Capitolo
1
Introduzione allo studio del retailing Obiettivi di apprendimento Al termine di questo capitolo dovresti essere in grado di raggiungere i seguenti obiettivi: Comprendere il significato di retailing e la varietà delle funzioni di un’impresa commerciale al dettaglio. Valutare il contributo del comparto della distribuzione al dettaglio per la società in generale e per l’economia in particolare. Comprendere l’incidenza del retail sul totale del valore delle attività economiche a livello globale. Considerare l’ambito del retail in una prospettiva di carriera dopo la laurea. Esaminare le principali tendenze e sviluppi nel comparto della distribuzione al dettaglio. Avere uno sguardo d’insieme della struttura e del layout del testo.
1.1
Introduzione
Lo studio del retailing (o distribuzione commerciale al dettaglio) è probabilmente una delle più interessanti discipline impartite in corsi di laurea triennali e magistrali a indirizzo marketing e management. Nell’arco di poco più di quindici anni, il panorama della distribuzione commerciale è cambiato in maniera radicale, in particolare se ci riferiamo alle modalità con cui produttori, distributori e acquirenti interagiscono. Nei capitoli che seguono verrà indicata una serie di motivi per cui ciò è accaduto. Innanzitutto, tali cambiamenti sono stati sospinti dai progressi nelle tecnologie digitali. Questi hanno dato luogo, per esempio, a un uso sempre più intenso di piattaforme web e app da parte dei distributori per connettersi con i propri clienti target e dargli modo di conversare tramite computer, tablet, smartphone e altri dispositivi. Gli acquirenti sono diventati più proattivi e assertivi nelle loro interazioni con i retailer, come dimostrato d’altro canto dalla diffusa adozione di tali tecnologie. Lo sviluppo dei social media ha dato il via a un’ulteriore novità nel modo di comunicare tra acquirenti e retailer. I primi hanno oggi un accesso molto più am-
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Capitolo 1
pio di prima a informazioni riguardanti prezzi, offerte promozionali e lancio di nuovi prodotti. Inoltre, gli acquirenti condividono le proprie esperienze e conoscenze con altri individui a loro affini, attraverso varie piattaforme come Facebook, Twitter e Instagram. Alcuni di essi, inoltre, pubblicano blog. I retailer, a loro volta, creano proprie piattaforme web e canali nei social media dove possono connettersi con i rispettivi clienti target per ascoltarli e dialogare. Queste nuove modalità di comunicazione sono in controtendenza rispetto ai mezzi di comunicazione di marketing più tradizionali, come la tv, la radio e la pubblicità cartacea, che sono in gran parte di tipo “unidirezionale” (dal distributore all’acquirente). I canali di comunicazione di tipo mobile e digitale consentono invece un processo di comunicazione “bidirezionale”. Sempre più spesso, molti distributori affermano di essere in grado di intrattenere “conversazioni” con il proprio mercato di riferimento. Come vedremo nel testo, anche se nell’ultimo decennio si è verificata una crescita esponenziale dello shopping online, è comunque in dubbio se tale forma d’acquisto sia del tutto in grado di sostituire i punti vendita fisici o di ridurre la loro importanza. In questo primo capitolo, definiremo cosa s’intende per retailing e individueremo le sue funzioni nel contesto della filiera o supply chain. Considereremo l’incidenza del comparto della distribuzione commerciale sia nelle economie di selezionati Paesi, sia a livello globale. Valuteremo il ruolo che il retailing svolge nella società e accenneremo alle opportunità lavorative per i laureati che desiderano fare carriera in questo ambito. Esamineremo, quindi, alcune delle principali tendenze nella distribuzione al dettaglio che saranno poi approfondite nei capitoli a seguire. Tratteremo, inoltre, dei diversi formati commerciali utilizzati dai retailer e discuteremo di come essi evolvono e cambiano nel tempo.
1.2
Definire il retailing
Le imprese della distribuzione commerciale al dettaglio esistono perché in molti casi non è possibile per i produttori vendere direttamente al cliente finale. Sebbene esistano delle eccezioni (come nel caso di imprese manifatturiere che, per esempio, vendono direttamente online), per molte imprese il volume complessivo delle operazioni, associato alla vasta gamma di prodotti e alla relativa copertura geografica, necessitano dell’intervento di un intermediario commerciale per la rivendita dei beni all’utente finale. I distributori al dettaglio svolgono una serie di funzioni critiche per i produttori, evidenziate nella Figura 1.1.
Funzioni del retailing
Consegna
Accessibilità
Consulenza
Presentazione
Post-vendita
Promozioni
Figura 1.1 Principali funzioni del retailing per le imprese industriali
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Tali funzioni, illustrate nella Figura 1.1, sono riassunte di seguito. ▶▶ Consegna. Le attività di retailing consentono ai produttori, attraverso punti vendita fisici e operazioni online, di raggiungere gli acquirenti su vasta scala geografica, riducendo le distanze spaziali e temporali tra produzione e consumo. ▶▶ Accessibilità. I retailer sviluppano la presenza dei beni dell’industria sul mercato attraverso canali fisici e/o digitali permettendo agli acquirenti di conoscerli, valutarli e selezionarli. ▶▶ Consulenza. Mediante personale addetto alla vendita, i retailer forniscono informazioni dirette sulle caratteristiche dei prodotti, consigliano gli acquirenti ed effettuano dimostrazioni d’uso (per esempio, nella vendita di prodotti dell’elettronica). ▶▶ Presentazione. I retailer sono in grado di influenzare gli acquisti, esponendo e presentando i prodotti nel punto vendita, con un’ambientazione che sia funzionale ma anche attraente e confortevole. ▶▶ Post-vendita. L’assistenza ai clienti non si limita solo alla fase di vendita, ma riguarda anche la risoluzione di eventuali problemi che possono insorgere successivamente, come nel caso di reclami, esercizio del diritto di garanzia, sostituzione di articoli e resi. ▶▶ Promozioni. I retailer lavorano spesso a stretto contatto con i produttori per sviluppare promozioni, offerte speciali e collaborare al lancio di nuovi prodotti. Il retailing copre, quindi, una vasta gamma di attività, qualunque sia la tipologia di offerta commerciale. In altri termini, qualsiasi prodotto fisico o servizio che debba essere rivenduto necessita di un intermediario che svolga alcune o tutte le funzioni sopra elencate. Il retailing può essere definito come «L’insieme delle attività commerciali che aggiungono valore ai prodotti e ai servizi venduti ai consumatori per uso personale o familiare» (Levy e Weitz, 2004, p. 6). Questa definizione introduce la nozione di valore aggiunto, sottolineando l’importanza di ottimizzare l’offerta commerciale per il consumatore finale (cioè lo shopper). Se un’organizzazione non aggiunge valore, in qualche modo, alla propria proposta di prodotto/servizio, è improbabile che sopravviva a lungo nel contesto dove compete. Coughlin et al. (2006, p. 425) hanno affermato che: «il retailing consiste nelle attività di vendita ai consumatori finali di beni e servizi per consumo personale». Questa definizione riconosce esplicitamente l’attività di vendita come ruolo fondamentale e area di responsabilità del retailer. In sostanza, quest’ultimo generalmente rivende prodotti e servizi sviluppati da produttori e fornitori. Infine, si tenga conto delle osservazioni di Rosenbloom (2013, p. 24), il quale sostiene che: «i retailer sono imprese commerciali impegnate principalmente nella vendita di beni per il consumo personale o domestico e nella prestazione di servizi accessori alla vendita di tali beni». Ciò introduce un’altra dimensione nel ruolo dell’impresa commerciale, quella di fornire servizi ritenuti essenziali o rilevanti per la costruzione di una proposta di valore (value proposition), intesa come combinazione di benefici di tipo economico, funzionale, emozionale e simbolico percepiti dai consumatori target, che gli consentono di differenziarsi dalla concorrenza. Questa dimensione è importante perché nel Capitolo 7 sull’assistenza ai clienti si discuterà del fatto che gli acquirenti richiedono sempre più spesso livelli essenziali di servizio molto elevati nelle relazioni con le imprese commerciali (sia fisicamente che virtualmente). Dant e Brown (2008) richiamano a una certa prudenza nel definire il significato di retailing. A prima vista, è facile supporre che le attività e le responsabilità di
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un’impresa commerciale al dettaglio siano rivolte ai soli consumatori (business to consumer, b2c). Tuttavia, un esame più attento rivela che una parte significativa (probabilmente densa di criticità) delle interazioni di un retailer avviene con gli altri membri della filiera, soprattutto con i produttori. Si deve pertanto introdurre anche la dimensione business to business (b2b). È importante, in merito, osservare che in molti casi i retailer giocano un ruolo critico nel migliorare l’immagine di marca dei beni industriali e spesso lavorano a stretto contatto con i produttori per sviluppare nuove offerte per il mercato. Nel Capitolo 2, esamineremo più da vicino il ruolo della distribuzione al dettaglio nel contesto dell’intera filiera. Più avanti, nel Capitolo 3, considereremo e valuteremo la natura delle relazioni tra i retailer e i principali stakeholder a monte della filiera: i produttori. Il tipo di rapporto tra retailer e imprese manifatturiere può variare a seconda delle dimensioni e della categoria di queste ultime. I produttori più grandi e potenti sono in una posizione di vantaggio rispetto a quelli di minori dimensioni che non hanno le risorse necessarie per mettere in atto efficaci piani promozionali. Questo aspetto del management della distribuzione al dettaglio fa spostare molto chiaramente il focus nel dominio business to business (b2b). L’attività principale dei retailer è quella di rivendere i prodotti (assieme a un’adeguata gamma di servizi) all’utente finale attraverso una serie di canali di vario tipo: fisici, online, mobile e digitali. Con il termine “utente finale” ci riferiamo indifferentemente sia al consumatore che all’acquirente. Molti dei comparti in cui si articola il settore della distribuzione al dettaglio sono caratterizzati da forti pressioni, derivanti da un ambiente altamente competitivo. Di conseguenza, i moderni retailer sono chiamati a impiegare avanzate tecniche di marketing per sviluppare e fornire una proposta di valore (value proposition) efficace per i propri clienti target. Considereremo pertanto come il retailing si sia evoluto da approcci non strutturati ed elementari verso altri più sofisticati e complessi. Enfatizzeremo il concetto di proposta di valore e di come questa sia criticamente legata al modo in cui gli intermediari commerciali gestiscono i rapporti lungo tutta la filiera, nel tentativo di rispondere ai bisogni attuali e potenziali degli acquirenti. Un approccio gestionale che tenga conto delle relazioni di filiera è in realtà rilevante per qualsiasi organizzazione e il settore della distribuzione commerciale al dettaglio non fa eccezione. Anche i responsabili delle imprese del retail si trovano dunque di fronte alla sfida di creare, gestire e fornire una proposta di valore al cliente finale, che senza una filiera forte sarà difficile da superare. In particolare, esamineremo il passaggio dai retailer tradizionali, che si limitano a trasferire la merce all’acquirente, a quelli che esercitano una forte influenza e sono in grado di profilare i comportamenti d’acquisto dei consumatori. Questo capitolo tratta infine delle tendenze e degli sviluppi all’interno del settore della distribuzione al dettaglio e si concentra in particolare sull’evoluzione dei ruoli e delle responsabilità dei retailer.
1.3
L’impatto socioeconomico della distribuzione commerciale in Italia e UE
La distribuzione commerciale è uno dei più importanti settori che contribuisce al benessere della società in generale e dell’economia in particolare. Per molti versi, esso può essere inteso come un efficace indice di salute dell’economia nazionale.
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Difatti, quando l’economia di un Paese cresce, ceteris paribus, un numero maggiore di soggetti lavora e produce ricchezza sotto forma di reddito, da utilizzare per investimenti, spese e consumi. Al contrario, in una fase di recessione accade il contrario: la disoccupazione aumenta, gli investimenti si contraggono e diminuiscono spese e consumi per beni e servizi non essenziali. Quando si fa riferimento al settore della distribuzione commerciale, includiamo l’insieme degli intermediari commerciali di beni fisici e servizi a questi connessi. Distinguiamo a tal riguardo gli intermediari grossisti (wholesaler), i cui clienti sono rappresentati da altre organizzazioni (b2b), dai dettaglianti (retailer) che invece rivendono beni e servizi ai consumatori finali (b2c). Le modalità attraverso cui le imprese della distribuzione (grossisti e dettaglianti) svolgono le attività commerciali possono riguardare sia il classico canale dei punti vendita in sede fissa, cioè i negozi o store, sia le vendite al di fuori dei negozi (per esempio, commercio ambulante, vendite porta a porta, distributori automatici, vendite a catalogo, tramite telefono o tv) e infine il canale online dedicato all’e-commerce (accessibile da smartphone, tablet, pc/laptop e altri device connessi a internet che permettono di effettuare acquisti). In Italia, le statistiche ufficiali istat restituiscono al 2018 uno scenario distributivo caratterizzato da più di un milione di imprese della distribuzione (pari a oltre un quinto del totale delle imprese in Italia), qui rappresentato nella Tabella 1.1. Il contributo della distribuzione commerciale al pil, in termini di valore aggiunto, è di circa il 20%, e questo testimonia la notevole importanza del settore per l’economia nazionale. Dal punto di vista occupazionale, in Italia lavorano nel commercio più di 3,4 milioni di persone, che rappresentano circa il 14,7% del totale degli addetti. Il fatturato stimato del settore è di quasi mille miliardi di euro e si stima che per il futuro esso continui a crescere in volume e valore, anche se con rallentamenti dovuti alle incertezze economiche del 2019 e all’effetto del Covid-19 negli anni successivi. Si vedano, per esempio, le previsioni riportate nella Tabella 1.2. Tabella 1.1 Distribuzione commerciale all’ingrosso e al dettaglio in Italia: imprese attive, addetti, fatturato 2018* Comparti
Imprese attive
Addetti
Fatturato (miliardi di €)
Commercio all’ingrosso e al dettaglio e riparazione di autoveicoli e motocicli
117 026
382 382
134,65
Commercio all’ingrosso (escluso quello di autoveicoli e di motocicli)
374 436
1 143 082
540,383
Commercio al dettaglio (escluso quello di autoveicoli e di motocicli)
589 277
1 890 287
324,76
Totale
1 080 739
3 415 751
999,79
* Le ripartizioni delle attività economiche del commercio seguono i codici 45, 46 e 47 della classificazione ateco 2007. Fonte: istat, estrazione database i.Stat., 2018
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6 Capitolo 1 Tabella 1.2 Distribuzione commerciale all’ingrosso e al dettaglio in Italia: fatturato 2019-2024 (miliardi di €)* Comparti
2019
2020
2021
2022
2023
2024
Commercio all’ingrosso e al dettaglio e riparazione di autoveicoli e motocicli
141,61
133,30
138,89
147,44
159,19
163,05
Commercio all’ingrosso (escluso quello di autoveicoli e di motocicli)
508,79
492,84
499,02
509,88
525,35
529,73
Commercio al dettaglio (escluso quello di autoveicoli e di motocicli)
331,12
271,31
281,30
305,71
344,94
348,0
Totale
981,52
930,69
949,17
982,00
1029,47
1040,78
* Stime previsionali che includono l’impatto del Covid-19 anche sugli anni a venire. Fonte: adattato da Statista, 2020.
A livello ue a 28 Paesi, il settore della distribuzione commerciale (ingrosso e dettaglio) rappresenta al 2018 in termini di forza lavoro circa il 14,4% del totale addetti (34,5 milioni su 239,1), superando le attività manifatturiere che in precedenza si posizionavano al primo posto per contributo occupazionale (eurostat, 2020). Il solo comparto retail rappresenta in termini numerici quasi il 60% del totale delle imprese europee della distribuzione, con un valore di oltre 3,5 milioni di addetti. Volgendo lo sguardo alle dimensioni d’impresa, anche a livello europeo prevale la micro e piccola dimensione in termini di addetti (poco più del 99% circa del totale imprese dell’ingrosso e del dettaglio), mentre è numericamente esigua la quota di imprese medie e grandi (che nel complesso totalizzano meno dell’1%). Queste ultime sono localizzate soprattutto in alcune regioni nord-occidentali (Germania, Regno Unito e Francia totalizzano quasi il 50% delle grandi imprese commerciali nella ue), mentre i retailer di minori dimensioni hanno un’ampia diffusione nell’intera area geografica dell’Unione Europea con picchi in alcune regioni del Sud (Italia, Spagna). Nonostante la notevole discrepanza numerica tra le due classi dimensionali d’impresa (micro e piccola; media e grande), se ci concentriamo sul valore economico creato, i retailer di dimensioni micro e piccole realizzano quasi il 40% circa del fatturato complessivo delle vendite al dettaglio, mentre la restante quota delle vendite complessive è concentrata nelle mani dei player di maggiori dimensioni (dato 2017: eurostat, 2020). Il commercio al dettaglio in Europa fornisce, inoltre, impiego a quasi 20 milioni di persone (circa l’8% del totale degli addetti della ue) di cui un quinto circa lavora part time. Se si considerano i collegamenti verticali b2b tra gli operatori del commercio al dettaglio e gli altri soggetti della filiera, gli impatti generati in termini occupazionali ed economici sono ovviamente molto più estesi, forti delle interdipendenze e degli effetti moltiplicatori che la distribuzione genera con altri settori di attività economica. La distribuzione al dettaglio contribuisce significativamente anche a questioni diverse da quelle economiche e occupazionali. I retailer sono, difatti, tra i protagonisti nella ridefinizione delle strutture e degli assetti delle città, dei paesi e delle comunità locali. Lo dimostra l’emergere di grandi parchi e centri commerciali, e di altri formati di punti vendita localizzati al di fuori dei centri urbani. Questo fenomeno ha però risvolti sia positivi, sia negativi. Alcune città hanno,
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difatti, sofferto per la nascita delle strutture commerciali localizzate nelle aree extra-urbane a opera della grande distribuzione. Quest’ultima, forte della sua capacità di espansione, ha costretto molti piccoli retailer indipendenti a chiudere le loro attività. Di conseguenza, alcune “vie dello shopping” e altre zone urbane con posizioni privilegiate di alcune città, sono passate in secondo piano. Un risvolto positivo si è verificato in altre città, ringiovanite invece dai nuovi insediamenti commerciali lungo le strade principali, che hanno favorito un aumento degli acquirenti. Il settore della distribuzione al dettaglio tende anche a essere un campo pionieristico di applicazione delle innovazioni nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ict), mediante le quali le imprese commerciali mirano a conseguire una maggiore efficienza nelle operations e a generare valore nelle relazioni con i clienti. I retailer esercitano anche una grande influenza sul nostro stile di vita e sul nostro modo di socializzare con le persone. Molti parchi e centri commerciali si posizionano come luoghi di intrattenimento, dove le persone possono incontrarsi, interagire, socializzare ed estendere la loro permanenza oltre la semplice attività dello shopping. Lo dimostra l’inclusione, in queste strutture, di ristoranti, cinema, centri sportivi e così via. Si pensi, infine, come in diversi Paesi lo shopping viene considerato l’attività ricreativa più diffusa.
1.4
Il contributo del retail alle principali economie europee
Dal 2008 circa, a livello globale, le economie hanno sofferto di un periodo di recessione sostenuta. A partire dall’inizio del 2015, ci sono stati diversi segnali di ripresa per molte economie nazionali, anche se la recente pandemia di Covid-19 ha aperto un nuovo periodo di crisi diffusa. Nel periodo pre-pandemico si possono annoverare differenti andamenti connessi ai diversi contesti nazionali, di seguito richiamati. In Germania, per esempio, il settore retail ha continuato a registrare per tutto il 2019 una crescita notevole (Euromonitor International, 2020a), spinto soprattutto dalle vendite online tramite computer e dispositivi mobile. Inoltre, esso si caratterizza per un’elevata sensibilità ai prezzi da parte degli acquirenti, a differenza di altri mercati europei. Amazon.de, filiale tedesca della multinazionale americana, è un chiaro leader nel settore delle vendite al dettaglio online in Germania, seguito da importanti player locali come Otto Group, Metro e Zalando. I retailer di generi alimentari sono invece relativamente lenti a spostarsi verso il canale digitale, anche se non mancano esempi di aziende come Edeka, Lidl (gruppo Schwarz) e Rewe, attive anche nelle vendite tramite internet. La distribuzione al dettaglio francese ha registrato nel periodo pre-Covid una crescita lenta. Anche in questo caso, il commercio via internet ha dominato la scena. I retailer riconoscono sempre più la necessità di perseguire strategie multicanale. Carrefour, uno dei più grandi distributori al mondo nell’ambito dei beni alimentari e di largo e generale consumo, con una presenza in molti Paesi esteri, ha investito fortemente nel canale digitale e una strategia simile è stata perseguita dal suo concorrente E.Leclerc. Anche i comparti no-food, come quello dell’abbigliamento, degli articoli sportivi e dell’elettronica di consumo, sono stati segnati da processi di trasformazione digitale per contrastare la chiusura di molti negozi di specialità e in considerazione dei mutamenti nei processi d’acquisto dei consumatori (Euromonitor International, 2020b).
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8 Capitolo 1
Nell’alta moda si segnalano le multinazionali e conglomerate lvmh (Louis Vuitton Moët Hennessy) e Kering, mentre per il settore degli articoli sportivi il gruppo Decathlon. In Italia, il settore del retail è stato testimone di un processo di forte rallentamento dovuto a una stagnazione dell’economia nell’ultimo decennio. Le dinamiche strutturali ed economiche sono piuttosto variegate tra i diversi formati commerciali e per tipologia di beni acquistati. Le variazioni in diminuzione riguardano soprattutto gli operatori di piccola dimensione, mentre per la grande distribuzione organizzata la situazione indica prospettive di crescita lente. Nella distribuzione alimentare, si segnala il recente consolidamento di conad che, mediante l’acquisizione della catena di punti vendita della filiale italiana di Auchan, è diventato il principale retailer del comparto, seguito da Coop Italia ed Esselunga. Nel Paese, sono inoltre presenti numerosi operatori della distribuzione estera, come Carrefour e Lidl. Nel comparto del no-food, invece, le catene di grandi magazzini (Coin, Rinascente) stanno razionalizzando il numero di punti vendita e al contempo stanno cercando di migliorare l’esperienza di consumo in-store (Euromonitor International, 2020c). La Spagna presenta una struttura del comparto della distribuzione al dettaglio abbastanza simile a quella italiana quanto a ripartizione dimensionale (maggioranza quasi totale di imprese micro e piccole e meno dell’1% di medio-grandi realtà). La vendita di beni alimentari è dominata soprattutto dalla grande distribuzione organizzata, dove la dinamica dei format commerciali indica un recente spostamento delle preferenze d’acquisto presso punti vendita caratterizzati da prossimità e convenienza, a discapito delle grandi superfici in località extra-urbane. I maggiori operatori sono rappresentati da retailer nazionali (Mercadona ed El Corte Inglés, quest’ultimo operante con catene di grandi magazzini anche nel comparto non alimentare) ed esteri (Carrefour, Lidl). Nel no-food si segnala la presenza di forti brand integrati con catene di negozi di proprietà, come nel caso dell’abbigliamento, la multinazionale Inditex sa, nota in Spagna e all’estero soprattutto per la realizzazione e distribuzione di prodotti con diversi marchi tra cui Zara, Berksha, Pull & Bear, Massimo Dutti (Euromonitor International, 2020d). Nel Regno Unito, le difficoltà della situazione economica del Paese, dovuta tra l’altro all’incertezza causata dalla Brexit, ha generato un abbassamento del livello di fiducia e della capacità di spesa delle famiglie. Il comparto del retailing più importante si rivela quello alimentare, dominato da grandi imprese quali, per esempio, Tesco, Sainsbury’s, Morrisons e asda (la sussidiaria di Walmart) che hanno sperimentato l’affiancamento delle vendite online a quelle tradizionali, anche per controbilanciare l’entrata di Amazon nell’alimentare fresco e confezionato (tramite Amazon Fresh e i negozi fisici Amazon Go). Da segnalare, inoltre, la crescita di altri retailer internazionali che operano nel mercato uk con formula discount (Aldi e Lidl), posizionandosi per fasce di consumatori attenti ai prezzi. Nel no-food specializzato, i retailer stanno cercando di difendersi dalla crescita dell’e-commerce attraverso innovazioni tecnologiche e servizi che coinvolgano maggiormente il consumatore. Come in altri contesti nazionali, le strategie di risposta hanno comportato anche un ridimensionamento dei punti vendita: emblematico è il caso di Marks & Spencer, marchio storico specializzato nella vendita al dettaglio di prodotti per l’abbigliamento, accessori e alimentari di lusso (Euromonitor International, 2020e), impegnato in una difficile strategia di riassetto organizzativo per ritornare a livelli di operatività e redditività sostenibili.
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Introduzione allo studio del retailing 9
1.5
Fare carriera nel retail
Il retail offre opportunità di lavoro interessanti per i laureati, come evidenziato dal numero e dalla varietà di posizioni richieste dai recruiter. I profili professionali cercati tengono conto di diversi fattori, oltre che relativi all’anagrafica, alla formazione e alle esperienze lavorative precedenti, sempre più connessi al possesso di competenze trasversali (soft-skills) e digitali, soprattutto in considerazione dei trend di settore che vedono l’e-commerce in continua crescita. I contesti occupazionali spaziano dalla distribuzione al dettaglio di beni di tipo food (alimentari freschi e di largo consumo confezionato) a quelli di tipo no-food (per esempio, abbigliamento e moda, elettronica di consumo ecc.), in punti vendita fisici despecializzati o specializzati, che fanno parte dei circuiti della distribuzione moderna, ovvero di catene di negozi di proprietà o in franchising di grandi imprese, anche internazionali. I datori di lavoro possono essere, inoltre, anche distributori che operano prevalentemente tramite canali digitali, gestori di marketplace o aggregatori di informazioni. O, ancora, domandano lavoro anche le imprese di produzione che vendono direttamente al consumatore finale mediante una propria rete distributiva affiancata da un portale web di proprietà e da canali sui social network con cui coinvolgere clienti attuali e potenziali. In sintesi, laureandi e laureati in grado di esplorare e sfruttare opportunità d’impiego nel retail scelgono di posizionarsi in un importante ambito del terziario che offre loro una gamma diversificata di ruoli organizzativi da ricoprire, sia tradizionali che innovativi. Questi possono includere, per esempio, le seguenti posizioni: ▶ account manager ▶ addetto al customer care ▶ analista di marketing ▶ analista finanziario ▶ area manager ▶ assistente alla gestione delle risorse umane ▶ buyer ▶ category manager ▶ customer experience designer ▶ manager della sostenibilità ▶ merchandiser ▶ product manager ▶ responsabile logistico ▶ responsabile sviluppo vendite ▶ retail manager ▶ sales assistant ▶ social media manager ▶ specialista nel trade marketing ▶ specialista web/seo/ict ▶ store manager.
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Capitolo 1
I profili professionali possono riguardare lavori nell’ambito della promozione delle vendite, in senso stretto, ma anche nella pianificazione strategica, nella contabilità e finanza, nel marketing e comunicazione e nelle risorse umane. Inoltre, sono ricercati soggetti con esperienza in settori specifici, come la logistica, e in quelle attività di back office che sono critiche per la distribuzione al dettaglio, come la gestione e il controllo delle scorte, gli acquisti e la pianificazione dei trasporti e magazzinaggio, nonché nell’area dell’information technology per la gestione dei flussi informativi a monte della filiera e a valle con i clienti, come i sistemi edi, le tecnologie rFid, i portali di e-commerce, i sistemi di loyalty digitale e le piattaforme social media. Queste ultime rappresentano un’area dove i moderni retailer stanno investendo sempre di più, poiché gli acquirenti, in particolare quelli della fascia d’età più giovane, ne fanno uso per acquisire e scambiarsi informazioni sui prodotti, confrontare prezzi, fare acquisti e sensibilizzare sui temi della sostenibilità ambientale.
1.6
Principali tendenze evolutive
Come affermato in varie parti di questo testo, il settore del commercio al dettaglio ha subito importanti cambiamenti nell’arco di poco più di un decennio. Nel seguito, riporteremo sinteticamente alcuni dei principali trend (Figura 1.2).
1.6.1 Commercio online Si tratta probabilmente del cambiamento più profondo nel comparto delle vendite al dettaglio, che ha visto lo sviluppo di canali commerciali online con lo scopo di integrare, e in alcuni casi sostituire, i negozi fisici al dettaglio (brick and mortar). Le fonti ufficiali eurostat (2020) riportano che nel 2018 la percentuale di piccole, medie e grandi imprese della distribuzione al dettaglio dell’Unione Europea allargata a 28 Paesi, che hanno effettuato transazioni online, è stata di circa il 28% del totale del comparto (quasi 9 milioni di imprese). In termini di valore, il fatturato retail in Europa vale oltre 3000 miliardi di euro e l’e-commerce contribuisce circa all’11% delle vendite (eurostat, 2020). Paesi leader nel commercio online al dettaglio sono la Germania, la Francia e il Regno Unito che assieme totalizzano quasi il 60% delle vendite di elettronica a livello europeo. L’Italia si presenta ben al di sotto della media europea, con una percentuale del 19% di retailer che effettuano transazioni online sul totale nazionale della distribuzione al dettaglio, e del 5% di vendite rispetto al totale della ue (Tabella 1.3).
Commercio online
Tecnologia mobile
Piattaforme di social media
Moltiplicazione dei canali
Visual design innovativo dei punti vendita
Showrooming e webrooming
Figura 1.2 Tendenze principali nel commercio al dettaglio
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Introduzione allo studio del retailing 11 Tabella 1.3 Incidenza dell’e-commerce per quantità di imprese e fatturato nel comparto retail 2018* Paesi
Incidenza delle imprese con vendite e-commerce sul totale delle imprese retail
Incidenza del fatturato e-commerce sul totale del fatturato retail
Valore del fatturato e-commerce (milioni di €)
Incidenza del fatturato e-commerce nazionale rispetto a quello della ue
Austria
22%
5%
3550,4
1%
Belgio
39%
11%
9531,1
3%
Bulgaria
13%
2%
320,1
0%
Cipro
14%
2%
119,4
0%
Croazia
20%
6%
872,4
0%
Danimarca
54%
14%
6141,5
2%
Estonia
37%
4%
288,7
0%
Finlandia
29%
n.d.
n.d.
n.d.
Francia
30%
11%
52 070,8
16%
Germania
33%
14%
83 394,5
25%
Grecia
10%
3%
1271,3
0%
Irlanda
32%
28%
10 838,4
3%
Italia
19%
5%
16 238,2
5%
Lettonia
17%
5%
385,7
0%
Lituania
24%
5%
583,7
0%
Lussemburgo
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
Malta
27%
2%
57,8
0%
Paesi Bassi
56%
14%
16 736,7
5%
Polonia
13%
5%
5647,8
2%
Portogallo
21%
8%
4142,6
1%
Regno Unito
35%
12%
58 339,6
17%
Repubblica Ceca
34%
17%
7652,3
2%
Romania
12%
8%
3443,5
1%
Slovacchia
29%
6%
1249,5
0%
Slovenia
45%
7%
1015,0
0%
Spagna
27%
6%
14 253,6
4%
Svezia
47%
17%
13 438,0
4%
Ungheria
17%
4%
1288,4
0%
Unione Europea - 28 Paesi
28%
11%
334 278,2
100%
* I dati si riferiscono al codice nace Rev.2 denominato “g47 Retail trade, except of motor vehicles and motorcycles”. n.d. = Non disponibile. Fonte: adattato da eurostat, 2020.
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12 Capitolo 1
CAGR 11,4% 3500,0 3000,0
554,1
585,0
514,0 2500,0
464,4 410,2
2000,0
1000,0
357,3
325,6
291,5 1500,0
385,3
270,8
518,2
413,5 493,3
409,4
582,9
533,2
642,9
565,8
688,9
429,8
724,1
590,2
607,5
419,0 500,0 0,0
664,5
758,3
836,0
899,9
953,0
525,1 2019
2020*
2021*
2022*
2023*
2024*
Abbigliamento moda e accessori
Arredamento e elettrodomestici
Elettronica di consumo, editoria, musica, videogiochi
Alimentari, bevande e cura della persona e della casa
Giocattoli, Hobby e Fai-da-te
Figura 1.3 Stime di crescita del fatturato (miliardi di $) dell’e-commerce a livello globale (2019-2024) * Stime previsionali Fonte: adattato da Statista, 2020.
Il relativo gap dell’Italia nell’offerta di e-commerce al dettaglio va spiegato anche considerando che rimane ancora bassa la quota di italiani che acquista beni e servizi per uso privato tramite internet: si stima, infatti, una percentuale di circa il 38% di utenti che acquistano online contro il 60% a livello ue (eurostat, 2020). A livello globale, l’e-commerce viene considerato comunque un fenomeno in continua espansione, sia in termini di volumi che di utenti. Si stima che le vendite derivanti dal commercio elettronico per il futuro seguano un tasso annuo di crescita media composita (Compound Annual Growth Rate o cagr) di circa l’11% (Figura 1.3). Queste ultime cifre dovrebbero essere considerate con una certa cautela, poiché si riferiscono a previsioni a livello aggregato che restituiscono uno scenario di riferimento di massima, soggetto a future variazioni rispetto al momento in cui i dati sono stati raccolti, elaborati e pubblicati. Per approfondimenti sulle implicazioni strategiche per i retailer derivanti dall’impiego dei canali online si rimanda alla lettura dei prossimi capitoli.
1.6.2 Tecnologia mobile Gli sviluppi in quest’ambito sono strettamente legati alla crescita dei canali online e ai bisogni degli acquirenti di accedere a informazioni e di interagire con i retailer. In particolare, la tecnologia mobile si lega all’utilizzo di dispositivi portatili, quali smartphone, tablet e iPad. La maggior parte degli acquirenti nei Paesi sviluppati fa
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uso di questi device per ricercare informazioni su prodotti, promozioni, novità di mercato, offerte speciali, per confrontare i prezzi e rilasciare recensioni. L’aspetto cruciale della tecnologia mobile, è che essa permette di effettuare acquisti da remoto, garantendo l’accesso a un’intera gamma commerciale di prodotti senza doversi necessariamente recare presso i punti vendita fisici. Dal lato dei retailer, tali tecnologie rappresentano opportunità su cui far leva per interagire in modo più proattivo con i clienti target. Tramite tecniche di localizzazione, i retailer sono in grado di personalizzare in modo mirato le offerte. Un esempio della tecnologia di prossimità è il beacon bluetooth che, associato a un’app specifica del retailer, è capace di individuare il cliente quando questi si trova nel raggio di 100 metri da uno dei punti vendita, inviandogli un messaggio sullo smartphone con un invito a entrare. La localizzazione di prossimità può, inoltre, avvisare il cliente che il retailer ha in assortimento una nuova gamma di articoli compatibili con le sue precedenti preferenze d’acquisto o, ancora, offrirgli uno sconto ulteriore sul prezzo (per esempio, il 10%), se il cliente è fidelizzato. Tutti questi esempi applicativi di tecnologie mobile testimoniano come cambiano le dinamiche relazionali tra retailer e acquirenti.
1.6.3 Piattaforme di social media A partire dal 2014 circa, le piattaforme di social media dominanti, come Twitter, Instagram e Facebook, rappresentano i media più frequentemente utilizzati dai consumatori per comunicare e interagire tra loro, in gruppi di discussione e canali social dedicati. I moderni retailer hanno iniziato a tenere traccia di questa diffusa tendenza creando una propria presenza online sulle piattaforme di social media, dove sono seguiti da una gran quantità di follower. Tale dinamica ha messo in discussione il classico modo di comunicare tra retailer e acquirenti. I mezzi di comunicazione tradizionali, come la tv, la stampa e la radio, prevedono difatti una comunicazione “a senso unico”, in cui un messaggio è veicolato a destinatari target nella speranza che venga recepito. I social media coinvolgono invece i retailer in una conversazione “bidirezionale” attraverso cui si possono apprendere punti di vista, opinioni ed esperienze dei propri clienti. I social media servono, inoltre, a carpire preziose informazioni sulle aree di soddisfazione e insoddisfazione dei consumatori, in modo da adattare conseguentemente le loro politiche commerciali. In sintesi, attraverso i social media, i retailer sono in grado oggi di personalizzare l’offerta commerciale, raggiungere clienti e gestire con essi una relazione in modo più mirato ed efficace che in passato.
1.6.4 Moltiplicazione dei canali Per rispondere alle dinamiche indicate nei punti precedenti, molti retailer hanno dovuto sviluppare una serie di canali commerciali virtuali (web, mobile e social) che gli consentissero di interagire più efficacemente con gli acquirenti, soprattutto per fornirgli un’esperienza d’acquisto positiva. Per molti anni è stata opinione diffusa che il commercio attraverso i canali distributivi online (e-tailing) avrebbe sostituito quello dei negozi fisici, decretando del tutto la loro scomparsa. In retrospettiva, tale previsione si è rivelata alquanto semplicistica. Nonostante esistano indubbi casi di successo di imprese commerciali che operano quasi esclusivamente online, come la pionieristica Amazon, la scelta da parte degli acquirenti di utilizzare un determinato canale distributivo può seguire oggi un percorso molto più variegato. Anche se un consumatore avesse intenzione di comprare uno specifico prodotto online, la sua esperienza d’acquisto potrebbe
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14 Capitolo 1
comunque basarsi sull’esigenza di stabilire un contatto fisico con il retailer. Ed è per questo che molte imprese commerciali hanno deciso di creare un canale online per affiancare, piuttosto che sostituire, le attività svolte tramite i punti vendita fisici. La questione è tuttavia molto più complicata, dato che in ogni fase del processo comportamentale d’acquisto (riconoscimento del problema, ricerca d’informazioni, valutazione delle alternative, acquisto e post-acquisto) gli acquirenti possono utilizzare canali diversi, che fungono quindi da punti di contatto (touchpoint). Il termine omnicanalità è emerso proprio per indicare l’approccio seguito dai retailer per far fronte alle dinamiche dell’esperienza del consumatore. Esso riconosce la molteplicità di occasioni d’interazione tra clienti e retailer lungo tutto il percorso d’acquisto e mira a creare un’esperienza integrata e senza soluzione di continuità tra i vari canali fruiti. Per esempio, un acquirente può interagire con un retailer tramite e-mail, negozio fisico, call center, chioschi multimediali, chat, pagine social, applicazioni mobile, portali web ecc., nelle varie fasi del processo d’acquisto. Se emergono criticità nell’esperienza vissuta dal cliente in questi differenti touchpoint, allora è probabile che il cliente dell’impresa commerciale risulti insoddisfatto.
1.6.5 Visual design innovativo dei punti vendita I moderni retailer stanno sperimentando progressivamente l’impiego delle nuove tecnologie per migliorare, internamente ed esternamente, il design e il layout dei propri punti vendita fisici, rendendoli più attraenti e interattivi. Ne sono esempi le soluzioni di realtà aumentata (augmented reality) che essenzialmente integrano la tecnologia mobile con le attività svolte all’interno dei negozi fisici durante lo shopping. Alcuni punti vendita sono dotati, per esempio, di vetrine e schermi intelligenti dove l’acquirente è in grado di interagire in tempo reale con gli elementi “visuali” riprodotti. È questo il caso dell’azienda Topshop che ha realizzato un’app di realtà aumentata chiamata Kinect Dressing Rooms che funge da camerino virtuale, permettendo ai clienti di provare i capi d’abbigliamento direttamente dai propri tablet o smartphone. La tecnologia digitale offre inoltre ai retailer l’opportunità di visualizzare in modo più efficace le promozioni all’interno dei punti vendita. Mediante soluzioni di segnaletica digitale (digital signage), per esempio, le informazioni relative a variazione di prezzo e offerte speciali possono essere modificate in tempo reale, riducendo i ritardi che invece possono verificarsi quando i retailer devono aggiornare i contenuti della cartellonistica prestampata esposta. Si stima che il mercato delle tecnologie per la realtà aumentata sarà in crescita nei prossimi anni e ciò consentirà ai retailer più d’avanguardia di connettersi ai clienti, coinvolgendoli con esperienze immersive.
1.6.6 Showrooming e webrooming L’effetto combinato dello sviluppo del commercio online, delle piattaforme di social media e delle tecnologie mobile ha originato un altro fenomeno, conosciuto come showrooming. Questo si verifica quando gli acquirenti si recano presso un punto vendita fisico per ottenere informazioni sulle caratteristiche di un prodotto, esaminarlo, confrontarlo o beneficiare di dimostrazioni (in particolare, per gli articoli dell’elettronica), salvo poi completare l’acquisto tramite un canale commerciale online (portale web, social o app mobile) che in molti casi appartiene a un retailer diverso da quello a cui hanno fatto originariamente visita.
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Introduzione allo studio del retailing 15
Tali comportamenti possono costituire delle minacce. Difatti, è lecito pensare che i retailer potrebbero dover razionalizzare la propria rete di punti vendita, se i consumatori ne fruiscono solo per acquisire informazioni mentre i prodotti vengono invece acquistati altrove, soprattutto se trovati a un prezzo più conveniente. Alcune imprese commerciali stanno effettuando questo tipo di valutazione, la cui conseguenza potrebbe risultare molto probabilmente la chiusura di diversi store. Tuttavia, potrebbero ugualmente manifestarsi anche delle opportunità connesse all’insorgenza del fenomeno opposto, il cosiddetto webrooming. Quest’ultimo si verifica quando gli acquirenti utilizzano canali online, piattaforme social media e tecnologie mobile per intraprendere ricerche sui prodotti da acquistare, e in seguito si recano in un negozio fisico per ricevere rassicurazioni dal personale di vendita e completare l’acquisto. Nel complesso, entrambi i fenomeni, showrooming e webrooming, testimoniano quanto sia grande oggi l’esigenza dei retailer di disporre di una molteplicità di canali mediante i quali relazionarsi con i clienti e che fungono da necessari punti di contatto.
1.7
I formati distributivi
Col termine formato distributivo s’intende una specifica combinazione di attributi dimensionali, assortimentali, localizzativi, di prezzo e di servizi, che qualifica una classe omogenea di imprese commerciali. Nel corso del tempo le imprese commerciali si sono evolute dando luogo a una variegata gamma di formati distributivi, col proposito di differenziarsi dai concorrenti e raggiungere forme di vantaggio in specifici segmenti di mercato. L’origine dei primi formati commerciali è di difficile datazione storica e fa generalmente riferimento alle attività mercantili che avvenivano anticamente tramite baratto. Ne resta una lontana traccia nei bazar e nei suk, dove gli acquirenti si recano con l’intenzione di negoziare il prezzo dei prodotti. Questi formati non sono del tutto scomparsi. Al contrario, sono presenti in molte parti del mondo, e continuano ad attrarre acquirenti e turisti. La natura e i formati del commercio al dettaglio sono cambiati nel corso dei secoli, passando attraverso una pletora di tipologie differenziate: dall’ambulantato, alle botteghe artigiane, ai piccoli rivenditori, fino ad arrivare ai moderni formati quali centri commerciali, grandi magazzini, negozi di specialità, supermercati, ipermercati, e non ultime le forme di distribuzione senza punto vendita (non-store), come l’e-tailing e i distributori automatici. Una possibile classificazione dei diversi formati distributivi del retail è illustrata nella Tabella 1.4 e nella Tabella 1.5 che riportano rispettivamente le varie formule oggi esistenti che si avvalgono di punti vendita fisici (store-based) oppure operano con modalità diverse (non-store). Le classificazioni elencate nella Tabella 1.4 non si propongono di essere esaustive e rigide, poiché le dinamiche competitive nel retailing pongono continue sfide d’innovazione nelle formule commerciali. Così, a uno stesso formato commerciale possono corrispondere punti vendita anche molto differenziati tra loro. Possono, inoltre, nascere nuovi formati commerciali che riescono a cogliere nuove esigenze di consumo.
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16 Capitolo 1 Tabella 1.4 Principali formati distributivi al dettaglio store-based Formati istituzionali
Caratteristiche
Esempi
Catalogue showroom
Formula con spazio espositivo limitato, in cui i prodotti sono dapprima scelti da catalogo, poi prelevati dal magazzino adiacente e infine consegnati al cliente nel punto vendita
Argos
Category killer/ specialist o power retailer
Altrimenti detto grande superficie specializzata, è un formato strettamente focalizzato su particolari categorie di prodotti, che fa capo a un’impresa la quale gestisce diversi punti vendita di dimensioni anche molto grandi. La vendita è per lo più a libero servizio
Bricocenter, Decathlon, ikea, Home Depot, Leroy Merlin, MediaWorld, Mondadori, Staples
Concept store
È un punto vendita esperienziale con design caratteristico, progettato e gestito per coinvolgere e intrattenere il consumatore, suscitando emozioni intorno a un tema (per esempio, stile di vita, eco-sostenibilità) che si collega alla filosofia dell’azienda e ai prodotti venduti
Colette (Parigi), Corso Como (Milano), ln-cc (Londra), Park-Ing Ginza (Tokyo), Stella Tures (Roma), Story (New York)
Convenience store
Negozio di prossimità/comodità di piccole dimensioni che offre pochi prodotti food e no-food destinati a soddisfare bisogni di emergenza. È inoltre caratterizzato da estensioni di orario e diffusione capillare
7-Eleven, gb Express, Star Market, Tesco Express
Corner shop
È un negozio situato in uno spazio commerciale in affitto, molto circoscritto (<30 mq), ospitato all’interno del punto vendita di un altro retailer. Interessa la vendita soprattutto di beni non-grocery con personale dedicato, mentre i pagamenti sono effettuati presso le casse dell’impresa ospitante
Angolo Vodafone all’interno di un punto vendita MediaWorld
Department store
Grande magazzino operante prevalentemente nel comparto non alimentare, con superficie superiore a 400 mq e almeno cinque reparti distinti, dove la vendita è prevalentemente assistita. Solitamente è ubicato in zone di maggior pregio delle grandi città o in centri commerciali
Coin, Galeries Lafayette, El Corte Inglés, La Rinascente, Macy’s, Nordstrom, Sears
Discount store
Discount con assortimento despecializzato largo e poco profondo di prodotti non di marca (o a marchio del distributore) a prevalenza alimentare, venduti a prezzi bassi. Prevale la formula del libero servizio in un’ambientazione essenziale con una superficie di vendita tipicamente inferiore ai 1000 mq
Aldi, Eurospin, Lidl, Poundland
Drugstore
È un esercizio specializzato nella vendita di prodotti per la salute e la cura della persona (per esempio, erboristerie, farmacie, parafarmacie), tipicamente di dimensioni contenute, con marchio autonomo o in franchising
Body Shop, Boots, Gap, L’Erbolario, Lloyds Farmacia, Superdrug
Extreme value retailer
Piccolo negozio discount localizzato in aree sub-urbane/rurali che offre beni alimentari e merci varie a marchio proprio, a cui si aggiunge un piccolo assortimento di marchi industriali noti. La formula commerciale è low-cost ed è destinata a clienti a basso reddito
Dollar general, Dollar Tree, Factory 2-U
Factory outlet
Spaccio aziendale di imprese industriali per la vendita diretta al pubblico di beni con proprio marchio, a prezzi scontati dal 30 al 70%. L’assortimento riguarda rimanenze (invenduto, fine stagione) o seconda scelta. È tipicamente localizzato nei pressi di uno stabilimento di produzione
Paciotti outlet, Prada outlet, Tod’s outlet
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Formati istituzionali
Caratteristiche
Esempi
Factory outlet center/ Village
È una grande struttura commerciale che racchiude spacci aziendali di vari brand industriali (per lo più nel campo dell’abbigliamento e accessori) ed è ubicata in zone extraurbane capaci di attrarre molti clienti. Viene gestita da una società immobiliare che affitta gli spazi commerciali e fornisce servizi comuni. L’ambientazione del factory outlet center richiama quella di piccoli borghi con piazze, fontane, vie in cui sono presenti anche bar, ristoranti e aree ricreative
McArthurGlen Designer Outlet, The Mall Outlet
Flagship store
È un punto vendita monomarca di rappresentanza, creato per comunicare i valori del brand di un’impresa nota. È localizzato in vie prestigiose di grandi città, ed è dotato di caratteristiche innovative (design, ampi spazi espositivi, assortimento completo)
Epicentri di Prada (New York, Los Angeles, Tokyo), Tiffany & Co. (Milano), Bulgari (Roma)
Hypermarket
Ipermercato di grandi dimensioni (superficie uguale o superiore a 2500 mq) con assortimento largo e profondo food e no-food, prevalentemente self-service, caratterizzato da prezzi competitivi, elevato ricorso a promozioni e ubicato in zone extra-urbane all’interno di gallerie commerciali
Auchan, Carrefour Iper, Continente Modelo, IperCoop, Meijer’s
Independent store
“Negozio tradizionale” di proprietà di un imprenditore autonomo, caratterizzato da piccole dimensioni (<100 mq), con vendita assistita, assortimenti limitato e tipicamente ubicato in zone urbane di prossimità
Piccoli esercizi commerciali a marchio proprio, non appartenenti a circuiti di franchising o distribuzione organizzata
Minimarket/ Superette
Negozi di vicinato con assortimento limitato prevalentemente food e a libero servizio, con superficie compresa tra 120 e 199 mq (minimarket) e tra i 200 e i 399 mq (superette)
Carrefour Express, Despar, Margherita
Off-price retailer (Retail outlet o Stock house)
È un rivenditore di prodotti di marca di qualità (per lo più abbigliamento/moda) gestito da un’impresa commerciale che acquista direttamente dal produttore e rivende a prezzi molto scontati. L’assortimento include brand diversi con articoli fuori catalogo, di campionario o di seconda scelta
Diffusione tessile, Overstock.com, Ross Stores, T.J. Maxx
Pop-up store
Temporary store che vende soltanto per un periodo temporale limitato, dopodiché chiude. I prodotti venduti sono spesso offerti in edizione limitata o tramite offerte speciali, col proposito di attrarre il consumatore verso il brand. Le strutture commerciali sono transitorie e posizionate in luoghi in vista (per esempio, le stazioni)
Diversi brand utilizzano tale formula temporanea (per esempio, Amazon, Adidas, Nike, Nutella)
Retail park
Il parco commerciale è un’aggregazione sul territorio di strutture di vendita contigue, che includono vari esercizi commerciali specializzati (no-food) di diverse dimensioni. Il complesso di edifici è localizzato in prossimità di un nodo di traffico veicolare di grande scorrimento e prevede un’area esterna comune adibita a parcheggio. Gli operatori commerciali presenti nel parco sono indipendenti dal punto di vista operativo.
Molto diffusi negli ultimi anni. Sul territorio italiano si segnalano tra i più innovativi: Settimo Cielo Retail Park (Torino), Serravalle Retail Park (Alessandria), Parco Da Vinci (Roma)
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conad
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18 Capitolo 1
Formati istituzionali
Caratteristiche
Esempi
Shop-in-shop (Storewithin-aStore)
È un formato molto simile al corner shop, con la differenza che la superficie commerciale è leggermente superiore (>30 mq) e il retailer locatario gestisce autonomamente una propria cassa
I grandi magazzini Bloomingdale con negozi di Ralph Lauren; i supermercati Rewe con punti vendita di Starbucks
Shopping center/Mall
È il formato del centro commerciale che racchiude in un’unica struttura immobiliare più punti vendita al dettaglio che fruiscono di servizi in comune. Esso è concepito, promosso, realizzato e gestito con criteri unitari da una società di sviluppo immobiliare che affitta gli spazi ai retailer e coordina le attività amministrative e di marketing. Tipicamente, la maggior parte della superficie commerciale è occupata da un ipermercato della grande distribuzione (che funge da “ancora“), a cui si affianca una galleria di almeno dieci negozi al dettaglio (tradizionali e specializzati) di vario tipo. La struttura si caratterizza per un’infrastrutture comune e la presenza di un ampio parcheggio. Può includere, inoltre, altre attività paracommerciali (bar, ristoranti, uffici bancari e postali, agenzie di viaggio ecc.) e d’intrattenimento (per esempio, cinema, sale convegni). I centri di più grandi dimensioni sono localizzati generalmente in aree suburbane e periferiche
Euroma2 (Roma), Les 4 Temps & le cnit (Paris), Westfield Stratford City (Londra)
Specialty store
Negozio di specialità non-grocery di piccole-medie dimensioni, con assortimento profondo e poco ampio di categorie di prodotti tra loro complementari. Prevede vendita assistita e localizzazione tipica all’interno delle strutture di centri commerciali
Apple Store, Foot Locker, Gamestop, h&m, Ralph Lauren, Samsonite, Sephora, Salmoiraghi & Vigano, Victoria’s Secret, Zara
Supercenter
Punto vendita di grandissime dimensioni, simile all’ipermercato, ma caratterizzato da prezzi aggressivi molto bassi (discount) nel comparto grocery che sono bilanciati da margini più alti nel comparto del non-grocery. Prevale la formula del libero servizio e i prodotti sono venduti in confezioni risparmio di grande formato
Walmart Supercentres, Super Kmart, SuperTarget
Supermarket
Il supermercato è un punto vendita despecializzato operante nel comparto grocery, con superficie commerciale tra 400 e 2499 mq, con vendita a libero servizio e ubicazione in aree urbane
A&O Selex, Carrefour Market, conad, md, Pam
Superstore
Formato commerciale intermedio tra supermercato e ipermercato (2000-3000 mq), con assortimento despecializzato di generi food e no-food, ubicato in zone urbane periferiche
Esselunga, Tesco, Sainsbury’s
Transit store
Negozio di passaggio molto simile al convenience store, destinato a persone in viaggio. Localizzato all’interno di aree di servizio oppure stazioni. Offre anche servizi di bar e ristorazione
Autogrill
Warehouse club
Formato commerciale di medio-grandi dimensioni, presente soprattutto negli usa, che vende a prezzi bassi assortimenti irregolari di prodotti alimentari e generi vari. L’accesso al punto vendita è riservato e prevede il pagamento di una tessera associativa annua
Costco, Price Club, Sam’s club
Fonti: adattato da Sciarelli e Vona, 2009; Anitsal e Anitsal, 2011; Zentes, Morschett e Schramm-Klein, 2017; Levy, Weitz e Grewal, 2019.
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Introduzione allo studio del retailing 19 Tabella 1.5 Principali formati distributivi al dettaglio non-store Formati istituzionali
Caratteristiche
Esempi
Automated retail machine
Chiosco intelligente di prodotti di marca non banali (per esempio, di elettronica), interamente automatizzato e collegato in rete e con possibilità di vendita assistita a distanza, tipicamente ubicato in postazioni vigilate
Best Buy Express, Herbalife asc, Saturn Express
Automated retail store
Mini-store evoluto per la vendita di prodotti grocery, dotato di un’infrastruttura digitale e sistemi di check-out automatici che s’interfacciano con l’app dei clienti
Amazon Go, Bingobox
Catalogue/ Direct mail/ Telephone solicitation
Vendita per corrispondenza basata su cataloghi cartacei, posta e brochure, oppure su promozioni telefoniche
jf Williams, Land’s End, Spiegel
Direct selling
Vendita diretta porta a porta tramite agenti o procacciatori d’affari che promuovono prodotti direttamente presso il domicilio del consumatore
Amway, Avon, Mary Kay, Vorkwer Folletto, Mary Kay
E-tailer
È un’impresa commerciale al dettaglio che vende prodotti prevalentemente attraverso canali online (portale web, app mobile, social media, marketplace, aste internet, shopping club privati ecc.)
Alibaba, Amazon, asos, eBay, Otto, Privalia, Zalando
Street vendor
Venditore ambulante di generi alimentari e non, localizzato precariamente presso mercatini rionali, zone extra-urbane, zone turistiche, fiere ecc., ovvero itinerante
Bancarelle, food truck, minibazar, venditori su strada
tv Home shopping
Vendite a distanza in programmi/canali televisivi o tramite smart tv
hse24, hsn, qvc
Vending machine
Distributore automatico di prodotti a basso valore unitario, generalmente localizzato presso uffici e zone di passaggio non immediatamente servite da altri negozi (anche a causa degli orari di chiusura)
Macchine automatizzate per la vendita di generi alimentari e non (per esempio, tabacchi)
Fonti: adattato da Sciarelli e Vona, 2009; Anitsal e Anitsal, 2011; Zentes, Morschett e Schramm-Klein, 2017; Levy, Weitz e Grewal, 2019.
Nell’analisi è quindi doveroso considerare alcune delle tendenze e degli sviluppi più recenti verificatisi negli ultimi anni, di seguito elencati. 1. Nuovi significati dell’esperienza di shopping: sempre più spesso, gli acquirenti vedono lo shopping in modo più edonistico. Ciò vale in particolare per i viaggi d’acquisto che si basano sul principio dell’alto coinvolgimento; il consumatore si impegna soprattutto a valutare le alternative e a godere dell’esperienza di interagire con il prodotto e di consumarlo. Questo avrà un effetto sul tipo di formato adottato dal rivenditore.
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20 Capitolo 1
2. Acquirenti con poco tempo a disposizione: alcuni acquirenti non hanno o non vogliono dedicare molto tempo allo shopping e sono maggiormente orientati alla convenienza dei beni più che agli altri elementi di gratificazione dell’esperienza d’acquisto. Ciò è testimoniato dal crescente ricorso ai canali online, in gran parte degli ambiti merceologici del commercio al dettaglio. Anche nel comparto food, player come Tesco o Otto hanno investito molto nei canali online proprio per servire questo particolare target di clienti. 3. Shopping come attività del tempo libero: mentre alcuni consumatori considerano lo shopping come un’attività prettamente funzionale all’acquisto di beni per loro necessari, altri segmenti sono anche molto interessati all’aspetto ricreativo degli acquisti. In molti Paesi, difatti, lo shopping è elencato come una delle più popolari attività del tempo libero, sottraendo spazio all’entertainment e allo sport. I retailer hanno deciso di assecondare tale tendenza investendo nel design e nell’atmosfera dei punti vendita, per creare un ambiente interattivo e favorevole agli acquisti. Sono sorti, inoltre, grandi centri e parchi commerciali che sfruttano e alimentano le opportunità economiche dello shopping ricreativo. 4. Gestione delle relazioni con i clienti tra low-touch e high-touch: i retailer hanno dovuto modificare o sviluppare i propri modelli di business per tenere conto dei cambiamenti nelle modalità di gestione dei rapporti con i clienti. Per esempio, la Dell è stata una delle prime aziende a notare che nel mondo occidentale molti acquirenti consumer non richiedono un elevato grado di interazione personale (high-touch) con gli addetti alla vendita durante il processo d’acquisto di prodotti informatici. Sfruttando questa tendenza, è divenuta pioniera nella vendita di pc, laptop e altri prodotti correlati, dapprima tramite direct mail, poi con le vendite telefoniche e infine via internet. Anche le banche, per il ramo retail, hanno sviluppato sempre più modalità relazionali a bassa interazione (low-touch) come l’internet banking, gli sportelli bancomat e i servizi bancari telefonici. Anche considerazioni economiche entrano però in gioco nella scelta tra i canali high-touch e low-touch, poiché in determinate situazioni gli acquirenti preferiscono tralasciare i primi, che sono più costosi, e preferire i secondi, che permettono di fare acquisti a distanza. Tuttavia, questo non si verifica dovunque. Per esempio, in Cina molti acquirenti di prodotti informatici richiedono ancora alti livelli di interazione e aziende come la Dell hanno dovuto adattarsi assecondando questa diversa necessità. 5. Ascesa delle piattaforme di social media: la diffusione delle piattaforme di social media come Twitter, Facebook e Instagram, e di servizi come YouTube e i blog, ha contribuito ulteriormente all’evoluzione dei rapporti tra imprese commerciali e consumatori. Tali strumenti consentono agli acquirenti di condividere opinioni e recensioni relative sia ai prodotti acquistati, sia alle esperienze di shopping presso i retailer. Questi ultimi stanno reagendo attraverso il potenziamento dei propri canali online, includendo funzionalità che gli permettono di monitorare le valutazioni e di interagire con gli acquirenti in tempo reale. Questo fenomeno verrà ulteriormente esplorato nel Capitolo 7. 6. Confini sempre più sfocati tra formati distributivi: molti retailer operano con formati che non possono essere assegnati in maniera precisa a specifici schemi di classificazione, come quelli riportati nella Tabella 1.4 e nella Tabella 1.5. Negli ultimi 30 anni circa, i formati dei supermercati hanno esteso il proprio raggio d’azione, includendo nell’offerta commerciale oltre al reparto food, anche una gamma differenziata di beni no-food e di servizi. Per esempio, la catena britannica Tesco vende oggi anche carburante, gestisce farmacie, fornisce una serie di servizi finanziari, vende libri, abbigliamento e casalinghi. Ha
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inoltre sperimentato la vendita di automobili usate, salvo poi abbandonarla di recente. L’estensione di gamma e di servizi di grandi retailer multinazionali, come quello d’esempio, ha amplificato la competizione orizzontale e verticale nei formati commerciali, comportando l’uscita dal mercato soprattutto di quei rivenditori specializzati e indipendenti non in grado di rinnovarsi nelle linee d’assortimento, nei prezzi e nei servizi offerti. 7. Omnicanalità: come accennato nel paragrafo precedente, i retailer moderni sono chiamati ad affrontare sfide che richiedono di moltiplicare i canali di vendita utilizzati per raggiungere gli acquirenti. Tuttavia, essi devono anche essere consapevoli della necessità di fornire un’esperienza d’acquisto relativamente omogenea e coerente tra i vari canali fisici e online. Questi aspetti, connessi al fenomeno dell’omnicanalità, saranno approfonditi nel Capitolo 8. 8. Responsabilità sociale d’impresa: questo tema abbraccia diversi ambiti del retailing e sarà esaminato più in dettaglio nel Capitolo 11. In generale, esso si riferisce alla crescente considerazione da parte di molti retailer delle implicazioni di natura etica delle proprie attività e delle conseguenti responsabilità nei confronti della società. Per esempio, la Primark è stata sottoposta a un’attenta inchiesta a causa del suo coinvolgimento in relazioni d’affari con fornitori in Bangladesh, dove uno stabilimento tessile è crollato nel maggio 2013 causando oltre un migliaio di morti e portando alla luce le pessime condizioni lavorative dei dipendenti e la scarsa sicurezza degli impianti utilizzati per la produzione. Nel tentativo di risparmiare sui costi, Primark e altri retailer dell’abbigliamento hanno subito dure critiche per le modalità apparentemente poco condivisibili con cui venivano scelti e controllati i loro fornitori. 9. Consumatori sensibili all’ambiente: diversi consumatori sono sempre più sensibili alle problematiche ecologiche e, sebbene costituiscano un segmento di mercato relativamente piccolo, il loro numero sta crescendo, invogliando i retailer a lanciare una serie di iniziative per soddisfare le loro richieste di maggiore sostenibilità. Una maggiore attenzione all’ambiente coinvolge molti aspetti della filiera, quali gli approvvigionamenti, l’assegnazione di spazi sugli scaffali per i prodotti sostenibili, le politiche e le procedure del lavoro relative alle imprese che servono il segmento green del mercato. 10. Possibilità di fare acquisti in qualsiasi momento e ovunque: gli sviluppi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno tracciato nuove vie per coinvolgere sempre più gli acquirenti nel processo d’acquisto: dalla ricerca di informazioni, al confronto tra alternative, fino all’acquisto finale. Lo dimostra la rapida crescita del settore dei dispositivi mobile. I retailer sono in grado di interagire con gli acquirenti inviando loro messaggi promozionali sugli smartphone quando questi passano davanti a un punto vendita, oppure tramite app che permettono di verificare la disponibilità dei prodotti e di fare acquisti negli store o da remoto. Si stima che il retailing da dispositivi mobile è destinato a diffondersi sempre più nel prossimo decennio. Possiamo intuire quanto sia sfidante il tentativo di rappresentare un framework di classificazione che catturi efficacemente i diversi formati di vendita al dettaglio attualmente in auge. Alcuni dei formati identificati in precedenza stanno diventando obsoleti, ridondanti o ancora più indistinti gli uni dagli altri per il fatto che i retailer cercano di rinnovare il posizionamento competitivo dei propri punti vendita per affrontare le tendenze e gli sviluppi prima menzionati. Potrebbe essere perciò più appropriata la proposta di riformulare i diversi formati distributivi in funzione dei benefici, anche combinati, percepiti dai segmenti target di acquirenti. Tali benefici possono essere riassunti nel modo seguente.
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Capitolo 1
1. Comodità: gli acquirenti vogliono valorizzare il proprio tempo richiedendo formati a cui accedere facilmente sia virtualmente che fisicamente. Il retailer deve garantire di sapere soddisfare le aspettative e le esigenze di tali acquirenti. Diventano cruciali in questa situazione l’accessibilità (o la vicinanza nel caso di retailing fisico), la velocità degli ordini e i tempi di attesa/consegna. 2. Interazione: può variare a seconda del grado di interazione personale che il cliente si aspetta. Nel caso della vendita al dettaglio di automobili, per esempio, molti clienti danno ancora molta importanza alla necessità di un’assistenza fisica del personale dell’autosalone. All’opposto, esistono altri acquisti a “basso coinvolgimento” in cui l’interazione è debole. 3. Personalizzazione: gli sviluppi tecnologici permettono ora a imprese commerciali al dettaglio e ai clienti di interagire e relazionarsi in maniera molto più proattiva. Alcuni acquirenti preferiscono fare acquisti tramite le app dei retailer per ricevere offerte personalizzate profilate sulle proprie abitudini di consumo o sulle esperienze d’acquisto passate. 4. Servizi: i servizi commerciali possono essere di vario tipo (per esempio, logistici, informativi e accessori) e variare d’intensità in un continuum immaginario tra livelli bassi e alti. Il discount Aldi fornisce livelli di servizio essenziali, puntando soprattutto sulla leva del prezzo. Nel settore della moda di alta gamma, invece, l’attenzione personale all’individuo è fondamentale e richiede un alto livello di investimenti in servizi. 5. Esperienzialità: direttamente collegati ai servizi sono gli aspetti esperienziali degli acquisti che il cliente sperimenta o si attende. Apple e Nike sono buoni esempi di aziende che considerano l’ambientazione fisica dello store come una combinazione tra intrattenimento personale e interazione con i prodotti. Parleremo più dettagliatamente dell’esperienza del cliente nel Capitolo 5. 6. Destinazione: in molti casi, gli acquirenti sono disposti a viaggiare per fare shopping, percorrendo anche lunghe distanze. Il che è in contrasto con la comodità, il primo beneficio qui menzionato. Ne discuteremo nel Capitolo 6, attraverso l’esempio di ikea che è un caso emblematico in tal senso. In conclusione, i retailer moderni tendono continuamente a differenziare i formati commerciali al fine di connettersi e restare avvinti ai propri clienti target. Non è proficuo essere troppo prescrittivi nell’indicare se taluni formati siano più efficaci di altri. Molti retailer, soprattutto quelli di maggiori dimensioni, operano con portafogli di formati in diversi comparti del retail. Così facendo, essi cercano di rispondere ai cambiamenti nei comportamenti d’acquisto dei consumatori o di anticiparli.
1.8
Le teorie sull’evoluzione delle formule distributive
Diverse prospettive teoriche, elaborate dagli studiosi del retailing, hanno tentato di interpretare le logiche di fondo dell’evoluzione dei formati commerciali al dettaglio dalla loro nascita, alla diffusione fino al declino. Probabilmente, la teoria più conosciuta, e che per certi versi ancora resiste alla prova del tempo, è quella della ruota del dettaglio (McNair, 1931). Il suo autore identifica tre fasi principali nello sviluppo di una nuova formula di vendita. Nella fase iniziale, un retailer fa il suo ingresso in uno specifico ambito commerciale, dove compete attraverso una combinazione di bassi livelli di prezzi e di servizio. Con questa proposta di valore riesce ad attrarre un numero significativo di clienti.
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In una fase successiva, detta di trading-up, il retailer si espande migliorando la qualità e la varietà dell’offerta commerciale, e per questo aumenta i prezzi e i livelli di servizio. Così facendo, il formato commerciale si evolve, iniziando a perdere le sue caratteristiche iniziali di convenienza. Nella terza e ultima fase, il retailer si concentra sulla fornitura di una serie di servizi aggiuntivi che però appesantiscono i costi, rendendolo vulnerabile a nuovi concorrenti che entrano sul mercato replicando la formula iniziale low-cost. La teoria della ruota del dettaglio possiede ancora un fascino intuitivo, ma negli anni ha suscitato diverse critiche. Non è mai stata testata empiricamente e si basa in gran parte su osservazioni aneddotiche. Difatti, anche se è capace di interpretare in maniera accurata le potenziali dinamiche evolutive dei formati, non è supportata da evidenze di dati che ne avvalorino il potere predittivo. È inoltre saldamente radicata in un particolare contesto geografico e nel momento storico in cui è nata la formula dei discount. Molti retailer innovativi, invece, sono riusciti a entrare in alcuni settori del commercio facendo leva su variabili diverse di prezzi scontati. Si potrebbe affermare, per esempio, che i ristoranti fast food come Burger King abbiano avuto inizialmente successo utilizzando come fattore di differenziazione la rapidità del servizio. Infine – e non è una sorpresa considerata l’epoca in cui la teoria è stata elaborata – non è in grado di spiegare la crescita dei retailer online e dei particolari strumenti impiegati per attrarre i clienti verso i loro siti web. Un altro approccio è quello della teoria organizzativa del ciclo di vita del retail (Davidson et al., 1976). Essa è, in senso lato, assimilabile al modello del ciclo di vita del prodotto e suggerisce che le organizzazioni del commercio al dettaglio si evolvono attraverso le seguenti fasi: nascita, crescita, maturità e declino. Al pari della ruota del dettaglio, ha molto senso dal punto di visto intuitivo, ma soffre il fatto di essere eccessivamente descrittiva e priva di qualsiasi conferma scientifica, suffragata da rigorosi studi empirici. È inoltre difficile utilizzarla per prevedere con accuratezza quando un retailer probabilmente passerà da una fase all’altra del ciclo di vita. Altre variazioni sul tema includono il modello della sopravvivenza del più grosso (Samli, 1998), di chiara derivazione dalla teoria darwiniana della sopravvivenza del più adatto. In ambito retail, varrebbe il principio che le organizzazioni più grandi diventano sempre più forti, mentre quelle più piccole sono destinate a indebolirsi e alla fine a scomparire. Maggiore è la dimensione dell’organizzazione, più è probabile quindi che essa abbia successo. L’evidenza aneddotica suggerisce che questa teoria sia realistica: in molti settori del commercio al dettaglio, infatti, esiste un alto grado di concentrazione del potere in capo a un piccolo numero di retailer di grandi dimensioni. Questi sono in grado di realizzare economie di scala e di raggio d’azione tali da consentirgli di negoziare proficuamente con i fornitori e, quindi, di rafforzare il proprio potere e dominio nel tempo. Alcuni studiosi (Anitsal e Anitsal, 2011) sottolineano la necessità di integrare gli studi sull’evoluzione del retail, prestando maggiore attenzione anche al modo in cui sono cambiati i clienti. Gli approcci teorici sinora esaminati presentano difatti i vantaggi della semplicità e del pragmatismo, ma tuttavia non si applicano o considerano le evoluzioni nei modelli d’acquisto dei consumatori, i quali hanno mutato prospettive e percezioni su una serie di questioni riguardanti le modalità attraverso cui i retailer commercializzano le loro proposte di valore. Uno studio recente (Levy et al., 2005, p. 85) ha proposto il modello del Big Middle detto anche grande centro. Quest’ultimo è descritto come: «Lo spazio di mercato dove i retailer di maggiori dimensioni competono nel lungo termine, perché è il luogo in cui risiede il maggior numero di potenziali clienti». I retailer
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americani Target e Walmart potrebbero essere buoni esempi per testimoniare il funzionamento del modello. In maniera simile, anche i retailer europei Tesco e Carrefour. La tesi di fondo si basa sull’idea che i retailer, inizialmente entrati nel settore con strategie competitive di nicchia, se hanno successo migreranno nel corso del tempo verso il grande centro, adattando di riflesso la propria proposta di valore (Figura 1.4). Ciò di solito avviene espandendo le linee merceologiche in assortimento, abbassando i margini commerciali ed eliminando alcune componenti di servizio alla clientela. Gli autori del modello sostengono che ci sono due modi attraverso cui i retailer possono entrano nel settore. La prima modalità è descritta come strategia lowprice (a sinistra nella figura) specifica di imprese commerciali che si rivolgono a clienti “attenti ai prezzi”. Nel corso del tempo, tale gruppo di retailer si rinnoverà, aggiornando la propria gamma di prodotti. La seconda strategia è di tipo innovative (a destra della Figura 1.4) e si rivolge a un consumatore “attento alla qualità”. I retailer, in questo caso, abbasseranno nel tempo il livello dei prezzi e diminuiranno il tasso di innovazione nell’offerta. Alla fine, entrambe le categorie di imprese commerciali diventeranno ibride, spostandosi nell’area intermedia tra orientamento al prezzo e all’innovazione. Poiché i retailer convergono verso il grande centro, si può affermare che gli acquirenti ottengono il miglior compromesso tra entrambe le modalità competitive. Le imprese commerciali di grandi dimensioni nell’area del Big Middle, grazie al volume e alla varietà delle loro attività, sono difatti in grado di differenziarsi sia attraverso lo sviluppo di politiche di assortimento/servizio sia mediante politiche di prezzo, rinnovando la propria proposta di valore e preservando l’attenzione dei propri acquirenti nel tempo. La capacità di reinventarsi è la chiave del loro successo strategico. Esse non vogliono però essere percepite come statiche o intrappolate in un posizionamento “a metà strada” immutabile. Se ciò dovesse accadere, è probabile che alcuni acquirenti si stancherebbero della loro proposta di valore e andrebbero alla ricerca di alternative. Se i retailer del Big Middle rimangono inerti e resistenti ai cambiamenti, è probabile che vengano sostituiti da altri concorrenti che intendono trasferirsi in questo spazio. Emblematico è il caso dell’impresa Marks & Spencer, rimasta bloccata nel mezzo a causa di un posizionamento rigido e
Big Middle
Livello di competizione Low-price
Livello di competizione Innovative
Numero di clienti
Figura 1.4 Il modello del Big Middle Fonte: adattato da Ennis, 2016 e Levy et al., 2005.
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poco proattivo nel saper convogliare i cambiamenti nella propria proposta di valore. È dubbio se quest’impresa sarà in grado di riconquistare la posizione di dominio che aveva occupato negli anni Settanta e Ottanta. Possiamo notare delle somiglianze tra il modello del Big Middle e le altre teorie sul cambiamento nel retail passate in rassegna. Anche in questo caso, viene proposta una serie di ipotesi affascinanti di cui avvalersi per provare a rappresentare in maniera realistica le modalità con cui i retailer si evolvono e sviluppano le proprie strategie commerciali. In sintesi, i vari approcci teorici all’evoluzione dei formati distributivi devono essere applicati con prudenza. Essi ci stimolano a riflettere sulle motivazioni di fondo che spingono i retailer a evolversi, attraverso fasi di sviluppo e declino. Inoltre, rafforzano l’opinione che per conquistare quote di mercato, le formule commerciali dei retailer devono essere innovative e creare valore per gli acquirenti, ma devono anche sapersi adattare nel tempo ai fattori di cambiamento, poiché niente rimane statico.
1.9
Conclusioni
In questo capitolo, abbiamo esaminato cosa si intende con il termine retailing e valutato il ruolo che il settore della distribuzione commerciale svolge all’interno della società nel suo complesso e dell’economia in particolare. Abbiamo inoltre considerato alcuni aspetti relativi a profili di carriera nel retail per laureati in cerca di opportunità di lavoro nel settore. Il commercio al dettaglio ha subito grandi trasformazioni negli ultimi 20 anni circa, testimoniate, per esempio, dal crescente utilizzo delle tecnologie digitali (mobile e social) da parte degli acquirenti nelle varie interazioni intrattenute con i retailer. Questi ultimi, a loro volta, hanno adattato le proprie strategie in modo da tenere conto di siffatti cambiamenti. È iniziata l’era dell’omnicanalità, e si prevede in futuro un uso probabilmente più accentuato e strategico di soluzioni tecnologiche abilitanti, come la realtà aumentata e virtuale.
Aspetti chiave del capitolo ▶ ▶ ▶ ▶ ▶ ▶
I retailer sono specializzati nella vendita di prodotti fisici e relativi servizi al cliente finale della filiera. Il settore del retail contribuisce in modo significativo, in termini di occupazione e di contributo, al prodotto interno lordo dell’economia nazionale. I retailer hanno dovuto modificare le modalità di approccio e interazione con gli acquirenti in seguito agli sviluppi nell’ambito della tecnologia digitale e mobile. Il tema della sostenibilità sta assumendo un’importanza crescente nella formulazione e nell’esecuzione delle strategie di retail marketing. I retailer non possono più operare mediante un unico canale commerciale per soddisfare i bisogni dei propri segmenti di mercato target. L’omnicanalità svolge un ruolo significativo nelle strategie dei moderni retailer e sarà sempre più pratica in futuro.
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Capitolo 1
Spunti di riflessione 1. Valutare l’opinione che sostiene che i punti vendita fisici diventeranno meno importanti nel prossimo decennio. 2. La teoria del Big Middle è stata proposta dagli studiosi per fornire un’interpretazione dell’evoluzione e dei cambiamenti nel retailing. Valutare la rilevanza di questo modello teorico. Fare degli esempi per giustificare il proprio punto di vista. 3. Illustrare il concetto di showrooming e valutare le implicazioni per i retailer. 4. Spiegare, attraverso esempi, come un’impresa commerciale può utilizzare tecnologie di realtà aumentata per migliorare l’esperienza d’acquisto. 5. Valutare l’affermazione che è sempre più difficile gestire le relazioni con gli acquirenti a causa dell’utilizzo crescente da parte loro delle piattaforme di social media.
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