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0,50 + 0,50 Voce ai giovani numero 45 - Anno 13 - Sabato 8 Novembre 2014 Copia omaggio se distribuita al di fuori delle edicole

settimanale d’informazione del Mezzogiorno d’Europa

CALABRIA

Voce ai giovani Calabria, la speranza è tra i banchi www. mezzoeuro.it

Banca Brutia, la cacciata del socio ribelle

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Sabato 8 Novembre 2014

Mezzoeuro Enigmi democratici

E se Renzi fa il bidone a Oliverio? Forse è stata un tantino forzata "l'annunciazione" della visita del premier per il 21, a chiusura della campagna elettorale Le incognite non mancano... Fonti autorevoli, ancorché legittimate a pretendere di rimanere anonime, riferiscono che Ernesto Magorno ha un po’ forzato nella serata di ieri ad annunciare che Matteo Renzi verrà venerdì 21 a chiudere in Calabria la campagna elettorale di Mario Oliverio. Non c’è una nota, una virgola, un respiro da Palazzo Chigi che va in questa direzione. La stessa fonte, che è sempre autorevole come prima, riferisce di un’intenzione generale del premier di non rimanere estraneo alle consultazioni regionali di domenica 23. Emilia Romagna e Calabria potrebbero portare a casa due vittorie ma da qui a immaginare che corrisponderanno anche a due brindisi di Matteo Renzi ce ne corre. Forse nemmeno uno. Matteo Renzi

Mezzoeuro Fondato da Franco Martelli

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In Emilia la vittoria è scontata, ci mancherebbe altro. Semmai c’è da sistemare un partito perché negli ultimi tempi, come dimostra il dato d’affluenza alle primarie, l’entusiasmo è mancato. In Calabria qualcuno arriva a ipotizzare che Renzi sia rimasto spesso combattuto tra il desiderio recondito di veder perdere Oliverio (così da mandare a casa con un sospiro tutta una vecchia classe dirigente impostando liste tutte di suo gradimento per le imminenti elezioni politiche) e il timore che però una sconfitta è sempre una sconfitta, vista da un segretario nazionale. Da qui l’amore scolorito per queste competizioni di novembre, in generale, e per quella calabrese in particolare. Quelle classiche situazioni dove, come va va, non è mai festa. Se si vince c’è sempre l’Emilia disamorata da riconquistare e la Calabria con Nicola Adamo e Agazio Loiero dietro le quinte di Oliverio, tanto per dirne solo due di nomi. Se si perde è comunque una cifra a debito sul conto corrente di un segretario che ha altre cose a cui pensare. È in questo clima che va letta quella frase perfida di Renzi che aprendo l’ultima direzione del Pd fa gli auguri a Giuseppe Falcomatà saltando a piè pari la competizione di Oliverio, visto che di Mezzogiorno si stava parlando. Un terreno viscido questo, per il premier. Qulunque sia l’angolazione da cui lo si osserva. Sospeso tra il dovere di metterci la faccia, sia pure con un tutore di protezione, e la voglia matta di lasciare fottere le elezioni del 23 Matteo Renzi, questo riferisce la nostra fonte, si sarebbe lasciato scappare che chiuderà nello stesso giorno le campagne elettorali di Emilia e Calabria. Ma c’è un retroscena. Renzi, probabilmente, aveva messo in agenda solo una toccatina in Emilia, visto che in Calabria verranno nei prossimi giorni Lotti e Boschi. Poi pressato in qualche modo sull’argomento Calabria, e visto e considerato che aveva già rinviato la visita di venerdì scorso a Reggio Calabria, ha fatto filtrare in qualche modo la notizia che sarebbe venuto a chiudere anche la campagna di Oliverio. O meglio, così ha lasciato intendere a chi voleva intendere questo e cioè al segretario regionale Ernesto Magorno. Al quale non è parso vero di farsi da depositario dell’annuncio della visita il 21, in qualche modo anche riabilitandosi ai masismi livelli dopo un periodo non certo brillante. Però ha forzato e non poco la mano ed è sempre la nostra “fonte” a nutrire più di un dubbio sul fatto che Renzi poi verrà veramente. In scaletta, questa sì ufficiale, Renzi ha messo l’assemblea nazionale del Pd a Reggio il 13 dicembre. Nella sua agenda basta e avanza questa di tappa per marcare visita in Calabria. Poi qualcosa deve aver mischiato un po’ le carte ma non al punto da poterci mettere la mano sul fuoco sulla visita del 21. Tutt’altro. Sullo sfondo non poche ombre. A cominciare da una Cgil regionale che ha fatto filtrare propositi decisamente bellicosi per il 13 diMario Oliverio cembre, giorno in cui Renzi ci sarà di sicuro in Calabria. Come dire che basta e avanza una di incursione calabrese con celerini e caschi blu dell’Onu tra uova, disoccupati a bloccare tutte le strade più altre ed eventuali. E poi c’è un’altra “informativa” un po’ più politica che Renzi sa bene di trovarsi addebitata da queste parti. Fuda, Zavettieri e Enzo Sculco il servizio d’ordine si guarderà bene dal non farli trovare sul palco con lui e Oliverio, se dovesse venire il 21. Ma saranno lì sotto, a un metro. Come a un metro troverà Loiero, Adamo, Bova, se non del tutto Pino Gentile. Già, Pino Gentile, questo rischia di essere il nervo più scoperto della cavalcata elettorale. Qualcuno deve aver garantito al granitico esponente dell’Ncd che ne uscirà almeno con una presidenza del consiglio regionale, dopo la vittoria di Oliverio. Questi probabilmente erano i patti conosciuti anche a Roma. Anche Renzi questi dettagli li conosce bene. E sa anche meglio che certe pratiche scomode è bene che se le sbrighino sul posto, tra conterranei. Lo straniero è sempre straniero, un impegno improcastinabile può sempre sopraggiungere...

La rubrica “Il legno storto” di Franco Crispini è temporaneamente sospesa


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Sabato 8 Novembre 2014

Il “tonno” trova la sua scatola Sale la tensione sul lavoro

Ora Delrio ha paura L’incognita del voto sospeso

Graziano Delrio ha convocato anche i cinque prefetti calabresi per il 12 a Roma. Il tema è caldo, caldissimo. C’è da mettere attorno allo stesso tavolo le parti sociali con al centro la riforma del Job Acts, la cosiddetta riforma del lavoro. E siccome sono stati convocati anche i prefetti la ragione può essere solo quella: c’è paura, grande paura per quello che può succedere e che negli annunci della Cgil è stato possibile solo intuirlo. Per il 13 di dicembre la Cgil in Calabria, in coincidenza della venuta certa del premier che terrà a Reggio l’assemblea nazionale del Pd, ha comunicato che andranno in scena proteste eclatanti mai viste prima. La cosa non dev’essere sfuggita a Delrio che deve aver fatto due più due con alcuni retroscena che raccontano di Susanna Camusso ideologa di una protesta generale, persino violenta, sul lavoro con location proprio in Calabria. Del resto qui dalle nostre parti materia da ardere sul fuoco della rabbia non manca di certo.

Perché l'industriale preferisce gareggiare per la Ferro Ci sono i renziani endemici, quelli che lo sono nel sangue anche prima che venisse alla luce il vangelo di Matteo. E ci sono quelli della cosiddetta primissima o prima ora. Poi quelli in progress, quelli acquisiti, quelli che non ne possono fare a meno, quelli che sennò hanno paura, quelli che devono salire sul carro per fame o disperazione. C’è tutto questo dipinto di umanità, prima e dopo Renzi, così come prima e dopo un “avvento” qualsiasi. È così che va sempre, va bene tutto. L’importante, però, è saper distinguere il sole dall’ombra che fa. La luce dallo specchio, il fuoco dal fumo. E i “renziani” da Matteo Renzi in carne e ossa. Un conto sono i seguaci, un altro è Renzi. Pippo Callipo, detto il “re del tonno”, non ha mai avuto bisogno di iscriversi a nessuna delle correnti di riflesso, nemmeno a quelle ad personam. Non ha neanche avuto bisogno se è per questo di bussare alla porta di un gendarme o colonnello del renzismo, né qui né a Roma. È stato, è, forse lo è da sempre, magari ancora lo sarà chissà per quanto un estimatore in forma diretta di Matteo Renzi in persona. Del suo dinamismo, della sua forma non mediata di intervenire nelle e sulle cose. Del suo fulmineo rapporto che intrattiene tra la causa e gli effetti di un problema. Come è noto Renzi, questo almeno comunica, non organizza convegni analitici sulle ferite del Paese. Si presenta in tv con il cerotto e le pillole, direttamente. Piaccia o no è questo il suo messaggio. Pippo Callipo, se è possibile essere “renziani” in qualità di estimatori di Matteo Renzi, ovviamente lo è nella misura in cui è da anni (almeno dieci) che chiede solo soluzioni pratiche e immediate ai drammatici problemi che affliggono la Calabria. C’è un particolare in più che ha sospinto la pubblicistica locale in questi mesi a collocare Pippo Callipo piuttosto vicino alle idee del premier (sbagliando poi però a collocarlo a “sinistra”, come fossero ancora accettabili e presentabili categorie del genere): Renzi è entrato col macete nel dibattito pubblico offrendo lo scalpo della rottamazione, del “giù il sipario” sulla vecchia classe dirigente. Anche questo, forse soprattutto questo, Pippo Callipo lo va ripetendo dalle nostre parti da almeno dieci anni. Da quando, da presidente di Confindustria, duellava con Peppino Chiaravalloti boicottando riunioni e vertici, li riteneva inutili perché il “palazzo” viaggiava comunque su altri canali, su altri “affari” che non fossero i problemi quotidiani di imprese e fa-

Il lavoro, quel poco che c’è, è precario nella misura in cui è l’unico disponibile. Il resto, come è noto, non ha neanche quello. Ed è tensione tra Cgil e Pd perché proprio in Calabria può succedere di tutto sul piano della tenuta sociale. Mario Oliverio, il candidato alla presidenza per il Pd, non risponde alla Cgil. Si smarca, prova a stare in mezzo ma non soddisfa le richieste del sindacato. Non vuole fare un torno al suo partito ma sa che questo è un argomento assai delicato. L’incognita del voto “fantasma” del precari è del resto corposa. È una percentuale altissima di aventi diritto al voto che se sommata ai disoccupati diventa la maggioranza del corpo elettorale. La sensazione questa volta è che questa rabbia difficilmente sarà raccolta in facili promesse elettorali, specie poi se praticate da volti conosciuti della politica calabrese. Sarà più dura stavolta aggirare l’ostacolo per i marpioni della politica conterranea. Può succedere di tutto, con buona pace dei sondaggi “portatili”...

Se (anche) Pippo sceglie Wanda Pippo Callipo e Wanda Ferro

miglie. Se qualcuno si sente di dire, a posteriori, che sbagliava a non incontrare Chiaravalloti alzi pure la mano. Altro giro altra corsa e Pippo sempre lì, a rompere le scatole. Arriva Agazio Loiero, la musica non cambia per il “re del tonno”. La regnanza non va bene nel suo complesso, va cambiato il “palazzo” con i suoi governanti, non basta tinteggiarlo di un altro colore ogni cinque anni. Se qualcuno si sente di dire, a posteriori, che sbagliava a non amare Agazio Loiero alzi pure la mano. Finché, Pippo, non decide di correre da solo nel 2010 contro il “palazzo”. Prende il 10%, stiamo parlando di centomila voti, più o meno. Il necessario per far perdere del tutto Agazio che ha avuto persino il coraggio di riprovarci contro Peppe Scopelliti. Il resto è storia recente. Pippo non si innamora, come è noto, nemmeno di Peppe e nemmeno delle primarie del Pd ad ogni costo. Ad un certo punto “minaccia” di candidarsi ancora, poi ci ripensa, le omonimie in diminutio non lo convincono. Continua però a confidare in Renzi, quello in carne e ossa. Si appella a lui dalle pagine dei quotidiani locali e nazionali. Matteo fai qualcosa, solo tu puoi. Occhio alle primarie, fai in modo che non si ricicli nella cordata Oliverio “l’usato sicuro” della Calabria. Niente, risposte non ne arrivano. Pippo è così convinto di riuscire a smuovere le acque che comincia, a primarie consumate, a ospitare a Maierato, dove ha sede la sua azienda, prima Mario Oliverio e poi Wanda Ferro. Stessa cortesia, stessa ospitalità. La stampa sbanda, lo affida persino

in quota Oliverio a un certo punto. Mai inganno mediatico più effimero di questo c’è stato. Arriva il giorno, anzi la notte, delle liste e soprattutto i nomi e i cognomi che stanno dietro a Oliverio e Ferro. Pippo sa leggere, oltreché rinchiudere filetti di tonno in scatola esportandoli in tutto il mondo (quello in vetro è ancora più buono). E sa leggere soprattutto tra le righe. Capisce bene che dietro le 8 liste del candidato del centrosinistra si nascondono nomi e volti e curriculum che lui ha contrastato una vita. Da qui l’appoggio a Wanda Ferro. Pubblico, evidente, sorridente. Dice perché ne ha intuito il programma e lo ha commisurato alla linearità della persona. Può darsi. Certamente può darsi. Ma come non riconoscere un ruolo in tutto questo ai nomi dei vecchi marpioni che si nascondono dietro le liste di Oliverio. E così Callipo continua a fare il “renziano” (cioè estimatore per definizione di Matteo Renzi) pur sostenendo apertamente Wanda Ferro. Deve aver riconosciuto in questa candidatura delle coordinate non differenti da quelle che intravede a livello nazionale. E trattandosi dell’industriale più noto tra i conterranei, in passato anche generoso verso le campagne di Renzi in giro per l’Italia, il tutto deve nascondere un significato e una portata che vanno al di là della semplice investitura estemporanea. Poi da qui a pensare che sotto sotto lacrime Matteo Renzi non ne verserà se dovesse perdere Mario Oliverio ce ne corre. Non sappiamo quanto ma ce ne corre...

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Mezzoeuro L’altra faccia del Pd

Oliverio non si accontenti di vincere

Non perda mai di vista i più deboli Giovanni Manoccio, non si offenda nessun altro degli attori in campo in cerca di gloria, è l’ideogramma in carne e ossa “dell’altra politica”. Quella che non si è mai vista o che di certo ha fatto fatica a farsi strada fin qui. Non ti viene neanche voglia di chiedergli per chi corre, quale sigla, per non dire partito. Tira fuori dalla giacca foto con bimbi di colore portati per mano tra le strade del suo paese di lingua albanofona, Acquaformosa, o di nonni “trascinati” sugli scuolabus e poi in classe a salvare la scuola dall’estinzione. Dopo dieci anni a fare il sindaco con la fascia tricolore anche un po’ di traverso tra le colline di Acquaformosa oggi Manoccio corre per un seggio al consiglio regionale nella lista “Democratici Progressisti”, con Mario Oliverio presidente. «Ho deciso di passare la mano - dice- anche se la legge mi avrebbe consentito di continuare ancora a fare il sindaco. Voglio entrare nell’Astronave dei calabresi, voglio spendermi dove conta di più. Ovviamente, e chi conosce la mia storia lo sa, lo voglio fare a esclusivo beneficio dei più deboli, di chi se la passa peggio». Ci arriviamo al futuro, Manoccio. Impossibile però non partire dalla cronistoria del sindaco che porta i nonni a scuola... «Ho portato letteralmente tra i banchi gli anziani, i nonnetti del paese. Sia quelli cosiddetti non alfabetizzati che quelli “di ritorno”, che hanno smarrito negli anni i dettami essenziali». Perché lo ha fatto? «Quell’anno, parliamo del 2008, la riforma Gelmini aveva stabilito che ogni plesso scolastico, per essere tale e riconoscersi così come istituto autonomo, doveva avere almeno 50 iscritti. Non ci arrivavamo, il paese è quello che è. Decisi allora di proporre l’iscrizione ai nonni, agli anziani, andando a prenderli a casa con lo scuolabus offrendo loro un servizio e nello stesso tempo offrendolo ai ragazzi che in mancanza della loro iscrizione avrebbero perso il plesso scolastico del paese. Andò benissimo, fu un trionfo. Quelle immagini, quelle foto degli anziani sullo scuolabus e tra i banchi fecero il giro d’Italia. Ricordo gli speciali sulle reti nazionali con i servizi di Annarosa Macrì, gli inviti a “Domenica In” con Pippo Baudo e alla trasmissione di Frizzi. E poi il docufilm “Per chi suona la campanella” andato in onda nel settembre del 2009 nella rassegna “Doc 3” e presentato in rassegne cinematografiche di rilevanza nazionale. Fu un’immagine eccezionale quella per il paese di Acquaformosa, la solidarietà generazionale che s’incrocia con le regole di “sopravvivenza” dell’istruzione. I vecchietti che permettono la sopravvivenza della scuola in paese andando tra i banchi, uno scenario eroico». Scorrendo l’album poi c’è da dire dei guantoni che ha incrociato con la Lega... «Durissima battaglia quella contro la Lega, ma leale. Risale al 2009 il nostro decalogo delle buone prassi proprio contro gli slogan più diffusi e più “antisemiti” del partito che allora era saldamente di Bossi. Il corpo a corpo più duro lo ingaggiammo con il ministro dell’Agricoltura Zaia, oggi presidente della Regione Veneto. Pensammo di rispondere colpo su colpo agli slogan populisti e propagandistici della Lega ma non ribattendo con altro fango, con altro male ma coniugando ironia con socialità. In quel tempo la Lega andava predicando una sorta di chiusura delle frontiere agli insegnanti meridionali, come è noto costretti all’emigrazione settentrionale in mancanza di cattedre disponibili al Sud. Ci furono momenti di forte tensione ma non scendemmo mai al lo-

L'augurio è di Giovanni Manoccio ex sindaco di Acquaformosa, oggi candidato al consiglio regionale per la lista "Democratici progressisti". Una vita al servizio dei disagi più "sinistri", sotto i riflettori della ribalta nazionale per le illuminanti politiche sull'integrazione e l'accoglienza Ha portato i nonni a scuola per salvare il plesso del paese, non teme mai di andare controcorrente. «Vinceremo, ma questo non vuol dire niente se poi non saremo capaci di mettere in campo un'azione politica rivoluzionaria. Il nuovo presidente deve stare dalla parte di chi soffre, questa è la sfida» Renziano ma non col pallino della rottamazione a tutti i costi Manoccio ha appoggiato Gianluca Callipo alle primarie Lo rifarebbe? «Certo che lo rifarei, altro è poi se mi chiede se Gianluca era il candidato ideale per vincere...». Inciuci con il cosiddetto terzo polo? «Per carità. Auguro a Pino Gentile di diventare il capogruppo dell'opposizione...»

ro livello. Certo, con il decalogo delle buone prassi, ci esponemmo e molto contro le ideologie assurde della Lega e fu per questo che proclamammo, per così dire, Acquaformosa paese “deleghistizzato”, con tanto di targa in pergamena. Acquaformosa icona di quel tempo contro l’antisemitismo nazionale della Lega al punto che Zaia mi invitò a purificarmi nelle sacre acque del Po...» Ci andò? «Manco per sogno. Gli risposi che non c’era bisogno di salire fino a lì, abbiamo tanti bei fiumi limpidi in Calabria dove immergersi per bagnarsi di sana umiltà. Poi s’è messa la natura di mezzo a smorzare i toni, naturalmente offrendoci anche la possibilità di mostrare al Paese intero quando fosse di sostanza e di cuore la nostra battaglia. Arrivò l’alluvione del Veneto, messo in ginocchio. Acquaformosa si rese disponibile come comunità a una raccolta di fondi, una colletta, per aiutare quelle popolazioni. Io per primo, come sindaco, rinunciai all’indennità mettendola al servizio della colletta. Il gesto fu forte, specie se rapportato alle frizioni precedenti tanto che “il Fatto” lo riprese con grande evidenza esaltando la generosità verso il profondo Nord da parte di un piccolissimo comune della Calabria, peraltro “deleghestizzato”». Sicché arriva poi la parentesi forse più circondata delle altre dalla cornice di gloria, Acquaformosa modello nazionale di accoglienza e integrazione... «Un’esperienza incredibile per tutti noi. Nel 2010 prese il via il progetto Sprar, un bando ministeriale. Ci parteciparono 105 comuni in tutta Italia. Senza entrare troppo nel dettaglio analitico, che può risultare noioso, le dico brevemente che si tratta di un classico cofinanziamento tra ente locale e Stato. I comuni dovevano rispondere del 20%, il ministero dell’80%. Gli enti piccoli, senza liquidità in cassa come il nostro, mettendo a disposizione beni e servizi e quindi utenze in conto capitale. Funziona così. Secondo la convenzione di Dublino tu, comunità, puoi accogliere chi vuoi ma per trasformare un clandestino qualsiasi del Mediterraneo in un uomo o donna appartenente allo stato di diritto di quella nazione devi fornirgli corsi di alfabetizzazione, viste mediche, l’iter per la cittadinanza. Ovviamente, questo prevedeva il bando vinto poi da Acquaformosa, anche vitto e alloggio. È il cosiddetto metodo sociale, che ha delle cifre dietro, dei numeri». Quali? «Lo Stato corrisponde 25 euro al giorno per ogni extracomunitario che accogli. 2,50 euro sono strettamente per loro, per il telefono o altri servizi. Tutto il resto è in quota loro ma utilizzato da un’associazione, assegnataria dell’incarico da parte del Comune, che li spende per assisterli nel corso di


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Sabato 8 Novembre 2014

L’altra faccia del Pd tutte le giornate. Vengono così distribuite monete sociali, banconote vere e proprie che abbiamo coniato per gli extracomunitari ospiti di Acquaformosa. Li spendono nel circuito da noi individuato per mangiare, dormire, istruirsi. Alla fine del giro le banconote virtuali si trasformano in soldi per i fornitori di servizi ma è tutto trasparente, certificato. A conti fatti, su ogni 100 euro che lo Stato dà per l’accoglienza, 95 restano sul territorio. Altro che accoglienza come spreco di risorse. Tutto, ma proprio tutto, resta sul posto come indotto. A partire dall’associazione, la committente, che ha 25 dipendenti. Passando per le case prese in fitto per far dormire gli ospiti, le salumerie e trattorie del posto, le farmacie, le edicole. Abbiamo iniziato con due famiglie di immigrati, oggi in paese ci sono 80 ospiti. Siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto. In termini di generosità, di influenza sociale, anche di economia da indotto diretto se così possiamo dire. Il cuore di Acquaformosa, la generosità, la lungimiranza e perché no, anche un ritorno in termini di lavoro». Metodo sociale e battaglie per i più deboli. Ma sul piano più strettamente amministrativo ricorda qualcosa in particolare di questi dieci anni da sindaco? «Lo uso molto meno, quello amministrativo, come elemento di risonanza nel senso che a me piace soprattutto essere ricordato per le incidenze sul sociale ma non è che non ci si è distinti anche sul piano amministrativo. Tutt’altro. Basti pensare alla battaglia ingaggiata due anni fa contro la Tares. Ho guidato io il coordinamento dei sindaci. Acquaformosa, poi, è stato uno dei pochi comuni che non ha applicato l’Imu così come, nel lontano ormai 2005, il paese da me guidato è stato tra i primi a far operare ai cittadini la raccolta differenziata. Vede io penso che il rispetto delle regole ai cittadini viene molto più facile chiederlo quando si ha il coraggio di opporsi, con civiltà, alle vessazioni inique come appunto Tares e Imu. Così come, viene più facile chiederlo, quando si distribuisce il concetto che una cosa è bene farla non per le casse o la longevità di un Comune ma per il bene della socialità, della comunità, come nel caso della differenziata. Ho sempre operato così nel senso che per me l’amministrazione della cosa pubblica altro non è che una responsabilità all’ennesima potenza. Fai solo quello, da sindaco o da presidente di Provincia o Regione, che ti piacerebbe venisse fatto da un altro con te da cittadino a fare da spettatore interessato. L’amministratore deve usare se stesso come metro di giudizio ma non in quanto politico ma in quanto cittadino, semplice. Che deve buttare la spazzatura e pagare le tasse». Arriviamo alla nuova sfida, la battaglia per entrare in consiglio. Certo tutto si può dire tranne che lei sia un “nuovo” in politica... «Non sono nuovo alla politica, anche nel senso più partitico del termine se è per questo. Da questo punto di vista mi autodefinisco rottamabile se usiamo solo il senso anagrafico della partecipazione. Non lo sono affatto invece, rottamabile, se ci si confronta con la freschezza delle idee e la loro socialità. Sono sempre stato dalla parte dei più deboli, dalla parte di quelli con meno garanzie». Ha sempre militato a sinistra? «Nasco come militante di Democrazia proletaria. Poi Ds, poi Pd. Non sono mai stato comunista, cioè iscritto al Partito comunista». Il suo rapporto con la Regione fin qui, intesa come istituzione? «Sempre moderatamente pessimo. Nel senso che è stato conflittuale ma con garbo, con rispetto delle istituzioni. Pensi che in questi anni ho persino chiesto asilo politico alla Regione Basilicata, questo per dirle quanto e in che modo mi sia sentito rappresentato da quella calabrese». Il ricordo più conflittuale? «Con Peppe Scopelliti, un presidente per caso, co-

In alto il “Decalogo delle buone maniere” contro la Lega In basso, da destra, Giovanni Manoccio; la carta moneta sociale usata dagli immigrati ad Acquaformaosa Sopra, gli anziani in classe per salvare la scuola

sì mi piace ricordarlo. Solo una particolare coincidenza tra degrado delle istituzioni, quello dei partiti e dell’eticità pubblica insieme a un trasversalismo affaristico tra destra e sinistra ha consentito a Scopelliti di diventare governatore. Lui c’ha messo del suo nel senso che ha aggiunto una strafottenza e un’arrogante prepotenza che difficilmente troveremo in altri presidenti da qui al resto del regionalismo. Con lui mi sono fortemente scontrato in occasione della protesta dei lavoratori precari, gli lsu e lpu. È arrivato tardi, strafottente, supponente quel giorno a una riunione. Non voleva quel tavolo di discussione quel giorno alla Regione. Non voleva quel casino sotto, quei precari, a protestare. Ricordo che ci siamo beccati assai, anche in termini poco raccontabili sulla stampa. Io difendevo quella gente, è toccato a me poi affacciarmi dalla finestra e placare cinquemila anime incazzate. Ho provato io a spiegarmi per tutti in qualità di amministratore». Perché solo lei? E gli altri dell’opposizione? «No, ricordo che non sono stato aiutato da nessuno quel giorno, proprio da nessuno. Tutti, ma proprio tutti, ossequiosi e direi timorosi dello strapotere di Scopelliti. Anche i rappresentanti e gli esponenti dell’opposizione, Pd compreso». Ma allora lei in questi anni non s’è sentito rappresentato dai consiglieri regionali del Pd? «No, non mi sono

mai sentito rappresentato in questi anni dai consiglieri regionali del Pd. La loro opposizione a Scopelliti è stata troppo timida secondo me, timorosa. Sospetta. Mai uno scatto, mai un’idea. Mai una vera presa di posizione a difesa dei più deboli. Solo giochi di palazzo insomma». Disappunto e disamore fino all’innamoramento con il renzismo... «Divento renziano, sì. Ma non nel senso di adulazione del capo ma nel senso di avvento innovatore dentro un partito che è nato vecchio, stanco, fin dal concepimento dal notaio». Ha avuto incroci folgoranti con Renzi? «Ho avuto contatti con Lotti e con Delrio, gli ho esposto il mio progetto sull’accoglienza ad Acquaformosa. Gli è piaciuto molto». Alle primarie per la presidenza ha appoggiato Gianluca Callipo... «Sì, ho appoggiato Gianluca Calipo alle primarie e rivendico quella scelta, anche a posteriori. Altro è poi se mi chiede se Gianluca Callipo fosse in quel momento, per noi cosiddetti renziani di Calabria, la scelta migliore per battere Oliverio...». Glielo chiedo infatti... «Ecco, appunto. Passiamo ad un’altra domanda, di riserva». Che campagna elettorale è questa? «Complessivamente spenta, sottotraccia. C’è grande paura di toccare i temi forti, quelli dell’economia e del lavoro perché si teme di non avere, nessuno, numeri e carte in mano per incidere davvero. Il quadro complessivo, nazionale e comunitario, è pesantissimo». E chi vincerà secondo lei? «Il centrosinistra e Mario Oliverio hanno già la vittoria in tasca. Per una serie di ragioni, anche al di là dei nostri meriti, mi sento di dire che questa è una competizione elettorale dall’esito scontato e dico questo ben sapendo che Wanda Ferro è persona tenace e combattiva e non priva di valori. Ma lo scenario complessivo, congiunturale della politica contemporanea, porta da Mario Oliverio». E cosa chiede a Mario Oliverio, il presidente Mario Oliverio a questo punto, visto che lei dà la vittoria certa? «Più che chiedere auguro a Mario Oliverio di operare avendo in mente soprattutto gli ultimi. Gli chiedo di mettersi dalla parte della povera gente. Ha una lunghissima carriera politica alle spalle, oggi può lasciare il segno definitivamente. Non si faccia ricordare per un presidente come un altro. Metta mano alle diseguaglianze sociali. Questa è la sfida, sennò non serve a niente vincere le elezioni». Senta Manoccio, lei parla di battaglie per i più deboli ma qui si parla già in anteprima di inciuci il giorno dopo il voto con l’Ncd... «Io di inciuci e di retrobottega dei partiti non ne voglio neanche sentire parlare. Auguro a Pino Gentile, visto che mi ha chiesto di lui sostanzialmente, di diventare il capogruppo dell’opposizione. Niente altro e guardi che non è poco di questi tempi. Glielo auguro di cuore, un po’ di opposizione sana non gli farà del male. Ma nulla di più...». E a lei stesso cosa augura? «Guardi che per me essere qui, a competere, è già una gran cosa. Per me che sono partito da un paesino di mille abitanti è già una grande vittoria». Domenico Martelli

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Sabato 8 Novembre 2014

Giochi di prestigio Tra rilevamenti e cene renziane

Il mistero del sondaggio “portatile” Il punto non è chi è in vantaggio né, ovviamente, di quanto. E non sconcerta nemmeno tanto poi il fatto che a molto meno di un mese dalle urne non si potrebbero pubblicare intenzioni di voto, secondo la vecchia regola che vuole non suggestionabile il corpo elettorale, ammesso che lo sia. Il punto vero è in realtà un doppio punto, uno più inquietante dell’altro. Il primo lo mette a fuoco il coordinamento elettorale che sostiene Wanda Ferro. Se risponde al vero quanto racconta in una nota il comitato la società che ha raccolto le intenzioni di voto per conto de “il Quotidiano” (sondaggio che dà Oliverio avanti di venti punti) è notoriamente fallace, cagionevole. Si chiama “Chi Quadro” e, stando almeno agli elementi evidenziati dal coordinamento di Wanda Ferro, è una società che avrebbe sistematicamente sbagliato tutte le rilevazioni e pure di parecchio. Dalla debacle di Bersani, alla sottovalutazione di Grillo, al voto europeo decisamente sottostimato di Renzi a vantaggio di una tenuta di Scopelliti che poi clamorosamente non c’è stata. Insomma “Chi Quadro”, secondo il comitato elettorale di Wanda Ferro, sarebbe una patacca organizzata e recidiva nascosta sotto una parvenza di statistica. Ma allora, perché tutto questo e proprio ora? Cui prodest? Qui scatta il mistero del secondo punto che però si arricchisce di un malizioso retroscena che riferiamo solo per amor di cronaca, senza sottoscriverlo minimamente. A pensar male ci si può azzeccare, spesso no, è comunque meglio per tutti dar spazio anche ai pensieri più reconditi.

Come è noto la famiglia Dodaro non è, formalmente, più editrice del Quotidiano ma sostanzialmente ne controlla la stampa, cioè di fatto lo stampa, e la produzione giornalistica e redazionale, quantomeno per le pagine calabresi. Totò direbbe che “qui nessuno è fesso”, i Dodaro di fatto non hanno mollato poi il controllo del giornale. In gerenza sì, al tribunale e dal notaio sì. Su carta rotativa la musica è un’altra però, cioè sempre la stessa. Buon per loro, ovviamente. È stata una famiglia coraggiosa e va solo ringraziata, ha dato tanto all’editoria calabrese, un settore sempre in grandissima difficoltà. Ora si dà il caso che la più rampante dei fratelli, Antonella, ex amministratrice unica del Quotidiano, era l’altra sera alla cena organizzata a pagamento da Renzi per raccogliere fondi per il Pd. Poi da qui a pensare che ci sia un filo seriale tra questo evento, normale, e la pubblicazione il giorno dopo di un sondaggio che dà stravincente Mario Oliverio contro Wanda Ferro ce ne corre. È materia da retropensieri, uno dei tanti che circolano di questi tempi. E che cambiano, di giorno in giorno. Oggi tiene banco il sondaggio di “Chi Quadro”, che per la verità proprio cattivo con tutti non è stato. Assegna giusto giusto un 8% al terzo polo di Pino Gentile, appena in tempo per entrare in consiglio. Secondo l’istituto il gruppo si salva per un pelo, buon per loro. E poco importa se proprio in queste ore Gentile riconosce ufficialmente Mario Oliverio come unico (e indispensabile) interlocutore possibile. Dev’essere il sondaggio favorevole che ne ha accomunato il destino...

L’azzardo di Gentile nel silenzio dei “compagni”

in generale il cosiddetto terzo polo ha serie possibilità di non superare lo sbarramento dell’8%. Diciamo un fatto normale di questi tempi, nel resto del Paese sarebbe questa una sparizione come un’altra. Più difficile è invece “digerire” e metabolizzare la pillola in Calabria e nel Cosentino in particolare dove i fratelli Gentile godono ancora di un largo seguito. Ma sono rimasti in pochi a dar retta al progetto di Alfano. Certo il progetto originario era un altro, diciamo quello “in sicurezza” messo in qualche modo in cantiere nel corso della campagna elettorale di Mario Oliverio (e di Ernesto Magorno) per le primarie. Strizzarsi un occhio vicendevole nella conta interna al Pd del 5 ottobre prima di un abbraccio più corposo da stringersi a Roma, al cospetto di Guerini, Cesa e Alfano. Sappiamo come è andata.

Cari ragazzi, renziani della prima o dell’ultima ora, ex comunisti del quartiere Massa di Cosenza che poi è stato anche il mio (Nicola Adamo) o di Palla Palla di San Giovanni in Fiore (Mario Oliverio) pochi scherzi: noi, dico noi, non possiamo restare fuori dai giochi anche perché gli “accordi” non erano e non sono questi. Firmato Pino Gentile. C’è una sostanziale differenza quando mette due righe su carta Pino Gentile o quando invece lo fa, più spesso per la verità, il fratello senatore, Tonino. Nel senso che Pino non parla quasi mai, si vede anche meno all’interno del circo mediatico. I cultori della materia pubblicistica elettorale sono sempre rimasti affascinati dalla tecnica di Pino, sempre più voti che manifesti i suoi. Gli è solo bastato fin qui mettere nome e cognome sui muri, il resto è venuto da sé senza che fosse mai stato costretto a enunciare da un palco qualcosa da fare, chessò un intervento pubblico o una promessa. Niente di niente. Questo per dire che però quando parla, Pino, “parla” mentre invece il fratello senatore è più prospero e foriero di uscite mediatiche e si sa che più aumenta in percentuale il livello espositivo, specie se poco accompagnato da un robusto bagaglio di esperienze culturali, più si rischia di andare incontro a figure non brillanti.

Ma quando parla Pino “parla”

e nelle ultime ore ha “parlato”. Al più esperto e più dai neri capelli tra i candidati al consiglio regionale della Calabria non è cer-

Pino Gentile

to sfuggito il particolare che li riguarda di più, come famiglia, e che rischia di fare più male. Ncd e

A Mario Oliverio il Pd nazionale ha spiegato in ritardo, e male, come doveva avvenire la cosa sicché mentre Mario avrebbe preferito averli alleati in privato quelli del terzo polo, mantenendo pubblica invece la verginità della corsa, il Nazareno, a carte scoperte, puntava all’opposto. Ma col passare dei giorni, con i voti che si cominciano a contare quartiere per quartiere e soprattutto con il “si salvi chi può” che è scattato in tutte le liste Pinuzzu comincia a non vederci più chiaro. Ha in tasca una “cambiale” firmata da Oliverio e Adamo sul futuro, ma bisogna arrivarci al futuro. Qualcuno gli ha lasciato intendere che potrà fare l’assessore, Pino Gentile. Qualcun altro il presidente del consiglio regionale. Ma bisogna entrarci in consiglio, innanzitutto. Altra cosa, magari da escluso, può essere quella di venir chiamato a fare l’assessore esterno ma non si capisce allo stato che tornaconto può avere Oliverio a “onorare” quella cambiale con un pezzo grosso che però fa parte di un raggruppamento che non ha consiglieri. L’aria s’è fatta pesante e confusa, insomma. E se a questo si aggiunge che come sempre anche Pino Gentile insiste molto nella ricerca di consenso nel “pianeta sanità”, esattamente come stanno facendo altri pezzi grossi del Pd, il quadro diventa completo nel dipinto di rissa che s’è scatenata. Con buona pace delle “cambiali” firmate e da onorare.


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Mezzoeuro Le eccellenze per sperare

I ricercatori dell’Irccs identificano per la prima volta in Italia una rara condizione genetica per la malattia Il lavoro presentato al Congresso nazionale della Società Italiana di Medicina di laboratorio

Neuromed “tana” per il Parkinson Una forma rarissima di predisposizione genetica alla malattia di Parkinson è stata individuata, per la prima volta in una famiglia italiana, da un gruppo di ricercatori dell’Irccs Neuromed, di Pozzilli (Isernia), che hanno presentato i risultati del loro studio con una comunicazione orale al 28° Congresso nazionale della Società Italiana di Medicina di laboratorio, a Rimini. Le cause dello sviluppo della malattia di Parkinson non sono ancora del tutto chiare, ma si ritiene che la patologia sia il risultato di una interazione tra predisposizione genetica e fattori ambientali. In alcuni rari casi di Parkinson familiare, però, i fattori genetici diventano particolarmente importanti. Uno di questi casi è stato al centro della ricerca condotta dal Centro di Genetica molecolare dell’Irccs Neuromed e presentata al congresso da Veronica Albano e Rosa Campopiano, due delle autrici dello studio. I ricercatori molisani hanno puntato l’attenzione sul gene responsabile della produzione della alpha-sinucleina, una proteina che, in forma alterata, è fortemente implicata nel Parkinson. Osservando due pazienti, fratello e sorella, entrambi colpiti da una forma di Parkinson precoce, con inizio attorno ai 30 anni di età, i ricercatori hanno scoperto nel loro Dna una triplicazione del gene della alpha-sinucleina (Snca). «Si tratta - dice Stefano Gambardella, responsabile del Centro di Genetica molecolare - della prima famiglia italiana individuata in cui è presente una triplicazione del gene Snca, mentre a livello mondiale se ne conoscono meno di dieci. Le persone con questo assetto genetico tendono purtroppo a sviluppare il Parkinson molto precocemente, a differenza di quelle in cui il gene è solo duplicato. In altri termini, osserviamo un effetto legato proprio al numero di copie del gene Snca». «Questo studio - dice Edoardo Romoli, direttore sanitario dell’Irccs Neuromed - rappresenta l’essenza stessa della ricerca traslazionale, un concetto che è alla base dello spirito Neuromed. Non solo una ricerca che possa arrivare il prima pos-

sibile a portare benefici ai pazienti, ma anche una clinica, nella corsia dell’ospedale o negli ambulatori, che sia capace di osservare e porre quesiti ai ricercatori, per indirizzarli verso nuove strade ed arrivare ad una maggiore comprensione dei meccanismi più profondi delle patologie».

Il Neuromed ospita il Seminario

sulla gestione elettronica dei dati sanitari


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Sabato 8 Novembre 2014

Le eccellenze per sperare

Alcuni momenti del seminario Apra

Programma operativo regionale (Por), Fondo europeo di sviluppo regionale (Por Fesr) Molise 2007-2013. Un progetto volto allo sviluppo ed all’ampliamento delle tecnologie informatiche per la gestione di tutti i dati del paziente non solo nell’ambito ospedaliero, ma anche sul territorio. Una cartella clinica diffusa, che nasce in ospedale per diventare servizio più ampio, accessibile dal malato e dal suo medico di medicina generale, nonché portale per l’utilizzo dei servizi di assistenza da parte delle strutture pubbliche e di volontariato. Introdurranno l’incontro Mario Pietracupa, presidente della Fondazione Neuromed, e Gaspare Tocci, dirigente della Regione Molise. Le relazioni saranno tenute dai rappresentanti della Apra spa: Livio Grilli, presidente, Giorgio Fiordelmondo, capo del progetto Cartella clinica, Andrea Molesi, Francesca Mancini e gli sviluppatori della sede di Termoli.

A destra, dall’alto: l’intervento del presidente Grilli; il dottor Fiordelmondo illustra il progetto e-inclusion; il direttore sanitario Edoardo Romoli, Veronica Albano, Rosa Campopiano a Rimini

Anche la il settore sanitario deve fare i conti con la tecnologia, promuovendo iniziative e progetti che possano rendere i servizi più fruibili ai cittadini ma anche maggiormente organizzati per chi lavora in tale ambito. Se n’è parlato all’Irccs Neuromed di Pozzilli in occasione di un seminario sulla “cartella clinica dinamica: protezione,

condivisione, distribuzione dei dati della sanità”. Approfonditi temi rilevanti nel campo dell’informatizzazione in medicina, dalla sicurezza all’accessibilità alla distribuzione dei dati clinici e sanitari per pazienti e operatori. L’occasione per questo incontro viene dalla presentazione del progetto “e-inclusion”, realizzato dalla Apra spa di Jesi, con la sua sede di Termoli, e finanziato dalla Regione Molise nell’ambito del

«Siamo lieti di ospitare questo seminario promosso dall’Apra d’intesa con la Regione Molise - dichiara Pietracupa - La gestione dei dati sanitari e della loro accessibilità è un campo che si rivelerà decisivo nel determinare la qualità della vita dei malati. In questo, come in altri settori, Neuromed vuole essere luogo di dialogo e confronto sui temi generali dell’innovazione». Per Grilli, presidente dell’Apra, «si tratta di un’importante occasione per dimostrare la rilevanza degli investimenti pubblici in ricerca ed innovazione per la realizzazione di prodotti, quale la cartella e-inclusion, di indubbio interesse per la collettività».

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Sabato 8 Novembre 2014

Sussulto d’orgoglio di un cinghiale ferito di Oreste Parise

Esclusione socio ex art.14 dello Statuto. Questo l’oggetto di una raccomandata ricevuta da Sergio Melicchio qualche giorno fa. La chiusura è la rituale frase con la quale si vuole addolcire l’amaro di una comunicazione sgradita con uno zuccheroso “distinti saluti”, in grado di mandare in solluchero il malcapitato colpito da infausta notizia. In parole povere il destinatario della missiva è stato radiato dall’elenco dei soci della banca «in ragione del fatto che attraverso talune dichiarazioni di stampa del Vs institore, Sig. Sergio Melicchio, è stato recato danno alla scrivente Banca». Quello che è successo è molto semplice e lo ricordiamo per riannodare le fila del discorso, e dare un senso all’intera vicenda. La primavera scorsa si è tenuta l’Assemblea annuale per l’approvazione del bilancio in un forma insolitamente dimessa e senza molto clamore. Si potrebbe dire alla mucciuna, per adempiere ad un obbligo di legge, ma senza farlo sapere troppo in giro tanto che la sala era quasi completamente vuota e nel gelo e imbarazzo generale si è proceduto alle incombenze del caso, con la celerità che mal celava l’intenzione di non far sapere troppo in giro quale era la reale situazione dell’istituto. Un disastro, ovviamente, come è dimostrato dalla successiva breve storia che ne ha visto l’immediato commissariamento e l’affannosa ricerca di un volenteroso compratore che possa evitare la messa in stato di liquidazione. Espulso per indegnità, per infanticidio, avendo inferto un colpo mortale alla creatura che aveva contribuito a far nascere. I pochi presenti all’atto finale hanno evitato accuratamente commenti e osservazioni per non disturbare il moribondo, tanto che qualcuno benché sollecitato a fare qualche dichiarazione si è eclissato per evitare imbarazzi. Una scelta comprensibile benché censurabile sotto il profilo dell’opportunità, perché se in questa terra nessuno parla, le cose non possono che peggiorare. Ebbene, tra i presenti vi era il nostro exsocio che ha rilasciato una intervista al nostro settimanale in cui denunciava questa approvazione del bilancio in una clima cospirativo, in cui la preoccupazione maggiore era di fare in fretta e cummugliare tutto. Pur dispiaciuti per le conseguenze che gli sono piovute addosso, si può essere soddisfatti del fatto che almeno quelle parole hanno colto nel segno se hanno provocato una risposta così cruenta, e in secondo luogo che la stampa alla fin fine con tutti i suoi difetti può avere un ruolo se svolge il suo ruolo di critica e di denuncia. Occuparsi di un problema così marginale può sembrare inopportuno in un momento in cui la stessa banca vive un delicato momento di transizione verso un nuovo equilibrio dovendo percorrere un terreno accidentato e ricco di insidie, soprattutto per il suo personale. Tuttavia, alcune considerazioni sono necessarie per motivare la scelta di soffermarsi su questo episodio. In primo luogo è necessario riflettere sulle responsabilità. A chi attribuire la causa del cattivo andamento dell’istituto? A chi l’ha gestita, male evidentemente o chi ha cercato quanto meno di far conoscere la verità? È una domanda non da poco, poiché considerato il delicato ruolo di una banca e le conseguenze che il default si traduce in una grande tragedia collettiva, è necessaria la dovuta cautela. Ma fino a che punto

Distinti saluti

La cortesia dell’arroganza per liquidare una banca Quattro righe per liberarsi di un rompiscatole che pretende di capire qualcosa laddove non c'è più niente da capire Una relazione di qualche pagina piena di cifre e contestazioni per liquidare l'intera governance La Banca Brutia è arrivata al capolinea per colpa della crisi. E per colpa dell'inconsistenza di una classe dirigente che non ha saputo neanche separare il grano dal loglio

si può tacere e coprire le responsabilità di amministratori non all’altezza del compito loro assegnato? Non è facile trovare un equilibrio tra queste due opposte esigenze. In questo caso tuttavia, l’interrogativo non si doveva neanche porre, considerato lo stato in cui versava la banca. In secondo luogo, vi è una sorta di beffa del destino, considerando che una delle maggiori cause di debolezza della Banca Brutia è quella di non aver saputo utilizzare l’unico vero tesoro di cui disponeva: la sua compagine sociale che gli consentiva (o avrebbe potuto consentirgli) di aver un forte radicamento sul territorio e un rapporto privilegiato con una massa consistente di potenziali clienti. Al contrario, non è riuscita ad aprire neanche un conto a socio, e dare una motivazione per convincerli a privilegiare il “loro” istituto. Quale fosse la filosofia è chiaramente rivelata dalla cerimonia di celebrazione del primo anniversario dell’apertura della filiale di Rende, in una fredda umida e uggiosa serata dello scorso inverno. Solo qualche mese prima della débâcle, per intenderci. Fuori tutti i soci a dividersi i dolcetti preparati da loro stessi, cercando un rifugio dalla pioggia, senza neanche un goccio di acqua perché nessuno vi aveva pensato. Dentro nel salone la governance a sorseggiare bottiglie magnum di Veuve Cliquot e jéroboam di Dom Perignon, il tutto servito da un ricco catering di delikatessen e leckerbissen. Un rapporto tra baroni e servi della gleba, che richiamava alla memoria ben altre esperienze che non la cooperazioni e al solidarietà per lo sviluppo. Uno scialo non giustificato in un tempo di magra, ma ancor più deplorevole se manca il senso di socializzazione e di consolidamento del rapporto con i soci. Poteva essere una occasione anche quella, ma utilizzata in senso completamente contrario. Vi è un risvolto kafkiano nella vicenda. La tremenda punizione inflitta al reo di cotanto delitto si traduce in un inaspettato regalo. Con la messa in liquidazione della Banca, come sarà inevitabile considerate le condizioni in cui versa, tutti soci perderanno tutto il loro capitale, piccolo o grande che sia. L’unico a cui è dovuto un rimborso è proprio Sergio Melicchio, poiché essendo stato radiato da socio ha diritto alla restituzioni della quota a suo tempo versata! «Vi informiamo che, ai sensi dell’art. 15 dello Statuto Sociale, la somma riveniente dalla liquidazione delle azioni di Vs spettanza sarà liquidata dopo l’approvazione del bilancio al 31/12/2014», conclude la lettera. Quel bilancio non hanno neanche fatto in tempo ad approvarlo. Il vero danno lo subiranno i tanti che hanno creduto nel progetto e hanno investito i loro piccoli risparmi, che si volaterizzeranno per sempre. Nella maggior parte dei casi non si tratta di grandi somme, ma in un momento di acuta crisi, “ogni piccola zavurra auza fravica!”.

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Sabato 8 Novembre 2014

Una tonaca senza precedenti

Venerdì 14 novembre al Seminario di Rende verrà presentato il nuovo libro di Attilio Sabato prefazione di Pino Nano

Non è cosa facile raccontare la storia di un prete; lo è ancor meno se il sacerdote in questione è don Salvatore Nunnari, se non altro perché - così come scrive Attilio Sabato in questo suo libro da leggere tutto d'un fiato- siamo in presenza di una figura che con il suo impegno pastorale ha profondamente segnato la storia di una grande città come Reggio Calabria, e poi ancora da vescovo illuminato e pieno di carisma ha guidato, amministrato, controllato, influenzato, e ridisegnato, con grande equilibrio, ma anche con grande senso della modernità, la storia stessa della Chiesa meridionale degli ultimi decenni. E forse non sono neanche io la persona più adatta per commentare i contenuti di questo saggio sulla vita di questo pastore della Chiesa moderna, oggi arcivescovo della città di Cosenza e presidente della Conferenza episcopale calabra: più semplicemente, perché lo conosco da oltre 40 anni e, da quando l'ho incontrato per la prima volta nella mia vita non ho mai più smesso di interessarmi alle sue vicende e, soprattutto, non ho mai smesso di ammirarlo e di amarlo.

Don Salvatore Nunnari Cuore, testa e Croce Ero appena un ragazzo quando lo conobbi per la prima volta. Per me fu un incontro importante, che conservo ancora gelosamente tra le poche cose vere che mi sono ancora rimaste nel cuore. Accadde per caso, a Vibo Valentia, nel salone delle conferenze del hotel 501, e a presentarmelo fu l'allora presidente dei Giornalisti calabresi Raffaele Nicolò. Ricordo che l'occasione era solenne per i giornalisti calabresi perché di fatto nasceva, proprio allora ufficialmente, l'Ordine dei giornalisti della Calabria. Qualche anno più tardi lo ritrovai nello stesso posto, strana coincidenza, sempre a Vibo. Era un piovoso novembre del 1979, e in quei giorni, all'hotel 501, si celebrava il congresso regionale della Federazione nazionale della stampa. Un evento indimenticabile per noi giovani cronisti di allora: per la prima volta infatti in Calabria arrivarono da Roma i grandi nomi del giornalismo italiano. Al tavolo della presidenza sedevano insieme il vecchio segretario generale della Fnsi Luciano Ceschia, e quello che poco più tardi sarebbe diventato il suo giovane successore, Piero Agostini.

Bene, in quella sede, don Salvatore Nunnari, che allora era semplicemente ancora uno dei tanti giovani sacerdoti della città di Reggio Calabria e niente di più, diventò invece il vero grande protagonista di quell'assemblea sindacale. Era quello un congresso che nasceva tra mille spaccature diverse, con un pregiudizio di fondo pesantissimo da parte dei colleghi del Nord nei confronti di noi che vivevamo al Sud, e che don Salvatore invece, da solo, grazie ad un intervento che rimase memorabile nel tempo, riuscì nel cuore di una notte a riportare nell'alveo dell'unità e della ricomposizione plebiscitaria. Anche in quella occasione così delicata e così particolare, così inusuale come può esserlo un qualunque congresso sindacale, lui aveva fatto semplicemente e ancora una volta il prete. Sostanzialmente si era preso la briga di incontrare le tante anime del congresso, poi aveva riunito in una saletta riservata i vertici delle varie componenti sindacali, li aveva fatti sfogare per ore, e dopo avere a lungo mediato

e ragionato con ognuno di loro era riuscito a riportare le frange estreme del dibattito alla sintesi più efficace. Il risultato fu stupefacente. L'assemblea alla fine si convinse che aveva ragione "il prete", e alla unanimità si votò la risoluzione che lui stesso aveva messo su carta, senza se e senza ma, alle sue condizioni. Sacerdote e sindacalista insieme. Aveva vinto lui quella notte, grazie alla forza della parola, ma soprattutto per il grande carisma che già allora emanava. Come potrei non ricordarlo? Quando si confrontava con gli altri era un leone. Indomabile, austero, a tratti dal piglio anche felino. Lo ricordo protagonista in un altro memorabile congresso che la Fnsi tenne a Pescara, lui era seduto tra Luciano Ceschia e Walter Tobagi, come sempre elegantissimo, fasciato di nero, indossava un clergymen perfettamente cucito su misura su di lui, con questo suo incedere a tratti solenne, un portamento plateale, una stretta di mano che sembrava non

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Mezzoeuro Una tonaca senza precedenti

volersi staccare mai da te, una capacità di venirti incontro e di abbracciarti con un calore d'altri tempi, mai una parola fuori posto, mai un gesto di insofferenza, e poi soprattutto questa sua straordinaria capacità di guardarti negli occhi e di sorriderti, come se ti conoscesse da chissà quanto tempo, con una serenità che traspariva al di la di ogni immaginazione. Non saprei dire di più. Non vi nego che a momenti appariva anche arrogante, forse per via delle mille certezze che caratterialmente un sacerdote come lui sembrava portarsi in corpo. Ma già allora si coglieva con mano il fatto che da grande questo giovane sacerdote reggino di strada ne avrebbe fatta davvero tanta. Prima di quella notte nessuno dei presenti a quel congresso avrebbe mai potuto mettere in conto che don Salvatore Nunnari per i 25 anni successivi, sarebbe diventato punto di riferimento del mondo della Federazione nazionale della stampa italiana, chiamato soprattutto a rappresentare le varie anime inquiete del giornalismo meridionale. Per 25 lunghi anni, dunque, questo sacerdote così cocciuto e così caparbio è stato di fatto anche uno dei sindacalisti più agguerriti e più influenti del mondo del giornalismo italiano. Naturalmente, come tale: amato, odiato, ammirato, additato, emulato, seguito, inseguito, contestato, criticato. Insomma, chi pro chi contro, ma è quello che normalmente accade nella vita di ogni vero grande leader politico e di un qualunque protagonista del dibattito nazionale. In Calabria non sempre Raffaele Nicolò, che era il presidente dei Giornalisti calabresi del tempo, sopportava le sue "certezze", o condivideva le sue analisi, ma il carisma e il peso delle sue argomentazioni erano tali che persino un uomo come Nicolò, difficile scontroso e spigoloso come solo lui sapeva esserlo, non poteva che sopportarlo, accettarlo, subirlo, soprattutto seguirlo. Non so se si può dire, io ci provo: Raffaele Nicolò era il braccio armato di questa nuova corporazione di giornalisti che nasceva allora da queste parti, caratteristica questa che conservò gelosamente fino alla fine dei suoi giorni. Salvatore Nunnari, invece, era l'icona calabrese per antonomasia, figura di alto profilo morale, sacerdote di una modestia senza pari, personaggio ideale da esportare oltre confine e a cui affidare il difficile compito, a volte anche ingrato, di parlare in pubblico per tutti noi, e di rappresentare ufficialmente la stampa calabrese. Un legame questo tra i due che andrà avanti per tutta la vita.

Attilio Sabato racconta qui

in maniera diretta ed efficacissima devo dire, la storia avvincente e per certi versi anche straordinaria di un pastore della chiesa che è stato molto più di un sacerdote, e il cui segno indelebile rimarrà certamente per molto tempo ancora, anche dopo la sua morte. L'amore viscerale per la città calabrese dello Stretto don Salvatore se lo porta da sempre dietro come un'ombra. Non c'è un solo momento della vita di Reggio Calabria, difficile o turbolento, o anche più semplicemente normale e ordinario, che non abbia avuto don Salvatore Nunnari come suo diretto protagonista. Fu soprattutto così anche nei famosi "giorni della rivolta", quando per strada, questo giovane sacerdote lavorava giorno e notte per riportare tra i giovani che stavano sulle barricate la serenità necessaria perché la protesta non sfociasse nella violenza. In questo libro la sua figura di "prete tra la gente" la si coglie in maniera nettissima. Attilio Sabato ci racconta la storia di un prete che al mattino si sveglia e corre per strada tra i ragazzi del suo quartiere, ma questa sua è anche la storia di un vescovo influente che, spedito in Irpinia a ge-

stire il dopo-terremoto, qualche mese più tardi torna a Roma, corre in Vaticano, e la prima cosa che fa sarà quella di andare a raccontare al Cardinale Re, suo vecchio amico di sempre, dei "suoi ragazzi" di Gebbione che a Reggio nel frattempo erano cresciuti e avevano fatto carriera politica. E'davvero molto "delicato" il passaggio che Attilio riserva ai rapporti tra don Salvatore e l'ex sindaco di Reggio Calabria, Peppe Scopelliti. Non lo votò come sindaco, ma don Salvatore confessa qui di averlo visto crescere, di avergli voluto bene, di aver tifato per lui quando giocava a basket, di aver creduto nella sua buona fede e nella sua forte passione politica. Confessa anche di averlo votato invece come presidente della Regione, perché immaginava che quel "ragazzo pieno di vita" potesse cambiare le cose, e ricorda soprattutto di averlo messo in guardia in tempi non sospetti dalle mille insidie della politica. E la mafia? O meglio, la 'ndrangheta? Memorabili le sue omelie in tutti questi anni contro lo strapotere delle cosche. Attilio non poteva non parlarne nel suo libro, soprattutto dopo l'ultimo viaggio di Papa Francesco a Cassano, e dopo la scomunica lanciata dal Pontefice dalla spianata di Sibari ai "mafiosi della terra". Accanto a Papa Francesco e a mons. Nunzio Galantino, straordinario regista di quella giornata, c'era anche lui don Salvatore, che a Sibari accoglie il Papa in nome dei vescovi dell'intera regione e porta a lui il saluto di tutti i sacerdoti calabresi. Giornata storica per la Calabria. Attilio Sabato lo racconta con grande efficacia. I momenti più difficili incominciano per don Salvatore nel giorno in cui Papa Giovanni Paolo II lo manda in Irpinia come nuovo vescovo della diocesi di Sant'Angelo dei Lombardi. L'idea di dover lasciare Reggio da un giorno all'altro lo manda profondamente in crisi. Don Salvatore arriva a Sant'Angelo dei Lombardi e si sente solo, si ritrova lontano da tutto, non riesce più a riposare, soprattutto non dorme per mesi. Confida la sua

profonda malinconia al suo vecchio amico Italo Falcomatà, allora sindaco di Reggio, storia la loro di un rapporto solidissimo condito da una dolcezza estrema e da un affetto senza tempo. Ma don Salvatore sa che non può più tirarsi indietro. In questo libro, devo dire, si coglie per intero la grande spiritualità che pervase la sua vita sulla montagna di Nusco. Quando poi fu il momento di ritornare in Calabria, lui in Irpinia aveva praticamente fatto tutto quello che era immaginabile fare: aveva finalmente riaperto la cattedrale, aveva rimesso a posto decine di chiese, aveva rianimato decine e decine di parrocchie diverse, aveva ricostruito una Casa per ragazzi disabili, e aveva soprattutto aperto una casa per donne in difficoltà, e tutto questo confidando solo nella Provvidenza divina. Ma neanche in Calabria avrà vita facile. A Cosenza l'arcivescovo trova insidie reali. Prima, lo scandalo dell'istituto Papa Giovanni XXIII. Poi, la complessa vicenda di padre Fedele Bisceglie. Contro di lui riceve dalla Santa Romana Chiesa una decisione durissima, pesante, impopolare in città: padre Fedele viene sospeso a divinis dagli organi superiori. Non deve essere stato facile per l'arcivescovo eseguire gli ordini impartiti dalla Santa Sede. Io stesso ricordo di aver preso allora le distanze da quella scelta così forte, mi sembrava una scelta assolutamente ingiusta, pensavo fosse invece indispensabile aspettare prima l'esito del processo. Alla fine però mi resi conto che il compito del vescovo era anche quello di assumersi la responsabilità di decisioni scomode, anche se arrivate e imposte direttamente dalla Santa Sede. Il saggio di Attilio ricostruisce quella fase e questa vicenda così ancora poco chiara con estrema attenzione ed equilibrio, soprattutto con grande serenità di giudizio. Lo diranno solo gli anni che


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Una tonaca senza precedenti

ling con Eva "la rossa"? Perché cedere di fronte all'intelligenza e al fascino di questa giovane intellettuale di sinistra? Qui l'arcivescovo supera se stesso, e spiega senza mezzi termini che "Un vescovo non può non parlare con la gente, non può non incontrare il suo popolo, e soprattutto non può assolutamente ignorare i rappresentanti istituzionali di una città così importante come Cosenza". E come d'incanto, ecco che la Cosenza politica, la Cosenza borghese, la Cosenza laica, esulta e riceve il vescovo in Municipio con tutti gli onori del caso.

Pino Nano e Attilio Sabato A sinistra, il giornalista Rai insieme a monsignor Nunnari

verranno forse con maggiore certezza cosa realmente è successo sia a Serra d'Aiello sia tra le mura dell'Oasi Francescana: ma per quanto riguarda l'Oasi Francescana il dato storico assolutamente innegabile e incontestabile è che padre Fedele, nonostante tutto e a giudizio unanime, era riuscito a realizzare a Cosenza una straordinaria icona della misericordia divina e della solidarietà umana. Due nomi per tutti mi tornano qui alla mente, leggendo le pagine di questo libro. Il primo, quello di Franco Corbelli, instancabile e inarrestabile leader del Movimento Diritti civili. Il secondo, è quello di uno straordinario radiologo cosentino, il dottor Giovanni Perri. Dico Franco Corbelli, perché è certamente responsabile quanto tutti noi di aver raccontato negli anni con la passione del tifoso, come solo Franco sa fare, le vicende umane e professionali del francescano-medico, e di aver contribuito e di aver fatto di tutto insieme a noi perché le sue mille missioni in Africa avessero pieno successo. Dico Giovanni Perri, per un altro motivo semplicissimo. Giovanni, forse ancora meglio e più di Franco, lo ha seguito personalmente più volte in Africa, per portare insieme a lui una montagna di medicinali ai bambini che laggiù morivano ancora di malattie "banali" per il mondo occidentale. Quello che è realmente successo dopo, e che in qualche modo viene fuori dalle carte del processo conta molto di meno, e dalle pagine di questo saggio tutto questo lo si coglie con grande nitidezza. Ora la sentenza della Corte di Cassazione ci conferma che fu una vicenda assolutamente poco chiara, un giornalista di razza come Paride Leporace parla senza peli sulla lingua di una "colonna infame", troppi dub-

L'autore racconta in maniera diretta ed efficacissima la storia avvincente e straordinaria di un pastore della Chiesa che è stato molto più di un sacerdote, una storia fatta di cuore e di emozioni forti, vissute senza rete e mai taciute bi insomma sulla serietà di quell'indagine, poche certezze, mille sospetti, tanta violenza inutile, soprattutto tantissimo fango mediatico. Ma in questo noi cronisti siamo bravi. Non sarà quello di Fedele né il primo né l'ultimo caso. Attilio Sabato affronta le due diverse questioni, il Papa Giovanni XXIII e padre Fedele, con il bisturi, ricostruendo senza censura e senza nessun tipo di mediazione le due vicende insieme, raccontando e spiegando straordinariamente bene del grande il travaglio di un vescovo alle prese con problemi e scelte così difficili da affrontare. Ma non solo questo. Il rapporto con lo stesso mondo della politica a Cosenza, per don Salvatore, fu complicatissimo. Il clima non è certamente quello a cui era abituato a Reggio. Arrivato a Cosenza il sindaco, una giovanissima Eva Catizone, una vera e propria puledra di razza di quella stagione politica, all'inizio lo ignora. Poi le cose cambiano, il rapporto tra i due alla fine si ricompone. Ma era proprio indispensabile recuperare questo fee-

La verità è che don Salvatore è un fiume in piena. Tutta la sua vita è stata così, una vera e propria macchina da guerra, un sacerdote geniale che non si ferma mai e davanti a niente. Quando Attilio scrive che lui vive "inseguendo il cuore e non sempre la ragione", da di lui il ritratto più autentico. Il capo dei Vescovi calabresi, vi assicuro, è lo stesso Salvatore che rivediamo nelle immagini su Youtube, quando balla la tarantella con un gruppo di pellegrini a Paola, e lo fa con una disinvoltura e una passione fisica così coinvolgente che fanno di lui un campione di straordinaria umanità. O ancora di più: quando la prima settimana di settembre di ogni anno a Reggio lui sfila precedendo la statua e l'effige della Madonna della Consolazione, davanti a centinaia di portatori, che lo chiamano per nome, perché lo considerano uno di loro, e come tale lo trattano. Un'icona vera e propria. Alla fine del suo libro Attilio Sabato, dulcis in fundo, ci racconta un dettaglio inedito di questo sacerdote così passionale e così fuori dagli schemi: è la visita che va a fare all'ex sindaco di Rende, Sandro Principe, dopo l'attentato subìto. Si tratterà di un incontro privato, riservatissimo, tra due "uomini di fede", lontani anni luce per educazione e per formazione culturale, ma che quella sera si abbracciano forte e piangono insieme. E' un pianto liberatorio, che don Salvatore si concede anche con noi il giorno in cui lo andiamo a trovare in Vaticano, a Santa Marta, tre stanze più in là dalla sua riposa Papa Francesco, con cui si erano incontrati qualche ora prima. Padre, perché queste lacrime? "Perché penso al futuro e se devo dirti la verità fino in fondo mi terrorizza l'idea di dover stare un giorno da solo, di dover finire di fare il vescovo, anche se è naturale e giusto che sia così, di non avere più il privilegio e la forza fisica di andare in giro per paesi e per genti e spiegare, a mio modo certo e con i miei limiti, il vangelo di Cristo". Poi aggiunge: "Non ricordo ora se ti ho mai raccontato il vero perché io abbia scelto di fare il prete. Sai l'ho fatto per servire il Signore. Mi piaceva stare con gli altri. Volevo aiutare i più deboli. Sentivo di dover difendere i più poveri, di dover consolare gli ammalati. Immaginavo che la mia vita dovesse scorrere accanto alle persone più sole. Non so alla fine quale sarà il bilancio della mia vita, ma io oggi ringrazio il Signore per avermi concesso il privilegio di restare prete fino in fondo. Nonostante i pericoli e le mille tentazioni che la vita, soprattutto da queste parti, al Sud, riesce a tessere attorno ad ognuno di noi". Caro Attilio, permettimi di dirti che hai scritto un libro vero. Ma non solo. E' anche un romanzo pieno di pulsioni personali e di grande passione civile. Da qualunque parte la si legga o la si guardi, la vita di don Salvatore Nunnari è soprattutto una straordinaria storia di cuore e di emozioni forti, vissute senza rete e mai taciute. Per me, devo riconoscerlo, è un incontro privato che va avanti da quasi 40 anni. E' stato un grande onore conoscerlo, ma soprattutto un grande privilegio volergli bene. Questo saggio poi mi sembra ancora più bello perché parla di un'anima. Quanto mai vera.

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