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numero 18 - Anno 13 Sabato 3 Maggio 2014
settimanale d’informazione regionale
Voce ai giovani Strozzàti dalle macchinette Ma slotmob “non ci sta”
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Salute, l’ictus e la lotta contro il tempo
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Sabato 3 Maggio 2014
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Il legno storto
Beppe Grillo e Silvio Berlusconi
Mezzoeuro Fondato da Franco Martelli
Ediratio editore
Direttore responsabile Domenico Martelli Registrazione Tribunale di Cosenza n°639 del 30/09/1999 Redazione e amministrazione via Strada Statale 19 bis, 72 87100 Cosenza Responsabile settore economia Oreste Parise Progetto e realizzazione grafica Maurizio Noto telefono 0984.408063 fax 0984.408063 e-mail: ediratio@tiscali.it Stampa Stabilimento tipografico De Rose, Montalto (Cs) Diffusione Media Service di Francesco Arcidiaco telefono 0965.644464 fax 0965.630176 Internet relations N2B Rende Iscritto a: Unione Stampa Periodica Italiana
n. 12427
Populismo per tutti Chi ne trarrà i maggiori vantaggi?
Da diverse parti, in misura più o meno forte, si attinge ai tanti fattori di lievitazione del fenomeno populismo, di cui studi recenti, tra i quali anche il nostro, aiutano a capirne la composita natura e la potenzialità politica. Quel che fa essere un individuo portatore di istanze riconducibili a spinte di indignazione e ribellione di un esplosivo risentimento sociale, si manifesta appunto nelle forme di quel che ha ora il nome di populismo sul quale far leva con successo nella lotta politica. Ogni volta e nelle circostanze particolari, si tratta di individuare l’obiettivo contro cui far muovere questa mina vagante: l’euro che affama, l’immigrato che invade, la Sinistra “tassatrice”, obiettivi per l’oggi, ma la lista è più lunga. È evidente che agitando le bandiere del populismo, appropriandosi dei suoi linguaggi, forze politiche come quelle in Italia del grillismo e del berlusconismo, ne vogliono trarre dei vantaggi: innanzitutto, è mobilitante potere indicare i responsabili di tante difficili situazioni in cui versa il Paese, e non importa se vi è solo tanta emotività e irrazionalità nello scagliarsi contro presunti nemici che impongono le loro regole che opprimo l’ordine sociale. E poi, fare intravedere la possibilità che si istaurino nuovi assetti politici della società nell’interesse dei perennemente esclusi, di coloro cui vengono sottratti i beni essenziali. La carta del populismo viene ambiguamente giocata e dopo che l’antipolitica ha seminato largamente sentimenti di rivolta e bisogni di svolte radicali, può essere usata come un mezzo efficacissimo di seduzione
di Franco Crispini
Cosa sta avvenendo nel nostro Paese in questa fase elettorale che va portando al voto europeo di maggio? Su di un medesimo terreno dove trovano facile gioco le intelaiature proprie di un populismo, e cioè i rispecchiamenti di quelle che sono genuine esigenze collettive (una democrazia diretta, un abbattimento radicale di poteri, e quanto altro), Grillo e Berlusconi (ancora bisognoso di stare in piedi) vanno alla caccia di chi incarna il male del popolo e sono lì per sconfiggerlo. Il capo dello Stato è un bersaglio per entrambi ed entrambi, dopo una vittoria (davvero improbabile per il condannato ex cavaliere) nel voto europeo, pensano al governo del Paese che Grillo chiederà con fora a Napolitano. Il populismo è dunque per questi due contendenti uno specchietto per le allodole. Dietro vi sta o lo sciagurato disegno di una rimonta del berlusconismo con tutto quello che di peggio è stato, o la confusionaria idea che ha il grillismo di come si può governare un Paese. Sta di fatto che l’acceleratore viene premuto sulle magmatiche materie che compongono il populismo: grido ne ricava i bersagli di un martellante attacco ad un pannello di soggetti che causano ogni male sociale, i quali sono la rovina della nostra società; più selezionato è il quadro sul quale Berlusconi tenta di costruire una trama populista di nuovo patto col popolo di cu ha sempre ricevuto una specie di “unzione sacra” ed al quale dare ancora quei benefici che la Sinistra gli ha sempre negato, che Renzi ora gli promette soltanto, di cui Grillo non ha alcuna idea. I due, personaggi entrambi capaci di muovere le leve della infatuazione populista, messi alle strette dai programmi concretamente innovativi si Renzi con i quali si cerca pure una “captatio” del sentimento collettivo certamente diversa da quella tipica del populismo, tentano di toccare altre corde del risentimento della gente. È certo che qualche vantaggio in più Grillo potrà averlo da un uso sfrenato, invasato, involgarito della provocazione polulista. Scarsi invece i risultati che potrà cogliere dalle sortite populiste di cui fa largo uso sulle televisioni di famiglia, colui che da sempre è apparso come il consumato attore di un teatro populista, ciò perché la ripetitività di una immagine sfocata e flaccida nuoce ad una grinta populista che Berlusconi ha perso. A conti fatti, ammesso che il populismo paghi, e su ciò forse non dovrebbero esservi molti dubbi, è probabile che Grillo intaschi molto di più rispetto ad un Berlusconi che vorrebbe ancora usare il populismo come una delle tante maschere che oramai gli si accartocciano sul viso.
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Sabato 3 Maggio 2014
Tonino disegna il campo da guerra Ha aspettato la formalizzazione anche grottesca e paradossale delle dimissioni di Scopelliti e il primo giorno utile per il circo mediatico ha fatto un po’ come fanno i cani quando con la pipì disegnano il perimetro di competenza. Dentro il quale non può entrare nessuno, sia beninteso.
Il muro Gentile Tonino Gentile, il senatore cosentino che ha capelli quanti sono i peli sullo stomaco, è il dominus dell’Ncd in Calabria e fa di tutto perché nessuno dimentichi questo che non è proprio un dettaglio. Non ha mai condiviso né finito di ostacolare fino all’ultimo la sparata di Scopelliti («le dimissioni non erano dovute, le ha volute dare ma poteva non darle ma rimangono un problema suo») e un istante dopo ha aperto le danze. Le vere danze. Buona fortuna con l’Europa caro Peppe, questo il non detto. Chissà se ti accompagneremo o se nell’urna, dove solo Dio ci guarda, faremo di testa nostra ma “noi” del centrodestra abbiamo altri cazzi da sbrigare, sembra dire il senatore dai capelli nerissimi. C’è una Regione da riconquistare con estrema urgenza anche perché c’è un centrosinistra, questo Gentile non lo dice ma lo pensa fortissimamente, che è ancora fermo al palo, più o meno come sempre. Ergo, secondo Tonino Gentile, quasi quasi lo gettiamo in piazza prima noi del centrodestra il candidato alla presidenza, nonostante tutto quello che è successo. Anzi, Gentile va oltre e strappa pure una data al calendario. «Entro il 15 giugno». Prima la data, la prima parte della “pipì”. Poi il resto e cioè l’identikit vero e proprio del candidato, più ad escludendum che altro. Come dire, si tratta solo se ci sono queste caratteristiche. «Il candidato o la candidata dovrà essere una persona in grado di saper governare, di essere espressione di consenso reale e non autoreferenziale: il tempo della liquidità è scaduto abbondantemente». Qui c’è una botta a Scopelliti e al modello Reggio prima e Palazzo Alemanni poi (con tanto di Franco Zoccali e Nico D’Ascola appresso). E poi c’è, a matita, la prima bozza del profilo del candidato/a del centrodestra. Attenzione alle parole. Uno che abbia consenso reale (voti, migliaia di voti consolidati negli anni) e che abbia amministrato in passato, che abbia cioè esperienza di bilanci e non solo di convegni. Ad occhio e croce, solo con questo ammonimento, il senatore Tonino avverte il suo partito e quello che gli sta di fronte nel cortile (Forza Italia) che non ve ne è spazio per Jole Santelli, Roberto Occhiuto o Pino Galati (che non pare abbiano avuto mai a che fare con l’amministrazione della cosa pubblica, almeno secondo quelli che sono i parametri del senatore Gentile). Due periodi in un comunicato e tre concorrenti fuori dai piedi, almeno stando ai desiderata del più piccolo dei fratelli di Cosenza. Piazzato il primo missile poi Gentile si fa temporaneamente più morbido, persino con sfumature riformiste. «Il candidato della coalizione dovrà essere la persona che saprà sintetizzare una rivoluzione nell’assetto istituzionale: così com’è il sistema Regione non va e diventa un sistema implosivo che annacqua qualsiasi idea di ristrutturazione». O magari, di lì a poco, con caratteristiche da vero uomo di governo che punta al bene della coalizione senza soffermarsi più di tanto sulle coltellate intestine... «Non ci sono prequalifiche con gli altri partiti della coalizione né pole position da conquistare: è naturale che per le europee e per i comuni ognuno cercherà di portare più voti al proprio partito, ma non ci dovranno essere situazioni di forza e di preminenza con nessun
Il senatore dell'Ncd traccia la linea e prova a dettare i tempi alla scalata del centrodestra per le regionali Il candidato deve venire fuori entro il 15 giugno, dice. Donna o uomo che sia deve aver amministrato e deve contare voti veri Gente pratica insomma L'identikit, più che altro, somiglia a un avvertimento da inviare in gran fretta a chi, dentro Forza Italia, coltiva premature ambizioni... altro partito perché la scelta dovrà ricadere sulla persona più indicata». Ma anche qui occhio alle parole e a quello che nascondono. Cari cugini maligni di Forza Italia, dice senza dirlo Gentile, affanniamoci pure a superarci a vicenda alle europee ma non valga questo come torneo di qualificazione per la candidatura alla presidenza della Regione. Anche se arrivaste voi primi il 25 maggio poche illusioni, accadrà perché lo abbiamo fatto accadere magari indirettamente. Ma la Regione è un’altra musica, ci vogliono voti veri e bisogna trattare con noi dell’Ncd. Hai capito il senatore che fa lo statista. «Niente campanilismi, spazio magari a tre macroaree con Cosenza che potrebbe avere, come atto simbolico e sostanziale, un assessorato alla Cultura e all’Innovazione». Poi di nuovo giù con gli ammonimenti, con la “pipì” del cane che completa la sua curva e finisce il perimetro. «Il candidato dovrà avere una necessaria esperienza di amministratore, credibilità, consenso, capacità di capire che, pur essendo investiti direttamente dal mandato dei cittadini, è fondamentale ragionare come primus inter pares e non come unto dalla provvidenza. Nella coalizione ci sono pochissime persone ad avere questi requisiti tutti insieme, ma la selezione a cui guardiamo è quella naturale, orientata dalla reputazione dei singoli e dalla consistenza di chi sarà ca-
Tonino Gentile, accanto al titolo Qui a lato, Pino Gentile e Wanda Ferro
pace di sostenere la sua azione e in questo senso quelle pochissime persone vocate a divenire leader, donne e uomini, possono portarci a vincere e a lasciare realmente un segno». Sul finire poi Gentile a suo modo si supera. Dopo aver scartato per capo sua gran parte dei pretendenti immagina persino una distribuzione istituzionale per gli unici candidati che superano la (sua) selezione e che lui ha in mente sin dall’inizio. Uno guiderà la giunta, l’altro (o l’altra) il consiglio. Un consiglio rivisto e più prestigioso in termini di riforma complessiva della Regione, non più una poltrona sterile e da scaldare. Un uomo di qua, e una donna di là così anche quella specie di parità di genere di sinistra memoria può tenere la bocca cucita. «Immagino una possibile coniugazione generazionale e di genere tra guida della giunta e dell’assemblea legislativa - conclude il senatore : per noi non esistono distinzioni e riserve indiane, ma competenze ed equilibrio e tutto ciò potrà conoscere una sua identificazione in un uomo e una donna capaci di essere alla testa delle due istituzioni, abbandonando perniciose differenziazioni di campanile». E così nella prima nota da quando è risuonata la musica della guerra il senatore Tonino Gentile la fa tutta la sua “pipì”, il perimetro lo completa. Agli azzurri dice che solo insieme, pur con il massimo dell’odio possibile, si può tentare di non perdere dopo quello che ha combinato Scopelliti. E dice anche, agli azzurri, che serve gente con voti veri, consolidati e che abbia avuto esperienza amministrativa. Quindi fuori almeno tre dalle scatole (Occhiuto, Santelli e Galati). Ma anche, per rimanere nell’Ncd, Nico D’Ascola tanto per dire. Stringi stringi in campo rimangono ad occhio un paio di cognomi. Quello dei Gentile per l’Ncd (Pino e Tonino stesso che sia). E quello di Ferro per Forza Italia, la Wandissima di Catanzaro che ha amministrato per dieci anni la Provincia. Ma nessun problema se c’è maretta. Uno può guidare la giunta, l’altro (o magari l’altra) il consiglio. Alle donne e tanto più se di più giovane età, la poltrona più prestigiosa che guarda caso nella Regione che immagina Tonino coincide proprio con quella della presidenza del consiglio. Cosenza così è a posto. Catanzaro pure e i campanili posono suonare a festa. Solo una cosa Tonino Gentile dice lasciando che la “pipì” vada anche un può fuori il suo perimetro. Riferendosi allo schema di partito vincente che immagina parla di «tempo della liquidità che è scaduto abbondantemente». Già, la “liquidità”. Chi l’avrebbe detto che un giorno Gentile l’avrebbe considerata superata. Davvero quasi non ci crede nessuno...
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Mezzoeuro Il tempo sembra essersi fermato
Il nuovo che avanza Se è vero che è l’ultimo a dover chiudere la porta “l’ultimo”, quello che non c’era nel primo affresco di Caposuvero, è Ernesto Magorno. Attenzione però, c’era, c’era. Viaggiava nelle intercapedini del preriscaldamento ma c’era da un pezzo lì, più o meno un veterano del retrobottega del potere, già da allora. Ma nell’affresco di Caposuvero anno disgraziato del 2010 non c’era e come vuole l’aforisma è l’ultimo a dover chiudere la porta. E l’Ernesto di Diamante la porta dello stanzone di Caposuvero, stagione potenzialmente non meno disgraziata del 2014, l’ha chiusa eccome e ha lasciato fuori, per ora, anche le briciole al nuovo che s’azzarda ad avanzare. Ha fatto finta, fin qui. Ma la metafora del tempo che non passa mai vuole che l’affresco quello rimanga. Non cambia niente, non deve cambiare niente. Anche Renzi è costretto a fermarsi a Santa Maria Capua Vetere, neanche a Eboli. Qui non “scende” nessuno perché il “quadro d’insieme” quello deve rimanere. Magorno, che è l’ultimo arrivato nello stanzone dove nulla deve mutare, chiude la porta e Caposuvero può ricominciare. Non manca nessuno, ad occhio e croce. C’è persino Pippo Callipo nell’affresco decadente proprio come nel 2010. Quattro anni fa lo presero per il culo facendogli recitare (non gratis) la parte della dissidenza civile e impegnata della sinistra e Magorno, quello che ha “chiuso la porta”, ritorna da lui con lo stesso schema. Una specie di summit, tra i due. Qualcuno dice per sondare disponibilità, qualcun altro per depistare, qualcun altro ancora per mostrare che Magorno non chiude alle soluzioni civiche tanto più se consolidate. Ma questi sono giudizi, anzi porse pre-giudizi. Rimane il dato, l’affresco che non perde un pezzo del 2010, l’anno di Caposuvero. Non a caso interviene Loiero sul punto. Anzi per la verità negli ultimi tempi non c’è giorno che non dica la sua, su tutto. Dice e fa dire su Callipo e dice e fa dire su ognuno e su ogni cosa. Qualcuno sostiene che è fuori luogo ma d’altra parte perché proprio lui dovrebbe sparire? Furbo, piccolo e malacupato com’è
Sopra, da sinistra: Mario Oliverio, Sandro Principe, Pippo Callipo e Nicola Adamo
Sotto: Ernesto Magorno, Mario Pirillo e Agazio Loiero
Se qualcuno ha scattato la foto di Caposuvero e se la riguarda rischia di rimanere congelato Tutti gli attori di allora del centrosinistra sono gli stessi in campo in questa stagione 2014 Più o meno con gli stessi poteri di condizionamento Nel frattempo è cambiato il mondo ma loro sono lì, nell'affresco infinito e decadente Loiero si guarda attorno e li rivede tutti i protagonisti della “strage” del 2010 e perché dovrebbe autoestinguersi solo lui? Qualcosa non torna e lui infatti puntualizza e favella, la lingua non gli manca di certo. A Catanzaro, nei quartieri a nord, ci sono ancora le scritte sui muri con la vernice sbiadita “vota Loiero”. Non sono di quattro anni fa, dove pure era candidato alla presidenza della Regione dopo lo scambio di prigionieri tra il gruppo Adamo e quello Oliverio. Ma degli anni Settanta, c’è scritto così e si intuisce dal colore che ormai non c’è più. Concorreva per la Camera dei deputati, Loiero. C’era la dc, c’era Moro, l’Urss e l’uomo sulla luna era sbarcato da poco.
Ma non si può scandalizzare nessuno nell’affresco di Caposuvero. Certamente non Mario Oliverio che continua (anche se con meno verve di prima) a girare la Calabria nella campagna di autoascolto per le primarie, se mai si terranno dopo che si è appreso che si può o forse si deve votare a luglio e quindi troppo presto per organizzarle. Lui negli anni Settanta non era spettatore della politica e viaggiava tra Parlamento e Regione senza fare torto a nessuno degli ambienti del potere. Non è una colpa, è un dato pure questo. Anche per lui vale come per Loiero. C’era Moro, la dc, l’Urss e la luna conosciuta da poco. Ma l’affresco di Caposuvero 2010 ha il suo protocollo da rispettare e come può non farne parte pure Sandro Principe. S’incazza se gli ricordano che il padre Cecchino è stato più bravo di lui nel disegnare la città di Rende ma a pensarci bene, al posto suo, ci sarebbe ben altro per cui non dormire la notte. E lui lo sa. Agli appassionati d’ultima generazione si fa fatica a spiegare che c’è stato un altro Principe prima di lui, che lui è persino il più giovane della dinastia. Ci credono con difficoltà, l’hanno già visto in giro abbastanza per pensare a chi lo ha preceduto. Ma l’affresco del 2010 non deve perdere pezzi e guai se esce di scena Nicola Adamo con i suoi veri e le sue machiavelliche pensate, salta tutto. Lui negli anni Settanta, a differenza degli altri, era a scuola ma c’ha messo poco poi per farsi riconoscere in modo indelebile. Una volta entrato in campo non s’è fatto mancare mai nulla nel rapporto anche contabile con il potere e quello che oggi come oggi avrebbe potuto guadagnare in termini di spendibilità generazionale lo ha negli anni ampiamente compromesso per svariate ragioni che poco o nulla hanno a che fare con la politica. Detto che Pirillo, tra quelli dell’affresco, è quello che ha sperimentato la modernità europea e che vuole persino riprovarci e detto che ci sono pure e stanno arrivando, anche se non si vedono, Incarnato e Peppe Bova la suggestione finale è per il gestore della sala di Caposuvero. Era il febbraio del 2010, una fredda e ventosa serata. Se chiude gli occhi, il gestore, gli gira la testa e si sente raggelare il sangue. La “foto” di oggi è la stessa, identica. Come eterna. Non manca nessuno perché nessuno può mancare.
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Sabato 3 Maggio 2014
Il prestigiatore dello Stretto
La carta del guinzaglio Non è la prima volta che tocca ai deputati di Cinquestelle tirare fuori dal cilindro la pensata più illuminante. Il bagliore. Poi a volte accade che rimane un lampo, senza conseguenze, ma sarebbe sbagliato non prestare la dovuta attenzione. Il governatore Scopelliti presenta le sue dimissioni nella versione che abbiamo ormai conosciuto, quella doppia e irrituale formula che è passata prima da una conferenza stampa e poi da una lettera depositata in giunta. Il tutto senza contare che le aveva, le dimissioni, annunciate già da molto tempo e che solo dopo l’accelerata del ministro Lanzetta (un vero calcio negli stinchi) la faccenda ha preso poi la piega che sappiamo. Ma lo scenario paradossale non si limiterebbe a questo secondo i deputati pentastellati Sebastiano Barbanti e Francesco Molinari. E cioè di incongruente, grottesco e persino di perverso vi sarebbe dell’altro nelle movenze di Scopelliti al netto della farsa del fax ricevuto da Talarico nella serata del 30 giusto quando non poteva fare più in tempo per aggiornare dell’accaduto la conferenza dei capigruppo. Attenzione a quanto affermano i due deputati grillini. «Mentre Scopelliti dice di essersi dimesso in realtà resta in carica. Non sa, o finge di non sapere, che l’articolo 33 dello Statuto regionale prevede che, anche in caso di dimissioni del presidente, restano in carica il presidente e la giunta fino all’elezione dei nuovi organi? In realtà Scopelliti bluffa - continuano Barbanti e Molinari - vuole fare ancora il “leader maximo” e vuole usare strumentalmente le dimissioni, mai depositate in consiglio, evitando di essere formalmente colpito dalla sospensione ex legge Severino. Il governatore resta in carica - concludono i due deputati pentastellati - e il consiglio continua a esistere con i suoi 50 consiglieri». Hai capito un po’. Ritorniamo sui due passaggi più piccanti della riflessione di Barbanti e Molinaro. Il dato di fatto è che, stando a quanto sta scritto nell’articolo 33 dello Statuto, Scopelliti dimettendosi di fatto rimane in carica fino all’elezione dei nuovi organi. E con lui la giunta e il consiglio, sia ben chiaro. Cioè a dire che un presidente si dimette e in quell’istante decreta la morte “politica” della legislatura che per questa ragione, in mancanza di legittimità nel programmare, è chiamata con urgenza e con i tempi tecnici previsti dallo Statuto regionale e dalle leggi nazionali vigenti a ricorrere nel primo momento utile al voto. Ma al voto ci si deve arrivare, non è un battito di ciglia. Poi magari avrà anche ragione il magistrato Nicola Durante secondo il quale è già possibile (se non obbligatorio) tornare al voto a luglio piuttosto che a novembre ma prestissimo o tardi che sia non è dall’oggi al domani che si schiudono le urne. C’è un tempo tecnico in cui navigare col pilota che sarà automatico ma sempre capace di dispensare euro e completare bandi. Io mi dimetto da presidente, detto in soldoni e provando a penetrare nel gioco di prestigio di Scopelliti. Ma prima di scendere tutti dalla nave la guido io fino al primo porto più vicino e nel frattempo, se arriva una tempesta o se serve una scialuppa in mare, ci sono sempre io al timone non lo dimentichiamo questo.
Michele Trematerra, Pino Gentile e Giacomo Mancini Alle loro spalle, Peppe Scopelliti
Scopelliti punta a trasformare le dimissioni in prolungamento della sua regnanza, almeno fino al voto europeo L'obiettivo è sterilizzare gli effetti della Severino tenendo così legati al cappio gli assessori che sono costretti ancora a bussare alla sua porta per poter spendere soldi. Il ricatto è servito: se portano voti il 25 maggio se ne va, altrimenti... Tra il tecnicismo d’attacco (e forse un tantino spregiudicato) che gli consiglia Nico D’Ascola e il pragmatismo di Franco Zoccali (che gli ricorda scadenze, impegni presi, soldi da poter spendere e da trovare e soprattutto da non dare gratis a nessuno) Peppe Scopelliti potrebbe avere in realtà realizzato la più maliziosa delle pensate. Forse disperata ma non ingenua. Dimettendosi a ridosso dell’applicazione della ormai imminentissima legge Severino l’ex governatore (ma governatore a tutti gli effetti ancora) spera di sterilizzare la sospensione stessa. Impiantando per l’occasione una possibile pioggia di pareri giuridici e controversie Scopelliti vorrebbe che ad aprire la porta alla “sospensione” quando busserà non ci fosse nessuno. O se si preferisce, una porta aperta con nessuno dentro. Così la Severino, che è invece immediatamente esecutiva e che riguarda il potere vero del presi-
dente, finirebbe per dover sospendere una sedia che non c’è, una scatola vuota, un trono senza un re, una cassaforte senza combinazione. Scopelliti ambisce a riceve la Severino quasi non fosse per lui il provvedimento ma per una carica impersonale e da nessuno rappresentata oggi come oggi. Così la Severino sospende il nulla, deposita il documento e con il nulla in tasca se ne va. E lui, il presidente, da dimissionario, ricevuta una sospensione che non poteva sospenderlo per la semplice ragione che non è più sospendibile perché dimesso, riprende a navigare la nave della Regione verso il voto. Il primo voto possibile. Naturalmente, per quanto grottesca e perversa che sia la pensata, può avere una sua valenza ma anche una sua inutilità. Vedremo cosa accadrà tecnicamente quando la Severino “busserà” alla porta del’ex presidente (ma presidente lo stesso). Di certo è che politicamente la faccenda, analizzata anche dal punto di vista per così dire “estorsivo” del termine, comincia ad assumere connotati più chiari. Più netti. Se rimane Scopelliti a firmare ancora i documenti con i soldi dentro (e se dovesse andar male comunque toccherà alla Stasi, che è quasi la stessa cosa...) l’avviso che se ne deduce ai naviganti è semplice nella sua crudezza. Ognuno dei pezzi forti del consenso, ognuno degli assessori, dei “grandi elettori” di questo consiglio e di questa giunta deve in qualche modo fare il tifo per Scopelliti alle europee. Un po’ perché così se lo levano certamente dai piedi, qualunque cosa accada. E un po’, anzi molto, perché ognuno degli assessori uscenti dell’area di riferimento (e portatori di voti) ha maledettamente ancora bisogno dei quattrini regionali per pianificare e sedimentare nel terreno la possibile riconferma nel prossimo consiglio che verrà. Ogni riferimento ai Pino Gentile, ai Giacomo Mancini e ai Michele Trematerra è puramente voluto. Senza soldi, e alzi la mano chi non ricorda il seguito, non se cantano messe. E Scopelliti il “prete” la messa la vuole cantare ancora ai suoi fedeli, anzi non la fa cantare proprio a nessuno che non sia lui stesso. Poi se tutti pregheranno e porteranno voti lo sapremo la sera del 25, i numeri non mentono mai...
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Sabato 3 Maggio 2014
Le eccellenze per sperare
Un'azione tempestiva e multidisciplinare è la bibbia del Centro per la diagnosi e la cura dell'ictus cerebrale dell'Irccs Neuromed
Ictus cerebrale: quando il nemico è il tempo «Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito ad un profondo cambiamento nel modo in cui consideriamo l’ictus cerebrale». A parlare è il dottor Antonio Sparano, responsabile del Centro per la diagnosi e la cura dell’ictus cerebrale (“Stroke unit” nella definizione inglese) dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Is). «Una volta - continua Sparano, che è professore associato di Neurologia nell’Albany Medical center, Stati Uniti - l’atteggiamento verso il paziente era di attesa: verificare il danno ricevuto, aspettare che le condizioni del paziente, se sopravviveva, si fossero stabilizzate e quindi pensare a come gestire la situazione lasciata dallo stroke. Oggi, invece, siamo molto aggressivi già dai primi momenti». L’ictus (il “colpo” o la “toccata” del linguaggio di tutti i giorni) era insomma qualcosa che “succedeva”, l’idea era che quasi tutto fosse affidato alla fortuna. Se il cervello avesse ricevuto danni tali da provocare una paralisi, oppure da lasciare solo un braccio più debole, o magari una parlata appena meno sciolta, solo questione di destino, con cui fare i conti dopo.
I segnali d’allarme Se il tempo è fondamentale, allora riconoscere quei segnali che possono indicare la comparsa di un ictus diventa un momento cruciale nel limitare i danni che il cervello potrà subire. Ecco cosa tenere d’occhio:
Bocca storta Debolezza o immobilità
Un lato della bocca, o della faccia, sembra “cascante” rispetto all’altro, oppure perde improvvisamente sensibilità. Lo si vede meglio se si prova a sorridere. Improvvisamente non si riesce più a muovere bene, o del tutto, un braccio o una gamba. Muovendoli insieme (ad esempio alzando entrambe le braccia) la differenza è evidente
Insensibilità Difficoltà a parlare Difficoltà a capire Difficoltà alla vista
Un braccio o una gamba diventano insensibili Qualcuno con cui state parlando non riesce più a capire le vostre parole
Gli altri vi parlano ma improvvisamente non capite più bene cosa vi stan-
no dicendo
Non si vede da un occhio, oppure di un oggetto vediamo male una metà
A quella specie di calma che contraddistingueva la gestione del paziente colpito, adesso si è sostituito un concetto fondamentale: velocità. Velocità nella diagnosi, velocità nell’instaurare le terapie adeguate, velocità persino in un campo considerato “tranquillo” come la riabilitazione. Tutto riassunto in una frase che ormai rappresenta un luogo comune per l’ictus cerebrale: «il tempo è cervello», come evidenzia il responsabile della Stroke Unit: «È indubbio che il tempo sia un fattore fondamentale quando si tratta di ictus. Parliamo di quattro ore e mezza, questa è la finestra entro la quale, una volta comparsi i sintomi, l’avvio delle cure specialistiche può determinare i risultati migliori. Non c’è tempo da perdere, è una consapevolezza che purtroppo deve ancora diffondersi meglio. I pazienti, o i loro familiari, possono avere dubbi sulla sintomatologia. Magari pensano che possa essere qualcosa di poco serio, decidere di
Non sottovalutare questi sintomi è il primo passo verso un intervento tempestivo, e quindi più efficace. Agire immediatamente chiamando il 118.
aspettare un po’, domani andiamo da medico. Non è il giusto comportamento: quando compare il sospetto di uno stroke è meglio rivolgersi subito al 118 piuttosto che essere cauti». Il quindici maggio sarà la “Giornata mondiale dell’ictus”. Del quale ne esistono due tipi: la stragrande maggioranza dei casi (80%) è costituita da quello ischemico, nel quale un’arteria cerebrale viene chiusa da un coagulo sanguigno che può essersi formato direttamente in quel punto o può venire da un’altra parte del corpo, ad esempio dalle arterie carotidi. Il restante 20% è di tipo emorragico, dovuto alla rottura di un vaso sanguigno.
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Sabato 3 Maggio 2014
Le eccellenze per sperare
«È qui che entra in gioco la complessità di una Unità dedicata specificamente a questo problema - spiega Sparano -. La Stroke unit del Neuromed vede un team di medici ed infermieri interamente dedicato a diagnosticare con precisione, valutare lo stato del paziente e decidere il tipo di intervento. Siamo gli unici in Molise ad avere una organizzazione così integrata e veramente multidisciplinare, dove la nostra squadra collabora anche con una struttura chirurgica disponibile 24 ore su 24. Come dicevo, siamo aggressivi sin dai primi momenti. Affrontiamo subito l’evento, ma allo stesso tempo pensiamo subito ad attuare tutte le misure necessarie al recupero del paziente ed a prevenire le complicanze, ad esempio un secondo ictus o una estensione dell’area cerebrale colpita. E vorrei sottolineare come qui al Neuromed cerchiamo di far iniziare il processo riabilitativo nel minor tempo possibile. Puntiamo a mobilizzare il paziente, a rimetterlo in piedi se possibile, non appena le condizioni lo permettono». E poi c’è il discorso di cosa resta passata l’emergenza. Il cervello può aver subìto un danno più o meno esteso. Potrebbero essere coinvolte aree importanti, come quelle del linguaggio. Eppure il nostro cervello ha grandi potenzialità di recupero, a volte difficilmente immaginabili. È qui che la ricerca medica potrà dare nuove risposte. «È vero. Esiste una riorganizzazione cerebrale. In termini tecnici, la definiamo plasticità. Una determinata area è stata danneggiata, ed allora un’altra area può attivarsi per “farne le veci”, potremmo dire. Naturalmente senza dare false speranze, può accadere che la riorganizzazione possa ridare al paziente funzioni che sembravano perdute. Però tra un paziente e l’altro c’è molta differenza in questo, e non sappiamo ancora perché. Lo studio del cervello attraverso strumenti di indagine sofisticati, come la risonanza magnetica funzionale (che permette di vedere il cervello “in funzione”, ndr), ci farà capire in futuro come avviene questo processo, e come la medicina possa aiutarlo».
Completamente diversi tra loro, ma entrambi legati al fattore tempo. Per i primi un punto di svolta importante arrivò nel 1995, quando si cominciò ad usare, inizialmente negli Stati Uniti e poi anche in Europa, la cosiddetta terapia trombolitica, l’uso di un farmaco iniettato endovena, il Tpa, capace di sciogliere i coaguli sanguigni. Significa far tornare a circolare il sangue nell’area colpita, e prima lo si fa, minore sarà il danno per i neuroni.
Il dottor Antonio Sparano
Ma il vero obiettivo, in una medicina che si avvia sempre di più verso la strada della prevenzione, è di evitare che l’ictus colpisca. «Qui si può fare molto. Uno stile di vita sano è fondamentale. Non fumare, fare attività fisica, evitare l’eccesso di alcol, combattere l’obesità, tenere sotto controllo la pressione arteriosa, sono tutti piccoli elementi che, se considerati nell’insieme, possono fare molto per ridurre il rischio di essere colpiti dall’ictus. Prevenire questa malattia deve diventare un impegno costante del paziente e del suo medico curante».
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Sabato 3 Maggio 2014
Non ci resta che attendere...
Concretezza a tempo determinato Teresa Bellanova
Quali sono le prospettive e il ruolo dei centri per l’impiego nel momento in cui il governo Renzi lancia con determinazione il “Progetto Lavoro”? A discuterne con una nutrita delegazione di lavoratori e sindacalisti, espressione del mondo del precariato, dei call center, della formazione, dell’edilizia e dell’editoria, la sottosegretaria al Lavoro, Teresa Bellanova nel corso di un confronto pubblico - sul tema “Nuove politiche del Lavoro: il ruolo dei centri per l’impiego” - organizzato dalla federazione provinciale del Partito democratico di Catanzaro, guidata dal segretario Enzo Bruno, alla presenza del deputato di Catanzaro, Alfredo D’Attorre. Il sottosegretario Bellanova ha avviato un confronto con i lavoratori e con i dipendenti dei centri per l’impiego partendo da un impegno importante: tornerà in Calabria per entrare nel merito delle vertenze, con la collaborazione di tutti, sindacati e istituzioni prima di tutto. Un dramma, quello del lavoro, soprattutto in Calabria, «dove il 50 per cento dei giovani non ha una occupazione - ha affermato Enzo Bruno -. Noi denunciamo questa grande difficoltà e il disagio sociale che la mancanza di lavoro determina. C’è tanta gente che non lavora, e spesso chi lavora è precario. Il Pd inizia a rappresentare il mondo che soffre, a rappresentare i problemi della gente». «Non basta snocciolare dati, servono risposte. Il triste rosario della disoccupazione calabrese il sottosegretario la conosce bene, anche da meridionale - ha affermato il vice segretario provinciale, con delega al Lavoro, Davide Zicchinella -. I lavoratori vogliono risposte, ed è quello che vogliamo garantire: una speranza nella crisi. Il fallimento di Scopelliti non è la condanna a sei anni, un fallimento è politico, perché ha messo in ginocchio una regione già debole». Il vice segretario provinciale ha quindi proposto che la commissione parlamentare al Lavoro visiti il territorio calabrese per conoscerne a fondo le problematiche e che si arrivi ad una legislazione speciale per il Lavoro in questo territorio. Ha portare la propria esperienza e la propria testimonianza Francesco Caparello, segretario Uil Fpl Provincia di Catanzaro; Pino Deturci, segretario generale Cisl territoriale Catanzaro-Crotone-Vibo Valentia; Giuseppe Valentino, segretario generale della Cgil provincia di Catanzaro. E soprattutto i lavoratori dei centri per l’impiego, i lavoratori della Diga del Melito in attesa di essere riassunti dopo aver vinto cause del lavoro che i consorzi di Bonifica continuano ad ignorare, giovani laureati che hanno lavorato a pieno regime negli enti locali e rischiano di rimanere per strada, dipendenti di enti di formazione professionale che aspettando da anni l’avvio di bandi per la formazione continua. A portare il proprio saluto
Quali sono le prospettive e il ruolo dei centri per l'impiego nel momento in cui il governo Renzi lancia con determinazione il "Progetto lavoro"? A discuterne a Catanzaro con una nutrita delegazione di lavoratori e sindacalisti, espressione del mondo di precariato, call center, formazione, edilizia ed editoria, il sottosegretario al Lavoro, Teresa Bellanova nel corso di un confronto pubblico sul tema “Nuove politiche del Lavoro: il ruolo dei centri per l'impiego”. Bellanova parte da un impegno importante: tornare in Calabria per entrare nel merito delle vertenze, con la collaborazione di tutti, sindacati e istituzioni prima di tutto anche il commissario straordinario della Provincia di Catanzaro, Wanda Ferro. «I sindacati sono stati sempre compagni fondamentali nel percorso amministrativo di
questi anni, il dibattito relativo al mondo del lavoro riguarda tutti noi - ha detto Wanda Ferro -. La Provincia di Catanzaro ha ben operato nel settore delle Politiche attive del lavoro, purtroppo questi enti sono diventati un capro espiatorio: si parla della inutilità delle Province, ma non esistono enti utili o enti inutili, esistono enti che sanno investire sul territorio». «Questo è il primo di una serie di appuntamenti che vogliamo costruire sul territorio sulla base di un metodo di lavoro fondato sulla concretezza», ha detto il deputato Alfredo D’Attorre ricordando in tal senso la presenza del sottosegretario alle Infrastrutture e anticipando la presenza del sottosegretario alla Sanità il prossimo 16 maggio. «E proseguiremo, con un confronto sempre di merito sui problemi, per dare risposte. Voglio anche dire - ha aggiunto - ringraziando Enzo Bruno e la segreteria provinciale, che credo questo è anche il Pd che ci piace, il Pd che sta sui problemi, che sta tra la gente, tra i lavoratori, che ascolta e non discute di metafisica e di equilibri interni ma è in contatto con le persone. Così dobbiamo fare». «Il conto della cattiva politica lo stanno pagando soprattutto le giovani generazioni e i lavoratori che voi rappresentate - ha affermato il sottosegretario rivolgendosi ai sindacalisti - . Noi avevamo bisogno di questo momento di confronto: vi ho ascoltato con attenzione, e leggerò i documenti che mi avete lasciato. Il rapporto con la dirigenza del Pd locale, e soprattutto con Alfredo, è un rapporto quotidiano: sicuramente noi non ci perderemo di vista. Non passerà molto tempo e ritorneremo per incominciare a fare il punto delle questioni». «Tra l’altro in questi giorni sono arrivate le deleghe da parte del presidente del Consiglio, e da parte del ministro del Lavoro, e sarò io personalmente a dovermi occupare di molte delle questioni che avete posto perché la riforma dei mercati del lavoro, la riforma dei servizi per l’impiego, la questione della sicurezza sul lavoro, la parità nell’accesso al mondo del lavoro sono tutte questioni che stanno nella mia delega. Avremo l’opportunità di continuare questo confronto». Secondo il sottosegretario Bellanova «non è attraverso le leggi che noi creeremo opportunità di lavoro. Dobbiamo ritornare a ragionare su cos’è lo sviluppo e su come noi vogliamo creare opportunità di sviluppo, perché se continuiamo a discutere della durata dei contratti a termine o dell’apprendistato, parliamo solo di modalità ma non di concretezza». Non sono mancati gli sforzi del Governo Renzi di intervenire sulle criticità del provvedimento al vaglio dell’Esecutivo, ma la sfida da vincere «nell’interlocuzione con le imprese e le rappresentanze sindacali resta la necessità di andare incontro ai bisogni dei lavoratori prima di tutto facendo ripartire l’economia». Tra gli argomenti affrontati nel corso del dibattito «un uso produttivo degli ammortizzatori in deroga», l’utilizzo dei 17 milioni e 600 mila euro che il Governo ha già messo a disposizione della Regione Calabria distribuendo la prima tranche dei 400 milioni di euro destinati al settore, e anche una riforma dei centri per l’impiego che - partendo dalla valorizzazione dei tanti impiegati che svolgono con abnegazione il proprio lavoro, diventando spesso terminale ultimo della disperazione e della frustrazione di quanti sono in cerca di occupazione - devono essere messi nella condizione di realizzare politiche attive del lavoro perseguendo obiettivi concreti. Il sottosegretario Bellanova ha, quindi, proseguito la propria tappa catanzarese incontrando il prefetto Raffaele Cannizzaro, visitando alcune aziende del territorio, prima di partecipare ad un dibattito sul lavoro nel Comune di Tiriolo.
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Sabato 3 Maggio 2014
Tv a gogò
Te li do io i soldi Nei corridoi romani circola con insistenza la voce che la graduatoria delle assegnazione delle frequenze tv locali della Calabria stia per essere annullata. Si ricomincia daccapo per le numerose anomalie riscontrate sulle quali la procura di Roma avrebbe aperto una inchiesta dagli esiti incerti. Sulla base di quanto denunciato le graduatorie sarebbero state più volte rimaneggiate e le gare inficiate dalle fughe di notizie configurabili sotto il reato di turbativa d’asta, poiché avrebbero consentito ad alcuni concorrenti eccellenti di essere preventivamente informati sui criteri che sarebbero stati adottati in sede di assegnazione in modo da precostituire i requisiti necessari. Per fortuna non manca la sabbia, per cui potrebbe finire tutto a tarallucci e vino, e secondo il vecchio detto napoletano “chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto”. Questo in virtù della benemerita legge che ha accorciato i tempi di prescrizione a misura dei furbi e degli scaltri. È sufficiente inserirsi al momento giusto, tanto poi i rigori della legge non riusciranno a scalfire neanche la superficie delle cose. Nel frattempo che la procura indaga e svolge con cautela e discrezione tutti gli atti necessari, il tempo è galantuomo e sana ogni ferita. Insomma, dovrebbero essere annullata, ma alla fine tutto (forse) rimarrà come prima... In questo ha contribuito anche l’atteggiamento della procura reggina che ha atteso sulle rive del fiume che passasse qualche cadavere per iniziare a indagare. Nel frattempo i soliti noti si spartivano il bottino. La parte più lucrosa è costituita dall’occupazione dell’etere, dove ancora una volta ha vinto la logica del denaro. Sono stati sufficienti trenta milioni di euro per occupare il primo posto nelle tv locali d’Italia, con qualche accordo sul territorio che gli regala la “storia” e il gioco è fatto. Nonostante l’ulteriore rivoluzione annunciata della web-tv che dovrebbe rendere obsoleto tutto il sistema radio-televisivo, non solo quello analogico già definitivamente rottamato, ma anche quello digitale, poiché vi sono già migliaia di emittenti on line che trasmettono di tutto. Alla fine però, lo share se lo distribuiscono le poche emittenti nazionali e qualcuna locale che ha avuto la forza di resistere, perché le abitudini del popolo minuto sono difficili da cambiare. Forse nel prossimo futuro saremo tutti incollati davanti alla compuTv, che nascerà dalla fusione dei due media, a guardare Apple-Tv o i canali Microsoft, ma per lunghi anni ancora resisterà un quasi monopolio della tv tradizionale. Il mercato delle frequenze è ancora pingue e lascia intravedere lunghi anni di dominio. I pentastellati hanno però dimostrato quanto può valere il controllo del mondo virtuale, anche se hanno potuto godere di uno stato di grazia per via del disagio crescente della gente che non vuol più sentire parlare della vecchia classe politica. Nei prossimi giorni ci dovrebbe essere la prima decisione sul ricorso amministrativo presentato da alcune emittenti calabresi che potrebbe avere l’effetto di uno tsunami nel quieto modo dell’etere locale. Un altro campo inesplorato è quello dei contributi erogati per l’adeguamento delle emittenti locali al digitale terrestre. Al momento dello switch-off, il televisivo governo di Berlusconi ha deciso di sostenere lo sforzo delle tv locali per gli investimenti necessari per trasmettere nel nuovo sistema. Una storia ormai vecchia, ma mai esplorata sulla quale incombe anche qui la provvidenziale legge sulle prescrizioni. Ma bisogne-
Il mondo dell’informazione calabrese non può certo dirsi che goda di ottima salute In compenso quello delle emittenti televisive si gode la sua bella fetta di contributo pubblico, un tesoretto di oltre due milioni di euro distribuito tra poche aziende. O forse qui la notte deve ancora venire e le stelle stanno a guardare, come teletitolerebbe Cronin Le anomalie non mancano, anche inquietanti. La procura di Roma pare abbia aperto un’inchiesta, turbativa d’asta l’ipotesi di reato La graduatoria per le assegnazioni delle frequenze rischia di essere annullata Emittenti Radio Tele International Reggio TV Teleuropa Network Video Calabria Telestars Telereggio Metrosat, Rete 3 Rete Kalabria Tele A1 Corigliano Calabria TV Telitalia Telemia Soverato Uno Telelibera Cassano Telemormanno Tele A 57 Promovideo Gerace Network GS Channel Televideo PM Canale 10 Radio TV Tele Magna Grecia Teleradio Speranza S.G. Azzurra TV Viva Voce TV Telediamante Club TOTALE
rebbe anche qui almeno capire cosa è successo, e come mai una emittente veneta ha intercettato da sola quasi la metà dei fondi disponibili lasciando agli altri solo le briciole. Di sicuro è che in Calabria è arrivato ben poco e quello che è arrivato in gran parte è ritornato verso i meridiani settentrionali, poiché i beneficiari stranamente erano emittenti talmente locali che qui non avevano mai trasmesso neanche per qualche minuto. Ma non è una ripetizione? Sì, ma repetita juvant. Oggi però presentiamo la terza questione che riguarda i contributi annuali distribuiti dal Corecom Calabria alle emittenti locali. Partiamo dal 2012, anno i cui si sono assegnati due milio-
Contributo 2012
Punteggio 2013
"Contributo 2013 (Simulazione)"
337378,2 220235,43 293456,71 258925,87 160991,56 157633,49 129946,72 101499,58 100909,12 88124,37 14686,68 16318,53 16318,53 16318,53 16318,53 16318,53 16318,53 16318,53 16318,53 16318,53 16318,53 16318,53 16318,53 16318,53 14686,68 14686,68
813,5 639,91 970,07 693,91 223,99 409,83 fallita 181,65 dom. non pres. 160,1 163,98 336,76 48,71 55,27 85,43 34,05 89,7 3,49 dom. non pres. 2,39 0,95 1,15 0,44 1,32 19,38 0,46
330000 280000 390000 280000 88000 170000
2.121.409,90
73000 65000 65000 150000 20000 20000 20000 20000 20000 20000 15000 15000 15000 15000 15000 20000 15000 2.121.000,00
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Sabato 3 Maggio 2014
Tv a gogò
ni e 212mila euro. La parte del leone l’hanno fatta le prime dieci emittenti, con quote variabili tra i 337mila euro assegnati a Radio Tele International e gli 88mila riconosciuti a Tele A1 Corigliano. Le rimanenti 16 hanno ricevuto un cadeau tra i 1415mila euro, una cifra significativa che non sposta però gli equilibri aziendali. Come comunicato dallo stesso ente erogatore, «nove emittenti, invece, tra quelle che hanno presentato la domanda, non hanno ottenuto alcun contributo: Telecatanzaro, SM Tv, Esse Tv, Telecalabria-Rtc, Radio Tele Diogene, Radio Tele Jonio, Telespazio Tv-Studio 3, Telespazio Tv e Rete Sud». Per il 2013 la distribuzione dei contributi non è stata ancora effettuata, ma a febbraio scorso è stata pubblicata la graduatoria degli aventi diritto elencati nella seconda tabella, che riporta dati molti interessanti per una valutazione della situazione dell’offerta televisiva locale. Vi sono due aspetti importanti da rilevare. In primo luogo, l’uscita di scena di tre emittenti, Metrosat per fallimento e altre due (Rete Kalabria e Gs Channel) perché non hanno presentato domanda, nonostante l’anno precedente la prima ha avuto assegnati 100mila euro e la seconda circa 17mila. Al contrario Calabria Tv, Teleitalia e Rete mia fanno decisamente un balzo in avanti. La prima per l’acquisizione di Metrosat e la seconda per la regolarizzazione di contratti giornalistici. Interessante è il criterio con cui vengono erogati i contributi, stabiliti a livello nazionale dove avviene una prima discriminazione a sfavore delle regioni meridionali. Circa due terzi sono, infatti, distribuiti sulla base della popolazione residente, senza tener conto che proprio nel Mezzogiorno si annidano le maggiori problematicità sia orografiche per la particolare configurazione del territorio, sia tecniche per la necessità di un grande sforzo di investimento legato alla vetustà degli impianti di produzione dei programmi
e di distribuzione del segnale. Il restante terzo viene assegnato secondo una graduatoria nazionale, dove (guarda caso!) la parte del leone la fanno le reti del duopolio e le grandi reti del Nord. Non un centesimo arriva al Sud. Sulla base di questi criteri la misura del contributo che tocca alle emittenti calabresi è poco più di due milioni all’anno, da distribuire secondo i parametri stabiliti annualmente con un apposito decreto del ministero dello Sviluppo economico, sulla base del quale si procede alla formazione di una graduatoria regionale. I punteggi più importanti è formato da tre elementi fondamentali: fatturato, dipendenti e pubblicità. La componente più significativa è costituito dal numero dai contratti di lavoro degli iscritti nell’albo dei giornalisti (con un peso superiore per i professionisti rispetto ai pubblicisti), che incidono per circa il 50% sul contributo complessivo, mentre il rimanente 50% è suddiviso sulla base degli indici di ascolto calcolati dall’Auditel. Nessuna particolare attenzione ai tecnici (grafici, informatici, operatori video e le altre figure professionali indispensabili per una tv di qualità), né si richiede la predisposizione di piani di investimento per il potenziamento dell’emittente. I criteri adottati sono stati oggetto di feroci critiche poiché con questo sistema si è cercato di tutelare la casta dei giornalisti in un settore, come quello dell’informazione televisiva locale dove prevale lo spontaneismo, ma soprattutto è soggetto alla spietata concorrenza del web. Non vi è solo YouTube, ma lo streaming consente a chiunque di organizzare un sistema di diffusione di filmati, che fanno diretta concorrenza alle tv locali. Carlo Parisi, vicesegretario nazionale Fnsi e segretario del sindacato giornalisti della Calabria, difende strenuamente il criterio, dichiarando: «Garantire dignità professionale a chi svolge quotidianamente la professione giornalistica, infatti, conviene a tutti: ai giornalisti, che vedranno pre-
miati i loro sacrifici e la loro professionalità e potranno, così, lavorare in tranquillità, garantendo una qualità dell’informazione non condizionata dallo stato di bisogno; e agli editori che, oltre a non rischiare di subire pesanti sanzioni e denunce, anche penali, per sfruttamento del lavoro nero e omissione contributiva, potranno ottenere contributi pubblici più sostanziosi grazie ai maggiori punteggi previsti per i dipendenti giornalisti». Nella terza tabella si è ipotizzato il contributo per l’anno 2013 con una simulazione basata sul punteggio attribuito e quanto è stato deciso l’anno precedente. Si tratta di un dato di riferimento che potrebbe essere anche lontano da quanto verrà effettivamente deciso in sede di ripartizione. Alcune anomalie saltano però agli occhi. Tel A 57 denuncia un fatturato inferiore a quattromila euro annui e 7 dipendenti di cui uno è un giornalista professionista, Rete Sud ha un fatturato di 22mila euro e 13 dipendenti di cui sette pubblicisti. Nove emittenti (tra cui quelle sopra ricordate) hanno un fatturato annuo inferiore a diecimila euro l’anno. Un budget favoloso per garantire una televisione di qualità. Last but not least. Ad un attento esame, la graduatoria dei contributi annuali è significativamente diversa da quella per la concessione del segnale. Una domanda ingenua. Che fine hanno fatto emittente come Canale Italia 3, Segnali Mediterranei, Canale Italia 84, TivuItalia, TeleRadio Immagine, CalabriaUno-Tva, 7 Gold, Gold 88 ecc. ecc. Occupano un posto di rilievo nell’etere, ma non appaiono tra coloro che aspirano a un contributo. Perché non ne hanno bisogno, perché sono dei puri fantasmi, o perché hanno altrove il centro dei loro interessi? Un premio di riconoscenza a chi fornisce la risposta più esauriente ed appropriata. (OP)
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Sabato 3 Maggio 2014
Attenti a non scivolare Mentre il “New York times” ci bacchetta è scarsa la considerazione dell'olivicolura calabrese da parte di alcuni organi di stampa a carattere nazionale
Non serve piangere sull’olio versato di Giovanni Perri *
L’autorevole giornale New York times, recentemente, ha denunciato giustamente come la contraffazione dell’olio extravergine d’oliva venduto in America, danneggi seriamente non solo questo eccellente prodotto, bensì il simbolo della dieta mediterranea. La notizia è stata riportata in Italia dall’influente quotidiano La Repubblica, sottolineando allarmata meraviglia e stupore in merito alle contraffazioni riguardante l’olio extravergine italiano contraffatto, manipolato e venduto in America, condividendo pienamente i contenuti delle convincenti considerazioni riguardanti le problematiche denunciate. Dietro questo prodotto italiano, definito da Repubblica “Oro verde puro”, ci sono tante storie di imprenditori e di agricoltori da raccontare, unitamente agli splendidi paesaggi che caratterizzano i territori dove l’olivo viene coltivatori da millenni. Per meglio valutare tale realtà necessita sottolineare l’importanza degli obblighi di tracciabilità prescritti dal Regolamento Ue n. 178/02 che impegna le imprese a dare ai consumatori le opportune informazioni sull’origine geografica e sulla produzione con particolare attenzione alla materia prima utilizzata, ai processi produttivi, alla qualità biologica del prodotto finito. La commercializzazione di oli in contenitori che rechino le etichettature di denominazione di origine protetta (Dop) o Indicazione geografica protetta (Igp), servirà ancora di più alla diffusione di marchi legati al territorio ed alle sue peculiarità e specificità. Nel comparto olivicolo ed oleicolo, infatti, grazie a quanto già avvenuto in tema di salvaguardia e la tutela delle aziende specializzate, potranno essere raggiunti ulteriori significativi miglioramenti produttivi utilizzando le nuove risorse che l’Unione europea destina a favore del comparto, per migliorare gli assetti produttivi, le tecniche di raccolta e di estrazione, l’imbottigliamento e l’etichettatura dell’olio, con l’utilizzo virtuoso dei
benefici comunitari previsti dalla prossima programmazione del nuovo Psr 2014-2020. In Calabria, dove l’olivo è tipica coltura mediterranea, è possibile migliorare ulteriormente la qualità dei prodotti, pubblicizzando adeguatamente e promuovendo mirate iniziative per meglio far conoscere ed apprezzare la qualità degli oli tipici calabresi, in Italia, in Europa e nel mondo. Ora, qualche riflessione sulle altre notizie riportate dall’articolo di “Repubblica” vanno pur fatte, anche se con spirito collaborativo e non di critica, né tanto meno di denuncia, con la speranza di poter leggere, prossimamente, che nell’ambito del panorama olivicolo ed oleicolo italiano, oltre alla Liguria, Lombardia, Toscana, Umbria, Lazio, Puglia e Siclia, possa figurare anche la Calabria. Tutto ciò in riferimento al fatto che il territorio calabrese, fonte Istat, vanta una superficie olivetata di circa Ha 165.034, pari al 29,7% della Sau (superficie agraria utilizzata) regionale e delle 137.704 aziende, pari al 70,9% delle coltivazioni legnose agrarie. Tale consistenza evidenzia il fatto che l’olivicoltura calabrese, consociata e specializzata, oltre che una coltura prevalente in termini di superfici e dei livelli occupazionali occupa, nel panorama olivicolo ed oleicolo nazionale, le prime posizioni di livello produttivo dopo la Puglia. Pertanto è evidente che per l’ulteriore valorizzazione degli oli extravergine d’oliva calabrese, necessitano oltre alle pur necessarie utilizzazioni delle risorse che l’Ue destina a favore del potenziale olivicolo calabrese e della provincia di Cosenza sede dell’Istituto nazionale per la Ricerca e Sperimentazione dell’Olivicoltura, dove vengono portati avanti opportuni studi, ricerche ed iniziative divulgative varie. È dunque evidente che per l’ulteriore tutela, salvaguardia e valorizzazione dell’olivicoltura di qualità, si rendono necessarie anche campagne pubblicitarie e informative innovative, finalizzate ad attirare e catturare l’attenzione delle più affermate testate giornalistiche a livello nazionale, europeo e mondiale.
Tutto ciò al fine di fare conoscere e coinvolgere ad una platea più vasta di consumatori, riguardante gli aspetti agronomici ed ambientali dove vengono prodotti gli oli, i cui territori sono ricchi di storia, di lavoro e di paesaggi belli e incantevoli, che nel corso la Calabria ha sempre scritto pagine belle ed importati per l’economia agricola, soprattutto per quanto attiene il riconoscimento, l’autorizzazione dell’Ue e la possibilità di ottenere e commercializzare oli a denominazione di origine protetta (Dop) e Indicazione geografica protetta (Igp). Ha perfettamente ragione il quotidiano La Repubblica, quando, fra l’altro, afferma che: «Non possiamo contestare l’accusa degli USA. Bisogna fare più controlli e arginare con multe e sequestri chi avvelena i fruitori: Dietro ogni prodotto ci sono professionisti con nome e cognome, e piante di olivo millenarie di cui conosciamo e presentiamo età e caratteristiche». Ciò è verissimo, tant’è che all’olio extravergine d’oliva calabrese manca quel famoso “valore aggiunto” che continua a penalizzare l’economia calabrese, nonostante la Calabria ha sempre partecipato e partecipata tutt’ora, con discreti successi all’attività olivicola ed all’industria molitoria, con il funzionamento di vecchi frantoi, oggi per lo più rammodernati, ristrutturati e/o sostituiti da macchinari innovativi. Al fine di valorizzare ulteriormente le produzioni olivicole della Calabria, è necessario promuovere iniziative indirizzate concretamente alla difesa e valorizzazione dell’intera “filiera olio”, sensibilizzando i consumatori in direzione della “dieta mediterranea” e di sane abitudini alimentari, promuovendo opportune iniziative comunicative per far conoscere meglio la qualità salutistiche degli oli tipici calabresi in Italia, in Europa e nel Mondo. L’olivicoltura calabrese merita perciò maggiore considerazione anche da parte degli organi di stampa a livello nazionale, con augurio che la disattenzione in oggetto, possa essere considerata come semplice distrazione e non come “asimmetria informativa”. * già presidente Federazione Agronomi forestali Calabria
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