Microeconomia, 8e - Capitolo 1

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Pensare da economisti

Obiettivi di apprendimento 1. apprezzare l’importanza dell’analisi economica per i comportamenti umani; 2. valutare la rilevanza dell’approccio costi-benefici nello studio delle decisioni individuali; 3. conoscere la differenza tra microeconomia e macroeconomia.

La microeconomia studia come gli individui scelgono in condizioni di scarsità. Sentendo questa definizione per la prima volta, molti reagiscono dicendo che tale argomento mostra una modesta rilevanza pratica per quasi tutti i cittadini dei Paesi industrializzati, per i quali, in fondo, la scarsità di beni materiali si può considerare un lontano ricordo. Questa reazione, però, si basa su un concetto troppo restrittivo di scarsità. Anche quando le risorse materiali abbondano, altre importanti risorse sono perennemente insufficienti. Al momento della sua morte il 5 ottobre 2011, Steve Jobs possedeva un patrimonio di parecchi miliardi di dollari. Aveva più soldi di quanti ne potesse spendere. Eppure, paradossalmente, egli si è dovuto misurare con il problema della scarsità molto più intensamente di quanto non dovrà mai fare la maggioranza del genere umano. Jobs soffriva di una rara forma di tumore maligno al pancreas. Dunque la scarsità con cui si confrontava Jobs non riguardava il denaro, ma il tempo, l’energia e l’efficienza fisica necessari per portare avanti le attività quotidiane. Il tempo è una risorsa scarsa per tutti, non solo per i malati terminali. Per esempio, quando dobbiamo decidere quale film andare a vedere, è il tempo, non il costo del biglietto, che condiziona la maggior parte di noi. Avendo a disposizione solo quattro o cinque sere libere al mese, vedere un film significa non poterne vedere un altro o dover rinunciare a una cena con gli amici. Il tempo e il denaro non sono le uniche risorse limitate importanti. Considerate la scelta che vi trovate davanti quando un amico vi invita a un buffet. Potete mangiare tutto quello che vi pare, dovete solo decidere che cosa mettere nel piatto. Anche se non siete ricchi, il denaro non conta assolutamente niente, perché potete mangiare gratis a volontà. Neppure il tempo è un ostacolo, perché avete a disposizione l’intero pomeriggio, e preferite trascorrerlo in compagnia del vostro amico piuttosto che in qualunque altro modo. Quindi la vera risorsa scarsa è la capacità del vostro stomaco. Avete davanti un sacco di cose buone che vi allettano, dovete decidere che cosa mangiare e in quale quantità. Mangiare un’altra pizzetta significa necessariamente avere meno

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spazio a disposizione per un’altra fetta di torta. Il fatto che non dovete pagare nulla non implica che la vostra scelta non sia di tipo economico. Tutte le scelte implicano una qualche forma di scarsità: talvolta riguarderà le risorse monetarie, ma in molte decisioni chiave la risorsa limitata non è il denaro. Affrontare la scarsità, in una forma o nell’altra, è l’essenza della condizione umana. Anzi, se non esistesse il problema della scarsità, la vita verrebbe privata in gran parte del suo interesse. Un ipotetico soggetto che avesse a disposizione una vita illimitata e delle risorse materiali illimitate non sarebbe mai posto di fronte a una scelta. In questo capitolo esaminiamo alcuni principi fondamentali della teoria microeconomica e vediamo come un economista potrebbe applicarli a un’ampia gamma di scelte caratterizzate dalla scarsità di qualche risorsa. Nei capitoli successivi la teoria sarà sviluppata in maniera più formale, ma per ora il nostro unico obiettivo è intuire che cosa significa “pensare da economista”. Il modo migliore per farlo è esaminare una serie di problemi di scelta che ci sono familiari grazie all’esperienza diretta.

1.1 L’approccio costi-benefici alle decisioni Molte delle scelte studiate dagli economisti si possono formulare con una domanda di questo tipo: Dovrei effettuare l’attività x? Per un tizio che vuole andare al cinema, questa attività x potrebbe essere, per esempio, “Andare a vedere Tenet”. Per il tizio che viene invitato al brunch, potrebbe essere “Mangiare un altro tramezzino al tonno”. Gli economisti rispondono a queste domande confrontando i costi e i benefici associati all’attività in questione. La regola di decisione che usiamo è di una semplicità disarmante. Se C (x) è il costo dell’attività x e B (x) è il relativo beneficio, allora: Quando B (x) > C (x), fare x; altrimenti no. Per applicare questa regola dobbiamo avere qualche parametro con cui definire e misurare i costi e i benefici. Una valutazione monetaria è utile a questo scopo, anche quando l’attività non ha nessuna implicazione monetaria diretta. Diciamo che B (x) è il prezzo massimo che sareste disposti a pagare per x. In molti casi, B (x) sarà un valore ipotetico, ovvero la somma che sareste disposti a pagare se foste costretti a farlo, anche se di fatto non ci sarà alcun esborso di denaro. A sua volta, C (x) è il valore di tutte le risorse a cui dovete rinunciare per compiere l’attività x, anche se C (x) non implica necessariamente un trasferimento di denaro. Molti di noi approvano il detto “Se vale la pena di fare qualcosa, vale la pena di farla bene”. È una massima che, in fondo, incoraggia un certo orgoglio per il proprio lavoro, una dote purtroppo spesso carente. Tuttavia, se viene interpretata alla lettera, questa massima risulta assolutamente priva di senso: ignora infatti la necessità di rapportare i benefici ai costi. Fare bene una cosa significa dedicarvi tempo, energie e risorse finanziarie. Peccato che il tempo, le energie e i quattrini siano risorse scarse. Se le dedichiamo a una determinata attività, non possiamo dedicarle a un’altra. Aumentare la qualità di una delle cose che facciamo significa necessariamente ridurre la qualità di altre cose. Qualunque decisione intelligente non può non tenere presente questo trade-off.1 1

Gli economisti parlano spesso di trade-off per indicare situazioni nelle quali, se si sceglie un’alternativa, si deve necessariamente rinunciare a un’altra.

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In quasi tutte le scelte che si compiono ci saranno dei costi o dei benefici da valutare in termini monetari. Per capire come si procede in questi casi, considerate la seguente semplice decisione.

Esempio 1.1 Devo alzarmi e fare avanzare il CD? Siete seduti in poltrona e state ascoltando un CD musicale dal vostro impianto stereo, quando improvvisamente vi ricordate che i prossimi due brani non vi piacciono per niente. Con un telecomando a disposizione li avreste sicuramente saltati, ma non l’avete. Perciò dovete decidere se alzarvi o restare dove siete e sorbirvi quei due brani. Il beneficio dell’operazione consiste nel non ascoltare quelle due canzoni. Il costo, invece, è il fastidio di doversi alzare dalla poltrona. Se siete comodi e la musica non è poi così sgradevole, è probabile che restiate dove siete. Se vi siete accomodati da poco, o quella musica è realmente irritante, è più probabile che vi alziate. Anche per decisioni così semplici è comunque possibile attribuire un valore monetario ai costi e ai benefici. Considerate, innanzitutto, il costo rappresentato dalla necessità di dovervi alzare dalla poltrona. Se qualcuno vi offrisse 0,01 € per abbandonare una poltrona confortevole e quel modesto incentivo monetario fosse l’unica ragione di quell’ipotetico sacrificio, accettereste l’offerta? Se siete come la maggior parte della gente, molto probabilmente non l’accettereste. Ma se qualcuno vi offrisse 1000 €, scattereste in piedi all’istante. Ciò significa che da qualche parte tra 0,01 € e 1000 € sta il vostro prezzo di riserva dell’alzarvi in piedi, cioè la somma minima che vi convincerebbe a lasciare la poltrona. Per capire dove risieda tale soglia, immaginate un’asta mentale in cui continuate a maggiorare l’offerta di un centesimo alla volta fino a quando non arrivate al punto in cui vi conviene alzarvi. La collocazione di questo punto dipenderà ovviamente dalle circostanze. Se siete ricchi si posizionerà generalmente più in alto che se siete poveri, perché una determinata somma di denaro vi sembrerà meno importante. Se vi sentite pieni di energia, si posizionerà più in basso che se vi sentite stanchi e così via. Supponete, per esempio, che il vostro prezzo di riserva per lasciare la poltrona sia di 1 €. Potete effettuare un’analoga asta mentale per decidere qual è la somma massima che sareste disposti a pagare a qualcuno per fare avanzare il CD: quello è il prezzo di riserva del beneficio derivante dal non ascoltare i due brani successivi. Immaginiamo che sia 0,75 €. Seguendo la nostra regola di decisione avremo “x = alzarsi e fare avanzare il CD”, con B (x) = 0,75 € < C (x) = 1 €. In questo caso, vi converrà restarvene comodi. Ascoltare gli altri due brani sarà spiacevole, ma meno che alzarsi. L’inversione di questi valori relativi al costo e al beneficio implicherebbe ovviamente la decisione di alzarvi. Se B (x) e C (x) fossero uguali, le due alternative vi sarebbero invece indifferenti.

Prezzo di riserva di un’attività x Prezzo al quale una persona sarebbe indifferente tra svolgere o meno l’attività x.

1.2 Una considerazione sul metodo della teoria economica L’idea di mettersi a calcolare i costi e i benefici di un’azione come non ascoltare dei brani musicali può sembrare strampalata, se non proprio assurda. Infatti, gli economisti sono stati spesso pesantemente criticati per le loro ipotesi poco realistiche sul comportamento umano, e i non economisti rimangono scettici di fronte all’utilità dell’immaginare il costo che si sarebbe disposti a sostenere per evitare il fastidio di alzarsi dalla poltrona. Ci sono due risposte possibili a questa critica. La prima è che nessun economista pensa che la gente si metta a calcolare effettivamente costi e benefici di questo

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tipo. Tuttavia, sostengono molti economisti, si possono fare delle previsioni adeguate sul comportamento degli individui partendo dal presupposto che essi decidano come se avessero effettuato certi calcoli. Questa è l’opinione sostenuta dal premio Nobel Milton Friedman, che spiega efficacemente questo concetto con l’esempio dei giocatori di biliardo.2 I loro tiri, osserva Friedman, e le modalità specifiche con cui tentano di effettuarli, possono essere previsti con estrema precisione se si ipotizza che essi li decidano applicando tutte le leggi più importanti della fisica newtoniana. Naturalmente sono ben pochi i giocatori di biliardo che conoscono la fisica, e non ce n’è praticamente nessuno in grado di citare certe leggi, come “L’angolo d’incidenza è uguale all’angolo di riflessione”, o che conosca i concetti di “urto elastico” e di “momento angolare”. Nonostante ciò, afferma ancora Friedman, non sarebbero mai diventati degli esperti di questo gioco se non avessero operato nel pieno rispetto delle leggi della fisica. La nostra teoria sul comportamento dei giocatori di biliardo assume, irrealisticamente, che essi conoscano le leggi della fisica. Friedman ci invita a giudicare questa teoria non tanto in base all’esattezza del suo presupposto fondamentale, quanto piuttosto in base alla sua capacità di prevedere il comportamento degli individui. Da questo punto di vista, bisogna riconoscere che funziona molto bene. Come i giocatori di biliardo, dobbiamo interagire con l’ambiente in cui viviamo. Friedman (e con lui molti altri economisti) ritiene utile supporre che tutti prendiamo le nostre decisioni seguendo le regole della teoria della scelta razionale. Con un procedimento graduale di apprendimento, fatto di tentativi e di errori, finiamo infatti per far nostre queste regole, così come i giocatori di biliardo fanno proprie le leggi della fisica. Una seconda risposta possibile alla critica secondo cui gli economisti partirebbero da ipotesi poco realistiche è riconoscere che il comportamento effettivo differisce spesso in misura sostanziale dalle previsioni contenute nei modelli economici. Perciò, come dice Richard Thaler, in molti casi ci comportiamo più come principianti che come esperti giocatori di biliardo, ignorando il gioco di sponda e non avendo la benché minima idea dell’effetto da imprimere alla palla in modo da posizionarla per il tiro successivo. Vedremo delle conferme autorevoli di questa seconda opinione. Tuttavia, anche se peccano di inadeguatezza dal punto di vista descrittivo e non sempre sanno anticipare il nostro effettivo comportamento, i modelli economici si rivelano spesso un’utile guida per assumere decisioni più corrette e raggiungere in modo più efficiente i fini che ci interessano. Se i novizi del biliardo non hanno ancora interiorizzato le leggi fisiche che regolano le dinamiche del gioco, potrebbero comunque studiarsele per diventare più bravi. I modelli economici assolvono spesso e volentieri un ruolo analogo, per quanto riguarda le decisioni ordinarie dei consumatori e delle imprese. E questa è già una ragione più che sufficiente per studiare l’economia.

1.3 Gli errori più comuni nel processo decisionale Alcuni economisti provano un evidente imbarazzo se qualcuno fa osservare loro che, in fondo, si limitano ad applicare il banalissimo principio secondo cui tutti noi dovremmo effettuare una determinata azione se e solo se i relativi benefici sono maggiori dei costi. Non sembra davvero sufficiente per tenere impegnato tutto il giorno un ricercatore che si è faticosamente conquistato un dottorato di ricerca in 2

Friedman M., “The Methodology of Positive Economics”, in Id., Essays in Positive Economics, University of Chicago Press, Chicago 1953.

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economia! Come sempre, però, non bisogna fermarsi alle apparenze: come scopre subito lo studente di economia, calcolare costi e benefici è spesso un compito difficile, un’arte più che una scienza. Alcuni costi sono praticamente impossibili da osservare, come se un genio maligno si fosse divertito a nasconderli; altri sembrano rilevanti, ma a un’occhiata più attenta si scopre che non lo sono. L’economia ci insegna a identificare i costi e i benefici che contano veramente. Un obiettivo essenziale di questo libro è insegnarvi a decidere meglio. Un buon punto di partenza è esaminare le decisioni nelle quali si commettono i più grossi errori, ovvero le trappole più comuni nei processi decisionali. I principi che utilizzano gli economisti a tal fine sono semplici e fondati sul buon senso, ma sono spesso ignorati nella vita di tutti i giorni.

1.3.1 Errore n. 1: ignorare i costi opportunità Una di queste trappole consiste nell’ignorare i costi non espliciti. Se compiere l’azione x significa escludere l’azione y, il valore rappresentato da y (se l’aveste compiuta) è un costo opportunità di x. Spesso si prendono decisioni sbagliate perché si tende a trascurare il valore di queste opportunità tralasciate. In genere, domande della forma: “Dovrei fare x?” possono essere riformulate in modo più preciso nei termini: “Dovrei fare x o y?”. Nella seconda formulazione, y è semplicemente la migliore alternativa possibile a x. Un semplice esempio aiuterà a chiarire questo importante concetto.

Esempio 1.2 Devo andare a sciare o lavorare come collaboratore all’università? Supponiamo che ci sia una stazione sciistica vicino all’università e che la frequentiate spesso. Per esperienza, la soddisfazione di una giornata di sci vale per voi 60 €. Il costo della gita è di 40 € (compresi biglietto dell’autobus, skilift e noleggio dell’attrezzatura). Tuttavia, questo non è il solo costo da considerare: occorre aggiungere il valore dell’alternativa migliore che escludete per andare a sciare. Per esempio, rimanendo in città potreste lavorare come collaboratore per uno dei professori dell’università: il lavoro viene pagato 45 €/giorno ed è così interessante che sareste anche disposti a farlo gratis. Il vero interrogativo che vi si pone è: “Devo andare a sciare o lavorare all’università?”. Il costo di una giornata di sci in questo caso non è dato solo dal costo esplicito di 40 € di cui si è parlato, ma anche dal costo opportunità del mancato guadagno (45 €). Il costo totale è quindi 85 €, cioè più dei 60 € di beneficio. Poiché C(x) > B(x), vi conviene restare in città a lavorare in università. Notate che, ignorando il costo opportunità rappresentato dal mancato guadagno, qualcuno di voi avrebbe deciso, erroneamente, di andare a sciare.

Vi sarete chiesti perché nell’Esempio 1.2 abbiamo messo in gioco i vostri interessi su quel lavoro di ricerca. Il fatto che vi piacesse a tal punto da essere disposti a farlo gratis è un altro modo per dire che non comportava costi psicologici. Si tratta di una considerazione importante, perché significa che non facendo quel lavoro non vi sareste sottratti a un’esperienza sgradevole. Non tutti i lavori sono così: supponete di dover lavare i piatti alla mensa universitaria per la stessa paga, 45 €/giorno, e che quel lavoro sia così spiacevole che non sareste disposti a farlo per meno di 30 €. Assumendo che il direttore della mensa vi consenta di prendervi un giorno di ferie quando vi pare, riconsideriamo la vostra decisione di andare a sciare.

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Esempio 1.3 Devo andare a sciare o restare a lavare i piatti? Per prendere questa decisione si può partire da due prospettive equivalenti. Secondo un primo punto di vista, uno dei vantaggi dell’andare a sciare sta nel non dover lavare i piatti. Dal momento che, come si è detto, la paga minima per cui siete disposti a lavare i piatti è di 30 €, sottrarvi a quel compito vi procura un beneficio di pari ammontare. Quindi la scelta di andare a sciare comporta il beneficio indiretto di non dover lavare i piatti: se lo aggiungiamo al beneficio diretto (60 €) della giornata sulle piste, otteniamo B (x) = 90 €. In questo approccio alla soluzione del problema, C (x) è invariato: i 40 € dei costi della gita e i 45 € del costo opportunità legato ai mancati guadagni, per un totale di 85 €. Quindi B (x) > C (x), il che significa che dovreste andare a sciare. In alternativa, avremmo potuto ritenere che il fastidio di lavare i piatti fosse ricompensato dalla paga. In base a questo approccio dovremmo sottrarre il costo psicologico di 30 €/giorno dai 45 €/giorno di retribuzione, per concludere che il costo opportunità di non lavorare in mensa è di soli 15 €/giorno. Quindi C (x) diventa 40 € + 15 € = 55 € < B (x) = 60 €; si conferma, pertanto, che vi conviene andare a sciare. Il modo in cui valutare il fastidio di lavare i piatti non fa differenza ai fini del risultato, ma è essenziale calcolarlo (facendo bene attenzione a non calcolarlo due volte).

L’Esempio 1.3 chiarisce che esiste una relazione reciproca tra costi e benefici. Non sostenere un costo equivale a ottenere un beneficio e, al contrario, non ottenere un beneficio è come sostenere un costo. Per quanto sembri ovvio, tutto questo viene spesso dimenticato. Facciamo l’esempio di uno studente che abbia conseguito la laurea all’estero alcuni anni fa e stia per tornare in patria. Le leggi doganali del suo Paese permettono a chi rientra dall’estero di portare con sé un’automobile nuova senza dover pagare il normale dazio del 50%. Il suocero di questo studente gli ha chiesto di portargli una Fiat nuova del valore di 10 000 € e gli ha mandato un assegno esattamente per quella cifra. Il nostro studente si trova ora in imbarazzo: aveva infatti già pensato di comprare una Fiat per rivenderla in patria. Egli aveva contato sul fatto che, come abbiamo osservato, le auto nuove sono gravate normalmente da una tassa d’importazione del 50%, e dunque una vettura del tipo in questione costerebbe, se acquistata in una concessionaria locale, 15 000 €. Il progetto dello studente era di vendere l’automobile privatamente, per 14 000 €, con un profitto di 4000 €. Nel suo caso, quindi, il costo opportunità dell’assecondare il suocero sarebbe di 4000 €! Rinunciare a questo grosso beneficio significa sostenere un costo rilevante. Alla fine, lo studente decide di sostenere comunque tale costo perché attribuisce alla pace familiare un valore ancora superiore. Anche da un punto di vista strettamente economico, la decisione migliore non è sempre quella che vi lascia in tasca la somma più elevata.

Esempio 1.4 Dopo la maturità conviene iscriversi subito all’università o andare a lavorare per qualche anno? Il costo dell’università non si limita alle tasse universitarie, all’affitto da pagare, ai libri ecc., ma deve includere anche il mancato guadagno durante gli anni di studio. Bisogna considerare che il reddito da lavoro aumenta all’aumentare dell’esperienza: più esperienza si ha, maggiori sono i redditi a cui bisogna rinunciare per andare all’università.

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Questo costo opportunità, legato agli studi universitari, viene dunque minimizzato se ci si iscrive appena terminata la scuola superiore. Per quanto riguarda i benefici, uno dei grossi vantaggi dell’istruzione universitaria è che consente generalmente di ottenere degli stipendi ben più elevati. Prima ci si iscrive all’università, prima si potrà godere di questo beneficio. Un altro beneficio è la miglior qualità della vita di chi studia all’università rispetto a chi lavora. In genere, i ruoli ricoperti migliorano al crescere del livello di istruzione e di esperienza. Iscrivendovi immediatamente all’università, evitate di fare la gavetta partendo dai compiti più umili, dunque è meglio frequentare l’università a 20 anni piuttosto che a 50. Un’eccezione piuttosto frequente a questa regola generale riguarda coloro che sono troppo immaturi, alla fine della scuola superiore, per poter cogliere tutti i benefici dello studio universitario. Per costoro, potrebbe essere più conveniente andare a lavorare uno o due anni prima di iscriversi all’università.

Questo esempio illustra bene l’osservazione di Friedman su come valutare una teoria: nessuno può pensare che i maturandi decidano quando iscriversi all’università in base a calcoli sofisticati che tengano conto dei costi opportunità. Al contrario, la maggior parte dei ragazzi si iscrive all’università subito dopo la maturità semplicemente perché questo è quello che fa la maggioranza dei loro compagni. È la cosa giusta da fare. Ma questa risposta non ci dice perché proprio questa sia la cosa giusta da fare. Le abitudini, come quella di frequentare l’università subito dopo la scuola superiore, non vengono dal nulla: alle spalle ci sono secoli di sperimentazione in diversi tipi di società. Se ci fosse un modo significativamente più conveniente di distribuire i periodi di apprendimento e di lavoro nella vita degli individui, qualche società lo avrebbe già trovato da tempo. Questa nostra abitudine è probabilmente sopravvissuta a causa della sua elevata efficienza. La gente non calcola esplicitamente il costo opportunità dei mancati guadagni, ma spesso si comporta come se lo facesse.3

Esempio 1.5 Perché le banche pagano un interesse? Supponete di essere un banchiere: qualcuno ha depositato 10 000 € presso la vostra banca il 1° gennaio senza chiedervi di pagargli gli interessi. Voi prendete quei soldi e li impiegate in un capitale produttivo, per esempio una piantagione di alberi ad alto fusto (Figura 1.1). Se quegli alberi crescono del 6% all’anno e il prezzo di un albero è

1° gennaio

31 dicembre

Figura 1.1 L’interesse riflette il costo opportunità del denaro. I soldi si possono usare per acquistare un capitale produttivo, per esempio un albero, che accresce il proprio valore con il passare del tempo. Prestare soldi a qualcuno significa tralasciare l’opportunità di godere i frutti di questo investimento. L’interesse corrisposto sui prestiti riflette semplicemente questo costo opportunità.

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Ciò non significa, comunque, che tutte le abitudini promuovano necessariamente l’efficienza. Per esempio, le circostanze potrebbero essere cambiate in modo tale che una particolare abitudine, che aveva promosso l’efficienza nel passato, oggi non la promuova più. Con il tempo, tale abitudine potrebbe cambiare. Tuttavia, abitudini e consuetudini, una volta consolidate, cambiano con molta lentezza.

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8 Parte 1 proporzionale alla quantità di legno che esso contiene, alla fine del primo anno potreste vendere quegli alberi a 10 600 €, con un guadagno di 600 €. Ma la stessa opportunità esisteva anche per la persona che aveva depositato i suoi soldi presso la vostra banca. Perché mai dovrebbe lasciare a voi i 600 € che avrebbe potuto guadagnare? Il cliente vi lascerà usare il suo denaro solo se lo compenserete per il costo opportunità che ha sostenuto non impiegando egli stesso il denaro. Se gli pagate un tasso di interesse del 5%, ne resterà probabilmente soddisfatto perché non avrà avuto il fastidio di acquistare, mantenere e rivendere gli alberi (o di farlo fare a qualcun altro). In questo caso a voi rimangono 100 € come compenso per queste attività.

Se il tasso di interesse è solo una forma di rimborso per il costo opportunità del denaro, perché c’è tanta ostilità verso coloro che prestano soldi? Forse perché chi prende denaro a prestito è spesso povero, mentre chi lo presta è spesso ricco. Ma non è sempre così. L’ex multimiliardario Donald Trump e attuale Presidente degli Stati Uniti ha fatto ricorso al credito per finanziare i suoi investimenti immobiliari. A volte, quei soldi venivano dai fondi pensione dei salariati. Non è necessariamente così neppure nell’esempio della banca, ma in genere il pagamento degli interessi implica un trasferimento di denaro da coloro che sembrano averne disperatamente bisogno a coloro che paiono averne più di quanto ne possano spendere. Si noti, però, che anche in questo caso quello che dovrebbe colpirci è la differenza di ricchezza, non tanto il pagamento di interessi in sé. La situazione economica dei meno abbienti può essere migliorata se si trova il modo di aumentare la loro ricchezza, ma ciò non è necessariamente la conseguenza di leggi e regolamenti che ne ostacolino l’accesso al credito. Nonostante la sua semplicità, il concetto di costo opportunità è uno dei più importanti in microeconomia. Saperlo utilizzare significa riconoscere sempre l’alternativa più proficua che viene sacrificata per compiere una determinata azione.

1.3.2 Errore n. 2: non ignorare i costi non recuperabili A volte il costo opportunità non appare un costo effettivo, nonostante lo sia. In altre occasioni, al contrario, un determinato costo appare rilevante mentre non lo è. È il caso dei costi non recuperabili (in inglese, sunk costs). Diversamente dai costi opportunità, questi costi vanno ignorati. Non ignorarli significa cadere in una seconda trappola tipica del processo decisionale. La necessità di ignorare i costi non recuperabili emerge chiaramente nell’esempio seguente.

Esempio 1.6 Vi conviene andare a Napoli in auto o in pullman? Siete a Roma per un periodo di studio e state organizzando un viaggio di 250 km che vi porterà a Napoli. A parte il costo, vi è del tutto indifferente guidare o prendere il pullman. Il biglietto del pullman costa 100 €. Dal momento che non sapete quanto potrebbe costarvi usare la vostra macchina, telefonate alla Hertz per avere delle indicazioni; l’impiegato vi spiega che per calcolare il costo di esercizio della vostra auto in base a un utilizzo annuo di 10 000 km bisogna tener conto di queste voci:

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Assicurazione

1000 €

Interessi

2000 €

Benzina e olio

1000 €

Manutenzione

1000 €

Totale

5000 €

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Il costo medio risulta di 0,50 €/km, e su questa base potete calcolare il costo di un viaggio di 250 km fino a Napoli: poiché il viaggio vi costerebbe 125 € contro i 100 del pullman, decidete di usare il mezzo pubblico. In questo modo, tuttavia, commettete l’errore di considerare i costi non recuperabili. Gli interessi e l’assicurazione li pagate comunque, indipendentemente dall’utilizzo. Sono entrambi dei costi non recuperabili e resteranno invariati sia che decidiate di usare la macchina sia che decidiate di prendere il pullman. Gli unici costi che variano al variare dell’utilizzo sono quelli di benzina, olio e manutenzione. Queste due voci assommano a 2000 € ogni 10 000 km percorsi, cioè a 0,20 €/km. A quel costo unitario, andare a Napoli in macchina vi costerà appena 50 €, cioè molto meno del biglietto del pullman: è chiaro che vi conviene fare il viaggio in auto.

Nell’Esempio 1.6 gioca un ruolo fondamentale l’ipotesi che, a parità di costo, siate indifferenti relativamente all’uso dell’uno o dell’altro mezzo di trasporto. L’unico paragone che conta riguarda il costo effettivo delle due opzioni. Se invece aveste preferito un mezzo piuttosto che l’altro, avremmo dovuto pesare economicamente questa preferenza. Per esempio, se foste stati disposti a pagare 60 € per evitare il fastidio di guidare, il costo reale del viaggio in auto sarebbe stato di 110 €, non di 50; quindi vi sarebbe convenuto andare in pullman. Gli esercizi che troverete qua e là nel testo hanno la funzione di aiutarvi a capire dei concetti analitici importanti. Riuscirete a padroneggiare meglio la microeconomia se li svolgerete man mano. I risultati vengono forniti nel sito web dedicato a questo libro, ma gli esercizi sono molto più utili se cercherete di risolverli prima di consultare le risposte.

Esercizio 1.1 Come rispondereste alla domanda dell’Esempio 1.6 se il fastidio di guidare valesse per voi solo 20 € e se prendeste una multa di 28 € ogni 200 km?

Esempio 1.7 L’esperimento della pizzeria Una pizzeria lancia un’offerta speciale: con 10 € di ingresso potete mangiare a volontà. Pagate all’entrata, poi il cameriere vi porta tutti i tranci di pizza che vi sentite di ordinare. Un mio ex collega statunitense ha fatto questo esperimento, usando un suo collaboratore nei panni di cameriere per un determinato gruppo di tavoli.4 Il finto cameriere sceglieva a caso metà dei tavoli e rimborsava agli occupanti i 10 € di ingresso, prima di prendere gli ordini; agli altri clienti non toccava alcun rimborso. Poi il finto cameriere teneva accuratamente conto delle porzioni di pizza mangiate da ciascun cliente. Qual è stata, secondo voi, la differenza nella quantità di pizza mangiata ai diversi tavoli? Per tutti i clienti la domanda era: “Devo mangiare un altro trancio di pizza o no?”. In questo caso l’azione x consiste nel mangiare un altro trancio di pizza. Per entrambi i gruppi, C (x) è pari a zero: anche i membri del gruppo che non ha ricevuto alcun rimborso possono mangiare tutti i tranci in più che vogliono, senza pagamenti aggiuntivi.

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Thaler R., “Toward a Positive Theory of Consumer Choice”, Journal of Economic Behavior and Organization, n. 1, 1980.

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10 Parte 1 Poiché il gruppo che ha beneficiato del rimborso è stato scelto a caso, non c’è ragione per ipotizzare che i suoi componenti amino la pizza di più o di meno rispetto agli altri avventori. Per tutti quanti la regola di decisione è: “Continua a mangiare fin quando l’idea di un altro trancio non ti darà più alcun piacere”; dunque B (x) dovrebbe essere lo stesso per ciascun gruppo e i componenti di ambedue i gruppi dovrebbero continuare a ingozzarsi fin quando B (x) non scende a zero. In base a questo ragionamento, i due gruppi dovrebbero mangiare (in media) la stessa quantità di pizza. I 10 € di ingresso rappresentano un costo non recuperabile e non dovrebbero influire sul quantitativo di pizza richiesto da ogni singolo cliente. Tuttavia, il gruppo che non ha ottenuto il rimborso ha mangiato molto di più.

Benché la regola del calcolo costi-benefici non abbia saputo prevedere correttamente il risultato di questo esperimento, il principio da adottare per una decisione razionale rimane valido. A rigor di logica, i due gruppi avrebbero dovuto comportarsi esattamente nello stesso modo. L’unica differenza, dopotutto, è che i clienti che hanno ottenuto il rimborso si trovano in tasca 10 € più degli altri. Ovviamente, nessuno può credere che una differenza così risibile possa avere qualche effetto sul consumo di pizza. I membri del gruppo che non ha ricevuto il rimborso volevano essere sicuri di “aver speso bene i loro soldi” e con tutta probabilità è questa motivazione che li ha indotti a mangiare più del necessario.5 Che cosa c’è di sbagliato nel voler ottenere il controvalore di quanto si è pagato? Assolutamente nulla, se questa logica vi guida prima di effettuare una transazione. Quindi è perfettamente logico farsi guidare da questa motivazione nella scelta di un ristorante anziché di un altro, in cui si mangia altrettanto bene ma che costa di più. Una volta deciso quanto volete spendere per il pranzo, però, quel tipo di logica va abbandonato. La soddisfazione che viene dal mangiare una porzione di pizza in più dovrebbe dipendere solo da quanta fame avete e da quanto vi piace la pizza, non da quanto avete pagato per il privilegio di abbuffarvi a volontà. Eppure non ci comportiamo sempre così, forse perché non siamo delle creature sufficientemente flessibili. Probabilmente, le motivazioni che ci influenzano utilmente in un determinato contesto vengono usate (non correttamente) in un altro contesto.

Esercizio 1.2 Giacomo vince un biglietto, offerto da una stazione radiofonica, per un concerto jazz all’aperto. Michele, per lo stesso concerto, ha acquistato un biglietto pagandolo 18 €. La sera del concerto si scatena un fortissimo temporale. Se Giacomo e Michele hanno gli stessi gusti musicali, chi di loro avrà maggiori probabilità di andare al concerto, supponendo che entrambi decidano di assistervi in base a una corretta analisi costi-benefici?

5

Una spiegazione alternativa è che i 10 € siano una parte significativa della somma che molti clienti della pizzeria hanno a disposizione nell’immediato. Perciò può darsi che coloro che hanno ricevuto il rimborso abbiano consumato meno pizza per lasciare spazio al dessert, che ora possono permettersi di ordinare. Per verificare questa spiegazione alternativa, bisognerebbe distribuire prima, al gruppo che non ha percepito il rimborso, 10 € in regalo per vedere se la quantità di pizza consumata dai due gruppi rimane invariata.

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Capitolo 1

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1.3.3  Errore n. 3: misurare i costi e i benefici in termini percentuali piuttosto che in termini assoluti Durante un viaggio in automobile, quando un bambino chiede: “Siamo quasi arrivati?”, quale dovrebbe essere la risposta della mamma se mancassero ancora 10 km per giungere a destinazione? Senza sapere nulla del contesto in cui si svolge il viaggio, è difficile rispondere. Se il figlio formulasse la domanda verso la fine di un percorso lungo 300 km, la risposta della mamma sarebbe quasi certamente “Sì”. Ma se l’itinerario fosse complessivamente lungo 12 km, la risposta sarebbe senza dubbio “No”. Le informazioni relative al contesto sono importanti nell’ambito dei giudizi che guidano qualunque processo decisionale. Pensare alla distanza come percentuale dell’ammontare totale dello spazio da percorrere si rivela un procedimento intuitivo e istruttivo. Molti trovano dunque ovvio ragionare in termini percentuali quando devono comparare costi e benefici. Tuttavia, come illustra la seguente coppia di semplici esempi, questo approccio spesso pone dei dubbi non indifferenti.

Esempio 1.8a Vi conviene andare da Trony in auto per risparmiare 10 € su una radiosveglia del valore di 20 €? State per acquistare una radiosveglia che costa 20 € al negozio vicino alla Facoltà di Economia, quando da un amico venite a sapere che Trony vende la stessa radiosveglia a soli 10 €. Se per raggiungere il supermercato occorrono 15 minuti di viaggio in auto, dove comprereste la radiosveglia?

Esempio 1.8b Vi conviene andare da Trony in auto per risparmiare 10 € su un televisore del valore di 1000 €? State per acquistare un nuovo televisore che costa 1010 € al negozio vicino alla Facoltà di Economia, quando da un amico venite a sapere che Trony vende lo stesso televisore a soli 1000 €. Se per raggiungere il supermercato occorrono 15 minuti di viaggio in auto, dove comprereste il televisore? A prima vista, parrebbe non esistere un’unica risposta corretta a entrambe le domande, ciascuna delle quali chiede se il beneficio derivante dall’acquisto da Trony valga il costo che bisogna considerare per arrivarci. La maggioranza delle persone, in effetti, ritiene che converrebbe certamente intraprendere il viaggio in auto nel caso dell’acquisto della radiosveglia, ma non nel caso dell’acquisto del televisore. A sostegno di questa conclusione, si può sottolineare il fatto che l’utilizzo dell’automobile farebbe risparmiare un 50% nell’acquisto della radiosveglia, ma meno dell’1% nell’acquisto del televisore. Queste percentuali, tuttavia, sono irrilevanti. In entrambi i casi, il beneficio generato dallo spostamento in automobile è rappresentato dagli stessi 10 € di risparmio sul prezzo d’acquisto. Qual è il costo del prendere l’auto per raggiungere Trony? Alcune persone potrebbero essere disposte a recarvisi per meno di 5 €, mentre altre non lo farebbero per meno di 50 €. Ciò non toglie che il risparmio effettivo resti lo stesso in entrambi gli esempi considerati. E ciò significa, quindi, che le risposte alle due domande dovrebbero essere convergenti. Per esempio, se foste disposti a intraprendere il viaggio in auto per, diciamo, 8 €, allora dovreste acquistare sia la radiosveglia sia il televisore da Trony. Se invece il vostro prezzo di riserva fosse, poniamo, di 12 €, allora dovreste acquistare entrambi gli articoli nel negozio vicino alla Facoltà.

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Quando utilizzate l’analisi costi-benefici, dovreste esprimere i costi e i benefici nei termini assoluti del valore monetario. Il confronto fra percentuali non si rivela un modo efficace di valutare il processo decisionale.

Esercizio 1.3 Siete in possesso di un buono sconto che vi dà il diritto a usufruire di una tariffa ridotta su uno dei due viaggi che avete programmato di compiere il prossimo mese. Potreste scontare 100 € dal prezzo normale di 200 € del biglietto aereo per Parigi, oppure 120 € dal prezzo normale di 2400 € del biglietto aereo per l’Australia. Su quale viaggio dovreste utilizzare il vostro buono sconto?

1.3.4 Errore n. 4: non comprendere la distinzione medio-marginale

Costo marginale Aumento dei costi totali derivante dall’effettuazione di un’unità addizionale di attività. Beneficio marginale Aumento dei benefici totali derivante dall’effettuazione di un’unità addizionale di attività.

Finora ci siamo occupati delle decisioni inerenti all’intraprendere o meno una determinata attività. Spesso, tuttavia, la scelta che ci troviamo di fronte non riguarda tanto l’attività che dovremmo effettuare, quanto il punto fino al quale dovremmo continuare a effettuarla. Ma anche in questo caso più complesso possiamo applicare la regola del calcolo costi-benefici riformulando la nostra domanda. Invece di chiederci: “Dovremmo effettuare l’attività x?”, ci chiediamo: “Dovremmo incrementare il livello con cui ci stiamo dedicando all’attività x?”. Per rispondere a questa domanda, dobbiamo concentrare l’attenzione sui costi e sui benefici derivanti dall’effettuazione di un’unità addizionale di attività. Il costo di un’unità addizionale di attività è chiamato il costo marginale dell’attività, mentre il beneficio di un’unità addizionale è chiamato il suo beneficio marginale. La regola del calcolo costi-benefici ci dice di incrementare il livello di un’attività finché il suo beneficio marginale eccede il suo costo marginale. Tuttavia, come mostrano i seguenti esempi, spesso le persone non applicano correttamente questa regola.

Esempio 1.9 A Efisio conviene dotare la propria flottiglia di un altro peschereccio?

Costo medio Rapporto fra il costo totale di un’attività e il numero n di sue unità effettuate. Beneficio medio Rapporto fra il beneficio totale di un’attività e il numero n di sue unità effettuate.

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Efisio gestisce una piccola flotta di 3 pescherecci. I suoi costi correnti giornalieri, comprendenti il prezzo di noleggio delle barche e i salari dei pescatori, ammontano a 300 €, ovvero a una media di 100 €/barca. Il suo ricavo totale, cioè il beneficio proveniente dalla vendita del pesce, è attualmente di 600 €, ovvero una media di 200 €/barca. Efisio decide che, poiché i suoi costi per barca sono minori dei suoi ricavi per barca, dovrà calare in mare un altro peschereccio. Si tratta di una decisione saggia? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo confrontare il costo marginale del varare una barca con il suo beneficio marginale. Le informazioni di cui disponiamo, tuttavia, indicano soltanto il costo medio e il beneficio medio del varare una barca (che sono, rispettivamente, un terzo del costo totale di 3 barche e un terzo del ricavo totale di 3 barche). Conoscere il beneficio medio e il costo medio per barca varata non ci consente di decidere se sia economicamente conveniente varare un altro peschereccio. Infatti, sebbene il beneficio medio delle 3 barche varate finora possa essere né più né meno del beneficio marginale del varare un’altra barca, potrebbe anche essere superiore o inferiore. La stessa considerazione vale in riferimento al costo medio e al costo marginale.

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Capitolo 1

Numero di barche

Beneficio totale giornaliero (€)

Beneficio medio giornaliero (€/barca)

0

0

0

1

300

300

2

480

240

3

600

200

4

640

160

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Tabella 1.1 Variazione del costo totale al variare del numero di barche impiegate.

Per illustrare la natura del problema, supponiamo che il costo marginale del varare una barca e del dotarla di un equipaggio ammonti a 100 €/barca giornalieri. Quindi Efisio dovrebbe varare una quarta barca soltanto se tale incremento di unità aggiungerà almeno 100 € ai ricavi giornalieri derivanti dalla sua attività totale di pesca. Il mero dato che il beneficio medio corrente sia di 200 €/barca non ci dice affatto quale sarà il beneficio marginale del varare un quarto peschereccio. Immaginate, per esempio, che la relazione fra il numero di barche varate e il ricavo totale giornaliero derivante dall’attività di pesca sia quella descritta nella Tabella 1.1. Con l’utilizzo giornaliero di 3 barche, il beneficio medio sarebbe allora di 200 €/barca. Se Efisio varasse una quarta barca, il beneficio medio giornaliero scenderebbe a 160 €/barca, un valore comunque ancora superiore al supposto costo marginale di 100 €. Tuttavia, come si evince dalla seconda colonna della tabella, la differenza positiva fra il ricavo totale generato dall’attività di 4 barche e quello generato dall’attività di 3 barche è soltanto di 40 €/giorno. Ciò significa che il beneficio marginale derivante dal varare la quarta barca ammonta solamente a 40 €. E siccome questo valore è inferiore al suo costo marginale (100 €), non conviene calare in mare il quarto peschereccio.

Il seguente esempio illustra il modo di applicare correttamente la regola del calcolo costi-benefici a questo caso.

Esempio 1.10 Di quanti pescherecci dovrebbe dotarsi Efisio? Il costo marginale del varare una barca e fornirla di equipaggio ammonta ancora a 100 €/giorno. Se anche il ricavo totale giornaliero proveniente dall’attività di pesca continua a variare rispetto al numero di barche così come descritto nella Tabella 1.1, di quanti pescherecci dovrebbe dotarsi Efisio? Efisio dovrebbe continuare a incrementare il numero di barche finché il beneficio marginale di tale attività sia almeno pari al suo costo marginale. Con un costo marginale costante di 100 € per ogni impiego di barca, Efisio dovrebbe proseguire ad ampliare la propria flottiglia finché il beneficio marginale sia almeno di 100 €. Applicando la definizione di beneficio marginale alle voci del beneficio totale giornaliero indicate nella seconda colonna della Tabella 1.1, si ottengono i valori del beneficio marginale riportati nella terza colonna della Tabella 1.2 (poiché il beneficio marginale corrisponde alla variazione del beneficio totale al variare di un’unità nel numero delle barche, collochiamo ciascuna voce del beneficio marginale a metà strada fra le righe che mostrano le corrispondenti voci del beneficio totale). Per esempio, il beneficio marginale dell’incremento del numero di barche da 1 a 2 ammonta a 180 €, cioè alla differenza fra il ricavo totale di 480 € generato con l’impiego di 2 barche e il ricavo di 300 € generato con l’impiego di una sola barca.

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14 Parte 1 Tabella 1.2 Variazione del beneficio marginale al variare del numero di barche impiegate.

Numero di barche

Beneficio totale giornaliero (€)

0

0

1

300

2

480

3

600

4

640

Beneficio marginale giornaliero (€/barca) 300 180 120 40

Confrontando il costo marginale di 100 € per ogni impiego di barca con le voci del beneficio marginale indicate nella terza colonna della Tabella 1.2, notiamo che l’incremento delle unità che compongono la flottiglia risulta vantaggioso fino al numero di 3 barche, e non oltre. Efisio dovrebbe dunque dotarsi di 3 pescherecci.

Esercizio 1.4 Se il costo marginale dell’impiego di ogni barca non fosse stato 100 € ma 150 €, di quanti pescherecci avrebbe dovuto dotarsi Efisio?

La regola del calcolo costi-benefici ci dice che i costi e i benefici marginali – misure che corrispondono all’incremento di una determinata attività – sono i concetti da mettere in campo nella scelta del livello al quale conviene dedicarsi all’attività. Eppure molte persone confrontano i costi e i benefici medi dell’attività quando devono prendere simili decisioni. Come avrebbe dovuto chiarire l’Esempio 1.9, tuttavia, incrementare il livello di un’attività può non trovare giustificazioni anche nel caso in cui il suo beneficio medio al livello corrente sia significativamente maggiore del suo costo medio.

1.4  La rappresentazione grafica del costo e del beneficio marginale Gli esempi appena discussi implicano decisioni riguardo a un’attività che potrebbe realizzarsi soltanto su specifici livelli (nessuna barca, 1 barca, 2 barche e così via). I livelli di molte altre attività, tuttavia, possono variare in modo continuo. Per esempio, si può fare rifornimento di benzina per un ammontare qualsiasi. Per attività che variano in modo continuo, spesso si rivela utile rappresentare graficamente il confronto fra beneficio marginale e costo marginale.

Esempio 1.11 Per quanti minuti al mese Susanna dovrebbe parlare al telefono con Alessandro? Susanna ha sottoscritto un contratto telefonico che le consente di effettuare una chiamata interurbana per parlare con il suo ragazzo, Alessandro, a un costo di 4 centesimi

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Capitolo 1

Tariffa di una chiamata interurbana (centesimi/minuto)

Valore di un minuto addizionale

MB

Costo di un minuto addizionale

8

6

MC

Prezzo = 4

15

Figura 1.2 La quantità ottimale di conversazioni telefoniche. L’ammontare ottimale di conversazioni telefoniche coincide con la quantità in corrispondenza della quale il beneficio marginale delle conversazioni è esattamente pari al suo costo marginale.

2 1 200

400

600

800 Minuti/mese

al minuto (le frazioni di minuto sono fatturate secondo lo stesso piano tariffario, cosicché una chiamata della durata di 30 secondi le costerebbe 2 centesimi). Il valore attribuito da Susanna a un minuto addizionale di conversazione con Alessandro – misurato in base alla sua disponibilità a pagarlo – è rappresentato dalla curva MB (dall’inglese Marginal Benefit) nella Figura 1.2. Quanti minuti al mese dovrebbe trascorrere al telefono con Alessandro? L’andamento decrescente della curva MB riflette il fatto che il valore attribuito a un minuto addizionale di conversazione diminuisce all’aumentare della quantità totale di minuti di conversazione che si è utilizzata fino a quel momento (come vedremo nel Capitolo 3, maggiore è la quantità di un determinato bene di cui si dispone, minore è il valore che si assegna alle unità addizionali di quel bene). La curva MC (dall’inglese Marginal Cost) rappresenta il costo di ciascun minuto addizionale, assunto costante a 0,04 €. La quantità ottimale di conversazioni telefoniche è quella in corrispondenza dell’incrocio delle due curve (cioè 400 minuti/mese). Se Susanna conversasse per meno tempo, il beneficio marginale derivante da ulteriori incrementi di minuti supererebbe il costo marginale, per cui le converrebbe restare al telefono più a lungo. Oltre i 400 minuti/mese di conversazione, invece, il risparmio proveniente dalla riduzione dei colloqui telefonici con Alessandro sarebbe superiore al beneficio a cui Susanna rinuncerebbe, per cui le converrebbe restare meno tempo al telefono.

Esercizio 1.5 Immaginando che la curva del beneficio marginale sia ancora quella rappresentata nella Figura 1.2, per quanti minuti al mese Susanna dovrebbe parlare al telefono con Alessandro se la tariffa di una chiamata interurbana scendesse a 2 centesimi/minuto?

1.5 La mano invisibile Una delle intuizioni più importanti dell’analisi economica è quella secondo cui il perseguimento dell’interesse individuale è spesso non solo compatibile con obiettivi sociali di più ampia portata, ma addirittura necessario per il conseguimento degli stessi.

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16 Parte 1

Pur essendo inconsapevoli degli effetti delle loro azioni, i consumatori che perseguono il proprio interesse agiscono spesso come se fossero guidati da quella che Adam Smith chiamava la “mano invisibile”, in grado di produrre il risultato più favorevole per il bene comune (della mano invisibile descritta da Smith parleremo più dettagliatamente nel Capitolo 15). Nel brano forse più citato de La ricchezza delle nazioni, Smith scriveva: Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro desinare, ma dalla considerazione del loro interesse personale. Non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro egoismo e parliamo dei loro vantaggi, e mai delle nostre necessità.

Gli economisti moderni, a volte, però dimenticano che Smith non pensava che fossero importanti solo le motivazioni egoistiche e che, in un suo trattato precedente, La teoria dei sentimenti morali, aveva efficacemente parlato della compassione che proviamo per gli altri: Per quanto l’uomo si possa ritenere egoista, vi sono evidentemente alcuni principi, nella sua natura, che lo inducono a interessarsi alla sorte altrui e gli rendono necessaria l’altrui felicità, sebbene egli non ne ricavi alcunché, eccetto il piacere di constatarla. Di questo genere è la pietà o compassione, l’emozione che sentiamo per le miserie degli altri, quando le vediamo o siamo indotti a concepirle in modo molto vivido. Che noi spesso riceviamo dispiacere dal dispiacere altrui è un dato di fatto troppo ovvio per richiedere esemplificazioni che lo provino, giacché questo sentimento, come tutte le altre passioni originarie della natura umana, non è affatto prerogativa esclusiva di chi è benevolo o virtuoso, sebbene forse costui possa sentirlo con la più squisita acutezza. Nemmeno il peggior furfante, il più incallito trasgressore delle leggi della società ne è del tutto privo.

Smith, inoltre, era ben conscio del fatto che il risultato di uno sfrenato perseguimento degli interessi individuali sia talora lontano dal benessere sociale. Il prossimo esempio spiega come il meccanismo della mano invisibile possa incepparsi quando i costi o i benefici in gioco toccano altre persone, oltre chi deve prendere una decisione.

Esempio 1.12 È più conveniente bruciare le foglie secche del proprio giardino o trasportarle nel bosco vicino? Supponiamo che trasportare le foglie secche costi al proprietario della casa 20 € e bruciarle gli costi appena 1 €. Se questo signore considera solo i costi che gravano direttamente su di lui, deciderà di bruciarle.6 Il problema è che bruciare le foglie comporta un costo esterno rilevante, cioè il costo sopportato da altre persone non coinvolte direttamente nella decisione. Gli economisti parlano di questi costi esterni come di esternalità negative. Nel nostro caso, l’esternalità negativa consiste nel danno prodotto dal fumo, che non grava su chi decide di bruciare le foglie, ma su tutti quelli che vivono sottovento. Se supponiamo che questo danno valga 25 €, il bene comune richiede che le foglie vengano trasportate nel bosco e non bruciate in giardino. Dal punto di vista del proprietario, invece, sembrerebbe meglio bruciarle.

Costo esterno di un’attività Costo che ricade su persone non coinvolte direttamente nell’attività.

Costi e benefici esterni, cioè esternalità negative o positive, sono spesso la motivazione addotta per giustificare le leggi che limitano la libertà personale (ne parleremo dettagliatamente nel Capitolo 17). Per esempio, in parecchie città è vietato, oggi, bruciare 6

Naturalmente, se il proprietario frequenta assiduamente i vicini, l’interesse individuale gli suggerirà comunque di portare via le foglie per mantenere buoni rapporti. Tuttavia, se i vicini sono solo degli estranei anonimi, questa motivazione avrà un’influenza molto minore sulla decisione.

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Capitolo 1

17

le foglie entro i confini municipali: questi regolamenti possono essere interpretati come un modo di avvicinare i costi e i benefici individuali a quelli collettivi. Se è vietato bruciare le foglie, chiunque abbia intenzione di farlo dovrà confrontare il costo di violazione della legge con il costo da sostenere per trasportare le foglie secche altrove. In genere, la conclusione è che costa meno caricare le foglie e portarle via.

1.6 La razionalità e l’interesse individuale Essere razionali significa prendere decisioni in base al criterio costi-benefici, ovvero intraprendere un’azione se e solo se i benefici superano i costi. Ci sono due importanti specificazioni del principio di razionalità. Una è la razionalità secondo l’interesse individuale; in altre parole, ciascuno attribuisce un peso rilevante solo ai costi e ai benefici che lo toccano direttamente. Questo standard elimina esplicitamente ogni motivazione di tipo altruistico, come far contenti gli altri, fare la cosa giusta ecc. L’altra specificazione è la razionalità secondo i fini, che impone soltanto che le persone agiscano in modo efficiente per raggiungere qualsiasi obiettivo si pongano al momento dell’azione. L’aspetto interessante di questa seconda definizione, meno restrittiva, è che permette di considerare motivazioni “benevole”, come la carità, il dovere e così via. Dopotutto, sappiamo che molte persone si comportano realmente in base a queste motivazioni, quindi la nostra teoria aumenta la propria precisione descrittiva se le prende esplicitamente in considerazione. Il problema è che la razionalità secondo i fini è una definizione a volte troppo ampia. Per esempio, se il desiderio prevalente in una persona obesa è di mangiare una gigantesca torta al cioccolato, alla luce della razionalità secondo i fini la decisione è razionale, a patto che la torta non venga pagata più del dovuto. Il fatto che mangiare la torta possa causare in seguito un profondo senso di colpa o, addirittura, la morte prematura della persona, non ha alcuna rilevanza nell’ottica dei fini. Al contrario, secondo l’accezione dell’interesse individuale, mangiare un’intera torta sarebbe in questo caso un’azione irrazionale. La teoria formale della scelta razionale può essere sviluppata utilizzando entrambe le accezioni di razionalità. Se usiamo l’accezione dell’interesse individuale, partiamo dall’assunto implicito che le persone siano fondamentalmente egoiste; secondo l’accezione dei fini bisogna fare, invece, delle ipotesi alternative sugli obiettivi delle persone. Paradossalmente, la difficoltà che presenta l’accezione di razionalità secondo i fini sta nel fatto che ci permette di spiegare tutto: anche il comportamento più bizzarro si può giustificare assumendo semplicemente che alla gente piaccia agire in quel modo. Se qualcuno ingurgita un litro di olio lubrificante usato e rimane stecchito all’istante, l’accezione della razionalità secondo i fini può spiegare una tale follia affermando che ciò era proprio quello che la persona voleva. Entrambe le accezioni sono ampiamente utilizzate nell’analisi economica, ma entrambe comportano inevitabilmente dei compromessi. L’accezione dell’interesse individuale rappresenta un compromesso, perché sappiamo che anche motivazioni non egoistiche hanno importanza. L’accezione dei fini rappresenta ugualmente un compromesso, perché risulta spesso vaga e aperta a ogni possibilità.

Razionalità secondo l’interesse individuale Teoria secondo la quale una persona razionale considera solo costi e benefici che la toccano direttamente. Razionalità secondo i fini Teoria secondo la quale, al momento di effettuare una scelta, una persona razionale agisce in modo efficiente nel perseguimento dei propri obiettivi.

1.7 Vorreste che vostra figlia sposasse un Homo oeconomicus? Gli economisti e gli altri studiosi di scienze comportamentali rimangono spesso perplessi circa la rilevanza del senso del dovere e delle altre motivazioni non egoistiche. Essi ritengono che gli incentivi materiali connessi al comportamento egoistico siano così preponderanti rispetto alle altre motivazioni che, almeno in prima approssimazione, queste ultime si potrebbero tranquillamente ignorare.

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18 Parte 1

In quest’ottica, il modello astratto di individuo che opera in base al modello dell’interesse individuale viene spesso chiamato Homo oeconomicus. L’Homo oeconomicus non prova i sentimenti che inducono le persone a votare, o a restituire i portafogli trovati casualmente ai legittimi proprietari senza toccarne il contenuto. Le sole cose che contano per lui sono i costi e i benefici che lo toccano direttamente. Non dà il suo contributo a opere di beneficenza private o pubbliche, mantiene le promesse solo quando gli conviene, se le leggi anti-inquinamento non sono applicate rigidamente stacca il catalizzatore sulla sua auto per risparmiare benzina e così via. Ovviamente, molti uomini sono ben lontani dalla caricatura del perfetto egoista disegnata dal modello dell’interesse individuale: donano il midollo a sconosciuti affetti da leucemia, vanno incontro a preoccupazioni e spese per veder trionfare la giustizia (anche se ciò non potrà cancellare l’ingiustizia originaria), rischiano la vita strappando dagli edifici in fiamme persone in pericolo, o si buttano in fiumi gelidi per salvare chi sta per annegare, si gettano in mezzo alle granate in difesa dei loro commilitoni. Ma questo non basta a provare che le motivazioni egoistiche non contino; al contrario, esse hanno un grande peso. Quando si indaga su un omicidio, la prima domanda che ci si pone è: “Chi trae vantaggio dalla morte della vittima?”. Quando un economista analizza un decreto del governo, vuole sapere quali classi sociali ne saranno favorite in termini di reddito. Quando un parlamentare propone un nuovo progetto di sviluppo, il politologo cerca di capire quale fascia dei suoi elettori ne beneficerà in misura prevalente. La nostra finalità in questo libro è cercare di capire quali comportamenti sono generati, in determinate situazioni, dalle motivazioni egoistiche, cioè dall’interesse individuale. Tuttavia, nel corso di questa analisi è fondamentale tener presente che il modello dell’interesse individuale non va inteso come una ricetta di validità generale per condurre bene i propri affari. Anzi, nei capitoli successivi ci renderemo conto che l’Homo oeconomicus è decisamente inadatto ad affrontare le esigenze di una vita sociale come la intendiamo noi. Tutti probabilmente conosciamo qualcuno che assomiglia al ritratto stereotipato dell’Homo oeconomicus e la nostra massima cura è quasi sempre quella di stargli alla larga. Il paradosso è che una persona guidata esclusivamente dal proprio interesse individuale si crea generalmente un grado di isolamento sociale nocivo non solo allo spirito, ma anche al conto corrente. Per avere successo nella vita, anche in termini puramente materiali, bisogna saper lavorare con gli altri, costruire delle alleanze e stabilire delle relazioni basate sulla fiducia. Ma quale persona di buon senso si fiderebbe mai dell’Homo oeconomicus? Più avanti verificheremo con esempi specifici che le motivazioni non egoistiche possono portare ricompense materiali a chi le segue. Per ora, però, tenete presente che il modello dell’interesse individuale si propone soltanto di cogliere una parte, peraltro importante, del comportamento umano.

1.8 Il naturalista economico Chi studia le scienze naturali è in grado di vedere e apprezzare molti dettagli della vita che altrimenti gli sfuggirebbero. Per il naturalista, una semplice passeggiata nei boschi diventa un’avventura. Allo stesso modo, chi si occupa di microeconomia può diventare una sorta di “naturalista economico”, una persona in grado di osservare sotto una luce radicalmente nuova i banali dettagli della vita di ogni giorno. Ogni elemento del panorama costruito dall’uomo non gli appare una massa amorfa, ma il risultato di un calcolo implicito costi-benefici. Vediamo qualche esempio delle osservazioni di un naturalista economico. L’esempio che abbiamo appena visto chiarisce come non sempre le decisioni politiche tengano in debita considerazione l’analisi costi-benefici.

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Capitolo 1

Perché l’analisi costi-benefici non sempre è applicata? L’analisi costi-benefici consente di valutare tutti i costi e tutti i benefici derivanti dall’intrapresa di qualsiasi iniziativa o attività. Anche le autorità pubbliche dovrebbero applicare questo basilare principio economico. Occorre, infatti, che esse comprendano se un investimento pubblico valga, per l’insieme dei cittadini che ne potranno usufruire, più di quanto non costi. Fra i costi di un progetto di investimento vanno inclusi anche i costi opportunità che, in questo contesto, sono relativi al migliore possibile utilizzo alternativo dei fondi pubblici raccolti attraverso l’imposizione fiscale. Uno studio recente* ha cercato di calcolare i costi e i benefici connessi all’ampliamento della capacità di trasmissione di elettricità tra il Nord e il Sud dell’Italia. Nel 2004 esisteva, nel nostro Paese, una sorta di collo di bottiglia nella rete di trasmissione dell’energia elettrica tra le due macroaree che ne limitava l’afflusso da un’area all’altra. Inoltre, Nord e Sud differivano quanto a efficienza degli impianti di produzione: quelli del Nord, che utilizzavano tecnologie tendenzialmente più innovative, erano mediamente meno costosi, mentre quelli dell’area meridionale, mediamente più obsoleti, si caratterizzavano per tecnologie più costose. I consumatori del Sud avrebbero dunque tratto benefici da un ampliamento della capacità di trasmissione, che avrebbe consentito di approvvigionarsi da fornitori settentrionali più economici a costi più contenuti. Tuttavia, nonostante l’analisi costi-benefici suggerisse che i secondi erano di gran lunga superiori ai primi, non si è dato corso all’investimento, e ci sarebbe da chiedersi il perché. Il problema fondamentale è che, spesso, l’analisi costi-benefici viene messa in secondo piano in sede politica: la politica, per sua natura, media fra esigenze contrastanti e la risultante delle diverse forze in campo, che spingono a favore o contro determinati provvedimenti, può produrre risultati lontani dall’efficienza economica.

19

Naturalista economico 1.1

* Boffa F., Pingali V., “Interconnection, congestion and welfare in the Italian electricity market”, Hermes Ricerche, Working Paper n. 6, 2006 (www.hermesricerche.it).

Tutto ciò che facciamo nella nostra vita è il risultato di qualche compromesso. Per una persona come Nicolò Barella, giocare a calcio a quei livelli significa non avere la possibilità di affermarsi come pianista. Questo non vuole certo dire che non possa dilettarsi con il pianoforte; vuole solo dire che deve accontentarsi di suonare meno bene di come gioca a calcio. Il ragionamento illustrato nell’esempio del Naturalista economico 1.2 contribuisce anche a spiegare perché attualmente tutti i modelli con cambio manuale hanno almeno cinque marce, mentre 50 anni fa ne avevano solo tre (e quelli con cambi automatici solo due). Il beneficio prodotto dall’aggiunta di una marcia in più è sempre quello: fa risparmiare carburante. Il valore monetario di questo beneficio dipende perciò direttamente dal prezzo del carburante. Se pensiamo che oggi il prezzo della benzina relativamente a quello di altri beni è molto più alto di 50 anni fa, è facile capire perché oggi tutti i cambi, sia manuali sia automatici, hanno più marce di prima.

1.9 Le domande positive e le domande normative Nel Nordovest degli Stati Uniti, i produttori di legname stanno abbattendo le ultime foreste di sequoie per fornire alle imprese edilizie il legno con cui costruire le case. Molti di questi alberi hanno più di 2000 anni e rappresentano un patrimonio nazionale insostituibile. Eppure, per i produttori di legname, valgono più come legno da

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Naturalista economico 1.2

Domanda normativa Domanda circa quale politica o direttiva istituzionale adottare per conseguire il miglior risultato. Domanda positiva Domanda circa le conseguenze di specifiche politiche o direttive istituzionali.

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Perché il cambio manuale ha cinque marce e quello automatico solo quattro? È noto che più marce ha a disposizione il cambio di un’automobile, più si risparmia carburante. Le marce in più consentono di risparmiare benzina, viaggiando ad alta velocità in autostrada mentre il motore gira a basso regime. Oggi, quasi tutte le vetture in circolazione con cambio manuale hanno cinque marce, mentre quelle con il cambio automatico solo quattro. Dal momento che il risparmio energetico è indubbiamente un vantaggio, perché limitare il numero delle marce sui modelli con cambio automatico? La ragione è che risparmiare carburante non è il nostro unico obiettivo. Vogliamo anche mantenere il prezzo dell’autovettura entro determinati limiti. I cambi automatici sono più complessi dei cambi manuali, per cui aggiungere una marcia a una trasmissione automatica costa molto di più. I benefici, invece, sono identici in un caso e nell’altro. Se le case automobilistiche seguono la regola “Aggiungi una marcia in più se il beneficio è superiore al costo”, i cambi automatici avranno meno marce dei cambi manuali.

costruzione che come testimonianza del passato. A ben vedere, se le ultime foreste vergini di sequoie vadano protette è una domanda normativa, ovvero una domanda che coinvolge i nostri valori in quanto mira a sapere che cosa si deve o si dovrebbe fare. Di per sé, l’analisi economica non è in grado di rispondere a una domanda di questo tipo. Una società che rispetta la natura e la tradizione può ben decidere la sorte delle sequoie diversamente da come farebbe una società ispirata ad altri valori, anche se i membri di entrambe le società concordano pienamente nella valutazione dei fatti economici. L’analisi economica opera su basi più solide quando si tratta di rispondere a una domanda positiva, che ha per oggetto le conseguenze di determinate politiche o di determinate soluzioni istituzionali. Se dovessimo vietare il taglio delle sequoie, che cosa accadrebbe al prezzo del legname? Quali materiali da costruzione alternativi verrebbero sviluppati e a quale costo?

Perché gli smartphone sono così potenti? Nel 1965 Gordon Moore, che più tardi avrebbe fondato la Intel Corporation, predisse che il numero di transistor che potevano essere messi su un chip per computer a costi ottimali sarebbe raddoppiato ogni anno. Successivamente cambiò la sua previsione in un raddoppio ogni due anni. Questa previsione, o legge, si è dimostrata notevolmente accurata. Ecco perché i transistor hanno ora dimensioni di pochi nanometri e lo smartphone medio può fare una quantità incredibile di calcoli. Ma perché la legge di Moore si è dimostrata così efficace? Una risposta semplice sembra essere il progresso tecnologico. Nel 1965 semplicemente non avevamo idea di come produrre un transistor largo pochi nanometri. I progressi scientifici erano quindi necessari per arrivare dove siamo ora. La tecnologia, però, è solo metà della storia. Come ha riconosciuto Moore, dobbiamo anche pensare ai costi. Non basta sapere come produrre un transistor più piccolo. Dobbiamo anche sapere come produrre un transistor più piccolo a un prezzo abbastanza basso da far sì che la gente voglia comprarlo. Solo allora può essere redditizio produrre in serie per il mercato. Quindi, il successo della legge di Moore deriva da un attento bilanciamento tra il costo marginale e il beneficio marginale della produzione di computer più piccoli e più potenti.

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Quali sarebbero le ricadute sull’industria del legno e sull’industria edilizia? Sono tutte domande positive di natura economica e le relative risposte risultano chiaramente importanti anche per la domanda normativa sottesa.

1.10 La microeconomia e la macroeconomia In questo capitolo ci siamo occupati in particolare dei problemi che si pongono al singolo individuo. Nel seguito, prenderemo in considerazione anche i modelli economici relativi al comportamento di gruppi di individui: per esempio, quelli costituiti da tutti i compratori o da tutti i venditori che operano nello stesso mercato. Sia lo studio delle scelte individuali, sia quello del comportamento dei gruppi di individui su singoli mercati rientrano nella microeconomia. La macroeconomia, invece, studia aggregazioni di mercati decisamente più vaste. Essa cerca, per esempio, di calcolare il tasso di disoccupazione, il livello generale dei prezzi e il valore complessivo del reddito di una nazione. Gli economisti sono molto più bravi a prevedere e a spiegare ciò che accade nei singoli mercati, rispetto a ciò che accade nell’economia in generale. Quando i grandi economisti esprimono dei pareri discordi sulla stampa o nei dibattiti televisivi, è probabile che la materia del contendere sia di natura macroeconomica. Ma anche se gli interrogativi macroeconomici spesso non portano a risposte univoche ed esaurienti, non c’è ragione di negare l’importanza dell’analisi macroeconomica. Dopotutto, la recessione e l’inflazione hanno conseguenze molto rilevanti sulla vita di milioni di persone. Oggi gli economisti si stanno progressivamente convincendo che la carta vincente per progredire negli studi macroeconomici sia un’analisi più accurata dei singoli mercati che concorrono a formare aggregati di dimensioni maggiori. Il risultato è una linea di demarcazione meno precisa tra micro- e macroeconomia, oltre al ruolo crescente che l’analisi microeconomica va assumendo nella preparazione degli specialisti di entrambi i campi.

Sommario • La microeconomia è la disciplina che studia i processi decisionali in condizioni di scarsità. Il problema della scarsità si pone sempre, anche quando le risorse materiali sono abbondanti: esistono infatti comunque limitazioni a livello di tempo, di energia e di altri fattori che ci occorrono per raggiungere i nostri obiettivi. • I compiti di un economista si traducono spesso nel cercare di rispondere a domande del tipo: “Devo effettuare l’attività x?”. Il metodo corretto di risposta è di una semplicità addirittura disarmante: è opportuno effettuare l’attività x se e solo se i relativi costi sono inferiori ai benefici. Non sostenere un costo equivale a ottenere un beneficio. • Abbiamo visto come l’approccio costibenefici a volte possa apparire inadeguato

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nel prevedere i comportamenti effettivi degli individui davanti alle scelte quotidiane. L’arte dell’analisi costi-benefici sta però nel saper identificare e misurare tutti i benefici inerenti a una determinata azione: una competenza di cui molti decisori difettano visibilmente. Alcuni costi, come i costi non recuperabili, sembrano rilevanti ma in realtà non lo sono; altri, come i costi opportunità, sono essenziali ma vengono talvolta ignorati; i benefici, a loro volta, sono difficili da specificare e misurare. L’esperienza ci ha insegnato che la consapevolezza delle trappole più comuni aiuta a decidere in modo più razionale. • Quando il problema non è se intraprendere una determinata attività, ma a quale livello intraprenderla, l’analisi marginale attira la no-

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stra attenzione sull’importanza dei benefici marginali e dei costi marginali: in sostanza, dobbiamo aumentare il livello dell’attività in questione tutte le volte che il beneficio marginale supera il costo marginale. • I principi della teoria della scelta razionale non si limitano affatto ai mercati di beni e ser-

vizi in senso stretto, ma si utilizzano (esplicitamente o implicitamente) in quasi tutte le decisioni e in quasi tutti i comportamenti umani. Essere consapevoli di questi principi permette di guardare la realtà sotto una luce completamente nuova, non sempre e non necessariamente lusinghiera, ma certamente utile.

Domande di ripasso 1. Qual è il costo opportunità dell’ipotetica decisione di dedicare la serata alla lettura di un romanzo? 2. Illustrate la differenza tra l’accezione di razionalità secondo i fini e quella di razionalità secondo l’interesse individuale. 3. Indicate tre esempi di attività che comportano costi e benefici esterni.

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4. Perché i costi non recuperabili sono irrilevanti per prendere una decisione? 5. In che modo il modello fondato sul principio dell’interesse individuale può spiegare il comportamento di chi non ragiona esplicitamente in termini di costi e benefici?

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