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Parte IV
I geni viaggiano sui cromosomi
capitolo
12
Il cromosoma eucariotico A sinistra: ©Texas A&M University/FEMA/HandoutGetty Images; a destra: ©Alpha/ZUMAPRESS/Newscom
CC, la gattina clonata (a sinistra) e (a destra) Rainbow, la gatta donatrice del nucleo da cui si è originata CC. Pur condividendo gli stessi cromosomi, le due gattine sono diverse.
ELEMENTI DEL CAPITOLO
N
el dicembre 2001 dei ricercatori in veterinaria hanno fatto nascere, con parto cesareo, il primo animale domestico clonato, il gattino CC (abbreviazione sia di Copy Cat, sia di Carbon Copy). CC era il risultato di un esperimento di trasferimento nucleare in cui un nucleo derivante da una gatta calico di nome Rainbow era stato inserito in una cellula uovo (derivante da un’altra gatta), il cui nucleo era stato precedentemente rimosso. La cellula uovo così ricostituita era stata poi impiantata nell’utero di una madre surrogata. CC era del tutto sana, ha vissuto 17 anni e ha messo alla luce tre cuccioli. Tutte le cellule che costituiscono sia CC sia Rainbow hanno lo stesso DNA nucleare, in quanto sono discendenti mitotici di un’unica cellula, cioè lo zigote che ha dato origine a Rainbow. Anche se il DNA nucleare è identico per tutte le cellule, tutte le cellule chiaramente non sono identiche tra loro. Alcune cellule si sono differenziate in occhi, altre in baffi, altre ancora in pelle e così via. E a dispetto dello stesso DNA, CC e Rainbow sono diversi sotto molti aspetti, che vanno dal pattern di colore del pelo alla loro personalità. L’impacchettamento del DNA nei cromosomi è alla base di gran parte della biologia di CC e Rainbow. Questo impacchettamento consente ai miliardi di copie di basi che compongono il genoma del gatto di entrare
12.1 I componenti dei cromosomi eucariotici: DNA, istoni e proteine non istoniche 12.2 La struttura del cromosoma e la sua compattazione 12.3 La compattazione della cromatina influenza l’espressione genica 12.4 La replicazione dei cromosomi eucariotici 12.5 La segregazione dei cromosomi 12.6 I cromosomi artificiali
nel nucleo di una cellula e rappresenta il prerequisito per la fedele replicazione e per la distribuzione del genoma nel corso delle innumerevoli divisioni cellulari. Alcune delle proteine presenti sui cromosomi “dicono” ai geni quando accendersi e quando spegnersi e sono così responsabili del differenziamento cellulare. Altre macromolecole (proteine e RNA) associate ai cromosomi sono responsabili dell’inattivazione del cromosoma X, meccanismo alla base di molte differenze nei pattern di colore del pelo di Rainbow e CC. In questo capitolo esamineremo la struttura e la funzione del cromosoma eucariotico. Un concetto fondamentale emergerà alla fine di questa nostra discussione. I cromosomi hanno una struttura dinamica e versatile che supporta molte delle loro funzioni di impacchettamento, replicazione, segregazione ed espressione dell’informazione.
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12.1
Parte IV I geni viaggiano sui cromosomi
I componenti dei cromosomi eucariotici: DNA, istoni e proteine non istoniche
OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO 1. Illustrare le componenti di un cromosoma, compresa la polarità dei filamenti. 2. Descrivere le differenze tra proteine istoniche e non istoniche in termini di struttura e funzione.
Visti al microscopio ottico, i cromosomi sembrano cambiare forma, qualità e posizione mentre passano attraverso le varie fasi del ciclo cellulare. Durante l’interfase si vede un groviglio formato da una struttura filamentosa, sparsa per tutto il nucleo. Verso la metafase i cromosomi appaiono come un numero fisso di coppie di bastoncelli (i due cromatidi fratelli) che si fronteggiano ai due lati della piastra metafasica. In questa sezione descriveremo i componenti dei cromosomi; poi, nella sezione successiva, spiegheremo come questi si associano e dissociano permettendo la metamorfosi della struttura osservata.
Ogni cromosoma è composto da una singola molecola di DNA I ricercatori hanno appreso, da analisi chimiche e fisiche, che ogni cromosoma (o, dopo la replicazione, ogni cromatidio) all’interno di un nucleo cellulare contiene una lunga molecola di DNA lineare a doppio filamento. In uno di questi studi hanno posizionato del DNA cromosomale tra due cilindri, lo hanno disteso facendo ruotare uno dei due cilindri e hanno misurato la velocità con cui la molecola si riavvolgeva. Hanno notato che le molecole più corte si riavvolgevano più velocemente di quelle più lunghe. Quando hanno applicato queste misurazioni al DNA dei cromosomi di Drosophila, hanno osservato che la lunghezza delle molecole di DNA era proporzionale alla lunghezza dei cromosomi, dimostrando così che ogni cromosoma contiene un’unica, lunga, molecola di DNA.
I cromosomi eucariotici contengono proteine istoniche e proteine non istoniche Il DNA, di per sé, non ha la capacità di ripiegarsi in una struttura abbastanza piccola da entrare in un nucleo. Per una sufficiente compattazione è necessario l’intervento di due categorie di proteine: gli istoni e le proteine cromosomali non istoniche. Cromatina è il termine generico che indica ogni complesso di DNA e proteine presente nel nucleo di una cellula. Un cromo-
soma è un tratto distinto di cromatina che contiene (prima della fase S) una singola molecola di DNA e che si comporta come singola unità funzionale durante la divisione cellulare. Benché la cromatina sia formata approssimativamente per 1/3 da DNA, 1/3 da istoni e 1/3 da proteine non istoniche, essa può anche contenere quantità significative di RNA. Il ruolo dell’RNA associato alla cromatina non è stato ancora compreso del tutto, ma più avanti, in questo capitolo, descriveremo l’importanza di una specifica molecola di RNA chiamata Xist nella formazione dei corpi di Barr.
Le proteine istoniche Scoperti nel 1884, gli istoni sono proteine relativamente piccole con una preponderanza di amminoacidi basici, carichi positivamente, quali lisina e arginina. La carica fortemente positiva di queste proteine le rende capaci di legarsi al DNA e di neutralizzare la sua carica negativa. Gli istoni rappresentano, in peso, la metà delle proteine della cromatina e sono di cinque tipi: H1, H2A, H2B, H3 e H4. Gli ultimi quattro tipi (H2A, H2B, H3 e H4) formano il core dell’unità di impacchettamento più elementare del DNA, il nucleosoma, e sono quindi indicati come istoni del core (esamineremo in seguito il ruolo di questi istoni nella struttura del nucleosoma). I cinque tipi di istoni li ritroviamo in tutta la cromatina e in quasi tutte le cellule eucariotiche diploidi e sono molto simili in tutti gli eucarioti, con l’istone H3 che è praticamente invariato in piante e animali. Le proteine H4 della pianta di pisello e del vitello, per esempio, differiscono di soli due amminoacidi su 102 della sequenza. Il fatto che gli istoni siano cambiati così poco durante l’evoluzione sottolinea l’importanza del loro contributo alla struttura della cromatina.
Le proteine non istoniche Quasi la metà della grande quantità di proteine della cromatina nelle cellule di molti eucarioti è formata da proteine diverse dagli istoni. Si tratta di migliaia di tipi diversi di proteine non istoniche. La cromatina di un genoma diploide contiene da 200 a 2 000 000 di molecole di tipi diversi di proteine non istoniche. Non sorprende che questa grande varietà di proteine adempia a numerose funzioni diverse. Alcune proteine non istoniche hanno un ruolo puramente strutturale, contribuendo a impacchettare il DNA in modo diverso dai nucleosomi. Rientrano in questa categoria le proteine che formano lo scheletro, o scaffold, del cromosoma (Figura 12.1). Altre, come la DNA polimerasi, sono attive durante la replicazione. Altre ancora intervengono nella segregazione dei cromosomi; per esempio, alcune proteine del cinetocore, insieme all’apparato del fuso, contribuiscono a far muovere i cromosomi e quindi facilitano il loro trasferimento
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©Don Fawcett/J.R. Paulson, U.K. Laemmli/Science Source
©Daniel A. Starr/University of California, Davis
Capitolo 12
Figura 12.1 Lo scaffold cromosomico. Il cromosoma umano mostrato in figura è stato trattato con detergenti blandi per rimuovere gli istoni e alcune proteine non istoniche; dopo il trattamento restano visibili le componenti proteiche non istoniche che compongono lo scaffold, ancora con la forma dei due cromatidi fratelli. Le anse di DNA, destrutturate dal trattamento con i detergenti, circondano lo scaffold.
alle cellule figlie durante la mitosi e la meiosi (Figura 12.2). La classe di proteine non istoniche di gran lunga più abbondante è quella che promuove e regola la trascrizione durante l’espressione genica. I mammiferi hanno più di 5000 differenti proteine di questo tipo. Queste proteine, interagendo con il DNA, regolano quando, dove e con quale velocità i geni vengono trascritti.
12.2 La struttura del cromosoma
e la sua compattazione OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO 1. Confrontare i ruoli di istoni e condensine nella formazione della struttura del cromosoma.
Figura 12.2 Alcune proteine non istoniche favoriscono la migrazione dei cromosomi ai poli opposti durante la divisione cellulare. Nell’immagine, i cromosomi sono colorati in blu e la proteina non istonica CENP-E in rosso. La proteina CENP-E è localizzata sui cinetocori dei due cromatidi fratelli e contribuisce alla migrazione dei cromatidi fratelli ai due poli durante l’anafase.
2. Illustrare la struttura di un nucleosoma. 3. Riassumere il processo di identificazione delle bande G in un cromosoma e descrivere come ciò sia utilizzato per localizzare i geni. 4. Descrivere la tecnica FISH e la sua applicazione per l’analisi del cariotipo e per identificare specifiche sequenze di DNA in un cromosoma.
Se srotolassimo il DNA contenuto in una singola cellula umana, otterremmo un filamento sottile della lunghezza di 2 metri circa. Queste dimensioni ci sembrano incompatibili con quelle del nucleo di una cellula che lo deve contenere; il diametro medio di un nucleo umano è di circa 6 mm (6 10-6 m). Questa lunga molecola, però, viene ripiegata numerose volte, fino a raggiungere il livello di compattazione che gli consente di stare dentro il nucleo di una cellula. Per prima cosa il DNA è avvolto intorno agli istoni, a formare i nucleosomi. I nucleosomi costituiscono l’unità di base della cromatina ed esistono sia nelle cellule in interfase, sia in quelle in mitosi. Successivamente, complessi proteici chiamati condensine formano degli anelli attorno al DNA, organizzando i cromosomi in strutture a forma di anse (loop). Queste strutture sono di fondamentale importanza per l’innesco del processo di condensazione dei cromosomi durante la mitosi. Ulteriori livelli di compattazione, ancora non del tutto chiariti, portano poi alla formazione dei cromosomi metafasici, così come li vediamo al microscopio.
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Parte IV I geni viaggiano sui cromosomi
©Barbara A. Hamkalo
(a) Struttura schematica di un nucleosoma
H2B H4
Figura 12.3 I nucleosomi. Al microscopio elettronico i nucleosomi si presentano come “perline” legate a un filamento di DNA.
H2A H3
Il nucleosoma: l’unità di base dell’organizzazione della cromatina DNA linker H1
DNA linker
(b) Struttura del nucleosoma ad alta risoluzione
©Gerard J. Bunick, Oak Ridge National Laboratory
La microfotografia elettronica della cromatina, mostrata in Figura 12.3, ci permette di vedere delle lunghe fibre, cosparse di “perline”, che occupano tutto il nucleo di un eritrocita di pollo. Le fibre di cromatina somigliano, infatti, a delle collane di perle, dove le “perle” hanno un diametro di circa 100 Å e il “filo” della collana ha un diametro di 20 Å (1 Å = 10-10 m = 0,1 nm). Il filo del diametro di 20 Å non è altro che DNA. La Figura 12.4a mostra come il DNA si avvolge intorno al core istonico, andando così a formare la fibra di cromatina che ha l’aspetto di una collana di perle. Le perle sono i nucleosomi, ognuno dei quali è formato da circa 160 bp di DNA, avvolto attorno a un core di otto istoni. Questo ottamero è formato da due molecole di H2A, H2B, H3 e H4, assemblate come mostrato nella figura. Le 160 coppie di basi di DNA compiono quasi due giri attorno al nucleo istonico. Un filamento di DNA, della lunghezza media di 40 bp, si estende tra un nucleosoma e il successivo, e per questo è detto DNA di congiunzione o DNA linker. L’istone H1 non partecipa alla formazione dell’ottamero, ma si associa con il DNA nelle regioni in cui questo entra ed esce dalla struttura del nucleosoma. Quando si utilizzano reagenti specifici per rimuovere l’istone H1 dalla cromatina del DNA, esso si svolge da ciascun nucleosoma, ma la struttura dei nucleosomi rimane comunque intatta, con 140 bp di DNA ancora avvolto attorno a ogni core istonico. I ricercatori hanno cristallizzato il core istonico e lo hanno sottoposto all’analisi di diffrazione dei raggi X. I risultati ottenuti hanno confermato la struttura del nucleosoma descritta sopra; inoltre si è capito che il ripiegamento del DNA attorno agli istoni non si realizza in modo semplice (Figura 12.4b). In alcuni punti, infatti, la molecola curva bruscamente, mentre in altri non curva affatto. Queste curvature possono avvenire solamente in corrispondenza di alcune sequenze nucleotidiche, e quindi la sequenza delle basi va a influenzare il posizionamento dei nucleosomi lungo il DNA. La duplicazione della struttura nucleosomica di base avviene in concomitanza con la replicazione del DNA. La sintesi delle quattro proteine istoniche di base aumenta durante la fase S del ciclo cellulare in modo
Figura 12.4 La struttura del nucleosoma. (a) Il DNA in ogni nucleosoma si avvolge circa due volte intorno a un core costituito da due copie di ognuno degli istoni H2A, H2B, H3 e H4. L’istone H1 si associa al DNA nei punti in cui entra ed esce dal nucleosoma. (b) La struttura del nucleosoma determinata tramite cristallografia a raggi X: in questa immagine del nucleosoma visto dall’alto si può notare che il DNA (in arancione) curva bruscamente in diverse posizioni per avvolgersi attorno all’ottamero (in blu e in turchese).
da incorporare gli istoni nel DNA appena replicato. Delle proteine chiamate chaperoni istonici mediano l’assemblaggio dei nucleosomi, sebbene non ne facciano parte. Speciali meccanismi regolatori coordinano finemente la sintesi del DNA con quella degli istoni, in modo che entrambe si verifichino al momento opportuno. La distanza tra i vari nucleosomi e la loro struttura influenzano alcune funzioni genetiche. Gli intervalli tra un nucleosoma e l’altro, in ciascun cromosoma, non sono tutti uguali, ma c’è comunque un arrangiamento ben definito lungo la cromatina. Questa disposizione varia tra i diversi tipi di cellule e può cambiare anche in una singola cellula in risposta a diverse condizioni.
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La disposizione dei nucleosomi in un cromosoma è un fenomeno critico, dato che il DNA linker è in grado di interagire con proteine che possono guidare l’espressione, la replicazione o addirittura un’ulteriore compattazione. L’organizzazione dei nucleosomi influenza anche le interazioni tra specifiche sequenze di DNA e specifiche proteine. Questo perché alcune regioni del DNA nucleosomale, nonostante siano associate al core istonico, sono ancora accessibili a proteine non istoniche di vario genere. Il DNA nudo, dopo essersi avvolto attorno agli istoni, risulta sette volte più compatto. Con la formazione dei nucleosomi, quindi, i 2 metri di DNA presente in una cellula umana si riducono a una lunghezza di circa 0,25 metri. Questo risultato non è ancora sufficiente e sono necessarie ulteriori compattazioni perché la molecola possa essere contenuta in un nucleo cellulare.
Le condensine partecipano alla compattazione della cromatina nei cromosomi
©Don Fawcett/J.R.Paulson, U.K. Laemmli/Science Source
Analizzando la struttura mostrata in Figura 12.1 i ricercatori hanno notato che il DNA cromosomico appare sotto forma di lunghe anse ancorate allo scaffold (Figura 12.5). Il processo di formazione di queste anse co-
Figura 12.5 Prove sperimentali dell’organizzazione della cromatina in anse. Questa foto, un ingrandimento della microfotografia di Figura 12.1, mostra lunghe anse di DNA che si estroflettono dallo scheletro dello scaffold, posto nella zona in basso dell’immagine.
Figura 12.6 Le condensine formano le anse della cromatina. Cinque subunità proteiche costituiscono il complesso condensina, un motore molecolare che “cammina” lungo il DNA con i suoi due “piedi” (subunità blu); le subunità rosse e gialle sono ATPasi che forniscono l’energia necessaria al movimento delle condensine convertendo l’ATP in ADP. L’anello di condensina mostrato a sinistra “pizzica” una piccola regione di cromatina costellata di nucleosomi, formando un piccolo anello di cromatina. Il movimento della condensina lungo il DNA (parte inferiore dell’immagine) spinge fuori (estrude) i nucleosomi in direzione dell’ansa (a destra).
stituisce il livello successivo di compattazione dei cromosomi. Le anse sono formate da complessi proteici chiamati condensine che costituiscono i principali componenti dello scaffold. I complessi proteici delle condensine esistono sotto forma di anelli (Figura 12.6) che si strutturano intorno al DNA organizzato in nucleosomi in modo tale che la fibra cromosomica attraversi due volte l’interno dell’anello di condensine, formando una piccola ansa di cromatina. Alcune delle subunità proteiche delle condensine sono motori molecolari che usano l’energia ricavata dall’idrolisi dell’ATP per muovere le condensine lungo la cromatina. Questo movimento estrude l’ansa di cromatina, rendendo l’ansa più grande, come mostrato in Figura 12.6. Il processo è abbastanza veloce: un singolo complesso di condensine può estrudere circa 1500 paia di basi al secondo. Le anse dei cromosomi mitotici contengono circa 30-400 kb di DNA. Gli scienziati non hanno ancora compreso quali sono i fattori che determinano il punto in cui si formano gli anelli di condensine sui cromosomi e quando si interrompe il processo di estrusione.
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Durante l’estrusione, il movimento delle condensine sulla cromatina introduce torsioni nel DNA che ne provocano il superavvolgimento (vedi Figura 5.19). Poiché tali superavvolgimenti impedirebbero un’ulteriore estrusione, è necessario che l’enzima DNA topoisomerasi II rilassi questi superavvolgimenti e impedisca che il DNA si aggrovigli nei cromosomi compattati. La DNA topoisomerasi II costituisce uno dei due principali componenti degli scaffold cromosomici insieme ai complessi di condensine.
I biochimici hanno studiato i meccanismi di condensazione dei cromosomi metafasici tentando di ricostruire la struttura dei cromosomi in vitro (all’interno cioè di una provetta) mediante l’utilizzo di estratti proteici provenienti dalle grandi uova di Xenopus (rana africana). La cromatina spermatica, in seguito a incubazione con gli estratti di uova di Xenopus, si disassembla per poi riassemblarsi nelle strutture dei cromosomi metafasici. Recentemente gli scienziati sono riusciti a riprodurre la maggior parte degli step di questo processo utilizzando solamente quattro tipi di proteine purificate: istoni, chaperon istonici, condensine e topoisomerasi II. I cromatidi condensati derivati da questo esperimento erano strutturalmente molto simili, anche se non identici, ai cromosomi metafasici effettivi. Questi risultati suggeriscono fortemente che le principali caratteristiche della condensazione dei cromosomi mitotici sono l’assemblaggio dei nucleosomi (con istoni e chaperon istonici) e l’estrusione delle anse di cromatina (mediata dalle condensine con la cooperazione della topoisomerasi II). Il meccanismo di condensazione della cromatina deve essere più complesso perché la sola organizzazione della cromatina nelle anse (che possono includere fino a 400 kb di DNA) non permette di raggiungere il livello di condensazione mostrato dai cromosomi mitotici. Poiché i ricercatori possono ricostituire quasi completamente i cromosomi mitotici con solo poche proteine, è probabilmente possibile ottenere un’ulteriore compattazione dei cromosomi attraverso le interazioni tra i componenti già caratterizzati, ovvero i nucleosomi e gli anelli di condensine. Le strutture alla base di questi livelli aggiuntivi di compattazione cromosomica sono attualmente sconosciute. Una possibilità è che, all’interno delle anse, i nucleosomi interagiscano tra loro per formare una sorta di super-elica come quella mostrata in Figura 12.7. Tali strutture sono state osservate al microscopio elettronico, ma non tutti gli scienziati concordano sul fatto che gran parte della
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©Barbara Hamkalo/University of California-Irvine, Department of Biochemistry
L’ulteriore livello di compattazione dei cromosomi
Diametro di 20 Å
©Don Fawcett/H. Ris, and A. Olins/ Science Source
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Fibra a 100 Å Fibra a 300 Å (superelica)
Figura 12.7 Modelli per l’impacchettamento di ordine superiore. Rappresentazioni grafiche (in alto) e fotografie al microscopio elettronico (in basso) che mettono a confronto la fibra a 100 Å (a sinistra) con quella a 300 Å (a destra).
cromatina nelle cellule sia effettivamente organizzata in questo modo. Un’altra possibilità è che gli anelli di condensine possano interagire tra loro nello scaffold in modo da avvicinare gli anelli.
I cromosomi metafasici hanno un pattern di bandeggio unico e riproducibile Come abbiamo visto, diversi livelli di compattazione organizzano il DNA nudo di una cellula umana in cromosomi metafasici, che diventano così 10 000 volte più condensati. A questo stadio sono visibili le regioni centromeriche e telomeriche di ogni cromosoma. Abbiamo anche visto, nel Capitolo 3, che diverse tecniche di colorazione sono in grado di produrre un caratteristico pattern di bandeggio per ogni cromosoma metafasico, permettendo di stabilire un cariotipo. Nel bandeggio G, per esempio, i cromosomi vengono prima trattati debolmente col calore e poi con il colorante Giemsa; il colorante si lega preferenzialmente a delle specifiche regioni dei cromosomi trattati, producendo un’alternanza di bande scure e chiare, le cosiddette bande G. Ogni Banda G contiene un segmento di DNA piuttosto lungo, da 1 a 10 Mb, che comprende molte anse. Con le tecniche di
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Figura 12.8 Cromosomi umani analizzati con bandeggio G ad alta risoluzione.
bandeggio G ad alta risoluzione si osserva che un cariotipo umano diploide standard di 46 cromosomi contiene centinaia di bande G scure e chiare (Figura 12.8). Le basi biochimiche del bandeggio G non sono ancora chiare. La maggior parte dei genetisti molecolari pensa che le bande prodotte dalla colorazione con Giemsa riflettano probabilmente un impacchettamento irregolare di anse determinato in qualche modo dalla spaziatura e dalla densità di sequenze di DNA brevi e ripetute lungo i cromosomi. Indipendentemente dal motivo che ne è alla base, il fatto che i pattern di bandeggio siano così altamente riproducibili da una generazione all’altra indica che essi sono una proprietà intrinseca di ciascun cromosoma, determinata dalla sequenza del DNA stessa. Sulla base della riproducibilità di questo pattern i genetisti possono designare la localizzazione cromosomica di un gene descrivendo la sua posizione in relazione alle bande presenti sul braccio p (corto; dal francese petit) o q (lungo; da queue, parola francese per coda) di un particolare cromosoma. A tal fine, i bracci p e q vengono suddivisi in regioni e, all’interno di ciascuna regione, le bande scure e chiare vengono numerate consecutivamente. Le rappresentazioni schematiche dei pattern di bandeggio, come quella mostrata in Figura 12.9, sono chiamate ideogrammi. I geni legati all’X per il daltonismo, per esempio, risiedono nella regione q27-qter, il che indica che si trovano sul braccio lungo (q) del cromosoma X, da qualche parte tra l’inizio della settima banda della seconda regione e la fine del telomero (terminus, o ter; Figura 12.9).
L’ibridazione fluorescente in situ (FISH) consente la caratterizzazione dei genomi Nel processo di comprensione della relazione che intercorre tra specifiche sequenze di DNA e il genoma nel suo
©Scott Camazine and Sue Trainor/Science Source
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Localizzazione dei geni che determinano il daltonismo (q27-qter)
Cromosoma X
Figura 12.9 Ideogramma del cromosoma X umano. I geni che determinano il daltonismo nell’uomo sono localizzati sul braccio lungo (q) del cromosoma X, in una piccola regione vicina all’estremità.
insieme, gli scienziati devono spesso affrontare un problema di risoluzione. I cariotipi mostrano i cromosomi che costituiscono il genoma marcati con il bandeggio G, ma ovviamente a una risoluzione molto inferiore a quella delle singole coppie di nucleotidi. Al contrario, è difficile fare un passo indietro dalla mole di informazioni derivate dal sequenziamento dell’intero genoma per ottenere una visione globale dell’organizzazione del genoma. Una tecnica chiamata ibridazione fluorescente in situ (FISH, dall’inglese Fluorescence In Situ Hybridization) fornisce uno strumento intermedio tra la bassa risoluzione di un cariotipo e l’altissima risoluzione di una sequenza genomica completa. In sostanza, la FISH consente ai ricercatori di identificare le posizioni di specifiche sequenze di DNA rispetto ai cromosomi di un cariotipo. Come implica il nome, la base fondamentale della FISH è la complementarità tra nucleotidi. I ricercatori innanzitutto prelevano le cellule in metafase mitotica e le rilasciano su un vetrino. Le cellule subiscono poi diversi trattamenti, così da, in sequenza, rompere le cellule e i nuclei, rilasciare i cromosomi, fissare i cromosomi sul vetrino e delicatamente denaturare il DNA cromosomico. Quest’ultimo step di denaturazione è effettuato in modo tale da preservare la struttura complessiva dei cromosomi, facendo sì comunque che la doppia elica si separi in singoli filamenti in numerosi punti. In una reazione separata, una specifica sequenza di DNA viene marcata con una molecola fluorescente, creando così una cosiddetta sonda a DNA (DNA probe). Questa sonda a DNA viene prima denaturata in singoli filamenti tramite calore e poi applicata sui cromosomi fissati sul vetrino. La sonda ibriderà esclusivamente con le regioni cromosomiche con una sequenza nucleotidica complementare, permettendo così, osservando il vetrino in un microscopio a fluorescenza, di indentificare queste regioni.
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In un’applicazione della FISH, le sonde sono costituite da sequenze brevi e definite come, per esempio, un clone di cDNA. Il risultato è costituito da “punti” (spot) fluorescenti lungo il cromosoma che evidenziano la posizione del gene corrispondente (Figura 12.10a). Questo approccio è stato storicamente di notevole importanza nel verificare che la bozza originale del Progetto Genoma Umano fosse assemblata correttamente. In una seconda variante della FISH, chiamata spectral karyotyping (SKY, cariotipo a fluorocromi multipli), le sonde sono costituite da più molecole di DNA originate a partire da diverse regioni di ogni singolo cromosoma. La sonda per il cromosoma 1 è marcata con un mix di molecole fluorescenti che nel complesso formano un colore, la sonda per il cromosoma 2 è marcata
con un altro mix di fluorocromi con un altro colore risultante, e così via per tutti i cromosomi, così che ognuna possa essere facilmente riconosciuto dal suo colore (Figura 12.10b). Come vedremo nel capitolo successivo, entrambe queste applicazioni della FISH sono importanti per la caratterizzazione di riarrangiamenti cromosomici, come delezioni, duplicazioni, inversioni e traslocazioni, che possono essere responsabili di malattie genetiche.
12.3 La compattazione
della cromatina influenza l’espressione genica OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO
(a) Localizzazione di un gene umano tramite FISH
1. Descrivere come i complessi di rimodellamento della cromatina mediano l’espressione genica. 2. Evidenziare le differenze di espressione genica tra regioni eterocromatiche e regioni eucromatiche. ©Patrick Landmann/Science Source
3. Spiegare come gli scienziati sfruttano l’effetto di posizione variegato per studiare i meccanismi alla base della formazione dell’eterocromatina. 4. Delineare come la metilazione e l’acetilazione degli istoni influenzano la struttura della cromatina e l’espressione genica. 5. Riassumere il ruolo del gene Xist nell’inattivazione del cromosoma X nelle cellule di mammifero. (b) Identificazione dei cromosomi umani tramite SKY
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Figura 12.10 Ibridazione fluorescente in situ. (a) Analisi FISH di cromosomi umani. Le aree in giallo mostrano il punto in cui la sonda, costituita da un solo gene, si lega ai due cromatidi fratelli di ognuno dei due cromosomi omologhi. Poiché in questa preparazione i due cromatidi fratelli risultano estremamente vicini tra loro, è possibile visualizzare una sola area gialla per ogni cromosoma omologo. (b) Spectral karyotyping (SKY). Le sonde, create per appaiarsi in diversi punti di ogni cromosoma, vengono marcate con molecole fluorescenti di vari colori. (b) Per gentile concessione di Thomas Ried. Head, Cancer Genomic Section, Genetics Branch/CCR/NCI/NIH. Image created by Dr. Hesed Padilla-Nash.
La compattazione del DNA in cromatina rappresenta un problema per le proteine che devono riconoscere le sequenze di DNA per svolgere funzioni come la trascrizione, la replicazione e la segregazione cromosomica. In che modo queste proteine accedono a specifiche sequenze nucleotidiche che sembrano essere sepolte all’interno di complesse strutture cromatiniche? La risposta è che la struttura della cromatina è dinamica e può modificarsi per consentire l’accesso a proteine specifiche. Questi cambiamenti producono variazioni nella struttura della cromatina necessarie per le diverse funzioni dei cromosomi. In questa sezione ci focalizzeremo sulla relazione tra struttura della cromatina e trascrizione genica. Per prima cosa descriveremo le alterazioni della cromatina che consentono alla RNA polimerasi di riconoscere i promotori dei geni e avviare il processo di trascrizione. Discuteremo quindi un tipo di struttura della cromatina, chiamata eterocromatina, che è associata a regioni cromosomiche non trascritte. La formazione dell’eterocromatina è la base molecolare per diversi importanti fenomeni genetici, inclusa l’inattivazione del cromosoma X nei mammiferi.
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Capitolo 12
La trascrizione richiede cambiamenti nella struttura della cromatina e nel posizionamento dei nucleosomi Un’importante generalizzazione riguardante l’espressione genica negli eucarioti è che tanto meno un segmento di DNA viene trascritto, tanto più quella porzione di DNA è compattata. Le cellule, per esempio, esprimono i loro geni principalmente durante l’interfase del ciclo cellulare, quando i cromosomi sono decondensati. In presenza di cromosomi metafasici altamente condensati c’è un basso tasso trascrizionale. D’altra parte, anche la cromatina interfasica, che è relativamente decondensata, richiede un ulteriore svolgimento per esporre il DNA alla macchinario trascrizionale. I promotori genici risultano nascosti alla RNA polimerasi e ai fattori di trascrizione quando la regione del DNA contenente il promotore è avvolta intorno al core istonico del nucleosoma (Figura 12.11a). Studi sulla struttura della cromatina mostrano che i promotori della maggior parte dei geni inattivi sono infatti mascherati nei nucleosomi. In questi studi la localizzazione dei nucleosomi viene analizzata a livello molecolare mediante il trattamento della cromatina con la DNasi I, un enzima che scinde i legami fosfodiesterici del DNA. Le sequenze presenti all’interno dei nucleosomi sono protette dalla digestione da parte della DNasi, mentre le regioni cromosomiche dalle quali sono stati eliminati i nucleosomi sono riconoscibili per la loro ipersensibilità alla digestione con DNasi. Quando un gene precedentemente inattivo diventa, invece, trascrizionalmente attivo, è possibile notare come la regione del DNA contenente il promotore di quel gene passa dall’essere un sito resistente alla DNasi a un sito ipersensibile alla DNasi. Questo accade perché le proteine regolatrici della trascrizione (i fattori di trascrizione) legano specifiche sequenze di DNA, chiamate enhancer (intensificatori) portando al reclutamento di proteine che riorganizzano la cromatina nelle vicinanze. Queste proteine, nello specifico, rimuovono o riposizionano i nucleosomi associati al promotore del gene (Figura 12.11b). Un tipo di regolatore della struttura della cromatina è rappresentato dai complessi di rimodellamento, che sfruttano l’energia derivante dall’idrolisi dell’ATP per mediare il riposizionamento del nucleosoma. Altri regolatori della cromatina modificano chimicamente le code degli istoni nel core del nucleosoma (come verrà spiegato in seguito). Questi cambiamenti della cromatina realizzati da entrambi i meccanismi espongono il promotore precedentemente nascosto, consen-
Il cromosoma eucariotico
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(a) Quando sono avvolti intorno ai nucleosomi, i promotori risultano inaccessibili Nucleosoma
Promotore
Core istonico
(b) I complessi di rimodellamento della cromatina possono esporre i promotori genici
Promotore 5′
Gene
3′
Nucleosoma Siti ipersensibili alla DNasi (c) Nelle regioni di eterocromatina i nucleosomi sono altamente impacchettati Eterocromatina silente
Figura 12.11 Impacchettamento dei nucleosomi ed espressione genica. (a) I promotori genici avvolti intorno al core del nucleosoma non sono accessibili all’RNA polimerasi e ai fattori di trascrizione. (b) I complessi di rimodellamento della cromatina possono esporre i promotori posizionandoli in regioni prive di nucleosomi (che sono, per questo, ipersensibili alla DNasi). (c) Il DNA eterocromatico è talmente condensato che è trascrizionalmente inattivo.
tendo il suo riconoscimento da parte dell’RNA polimerasi e facilitando così l’attivazione trascrizionale del gene (Figura 12.11b). Le cellule differenziate tendono a mantenere specifici pattern di configurazione della cromatina e di espressione genica, i quali persistono anche dopo che la cellula si è divisa per mitosi. Nella maggior parte dei casi questo avviene perché, quando le cellule differenziate si dividono, le proteine regolatrici della trascrizione che legano il DNA e stabiliscono la struttura della cromatina vengono distribuite a entrambe le cellule figlie. Dopo la replicazione del DNA, queste proteine si riassociano al DNA (prima che venga avvolto nei nucleosomi) e ristabiliscono la configurazione della cromatina che era presente nella cellula madre.
La maggior parte dei geni presenti nelle regioni di eterocromatina non viene trascritta Un tipo di organizzazione della cromatina molto diffuso nei genomi è correlato a una forte soppressione dell’espressione genica. La cromatina organizzata in
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Parte IV I geni viaggiano sui cromosomi
©Doug Chapman, University of Washington Medical Center Cytogenetics Laboratory
questo modo è visibile anche al microscopio ottico perché coinvolge lunghi tratti di DNA: nelle cellule trattate con determinati coloranti che legano il DNA, alcune regioni cromosomiche appaiono molto più scure di altre. I genetisti chiamano queste regioni più scure eterocromatina, mentre le restanti regioni più chiare sono definite eucromatina. La differenza tra eterocromatina ed eucromatina si evidenzia anche al microscopio elettronico, dove l’eterocromatina appare molto più condensata dell’eucromatina. Questa osservazione riflette l’impacchettamento molto più stretto dei nucleosomi nelle regioni eterocromatiche (Figura 12.11c). Queste regioni più scure sono state identificate per la prima volta analizzando la cromatina decondensata dell’interfase, ma anche i cromosomi metafasici, altamente condensati, mostrano la colorazione differenziale dell’eterocromatina rispetto all’eucromatina (Figura 12.12). (Questa colorazione è distinta e non deve essere confusa con il bandeggio G del cariotipo descritto in precedenza.) Nei cromosomi altamente condensati, la maggior parte dell’eterocromatina è stata trovata nelle regioni che fiancheggiano i centromeri, ma in alcuni organismi è presente anche in altre regioni dei cromosomi. In Drosophila tutto il cromosoma Y, e nell’uomo buona parte di esso, è eterocromatico. Le regioni cromosomiche che rimangono eterocromatiche per tutto il ciclo cellulare, in tutte le cellule dell’organismo, sono definite eterocromatina costitutiva. Studi autoradiografici hanno rivelato che le cellule che esprimono attivamente i loro geni incorporano i ribonucleotidi radioattivi, che vengono usati per sintetizzare l’RNA, quasi esclusivamente nelle regioni eucromatiche. Questo significa che l’eucromatina contiene la maggior parte dei siti di trascrizione e, quindi, quasi tutti i geni. Al contrario, sembra che l’eterocromatina sia per la maggior parte inattiva, probabilmente perché è talmente condensata che gli enzimi, ne-
Figura 12.12 Eterocromatina ed eucromatina a confronto. I cromosomi metafasici umani, visibili in questa immagine, sono stati colorati con una tecnica particolare (bandeggio C), che rende più scura l’eterocromatina costitutiva, che, come si può osservare, è principalmente localizzata nelle regioni intorno ai centromeri.
cessari per poter trascrivere quei pochi geni presenti, non riescono ad accedervi. Un’alta percentuale del DNA localizzato nelle regioni di eterocromatina costitutiva è costituita da lunghi tratti di sequenze semplici ripetitive come le SSR. Le regioni eterocromatiche sono anche depositarie di molti elementi trasponibili, segmenti di DNA in grado di spostarsi e inserirsi in diverse posizione del genoma. Le SSR e gli elementi trasponibili probabilmente si accumulano nell’eterocromatina costitutiva perché lì sono trascrizionalmente silenziati (trascrizionalmente inattivi in maniera permanentemente). I DNA ripetitivi e gli elementi trasponibili costituiscono complessivamente più della metà della maggior parte dei genomi; il loro accumulo nell’eterocromatina trascrizionalmente inattiva fornisce agli organismi un modo per ridurre al minimo gli effetti di questo DNA “spazzatura” sulla normale fisiologia cellulare. Esistono due precisi fenomeni, l’effetto di posizione variegato in Drosophila e i corpi di Barr nelle femmine di mammifero, che riescono a chiarirci la correlazione tra la formazione di eterocromatina e la repressione dell’attività genica. Questi fenomeni hanno inoltre aiutato i ricercatori ad analizzare le differenze biochimiche tra eterocromatina e eucromatina.
L’eterocromatina può diffondere lungo un cromosoma e silenziare i geni eucromatici posti nelle vicinanze Il gene white+ (w+) in Drosophila normalmente è localizzato in prossimità del telomero sul cromosoma X, in una regione di eucromatina relativamente decondensata. Quando, a causa di un riarrangiamento cromosomico come un’inversione di un segmento di DNA, il gene viene a trovarsi vicino a delle regioni altamente condensate di eterocromatina, nei pressi del centromero, la sua espressione può essere repressa (Figura 12.13). Questi riarrangiamenti silenziano il gene w+ in alcune cellule ma non in altre, producendo l’effetto di posizione variegato o PEV (Position-Effect Variegation). Nelle mosche che portano l’allele selvatico w+, le cellule dell’occhio che esprimono il gene sono rosse, mentre quelle in cui il gene è spento risultano bianche (questo effetto si può osservare solo se quello sul cromosoma riarrangiato è l'unico gene w+ presente: cioè nei maschi, oppure in femmine che sull’altro X portano un allele mutato w). Quando un gene eucromatico viene a trovarsi in vicinanza di regioni eterocromatiche, l’eterocromatina può diffondere verso l’eucromatina, spegnendo il gene. In questo caso la sequenza del gene non viene alterata, ma il nuovo posizionamento cambia, in alcune cellule, l’organizzazione
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Capitolo 12
(a) L’eterocromatina può spegnere geni adiacenti Cromosoma X wild-type
w+
Occhio rosso
Eterocromatina
rst +
©Clinton Bishop
Eucromatina
Centromero Inversione
©Clinton Bishop
Occhio variegato
rst + w + Cromosoma X con inversione
(b) L’eterocromatina diffonde linearmente Interpretazione w + attivo = rosso w + inattivo = bianco + attivo = liscio rst rst + inattivo = rugoso Il riarrangiamento porta Settori rossi lisci i geni w + e rst + vicini all’eterocromatina centromerica. rst + w + L’eterocromatina non invade nessuno dei due geni
Aspetto
Settori bianchi lisci
rst +
w+
Il gene w + è inattivato dalla diffusione dell’eterocromatina. Il gene rst + rimane attivo
Settori bianchi rugosi
rst
+
w
+
Entrambi i geni sono inattivati dalla diffusione dell’eterocromatina
Settori rossi rugosi
Mai osservati rst +
w+
Questo caso non è mai stato osservato. L’eterocromatina, quindi, diffonde linearmente, senza saltare i geni
Figura 12.13 L’effetto di posizione variegato in Drosophila. (a) Quando il gene w+, che determina il colore rosso dell’occhio, viene spostato vicino a una regione di eterocromatina tramite un riarrangiamento cromosomico come un’inversione, l’occhio del maschio di Drosophila può acquisire un fenotipo variegato, dovuto alla presenza di alcune cellule rosse e altre bianche. (b) Per spiegare l’effetto di posizione variegato dei geni w+ e roughest (rst+) si suppone che l’eterocromatina possa diffondere, dalla sua normale posizione attorno al centromero, e invadere i geni vicini, causandone l’inattivazione.
della struttura della cromatina in cui si trova inserito il gene. Il PEV mette in mostra l’esistenza di eterocromatina facoltativa: regioni cromosomiche (o addirittura cromosomi interi) che diventano eterocromatiche in alcune cellule, mentre rimangono eucromatiche in altre, all’interno di uno stesso organismo.
Il cromosoma eucariotico
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L’effetto di posizione variegato del gene white+ in Drosophila produce occhi con un fenotipo a mosaico, dovuto alla presenza di macchie rosse e bianche di diverse dimensioni (Figura 12.13a). Il numero, la posizione e le dimensioni delle macchie variano di occhio in occhio. Queste differenze indicano che la diffusione dell’eterocromatina che causa il silenziamento del gene in una particolare cellula è un fenomeno casuale. Le macchie sono costituite da molte cellule adiacenti dello stesso colore. Ciò vuol dire che la “decisione” di silenziare o meno il gene viene presa precocemente durante lo sviluppo dell’occhio. Una volta che questa decisione è stata presa, ogni cellula la trasmette fedelmente alle sue discendenti, che, rimanendo vicine, formano le macchie di diverso colore.
Gli effetti dell’eterocromatina Una caratteristica interessante dell’eterocromatina, che si scopre dall’effetto di posizione variegato, è la sua capacità di diffondere, invadendo le regioni eucromatiche, anche per più di 1000 kb. Per esempio, alcuni riarrangiamenti che spostano il gene w+ accanto alle regioni di eterocromatina portano anche il gene roughest+ nelle sue vicinanze, anche se un po’ più distante (Figura 12.13a). Il gene selvatico roughest+ determina la superficie dell’occhio liscia. Nelle mosche in cui è avvenuto il riarrangiamento appena descritto, alcune grandi macchie bianche dell’occhio contengono delle regioni più piccole caratterizzate da una superficie rugosa (Figura 12.13b), indice che in quelle zone l’eterocromatina, dopo aver invaso il gene w+, ha proseguito investendo anche il gene roughest+. Macchie rosse dalla superficie rugosa invece non si formano mai. Questo significa che l’eterocromatina, quando diffonde lungo i cromosomi, non prosegue a salti ma avanza invadendo progressivamente tutto ciò che incontra lungo il suo cammino. Se l’eterocromatina è in grado di diffondere, da cosa è normalmente stabilito il confine tra eterocromatina ed eucromatina? I ricercatori hanno identificato segmenti di DNA chiamati elementi barriera che bloccano la diffusione dell’eterocromatina. L’esatto meccanismo attraverso il quale questi elementi barriera lavorino non è chiaro, ma i modelli attuali suggeriscono che questi elementi di DNA possono reclutare enzimi che modificano le proteine istoniche, come verrà spiegato più avanti nel capitolo.
Il PEV ha permesso di identificare alcune proteine componenti dell'eterocromatina Gli scienziati hanno sfruttato il fenomeno del PEV in Drosophila per identificare le molecole coinvolte nel pro-
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Parte IV I geni viaggiano sui cromosomi
cesso di formazione dell’eterocromatina. Procedendo con diversi esperimenti, essi hanno ottenuto sia mutazioni che aumentano l’effetto di variegazione del gene, sia mutazioni che diminuiscono tale effetto. L’aumento della variegazione riflette un aumento del numero di cellule col gene inattivo; la diminuzione della variegazione riflette una diminuzione del numero di queste cellule. I ricercatori hanno isolato, con degli esperimenti di clonaggio, alcune di queste mutazioni e costruito anticorpi diretti contro i prodotti proteici di questi geni mutati. In questo modo si è scoperto che almeno una parte di questi geni codifica per delle proteine che si localizzano nell’eterocromatina e ne influenzano la formazione. Come descritto nel prossimo paragrafo, l’identificazione di queste proteine ha fornito importanti indizi sul controllo biochimico alla base della struttura della cromatina.
L’eterocromatina e l’eucromatina presentano modificazioni istoniche differenti Esistono diversi meccanismi interdipendenti che governano la distinzione tra eucromatina attiva (o potenzialmente attiva) ed eterocromatina silenziata. Ci concentreremo qui su uno dei più importanti tra questi meccanismi, che coinvolge le modificazioni covalenti degli istoni che costituiscono i nucleosomi. La discussione delle interazioni tra le proteine modificatrici della cromatina e i fattori di trascrizione che regolano l’espressione genica è rimandata ai Capitoli 18 e 19.
Le modificazioni delle code degli istoni Le regioni N-terminali dei quattro istoni del core, H2A, H2B, H3 e H4, formano code che si estendono al di fuori del nucleosoma (Figura 12.14). Alcuni enzimi possono aggiungere diversi gruppi chimici (tra i quali gruppi metilici, gruppi acetile, gruppi fosfato e ubiquitina; vedi Figura 8.26) ai vari amminoacidi presenti lungo le code degli istoni, mentre altri enzimi possono rimuovere questi gruppi aggiunti in precedenza. Queste modificazioni delle code istoniche, di cui ne esistono più di 100 tipi differenti, possono influenzare l’impaccamento dei nucleosomi; le code istoniche, inoltre, una volta modificate, possono fungere anche da piattaforme alle quali possono legarsi le proteine modificatrici della cromatina. Tra le modificazioni delle code istoniche meglio comprese vi è l’aggiunta dei gruppi acetili (acetilazione) a delle lisine specifiche e di gruppi metilici (metilazione) a lisine e arginine specifiche (Figura 12.15). L’acetilazione della lisina, effettuata da una famiglia di
Siti modificabili
H3
DNA H2A
H4
H2B
Istone Coda istonica
Nucleosoma
Figura 12.14 Modificazioni delle code istoniche. Le code N-terminali degli istoni del core si estendono al di fuori del nucleosoma. Diversi amminoacidi presenti su queste code sono bersagli di modifiche, come la metilazione e l’acetilazione, che possono alterare la struttura della cromatina.
enzimi chiamata istone acetiltransferasi (HAT, dall’inglese Histone AcetylTransferases), porta alla “apertura” della cromatina bloccando lo stretto impacchettamento caratteristico dei nucleosomi. L’acetilazione istonica favorisce così l’espressione dei geni nelle regioni eucromatiche, in quanto i loro promotori si trovano nella cosiddetta cromatina aperta, che è accessibile all’RNA polimerasi. È interessante notare che le lisine acetilate sulle code degli istoni fungono da siti di legame per gli enzimi HAT, facilitando così la diffusione dell’acetilazione degli istoni ai nucleosomi vicini. Le deacetilasi istoniche (HDAC, dall’inglese Histone DeACetylases) sono enzimi che rimuovono i gruppi acetilici e invertono il processo, determinando la cromatina chiusa e reprimendo così la trascrizione. La metilazione delle code istoniche è più complessa e può sia aprire che chiudere la cromatina, in base allo specifico amminoacido metilato. Gli enzimi che metilano gli amminoacidi delle code istoniche sono chiamati istone metiltransferasi (HMT, dall’inglese Histone MethylTransferases), mentre gli enzimi che eliminano la metilazione degli istoni sono chiamati istone demetilasi. Uno dei geni i cui alleli mutanti a perdita di funzione agiscono come soppressori del meccanismo PEV in Drosophila codifica per un enzima HMT che aggiunge gruppi metili a una lisina specifica (K9) dell’istone H3. Questa metilazione specifica “etichetta” la cromatina per l’assemblaggio in eterocromatina, fornendo dei siti di legame per delle proteine eterocromatina-specifiche. La metilazione dell’istone H3K9 è una caratteristica comu-
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Capitolo 12
HP-1 HMT M
M
M
M
M
HAT
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Ac Ac
M
Ac
HMT DBP Eucromatina E Eterocroma a atina Eterocromatina Elemento emento barriera barrier
Figura 12.15 Le modificazioni delle code istoniche alterano la struttura della cromatina. Il processo di metilazione in H3K9 (lisina 9 dell’istone H3) ha inizio con il reclutamento, da parte di una proteina legante il DNA (DBP, dall’inglese DNA-binding protein), di un enzima HMT. Nelle regioni eterocromatiche (in arancione), i nucleosomi con H3K9 metilata (rappresentata nella figura con “M”) vengono legati dalla proteina HP1, la quale richiama enzimi HMT che metilano i nucleosomi adiacenti, promuovendo così la diffusione dello stato chiuso inattivo. Nelle regioni eucromatiche (in verde) gli enzimi HAT acetilano (Ac) gli istoni del core, portando a una cromatina aperta con nucleosomi sufficientemente distanti da essere accessibili al macchinario trascrizionale. Gli elementi barriera che bloccano la diffusione dell’eterocromatina sono probabilmente costituiti da sequenze di DNA che richiamano gli enzimi HAT e/o demetilasi istoniche che rimuovono i metili aggiunti dalle HMT (non mostrato).
ne delle regioni cromosomiche con cromatina chiusa che sono trascrizionalmente silenti (Figura 12.15).
Le proteine specifiche dell’eterocromatina Un altro gene soppressore del processo PEV in Drosophila codifica per HP1, una proteina che si associa specificatamente all’eterocromatina, legandosi alle code dell’istone H3 contenente K9 metilata. La proteina HP1 promuove la compattazione della cromatina in eterocromatina attraverso due meccanismi (Figura 12.15). Primo, HP1 si auto-associa e questo aiuta ad avvicinare i nucleosomi adiacenti. Secondo, HP1 lega l’enzima HMT che aggiunge gruppi metilici allo stesso amminoacido K9 dell’istone H3. L’HMT reclutato può metilare la lisina 9 degli istoni H3 dei nucleosomi adiacenti. Questo effetto autocatalitico fornisce una spiegazione, almeno in parte, per la diffusione lineare dell’eterocromatina osservata nel PEV.
La formazione dell’eterocromatina porta all'inattivazione di un cromosoma X nelle cellule delle femmine di mammifero Si ricorderà dal Capitolo 3 che i mammiferi compensano le differenze di dosaggio dei geni legati all’X tra maschi e femmine inattivando casualmente uno dei due cromosomi X in ogni cellula somatica della femmina. In alcune cellule sarà il cromosoma X ereditato dalla madre a essere inattivato, in altre quello ereditato dal padre. I cromosomi X inattivi, chiamati corpi di Barr, sono un esempio di eterocromatina facoltativa: in alcune cellule un intero cromosoma X diviene
quasi completamente eterocromatico, in altre cellule altre copie dello stesso cromosoma X rimangono eucromatiche. La maggior parte dei geni su un cromosoma X è disponibile per la trascrizione solo nelle cellule in cui il cromosoma è eucromatico. Al contrario, solo pochi geni (principalmente quelli nelle regioni pseudoautosomiche) sono disponibili per la trascrizione su un cromosoma X che è diventato un corpo di Barr eterocromatico.
L’RNA lungo non codificante (lncRNA) Xist I cromosomi X umani contengono una regione di DNA di 450 kb chiamata centro d’inattivazione dell’X (XIC, dall’inglese X Inactivation Center) che media il processo di compensazione del dosaggio (Figura 12.16a). Il ruolo dello XIC è stato stabilito tramite esperimenti in cui una copia di XIC è stata trasferita in un autosoma e, sorprendentemente, l’autosoma è diventato un corpo di Barr. Il più importante gene noto presente nello XIC si chiama Xist (X inactive specific transcript, traducibile come transcritto specifico dell’X inattivato). Il prodotto genico di Xist è un RNA lungo non codificante (lncRNA, dall’inglese long noncoding RNA) che, a differenza di molti trascritti, non lascia mai il nucleo e non viene mai tradotto in proteina. Xist viene trascritto stabilmente solo da quello che sarà il cromosoma X inattivato, ed è il lncRNA Xist che innesca l’inattivazione del cromosoma X da cui viene trascritto. Sappiamo che Xist è un gene fondamentale per il processo di inattivazione, in quanto se Xist viene eliminato da un cromosoma X, è l’altro X che diventa sempre il corpo di Barr. Al contrario, se una copia di Xist viene aggiunta a un autosoma, quell’autosoma diventa un corpo di Barr eterocromatico. Studi condotti
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Parte IV I geni viaggiano sui cromosomi
(a) Xist viene trascritto dal cromosoma X inattivato X attivo
caratteristiche della cromatina silenziata, come la metilazione di alcuni nucleotidi del DNA, processo che verrà descritto nel Capitolo 19.
X inattivato
I misteri dell’inattivazione del cromosoma X Xist
XIC
Proteine modificanti gli istoni lncRNA Xist (b) Il lncRNA Xist si lega al corpo di Barr
Trascritti (RNA) di Xist Loci genici (DNA) di Xist DNA
Xi
Xa Figura 12.16 L’inattivazione del cromosoma X. (a) Il prodotto del gene Xist, nel centro di inattivazione dell’X (XIC), è costituito da un lncRNA non tradotto. Xist viene trascritto stabilmente solamente dal cromosoma X inattivato. Il lncRNA Xist si lega a diversi siti presenti sul cromosoma dai cui viene trascritto, mediando il reclutamento di proteine che modificano gli istoni che portano alla compattazione del DNA e al blocco della trascrizione. (b) Cellule derivanti da un topo femmina XX nelle quali è visibile il lncRNA Xist (in rosso) che si lega al cromosoma X inattivato (Xi; corpo di Barr) ma non al cromosoma X attivo (Xa). Il DNA è stato marcato in blu; i geni Xist, su entrambi i cromosomi, sono marcati in giallo. (b) B. Reinius et al. (2010), “Female-biased expression of long noncoding RNAs in domains that escape X-inactivation in mouse,” BMC Genomics, 11: 614, Fig. 5. ©Reinius et al. Licensee BioMed Central Ltd. 2010.
mediante l’utilizzo di sonde molecolari fluorescenti mostrano che il lncRNA Xist riveste il cromosoma X che lo produce (Figura 12.16b). A questo punto il lncRNA Xist recluta enzimi che modificano gli istoni associati al quel cromosoma X. Gli enzimi metilano e deacetilano le code istoniche dei nucleosomi di quel cromosoma, contribuendo a condensarlo in un corpo di Barr. I cromosomi X inattivati mostrano anche altre
La Figura 12.16 illustra alcuni dei dettagli molecolari dell’inattivazione del cromosoma X compresi finora, ma rimangono diversi misteri sul processo di inattivazione del cromosoma X. Il Capitolo 3 spiega che negli esseri umani, circa 2 settimane dopo la fecondazione, ciascuna delle 500-1000 cellule di un embrione femminile XX decide indipendentemente di condensare uno dei due cromosomi X in un corpo di Barr. Perché le singole cellule inattivano un solo cromosoma X? In che modo le cellule scelgono quale cromosoma X inattivare? E perché, una volta che un cromosoma X trascrive Xist, il lncRNA di Xist si lega solamente a quel cromosoma X? Le ultime scoperte gettano luce su alcune di queste questioni rimaste aperte: nelle cellule diploidi con tre cromosomi X, per esempio, due cromosomi X diventano corpi di Barr; nelle cellule XXX con tre assetti completi di autosomi (cellule triploidi), invece, solo uno dei tre cromosomi X diventa corpo di Barr. Questi risultati suggeriscono che un gene autosomico codifica per un repressore dosaggio-sensibile della trascrizione di Xist. Nelle cellule diploidi XXX, le due copie del gene autosomico per il repressore producono abbastanza proteina da inattivare la trascrizione di Xist su un solo cromosoma X e di conseguenza solo un X è attivo mentre gli altri due diventano corpi di Barr. Le tre copie del gene autosomico nelle cellule triploidi XXX, al contrario, forniscono una quantità di repressore sufficiente a impedire la trascrizione di Xist da parte di due cromosomi X, e di conseguenza due cromosomi X restano attivi, mentre solo uno diventa un corpo di Barr. I ricercatori stanno ora cercando di determinare quale gene codifichi per il repressore. Un’altra questione aperta riguarda il fatto che l’inattivazione dell’X viene ereditata nelle cellule somatiche: una volta presa la “decisione”, essa viene perpetuata clonalmente in modo che tutti i milioni di cellule derivanti per mitosi da una specifica cellula embrionale, in seguito a divisione cellulare, condensino lo stesso cromosoma X in un corpo di Barr. I recenti progressi in questo ambito verranno discussi nel Capitolo 19.
12.4 La replicazione
dei cromosomi eucariotici OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO 1. Spiegare come la replicazione del DNA dei lunghi cromosomi eucariotici avvenga in breve tempo.
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Capitolo 12
Il cromosoma eucariotico
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2. Riassumere il processo attraverso il quale vengono ricostituiti i nucleosomi durante la replicazione. 3. Discutere la struttura dei telomeri e del loro ruolo nel mantenimento dell’integrità cromosomica. 4. Descrivere il meccanismo d’azione delle telomerasi e identificare i tipi di cellule nei quali la loro sintesi non è bloccata.
In questa sezione esamineremo ciò che è attualmente noto sulla replicazione dei cromosomi eucariotici. Nel Capitolo 5 abbiamo discusso in dettaglio come la DNA polimerasi coopera con altri fattori per replicare il DNA nelle cellule batteriche. Sebbene molti aspetti della replicazione del DNA siano simili, la replicazione nelle cellule eucariotiche risulta più complessa. In primo luogo perché le cellule eucariotiche hanno molto più DNA delle cellule procariotiche, che devono essere tutto copiato nel breve arco di tempo di un ciclo cellulare. In secondo luogo perché il macchinario di replicazione del DNA nelle cellule eucariotiche deve essere in grado di agire anche se il DNA è avvolto attorno ai nucleosomi. Infine, i cromosomi eucariotici sono lineari anziché circolari e, come vedremo, replicare le estremità dei cromosomi lineari risulta difficile. Discuteremo in questa sezione come le cellule eucariotiche affrontano questi ostacoli alla replicazione dei cromosomi.
La replicazione del DNA cromosomico ha inizio in specifici punti di origine della replicazione In una tipica cellula umana, quando il DNA viene copiato, la DNA polimerasi assembla una nuova stringa di nucleotidi sulla base del DNA stampo, polimerizzando circa 50 nucleotidi al secondo. Con questo ritmo e con una sola origine di replicazione la polimerasi impiegherebbe circa 800 ore, poco più di un mese, per copiare le 130 milioni paia di basi che compongono mediamente un cromosoma umano. La durata del ciclo cellulare nei tessuti umani in attiva divisione, tuttavia, è molto più breve, circa 24 ore, e la fase S (il periodo di replicazione del DNA) occupa solo circa un terzo di questo tempo. I cromosomi eucariotici soddisfano questi limiti di tempo attivando più origini di replicazione che possono agire contemporaneamente. Durante la fase di replicazione di una cellula di mammifero è possibile contare circa 10 000 origini di replicazione distribuite strategicamente lungo i cromosomi. Come abbiamo visto nel Capitolo 5, ogni origine di replicazione lega proteine che svolgono i due fila-
5 kb
Figura 12.17 I cromosomi degli eucarioti hanno origini di replicazione multiple. La fotografia al microscopio elettronico e la sua rappresentazione schematica mostrano una zona di replicazione del DNA in un embrione di Drosophila. Numerose origini di replicazione sono contemporaneamente attive, creando unità di replicazione multiple. Fonte: H. Kreigstein and D.S. Hogness, “Mechanism of DNA Replication in Drosophila Chromosomes: Structure of Replication Forks and Evidence of Bidirectionality,” PNAS, 71(1974): 135-139 .
menti della doppia elica, separandoli e producendo due forcelle di replicazione speculari. La replicazione procede, a questo punto, nelle due direzioni (in maniera bidirezionale), andando in una direzione in una forcella di replicazione, e nell’altra direzione nell’altra forcella. Questa struttura appare visibile al microscopio sotto forma di bolla di replicazione (Figura 12.17). Le varie bolle di replicazione (corrispondenti ai diversi siti di origine della replicazione) aumentano di dimensioni fino a quando le bolle adiacenti non si incontrano fondendosi tra loro e permettendo così che tutto il cromosoma venga replicato. Il DNA compreso tra un’origine di replicazione e le due terminazioni della replicazione, ovvero dove due forcelle di replicazione si fondono, è definito unità di replicazione, o replicone. Meccanismi di controllo non ancora identificati collegano il numero delle origini di replicazione attive alla durata della fase S. Nella Drosophila, per esempio, le prime cellule embrionali replicano il loro DNA in meno di 10 minuti. Per completare la fase S in questo breve tempo, i loro cromosomi utilizzano molte più origini di replicazione di quelle che risultano attive nelle fasi più avanzate dello sviluppo, quando la fase S è molto più lunga. Di conseguenza, non tutte le origini della replicazione sono necessariamente attive durante tutte le divisioni mitotiche. Le 10 000 origini di replicazione sparse nella cromatina di ciascun nucleo di cellule di mammifero sono separate l’una dall’altra da 30-300 kb di DNA, il che suggerisce che esiste almeno un’origine di replicazione per ogni ansa della cromatina.
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Parte IV I geni viaggiano sui cromosomi
Le origini di replicazione di lievito (note come sequenze di replicazione autonoma o ARS) possono essere identificate per la loro capacità di permettere la replicazione dei plasmidi nelle cellule di lievito. Le sequenze ARS possono legare gli enzimi che danno inizio alla replicazione. Quasi tutte le ARS contengono una variante della sequenza consenso ricca in AT di 11 bp 5 T/ATTTAYRTTTT/A, dove Y è una pirimidina qualsiasi e R una purina qualsiasi. Motivi di sequenza differenti, posti nelle vicinanze, contribuiscono alla funzione delle sequenze ARS come origine di replicazione. Digerendo la cromatina interfasica con la DNasi I, un enzima che frammenta la cromatina solo nei punti in cui il DNA non è protetto dalla sua associazione con un nucleosoma, i ricercatori hanno determinato che le origini della replicazione si trovano all’interno di regioni accessibili del DNA prive di nucleosomi.
Durante la replicazione del DNA si devono formare nuovi nucleosomi La replicazione del DNA rappresenta solo uno step della duplicazione dei cromosomi. Questo complesso processo include anche la sintesi e l’incorporazione delle proteine istoniche e non istoniche al fine di ricostituire i nucleosomi e la struttura della cromatina. Sebbene alcuni aspetti del seguente modello siano controversi, i ricercatori hanno ottenuto prove che il processo funzioni nel modo descritto di seguito. ⦁ La sintesi e il trasporto degli istoni devono essere finemente coordinati con la sintesi del DNA poiché il DNA nascente viene incorporato nei nucleosomi poco dopo la sua formazione. ⦁ Scorrendo lungo il DNA parentale, la forcella di replicazione disassembla i nucleosomi che vi erano associati. Nuovi nucleosomi si assemblano rapidamente sulle due molecole di DNA figlie appena sintetizzate. I nuovi nucleosomi sono costituiti da un mix di istoni vecchi (riciclati) e di nuova formazione, distribuiti casualmente sulle due molecole di DNA figlie (Figura 12.18). ⦁ Solo una parte delle modificazioni istoniche viene mantenuta durante il processo di disassemblaggio e riassemblaggio dei nucleosomi. Questo perché solamente gli istoni riciclati presentano le modificazioni, mentre circa la metà degli istoni, sul DNA appena replicato, è costituita da istoni di nuova sintesi. Una seconda ragione è che le modificazioni degli istoni sono labili (vengono, cioè, perse rapidamente), e quindi non tutti gli istoni riciclati mantengono le loro modificazioni originali.
Dimero H2A-H2B nuovo
Forcella di replicazione Istoni “parentali” vecchi
Tetramero H3-H4 nuovo
Figura 12.18 Creazione del nucleosoma dopo la replicazione del DNA. La forcella di replicazione disassembla i nucleosomi presenti nel cromosoma parentale. Subito dopo il passaggio della forcella di replicazione iniziano ad assemblarsi nuovi nucleosomi. Inizialmente un tetramero contenente due molecole di ogni istone H3 e H4 si associa con il DNA a formare una metà del nucleosoma, seguito da due dimeri contenenti ognuno una molecola di H2A e H2B. I nuovi nucleosomi possono contenere combinazioni differenti di tetrameri H3/H4 e dimeri H2A/H2B di nuova sintesi o “riciclati” dai nucleosomi parentali.
Dato che durante il processo di replicazione la maggior parte delle modificazioni istoniche non viene mantenuta, può risultare sorprendente ritrovare spesso lo stesso pattern di modificazioni istoniche e la stessa struttura della cromatina dopo che le cellule differenziate sono andate in mitosi. Come può accadere? La risposta sembra essere che subito dopo la replicazione, la cromatina formata dai nuovi nucleosomi è aperta. Esiste quindi una breve finestra di tempo in cui le proteine regolatrici della trascrizione hanno l’opportunità di legarsi alle molecole di DNA neosintetizzate. Queste proteine a loro volta reclutano enzimi che modificano gli istoni, ricreando così la struttura della cromatina del cromosoma parentale.
I telomeri proteggono le estremità dei cromosomi lineari e ne consentono la replicazione I cromosomi lineari delle cellule eucariotiche terminano a entrambe le estremità con dei “cappucci” protettivi chiamati telomeri (Figura 12.19). Composti da particolari sequenze di DNA associate a proteine spe-
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©Robert Moyzis/University of California-Irvine, Department of Biochemistry
Capitolo 12
Figura 12.19 I telomeri proteggono le estremità dei cromosomi eucariotici. Nell’immagine i telomeri umani (puntini in giallo) sono stati identificati tramite FISH con sonde fluorescenti complementari alla sequenza ripetuta TTAGGG.
cifiche, questi cappucci non contengono geni ma sono fondamentali per preservare l’integrità strutturale di ciascun cromosoma.
I telomeri e la replicazione delle estremità cromosomiche La replicazione delle estremità dei cromosomi lineari pone un difficile ostacolo alle cellule. Come abbiamo visto nel Capitolo 5, la DNA polimerasi, un componente chiave del macchinario di replicazione, agisce solamente in direzione 5- 3. Essa è in grado di aggiungere nucleotidi solamente all’estremità 3 di una catena preesistente e necessita quindi dell’ausilio dei primer a RNA per svolgere il suo compito. Al termine della replicazione questi primer a RNA vengono rimossi. Per tutti questi motivi, alla fine del processo di replicazione del DNA, l’estremità 5 dei cromosomi lineari delle cellule eucariotiche rimarrà “scoperta” (cioè non replicata) di un tratto di DNA corrispondente alla lunghezza del primer a RNA (Figura 12.20). Di conseguenza, se non intervenissero altri meccanismi, a ogni ciclo di replicazione del DNA i cromosomi diventerebbero sempre più corti, portando alla perdita di geni fondamentali per la cellula. I telomeri e un enzima chiamato telomerasi forniscono una contromisura a questa limitazione della DNA polimerasi. I telomeri sono costituiti da specifiche sequenze di DNA ripetute che non codificano per nessuna proteina. I telomeri umani sono composti dalla sequenza base 5-TTAGGG-3 ripetuta dalla 250 alle 1500 volte. Il numero di ripetizioni varia in base al tipo
Il cromosoma eucariotico
5′ 3′
3′ 5′
5′ 5′ 3′ RNA primer 3′
3′
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5′ 3′RNA 5′ primer
Sintesi di nuovi filamenti di DNA a partire dall’estremità 3′ di ciascun primer 5′ 3′ 5′ 3′
DNA polimerasi
DNA polimerasi
3′ 5′ 3′ 5′
Rimozione dei primer a opera di ribonucleasi 5′ 3′ Gap 5′ 3′
3′ 5′ Gap 3′ 5′
I filamenti neosintetizzati risultano più corti di una misura corrispondente alla lunghezza del primer
Figura 12.20 La DNA polimerasi non sa ricostruire l’estremità 5 di un filamento di DNA. Un primer di RNA all’estremità 5 dà inizio alla sintesi di un nuovo filamento 5-3, ma quando le ribonucleasi lo rimuovono, in quella regione rimane un gap. Il fatto che la DNA polimerasi abbia bisogno di un primer da cui partire per aggiungere nucleotidi significa che questo enzima non è in grado di riempire questi gap, quindi i nuovi filamenti (blu scuro) saranno più corti di quelli parentali (blu chiaro).
cellulare; gli spermatozoi hanno i telomeri più lunghi. La stessa sequenza TTAGGG è presente nei telomeri di tutti i mammiferi, così come uccelli, rettili, anfibi, pesci ossei e molte specie di piante. Anche altri organismi molto più distanti evolutivamente presentano delle ripetizioni nei telomeri, anche se con leggere differenze nella sequenza. La sequenza telomerica ripetuta nei cromosomi del ciliato Tetrahymena è TTGGGG. Questa similarità di sequenza tra i diversi phyla suggerisce che i telomeri svolgono una funzione fondamentale emersa nei primi stadi dell’evoluzione degli organismi eucarioti. Le telomerasi è un enzima particolare costituito da proteina e RNA, e per questo motivo è chiamato ribonucleoproteina. La porzione a RNA dell’enzima contiene delle ripetizioni della sequenza 3-AAUCCC-5 complementari alle ripetizioni 5-TTAGGG-3 dei telomeri e servono come stampo per l’aggiunta di nuove ripetizioni TTAGGG all’estremità del telomero (Figura 12.21). L’aggiunta di queste sequenze ripetute serve a controbilanciare la perdita di DNA che si ha durante il processo di replicazione.
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Parte IV I geni viaggiano sui cromosomi
Legame della telomerasi 5′
DNA 3′
estremità dei cromosomi, senza perdita di geni. Se così non fosse, la nostra specie si sarebbe estinta molto tempo fa. Le cellule della linea germinale sembrano avere una sorta di meccanismo a feedback che mantiene pressoché inalterato il numero ottimale di ripetizioni nei telomeri, cosicché le estremità dei cromosomi non si accorciano né si allungano in maniera apprezzabile nel corso delle generazioni. Oltre alle cellule della linea germinale, anche due tipi di cellule somatiche del nostro organismo sono in grado di produrre la telomerasi e avere, di conseguenza, il potenziale di riprodursi per molte generazioni, se non per sempre. Una classe di cellule è costituita dalle cellule staminali, le quali permettono il rinnovamento dei tessuti, come, per esempio, la continua produzione di cellule del sangue. La seconda classe è rappresentata dalle cellule tumorali: cellule somatiche alterate che possono dividersi in maniera indefinita, diventando potenzialmente immortali. Poiché l’elevata attività della telomerasi è una caratteristica di molte cellule tumorali, le aziende farmaceutiche stanno sviluppando farmaci per il trattamento del cancro che inibiscono questo importante enzima.
Telomerasi
GGG T T A G G G T T A G G G T T A C C C A A T C C C 5′ A A UCC C A 3′
3′
Proteina RNA
AU
5′
Allungamento
Nuove basi aggiunte al cromosoma
G GG T T A G G G T T A G G G T T A G G G T T A CCC A A T CCC A A UC C C A A U
Traslocazione G GG T T A G G G T T A G G G T T A G G G T T A CCC A A T CCC
Allungamento
A A UCCC
AA
U
Nuove basi aggiunte al cromosoma
GGG T T AGGG T T A GGG T T AGGG T T A GGG T T A C CC A A T CCC A A UC C C A A U
La DNA polimerasi riempe i gap
3′
GGG T T AGGG T T A GGG T T AGGG T T A GGG T T A C C C A A T C C C A A T C C C A A T C C C A A UC C C A A U
I telomeri e l’integrità cromosomica 5′
Figura 12.21 La telomerasi allunga i telomeri. La telomerasi si lega alle estremità cromosomiche sfruttando la complementarità tra la sequenza ripetuta 3-AAUCCC-5 del suo RNA (arancione) e quella 5-TTAGGG-3 dei telomeri. Le ripetizioni 3-AAUCCC-5 dell’RNA della telomerasi servono come stampo per aggiungere nuove sequenze 5-TTAGGG-3 alle estremità dei telomeri. Dopo che a un telomero è stata aggiunta una nuova ripetizione, la telomerasi si sposta (trasloca) sulla sequenza appena sintetizzata, dando inizio a un nuovo ciclo di allungamento. La DNA polimerasi può utilizzare l’RNA della telomerasi come primer per riempire i gap (verde).
L’attività della telomerasi e la proliferazione cellulare All’interno del nostro organismo la maggior parte delle cellule somatiche differenziate, nonostante contenga il gene della telomerasi, non lo esprime o ne esprime pochissimo, e di conseguenza, a ogni divisione cellulare, i cromosomi effettivamente si accorciano di un tratto di DNA. Dopo 30-50 divisioni cellulari, i cromosomi iniziano a perdere, a partire dalle loro estremità, i geni essenziali; le cellule, di conseguenza, iniziano a manifestare caratteristiche di senescenza e a morire. La mancanza della telomerasi assicura quindi che le cellule somatiche differenziate abbiano una durata di vita limitata e, più importante, non si replichino in maniera incontrollata. Al contrario, le cellule della linea germinale esprimono la telomerasi e quindi conservano integre le
Quando i cromosomi subiscono delle rotture (per esempio in seguito all’esposizione ai raggi X) e non sono più protetti dai loro telomeri possono costituire un fattore di rischio per le cellule. Le cellule contengono, infatti, gli enzimi nucleasi che possono progressivamente degradare il DNA a partire dalle estremità rotte. Un secondo problema è rappresentato dai sistemi enzimatici responsabili della giunzione non omologa delle estremità (NHEJ) descritti in Figura 6.17. Se due diversi cromosomi presentano estremità non protette (in seguito, per esempio, a rottura) questi enzimi NHEJ salderanno insieme i due cromosomi. La fusione end-to-end (l’estremità libera di un cromosoma con l’estremità libera dell’altro cromosoma) dei cromosomi produce entità con due centromeri. Se durante l’anafase della mitosi i due centromeri vengono tirati in direzioni opposte avviene la rottura dei cromosomi, i quali non segregano correttamente nelle cellule figlie andando, di conseguenza, persi. Questi esempi dimostrano che i telomeri hanno importanti funzioni nella protezione dei cromosomi e nel mantenimento del corretto corredo genetico delle cellule. La funzione protettiva dei telomeri è data da proteine diverse dalle telomerasi, ma che si legano anch’esse alle ripetizioni TTAGGG presenti alle estremità di un cromosoma. Queste proteine formano un complesso chiamato shelterin (da shelter, rifugio, riparo) che ripiega i telomeri in una struttura che protegge le sequenze TTAGGG dall’azione delle nucleasi e degli enzimi NHEJ (Figura 12.22).
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Capitolo 12
Il cromosoma eucariotico
419
Regione centromerica
Polo della cellula
Microtubuli Polo della del cinetocore cellula Cinetocore
Figura 12.22 Il complesso shelterin protegge i telomeri. Le proteine del complesso shelterin si legano ai telomeri mediando il ripiegamento delle estremità di DNA (grigio). Questo fa sì che le estremità del DNA non vengano attaccate dalle nucleasi né siano soggette al meccanismo di riparazione NHEJ.
Figura 12.23 I centromeri. Le proteine coesine, localizzate a livello del centromero (in giallo), tengono uniti i cromatidi fratelli. I centromeri contengono anche l’informazione per l’assemblaggio dei cinetocori (in arancione), le strutture che permettono ai cromosomi di legarsi alle fibre del fuso.
12.5 La segregazione Singolo microtubulo
dei cromosomi Elemento conservato I
OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO 1. Illustrare le differenze tra lievito ed eucarioti superiori per quanto riguarda le sequenze di DNA che mediano la formazione del centromero. 2. Descrivere il processo di ancoraggio del fuso durante la metafase e il ruolo dei cinetocori nell’assicurare un segregazione appropriata dei cromosomi. 3. Mettere a confronto il comportamento delle coesine durante la mitosi, la meiosi I e la meiosi II.
Quando le cellule si dividono durante la mitosi o la meiosi II, i due cromatidi di ogni cromosoma replicato devono separarsi l’uno dall’altro all’anafase e segregare in modo tale che ogni cellula figlia riceva uno e un solo cromatidio da ciascun cromosoma. Durante la meiosi I, invece, i cromosomi omologhi devono appaiarsi e segregare in modo tale che ogni cellula figlia riceva uno e un solo cromosoma da ogni coppia di omologhi. I centromeri dei cromosomi eucariotici fungono da centri di segregazione e assicurano questa precisa distribuzione durante i diversi tipi di divisione cellulare. I centromeri costituiscono anche la porzione del cromosoma a livello della quale i cromatidi fratelli si trovano più strettamente associati; contengono, inoltre, delle particolari strutture, chiamate cinetocori, che costituiscono il punto di legame dei cromosomi alle fibre del fuso (Figura 12.23).
I centromeri sono costituiti da sequenze di DNA specifiche Nel lievito S. cerevisiae i centromeri sono costituiti da due sequenze nucleotidiche altamente conservate, ciascuna lunga solo 10-15 bp, separate da circa 90 bp di DNA ricco in AT (Figura 12.24). Le sequenze centro-
5′••• 3′•••
Elemento Elemento ricco di A-T conservato II
ATAAGTCACATGAT TATTCAGTGTACTA
≈88 bp. (93% AT)
TGATTTCCGAA ACTAAAGGCTT
••• 3′ ••• 5′
Sequenza centromerica di lievito – sito di legame per un solo microtubulo
Figura 12.24 Sequenze nucleotidiche del centromero di lievito. Ogni centromero di lievito ha due elementi di DNA brevi e conservati e lega, attraverso le proteine del cinetocore (non mostrate), un singolo microtubulo (marroncino) del fuso.
meriche dei diversi cromosomi di lievito sono così strettamente correlate tra loro che il centromero di un cromosoma può sostituire quello di un altro. Questo fatto indica che tutti i centromeri svolgono lo stesso ruolo nella segregazione cromosomica e non aiutano a distinguere un cromosoma dall’altro. I centromeri degli eucarioti superiori sono molto più grandi e complessi di quelli del lievito. Questi centromeri sono contenuti all’interno di blocchi di alcune sequenze ripetute non codificanti note come DNA satellite. Esistono molti tipi differenti di DNA satellite, ognuno costituito da brevi sequenze di 5-300 bp ripetute in tandem migliaia o milioni di volte. L’unità ripetuta più frequente è il satellite a, una sequenza non codificante di 171 bp; essa fa parte di un blocco di ripetizioni in tandem che si estende oltre una megabase di DNA nella regione centromerica di ogni cromosoma. Alcuni centromeri umani contengono anche sequenze ripetute non correlate con il satellite a; queste sequenze conferiscono caratteristiche eterocromatiche alle regioni centromeriche, come abbiamo visto in Figura 12.12.
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Parte IV I geni viaggiano sui cromosomi
I cinetocori regolano l’aggancio dei cromosomi al fuso mitotico Uno dei meccanismi più importanti attraverso i quali i centromeri contribuiscono alla corretta segregazione dei cromosomi risiede nel ruolo fondamentale dei cinetocori. I cinetocori sono strutture specializzate composte da DNA e proteine che costituiscono i punti d’attacco dei cromosomi alle fibre del fuso. Nelle cellule di lievito, ciascun cinetocore si connette con una sola fibra del fuso (Figura 12.24); negli eucarioti superiori, invece, i cinetocori si attaccano a molti microtubuli del fuso (Figura 12.25). I ricercatori pensano che questi cinetocori complessi siano probabilmente costituiti da subunità strutturali ripetute, con ciascuna subunità responsabile dell’aggancio con una fibra. Il DNA che forma il cinetocore, come, per esempio, il satellite a negli esseri umani, ha una diversa struttura della cromatina e un diverso livello di compattazione rispetto alle altre regioni cromosomiche (Figura 12.25). In questa cromatina specializzata, il comune
Microtubuli del fuso
istone H3 presente nel core del nucleosoma è sostituito con una variante dell’istone chiamata CENP-A. La proteina CENP-A è molto simile all’istone H3 nella sua regione C-terminale, ma diversa nella sua porzione Nterminale. I nucleosomi che presentano questa variante dell’istone agiscono come “impalcature” per consentire l’assemblaggio, a livello dei cinetocori, di molte altre proteine. L’assemblaggio del cinetocore avviene alla fine della profase mitotica su ciascun cromatidio fratello, nella parte del centromero che è rivolta verso l’uno o l’altro polo della cellula. In prometafase i cinetocori dei due cromatidi fratelli si agganciano alle fibre del fuso che dipartono dai centrosomi posti ai poli della cellula. Alcune delle proteine del cinetocore sono motori proteici che esercitano forze di trazione sui cromatidi verso il polo del fuso a cui sono attaccati. Durante la metafase, quando i cromatidi fratelli, ancora tenuti insieme al livello del centromero, vengono tirati in direzione opposte, si viene a creare una forza di tensione. Alcune proteine del cinetocore monitorano questa tensione per stabilire un checkpoint cellulare: solo dopo che tutti i cinetocori nella cellula sono sotto tensione (ovvero solo dopo che tutti i cromosomi sono correttamente attaccati al fuso) queste proteine generano un segnale molecolare che consente ai cromatidi fratelli di dissociarsi gli uni dagli altri. I cromatidi possono a questo punto migrare ai rispettivi poli durante l’anafase.
Le coesine tengono insieme i cromatidi fratelli Cinetocore
Nucleosomi con CENP-A
Costrizione centromerica
Figura 12.25 I cinetocori. Negli eucarioti superiori il DNA centromerico consiste di sequenze ripetute organizzate nei nucleosomi contenti CENP-A, una variante dell’istone H3. I cinetocori contengono decine di proteine che si organizzano intorno a questi nucleosomi. Alcune proteine regolano l’assemblaggio del cinetocore (in viola); altre legano i microtubuli (in giallo); altre sono motori proteici che muovono i cromosomi lungo il fuso (in rosso); altre ancora (in verde) agiscono nel checkpoint che assicura che i cromatidi fratelli (in mitosi e meiosi II) e i cromosomi omologhi (in meiosi I) non si separino finché tutti i cromosomi non siano correttamente agganciati alle fibre del fuso.
Un complesso multiproteico altamente conservato, denominato coesina, agisce da collante per mantenere insieme i cromatidi fratelli durante la mitosi e la meiosi fino a quando non possa iniziare la segregazione. Dopo che i cromosomi sono stati replicati durante la fase S, le coesine si associano con i cromatidi fratelli e li mantengono uniti a livello dei bracci e del centromero avvolgendo le due doppie eliche di DNA. La Figura 12.26 mostra il modello attuale (seppur controverso) dell’interazione tra coesina e DNA. Gli anelli di coesina sono sparsi lungo la lunghezza del cromosoma, ma si trovano in concentrazioni particolarmente elevate in prossimità dell’eterocromatina centromerica. Durante la metafase della mitosi, le coesine resistono alle forze che tirano i cromosomi verso i poli, generando tensione. In anafase un enzima proteolitico chiamato separasi scinde i complessi delle coesine, consentendo ai cromatidi fratelli di separarsi e migrare verso i poli (Figura 12.16 e Figura 12.27a). A supporto
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Capitolo 12
Il cromosoma eucariotico
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Figura 12.26 Un modello molecolare del funzionamento della coesina. Il complesso coesina è costituito da subunità proteiche (verdi, azzurre e viola) che circondano i due cromatidi fratelli (le due molecole di DNA in grigio). I cromatidi fratelli possono separarsi quando la separasi (forbici dorate) scinde la subunità viola della coesina, liberando così le due molecole di DNA.
Separasi S Sep par p arrasi
(a) Mitosi Anafase
Metafase Fibre del fuso Centromero
Cinetocore
Replicazione del DNA Legame delle coesine
Scissione delle coesine da parte della separasi
(b) Meiosi Crossing-over
Metafase I
Anafase I Shugoshin
Replicazione del DNA Legame delle coesine
Le coesine vengono scisse a livello dei bracci, ma non a livello del centromero
Metafase II
Shugoshin viene degradata
Anafase II
La coesina del centromero viene scissa
Figura 12.27 Meccanismo d’azione delle coesine durante la mitosi e la meiosi. (a) Durante la mitosi le coesine mantengono i cromatidi fratelli uniti per tutta la durata della metafase. Il taglio delle coesine da parte della separasi rilascia i cromatidi fratelli cosicché possano segregare in anafase. (b) In anafase I le coesine presenti a livello dei bracci dei cromosomi vengono scisse, mentre quelle presenti a livello del centromero vengono protette dalla proteina shugoshin, consentendo così ai cromatidi fratelli di rimanere uniti fino all’anafase II.
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Parte IV I geni viaggiano sui cromosomi
di questo modello, cellule in divisione che esprimono coesine che non possono essere scisse dalla separasi evidenziano molte alterazioni nel processo di segregazione dei cromosomi. Nella meiosi, tuttavia, sorge un problema: i cromatidi fratelli devono rimanere insieme durante l’intera prima divisione meiotica per poi separarsi durante la seconda divisione meiotica. Le cellule risolvono questo problema formando complessi di coesine con una subunità specifica della meiosi (che sostituisce la subunità viola in Figura 12.26), la quale può interagire con una proteina chiamata shugoshin (che in giapponese significa “spirito guardiano”; Figura 12.27b). La proteina shugoshin protegge le coesine localizzate al livello del centromero dall’azione della separasi. Una volta che la cellula è entrata in meiosi II, la proteina shugoshin viene rimossa e la separasi è libera di scindere la coesina centromerica in anafase II, consentendo ai cromatidi fratelli di migrare ai poli opposti. È interessante notare che la proteina shugoshin non protegge le coesine localizzate lungo i bracci dei cromatidi fratelli; non è ancora noto il meccanismo molecolare che discrimina tra la coesine dei bracci e quelle del centromero. Di conseguenza, in anafase I, le coesine localizzate lungo i bracci vengono scisse, mentre quelle dei centromeri no. Distalmente ai siti di crossing-over, le coesine che avvolgono i bracci tengono insieme i cromosomi omologhi durante la metafase I. Il taglio delle coesine dei bracci cromosomici risulta quindi essenziale per consentire ai cromosomi omologhi di migrare ai poli opposti durante l’anafase I.
12.6 I cromosomi artificiali OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO 1. Elencare gli elementi che devono essere inclusi in un cromosoma artificiale. 2. Descrivere i possibili utilizzi dei cromosomi artificiali, fusi o sintetici.
Negli anni ’80 i genetisti molecolari hanno creato il primo cromosoma eucariotico artificiale, un cromosoma artificiale di lievito (o YAC, dall’inglese Yeast Artificial Chromosome), combinando in una singola molecola di DNA i tre elementi fondamentali del cromosoma di lievito (S. cerevisiae) descritti in questo capitolo, il centromero, i telomeri e l’origine di replicazione (Figura 12.28). Nel 2014, un team di scienziati della John Hopkins University ha creato il primo cromosoma di lievito completamente sintetico. In questa sezione discuteremo delle differenze tra YAC e cromosomi sintetici e del loro utilizzo.
Telomero
ARS Centromero Inserto di DNA EcoRI
TRP 1 +
Telomero
EcoRI
Figura 12.28 Cromosoma artificiale di lievito (YAC). Per funzionare effettivamente come cromosomi artificiali, i vettori YAC, contenenti una sequenza ARS (origine di replicazione di lievito), un centromero e i telomeri alle estremità, necessitano di essere ligati (in questo caso attraverso i siti di restrizione EcoRI) con inserti di DNA lunghi oltre 100 kb. È possibile identificare le cellule di lievito trasformate con i vettori YAC inserendo nel vettore un marcatore di selezione come il gene TRP1+.
I cromosomi artificiali di lievito (YAC) consentono di caratterizzare gli elementi di DNA necessari alla replicazione e alla trasmissione dei cromosomi Nel Capitolo 9 abbiamo descritto l’approccio shotgun per il sequenziamento genomico mediante una strategia paired-end. Questa metodologia prevede che il genoma venga tagliato in grossi frammenti (fino a 2 Mb) che vengono successivamente isolati, amplificati e caratterizzati. Esistono due tipi di vettori che permettono il clonaggio di frammenti così lunghi: il BAC (cromosoma artificiale batterico, dall’inglese Bacterial Artificial Chromosomes) e lo YAC. Descriveremo in dettaglio lo YAC in questo capitolo perché il suo utilizzo non è importante esclusivamente per il clonaggio di grandi frammenti di DNA genomico, ma lo è stato anche per la comprensione della funzione cromosomica. La Figura 12.28 mostra come il centromero, i telomeri e l’origine di replicazione siano stati combinati insieme a formare lo YAC. Una volta uniti insieme questi elementi mediante la tecnologia del DNA ricombinante, gli scienziati inseriscono lo YAC nelle cellule di lievito, all’interno delle quali viene conservato come cromosoma autonomo. La presenza dello YAC viene tracciata includendo nel cromosoma un marcatore di selezione, come per esempio il gene TRP1+ che consente alla cellula ospite auxotrofa di crescere in assenza, nel terreno di crescita, dell’amminoacido triptofano. Il processo di costruzione dello YAC è stato fondamentale dal punto di vista storico, in quanto ha consentito di isolare e analizzare le regioni cromosomiche corrispondenti alla sequenza ARS (origine di replicazione di lievito) e al centromero. I plasmidi contenenti solamente l’origine di replicazione ma non il centromero o i telomeri replicano ma non segregano correttamente. I plasmidi con origine di replicazione e centromero e nessun telomero replicano e segregano correttamente se circolari; se hanno una conformazione
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Capitolo 12
lineare vanno incontro a degradazione e vengono infine persi dalla cellula. È interessante notare che piccole molecole di DNA che trasportano tutti e tre gli elementi si replicano e migrano come cromosomi lineari indipendentemente dai normali cromosomi di lievito, ma non segregano correttamente perché non hanno abbastanza DNA. Gli YAC che trasportano inserti di 11 000 bp di DNA casuale si separano erroneamente nel 50% delle divisioni cellulari. Con cromosomi artificiali contenenti più di 100 000 bp, il tasso di errore nella segregazione scende allo 0,3%. Questo tasso di errore rimane comunque 200 volte maggiore di quello osservato con i cromosomi naturali di lievito di dimensioni normali, suggerendo che esistono ulteriori aspetti della struttura e della funzione dei cromosomi ancora da scoprire. Sulla base di quanto emerso dagli studi sullo YAC, i ricercatori stanno cercando di sviluppare cromosomi artificiali umani. La speranza è quella di utilizzare questi cromosomi nel trattamento contro le malattie genetiche, con l’idea di servirsene come vettori per la trasformazione di cellule umane difettive per uno specifico gene con una copia wild-type di quel gene.
Il lievito è in grado di sopravvivere con un solo cromosoma gigante Mediante l’utilizzo della tecnologia della manipolazione del genoma, che sarà descritta nel Capitolo 20, gli scienziati hanno generato un ceppo di lievito che ha una solo cromosoma fuso gigante (11.8 Mb) che è otto volte più grande del più lungo cromosoma naturale di lievito. In questa impresa i ricercatori hanno fuso insieme tutti e 16 cromosomi naturali di lievito, lasciando un centromero e due telomeri ed eliminando tutti gli altri. Sorprendentemente, fatta eccezione per una modesta riduzione nel tasso di crescita e nella produzione e vitalità dei gameti, il ceppo di lievito a un cromosoma si comporta come uno wild-type, evidenziando che alcuni organismi possono tollerare grandi cambiamenti nel numero di cromosomi. Gli incroci tra il ceppo di lievito con un cromosoma e un ceppo normale, tuttavia, danno luogo a individui diploidi che non sono in grado di produrre spore vitali. L’isolamento riproduttivo del ceppo con il cromosoma di fusione può essere utile in situazioni in cui gli scienziati vogliono coltivare lieviti con alterazioni in geni specifici al di fuori del laboratorio, come, per esempio, per la produzione di birra con aromi specifici. Le alterazioni genetiche potrebbero essere effettuate nel lievito con un solo cromosoma senza rischiare che vengano trasferite nella popolazione di lieviti naturale.
Il cromosoma eucariotico
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I cromosomi sintetici possono aiutare a definire qual è il più corto genoma compatibile con la vita I cromosomi contengono indubbiamente molte sequenze di DNA che non sono necessarie per la sopravvivenza dell’organismo. Queste includono elementi trasponibili, sequenze di DNA ripetute, parte del DNA intergenico e molte sequenze introniche. Inoltre, solo circa 1000 dei 6000 geni di lievito sono risultati essenziali per la crescita delle cellule di lievito in laboratorio. In altre parole, l’eliminazione di uno qualsiasi dei restanti 5000 geni consente comunque al lievito di sopravvivere. Molto probabilmente molti di questi 5000 geni diventano tuttavia essenziali in specifiche condizioni di crescita riscontrabili in natura, o forse quando viene simultaneamente perso un altro gene. Qual è allora il numero minimo di sequenze di DNA di cui le cellule di lievito necessitano effettivamente per sopravvivere? Per rispondere a questa domanda i biologi molecolari si sono posti l’obiettivo di creare cellule di lievito con un set di 16 cromosomi interamente sintetici. Se l’esperimento avrà successo, non solo questi ricercatori avranno creato un intero genoma mediante sintesi chimica, ma il lievito che creeranno servirà come base per future indagini volte a determinare il genoma minimo di lievito che può sostenere la vita. Un cromosoma sintetico differisce da un cromosoma artificiale come lo YAC per due caratteristiche fondamentali. La prima è che in un cromosoma sintetico tutto il DNA è interamente prodotto da una persona con l’ausilio di sintetizzatori di DNA; uno YAC, al contrario, è generato unendo insieme elementi di DNA che si trovavano originariamente nei cromosomi di lievito. La seconda è che un cromosoma sintetico include (almeno fino a ogni manipolazione successiva) tutti i geni presenti sul cromosoma di lievito corrispondente; i vettori YAC, invece, contengono solitamente soltanto un unico gene di lievito codificante, ovvero un marcatore di selezione come TRP1+. Sorprendentemente, nel 2014, gli scienziati hanno riportato la creazione di SynIII, versione sintetica del cromosoma III di lievito e primo cromosoma eucariotico sintetico. Sebbene SynIII manchi di circa 50 000 bp (principalmente elementi trasponibili e sequenze intergeniche) rispetto al cromosoma normale (circa 317 000 bp), le cellule di lievito contenenti SynIII mostrano aspetto e crescita wild-type. SynIII contiene inoltre delle brevi sequenze particolari che in futuro consentiranno di eliminare varie regioni del cromosoma per capire quali gene o quali combinazioni di geni sono essenziali o non essenziali.
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Parte IV I geni viaggiano sui cromosomi
CONCETTI ESSENZIALI •
Ogni cromosoma eucariotico è costituito (prima della sua replicazione) da una singola molecola di DNA lineare a doppio filamento, senza rotture e cambi di polarità.
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Le proteine istoniche mediano la compattazione del DNA in cromatina.
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Le proteine non istoniche hanno un ruolo nell’organizzazione strutturale, nella replicazione e nella segregazione dei cromosomi, così come nel regolare l’espressione genica.
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In un nucleosoma il DNA si avvolge due volte intorno a un core costituito da due copie di ciascuno degli istoni H2A, H2B, H3 e H4. L’istone H1 media l’entrata e l’uscita del DNA dal core.
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Le condensine contribuiscono alla forma dei cromosomi mitotici estrudendo le anse di cromatina. Condensine e topoisomerasi II sono i principali componenti degli scaffold cromosomici mitotici.
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La colorazione con Giemsa dei cromosomi metafasici porta la formazione delle cosiddette bande G. Il pattern delle bande G è altamente specifico e riproducibile, consentendo, così, l’identificazione dei cromosomi e la localizzazione dei geni.
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La tecnica FISH consente di localizzare specifiche sequenze di DNA rispetto alle bande cromosomiche o di visualizzare interi cromosomi per facilitare l’interpretazione del cariotipo.
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I complessi di rimodellamento della cromatina utilizzano l’energia derivante dall’idrolisi dell’ATP per modificare l’organizzazione dei nucleosomi, permettendo l’esposizione dei promotori e quindi la trascrizione genica.
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Nelle regioni di eterocromatina i promotori sono strettamente avvolti intorno ai nucleosomi, impedendo la trascrizione e, quindi, silenziando (reprimendo in maniera permanente), i geni ivi presenti. L’effetto di posizione variegato si verifica quando un riarrangiamento cromosomico fa sì che un gene venga a trovarsi adiacente a una regione eterocromatica. Se l’eterocromatina diffonde lungo il cromosoma invadendo il gene, questo sarà di conseguenza silenziato.
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Nelle cellule eucariotiche la replicazione del DNA ha inizio pressoché simultaneamente a livello di migliaia di origini di replicazione.
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Durante la replicazione i nucleosomi si riassemblano sulle molecole di DNA figlie. Le proteine regolatorie si legano alle molecole di DNA figlie e reclutano gli enzimi che modificano gli istoni per ricreare la struttura cromatinica parentale.
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Dato che la DNA polimerasi non è in grado di copiare le estremità 5 delle molecole lineari di DNA, i cromosomi si accorciano ogni volta che vengono replicati, portando alla perdita di geni e alla morte cellulare. Per contrastare questo accorciamento, i telomeri contengono sequenze ripetute che possono essere estese per azione dell’enzima telomerasi.
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La maggior parte delle cellule somatiche non esprime la telomerasi e quindi ha una durata di vita limitata. Le cellule che continuano a esprimere la telomerasi sono le cellule della linea germinale, le cellule staminali e le cellule tumorali.
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I centromeri di lievito sono definiti da brevi sequenze di DNA. Negli eucarioti superiori, invece, i centromeri sono molto più complessi e contengono sequenze di DNA ripetute.
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I cinetocori rappresentano i siti in cui le fibre del fuso agganciano i cromosomi. Un checkpoint del ciclo cellulare assicura che i cromatidi non si separino fino a quando tutti i cinetocori non siano connessi correttamente al fuso.
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I complessi delle coesine mantengono i cromatidi fratelli uniti fino a quando l’enzima separasi non li scinde in anafase. In meiosi I la proteina shugoshin protegge la coesina del centromero, mantenendo così uniti i cromatidi fratelli. In meiosi II la proteina shugoshin viene rimossa, così che la separasi possa scindere la coesina centromerica in anafase II.
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La trasmissione stabile dei cromosomi YAC lineari richiede l’inclusione di un’origine di replicazione (ARS), di un centromero, dei telomeri e, per ragioni ancora sconosciute, di un inserto di DNA che superi le 100 kb.
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I cromosomi artificiali sono stati usati come vettori di clonaggio e per identificare le regioni funzionali dei cromosomi naturali.
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La metilazione della lisina 9 (K9) dell’istone H3 rappresenta una caratteristica delle regioni silenziate. L’acetilazione delle lisine sulle code istoniche, al contrario, porta al rilassamento della cromatina, promuovendo l’espressione genica.
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Le cellule di lievito con un cromosoma fuso gigante, al posto dei 16 cromosomi naturali più piccoli, funzionano quasi normalmente, evidenziando che alcuni organismi tollerano profondi cambiamenti nell’organizzazione genomica.
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Il gene Xist è responsabile dell’inattivazione del cromosoma X. L’RNA lungo non codificante (lncRNA) Xist riveste tutto il cromosoma X che lo produce e recluta gli enzimi che modificano gli istoni. Il cromosoma X viene quindi inattivato, formando un corpo di Barr.
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Un cromosoma sintetico di lievito, mancante della maggior parte delle sequenze intergeniche, funziona normalmente. Questi cromosomi sintetici possono aiutare a definire il minimo genoma di lievito compatibile con la vita.
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Capitolo 12
Il cromosoma eucariotico
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PROBLEMI RISOLTI
Problema risolto I Una modifica istonica ritrovata frequentemente in molte specie è l’aggiunta del gruppo acetile alla lisina in posizione 12 dell’istone H4 (H4K12). Se voi foste un genetista che lavora con il lievito e aveste un clone del gene H4, cosa fareste per capire se l’acetilazione in questa specifica lisina è necessaria per la corretta formazione della cromatina?
Risposta Per determinare se l’acetilazione H4K12 sia importante per la formazione della cromatina, si potrebbe modificare il dodicesimo codone del gene H4 in modo tale che specifichi per un amminoacido diverso che non possa essere acetilato e testare se questa cambiamento alteri la cromatina. Si potrebbe analizzare la struttura della cromatina effettuando un saggio di sensibilità alla DNasi, come mostrato in Figura 12.11, per vedere se le varie regioni del genoma abbiano una distribuzione alterata dei nucleosomi. Se l’organizzazione dei nucleosomi venisse alterata sarebbe interessante esaminare altre potenziali conseguenze fenotipiche dovute al cambiamento amminoacidico del gene H4. Questo cambiamento potrebbe, per esempio, inficiare la sopravvivenza dell’organismo o alterare l’espressione di alcuni geni. Nel Capitolo 20 saranno descritte diverse tecniche che permettono di alterare il gene H4. Una di queste consente di rimpiazzare l’allele wild-type del gene presente nel genoma del lievito con uno contenente la sostituzione del dodicesimo codone. Un altro metodo permette di aggiungere un transgene con il codone alterato a una cellula di lievito contenente comunque una copia wild-type del gene; in questo modo sarebbe possibile osservare un fenotipo aberrante solamente nel caso in cui l’allele mutante sia dominante su quello wild-type. Un possibile limite di questo approccio è che potrebbe accadere che la sostituzione amminoacidica effettuata potrebbe alterare la struttura e la funzione dell’istone H4 indipendentemente dall’acetilazione. In questo caso si renderebbe necessario determinare se sostituire quell’amminoacido con amminoacidi differenti abbia le stesse conseguenze.
Problema risolto II La proteina CBF1, identificata, in lievito, come una proteina legante il centromero, è essenziale per la corretta segregazione dei cromosomi durante la divisione cellulare. Avete identificato nel genoma umano un gene che codifica per una proteina che presenta simila-
rità di sequenza amminoacidica con la proteina di lievito CBF1. a. Come potreste determinare se la proteina umana è associata con le regioni centromeriche umane? (Assumere di possedere un anticorpo che riconosca specificatamente questa proteina). Perché il vostro test non è un’analisi FISH? b. Descrivere due metodi che vi permettano di testare se questa proteina umana, oltre a localizzare a livello del centromero, partecipi effettivamente alla funzionalità del centromero stesso. Per quanto riguarda il primo metodo, assumere che abbiate la possibilità di indurre mutazioni in qualsiasi gene di interesse, sia in cellule umane in coltura, sia in vivo in un topo. Per quanto riguarda il secondo metodo, dovreste usare due YAC ricombinanti differenti. YAC-1 contiene il gene di lievito CBF1+ e il gene di lievito URA3+ che consente, a un lievito ura3-, di crescere in assenza di uracile. YAC-2 contiene il gene umano wild-type correlato a CBF1 e il gene TRP1+ che consente, a un lievito trp1-, di crescere in assenza dell’amminoacido triptofano. Dovreste usare anche il 5-FOA, un composto chimico che costituisce un substrato dell’enzima URA3. Cellule di lievito che producono l’enzima URA3 non possono crescere in presenza del 5-FOA in quanto l’enzima lo convertirebbe in una tossina letale.
Risposta Rispondere a questa domanda richiede la comprensione della struttura e della funzione dei centromeri nell’assicurare la corretta segregazione dei cromosomi durante la divisione cellulare. a. Per questo esperimento è necessaria una sonda molecolare che possa legare in maniera specifica la proteina umana correlata alla CBF1, come, per esempio, un anticorpo che riconosca la proteina umana di interesse e che sia marcata con una molecola fluorescente. Per fare questo dovreste purificare una grande quantità di proteina umana (nel Capitolo 17 viene discusso come ottenere ciò mediante la tecnologia del DNA ricombinante), per poi iniettarla in un coniglio o in un altro animale da laboratorio. Il coniglio svilupperebbe degli anticorpi diretti contro la proteina (analogamente a quanto succede nei vaccini) che dovreste a questo punto purificare dal sangue del coniglio, per poi marcarli con una molecola fluorescente. Mettereste infine gli anticorpi marcati su un vetrino da microscopio su cui sono stati precedentemente fissati i cromosomi umani. Se la proteina umana
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Parte IV I geni viaggiano sui cromosomi
correlata alla CBF1 è associata ai centromeri umani, vedreste un pattern fluorescente simile a quello visto in Figura 12.2, che rappresenta esattamente il risultato di questo stesso tipo di esperimento solamente ottenuto con anticorpi che riconoscono una diversa proteina centromerica. Questo non è un esperimento FISH perché la sonda utilizzata non è un acido nucleico che si ibrida specificamente alle sequenze di DNA su un cromosoma, ma è invece un anticorpo che si lega a una proteina eventualmente associata a sequenze di DNA centromerico. b. È possibile determinare il coinvolgimento della proteina nella funzionalità dei centrosomi principalmente attraverso due linee sperimentali. Primo, si potrebbe provare a eliminare o ridurre l’espressione del gene codificante la proteina nelle cellule umane o in cellule di mammiferi correlati come i topi, per poi determinare se, quando queste cellule si dividono, i loro cromosomi segregano in maniera alterata con una frequenza maggiore ri-
spetto al normale. Nel Capitolo 20 verranno discussi diversi modi per bloccare o alterare l’espressione di un gene. Secondo, si potrebbe determinare se l’espressione della proteina umana possa rimpiazzare la funzione di quella di lievito CBF1. Dovreste trasformare cellule di lievito triplo mutanti (cbf1- ura3trp1-) con YAC-1 (CBF1+ e URA3+ di lievito). Le cellule di lievito così trasformate dovrebbero essere vitali fintanto che vengono cresciute in presenza di triptofano. Il passo successivo potrebbe essere quello di sostituire YAC-1 con YAC-2 (CBF1+ e TRP1+ umani). Selezionerete in questo caso le cellule trasformate con YAC-2, e che hanno perso YAC-1, crescendo il lievito in assenza di triptofano (selezione a favore del gene TRP1+ presente in YAC-2) e in presenza del 5-FOA (selezione contro il gene URA3+ presente in YAC-1). Sarà possibile ottenere cellule di lievito contenenti YAC-2 al posto di YAC-1 solo se la proteina CBF1 umana è in grado di sostituire quella di lievito.
PROBLEMI
1. Scegliere la frase nella colonna di destra che meglio si accorda con uno dei termini della colonna di sinistra. a. Telomero b. Bande G c. Cinetocore
d. Nucleosoma e. Condensina f. DNA satellite
g. Cromatina h. Coesina
i. Istoni
j.
Shelterin
1. Complesso proteico che tiene uniti i cromatidi fratelli fino all’anafase 2. Complesso proteico che compatta la cromatina 3. Sequenze di DNA ripetuto localizzate vicino al centromero negli eucarioti superiori 4. Struttura specializzata posta all’estremità di un cromosoma lineare 5. Complessi di DNA, proteine e RNA presenti nel nucleo eucariotico 6. Piccole proteine basiche che legano il DNA e formano il core del nucleosoma 7. Complesso di DNA e proteine al quale si legano le fibre del fuso 8. Struttura “a perline” costituita da DNA avvolto intorno alle proteine istoniche 9. Complesso proteico che protegge i telomeri dalla degradazione e dalla fusione end-to-end 10. Regioni di un cromosoma distinguibili in seguito a colorazione con Giemsa
2. Molte altre proteine, oltre agli istoni, sono state trovate associate ai cromosomi. Quali ruoli svolgono queste proteine non istoniche? 3. Che differenza di compattazione intercorre tra cromosomi in metafase e cromosomi in interfase?
Fornire almeno un motivo per il quale questa differenza potrebbe essere necessaria. 4. Qual è la differenza, nel processo di compattazione, tra il ruolo degli istoni che formano il core del nucleosoma e quello dell’istone H1? 5. a. Quante molecole di istone H2A sarebbero necessarie in una tipica cellula umana subito dopo il completamento della fase S, assumendo una spaziatura media dei nucleosomi di 200 bp? b. Durante quale fase del ciclo cellulare risulta fondamentale sintetizzare nuove proteine istoniche? c. Il genoma umano consiste di 60 geni istonici, con 10-15 geni per ogni tipo (H1, H2A, H2B, H3 e H4). Perché il genoma contiene copie multiple di ogni gene istonico? 6. L’enzima nucleasi micrococcica può scindere i legami fosfodiesterici del DNA a singolo e a doppio filamento. Se il DNA però è legato a delle proteine viene protetto dalla digestione da parte di questa nucleasi. Quando la cromatina derivante da cellule eucariotiche viene trattata per un breve periodo di tempo con la nucleasi micrococcica e il DNA viene estratto e analizzato mediante elettroforesi e successiva colorazione con bromuro di etidio, il pattern ritrovato sul gel è quello mostrato nella lane A. Il pattern mostrato nella lane B è il risultato di un trattamento più prolungato, mentre quello mostrato nella lane C deriva da un tempo
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Capitolo 12
di trattamento ancora maggiore. Interpretare questi risultati.
800 bp 600 bp 400 bp
200 bp 160 bp A
B
C
7. a. Quali lettere vengono utilizzate per rappresentare i bracci corti e lunghi di un cromosoma umano? b. Disegnare in maniera schematica un ipotetico cromosoma 3 che abbia 3 regioni con 2 bande ciascuna sul braccio corto e 5 regioni con 3 bande ciascuna sul braccio lungo. Etichettare i bracci, le regioni e le bande e indicare un gene in posizione 3p32. 8. In un cariotipo ad alta risoluzione delle 3 miliardi di paia di basi del genoma umano aploide sono visibili circa 2000 bande G. Se il genoma contiene circa 28 000 geni, quanti geni verrebbero rimossi da una delezione di DNA rilevabile tramite analisi del cariotipo? 9. Fornire degli esempi di eterocromatina costitutiva e facoltativa in: a. Drosophila
Il cromosoma eucariotico
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b. Assumendo che queste mutazioni Su(var) ed E(var) siano alleli a perdita di funzione dei geni corrispondenti, che tipo di proteine pensate siano codificate da questi geni? 12. Nella figura che segue, i geni A e B sono localizzati sul cromosoma X umano (in blu) e sono entrambi soggetti al processo di inattivazione dell’X, mentre i geni C e D sono localizzati sul cromosoma 17 (un autosoma; in rosso). F e S si riferiscono agli alleli codificanti per delle forme delle proteine corrispondenti che in un gel elettroforetico migrano rispettivamente in maniera più veloce (fast) e più lenta (slow). Donna 1 XIC AF
BF
CF
DF
AS
BS
CS
DS
AF
BF
CF
DF
AS
BS
CS
DS
XIC Donna 2 XIC
Donna 3 XIC AF
DS
CS
BF
b. Esseri umani 10. Degli scienziati hanno recentemente costruito un transgene che esprime una forma mutante dell’istone H3 di Drosophila in cui la lisina 27, posizionata sulla coda dell’istone, è stata sostituita con una metionina (H3K27M). L’espressione del transgene H3K27M porta a uno sviluppo aberrante dei moscerini della frutta a causa di un’espressione inappropriata di diversi geni. Spiegare questa scoperta. 11. I genetisti di Drosophila hanno isolato molte mutazioni che modificano l’effetto di posizione variegato. I soppressori della variegazione [Su(var)], dominanti, causano un’inattivazione meno frequente dei geni portati vicino a regioni di eterocromatina da riarrangiamenti cromosomici; gli enhancer della variegazione [E(var)], dominanti, causano, invece, un’inattivazione più frequente di tali geni. a. Che effetti avrebbe ciascuno dei due tipi di mutazioni sull’effetto di posizione variegato del gene white di Drosophila? (Gli occhi sarebbero, cioè, più rossi o più bianchi?)
AS
BS
CF
DF
XIC
Indicare, per le donne 2 e 3, tutte le possibili forme delle quattro proteine che potrebbero essere espresse in cloni derivanti da singole cellule somatiche diverse che presentano un corpo di Barr. (Per esempio, alcuni cloni della donna sana 1 potrebbero esprimere le proteine AF, BF, CF, CS, DF e DS, mentre altri cloni potrebbero esprimere le proteine AS, BS, CF, CS, DF e DS. Nessuno dei cloni della donna 1 dovrebbe produrre sia la forma lenta sia quella veloce delle proteine A o B.) La donna 2 è eterozigote per una delezione di XIC. La donna 3 è eterozigote per una traslocazione reciproca in cui parti del cromosoma X e del cromosoma 17 si sono scambiate di posto. 13. Alcuni scienziati ipotizzano che nelle femmine della specie umana sia attivo solamente un cro-
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Parte IV I geni viaggiano sui cromosomi
mosoma X perché un gene autosomico specifica una quantità sufficiente di proteina repressore per impedire la trascrizione del gene Xist su un solo cromosoma X. Per confermare la loro ipotesi, i ricercatori stanno cercando di identificare il gene autosomico che codifica per il repressore. In un esperimento, i ricercatori hanno studiato i cariotipi di feti femminili derivati da aborti spontanei, le cui cellule mostravano un corpo di Barr. Le cellule di molti di questi feti contenevano un autosoma aggiuntivo, il che ne spiega l’aborto spontaneo. a. L’unico autosoma che nei feti femminili non presentava mai la copia aggiuntiva era il cromosoma 19. Gli scienziati hanno interpretato questa scoperta con il fatto che il repressore di Xist localizzi su questo autosoma. Spiegare il loro ragionamento. b. Tra i feti di sesso femminile con un solo corpo di Barr, i ricercatori ne hanno trovati molti le cui cellule contenevano una copia extra solo di una parte del cromosoma 19. Descrivere come i ricercatori hanno usato questi campioni per determinare che il gene che codifica per il repressore trascrizionale di Xist è contenuto all’interno di una regione di 8 Mb del cromosoma 19. c. Uno dei misteri della biologia umana è che, in tutto il mondo, nascono più maschi che femmine: il rapporto di nascita maschi:femmine è 1,05 : 1,0. Gli scienziati pensano che il processo di inattivazione del cromosoma X possa avere qualcosa a che fare con questo “eccesso” di maschi. Spiegare. 14. Nell’introduzione di questo capitolo abbiamo discusso della gatta Rainbow e del suo clone CC. Entrambi i gatti sono tabby (la loro pelliccia colorata ha un motivo screziato) ed entrambi hanno regioni bianche, principalmente sul ventre e sulle gambe. Esiste, tuttavia, una grande differenza nel loro aspetto. Rainbow è un tabby calico; presenta macchie nere e arancioni controllate dagli alleli del gene X-linked O, dove il carattere dominante è nero (O–) e il carattere recessivo è arancione (oo). Il clone di Rainbow, CC, invece, è un tabby nero; le mancano le macchie arancioni. Il clone CC è stato ottenuto trasferendo in un ovocita enucleato un singolo nucleo di una delle cellule somatiche diploidi di Rainbow. Quell’ovocita diploide, che simula un ovulo fecondato, è stato poi impiantato nell’utero di una madre surrogata. (Il processo di clonazione riproduttiva mediante il trasferimento del nucleo di cellule
somatiche sarà descritto più dettagliatamente nel Capitolo 20.) a. Qual è il genotipo di Rainbow (e di CC) per quanto riguarda il gene O? b. Dato che CC è stata clonata da un singolo nucleo di una cellula somatica di Rainbow, spiegare le differenze tra l’aspetto di Rainbow e quello di CC. c. Ogni clone di Rainbow sarebbe un tabby nero come CC o esistono altre possibilità? È possibile che qualcuno dei cloni di Rainbow possa assomigliare esattamente a Rainbow? d. Supponiamo che anche CC venga clonato. Che tipo di colori del mantello vi aspettereste di vedere nei suoi cloni? 15. Il genoma umano contiene circa 3 miliardi di coppie di basi. Durante la prima divisione cellulare successiva alla fecondazione di un embrione umano la fase S dura circa 3 ore. Assumendo una velocità media della DNA polimerasi per l’intera fase S di 50 nucleotidi aggiunti al secondo, qual è il numero minimo di origini di replicazione che vi aspettereste di trovare nel genoma umano? 16. Nei primi stadi embrionali di D. melanogaster le divisioni cellulari mitotiche avvengono in tempi rapidi (ogni 8 minuti). a. Se ci fosse un’origine di replicazione bidirezionale nel mezzo di ogni cromosoma, quanti nucleotidi al secondo dovrebbero essere aggiunti dalla DNA polimerasi per replicare tutto il DNA del cromosoma più lungo (66 Mb) negli 8 minuti di divisione mitotica? (Assumere che la replicazione avvenga durante l’intero ciclo di divisione cellulare). b. In realtà, durante le prime divisioni embrionali di Drosophila, su ogni cromosoma sono attive molte origini di replicazione, distanziate tra loro di circa 7 kb. Calcolare, con lo stesso assunto fatto nella parte (a), il tasso medio (al secondo) con il quale la DNA polimerasi aggiunge nucleotidi complementari al filamento in allungamento. 17. In un esperimento pubblicato nel 2014 sulla rivista Cell, Amnon Koren e Steven McCarroll hanno isolato due popolazioni di cellule in coltura da due individui non imparentati provenienti da due parti del mondo diverse. Una popolazione di ogni individuo era costituita da milioni di cellule che si trovavano nella fase G1 del ciclo cellulare; l’altra popolazione era un numero simile di cellule che, invece, erano in fase S. Gli scienziati hanno quindi
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Capitolo 12
©Amnon Koren, Dept. of Molecular Biology and Genetics, Cornell University
eseguito, su queste popolazioni cellulari, un’analisi di sequenziamento del DNA ad alto rendimento. I due grafici che seguono mostrano i dati ricavati dai due individui. In ogni grafico nell’asse x è rappresentata la posizione sul cromosoma (in questo caso il cromosoma 8), mentre sull’asse y è rappresentato il rapporto tra il numero di read ottenute da una data regione del genoma del campione in fase S e il numero di read ottenute dalla stessa regione del genoma del campione in fase G1. Ogni piccolo punto viola rappresenta 2 kb lungo il cromosoma; la linea nera costituisce la media dei punti viola.
30
35
40 45 50 55 Coordinate sul cromosoma 8 (Mb)
60
30
35
40 45 50 55 Coordinate sul cromosoma 8 (Mb)
60
a. Il valore sull’asse y della coordinata 33 Mb è molto più alto rispetto alla coordinata 35 Mb. Cosa ci dice questo dato sui tempi di replicazione del DNA in queste due posizioni? b. Gli scienziati non hanno ancora compreso qual è la natura delle sequenze di DNA o delle strutture della cromatina che definiscono le origini di replicazione nelle cellule umane. Se steste provando a localizzare queste origini di replicazione, dove porreste la vostra attenzione?
19.
20.
21.
c. Supponete di aver condotto un esperimento simile utilizzando due popolazioni con lo stesso numero di cellule, una in G2 e una in G1. Se rappresentaste graficamente i dati in maniera simile, con l’asse y che rappresenta il rapporto tra il numero di read ottenute dalla popolazione in G2 e il numero di read ottenute dalla popolazione in G1, come apparirebbe il grafico? d. I pattern di questi due individui sono quasi gli stessi, anche se loro non sono assolutamente parenti. Cosa suggerisce questo fatto? 18. a. Quali sequenze del DNA si ritrovano a livello dei telomeri dei cromosomi umani? b. Che funzioni svolgono telomerasi e shelterin, i due complessi associati ai telomeri?
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c. Da dove pensate che derivi la componente a RNA della telomerasi? d. Spiegare come la componente a RNA della telomerasi possa agire sia come stampo sia come primer per la sintesi del DNA. a. Topi ingegnerizzati per bloccare l’espressione del gene codificante per la telomerasi invecchiano molto più velocemente del normale e hanno una minore aspettativa di vita. Quando in questi topi viene ripristinata l’espressione della telomerasi, molti degli effetti negativi di questo invecchiamento precoce vengono rapidamente e drasticamente attenuati. Fornire una possibile spiegazione a questi risultati. b. I risultati di questi esperimenti hanno portato i ricercatori a proporre che trattamenti che portassero alla sovraespressione del gene telomerasi potessero funzionare come “fonte della giovinezza”, determinando un’inversione del processo di invecchiamento. Perché pensate che dovremmo essere cauti con questo tipo di trattamenti? L’argomentazione della risposta a questa domanda dovrebbe contenere il perché per gli organismi pluricellulari può risultare vantaggioso il fatto che la maggior parte delle cellule somatiche non esprima la telomerasi. a. Cosa vedreste se in un’analisi FISH utilizzaste come sonda un DNA contenente molte copie della sequenza 3 AATCCC 5? b. Che sequenza del DNA usereste come sonda per rilevare un’estremità di un cromosoma specifico in un’analisi FISH? Se steste confrontando i due telomeri indicati in ogni voce della lista che segue, in quali casi vi aspettereste che i due telomeri abbiano sempre lo stesso numero di ripetizioni TTAGGG? a. Un telomero è a un’estremità di un cromosoma, mentre l’altro telomero è a un’estremità di un cromosoma non omologo. b. Un telomero è a un’estremità di un cromosoma, mentre l’altro telomero è all’estremità corrispondente del cromosoma omologo. c. Un telomero è a un’estremità di un cromosoma, mentre l’altro telomero è all’altra estremità dello stesso cromosoma. d. Un telomero è a un’estremità di un cromatidio, mentre l’altro telomero è all’estremità corrispondente del cromatidio fratello. Una caratteristica distintiva delle cellule cancerose è la loro capacità di dividersi in maniera indefinita, al contrario della maggior parte delle cel-
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lule somatiche normali che va incontro a senescenza dopo 30-50 generazioni di divisioni. Abbiamo visto in questo capitolo che una delle ragioni di questa differenza è che molte cellule cancerose esprimono l’enzima telomerasi che può mediare l’allungamento dei telomeri. È interessante notare che circa il 15% dei tumori non esprime la telomerasi; questi tumori, al contrario, utilizzano un meccanismo alternativo per allungare i telomeri dei loro cromosomi. Le cellule tumorali appartenenti a questa seconda classe sembrano avere telomeri con lunghezze molto diverse tra loro; alcuni telomeri, infatti, presentano molte più ripetizioni TTAGGG di altri. a. Rappresentare un evento che coinvolga la ricombinazione omologa che permetta ai telomeri di queste cellule di allungarsi. Quale/i caratteristica/he dei telomeri rende possibile questo evento di ricombinazione omologa? b. Questo evento di ricombinazione deve verificarsi tra telomeri omologhi (telomeri, cioè, dello stesso braccio dello stesso cromosoma)? Se questa ricombinazione potesse verificarsi tra telomeri non omologhi, come potreste rilevarla? c. Quasi tutte le cellule che attuano il meccanismo alternativo di allungamento dei telomeri presentano i cosiddetti t-circles: piccole molecole di DNA circolare costituito quasi esclusivamente di sequenze telomeriche. Indicare come questi t-circles potrebbero essere coinvolti nell’allungamento telomerico. 23. a. Quali sequenze di DNA vengono comunemente ritrovate a livello delle regioni centromeriche umane? b. Quali funzioni svolgono coesina e cinetocore, i due complessi associati al centromero, nella meccanica dei cromosomi? 24. Nei grafici presentati nel Problema 17 si può notare come non siano disponibili dati per la regione compresa tra le coordinate “44” e “47” del cromosoma 8. A quale porzione del cromosoma potrebbe corrispondere questa regione? (Suggerimento: rimane difficile per i software assemblare sequenze di DNA ottenute da regioni contenenti grandi quantità di DNA ripetuto.) 25. La proteina Rec8 è una subunità del complesso coesina che normalmente viene prodotta soltanto durante la meiosi; essa sostituisce la proteina viola del complesso coesina associato alla mitosi mostrato in Figura 12.27. Rec8 non viene tagliata in meiosi I, ma all’inizio della meiosi II, così da permettere ai cromatidi fratelli di segregare durante
l’anafase II. Gli scienziati ipotizzano che una proteina (shugoshin) protegga la proteina Rec8 dal taglio e dalla degradazione durante la meiosi I. Per identificare shugoshin, i ricercatori hanno prima espresso la proteina Rec8 in cellule di lievito che si dividevano per mitosi. In queste cellule Rec8 veniva tagliata durante la mitosi, senza comportare alcun effetto dannoso alle cellule. I ricercatori hanno quindi espresso in queste stesse cellule (che producono Rec8 e si dividono per mitosi) altre proteine, normalmente specifiche per la meiosi. Gli scienziati sono stati a questo punto in grado di identificare in shugoshin la proteina che protegge Rec8 dalla degradazione. Che effetto pensate abbia avuto l’espressione di shugoshin su queste cellule esprimenti Rec8 (e che si dividono per mitosi)? Che fenotipo avrebbero mostrato queste cellule? 26. Nell’immagine che segue ogni linea rappresenta una molecola di DNA a doppio filamento.
a. Che tipo di divisione cellulare è rappresentata in figura? Quali fasi di tale divisione cellulare sono mostrate nelle due porzioni dell’immagine? Qual è la relazione tra le linee con la stessa tonalità di blu? E tra le linee con tonalità diverse? b. Le coesine si associano ai cromosomi subito dopo la fase S. Le coesine si localizzano principalmente a livello dei centromeri, ma alcuni complessi si ritrovano anche lungo i bracci del cromosoma. Indicare, in una copia della figura, la distribuzione dei complessi di coesina lungo i cromosomi, distinguendo tra coesine associate ai centromeri e coesine lungo i bracci. Rappresentare anche come le coesine tengono insieme le molecole di DNA. c. Osservate attentamente il vostro disegno. Cosa mantiene insieme tutte le linee blu a livello della piastra metafasica in questo tipo di divisione cellulare, anche se i cinetocori vengono tirati in direzioni opposte dai microtubuli? d. Cosa è inoltre possibile dedurre sulla funzione di shugoshin durante il tipo di divisione cellulare raffigurato? Qual è il nome dell’enzima la cui azione viene bloccata da shugoshin? Qual è la funzione di questo enzima? 27. Negli anni ‘20 Barbara McClintock, futuro premio Nobel per la scoperta degli elementi trasponibili,
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Capitolo 12
analizzò il comportamento dei cromosomi in cellule di grano sottoposte a raggi X. McClintock notò che i raggi X producevano rotture cromosomiche durante la fase G1 e che in seguito alla successiva replicazione cromosomica durante la fase S, le estremità rotte dei due cromatidi fratelli potevano unirsi per creare un cromosoma di fusione più grande dell’originale. Nelle fasi successive, durante la metafase mitotica e all’inizio dell’anafase mitotica, i cromatidi fratelli uniti formavano, inoltre, un’insolita struttura a ponte in cui la cromatina veniva tirata tra i due poli del fuso e poteva quindi incontro a rottura. McClintock chiamò questo fenomeno ciclo rottura-fusione-ponte. Le fotografie che seguono mostrano due cellule all’inizio dell’anafase mitotica che presentano questi “ponti cromatinici”.
10 μ
©Marin-Morales, São Paulo State University (UNESP), VenturaCamargo BC, Maltempi PPP, Marin-Morales MA (2011), “The use of the cytogenetic to identify mechanisms of action of an azo dye in Allium cepa meristematic cells,” J Environment Analytic Toxicol, 1:109. doi:10.4172/2161-0525.1000109
a. Cosa assicura che le estremità dei cromosomi normali non si fondino insieme, come invece accade alle estremità dei cromatidi fratelli in seguito a rottura? b. La figura che segue mostra un cromosoma con i geni da A a G; la freccia indica il punto di rottura indotto dai raggi X. Disegnare il ponte che si viene a creare (ovvero il cromosoma di fusione) così come apparirebbe in anafase mitotica e indicare tutti i geni e le strutture cromosomiche importanti contenute dal ponte. Utilizzare le frecce per mostrare le forze esercitate dai microtubuli del fuso sul ponte. A
B
C
D
E
F
G
c. Se i cromatidi fratelli si fondono, perché durante la mitosi il cromosoma di fusione si comporta come un ponte? [Pensare alle forze esercitate sul ponte descritte nella risposta alla parte (b).] d. Cosa è probabile che accada al ponte durante l’anafase mitotica? Cosa è probabile che avvenga nelle due cellule figlie prodotte dalla mitosi appena descritta? E perché? (Suggerimento: il nome dato da McClintock a questo fenomeno implica che esso sia un ciclo.)
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28. Fornire almeno un esempio di una struttura o di una funzione cromosomica influenzata dai meccanismi di modulazione della struttura cromatinica elencati di seguito. a. Modifiche post-traduzionali degli istoni del nucleosoma b. Nucleosomi costituiti da varianti istoniche codificate da geni particolari 29. La sindrome di Cornelia de Lange (CdLS, dall’inglese Cornelia de Lange Syndrome) è una malattia umana rara causata da una mutazione dominante a perdita di funzione in uno di almeno cinque geni che codificano per componenti o regolatori del complesso coesina. Gli individui con la CdLS mostrano un ampio range di anomalie morfologiche, ritardo nella crescita e disturbo mentale. Da analisi su pazienti CdLS è emerso che oltre a un’errata segregazione dei cromosomi durante la divisione cellulare, il fenotipo associato alla malattia è probabilmente causato da una complessiva regolazione dell’espressione genica alterata durante lo sviluppo. La coesina potrebbe svolgere un ruolo nell’organizzazione delle anse della cromatina necessario a una corretta regolazione della trascrizione. a. Mentre in una famiglia la CdLS mostra un pattern di ereditarietà autosomico dominante, in un’altra famiglia il pattern è dominante X-linked. Come è possibile? b. Spiegare come è possibile che un allele a perdita di funzione di un gene codificante una proteina coesina possa essere dominante rispetto alla controparte wild-type. c. La CdLS è solitamente causata dall’insorgenza di nuove mutazioni in un gamete di uno dei due genitori. Perché? 30. a. Fornire almeno tre esempi di tipi di mutazioni che potrebbero compromettere il processo di segregazione dei cromosomi durante la mitosi. Spiegare, cioè, in quale strutture del DNA o nei geni di quali proteine è possibile ritrovare queste mutazioni che compromettono la segregazione cromosomica. b. Come potreste usare i cromosomi artificiali di lievito (YAC) per identificare queste mutazioni in S. cerevisiae? 31. Al plasmide batterico circolare pBR322 sono stati aggiunti alcuni elementi derivati dal lievito. Cellule di lievito che presentavano una mutazione ura3-, e che richiedevano quindi uracile per la crescita (cellule Ura-), sono state trasformate con questi
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plasmidi modificati e le colonie Ura+ sono state selezionate mediante crescita in terreni privi di uracile. Per i plasmidi contenenti gli elementi indicati nei punti da (a) a (c), indicare se si prevede che il plasmide si integri in un cromosoma per ricombinazione o se venga, invece, mantenuto separatamente come plasmide. Se il plasmide venisse mantenuto separatamente, dal momento in cui non vengono più selezionate le cellule Ura+ (cioè quando le cellule di lievito vengono coltivate in terreni contenenti uracile), esso viene ereditato stabilmente da tutte le cellule figlie delle generazioni successive? a. Gene URA3+ b. Gene URA3+, ARS c. Gene URA3+, ARS, CEN (centromero) d. Cosa sarebbe necessario aggiungere per far sì che queste sequenze vengano mantenute stabilmente nelle cellule di lievito come cromosoma artificiale lineare? 32. Un frammento di DNA contenente la sequenza centromerica di lievito è stato clonato in un plasmide ARS TRP1+, YRp7, con l’obiettivo di far diventare questo plasmide molto stabile dal punto di vista mitotico (il plasmide, cioè, viene trasmesso, durante le varie divisioni mitotiche, a ogni cellula figlia). Per analizzare il risultato i ricercatori hanno trasformato cellule di lievito trp1- con il plasmide YRp7 che includeva il DNA centromerico. Il saggio per la stabilità mitotica consiste nel far crescere queste cellule in assenza di triptofano (in assenza, quindi, di una selezione per il plasmide) per 20 generazioni e poi determinare la percentuale di cellule che riescono a formare colonie Trp+ in quanto il plasmide viene mantenuto dalle cellule. Volete ora identificare la regione del frammento clonato che conteneva il DNA centromerico. Per far questo tagliate il frammento iniziale in pezzi più piccoli, ri-clonate questi pezzi nel plasmide YRp7 e lo testate per la stabilità mitotica. Basandovi sulla mappa che segue e sui risultati del saggio di stabilità mitotica, dove è localizzato il DNA centromerico? (Sulla mappa, B, H e S fanno riferimento ai siti di riconoscimento di tre differenti enzimi di restrizione; i numeri rappresentano le dimensioni in kb dei frammenti di restrizione.) B
3,5
H
B
2,0 1,0
S
0,6 S
Risultati del saggio di stabilità mitotica Plasmide
Percentuale di colonie Trp+ dopo 20 generazioni
YRp7 YRp7 + 5,5 kb BamHI (B) YRp7 + 3,5 kb BamHI-HindIII (H)
0,9 68,1 0,5
YRp7 + 2,0 kb BamHI-HindIII YRp7 + 0,6 kb Sau3AI (S) YRp7 + 1,0 kb HindIII-Sau3AI
80,3 76,2 0,7
33. Il cromosoma di lievito sintetico Syn III contiene un sito loxP nella 3 UTR di ogni gene potenzialmente non essenziale per la sopravvivenza del lievito. Come ricorderete dal Capitolo 5, i siti loxP sono bersagli di ricombinazione sito-specifica. I ricercatori che hanno costruito Syn III hanno incluso questi siti loxP in modo da poter “rimescolare” il cromosoma, il che significa che parti del cromosoma potrebbero essere facilmente eliminate o riarrangiate. L’obiettivo di tutto questo è quello di guidare l’evoluzione di Syn III in modo da definire un genoma minimo che possa supportare la vita di questo organismo. Descrivere l’esperimento che i ricercatori farebbero per “rimescolare” Syn III al fine di definire un genoma minimo. 34. Si ricorderà che gli scienziati hanno generato un ceppo di lievito con un cromosoma gigante che contiene tutti i geni presenti nei 16 cromosomi del lievito normale. Quando il lievito con il cromosoma gigante e il lievito normale con i 16 cromosomi vengono fatti incrociare (si fondono), le cellule di lievito diploidi risultanti sono vitali e possono crescere (dividersi) correttamente, sebbene a volte si verifichino degli errori nella segregazione dei cromosomi durante la mitosi. Da queste cellule diploidi, tuttavia, non viene prodotta nessuna spora vitale (prodotto della meiosi). Per spiegare questi risultati pensare a quanto segue. a. Rappresentare graficamente la mitosi nelle cellule diploidi per mostrare come queste cellule possano dividersi in maniera vegetativa. b. Cosa richiede una spora di lievito, dal punto di vista genetico, per essere vitale? c. Nelle cellule diploidi descritte, i cromosomi omologi potrebbero appaiarsi durante la meiosi I? d. Si verificherebbe il crossing-over durante la meiosi I in queste cellule diploidi? e. Basandovi sulle risposte date nelle parti (b), (c) e (d), perché credete che queste cellule diploidi non producano spore vitali?
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