Anno 38 - 3 MAggio 2014 - Numero 18
Settimanale indipendente di informazione
euro 0,50
di Lucia De Cicco
Slotmob Cosenza, un evento che ha premiato un bar che ha scelto di non “accettare” giochi come le slot machine GUIDA SICURA
PAGINE DI STORIA
Informarsi è la strada giusta per non morire sull’asfalto
Ttre certosini speciali quando passò il “Santo”
Innovazioni e aspetti tecnico-operativi in un convegno sulla sicurezza
Presenti a Serra San Bruno durante la visita di Giovanni Paolo II
di Pietro De Leo
II
sabato 3 maggio 2014
Il rischio è dietro l’angolo Slotmob Cosenza: basta con il gioco d'azzardo
Strozzati dalle macchinette di Lucia De Cicco
“Slotmob n.47” Cosenza è un evento partito il febbraio scorso con una tavola rotonda tenutasi a Castrolibero: contro il gioco d’azzardo nuove povertà e nuovi scenari organizzata da Alfredo Sguglio e Giuseppe Arcuri. Evento, che si è ripetuto con la collaborazione di quindici associazioni del territorio cosentino, lo scorso 27 aprile. L’evento ha premiato un bar del centro di Cosenza, che ha scelto di non accettare, nel suo spazio, giochi che come le slot machine. All’evento hanno preso parte il sindaco di Cosenza Occhiuto, il sindaco di Castrolibero Greco e l’assessore della stessa amministrazione Sabrina Pacenza. L’obiettivo non è quello di demonizzare chi ha le slot machine, ma di promuovere un’economia diversa basata sulla socialità e sulle relazioni. Per saperne di più si può visionare anche un gruppo che è stato aperto su Facebook e per altre informazioni si può prendere contatto Giuseppe Arcuri al numero di telefono 388.1085738. Fenomeno, che coinvolge tante città italiane, a maggio l’appuntamento nazionale è a Roma. In Italia, la dipendenza da gioco d’azzardo ha superato quella degli stupefacenti. Alcuni bar hanno deciso di non installare le Slot Machine nei loro locali. Si legge in una nota sul Web: “È giusto premiare questi bar! Andiamo tutti insieme a prenderci un aperitivo lì!”. In occasione della serata di domenica 27 aprile abbiamo incontrato uno degli organizzatori, Giuseppe Arcuri. In che cosa consiste lo slotmob? È un evento organizzato dalla società civile, che ha deciso di premiare, se così possiamo dire, quei locali, che hanno deciso di non usare al loro interno gli slot machine con l’andare a prendere un aperitivo. L’evento del 27 aprile scorso è il 47esimo che si è tenuto in Italia. Si vuole dare un segnale di tipo etico sostenendo quei locali che hanno scelto una strada diversa. Ciò non perché si voglia penalizzare chi sceglie una strada diversa, non si ha intenzione di giudicare chi decide di usare gli slot nel loro locale, perché capiamo siano scelte di opportunità economica, ma vogliamo premiare chi sceglie la strada del no slot. Che cosa succede durante uno slotmob? Non ci si ferma all’aperitivo o alla colazione del mattino, ma si danno il via ad attività di gioco che possono essere momento d’incontro, rilanciando giochi che si possono svolgere in due o in più persone, come il biliardino o il gioco degli scacchi. Insomma il gioco rimane, ma cambia la sua qualità. Nell’occasione del 27 aprile si sono svolti anche giochi da tavolo e all’aperto giochi per i più piccoli come la campana. Quindici associazioni del territorio, che si organizzano per quest’attività...
Evento che ha premiato un bar del centro della città bruzia, che ha scelto di non accettare nel suo spazio giochi come le slot machine Abbiamo incontrato uno degli organizzatori della iniziativa, Giuseppe Arcuri
Ci siamo visti settimanalmente per organizzarci e ognuna ha dato disposizione con il proprio talento a far si che la cosa riuscisse. Hanno partecipato le Acli (Associazione Cristiane lavoratori Italiani), Azione cattolica, Cittadinanzattiva, Csi (Centro sportivo Italiano Cosenza), Dignità del lavoro, Eccedenze creative, Fidapa (Federazione Italiana donne arti professione affari) sezione di Cosenza, Forum delle associazioni familiari, Libera, Movimento dei Focolari, Otravez, Rotary club Cosenza Nord, Sentiero Nonviolento, Stella Cometa Onlus, Teatrino Clandestino Sud. Con lo scopo di promuovere un’economia diversa basata sulla socialità e sull’andare controcorrente, portando gente a far colazione in quel determinato locale, parlandone e dandogli visibilità. L’iniziativa è stata davvero partecipata oltre ogni aspettativa, circa 200 persone e coinvolto persone di qualsiasi età. Lei fa parte del movimento dei Focolari... Sì, ma è giusto precisare che non è un’iniziativa che nasce in seno a nessuna appartenenza specifica, le associazioni che hanno partecipato sono le più diverse e anche laiche. Tutti hanno contribuito come semplici cittadini anche i Sindaci intervenuti non hanno fatto alcun discorso in merito, anche loro sono stati presenti come semplici utenti. La campagna è di sensibilizzazione, cerchiamo di incontrare più associazioni possibili che possano in qualche modo contribuire con i loro talenti all’obiettivo. Un’associazione in particolare ha offerto anche uno spettacolo teatrale, ma non da meno sono state quelle che hanno offerto i mezzi di trasporto per i materiali, affinché si potesse realizzare lo slotmob. Come vi muoverete? Abbiamo rilevato una mappatura dei locali che diciamo, sono virtuosi, cui consegneremo in questo viaggio un “adesivo” di qualità. Un secondo passo sarà fare una delibera redatta dalle quindici associazioni e di proporla alle Istituzioni in cui si chiede di limitare il gioco d’azzardo nel territorio.
sabato 3 maggio 2014
Preparativi in corso In moto la macchina organizzativa per la visita di Sua santità in programma per il 21 giugno a Cassano
Conto alla rovescia per Papa Francesco
Aspettando Papa Francesco, si mette in moto la macchina organizzativa che in vista della visita pastorale alla diocesi di Cassano all’Jonio di Sua Santità Francesco, in programma per il 21 giugno, curerà le fasi preparatorie dell’evento. Da mercoledì 30 aprile, in particolare, è attivo un infopoint telefonico, al quale rivolgersi per ottenere chiarimenti e assistenza. Il servizio è disponibile (ad esclusione dei giorni festivi) dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 13 e dalle 16.30 alle 19, ed il sabato, dalle 9 alle 12. Due le utenze che è possibile contattare: 0981 71155 e 0981 782250 (quest’ultimo anche con funzioni di fax). Attivate altresì due caselle di posta elettronica dedicata: la prima, segreteria@papafrancescoacassano.it, riservata a chi desidererà ottenere informazioni di carattere generale ed organizzativo. La seconda, invece, press@papafrancescoacassano.it, è a disposizione esclusivamente degli operatori del mondo dei media. Dal 2 maggio, inoltre, per far fronte alle richieste di informazioni in ordine ai dettagli della visita ed alle modalità di partecipazione ad essa, è online il sito internet dedicato al viaggio del Pontefice in Calabria, consultabile all’indirizzo www.papafrancescoacassano.it, che va ad aggiungersi alle fonti ufficiali, rappresentate dalla sala stampa vaticana e dagli altri canali informativi della diocesi di Cassano all’Jonio: il sito web www.diocesicassanoalloionio.it e la pagina Fb della diocesi medesima. Contestualmente, intanto, procedono i lavori per la definizione del programma: una volta precisati con certezza ed ufficialità i contenuti dello stesso secondo le indicazioni che verranno dalla Santa Sede, si provvederà alla sua pubblicizzazione ed alla individuazione dei criteri da seguire per garantire l’ordinato svolgimento dell’evento, con riferimento al quale il pastore della Chiesa cassanese, monsignor Nunzio Galantino, rinnova l’invito - in primis alle istituzioni - ad ispirare il proprio agire a ragioni di stile, sobrietà, attenzione al prossimo. «La visita del Papa - ricorda il presule - non può e non deve rappresentare un capitolo di spesa ingiustificata né per la diocesi né per le amministrazioni locali e per quelle sovracomunali. Per questo auspico che non si programmino interventi di maquillage occasionali, o comunque spese inutili o superflue, ma eventualmente opere strutturali e durature, per il bene della città e dell’intero regione». Quindi l’appello a cogliere il senso reale della presenza di Papa Bergoglio in terra calabra, riportando al centro dell’azione e del pensiero - aggiunge monsignor Galantino - «i poveri lasciati soli nelle nostre strade; i non credenti cui abbiamo continuato a proporre la nostra religiosità senza domandarci se essa avesse un senso anche per loro; i nostri ragazzi quando abbiamo abdicato ad essere esempi credibili per loro; i nostri giovani quando non abbiamo fatto niente per sostenere i loro sogni; il nostro territorio ridotto a luogo solo da sfruttare». Un richiamo netto, agli uomini e donne di buona volontà, a ritrovare la bussola ed il Vangelo ed a seguirli nella marcia verso il giugno della speranza e, soprattutto, il tempo che verrà.
Attivati un infopoint telefonico e un sito internet per notizie e chiarimenti logistici
Il presidente di “Libera” con monsignor Galantino
Don Luigi Ciotti incontra i giovani a Cassano Comunicare la speranza, aspettando Papa Francesco. Don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, lo farà attraverso la sua testimonianza, confrontandosi su storie di vita e di fede coi giovani della diocesi di Cassano all’Jonio e con loro interloquendo nel corso di un incontro pubblico. L’appuntamento, in programma per domenica 4 maggio, è stato promosso dalla Caritas diocesana, presieduta da Raffaele Vidiri, di concerto con l’ufficio delle Comunicazioni sociali, guidato da don Alessio De Stefano, esteso alla partecipazione di tutti i gruppi ed aggregazioni laicali attivi in ambito diocesano, oltre che di tutti gli interessati. Chiaro l’obiettivo: tracciare insieme percorsi di crescita e stili di vita nuovi, culturali e spirituali ancor prima che economici. "Un’iniziativa - spiegano Vidiri e De Stefano che rientra nell’ambito di quelle pensate in preparazione della venuta in Calabria di Papa Francesco, mirate a favorire la riflessione su quello che ciascuno di noi, i giovani in particolare, può e deve fare per migliorare se stesso, creare relazioni con l’altro e con il diverso da sé ispirate alla logica dell’amore e riscoprire così la vocazione al servizio in favore del prossimo, l’unico modo possibile per abbattere muri e steccati e sostituire alla povertà ed all’emarginazione, non solo materiali, i concetti e la concretezza dell’amore e della prossimità". Il programma: alle 18.30, in Cattedrale, concelebrazione eucaristica presieduta da monsignor Nunzio Galantino, pastore della Chiesa cassanese e segretario generale della Cei. A seguire, sempre tra le navate della Cattedrale, il dialogo tra don Ciotti e i giovani.
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sabato 3 maggio 2014
Pagine di Storia da non dimenticare Presenti a Serra San Bruno durante la visita di Giovanni Paolo II
di Pietro De Leo
La canonizzazione il 27 aprile 2014 dei pontefici Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II vissuta in Piazza San Pietro e in tutto il mondo con estrema gioia ha ridestato tantissimi ricordi specialmente in coloro che hanno conosciuto i due santi. Penso alla visita compiuta da Giovanni XXIII il 5 ottobre 1984 alla Certosa di Serra San Bruno, dove poi sarebbe giunto l’11 ottobre 2011 Benedetto XVI ricordando «il legame profondo che esiste tra Pietro e Bruno, tra il servizio pastorale all’unità della Chiesa e la vocazione contemplativa nella Chiesa». Tra i membri della comunità retta allora da don Pietro Anquez, che spalancò la porta a Giovanni Paolo II, vi erano tre monaci “singolari”: uno ancora presente; due passati di recente a miglior vita.
Tre certosini “speciali” Il primo è fra’ Paolo Maria (al secolo Joaquim Rafael) da Fonseca quel bonario fratello converso per tanti anni portiere della certosa e poi procuratore, nato nel 1942 a Naamacha in Mozambico. Joaquim lasciò la sua terra natìa nel 1961 per effettuare il servizio di leva in Portogallo. Durante il viaggio dall’Africa all’Europa conobbe Eusébio da Silva Ferreira suo coetaneo con il quale avrebbe condiviso oltre al servizio militare la passione per il calcio. Così Eusebio e Joaquin si ritrovarono amici/avversari sui campi di calcio, tra le fila rivali del Benfica e dello Sporting di Lisbona riportando grandi successi nel calcio internazionale: Infatti, fu il giovane Joaquim, che “da sgusciante ala destra” condusse la sua squadra alla vittoria della Coppa delle Coppe del 1964. Cattolico fervente e praticante, dopo tanti successi, il giovane Joaquin prese una scelta radicale, decidendo di accostarsi alla vita religiosa, prima salesiana e poi contemplativa, dichiarando a soli 27 anni: «Ho sentito la chiamata di Dio e l’ho seguita». Nell’estate 1968 intraprese un periodo di prova alla certosa di Evora, dove ritornò per entrarvi il 7 dicembre seguente, iniziando la vita claustrale come fratello converso e prendendo il nome di Paolo. Rimase ad Evora ben 19 anni, per poi essere chiamato alla Grande Chartreuse dove svolse la sua attività per qualche anno. Chiese poi di trasferirsi alla certosa calabrese di Serra, anche per fronteggiare l’esigenza della comunità che aveva bisogno di monaci giovani, e Fra Paolo da allora e tuttora è un elemento importante per le funzioni che ha svolto e che svolge in certosa con quell’inconfondibile serena beatitudine che traspare dal suo sguardo, che come è stato notato - sembra esprimere il «Fugitiva relinquere et aeterna captare» di san Bruno. Gli altri due, anche essi presenti nel corteo papale, hanno avuto un percorso religioso “inconsueto”. Si pensi al francese Thomas Gaston Celestin Eugene, nato a Tillieres nel 1929 poi don Christian dal 15 novembre del 1952, quando entrò definitivamente nella Grande Chartreuse, per poi essere ordinato sacerdote il 31 marzo 1958. Quel “piccolo” monaco sempre sorridente giunse a Serra nel 1980. Lì rimase per tanti anni attivo illuminando con lo sguardo, il sorriso e le sue parole le persone che lo incontravano. “L’angelo delle anime” come molti lo chiamavano, dotato d’autentico carisma esorcista, sulle orme di San Bruno che liberava - come si racconta - gli spirdàti, posseduti dagli “spiriti maligni”. Ottenuto il dovuto permesso, nell’agosto del 1994 lasciò la vita di clausura andando a vivere nel 1997 nell’eremo Marinella di Isola Capo Rizzuto, dove, accolto dall’allora arcivescovo di Crotone Santa Severina mons. Giuseppe Agostino. svolse il ministero pastorale sino al 1999, infondendo fede e speranza con il saio bianco del monaco certosino e guarendo più di come possono le cure mediche. Nel 1999 mons. Agostino - traslato nell’archidiocesi di Cosenza gli affidò la direzione spirituale delle Catechiste Rurali del Sacro Cuore a Fiumefreddo Bruzio. Successivamente, a causa dell’aggravarsi delle condizioni di salute, raggiunse la Villa della Fraternità di Sant’Andrea Apostolo dello Ionio, casa di riposo per sacerdoti, dove morì il 3 aprile del 2013, all’età di 84 anni, per essere poi sepolto nella Certosa serrese, circolato dall’affetto di tanti suoi fedeli, ai quali aveva trasmesso un preciso messaggio: «L’amore infini-
La Certosa di Serra San Bruno
tre monaci "singolari": uno ancora presente; due passati di recente a miglior vita
to dà tutto e vuole tutto, il Padre Celeste ha dato tutto, ha dato se stesso, nella persona del suo unico figlio Gesù. Così è l’amore: pazzia, follia, l’amore è dono totale». Padre Cristian fu evocato nella vicenda che agli inizi del nostro secolo interessò mons. Emanuel Milingo, il vescovo africano messo in quarantena dal Vaticano, ripetutamente cercato a Serra San Bruno. Si mormorava, infatti, che lì - anni prima - egli si era recato per trovare don Christian, l’ultimo dei monaci esorcisti della clausura di Serra. Un particolare curioso che si aggiunge alle altre presunte presenze in quell’eremo speciale. Altra figura particolare è don Elia Castellani (1931 monaco nell’Eremo dei Santi Francesco a Dinàmi, Soreto (Vv) nei pressi di Mileto. La sua religiosa, comincia negli anni Cinquanta in varie certose d’ Italia, Francia e Svizzera. Nel 1974 fu priore della certosa di Vedana e fu noto per aver aperto, per la prima volta, il portone della certosa alle telecamere Rai. L’anno successivo fu trasferito alla certosa di Serra San Bruno, dove rimase per oltre venti anni. Tra il 1999 ed il 2000 decise di lasciare la clausura. A chi gli chiedeva: «Padre Elia ha lasciato la vita claustrale?» egli rispose: «...un vecchietto fondatore dell’Eremo dei Santi cercava un frate francescano per la direzione spirituale e confessore della gente, ma non riuscì a trovarlo, pertanto pensò di recarsi alla Certosa di Serra, e chiese al priore se ci fosse disponibilità di qualche monaco che svolgesse tale ministero. Con il consenso del padre generale e del vescovo, decisi di venire in questo luogo per un anno e mi trovai bene! Continuo tutt’oggi l’attività d’eremita e di sacerdote con permesso accordatomi di tre anni dai miei superiori». E a Dinami è restato punto di riferimento per quanti desiderano essere ristorati dalla misericordia divina, senza mai dimenticare la visita di Giovanni Paolo II alla Certosa di Serra San Bruno, quando lui incaricato di leggere la Bibbia, dopo la prima frase, sentì il Santo padre battendo con la posata sulla bottiglia dire: «Vediamo se questi monaci hanno perduto l’uso della parola». Allora scese dal pulpito, e si sedette a tavola: l’unica volta che i monaci parlarono in refettorio. Figure queste e pagine di storia che forse meritano di essere ricordate.
sabato 3 maggio 2014
La palla passa al talento Il prossimo 5 maggio sarà un giorno speciale per tutti gli appassionati di calcio calabresi
Campioni di domani di Francesco Fotia
Il prossimo 5 maggio sarà un giorno speciale per tutti gli appassionati di calcio calabresi. A partire dalle ore 17:00, nell’Aula magna dell’Istituto d’istruzione superiore di Castrolibero, si tiene il “Galà dei talenti calabresi” promosso dal Circolo della stampa di Cosenza “Maria Rosaria Sessa”, in collaborazione con la Figc-Lnd Comitato regionale Calabria - delegazione provinciale Cosenza e il Coni delegazione provinciale Cosenza. Una bella occasione per conoscere alcuni dei giovanissimi calciatori più promettenti della nostra terra, e che speriamo di vedere un giorno nei palcoscenici del massimo campionato. A seguire verranno premiate le società di calcio che hanno lanciato questi talenti: saranno undici come i calciatori di una formazione di calcio ideale da schierare in campo. Nel corso del pomeriggio sarà inoltre presentato il libro La Giovane Italia - Gli Under 19 in cui crediamo, scritto da Paolo Ghisoni, giornalista di Sky, e Stefano Nava, ex calciatore del Milan, con il contributo della Figc (Federazione italiana gioco calcio). Il volume, presentato in altri centri italiani, svela l’identità di alcuni dei papabili campioni di calcio di domani, osservati direttamente dai due autori, e dedica ampio spazio a delle brillanti analisi delle qualità tecniche dei giovani, mettendone in luce i punti di maggiore forza. Tra i presenti all’evento, anche Massimo Drago, allenatore della Fc Crotone, squadra che attualmente milita nella categoria cadetta, ma che sta provando a raggiungere addirittura la serie A: un traguardo, anche soltanto l’essere lì, a giocarsi la promozione con formazioni ben più blasonate come l’Empoli, assolutamente insperato a inizio stagione, e che tanta soddisfazione sta dando ai tifosi crotonesi. Ospite d’onore della giornata è Felice Natalino già giocatore dell’Inter, oggi responsabile della scuola calcio Virtus Sambiase, e vincitore di una borsa di studio in marketing dell’Aic. Il parterre di ospiti del Gala si arricchisce della presenza di Franco Rosito, vicepresidente del circolo “Maria Rosaria Sessa”, Nino Cosentino, il vicepresidente nazionale della Lega Dilettanti, Saverio Mirarchi, presidente del Comitato regionale Calabria della Figc-Lnd, Franco Funari, presidente della delegazione provinciale della Figc Cosenza, Vincenzo Perri, vicepresidente vicario del Coni Calabria e Pino Abate, delegato nazionale e presidente provinciale del Coni Cosenza. Sarà presente al Gala anche una delegazione degli studenti dell’Iis, che aggiungerò il prossimo anno alla propria offerta formativa l’indirizzo di Liceo sportivo. A rappresentare l’istituto in compagnia degli studenti sarò Iolanda Maletta, il dirigente scolastico. L’evento fa parte del fitto calendario che il Circolo della stampa Sessa ha stilato per celebrare al meglio i suoi primi dieci anni di attività sul territorio. Nel programma anche un altro importante incontro da tenere nel corso di questa settimana: sabato 3 maggio i giornalisti cosentini incontrano infatti gli studenti del Liceo scientifico “G. B. Scorza”, in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa. Presenti all’incontro Attilio Sabato, consigliere Ordine nazionale dei giornalisti, Giuseppe Soluri, presidente Ordine regionale dei giornalisti calabresi e Sandro Ruotolo, giornalista e coautore del programma televisivo “Servizio pubblico”, condotto da Michele Santoro.
Dalle ore 17 nell’Aula magna dell’Istituto d’istruzione superiore di Castrolibero si tiene il “Galà dei talenti calabresi” promosso dal Circolo della Stampa di Cosenza “Maria Rosaria Sessa”
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sabato 3 maggio 2014
Dentro la nostra Storia Un calabrese di Sant'Agata d'Esaro, un partigiano, un uomo libero
eco di Pierfrancesco Gr
Quando si parla di Resistenza, si parla dei prodromi, eroici e cruenti, nel cui alveo ha emesso i suoi vagiti la nostra democrazia, la nostra libertà, il nostro modo di vivere. Quando si parla di Resistenza, ci si cimenta in un esercizio di riflessione storica e antropologica, focalizzato sull’atavica dicotomia tra barbarie e civiltà, tra protervia tirannica e vocazione libertaria, tra bestialità e umanità; quando si parla di Resistenza, si parla, insomma, di noi stessi, della nostra vita, di quello che siamo stati, di quello che siamo, di quello che saremo, soprattutto.
Dante Castellucci l’anomalia e la libertà Quando si parla di Resistenza, si corre, però un duplice rischio, uno dei quali è quello di scivolare nella retorica più stucchevole e ridondante; una tentazione, questa, che fa il paio con la tendenza opposta, quella votata al revisionismo più rivoltante, molto diffuso, per la verità negli ultimi tempi, sull’onda di alcune discutibilissime e alquanto tardive, pubblicazioni, poco “scientifiche” contestualmente all’analisi storiografica e molto remunerative, nella giungla dei più prosaici “canali” commerciali, il cui sostrato teoretico consta nella sostanziale equiparazione morale tra i patrioti che vollero ridare linfa alla dignità nazionale e tra i traditori che, invece, non ebbero scrupoli nel diventare complici dell’occupante dalla croce uncinata. Quando si parla di Resistenza, sovente ci si dimentica che essa è una pagina di Storia, della nostra Storia, costituita dal mosaico di tante Storie, piccole e grandi, belle e tragiche, edificanti e imbarazzanti, il cui divenire nasconde vittorie e drammi, sopruso e riscatto, accadimenti noti e verità paradossali, ombre e luci, che ancora oggi si riverberano nella vicenda nazionale. Ecco perché, quando si parla di Resistenza bisogna adoperare equilibrio, chiarezza, coraggio: coraggio nel guardare tutto nella giusta luce, senza artifizi retorici o iperboli revisioniste; coraggio nel raccontare storie particolari, anche tragicamente anomale, come quella che vide protagonista un calabrese, sinceramente votato alla lotta per la libertà e l’indipendenza: un patriota sacrificato da chi condivideva il suo ardore libertario; una vittima della collettiva tensione emotiva, del clima perennemente sospeso tra sincera fraternità e insensata rivalità che connotò, anche tra le fila partigiane, quella stagione di conflitto e rinascita, quando le più alte conquiste culturali e morali della nostra storia recente trovarono gestazione in un complesso intreccio di gloria e errori, sincerità e menzogne, etica e superficialità. Errori, menzogne e superficialità come quelli che spensero l’esistenza del partigiano calabrese di cui stiamo parlando, il cui nome richiama alla memoria una vicenda esemplificativa dell’irrazionalità di fondo, che, può essere sia progressiva, sia regressiva, a seconda dei valori che la animano, in cui trovano genesi le grandi epopee e i più assurdi drammi: Dante Castellucci, nato il 6 agosto 1920 a Sant’Agata d’Esaro, in provincia di Cosenza, fu un coriaceo combattente della Resistenza, membro di primo piano della banda Cervi, fucilato non dai fascisti o dai tedeschi, ma dai suoi stessi compagni di lotta, sulla base di un’accusa di furto rivelatasi poi falsa. «Ricordare il partigiano “Facio” - si legge al riguardo sul sito della Associazione nazionale partigiani - significa anche rievocare una tragedia della Resistenza avvenuta sui monti ai confini fra Parma, La Spezia e l’alta Lunigiana, quindi rivivere, ma anche ripensare, a quel clima di isolamento, assedio, sospetti, contrasti e anche ingiustificate rivalità. Di quel dramma Dante Castellucci, nome di battaglia Facio, fu protagonista e vittima innocente. Guerrigliero coraggioso, autore di esaltanti imprese contro nazisti e fascisti, comandante amato dai suoi uomini e dalle popolazioni di quelle valli, cadde sotto il piombo di un plotone di esecuzione composto da partigiani. Era l’estate del 1944, nella zona di Pontremoli. Aveva 24 anni. Negli anni successivi alla Liberazione la vicenda fu oggetto di
Dante Castellucci Sopra, partigiani in combattimento Nella pagina accanto la brigata partigiana garibaldina “Picelli” e la targa commemorativa della battaglia a Lago Santo (Parma)
indagini e inchieste, anche da parte di magistrati; purtroppo senza giungere ad una riabilitazione piena. Giunse invece, nel 1963, per il partigiano Dante Castellucci, l’eroico Facio, la medaglia d’argento alla memoria». Inaspettata e beffarda, soprattutto per la motivazione: «Scoperto dal nemico, si difendeva strenuamente; sopraffatto e avendo rifiutato di arrendersi, veniva ucciso sul posto»; sopraffatto e ucciso sul posto, ovvero una palese falsità, un insulto alla storia di un uomo che nella virtù della verità trovava il senso della sua lotta per la libertà. Emigrato in Francia dalla natìa Calabria, Dante aveva partecipato al conflitto mondiale sulle Alpi e lungo il Don. Aveva poi disertato dall’esercito e dalla guerra fascista, scegliendo di stare dalla parte della libertà: prima quale braccio destro di Aldo Cervi, nell’eroica, pionieristica squadra partigiana di Campegine, poi al comando del battaglione d’assalto “Guido Picelli” della Brigata Garibaldi parmense, nel cui ambito mostrò carisma e straordinarie capacità operative. Facio fu protagonista, dall’estate del 1943 al luglio 1944, di ardimentose azioni militari sull’Appennino tosco-emiliano (memorabile quella del Lago Santo parmense, nel marzo ‘44), tanto che ancora oggi viene ricordato come vero eroe dalle popolazioni della Lunigiana e dall’alta Valle del Taro. Dante Castellucci, considerato uno dei combattenti più importanti della Banda Cervi a cui era aggregato, si fece subito notare, peraltro, pure per le sue caratteristiche di persona colta, sensibile, umana.
Quando si parla di Resistenza bisogna adoperare equilibrio, chiarezza, coraggio
Ricordava papà Cervi: «Castellucci parla della Calabria, dei sassi e dei pastori, e dice di un frutto che noi non conoscevamo, una specie di prugna, con le spine e senza nocciolo. Sembrava un indovinello. Eppure è così, rispondeva Dante, e quando sarà finita la guerra, vi inviterò al mio paese a mangiare fichi d’India». Argomentava con acutezza le ragioni della sua lotta, parlando di socialismo libertario, di democrazia. Nonostante ciò, l’avventura di Facio tra le fila della Libertà, finì anzitempo, quando venne fucilato presso Adelano, una piccola frazione del comune di Zeri all’alba del 22 luglio 1944, accusato del furto di un lancio di rifornimento paracadutato dagli alleati; con il tempo, e secondo molte testimonianze, tale accusa si palesò come del tutto infondata, mancando la prova oggettiva in ordine al reato contestatogli. Probabilmente, decisiva nel suo destino, fu la volontà di certi settori dell’ambiente resistenziale, di prendere il controllo della brigata da lui comandata. A ogni modo, comprendere le reali ragioni che portarono Facio davanti al plotone d’esecuzione, risulta ancora oggi arduo e, certamente, non è possibile affrontare tale questione in queste poche righe. C’è da credere, a prescindere da tutto il resto, dalle questioni di comando e dalle strategie belliche ad esse connesse, che la sua libertà inte-
sabato 3 maggio 2014
Dentro la nostra Storia sistenza la gente del luogo, che noi salutammo con le armi in pugno». Tale impresa rese celebre il nome di battaglia di Castellucci, “Facio”, estremamente indicativo del suo istinto ribelle: nella realtà storica meridionale, infatti, “Facio” fu brigante calabrese che combattutè duramente contro i Borboni, prima e contro i piemontesi dopo, una di quelle persone che non avevano timore a scontrarsi contro eserciti regolari in presenza di soprusi e violenze contro la povera gente. Proprio come Castellucci, la cui idea radicale di libertà e di comunismo, risultava, insomma, allora una voce alquanto minoritaria: un particolare, questo, che, certamente, non contribuì a metterlo in una luce favorevole durante il processo a cui fu sottoposto dai suoi compagni. Laura Seghettini, quella che avrebbe dovuto diventare moglie di Dante, nel luglio del 1990, raccontò di ricordare perfettamente quelle ore: «Sono arrivata ad Adelano nel cuore della notte, mentre lo stavano processando. Lui non si difendeva. Sembrava vivere uno stato d’animo a metà tra la fierezza, la dignità e la depressione. Non aveva paura. Forse aveva già deciso di accettare la morte. Dopo la sentenza sono rimasta con lui fino all’alba insieme agli uomini di guardia, che volevano farlo scappare. Ma Facio non ha accettato. “Un giorno qualcuno, mi ha detto, farà luce sulla mia storia”. Aveva un coraggio incredibile, non ha avuto paura. Come non l’aveva mai avuta durante la sua guerra di resistenza. Sempre il primo nelle azioni, l’ultimo a riposarsi, a mangiare. Sempre disponibile con i suoi uomini. All’alba lo hanno preso e lo hanno portato fuori. Ho saputo dopo che il plotone non voleva sparare. Ho saputo che ha gridato Viva l’Italia. No, non si doveva uccidere un uomo così. Aveva solo venticinque anni».
riore, la medesima che dava sostanza alla sua indole e alla sua condotta anti-autoritaria, doveva avergli procurato degli avversari, anche in seno allo stesso Partito comunista, allora rigidamente, e ovviamente, arroccato sul dogmatismo stalinista; in effetti, Castellucci si può definire come un partigiano “anomalo”, quali furono Mario Musolesi e Silvio Corbari, per il loro pensiero e talvolta per il modo di agire fortemente autonomi. La sua fama nacque durante la battaglia del Lago Santo, dove con soli 9 uomini, dopo circa 20 ore di lotta, mise in fuga un reparto di un centinaio di tedeschi; ricorda al riguardo Pietro Gnecchi, partigiano del distaccamento “Picelli” con il nome di battaglia di “Bedonia”, uno dei nove eroi del Lago Santo: «Facio era un uomo coraggioso, così in gamba come lui non ce n’erano altri. Siamo partiti da Bosco di Corniglio e siamo arrivati al rifugio dopo tante ore di marcia, perché la neve era altissima... Era il pomeriggio del 18 marzo... Dopo un po’ la guardia ci avvisa che siamo circondati dai fascisti e dai tedeschi... Hanno cominciato ad aprire il fuoco, e noi zitti, non ci facevamo vedere, perché avevamo poche munizioni. Rispondevamo ogni tanto con qualche pallottola, qualcuno lo abbiamo ferito o ucciso. Ci dissero di arrenderci, perché eravamo circondati. Ma Facio ci disse di stare zitti, con i fucili spianati. Ed è incominciata la fine del mondo. È stato un inferno. Hanno cominciato con le mitraglie, poi con le bombe a mano e sono entrati dalla porta del rifugio, in faccia al lago. Noi ci siamo ritirati nella cucina. Loro sono saliti al piano di sopra e hanno cominciato a sparare giù. Ci siamo salvati mettendoci sotto gli stipiti della porta della cucina. Lanciavano bombe a mano col manico, ma noi siamo riusciti a prenderne molte che non erano ancora scoppiate e a rilanciargliele contro... Facio ci dava coraggio, diceva: “Ragazzi, non abbiate paura, se dobbiamo morire moriamo tutti assieme”... Era una tomba, non c’era salvezza, non ci conoscevamo più in faccia l’un con l’altro, tanto eravamo sporchi, feriti dalle schegge, sfiniti. È stato Facio che ci ha aiutato a non ammazzarci, parecchie volte ci siamo puntati le armi per ammazzarci noi, piuttosto che farci ammazzare dai tedeschi. Io mi ero provato la rivoltella in bocca per vedere come fare, ma Facio ci urlava: “Coraggio ragazzi, saremo gli eroi per la libertà della patria”. Ci ha sempre salvati lui a noi, altro che balle. Abbiamo preso sempre più coraggio, più eravamo vicini alla morte più avevamo coraggio... I tedeschi e i fascisti, il pomeriggio del 19, se ne andarono lasciando la sorveglianza in alto, tornarono il giorno dopo con i rinforzi ma non ci trovarono. Siamo fuggiti camminando sul lago ghiacciato, poi ci gettammo in un burrone e prendemmo la via del monte Orsaro, pieno di ghiaccio, per rientrare nel pontremolese, a Pracchiola. Qui ci accolse e ci dette as-
Coraggio nel guardare tutto nella giusta luce, senza artifizi retorici o iperboli revisioniste; coraggio nel raccontare storie particolari, anche paradossalmente tragiche
Nella sua vicenda fu implicato Antonio Cabrelli, nome di battaglia “Salvatore”, personaggio conosciuto per aver avuto legami col regime fascista ma capace, comunque, di arrivare al ruolo di commissario politico in un distaccamento del battaglione “Guido Picelli”. Cabrelli, sospettato di complotto da diversi comunisti, in primis da Laura Seghettini, per quanto accaduto a Facio, lasciò il Partito comunista ed entrò nel PSI, assumendo nell’immediato una carica pubblica nell’amministrazione comunale di Pontremoli, morendo, successivamente, in un incidente stradale con una donna, che pare fosse un’ex spia dell’Ovra, per cui vi son sospetti sulla morte del Cabrelli, interpretabile come eliminazione di un personaggio assai scomodo (non fu questo l’unico caso, in cui dopo la guerra, personaggi scomodi, per vari motivi, morirono in ambigui incidenti stradali od a causa delle conseguenze di tali incidenti; esempi ne sono i comandanti partigiani Aldo Gastaldi di tendenze monarchiche, molto legato a Paolo Emilio Taviani, Emilio Canzi anarchico, comandante della XIII zona operativa del piacentino e combattente della Guerra di Spagna e Ilio Barontini comunista e rivoluzionario di professione che ha combattuto dalla Cina alla Spagna, dall’Etiopia alla Francia e ovviamente in Italia). Una fine, quella di Cabrelli, probabilmente legata alla triste vicenda di Dante Castellucci; una vicenda che ancora oggi induce indignazione e riflessione: «Che a decidere la morte di Dante Castellucci fossero stati personaggi ambigui come Antonio Cabrelli - ha scritto Dino Messina -, sulla base di accuse inventate (aver rubato il materiale di un paio di aviolanci Alleati) ma in realtà per ambizioni di carriera (mettere le mani su uno dei gruppi più efficienti della Lunigiana), nel Pci lo sapevano tutti, dirigenti spezzini e nazionali. Ma la verità non vollero mai renderla pubblica, perché troppo scomoda. A raccontare oggi per la prima volta in maniera compiuta la vicenda di Dante Castellucci è Carlo Spartaco Capogreco nel saggio Il piombo e l’ argento. Docente all’ università della Calabria, noto per i suoi studi sull’ internamento fascista, Capogreco si muove su un terreno del tutto diverso dalla Grande bugia di Giampaolo Pansa, da cui prende le distanze in una postfazione. Non soltanto perché non tratta delle violenze dopo la Liberazione e riempie il suo saggio di note a piè di pagina (quasi a sottolineare un metodo scientifico che alcuni storici non hanno ravvisato nei lavori di Pansa), ma perché racconta i fatti avendo cura di evidenziare, accanto alle ombre, le luci della Resistenza». Luci che, nella verità dell’analisi storica rigorosa, seria, dura, appaiono in tutta la loro umanità, anche al cospetto di complotti e tragedie incomprensibili; luci in cui l’ampollosa idealizzazione e l’infima denigrazione sfumano, si dissolvono, lasciando spazio alla vera conoscenza e alla profonda riflessione; luci che, depurate da ogni orpello verbale o ideologico, sono capaci di suscitare quelle orgogliose emozioni di libertà e giustizia che, quando si parla di Resistenza, dovrebbero sempre fare capolino nel nostro cuore, nella nostra intima coscienza di Italiani.
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sabato 3 maggio 2014
Sulle tracce di... Accetta l'invito del cosentino barone Guzzolino e raggiunge la città non solo per evitare l'arresto a Napoli da parte della polizia borbonica ma anche e maggiormente per continuare la lotta
La visita di Francesco De Santis Un secolo e mezzo fa quando il processo di unificazione nazionale diventa azione, Cosenza - una delle città più importanti del Regno delle Due Sicilie - dopo i moti del 1844 è al centro della attenzione tant’è che da Corfù i fratelli Bandiera tentano di dare maggiore impulso sbarcando sulle coste calabre e facendo punto di riferimento la città del Crati a quella che Carducci chiamerà la “Primavera della Patria”. È per questo che Francesco De Santis accetta l’invito del cosentino barone Guzzolino e raggiunge la città non solo per evitare l’arresto a Napoli da parte della polizia borbonica ma anche e maggiormente per continuare la lotta. Là dove a ridosso del colle Pancrazio la Giostra Vecchia si insinua nell’imbuto che sfocia a piazza San Francesco d’Assisi nel cuore del centro storico, sulla sinistra in alto su un muro del Palazzo sostenuto da antichi archi, una targa in marmo una volta bianco ricorda al passante che “in questa casa dimorò Francesco De Santis”. Da qui è partita la ricerca dello scrittore Coriolano Martirano che è continuata con il ritrovamento di numerose lettere scritte dal De Santis ed indirizzate alla madre ed agli amici ed intercettate dalla polizia locale, censurate e copiate ed ora conservate in archivio. Come in un altro archivio privato lo scrittore ha scoperto la prima edizione della storia della letteratura italiana, scritta dal De Santis, in un solo volume con all’interno una significativa dedica: “A” e poi il nome e dopo “alla dolce Cosenza la cui ospitalità mi ha consentito di portare a termine questo lavoro”. Ospite della famiglia Guzzolino quale pedagogo del giovane Angelo, il De Santis entra subito nella effervescenza della cultura cosentina non solo frequentando l’Accademia ma quale ospite richiesto e gradito dei salotti buoni, dei circoli e dei tanti incontri sia letterari che politici. È bene accolto non solo nelle retro delle due farmacie entrambe sedi di lunghe discussioni ma persino della curia con visite al clero. È presente anche nelle classi umili discutendo nelle cantine, club della povera gente. La presenza a Cosenza di De Santis emerge in tutti i particolari nelle descrizioni che occupano buona parte dell’epistolario dove pone l’accento su biblioteche per lo più private definendole «... ricche e ben curate, espressione di una cultura antica e protesa verso l’avvenire». Sottolinea la generosa ospitalità dei cosentini ed accenna ai rapporti se non ottimi almeno «civili» con la gendarmeria. Rapporti questi ultimi che subiscono la rottura quando arriva la notizia che Re Ferdinando II in viaggio da Palermo a Napoli farà sosta a Cosenza. Per evitare l’applicazione delle norme del codice e per evitare conseguentemente l’arresto il barone Guzzolino informato da amici trasferisce il De Santis da Cosenza a Cervicati nel lussuoso palazzo di famiglia. Il soggiorno in questo ridente paese è descritto dal De Santis in una non copiosa corrispondenza con gli amici napoletani. In una lettera dice che «Cervicati mi ha accolto con grazia e simpatia. Vado e passeggio nella campagna che è bella e fruttuosa. Incontro persone semplici e buone che togliendosi la coppola mi chiamano Maestro quando per la loro semplicità il maestro è il non plus ultra del mondo». Resta a Cervicati nello stupendo palazzo Guzzolino, tuttora bello come lo era un secolo e mezzo fa, fino a quando un ordine poliziesco lo chiama a Napoli dove recatosi è arrestato. Saranno due cosentini, i fratelli Vercillo, a farlo evadere ma questo è un altro discorso.
La ricerca dello scrittore Coriolano Martirano culmina con il ritrovamento di numerose lettere scritte dal De Santis e indirizzate alla madre e agli amici e intercettate dalla polizia locale, censurate e copiate e ora conservate in archivio
Il libro Mastro Francesco edizioni Orizzonti meridionali che Coriolano Martirano a scritto con amore e con comune conoscenza dei fatti e degli uomini termina qui. Fa parte della storia di Cosenza che Martirano racconta: il ‘400 con Geminga, il ‘500 con Telesio, il ‘600 con Lucrezia della Valle, il ‘700 con Giuseppe Campagna e l’800 con Francesco De Santis. L’ha scritta questa storia con rigore scientifico e con arte creativa ad alto livello letterario. Più che la storia è l’impegno di Martirano il mito di Cosenza.
Premio Tropea: 18 libri per la selezione finale
Lettura a tutto spiano Sono stati resi noti i titoli dei 18 libri che prenderanno parte alla selezione ufficiale per la terna finalista all’ottava edizione del “Premio letterario nazionale Tropea”. Come da tradizione, i libri saranno presentati al grande pubblico in occasione dell’incontro di domenica 4 maggio, alle ore 10, presso la sala conferenze del Museo diocesano di Tropea. Questo compito spetterà ai membri del Comitato tecnico scientifico, presieduto da Gian Arturo Ferrari, già presidente del “Centro per il libro e la lettura” e con un passato da direttore generale della divisione libri Mondadori. A condurre la manifestazione sarà il giornalista Rai Pasqualino Pandullo, patron del Premio e presidente dell’Accademia degli affaticati di Tropea, associazione ideatrice e organizzatrice dell’evento. La terna scaturirà da una rosa incredibilmente variegata, con titoli provenienti da 13 case editrici: Le voci di Berlino di Mario Fortunato (2014) e Il sale rosa dell’Himalaya di Camilla Baresani (2014) per Bompiani; Almanacco del giorno prima di Chiara Valerio (2013) e Condominio R39 di Fabio Deotto (2014) per Einaudi; Per dieci minuti di Chiara Gamberale (2013) e Il sorriso di don Giovanni di Ermanno Rea (2014) per Feltrinelli; Ritorno all’inferno di Luigi Renzo (2013) per Ferrari; Cadavere squisito di Luigi Carletti (2013), Nuovo dizionario delle cose perdute di Francesco Guccini (2014) e La lucina di Antonio Moresco (2013) per Mondadori; Marguerite di Sandra Petrignani (2014) per Neri Pozza; Ovunque proteggici di Elisa Ruotolo (2013) per Nottetempo; Le macerie dentro di Carlo Simonelli (2013) per Pellegrini, Trattato generale dei pesci e dei cristiani di Maro Genco (2013) per Prova d’autore; Marina bellezza di Silvia Avallone (2013) per Rizzoli; Da che parte sta il mare di Annarosa Macrì (2013) per Rubbettino; Carta vetrata di Paola Bottera (2013) per Sabbia rossa; L’ultima indagine del Commissario di Davide Cammarone (2013) per Sellerio.
sabato 3 maggio 2014
La strada giusta 1° CONVEGNO SULLA SICUREZZA STRADALE. INNOVAZIONI TECNOLOGICHE E ASPETTI TECNICO-OPERATIVI
Informarsi per non morire
8 Maggio 2014
Ore 9.00 - Saluto delle Autorità Gerardo Aiello - sindaco di Crosia Giovanni Forciniti - presidente Aci Cosenza Gianfranco To mao - prefetto di Cosenza ore 9.30 - Interventi Giovanni Sindona - direttore dipartimento di Chimica e Tecnologie chimiche dell'Unical. Loris Rivalta - dirigente biologo Asp Catanzaro. "Guida e alcolismo, la ricerca per nuovi sistemi di controllo" Alberto Grassia - vice prefetto aggiunto, dirigente area III, Prefettura di Cosenza. "Individuazione delle strade ad alto rischio infortunistico" Gerardo Aiello - sindaco di Crosia, dirigente scolastico Istituto Comprensivo di Cariati. "La funzione pedagogica dei sistemi di controllo della velocità media: l'esperienza del Comune di Crosia" Serafino Trento - Presidente dell'Ordine degli avvocati di Rossano "Aspetti giuridici dei sistemi di controllo" Antonio Provenzano - vice questore aggiunto, comandante sezione Polizia stradale di Cosenza "Il coordinamento operativo dei servizi di rilevamento della velocità" Tiziano Canu - esperto in sicurezza stradale. (S. commissario della Polizia stradale). Segretario regionale Lazio Sindacato di Polizia Anip - Italia Sicura "I differenti sistemi di rilevamento ed il loro impiego. L'accertamento delle infrazioni. Gli aspetti tecnici, normativi e operativi" (prima parte) "I differenti sistemi di rilevamento ed il loro impiego. L'accertamento delle infrazioni. Gli aspetti tecnici, normativi e operativi" (seconda parte) Fabio Di Mita - esperto in sicurezza stradale. (Direttore Amm.vo c/o il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) "La proprietà degli strumenti, le attività sussidiarie all'accertamento. La ripartizione dei proventi ex art. 142 del Codice della Strada" Angelo Dionisi - amministratore delegato "EngiNe Srl", responsabile area ricerca e sviluppo gruppo Eng, Membro esperto nella commissione Its (Intelligent Transportation Systems) presso ente per la standardizzazione Uninfo. Tra i coordinatori della sottocommissione che si sta occupando della revisione della normativa Uni 10772 "Sistemi per l'elaborazione delle immagini video atti al riconoscimento delle targhe per applicazioni telematiche ai fini dell'accertamento di violazioni delle regole del codice della strada e dei criteri di pedaggio" "Nuove tecnologie per il controllo della velocità media" Ore 18.00 - Question Time Moderatore Valerio Capa relli - Giornalista INFORMAZIONI GENERALI La partecipazione è gratuita nel limite dei 250 posti disponibili. Il modulo d'iscrizione è scaricabile alla pagina www.athenacs.it e dovrà essere debitamente compilato, firmato e inviato alla Segreteria
8 e 9 maggio Palateatro di Crosia (Cs)
Organizzativa mezzo fax al numero: 0984.1864554 o inviando una e-mail all'indirizzo: info@athenacs.it - A tutti i partecipanti accreditati, previa richiesta da inoltrare alla sopracitata mail, sarà inviato l'attestato di partecipazione e un supporto informatico con il materiale trattato nel convegno.
9 Maggio 2014 INCONTRO CON LE SCUOLE MEDIE E GLI ISTITUTI SUPERIORI DI CROSIA Ore 9.00 - Presentazione del programma formativo Giuseppe Spa taro - dirigente Istituto superiore "ITI-IPA-ITA" di Rossano Calabro Pina De Martino - dirigente Istituto Comprensivo Crosia-Mirto ore 09.30 - Interventi Gerardo Aiello - Sindaco di Crosia Dirigente Scolastico Istituto Comprensivo di Cariati "Controllo-Sicurezza: pedagogia del comportamento" M.llo Giovanni Lapietra - responsabile Polizia Municipale di Crosia "Alcool, droga e guida: dalla bici all'auto" Giuseppe Napoli - responsabile Polizia Municipale di Caccuri "La conseguenza degli incidenti: costi materiali, immateriali, sociali" Antonio Provenzano - vice questore Aggiunto, Comandante Sezione Polizia Stradale di Cosenza "La patente di guida ieri e oggi: l'evoluzione normativa" Francesco Aiello Esperto in infortunistica stradale "La segnaletica, la tenuta del mezzo sull'asfalto - l'attrito: la dinamica e leggi che lo regolano" ore 12.15 - Question Time Moderatore Dott. Valerio Capa relli - Giornalista EQUIPAGGIAMENTI
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sabato 3 maggio 2014
Illusione scenica che rapisce e incanta
Voce protagonista
Si è tenuto a Rende un "Pomeriggio in compagnia di poeti prosatori": spettacolo finale del corso di fonetica, dizione e arte espressiva organizzato da “Teatro Zero”
o di Angela Costanz
Un uggioso e piovoso pomeriggio di fine aprile ha fatto da cornice alle voci e ai testi del saggio finale del corso di Fonetica, dizione e arte espressiva, organizzato da Teatro Zero e tenuto dal maestro Franco Monaco. Presso l’auditorium della chiesa di Sant’Antonio a Commenda di Rende si è svolto il suggestivo ed emozionante incontro, un “Pomeriggio in compagnia di poeti e prosatori”. Poesie, monologhi, dialoghi, brani scelti tratti dal panorama culturale italiano, ma anche europeo, si sono alternati a deliziare il pubblico che in composto silenzio ha attentamente assistito: il tutto letto e raccontato dai protagonisti del corso i quali, con perizia e cuore, hanno interpretato i testi, riproponendoli alla luce della loro soggettività, interiorizzandoli e personalizzandoli con originalità ma senza perdere di vista il messaggio dell’autore. A condurre la serata Anna D’Andrea, assistente del corso, che ha introdotto gli allievi e le performances, fungendo da legante e filo conduttore dei diversi interventi. A dare il via allo spettacolo Dino Garrafa, direttore di Teatro Zero, con il pezzo Chi sono? di Palazzeschi; si è quindi esibito lo stesso Franco Monaco su un monologo metateatrale incentrato sul ruolo dell’attore. A seguire Emma Piscitelli con un omaggio alla terra di Calabria e alla bellezza del suo mare, Daniela Garrafa con un testo sulla sofferenza e la malinconia della separazione e di un amore che finisce, Domenico De Luca che ha fatto riflettere sulla tristezza dell’emigrazione intellettuale con un brano di Carmine Abate dal significativo titolo La partenza, poi Marco Buoncristiano che ha discettato sull’amore e sulle sue sfaccettature tramite le parole di Perché ci si innamora? di Simone De Beauvoir. Davvero toccante la sezione “Scritti dal carcere” che molto ha fatto riflettere sulla condizione della detenzione in Italia, davvero triste e difficile, a volte vergognosa e indegna per un paese che vuole dirsi “civile”. A raccontare alienanti storie carcerarie la stessa Anna D’Andrea, Francesca Stumpo, Anna Maria Mirabelli, il già citato De Luca, Maria Rugiero. È stata quindi la volta di Antonella Monaco che ha letto Un mezzo ritratto del poeta vociano Papini, di Anna Scarpino con un testo brillante di Claudia Misasi, Orgoglio maschile; ancora Chiamatemi strega, pezzo reso celebre da Franca Rame e declamato da Francesca Stumpo. Non poteva mancare poi un testo cardine della storia teatrale italiana, il “Monologo di Mirandolina”, tratto da La locandiera di Carlo Goldoni: a proporlo con malizia e passione l’allieva Simona Cristiano. A chiudere la serata un rivisitato Amleto, con brani tratti dalla tragedia originale di Shakespeare, da H. Muller e da G. Galanti, inter-
Poesie, monologhi, dialoghi, brani scelti tratti dal panorama culturale italiano ed europeo, si sono alternati a deliziare il pubblico: il tutto letto e raccontato dai protagonisti del corso pretati da Emilio Gonzales, Clorinda Garritano e Dino Garrafa che hanno dato vita ad un accattivate ed inquietante dialogo tra due Amleti ed Ofelia. Insomma, un pomeriggio davvero ricco di emozioni quello del 29 aprile: emozioni suggerite ed espresse dalla voce, vera protagonista del saggio, magistralmente curata e diretta dall’esperienza di Franco Monaco, attore, regista, speaker Rai. Sua l’idea letteraria, le scelte degli autori e dei brani, sua la regia. Suo l’impegno e la maestria nel riuscire a dare dignità e spessore a voci altrimenti anonime che, grazie alla dizione e alla tecnica espressiva, sono divenute invece strumenti d’arte, di teatro, di seduzione, di fa-
sabato 3 maggio 2014
Illusione scenica che rapisce e incanta
scino. Gli allievi del corso, in tal senso, sono stati intensi e vibranti nelle loro esposizioni, dando il giusto valore e l’adeguato peso ad ogni parola: il significato si è fuso nel significante, la materia è divenuta un tutt’uno con la forma, i pensieri e i sentimenti si sono calati perfettamente nel suono e nel timbro che ogni voce, diversa l’una dall’altra, possiede. Ed ecco allora il miracolo del teatro, la capacità che esso ha di trasmettere un brivido, una gioia, una paura tramite il potere immaginifico degli attori che fanno volare lontano con la mente. Questo il
A condurre la serata Anna D’Andrea assistente del corso, che ha introdotto gli allievi e le performance fungendo da legante e filo conduttore dei diversi interventi
miracolo del teatro: quello di rendere sempre attuali dei passi e delle scene, quello di far rivivere sempre, come per la prima volta, personaggi e drammi, così da rendere davvero eterna l’arte dello scrivere e del creare. Il recitare, quindi, insieme allo scandire con voce ferma e pulita sillabe e dittonghi, permette di entrare nel magnifico e magico mondo teatrale, ove il tempo e lo spazio sono dimensioni sospese. Dove, a dispetto di un mondo ingrato e che regala sempre troppo poco, offre tanta ricchezza d’animo e di spirito e, nell’illusione scenica che rapisce ed incanta, rende un po’ tutti delle persone migliori.
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sabato 3 maggio 2014
Il racconto Era una cosa certa che a poca distanza vi fossero due regioni che avevano due climi assai diversi
di Giuseppe Aprile
Molto spesso d’inverno, su una spandeva i suoi raggi possenti un sole primaverile mentre sull’altra calava una nebbia talmente fitta che si intravedeva un ambiente, più in là, decisamente invernale. Tutto pioggia e temporale possente. Pino non si dava pace per capire il perché. Peppe gli spiegava o meglio, tentava di spiegargli perchè la verità non poteva che essere in discussione. Solitamente passa notevole distanza tra ambienti invernali, piovosi, nuvole temporalesche e altre di tempo addirittura bello, quasi primaverile. Pino soleva pensare, senza tanti approfondimenti, che fosse normale il tempo, ma un elemento di stranezza impegnava la sua mente. Un giorno si trovò a confronto con Peppe che si dava spesso arie di persona più informata, più capace di capire e spiegare tante cose della vita. Peppe sedette nella trattoria, nella quale si sono ritrovati, su una sedia vicino ad un tavolo con sopra le posate per un imminente pranzo. Gli era stato riferito di sedersi perché chi avrebbe pranzato, sarebbe arrivato molto tardi o, forse, per nulla.
La terra chiama le nuvole «Accomodatevi» gli aveva detto la ragazza che gestiva il locale «senza preoccuparvi del tavolo. Se dovesse venire la persona per la quale abbiamo già preparato, vi spostate; sempre che non vogliate prendervi una forchettata pure voi, della buona pasta che solitamente preparo, bene inzuppata in una sorta di brodetto con salsa di pomodoro, olive e aromi vari. Sedetevi - aveva insistito - e state tranquillo; a parte che ci sono gli altri due tavoli dove uno può, volendo, consumare dei pasti. Di questi tempi quelli che vengono a mangiare usano una stanza interna perché più raccolta e riservata. Sono poche persone molto legate a noi ed al nostro locale, dove trovano riservatezza, tranquillità e sono affezionate da anni al nostro servire che li mette a loro agio; sono diventati clienti a noi affezionati. Noi non fungiamo più da ristorante per tutti, come faceva la nostra mamma per la sua giovinezza. Teniamo aperto solo per pochi clienti affezionati, che sono abituati, che non ci vogliono lasciare. Siamo stanchi di continuare questo mestiere che comporta eccessivi sacrifici e poche entrate come guadagno. Non sono più i tempi di una volta quanto gente a non finire veniva e i miei servivano con molta competenza e grande lavoro; lavoro massacrante perché, credetemi, mantenere un locale di questo tipo, è davvero un sacrificio da non continuare. Sedetevi, state tranquillo perché so che voi venite solo per qualche oretta ed il solito bicchiere di vino». Pino era un tipo che amava parlare. Non c’era argomento che non diventava uno stimolo per spiegare, informarsi, dire, conversare. Come vedeva Peppe apriva un discorso qualunque e poneva domande, non si accontentava mai della normalità di un avvenimento. Aveva una bella mente Pino. Peccato che non aveva fatto studi adeguati alla sua intelligenza ed era finito per occupare un lavoro quotidiano al servizio del comune di sua residenza. La cosa lo aveva ridotto a dover sfruttare ogni occasione possibile per discutere, parlare, sfogare la sua grande capacità di approfondire, esaminare, parlare ovviamente avendo anche la capacità di interessare tutti gli interlocutori al suo pensiero. Pino era di casa in quella trattoria. Chi gestiva con un lavoro certosino, era solitamente la signorina Lina aiutata dalla mamma oramai negli anni fino a che si stancava facilmente a lavorare tutta la giornata, come una volta, come quando da sola era capace di servire tanti clienti e facendo le cose con grande competenza e grande delicatezza. «Perché» diceva pure la mamma nelle volte che veniva incontrata da Peppe «non è per niente facile gestire un locale del genere dove arrivano persone con tanti diversi caratteri, diversi gusti, con necessità di santa pazienza da parte di chi cucinava e serviva». Peppe capiva che non era solo la fatica per il lavoro che veniva espressa. Ci voleva pure tanta dedizione, pazienza, capacità di capire il cliente e servirlo al meglio. Pino aiutava sicuramente. Gestire un locale del genere presupponeva una grande pazienza ed una vera e propria
Spesso d’inverno su una spandeva i suoi raggi possenti un sole primaverile mentre sull’altra calava una nebbia talmente fitta che si intravedeva un ambiente decisamente invernale
capacità di capire la gente che si presentava ed era di tante tendenze di pensiero. «Non è facile passarsi una vita, come ho fatto io, sempre qui, a vedere arrivare gente di tutti i colori e di tutte le razze» diceva la madre di Lina, una donna anziana che aveva lavorato pere tutta la vita mantenendo in vita quel locale che aveva ereditato dai suoi genitori innumerevoli anni addietro e lo aveva portato in vita per tanto tempo senza far mancare mai niente ai clienti e alle persone che occasionalmente vi erano capitate a consumare uno dei pasti che venivano preparati. «Pensate che ora conosco gente che appena guardo negli occhi, capisco il carattere che ha e suggerisco a mia figlia come deve trattarli perché si evitino rancori e malumori e conquistare clienti utili al mantenimento del locale. Non che mia figlia non abbia oramai la mentalità e l’esperienza per fare da sola, ma quattro ‘occhi vedono più di due e gli anni miei non li ha lei. Io sono vecchiotta, ho i capelli bianchi ed ho fatto anni anche in tempi lontani e quando la gente aveva altri caratteri. Ne ho passate di tutti i colori e so bene le cose della vita», finiva. Pino, lo capivo, era molto propenso a parlare con Peppe. Sembrava che aspettasse il suo arrivo e gli ridevano gli occhi, Sapeva che con lui poteva parlare, che era un tipo amante della conversazione, disponibile ad affrontare qualsiasi argomento. E lo chiamava dottore, professore, amico carissimo. Diceva che aveva particolare piacere quando arrivava , perché era tra i maggiori intenditori dei problemi della vita quotidiana. Diceva che con altri clienti, pure bravi ed affezionati, frequentatori del locale con molta lena, non amava la conversazione quanto con lui perché la gente solitamente arriva per mangiare, consumare dei pasti caldi senza tanto badare al valore delle conversazioni ed anche quando parlava, parlava senza molta cognizione di causa. Parlare tanto per passare il tempo e soprattutto perché quasi costretta a parlare, ma senza dare grande importanza ai contenuti delle conversazioni. Pino era molto interessato a capi-
sabato 3 maggio 2014
Il racconto
re certi modi di essere del tempo e il cambiamento che questi ultimi anni avevano apportato facendo arrivare spesso temporali brutti in estate e belle giornate in inverno. «Non sono come una volta le stagioni» diceva Peppe. Prima tra inverno ed estate c’era una differenza che veniva segnata dai mesi e le stagioni si mantenevano quasi sempre segnate dai quattro mesi che le contenevano. Erano eguali per tutti gli anni. Si poteva capire la stagione in cui si era perché erano caratterizzate da un clima che di anno in anno era stabile. Grande sole e caldo in Estate. Più mite la primavera, stagione dei fiori e del verde. Freddo e nevoso l’inverno e stagione del vento l’autunno con la caduta delle foglie, gli alberi spogli e leggero freddo ad annunciare quello più rigido che riguardava l’inverno. Ogni tanto, a parte qualche caso di alluvione fortissimo ma che comunque non provocava disastri, sembrava che il tempo fosse eguale per sempre. Ora avviene il contrario. Può fare freddo in giornate di estate, alluvioni fuori dall’inverno che quando vengono sono spesso improvvise e creano allagamenti, tempeste, maremoti, terremoti, sembra vogliano sconquassare la terra; anzi, la sconquassano. Ti mettono paura di uscire di casa perché all’improvviso, non sai se d’inverno o d’estate, ti arriva una tempesta che fa impressione e rischi allagamenti senza via di uscita. Nel mondo, la televisione riporta trombe di aria, maremoti senza limiti, disastri marini indicibili. Qualcosa è cambiata nel cielo e la regolarità di una volta te la sei scordata. Al reciproco cospetto, Peppe e Pino si sono trovati a ragionare della questione che comporta il rapporto tra cielo e terra nell’atmosfera e nel mondo. Pino diceva: «Sullo stretto di Reggio-Messina tante volte ora succede che si presenta una grande barriera di nebbia che mostra tempesta sulla costa siciliana. Nel mentre sulla costa reggina splende il so-
«Quando il tempo è brutto sulla costa siciliana, esso riguarda tutta l’isola; da Palermo a Catania, da Messina a Siracusa. Qui, invece, sembra che il tempo sia sempre diverso tra jonica e tirrenica, tra Reggio e Catanzaro Per il maltempo la Calabria sembra divisa in cento parti La Sicilia è una unica terra: o è tutta in tempesta, o è tutta sotto il sole»
le. La differenza tra il cielo siciliano e il reggino è oceanica. In una parte il sole, nell’altra la tempesta» e Peppe conferma con la testa. Peppe risponde, pure: «È veramente strana la natura adesso. Non capisco come possa sempre essere diverso il tempo tra Reggio e Messina. Lì, a Messina e sulla costa siciliana vige un temporale fortissimo. I segni sono tutti di pioggia e freddo. Il territorio da parte della costa siciliana è di chiara tempesta. E tutti vedono tale tempesta. Sulla costa calabrese, invece, è piano sole, piena normalità di sereno. Perché? Ma è stato cos’anche un tempo passato, magari da noi non ricordato?». «No» dice Pino. E continua: «A memoria nostra non ricordo di queste eccessive differenze e non capiamo perché. Ci viene da credere che sia anche la terra che chiama le nuvole». «Effettivamente viene da pensare questa cosa. Una volta» interrompe Peppe «il tempo era più o meno eguale tra le due coste. Poteva esserci una minima differenza. Ora avviene che mentre da una parte dello stretto c’è il sole, dall’altra, in Sicilia, è tutto nero, di pioggia, di tempo decisamente invernale». Interviene Lina che continua a servire coloro che sono ospiti della trattoria e tra un passare e l’altro della stanza comune, esprime qualche sua bella idea e partecipa, di fatto, alla discussione. «Io non ricordo questa differenza enorme che c’è tra il tempo a Reggio e quello di tutta la Sicilia. Perché succede anche un’altra differenza: quando il tempo è brutto sulla costa siciliana, esso riguarda tutta l’isola; da Palermo a Catania, da Messina a Siracusa. Qui, invece, sembra che il tempo sia sempre diverso tra jonica e tirrenica, tra Reggio e Catanzaro. Per il maltempo la Calabria sembra divisa in cento parti. La Sicilia è una unica terra: o è tutta in tempesta, o è tutta sotto il sole». Interviene Pino con veemenza: «Finisce che dobbiamo credere il contrario di quanto abbiamo creduto in passato, secondo le tradizioni dei nostri antichi. Noi sapevamo che dal cielo si vedeva il maltempo, pensavamo che il maltempo venisse portato dalle nuvole, dall’atmosfera celeste. Se il cielo era nero, vuol dire che la terra avrebbe cambiato stato. Sarebbe piombata sotto tempesta, acqua, freddo, vento. Ora mi pare che sia cambiato tutto. Che non sia la terra a chiamare le nuvole e il cambio della stagione? Certamente c’è una influenza reciproca: noi non siamo né scienziati, né studiosi della natura. Ma a dire il vero, sembra che bisogna rovesciare l’antica credenza; quella che ci avevamo imparato dalle nostre tradizioni e dalle nostre esperienza passate. Forse la natura, sicuramente la terra dell’isola siciliana che già di per sé ha cosa strane quali i grandi vulcani e le immnense isole, ossia anche la terra determinano il tempo. Per questo può avvenire che la nostra sponda, questa calabrese, è più fortunata, più baciata dalla fortuna e vive di più sotto il sole, in tempo primaverile. Qui l’inverno quasi ha paura di arrivare. Lì arriva di più, comprende tutta l’isola. C’è più inverno e maltempo in Sicilia e meno in Calabria» finisce. E Peppe: «Quante differenze avrebbe creato il Padre eterno! Forse è così. Non è solo in cielo che si forma la forza che determina le stagioni, ma in un rapporto tra cielo e terra» conclude. «Pensano tutti la differenza a distanza non di cento anni, ma secolare. Può finire un capovolgimento di ambiente nei prossimi secoli? I nostri padri possono avere una smentita rispetto alle loro credenze, o è sempre stato cos’ nel nostro passato e la natura sarà sempre eguale tenendo conto che anche noi conosciamo alcuni secoli ma non quelli di prima e quelli del dopo? Per me Dio ha creato un solo modo ed eguale a se stesso, sempre» interruppe Titino Latella, grande e stimatissimo amico di tutta la compagnia del posto, che nell’intanto era entrato e si era seduto ad un tavolo a prepararsi per la sua solita birra ed il suo solito ruolo di quarto per la solita brevissima partita a carte tra amici. Peppe finisce: «Birra e vino per tutti. Si parla ma è bene bere qualcosa perché la compagnia sia felice e decisamente bella in tutto e per tutto!». Ma Titino, come sempre: «Però pago io!». Pino: «Se permettete offro io!». E Peppe: «Non conta chi paga, conta bere assieme felici e contenti!». E la cantina andava riempiendosi degli altri soli amici a clienti. «Quando c’è lavoro» interviene la stupenda signorina Lina, «è sempre meglio! Io sono contenta di lavorare e gli amici presenti sono più contenti dell’ingrandirsi della compagnia. Come vedete, qui vengono solo persone stimabili, bravi. Persone con cui fa piacere lavorare e stare in bella compagnia!».
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sabato 3 maggio 2014
Pillole di fede Convegno per l'anno mariano "Discepoli di Cristo alla scuola di Maria"; a parlarne l'arcivescovo Nunnari
Maria apre l’orizzonte del nostro cuore di Lucia De Cicco
Si è tenuto nei giorni scorsi presso il seminario cosentino di Rende, Cs il convegno per l’anno mariano “Discepoli di Cristo alla scuola di Maria” a parlarne l’arcivescovo di Cosenza, monsignore Salvatore Nunnari, il vicario per il clero monsignore Salvatore Bartucci, don Antonio Carfì docente presso l’Istituto teologico di Reggio Calabria. All’inizio si è data lettura di un brano dell’enciclica Redemptoris mater di San Giovanni Paolo II, in cui fa riferimento alla figura di Maria, citando un padre della Chiesa, Sant’Ireneo; in Lumen gentium, in cui Maria diventa colei che segue Cristo mediante la fede in contrapposizione a Eva che commise un atto di non fiducia, Lei, invece, nel testo biblico segue Gesù nella sua peregrinazione, e mediante questo affidamento continua ancora a condurre gli uomini verso la salvezza in modo discreto. Le meditazioni su Maria sono state offerte attraverso il “Direttorio su pietà popolare e liturgia. La venerazione per la Santa Madre del Signore” dal n. 183 al n. 207, in cui sono ripercorsi tutti gli esempi di fidelizzazione mariana. Imitare le virtù mariane significa assecondare la fede e le direttive ecclesiali. Don Antonio Carfì pone l’accento sulla grande umiltà di Maria come donna che segue suo figlio, parla poco ed è presente molto nel Vangelo, perché lei sottolinea come la Chiesa, a seconda del suo cambiamento da serva a discepola, deve comportarsi. Maria fa riferimento sempre alla Chiesa e a Cristo, perché essi sono fra loro sposi indissolubili. Se dobbiamo essere cristiani dobbiamo essere mariani, pensiero sottolineato anche dall’arcivescovo Nunnari in chiusura di convegno, cioè abbiamo la possibilità di essere un’altra Maria. L’amore di Cristo verso sua madre è chiaro sotto la Croce quando a Giovanni affida Lei, così da diventare il mezzo più fecondo per raggiungere Cristo e la salvezza. Accogliere Maria come orizzonte umano, ecclesiale e comunitario significa fondamentalmente, dice don Carfì, andare verso l’Eucarestia. Lei ci presta il suo cuore per parlare a suo figlio, modello di vita spirituale. La Sacra scrittura attraverso alcuni quadri in cui si spiega chiaramente chi è Maria a partire dall’Annunciazione (Luca 1,2638); innanzitutto il nome di Maria che significa “amata da Dio”, ha acquistato nel tempo altri significati come “Mare amaro” o “Stella del mare”. Già nell’annunciazione, spiega don Carfì, l’angelo Gabriele porta l’annuncio a Lei in Nazaret, che è un luogo pagano, così come tutte le seguenti apparizioni di Maria avvengono in luoghi pagani: questo a sottolineare che Dio l’ha prescelta come porta che conduce al Cielo, ma anche porta che conduce verso il nostro centro, il nostro cuore. In questo passo evangelico vediamo una Maria che rimane turbata dall’annuncio perché esso appare profetico. Dio la sceglie perché finalmente si può specchiare in un mare di acqua, sorgente di purezza. Maria si turba perché comprende che si sta passando dalla legge farisaica a una di grazia. La fede esce dalle grandi strutture, dalla burocrazia, ma vive nei luoghi della gente, e il cuore di Maria con le sue sconfitte e tragedie (così come il nostro nella fragilità) è quel luogo dove Cristo ha deciso di entrare e agire. La ricerca di Dio deve essere compiuta nel cammino di fede, attraverso il nostro cuore. Maria è creatura senza peccato, sorgente in cui Dio non è sfigurato dalla fragilità umana; Giovanni Paolo II ripete che il credere è la chiave di lettura del comprendere il cammino mariano. Lei ci fa capire che il passare attraverso sé ci conduce da un regime della legge a uno di grazia, ma nello stesso è l’osservanza della legge che ci conduce alla grazia. Per comprendere la fede di Maria, dice don Antonio Carfì, si deve fare un passo indietro fino al peccato originale, che comprende fra le altre fragilità anche la paura e la deresponsabilizzazione. La fede di Maria sintetizza il credere che significa sottomettersi, nel senso di dare il cuore a qualcuno (derivazione latina, cor-donare). Dobbiamo permettere a Dio di entrare nel nostro cuore, anche se si cade tante volte sprecando tante grazie durante il tragitto. Il vino nuovo, che viene dall’acqua trasformata nelle nozze di Cana in cui è Maria a incitare Gesù a procurarlo, significa che anche se si sprecano durante il tragitto tante grazie non bisogna mai abbattersi,
Don Antonio Carfì
Al Seminario cosentino di Rende si è data lettura di un brano dell’enciclica “Redemptoris mater” di San Giovanni Paolo II in cui fa riferimento alla figura di Maria, citando un padre della Chiesa, San Ireneo
perché attraverso di Lei troveremo sempre grazia presso Dio. Il meglio del Signore deve ancora arrivare, ecco il simbolismo di quel vino che proviene dall’acqua, il vino buono. L’altro importante momento di Maria è sotto la Croce, un momento di assoluta impotenza in cui si associa al dolore di Cristo, perché vive l’olocausto di tutti i suoi diritti materni; eppure, fa notare don Antonio, rimane ferma nella sua fede. Qualsiasi madre si sarebbe offerta al posto del figlio, mentre ancora una volta Lei accetta la volontà del figlio quando lui le affida l’Umanità intera attraverso l’apostolo Giovanni. Afferma Santa Tersa del Bambino Gesù che lei ai piedi della Croce cantò per la seconda volta il Magnificat osservando i fatti che stavano avvenendo e il compimento delle scritture. Tanti altri riferimenti biblici Giovanni 19,25-27; 1,29; e poi Paolo VI in Marialis cultus n.56 ultimo capoverso recita: «(…) il culto alla Beata Vergine ha la sua ragione ultima nell’insondabile e libera volontà di Dio, il quale, essendo eterna e divina carità (cfr 1 Gv 4,78.16), tutto compie secondo un disegno di amore: egli l’amò e in lei operò grandi cose (cfr Lc 1,49); l’amò per se stesso e l’amò anche per noi; la donò a se stesso e la diede anche a noi». Alla fine del convegno don Antonio Carfì ci ha rilasciato, con grande disponibilità, qualche dichiarazione. Don Antonio, noi sappiamo dai testi sacri che Maria era creatura senza macchia. Durante il convegno lei ha affermato che comunque nonostante le fragilità dobbiamo conformarci a Lei che è modello di perfezione... L’elezione di Dio non toglie la fragilità alla creatura. Anche Maria avrà i suoi momenti difficili, ha conosciuto le ingiustizie o come il seguire suo figlio «non senza una particolare fatica del cuore» (cit. di Giovanni Paolo II). Il fatto di essere perfetta e immacolata non le ha risparmiato la fatica del credere, dell’amare, comprendere il progetto di Dio, o comprendere ciò che faceva Cristo quando gli dice: Figlio perché ci hai fatto questo? Maria rimane sempre una creatura terrena. Come possiamo aderire alle virtù di Maria e non perdere la fede durante il cammino? Si deve fondare la nostra fede sulle virtù teologali: fede, speranza e carità. Questa è la scuola di Maria, così piena e immacolata è sola Lei, ma non solo Maria è chiamata a fare ciò. San Paolo lo dice chiaramente, nell’Inno alla Carità, dove l’Amore e l’affidamento totale a Dio diventa parte importante del nostro cammino di fede. Quando Gesù afferma: Donna che cosa devo fare con te? Cha cosa intende dire? Il dissenso, che è uno schema ricorrente nel Vangelo di San Giovanni, fa comprendere che quando Gesù parla molte volte crea incomprensioni nei suoi interlocutori. Gesù parla di realtà spirituali e non solo materiali. Così come quando parla del tempio che è il suo corpo da distruggere e far risorgere, così anche quando gli si chiede se ha mangiato lui, risponde che ha altro cibo, la volontà del padre. Così in Cana Maria parla del vino materiale e lui si riferisce alla Pasqua, a noi sfugge il gioco di sguardi tra Cristo e la Madre, da una parte lui si riferisce alla Pasqua dicendo non è giunta ancora la mia ora e dall’altra parte l’accontenta.
sabato 3 maggio 2014
L’arte gioca in casa
La Calabria attraverso i suoi talenti
Young at Art, un progetto di promozione artistico-territoriale ideato dall'associazione “Oesum Led Icima”, in collaborazione con il Maca di Acri e l'associazione culturale Young at Art
Young at Art è un progetto espositivo itinerante di promozione artistico-territoriale ideato dall’associazione culturale “Oesum Led Icima”, in collaborazione con il Maca (Museo arte contemporanea Acri) e l’associazione culturale Young at Art, con l’intento di promuovere l’immagine della Calabria attraverso i suoi giovani talenti artistici. La prima edizione, tenutasi nel 2012, a cui hanno preso parte gli artisti Walter Carnì, Giuseppe Lo Schiavo, Armando Sdao, Valentina Trifoglio, Giuseppe Vecchio Barbieri e il duo {movimentomilc} formato da Michele Tarzia e Vincenzo Vecchio -, ha inteso premiare la scelta di chi ha deciso di continuare a operare entro i confini regionali, nonostante le difficoltà che ciò comporta e, per questo motivo, il concorso attraverso cui sono stati selezionati i partecipanti era destinato ai soli artisti under 35 residenti in Calabria. A partire dall’edizione 2013, il Maca ha voluto rinnovare la riflessione sull’arte come espressione di un territorio puntando lo sguardo non solo su chi ha scelto di restare, ma anche sui giovani talenti migranti, con la convinzione che in un’opera d’arte siano sempre e comunque presenti la storia e le radici di chi l’ha realizzata. Da qui il sottotitolo della seconda edizione: Home is Where the Art is (La casa è dov’è l’arte), dove la parola Art si va a sostituire ad Heart (cuore), sottolineando l’aspetto vitale e passionale della creatività artistica. L’edizione 2013 ha visto protagonisti 12 artisti: Anna Capolupo, Maurizio Cariati, Salvatore Colloridi, Marco Colonna, Giovanni Fava, Giuseppe Guerrisi, Salvatore Insana, Giulio Manglaviti, Domenico Mendicino, Mirella Nania, Gregorio Paone e Giusy Pirrotta. La nuova edizione, pur mantenendo la struttura delle prime due e rivolgendosi ancora agli artisti Under 35 nati in Calabria intende porsi come un primo punto di arrivo, sintetizzando le tre edizioni all’interno di un catalogo che riprenderà il significativo titolo dell’episodio 2014 del progetto: We Art Calabria. Il concorso Young at Art, preliminare a ogni edizione del progetto, è finalizzato alla realizzazione di un’esposizione collettiva itinerante, a cura di Massimo Garofalo e Andrea Rodi, in cui vengono presentate e promosse le opere degli artisti vincitori, che si sviluppa lungo l’intero arco dell’anno. L’edizione 2014 si svilupperà attraverso tre tappe, di cui: una al Maca (Museo arte contemporanea Acri), nel mese di luglio 2014; una a Cosenza, nel mese di settembre, in un importante spazio espositivo ancora da confermare; e l’ultima a Torino, all’inizio del mese di novembre, nell’ambito della manifestazione Paratissima, il più importante evento collaterale della fiera d’arte contemporanea Artissima. Le iscrizioni per l’edizione 2014 del progetto si sono aperte venerdì
Il concorso preliminare a ogni edizione del progetto è finalizzato alla realizzazione di una esposizione collettiva itinerante a cura di Massimo Garofalo e Andrea Rodi, in cui vengono promosse le opere degli artisti vincitori
Giuseppe Lo Schiavo, I stay here (Young at Art 2012) Sopra, Mirella Nania, Vita nova (Young at Art 2013)
18 aprile alle ore 8 e si chiuderanno alla mezzanotte tra l’1 e il 2 giugno. Non verranno accettate candidature che giungeranno successivamente alla data di chiusura. Per partecipare, ogni artista dovrà inviare 5 immagini di opere (in formato jpeg e possibilmente di dimensioni non superiori ai 200 KB ciascuna), o 3 video, oltre a un curriculum artistico in cui siano indicati la data e il luogo di nascita, al seguente indirizzo e-mail: info@youngatart2014.com.
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