinvia a “Mappe di portafoglio in tempi di valore condiviso” di Invernizzi e Molteni, in M. Molteni, G. Invernizzi e M. Pedrini, 2021.

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Box 1.2 Edizione Srl

Edizione Srl è attiva nel retail principalmente con le partecipazioni in Benetton Group e Autogrill, mentre opera nel settore delle infrastrutture e dei servizi per la mobilità con partecipazioni in Atlantia-Autostrade per l’Italia, Investimenti Infrastrutture (Gemina-Aeroporti di Roma) e SAGAT. Edizione è inoltre presente nei settori immobiliare, agricolo, alberghiero, sportivo, oltre a detenere partecipazioni di portafoglio, fra cui Mediobanca, Assicurazioni Generali, RCS e Pirelli. Edizione Srl è interamente controllata dalla famiglia Benetton. A fine 2012 il NAV di Edizione era pari a 5,3 miliardi di euro e le società consolidate impiegavano complessivamente circa 71 500 dipendenti. Edizione ha l’obiettivo di creare valore per gli azionisti, sviluppando gli investimenti in un orizzonte di lungo periodo. Nell’esercizio delle proprie prerogative di azionista, coniuga un approccio imprenditoriale con una solida disciplina finanziaria; le risorse finanziarie sono al servizio dello sviluppo delle società controllate, in modo da migliorarne la competitività e la redditività. Nel rapporto con le medesime, Edizione rispetta la loro autonomia operativa rimanendo costantemente aperta al dialogo. Oggetto di attenzione da parte della capogruppo sono: • • • •

i risultati economico-finanziari, con l’obiettivo, assegnato alle società, di generare flussi di cassa stabili e prevedibili nel tempo mantenendo una struttura patrimoniale equilibrata; la governance: partecipazione ai Consigli di Amministrazione (CdA) al fine di monitorare l’attività delle società e contribuire alla loro crescita; il management: persone con elevate capacità professionali, di grande esperienza e orientate alla crescita nel lungo periodo; le partnership: selezionati investitori che possano condividere strategie e obiettivi.

In particolare Edizione svolge le seguenti attività: A. B. C. D.

gestisce il portafoglio investimenti; sviluppa alleanze con partner; svolge attività correnti tipiche di una holding finanziaria; intrattiene i rapporti con la proprietà.

A. Gestisce il portafoglio investimenti mediante: • • • • •

una strategia volta a perseguire la creazione di valore in un orizzonte di lungo periodo, sia con crescita organica sia mediante acquisizioni nei settori di appartenenza; l’attribuzione al top management delle partecipate di una piena autonomia gestionale, ma al contempo supportandolo e stimolandolo nelle più rilevanti decisioni finanziarie e strategiche; il controllo dei processi di selezione per la copertura dei ruoli di vertice delle controllate (CEO, CFO e HRO); il monitoraggio dell’attuazione piani pluriennali e dell’andamento dei risultati delle partecipate; la partecipazione proattiva ai lavori dei CdA e dei comitati interni (Comitato Investimenti, Comitato Controllo Interno, Comitato Remunerazione);

Fonte: adattato da http://www.edizione.it. e dalla presentazione svolta presso la Bocconi dal dott. Carlo Bertazzo, direttore generale di Edizione Srl, 12 maggio 2015.

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26 Capitolo 1

• • •

il funzionamento di una efficace ed efficiente corporate governance, quale strumento per mitigare i rischi aziendali (mix di competenze nella composizione dei CdA e dei collegi sindacali, bilanciamento tra breve e lungo periodo dei sistemi di remunerazione e incentivazione e definizione dei parametri di performance, piano audit e meccanismi di funzionamento dei vari comitati per la gestione dei rischi operativi, legali, finanziari, ambientali ecc.); l’analisi periodica dei trend di settore e delle scelte strategiche dei competitor, coinvolgendo banche d’affari o consulenti industriali; gli incontri con investitori istituzionali, azionisti delle partecipate quotate e banche finanziatrici delle stesse, per un confronto diretto con il mercato finanziario; la valutazione di opportunità d’investimento o disinvestimento delle partecipate, seguendo con eventuali consulenti legali, fiscali e finanziari la definizione e l’implementazione operativa delle operazioni.

B. Identifica, definisce e gestisce le alleanze con i partner-soci nei diversi investimenti, negoziando i relativi patti parasociali (investire con partner strategici permette di condividere le responsabilità, i rischi e i benefici nei nuovi business). C. Svolge le attività correnti proprie della holding, riguardanti i rapporti con le autorità o enti terzi (Consob, revisori contabili ecc.), la posizione finanziaria di Edizione (contratti di finanziamento, impiego della liquidità), il bilancio civilistico e consolidato e tutta la documentazione per il proprio CdA, gli adempimenti amministrativi-fiscali-societari. D. Si confronta in modo ricorrente con i rappresentanti della proprietà.

ness nei tempi e nei modi più opportuni. La logica del private equity si stacca nettamente da quelle in precedenza accennate, perché non è né una “logica di sistema dei business” (logica competitiva o di complementarietà) né una logica di gestione del portafoglio di partecipazioni, ma considera ogni business una realtà a sé stante in cui entrare per poi uscire, dopo alcuni anni, possibilmente lucrando una più o meno sostanziosa plusvalenza. E questo vale sia che si tratti di fondi generalisti o di fondi specialisti. I fondi delle società di private equity “generaliste” procedono alle acquisizioni di partecipazioni di controllo o minoritarie senza circoscrivere i settori di attività, ma solo guardando alla potenziale plusvalenza realizzabile. Alcune note società di private equity che seguono tale approccio sono, per esempio, Berkshire Hathaway, The Carlyle Group, Goldman Sacks Capital Partners, Bain Capital. I fondi di private equity specialisti sono fondi focalizzati su un dato settore o su un dato Paese o sui Paesi di una data area come il caso di Mandarin Capital Partners, che opera nella duplice direttrice Italia-Cina e Cina-Europa. In tutte le logiche appena descritte si può avere generazione di un valore economico aggiuntivo conseguente all’appartenenza di quel business a un’impresa o gruppo multibusiness. Va detto per altro che, nel caso della logica di gestione del portafoglio di partecipazioni e pure della logica di complementarietà, le concrete possibilità di generare valore aggiuntivo si connettono tipicamente alla capacità del vertice della holding finanziaria di porre le condizioni per una qualità del management dei singoli business superiore a quella di cui essi singolarmente potrebbero dotarsi ove fossero gestiti come imprese stand alone.

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Box 1.3 De Agostini Spa

Negli ultimi 15 anni De Agostini si è trasformata da società italiana editoriale a un gruppo multinazionale diversificato con un fatturato superiore a 5,4 miliardi di euro e con un NAV di circa 3 miliardi di euro. I settori in cui attualmente opera sono giochi, assicurazioni, TV e media, asset management. Nella holding lavorano circa 50 persone fra dirigenti e impiegati suddivise in 7 uffici: strategie e sviluppo; controllo direzionale; amministrazione, finanza, reporting e tesoreria; affari fiscali; affari legali e societari; relazioni istituzionali e media; investor relations. La holding: •

• • • •

definisce le linee guida per lo sviluppo strategico del Gruppo ed è responsabile dell’asset allocation (analisi/selezione investimenti, durata investimenti, mix settori industriali/geografie ecc.); è responsabile del monitoraggio strategico del portafoglio e delle conseguenti politiche di investimento e di disinvestimento; nomina il top management delle società partecipate e ne controlla l’andamento gestionale; coordina e supporta l’esecuzione di progetti straordinari delle partecipate (acquisizioni, fusioni, dismissioni, finanziamenti ecc.); definisce i principi e le politiche contabili, finanziarie, fiscali e legali di gruppo.

Le società partecipate: • •

elaborano in autonomia i piani strategici/budget che vengono approvati nei rispettivi CdA; sono responsabili per l’esecuzione dei piani strategici/budget e quindi dei risultati conseguiti.

Fonte: adattato dalla presentazione svolta presso la Bocconi dal dott. Paolo Cerretti, direttore generale di De Agostini, 11 maggio 2016.

La generazione di valore aggiuntivo è, in estrema sintesi, ciò che giustifica l’esistenza di un livello di gestione strategica sovraordinato rispetto a quello di business. Nei fatti spesso prevalgono logiche differenti – speculative, di potere o di altro tipo – che portano alla formazione di imprese appesantite da strutture centrali inefficienti e incapaci di creare valore per le unità di business. Si riscontra, in tal caso, uno “svantaggio a livello aziendale”11. 1.5.2 La strategia a livello di business La strategia di business (in imprese sia multi-, sia monobusiness) è la parte più importante della strategia e costituisce il contenuto prevalente di questo libro12. 11

Il vantaggio/svantaggio a livello aziendale (o vantaggio/svantaggio parentale) sarà approfondito nel Paragrafo 4.8. 12  La strategia di business non si sviluppa soltanto a livello business, ma si estende anche in modo trasversale rispetto ai diversi business (si veda il Capitolo 4, in particolare Paragrafo 4.8 e Appendice C). Per questo motivo l’espressione “strategia di business” ha un significato più ampio di quello di business level strategy o “strategia competitiva”. Nel presente libro, quando si parla di strategia competitiva senza specificare il livello a cui si riferisce, si intende la strategia competitiva a livello business.

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28 Capitolo 1

La definizione della strategia a livello di business presuppone che siano prima identificati i business in cui l’impresa opera13. È un problema importante perché ogni business si confronta con problematiche competitive ed economico-finanziarie sue proprie e si svolge attraverso un sistema di attività che, fra l’altro, nell’impresa multibusiness, può essere interconnesso con quello di altri business. Un business si presenta come un sistema di attività: • dotato di una struttura e di una logica economico-finanziaria sua propria; • configurabile come un’unità di sintesi e di responsabilità di risultati economico-finanziari; • governabile come un tutto relativamente omogeneo e unitario; • con il quale ci si deve misurare in un definito settore industriale (o, meglio, in un dato ambito competitivo, stanti i labili confini dei settori come si evidenzierà nel Capitolo 3). Tale sistema di attività è l’espressione della strategia di business con cui: • • • •

ci si confronta con la concorrenza; si origina occupazione o disoccupazione; si producono performance positive o negative; si gioca in ultima istanza il successo o l’insuccesso dell’impresa.

Nell’impresa multibusiness la gestione del sistema delle attività proprie di ogni business non avviene in totale autonomia, non solo per la presenza di attività a livello centrale ma anche – nell’ipotesi di una logica competitiva – per la valorizzazione delle interrelazioni esistenti fra le attività dei diversi business. Ciò si verifica soprattutto quando si è in presenza di: • un unitario assetto produttivo utilizzato per realizzare prodotti differenti destinati a diversi mercati; • un mercato o un insieme unitario di sbocchi servito con prodotti ottenuti impiegando differenti materiali/tecnologie/impianti; • un canale distributivo utilizzato per commercializzare prodotti destinati a diversi bisogni e/od ottenuti da diversi impianti produttivi. Se i business, invece, sono privi di interrelazioni fra le attività che li compongono, ogni business viene gestito in modo più autonomo, con una sua propria strategia specifica che non si raccorda a livello aziendale complessivo se non per le problematiche finanziarie, fiscali e di utilizzo di risorse infrastrutturali comuni14. Nelle grandi imprese i business possono essere raggruppati in unità organizzative variamente denominate (settori, divisioni, sub-holding) che si pongono a più livelli gerarchici di aggregazione. Passiamo, a questo punto, alla metodologia di individuazione dei business.

13

Una metodologia che consente di pervenire alla individuazione dei business è proposta nel Paragrafo 1.6.  È questo il disegno di sviluppo dell’azienda caratterizzato da una logica di complementarietà (si veda il Paragrafo 1.5.1. B). 14

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1.6 Individuazione dei business* Una metodologia di definizione del business è valida nella misura in cui riesce a rispondere alle seguenti domande. • Come rappresentare la complessa realtà di un’impresa? Come ragionare intorno ai numerosi tipi di prodotti, alle differenti tecnologie utilizzate e alle diverse categorie di clienti? • Quali sono i sistemi di attività da gestire in modo relativamente autonomo con una strategia loro propria (cioè quali sono i business, per ognuno dei quali corrisponderà una strategia di business)? Al fine di individuare gli eventuali business in cui opera l’impresa, appare indispensabile utilizzare un concetto base dell’analisi strategica: la combinazione prodotto/mercato (dove il “prodotto” evoca anche le tecnologie in esso impiegate e il “mercato” i bisogni dei clienti destinatari finali del prodotto). Essa è un insieme di attività aziendali definito in base all’unione fra i prodotti offerti e i clienti serviti (gli “atomi strategici”). Per identificare i business in cui un’impresa opera occorre seguire un processo logico composto dai passi seguenti: A. costruire la matrice prodotti/mercati; B. identificare le diversità/somiglianze che caratterizzano ciascuna combinazione prodotto/mercato; C. valutare l’importanza relativa di tali diversità/somiglianze e definire i business, ovvero un tassello fondamentale del disegno che definisce il sistema delle attività (la strategia di business). A. Costruire la matrice prodotti/mercati Per individuare le combinazioni prodotto/mercato in cui opera un’impresa è utile costruire la matrice prodotti/mercati attraverso i seguenti passi: • • • •

elencare tutti i possibili criteri di classificazione dei prodotti e dei mercati; ordinare i diversi criteri secondo la loro importanza esplicitandone i motivi; costruire la matrice prodotti/mercati sulla base dei criteri più importanti; fornire la distribuzione percentuale del fatturato fra le diverse combinazioni prodotto/mercato.

Il primo passo nella costruzione della matrice prodotti/mercati (elencare tutti i possibili criteri di classificazione dei prodotti e dei mercati) è un momento di intensa generazione di idee. L’elencazione dei criteri individuati secondo la loro importanza (che segue a un’approfondita analisi di tutti i possibili criteri) porta a privilegiare, per quanto riguarda la classificazione dei prodotti, uno o – al massimo – due criteri. Lo stesso vale per i mercati. Il consiglio operativo più rilevante al riguardo è di puntare a una matrice prodotti/mercati agile, attraverso l’impiego dei soli criteri di classificazione dei prodotti e dei mercati/clienti più significativi, utilizzando al massimo i due criteri più rilevanti per ciascun lato della matrice. * Questo paragrafo è stato scritto da Giorgio Invernizzi.

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30 Capitolo 1

B. Identificare le diversità/somiglianze che caratterizzano ciascuna combinazione prodotto/mercato A ogni combinazione pro­dot­to/mer­cato corrisponde un sottosistema aziendale strategicamente rilevante? In altri termini, le diverse combinazioni prodotto/mercato corrispondono ad altrettanti business, oppure alcune di esse possono utilmente essere aggregate? Per rispondere a queste domande, è utile interrogarsi sulle diversità/somiglianze ca­rat­terizzanti ciascuna combinazione prodotto/mercato rispetto alle altre, passando in rassegna i seguenti elementi: • struttura dell’offerta; • caratteristiche della domanda; • dinamica concorrenziale (per esempio, minaccia da prodotti sostitutivi o nuovi entranti); • fattori critici di successo; • struttura dei costi e composizione del flusso di cassa netto. Analizzando le “diversità/somiglianze” proprie delle varie combinazioni prodotto/ mercato è utile soffermarsi prevalentemente sui “fattori critici di successo”, poiché su di essi tendono a ripercuotersi le diversità/somiglianze degli altri elementi indicati nella Tavola 1.4. È possibile evitare questa fase analitica solo nell’ipotesi in cui ci si trovi di fronte a una “matrice diagonale”, cioè a una realtà aziendale in cui le diverse combinazioni prodotto mercato non condividono né i prodotti né i mercati. In tale eventualità, a ogni combinazione prodotto/mercato potrà corrispondere un business. Quando, invece, si riscontra una notevole dispersione delle combinazioni prodotto/mercato nella matrice, l’individuazione dei business appare più problematica e si dovrà seguire il percorso analitico qui di seguito descritto. C. Valutare l’importanza relativa di tali diversità/somiglianze e definire i business Ogni business sarà costituito da una o più combinazioni prodotto/mercato strategicamente simili. Tale similitudine verrà individuata analizzando con un certo grado di dettaglio le “diver­si­tà/so­miglianze” proprie delle diverse combinazioni prodotto/ mercato valutandone l’importanza.

Tavola 1.4 Tavola per valutare le diversità/somiglianze proprie delle varie combinazioni prodotto/mercato, al fine di identificare i business Combinazioni prodotto/mercato Caratteristiche delle combinazioni

1

2

3

………

n

Struttura dell’offerta Caratteristiche della domanda Dinamica concorrenziale (minaccia da prodotti sostitutivi o nuovi entranti) Fattori critici di successo Struttura dei costi e del ciclo monetario

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Le combinazioni prodotto/mercato, infatti, possono tra loro differire in misura più o meno marcata in relazione agli elementi appena menzionati e riprodotti nella Tavola 1.4. Una volta valutate le diversità e le somiglianze fra tutte le combinazioni prodotto/mercato, il passo successivo consiste nell’interrogarsi sulla necessità o sulla convenienza di concepire e di gestire l’impresa come un insieme articolato di business in luogo di considerarla un’impresa monobusiness. Quando l’analisi degli elementi citati permette di individuare una combinazione prodotto/mercato con caratteristiche distintive rispetto alle altre combinazioni prodotto/mercato, siamo di fronte a un business composto da una sola combinazione prodotto/mercato, che come tale è, o dovrebbe essere, gestito. Mentre, quando le somiglianze fra due o più combinazioni prodotto/mercato prevalgono sulle diversità, le stesse sono opportunamente aggregabili in un unico business. Se tutte le combinazioni prodotto/mercato appaiono simili siamo di fronte a un’azienda monobusiness; differentemente l’azienda è multibusiness. In conclusione, quello dell’identificazione dei business è un processo complesso che presuppone la conoscenza di alcuni strumenti di analisi (principalmente, la matrice prodotti/mercati), una certa creatività e, in particolar modo, una conoscenza approfondita dell’impresa e dell’ambiente in cui è immersa. Tale processo richiede che si guardi con occhi nuovi una realtà ben conosciuta, apprezzando – per esempio – per ogni business non soltanto i dati dimensionali o di performance trascorsi, ma anche i fattori critici di successo, ricostruiti a partire dalle singole combinazioni prodotto/mercato di cui il business si compone e, soprattutto, il potenziale di sviluppo realizzabile grazie a una gestione focalizzata su date combinazioni (o insiemi di combinazioni) prodotto/mercato. Si tratta di informazioni importanti per definire gli obiettivi e per rendere più incisiva e produttiva l’attività di gestione strategica dell’impresa (che rappresenta una delle attività di set up che si pongono a livello aziendale).

1.7 Risultati di business e risultati aziendali* Nelle imprese multibusiness, gli obiettivi e i risultati competitivi, economico-finanziari e sociali hanno diversa considerazione a livello di business e a livello aziendale complessivo. Precisamente: • i risultati competitivi si misurano unicamente a livello dei singoli business, e a questo livello li si valuta tenendo conto anche dei costi e dei benefici derivanti ai business dall’essere parte di un’impresa multibusiness; • i risultati economico-finanziari sono oggetto di rilevazione e di apprezzamento sia a livello aziendale sia a livello di business; • i risultati sociali – rappresentati dai livelli di consenso che l’impresa ottiene da parte degli interlocutori diversi dai clienti destinatari finali dei suoi prodotti e dagli azionisti – si possono rilevare e apprezzare a entrambi i livelli (azien-

* Questo paragrafo è stato scritto da Giorgio Invernizzi.

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32 Capitolo 1

dale e di business) o soltanto a livello aziendale, secondo gli stakeholder interessati. Ma vediamo di spiegarci cominciando dai risultati (e dagli obiettivi) competitivi. Questi consistono e si riassumono nel livello di consenso commerciale che il “sistema di offerta” dell’impresa (value proposition), raffrontato con quello dei concorrenti, riscuote presso i clienti in ogni business. Tale consenso, in quanto variabile di natura qualitativa, si misura e si apprezza attraverso sia indicatori quantitativi esprimenti le quote di mercato (assolute e relative), la “copertura” del mercato, la “penetrazione” presso la clientela, la fedeltà dei clienti, il loro grado di soddisfazione, sia informazioni qualitative sullo stato di salute della clientela, la sua affidabilità, la sua capacità di iniziativa. Cambiamenti nel grado di consenso commerciale sono segnalati dalle variazioni di tali indicatori e informazioni nonché dalla crescita o dalla diminuzione del fatturato. Quest’ultima informazione tuttavia va ricondotta alle variazioni della domanda di mercato e della conseguente quota di mercato che l’impresa riesce a conquistare e a mantenere. Il consenso commerciale che circonda l’impresa in un dato business dipende dal suo sistema di attività, che, sul versante dei costi e/o su quello del valore per il cliente, può beneficiare o essere penalizzato dall’essere parte di un’impresa multibusiness. Questa circostanza però, unitamente alle informazioni sul dispiegarsi delle forze competitive, è rilevante per ricercare le cause di quei risultati, che di per sé sono pure manifestazioni del successo o insuccesso dell’impresa in quella data arena competitiva. Venendo ora ai risultati (e agli obiettivi) economico-finanziari, occorre distinguere anzitutto tra redditività, liquidità e solidità patrimoniale15. Infatti, la solidità si mette a fuoco essenzialmente a livello aziendale complessivo, mentre a livello business entra in considerazione in qualche misura quando il business è gestito autonomamente sul piano giuridico; la liquidità è oggetto di continuo monitoraggio a livello aziendale, mentre a livello business si controlla il flusso di cassa netto generato o assorbito dalla sua gestione (che confluisce nel flusso di cassa netto aziendale); la redditività si misura e si apprezza sia a livello aziendale sia a livello business. La misurazione della redditività a livello business incontra dei limiti nella configurazione del portafoglio business. Precisamente, quanto più i sistemi di attività di ciascun business sono interconnessi, tanto più diventa problematica la rilevazione di significativi risultati reddituali a livello dei singoli business e ci si deve accontentare di conoscere i margini di contribuzione di ciascun business16 (si veda la Tavola 1.5). Per contro, se non vi sono attività rilevanti di gestione caratteristica condivise fra i diversi business, è possibile determinare i redditi operativi dei singoli business (si veda la Tavola 1.6). Anzi, poiché in tale ipotesi è possibile altresì rilevare il capitale investito netto in ciascun business (si veda la Tavola 1.7), si può 15

A questi tre elementi si affianca il valore delle azioni, che rappresenta una misura di performance di più complessa valutazione. Si veda in proposito il Paragrafo 10 di Coda V., Invernizzi G., Russo P., 2017. 16  In realtà, se ci sono transfer price tra i business o clienti condivisi, anche i margini possono non essere pienamente significativi.

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Strategia e risultati 33

Tavola 1.5 Articolazione del conto economico di un’impresa multibusiness con attività rilevanti condivise (disegno di sviluppo con logica competitiva)* Business 1

Business 2

Business …

Business n

Totale aziendale

1. Ricavi netti

XX

XX

XX

XX

XX

2. Costi variabili

XX

XX

XX

XX

XX

3. Marg. di contr. lordo (1 − 2)

XX

XX

XX

XX

XX

4. Costi fissi speciali

XX

XX

XX

XX

XX

5. Marg. di contr. semil. (3 − 4)

XX

XX

XX

XX

XX

6. Costi fissi comuni: • delle attività condivise fra i business • delle unità centrali 7. Reddito operativo a livello aziendale (5 − 6)

XX XX XX

* Tutti i valori del conto economico e del rendiconto finanziario di questa e delle tavole successive possono essere espressi al lordo o al netto dell’imposizione fiscale. I valori al netto delle imposte, che possono essere stimati rettificando i risultati economici in base all’aliquota fiscale rilevante, sono indispensabili per determinare il “free cash flow”, ovvero il flusso di cassa della gestione tipica (inclusi investimenti e disinvestimenti) al netto delle imposte.

pervenire, a livello di business, a una significativa misura della redditività operativa (ROI)17, ferma restando invece la determinazione della redditività netta (ROE) a livello aziendale complessivo. Questo per quanto riguarda la riclassificazione di conto economico e stato patrimoniale. Quanto al flusso di cassa netto derivante dai business, esso può essere misurato anche in presenza di attività condivise sia pure con le limitazioni derivanti dal fatto che possono esservi costi comuni ai diversi business (si veda la Tavola 1.8). Restano da considerare i risultati (e gli obiettivi) sociali. Anche qui, analogamente al “consenso commerciale”, ci troviamo in presenza di una variabile qualitativa – il “consenso (o approvazione) sociale” – che, in quanto tale, può mettersi a fuoco soltanto attraverso indicatori di tipo quantitativo e informazioni qualitative. Questa variabile si configura diversamente, ed è variamente osservabile ai diversi livelli di analisi strategica, in relazione alle categorie di stakeholder. Diversa infatti è la relazione che ogni interlocutore stabilisce con l’azienda: relazione fatta di contributi che gli vengono richiesti e di prospettive di ricompensa che gli vengono offerte; relazione che si stabilisce con l’azienda nel suo complesso (come, per esempio, nel caso del mercato finanziario in cui l’impresa è quotata)18, oppure con un suo sottosistema (come, per esempio, nel caso degli abitanti della località in cui l’impresa ha uno dei suoi insediamenti produttivi o nel caso di partner di filiera che 17

In realtà si tratta di una redditività misurata prima delle spese a livello aziendale, che può essere anche sensibilmente diversa dalla redditività operativa a livello aziendale. 18 Nel corso del Capitolo 4 verrà enucleata, fra le diverse categorie degli stakeholder, quella degli azionisti. Così facendo, i risultati (e gli obiettivi) sociali saranno distinti in: • capacità di generare valore per gli azionisti; • capacità di generare valore per gli altri interlocutori sociali.

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34 Capitolo 1

Tavola 1.6 Articolazione del conto economico di un’impresa multibusiness senza attività rilevanti condivise (disegno di sviluppo con logica di complementarietà)* Business A

Business …

Business n

Totale aziendale

1. Ricavi netti di vendita

XXX

XXX

XXX

XXX

2. Costi variabili

XXX

XXX

XXX

XXX

3. Margine di contribuzione (1 − 2)

XXX

XXX

XXX

XXX

4. Costi di struttura

XXX

XXX

XXX

XXX

5. Costi di politica

XXX

XXX

XXX

XXX

6. Margine Operativo Lordo dei business (MOL) (o Ordinary EBITDA di business = 3 − 4 − 5)

XXX

XXX

XXX

XXX

7. Ammortamenti

XXX

XXX

XXX

XXX

8. Reddito operativo dei business (o Ordinary EBIT di business = 6 − 7)

XXX

XXX

XXX

XXX

9. Costi fissi delle unità centrali

XXX

10. Reddito operativo a livello aziendale (o Operating Profit o Ordinary EBIT = 8 − 9)

XXX

11. Oneri finanziari

XXX

12. Reddito di competenza (od Ordinary EBT = 10 − 11)

XXX

13. Componenti straordinari

XXX

14. Reddito ante imposte (o EBT = 12 + o − 13)

XXX

15. Imposte

XXX

16. Reddito netto (o Earning = 14 − 15)

XXX

* Si veda la nota della Tavola 1.5. Inoltre dobbiamo sottolineare che solo nella logica competitiva e in quella di complementarietà si cercano di definire i risultati (e gli obiettivi) economico-finanziari. Nella logica di gestione del portafoglio di partecipazioni, invece, il risultato preso a riferimento per ciascun business è il GAV (Gross Asset Value, pari al valore di mercato delle partecipazioni) e, tendenzialmente, lo stesso riferimento si riscontra nella logica del private equity. Per individuare le diverse logiche che caratterizzano il disegno di sviluppo si veda il Paragrafo 1.5.1. B.

hanno relazioni di fornitura o di distribuzione soltanto con una data unità di business o, ancora, nel caso di collaboratori che, pur avendo tutti lo stesso “datore di lavoro aziendale”, presentano livelli di consenso assai differenziati in relazione all’inquadramento gerarchico e contrattuale, alla “famiglia professionale” di appartenenza, alla unità organizzativa che li vede impegnati). Naturalmente i livelli di consenso a livello aziendale sono influenzati dai comportamenti e dalle performance a livello di business o di altri sottosistemi, come pure i livelli di consenso a livello di sottosistemi sono influenzati dai comportamenti e dalle performance aziendali. Ma questo nulla toglie alle considerazioni in merito al fatto che il livello di consenso di ciascuna categoria di interlocutori sociali va rilevato o a livello aziendale complessivo o a livello di una determinata unità organizzativa (sia essa una unità centrale, una unità di business, o uno stabilimento e altre ancora), salva poi la necessità o l’opportunità di operare una sintesi a livello aziendale.

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Strategia e risultati 35

Tavola 1.7 Articolazione dello stato patrimoniale di un’azienda multibusiness senza attività rilevanti condivise (disegno di sviluppo con logica di complementarietà) Business A

Business …

Business n

Totale aziendale

1. Crediti verso clienti

XXX

XXX

XXX

XXX

2. Rimanenze di esercizio e altre attività correnti centrali

XXX

XXX

XXX

XXX

3. Debiti verso fornitori e altre passività correnti centrali

XXX

XXX

XXX

XXX

4. Capitale circolante netto operativo (1 + 2 − 3)

XXX

XXX

XXX

XXX

5. Immobilizzazioni

XXX

XXX

XXX

XXX

6. TFR

XXX

XXX

XXX

XXX

7. Capitale investito netto (4 + 5 − 6)

XXX

XXX

XXX

XXX

8. Debiti finanziari a breve termine

XXX

9. Liquidità*

XXX

10. Debiti finanziari netti a breve termine (8 − 9)

XXX

11. Debiti finanziari a m-l termine

XXX

12. Debiti finanziari netti totali (o PFN o Net Debt = 10 + 11)

XXX

13. Patrimonio netto (o Equity)

XXX

14. Totale a pareggio (12 + 13 = 7)

XXX

* Quando l’ammontare della liquidità (voce 9) è superiore al valore dei “debiti finanziari a breve e a m-l termine” (voci 8+11), la liquidità si aggiunge al “capitale investito netto” (voce 7) per determinare il totale a pareggio con il “patrimonio netto” (voce 13).

Quanto agli indicatori che consentono la messa a fuoco e il monitoraggio dei risultati sociali, ci limitiamo qui a considerare brevemente i rapporti con i collaboratori dipendenti, i partner di filiera, gli azionisti e le banche. I livelli di consenso dei collaboratori possono investigarsi nelle loro manifestazioni attraverso molteplici informazioni oggetto di rilevazione routinaria o di indagini ad hoc riguardanti: livelli di soddisfazione, tassi di assenteismo, ore perse per scioperi, produttività, senso di appartenenza e di ownership nei confronti dell’azienda e così via. L’analisi delle cause dei risultati sociali può spingersi in varie direzioni, come, per esempio, quelle di investigare l’adeguatezza percepita delle informazioni e le risorse necessarie per fare un buon lavoro, la qualità delle relazioni con superiori e colleghi, il senso di giustizia o ingiustizia per come sono gestiti il sistema premiante e il sistema degli avanzamenti di grado e di carriera e così via. Il consenso e la coesione dei partner di filiera – ossia delle imprese fornitrici e distributrici con cui l’impresa intrattiene relazioni di particolare spessore che ne fanno degli alleati – sono strettamente dipendenti dalle performance economiche della filiera e dalla loro ripartizione: se la filiera è vincente e se i risultati che ne conseguono sono equamente ripartiti, è plausibile che si costruisca e si cementi una forte coesione, e viceversa nel caso opposto. Perciò, i livelli di consenso sono rilevabili, oltre che con indagini ad hoc sulla qualità delle relazioni con le aziende della

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36 Capitolo 1

Tavola 1.8 Articolazione del flusso di cassa di un’impresa multibusiness con attività rilevanti condivise (disegno di sviluppo con logica competitiva) Business 1

Business 2

Business …

Business n

Totale aziendale

1. Marg. di contr. semil. (come punto 5 della Tavola 1.5)

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2. Ammortamenti

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3. Flusso di capitale circolante netto della gestione corrente derivante dai business (1 + 2)

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4. Investimenti (disinvestimenti) in: • capitale circolante netto • immobilizzazioni

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5. Flusso di cassa netto della gestione dei business (3 − 4)

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6. Costi fissi comuni (esclusi gli ammortamenti in essi ricompresi)

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7. Investimenti (disinvestimenti) in attività condivise fra i diversi business in: • capitale circolante netto • immobilizzazioni

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8. Flusso di cassa netto dopo i costi e gli investimenti comuni (5 − 6 − 7)

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9. Imposte

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10. Flusso di cassa disponibile prima delle operazioni finanziarie (o Free Cash Flow = 8 − 9)

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filiera, attraverso la rilevazione e l’apprezzamento dei risultati economico-finanziari complessivi e lungo la catena produttivo-distributiva. La coesione della compagine azionaria è anch’essa influenzata dallo stato di salute economico dell’azienda. Qui tuttavia entrano in considerazione il rispetto dei diritti e il soddisfacimento delle ragionevoli aspettative che fanno capo ai soci che non esercitano i poteri di controllo. Il problema si pone in modo diverso per le società quotate e per le aziende non quotate. Nelle società quotate, infatti, gli azionisti che non esercitano il potere di controllo possono incidere sul clima di aspettative che condiziona il valore dell’azione. Questo può rappresentare un elemento di dissuasione, peraltro in alcuni casi debole, nei confronti dei comportamenti opportunistici di chi esercita i poteri di controllo. Da ultimo, anche il consenso di cui l’impresa gode presso il sistema creditizio è una variabile profondamente influenzata dalle performance economico-finanziarie. Esso si costruisce nel tempo attraverso relazioni improntate a correttezza e trasparenza atte ad alimentare la fiducia dei finanziatori nei confronti dell’impresa e dei suoi esponenti.

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