Voce ai giovani

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Anno 38 - 5 Luglio 2014 - Numero 27

Settimanale indipendente di informazione

euro 0,50

di Carmelita Brunetti

Intervista al capitano di fregata Antonio D’Amore sulla oprazione “Mare sicuro” per il controllo di 140 km di costa SENTIERI STORICI

SICUREZZA AL CUBO

NON È UN ADDIO

Territorio singolare Scossa nell’oasi felice di soddisfazione del Pollino all’Università della Calabria

Don Vivien da Cerisano all’Africa

Tra sentieri immacolati si leggono indizi per lo sviluppo mediterraneo

Un dono sincero di umanità e umiltà

di Pietro De Leo

Ateneo-Demtech, importante passo avanti nella prevenzione sismica

di Pierfrancesco Greco


II

sabato 5 luglio 2014

Non solo bisturi Convegno a Lamezia Terme, intervista al medico Giorgio Ferrara

a cura di Carmelita Brunetti

Interessante appuntamento che ha portato a riflettere sulla responsabilità del medico, un problema che sembra essere sfuggito di mano e che invece deve essere risolto al più presto

A distanza di un mese incontro a Cosenza il medico Giorgio Ferrara segretario regionale del sindacato dei medici-dirigenti aderenti alla Cimo-Asmd (Coordinamento italiano medici ospedalieri Associazione sindacale medici dirigenti) per farmi il resoconto del convegno regionale “La responsabilità medica nella società che cambia” che egli stesso ha organizzato a Lamezia Terme presso Il T hotel (6-giugno scorso.). Questo convegno è stato un interessante appuntamento perché ha portato a riflettere sulla responsabilità del medico, un problema che sembra essere sfuggito di mano e che invece deve essere risolto al più presto. Hanno partecipato a questo appuntamento i vertici nazionali della Cimo: il presidente nazionale Riccardo Cassi, il vice presidente nazionale Sergio Barbieri,il segretario nazionale organizzativo Giuseppe Lavra,il presidente nazionale della Speme (Società scientifica della Cimo) Alberto Catalano, e altri relatori giunti da altre regioni italiane.

Il medico nella società che cambia Nel nostro Paese a differenza di altri Stati europei analizzare il grado di responsabilità del medico e dell’indennizzo spettante al paziente diventa una questione difficile da risolversi e spesso si ricorre al procedimento penale quando in realtà si tratta di procedimenti civili, rincorrendo cosi in ritardi mostruosi e incolpando il medico di reati che magari non ha commesso per sua negligenza ma per altre situazioni. A ragione di quanto accade si dovrebbe effettuare una riforma, un nuovo disegno di legge da presentare al Parlamento. «Va cambiato anche il sistema assicurativo - afferma il dottore Ferrara. - «Tutte le maggiori compagnie italiane sono fuggite dal campo, ormai sono due o tre compagnie straniere, alcune serie, ma altre non affidabili, per cui c’è il rischio che, non solo il medico si troverà a pagare con il proprio patrimonio, ma soprattutto che il cittadino tarderà ad avere l’indennizzo quando gli spetta di diritto». Continua il nostro dottore a evidenziare quanto sia importante la prevenzione del rischio. «Ormai in tutti i paesi ci sono queste unità di prevenzione del rischio che fanno indagini sugli errori, perché la cosa principale è prevenirli, molte volte non è un errore di un singolo, deriva da procedure organizzative non corrette, da mancanza d’informazione, questi sono eventi che verrebbero facilmente evitati se venissero analizzate e si attivassero procedure per sostituirli, ma è chiaro che se io segnalo di avere sbagliato e questo mi comporta una denuncia, io cerco di non farlo. Quindi questo è un settore che va riformato, ma in maniera drastica, non per rendere il medico indenne dalla colpa, ma intanto per risarcire prima il cittadino, in un anno invece che in dieci, ristabilire un rapporto corretto tra cittadino e medico, ma anche perché la struttura sanitaria, nel suo insieme, faccia risparmiare soldi al servizio nazionale». In sintesi possiamo dire che molti sono stati gli argomenti trattati e nel corso del convegno e molte riflessioni si sono fatte sul possibile rischio di vedere nei prossimi anni medici specialisti stranieri anziché italiani a causa di mancanza di coperture assicurative. C’è tanto da rivedere e riorganizzare perché il sistema sanitario italiano non naufraghi nel mare di Dante. Urgente diventa cosi l’istituzione di un Osservatorio che tiene sotto controllo il campo sanitario, il fenomeno delle compagnie assicurative che spesso sono straniere e causano problemi aggravando ulteriormente il disagio del risarcimento danno al paziente».


sabato 5 luglio 2014

Per dormire sonni tranquilli Intervista al capitano di fregata Antonio D'Amore sull'operazione "Mare sicuro 2014"

In che acque navighiamo?

etti di Carmelita Brun

La nuova stagione balneare si apre come sempre all’insegna di tanta voglia di divertimento, di nuotate, di tintarelle, di uscite in barca. Spesso però vengono dimenticate le norme di buon comportamento sia per quanto riguarda la balneazione sia per la navigazione. Molte le norme da rispettare, dunque, per evitare incidenti che possono essere mortali. L’attività della Guardia costiera in tutta Italia si attiva già durante i mesi primaverili per effettuare campagne di sensibilizzazione al rispetto dell’ambiente marittimo. Anche la Guardia costiera di Corigliano Calabro ha organizzato, durante l’anno, delle conferenze rivolte ai giovani per far conoscere loro le regole del buon comportamento sia in mare che nella spiaggia. La Guardia costiera di Corigliano Calabro (Cs) ha inaugurato due settimane fa la stagione estiva con l’operazione “mare sicuro”. E così, per saperne di più su questa operazione, organizzata dal Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto, a cura del capo del Compartimento marittimo, capitano di fregata (Cp) Antonio D’Amore, incontro lunedi mattina al porto, nel suo ufficio, il comandante D’Amore per un’intervista. Comandante, mi parli dell’operazione “Mare sicuro” e del suo scopo. Questa operazione che è partita il 23 giugno e si concluderà il 7 settembre con l’impiego di 62 militari e 6 mezzi navali, lungo l’area di competenza della Capitaneria di porto, che si estende per 140 chilometri di costa, 16 comuni costieri e 44 comuni della Provincia di Cosenza, mira a prevenire e a reprimere eventuali comportamenti contrari alla disciplina di sicurezza della navigazione e balneazione. Quali sono stati i criteri di preparazione ai cittadini, e agli imprenditori del territorio? Abbiamo tenuto 31 conferenze presso Istituti scolastici, basate sui principi di educazione civica marittima, sicurezza in mare e tutela dell’ambiente marino. Questa attività si è svolta in collaborazione con l’Associazione nazionale marinai d’Italia. Quanti comuni sono stati interessati? Avete incontrato i gli operatori balneari? I comuni coinvolti nelle attività di conferenze sono stati 14. Gli operatori balneari li abbiamo incontrati il 12 e il 17 giugno.

Operazione che vedrà l’impiego di 62 militari e 6 mezzi navali lungo l’area di competenza della Capitaneria di porto che si estende per 140 chilometri di costa 16 comuni costieri e 44 comuni della Provincia di Cosenza, mira a prevenire e reprimere comportamenti contrari alla disciplina di sicurezza della navigazione e balneazione

Per la sicurezza in mare e in spiaggia ci spiega come vi siete organizzati? È stato predisposto un servizio di polizia marittima congiunto mare/terra. Quali sono le aree di intervento? Il compartimento marittimo è stato suddiviso in aree d’interventi terrestri (Tango) e marine (Mike) Qual è la novità che “Mare sicuro” ha proposto? Sicuramente fra le nostre attività è importante mettere in evidenza l’iniziativa del bollino blu che i diportisti devono applicare sulle loro imbarcazioni al fine di consentire di trascorrere un’estate sicura secondo le direttive del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Altra novità è che dal 5 luglio al 24 agosto gli uffici della Capitaneria di porto sono aperti al pubblico dalle 8,00 alle 20,00 per offrire ai diportisti e bagnanti informazioni e risposte alle esigenze dell’utente. Da rendere noto a tutti è il numero di telefono della Guardia costiera 1530, utilissimo per emergenze in mare. Il 2013 non ha registrato nessuna vittima e speriamo la stessa cosa anche quest’anno. Non ci sono delle fabbriche e la natura è ancora molto selvaggia, così la costa calabrese è molto bella e sicuramente da vivere in serenità. Buona vacanza a tutti.

Il capitano di fregata Antonio D’Amore Sopra, gli uffici della Guardia costiera

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sabato 5 luglio 2014

Sentieri storici

Cenni di un territorio singolare

Pollino, oasi felice di Pietro De Leo

Da diversi decenni, soprattutto dopo l’istituzione nel 1988 del Parco nazionale divenuta operativa tra il 1993/4, il monte Pollino e il suo territorio sono indubbiamente occasione di sviluppo di quell’area strategica del Mezzogiorno d’Italia, simboleggiata dal Pino Loricato. Che il Pollino fosse un’oasi felice di natura incontaminata e per molti versi selvaggia, si erano resi conto studiosi e viaggiatori come il Pagano e il Douglas, che a partire dalla fine del sec. XIX avevano fornito descrizioni puntuali riguardanti le esplorazioni geologiche, botaniche, faunistiche ed antropiche, a cui di recente sono state aggiunti i risultati delle indagini archeologiche e storiche assai utili per una totale promozione del territorio. La modernizzazione della rete stradale ha favorito la conoscenza diffusa di quel “paradiso immacolato”, per fortuna ancora oggi pressoché immune da dissennati insediamenti, ma ha anche palesato l’urgenza di valorizzazione dell’area “protetta”, delimitata dai confini del Parco. Il silenzio delle fonti aveva fatto a lungo ritenere che gli insediamenti umani nella gran mesogaia lucana e bruzia, fossero tutti da collocare in tempi storici. A sconvolgere tale opinione si sono susseguiti negli ultimi 40 anni importanti rinvenimenti, che a partire dalla Grotta del Romito, nel comune di Papasidero, al limite tra Basilicata e Calabria, testimoniano frequentazioni a partire dal Paleolitico superiore. La Grotta del Romito rappresenta indubbiamente la postazione più antica da cui l’uomo aveva accesso all’Appennino calabro-lucano, risalendo il corso del Lao ed anche per questo attira oggi tantissimi turisti. A dare risalto alla catena montuosa del Pollino, che s’erge compatta tra il Golfo di Policastro e la rada di Sibari, concorre da sempre su due lati il mare: il Tirreno e lo Ionio. Lungo le loro rive si insediarono nel sec. VIII a.C. i coloni provenienti dal Peloponneso. Si determinò così il declino dei villaggi fioriti nell’età del ferro, dislocati a ridosso delle valli, sui fianchi fortificati della montagna: si pensi a Laino, Cerchiara, Francavilla Marittima, Castrovillari, Amendolara, che negli ultimi anni hanno sfornato ingenti reperti archeologici. Da quell’età, tutto il comprensorio s’affaccia prepotente alla ribalta della storia, seguendo le sorti delle note colonie di Siris e Sibari ma anche - alla disfatta di quest’ultima - di Crotone, Metaponto e Taranto. Attraverso il fitto reticolo fluviale, i coloni greci risalirono dal mare alle zone montane veicolando non solo modelli di vita, ma anche forme d’arte, strutture abitative ed agricole, in gran parte ancora da scoprire. Nel sec.V a.C. si innescò un processo inverso: furono genti indigene, i lucano-bretti, a cui si erano unite gruppi osco-umbri, sanniti e itali, che confederandosi poi autonomamente nel 356 a.C. conquistarono il controllo del Pollino e difesero la propria autonomia sia nelle guerre tarantine sia in quelle sannitiche. La penetrazione romana in Lucania è segnata - com’è noto - da alterni momenti d’alleanza e di scontro. Fatale per i Lucani fu il loro schieramento con Annibale contro Roma. Sconfitto il Cartaginese, la Lucania subì la reazione dei vincitori, che rasero al suolo le città ribelli, annientarono i contadini e li ridussero in schiavitù. Prostrata da lunghe e disastrose guerre, la Lucania, che nella divisione augustea dell’Italia costituì insieme col Brutium la regione III, a concorde testimonianza delle fonti risulta economicamente e demograficamente depressa, condizioni che avrebbe a lungo tristemente portato, se è vero che nel sec. IV d.C. i padri non esitavano a vendere come schiavi i propri figli nel tentativo di assicurare loro un avvenire migliore. A mitigare le condizioni d’isolamento aveva contribuito nel II sec. a.C. l’iniziativa promossa da Roma per costruire la via consolare da Capua a Reggio, la cosiddetta via Popilia. Da Campo Tenese a Morano, ma anche nel territorio di Castrovillari,

Il monte e il suo territorio sono indubbiamente occasione di sviluppo di quell’area strategica del Mezzogiorno d’Italia simboleggiata dal pino loricato

oggi considerata il capoluogo del Pollino, sono ancora visibili alcuni tratti dell’antica pavimentazione d’età romana, mentre vengono continuamente alla luce iscrizioni attestanti l’esistenza di collegi d’artigiani, che fanno ragionevolmente supporre un’economia agraria, in cui notevole era la produzione del legname. Nelle trasformazioni amministrative successive a quella augustea, la Lucania mantenne fermi i suoi confini. Anche Giustiniano nel sec.VI d.C. mantenne le antiche divisioni e il suo storiografo, Procopio, sottolinea l’importanza strategica del comprensorio del Pollino, nel quale si faceva sempre più strada la religione cristiana, Se agli inizi del sec. V Alarico a capo dei Goti transitò lungo la Popilia senza troppo infierire, furono i Longobardi a prendere di mira il territorio, in parte devastandolo, a partire dalla fine del VI secolo, età in cui la diffusione del cristianesimo aveva raggiunto notevoli risultati. Essi stabilirono ai limiti del massiccio alcuni gastaldati, come Laino, Latiniano e Cassano, aggregando il territorio al principato di Salerno. Con la conquista bizantina dell’Italia meridionale e con le successive incursioni saracene nel sec. X, che contribuirono ad arretrare il confine longobardo, molti monaci iconoduli italo-greci raggiunsero le falde del Pollino nel territorio del Mercure, in un frangente in cui il governo bizantino e il Patriarcato di Costantinopoli riorganizzavano diocesi e metropolie ecclesiastiche di lingua e rito orientale e favorirono gli insediamenti di tre grandi monasteri nel versante lucano: quello dei santi Elia e Anastasio di carbone, il monastero di Santa Maria a Cersosimo e il monastero di S. Angelo di Raparo, mentre nel versante calabro sorgeva una serie di minuscoli cenobi a Papasidero, Laino, Mormanno, Frascineto e Cerchiara. Quando gli imperatori della casa di Sassonia tentarono la riconquista dell’Impero d’oriente, attraversarono il territorio del Pollino, come


sabato 5 luglio 2014

Sentieri storici

A ripopolare queste contrade intervenne pochi anni dopo un flusso pilotato di famiglie albanesi, traslate dalla Puglia ad opera dei Sanseverino di Bisignano, i quali avevano stretto legami di parentela mediante il matrimonio d’Irene Castriota Scanderbeg, nipote del mitico Giorgio, con Pietro Antonio Sanseverino, signore di Galatina. In territorio calabro gli epiroti ebbero i casali d’Acquaformosa, Civita, Firmo, Frascineto. Lungro. Plataci, Porcile e San Basile; sul versante lucano, San Costantino e Casalnuovo, poi detto San Paolo Albanese. Vero è che l’insediamento degli Epiroti, alle falde e sui contrafforti del Pollino, se da una parte contribuì notevolmente con l’incremento demografico a sollevare economicamente le zone depresse, nell’arco della lunga durata produsse all’interno della minoranza etnica una coesione tale, che ancora oggi resiste ad ogni tipo d’omologazione. Sono tristemente note le vicende politiche che portarono al Viceregno Spagnolo agli inizi del sec. XVI. All’indomani dell’applicazione del trattato di Granada del 1507, l’assetto feudale del nostro territorio non subì mutamenti significativi, ma aprì una stagione in cui prevalse il balletto della compravendita dei feudi, che indusse un più esoso sistema fiscale, a danno delle popolazioni soggette. Da qui l’insoddisfazione e le ribellioni striscianti che incisero sulla storia del territorio per tutta la durata del vicerame, come testimoniano le adesioni alla rivolta del Masaniello tra il 1647 e il 1649, ma anche la diffusione della cultura, dell’arte e della controriforma, che da Napoli capitale ebbe notevoli spinte.

si legge esplicitamente nell’itinerario d’Ottone II, dopo la sconfitta di Stilo nel 982. L’espansione della conquista nel Mezzogiorno da parte normanna dopo l’aggregazione di Melfi e Venosa a partire dagli anni cinquanta del sec. XI s’imbatté nel baluardo del nostro massiccio e nel misterioso reticolo dei suoi tratturi, impraticabili e pericolosi. Drogone devastò le contrade del Latiniano costringendo molti monaci a fuggire, provocando così non solo insicurezza istituzionale, ma soprattutto l’abbandono delle terre, che rimasero incolte. Tale situazione perdurò finche Roberto il Guiscardo e il fratello conte Ruggero, conquistata definitivamente la regione, non mancarono di attuare la rilatinizzazione del territorio con l’aggregazione delle diocesi al patriarcato Romano, l’installazione d’abbazie benedettine e soprattutto con l’istituzione di nuove contee. Il territorio del Pollino vide consolidate le proprie strutture feudali sotto i re normanni da Ruggero II a Costanza d’Altavilla, nonché durante l’impero di Federico II, anche se rimase, di fatto, ai margini dell’attenzione del Puer Apuliae, pur amante delle battute di caccia. Fedeli alla casa sveva gli abitanti del circondario tentarono di opporsi alla dominazione angioina, imposta dal papa dopo la scomunica e la morte di Federico II. Come contraccolpo dovettero subire l’infeudazione d’alcuni nobili provenzali, che insieme con la loro esosità, misero in moto la diffusione d’arti e stilemi francesi, di cui si riscontrano ancora nel territorio interessanti reperti. Distinto e, in parte, anche distante dalle vicende regnicole che tra XIII e XV secolo videro contrapposti Angioini ed Aragonesi, il Pollino non fu esente dallo stato di depressione sociale, morale ed economica che travagliò l’Italia e l’Europa a partire dalla peste nera e in conseguenza del trasferimento ad Avignone della sede pontificia. Un colpo funesto lo ebbe con il terremoto del 1454, quando molte località furono danneggiate e gli abitanti costretti a trovare rifugio in pianura.

La modernizzazione della rete stradale ha favorito la conoscenza diffusa di quel “paradiso immacolato” per fortuna ancora oggi pressoché immune da dissennati insediamenti, ma ha anche palesato l’urgenza di valorizzazione dell’area “protetta”, delimitata dai confini del Parco

La parentesi del dominio austriaco tra il 1714 e il 1743 non ebbe concrete ripercussioni nelle contrade del Pollino. Mentre l’amministrazione borbonica tentava di spezzare l’isolamento delle nostre contrade progettando la via delle Calabrie da Napoli a Reggio Calabria, che sarebbe stata compiuta solo nel 1813, un disastroso terremoto, nel 1783, scosse profondamente la parte meridionale della regione, allora detta Calabria Ultra, lasciando pressoché intatta la settentrionale, dove insiste il Pollino, detta allora Calabria Citra. La ventata libertaria determinatasi con l’effimero sorgere della Repubblica Partenopea nel 1799 lambì appena il nostro territorio. La conquista napoleonica del regno di Napoli si espresse in un decennio denso di riforme, prima tra tutte l’abolizione della feudalità, decretata proprio sul Pollino, a Campotenese. L’opera di modernizzazione dell’apparato dello stato e il riassetto generale del regno furono ostacolati dal fenomeno del brigantaggio, favorito dai borboni e foraggiato dagli Inglesi. Una situazione difficile che venne ad aggravarsi dopo la restaurazione borbonica nella prima metà del sec. XIX, quando divennero ancora più gravi le ataviche piaghe della miseria, dell’analfabetismo, cui si aggiunsero allora quella del colera e dei fenomeni tellurici. Anche la rivoluzione del ‘48 non era riuscita ad attingere risultati positivi: ma è significativo che ad essa non furono del tutto estranee le zone dell’acrocoro, se, ad esempio tra i rei politici condannati, troviamo Giuseppe Fiordalisi da Cersosimo. L’unificazione territoriale dell’Italia operata da Garibaldi, sotto il vessillo sabaudo, trovò sostanzialmente impreparate e divise le popolazioni meridionali. Nella zona del Pollino gruppi di contadini senza terre approfittarono per ribellarsi, occupando terreni e vendicando torti subiti: non c’è da meravigliarsi allora se non vedessero di buon occhio un re “straniero”, a cui per devota pigrizia continuavano a preferire Francesco II di Borbone. Per introdurre, almeno nelle coscienze, la consapevolezza dell’unità il cammino era ancora lungo. La prima Grande guerra, l’avvento del fascismo, la recessione internazionale e il disastroso secondo conflitto mondiale dissanguarono e prostrarono il territorio del Pollino: i confinati del regime poterono rendersene conto e Levi, per tutti, scrisse, non senza ragione, che Cristo s’era fermato ad Eboli. A partire dagli Anni ‘70 del secolo scorso e soprattutto dopo l’istituzione delle Regioni Basilicata e Calabria, speranze di rinascita, proposte di valorizzazione, preoccupazioni di tutela non di arresero dinanzi a ritardi secolari e a promesse mai realizzate. In perfetta sintonia, le genti del Pollino di Calabria e Basilicata sono riuscite ad ottenere l’inserimento del massiccio nei Parchi nazionali, con la tutela mirata di un territorio che si estende per circa 200.000 ettari e presenta non solo paesaggi vasti e diversi tra loro con ampie aree incontaminate, ma anche enormi giacimenti culturali che possono e debbono ancora essere pienamente valorizzati e protetti dai sismi ricorrenti.

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sabato 5 luglio 2014

Cubi internazionali Studenti della Miami University (Ohio) alla Summer school del dipartimento di Matematica e Informatica

Occasioni Unical Sembra di essere in un campus americano, frequentato da studenti di belle speranze provenienti da ogni parte del mondo e desiderosi di affermarsi nella società della conoscenza e della tecnologia avanzata. La realtà, invece, è completamente diversa, nel senso che l’opportunità offerta dalla Summer school sul tema “Knowledge representation and reasoning”, un fondamentale campo dell’Intelligenza artificiale, è solo l’ultima importante iniziativa del dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università della Calabria, diretto da Nicola Leone, struttura di cui sono ospiti in questo periodo docenti e studenti della Miami University, tra le migliori istituzioni didattiche d’oltreoceano. La scelta di Arcavacata non è stata casuale, visto che è uno dei luoghi più ambiti al mondo dove è possibile approfondire la rappresentazione della conoscenza e del ragionamento automatico, ma anche sede del dipartimento leader nel settore della programmazione logica disgiuntiva. In effetti quanto sta accadendo in questi giorni conferma il livello di eccellenza che la ricerca nel settore dell’intelligenza artificiale all’Università della Calabria ha raggiunto da tempo, capovolgendo un’impostazione solo fino a qualche anno fa prevalente alle nostre latitudini e non solo. La presenza all’Unical degli studenti americani segna anche l’attuazione di un accordo di collaborazione sottoscritto dai due atenei,

Conferma del livello di eccellenza che la ricerca nel settore della intelligenza artificiale all’Università della Calabria ha raggiunto da tempo, capovolgendo una impostazione solo fino a qualche anno fa prevalente alle nostre latitudini e non solo

a margine di un convegno internazionale sul tema della programmazione logica e del ragionamento non monotono. A ricordarlo è Daniela Inclezan, docente di Informatica presso la Miami University - presente all’Unical con James Kiper, direttore del dipartimento di “Computer science and software engineering” - che insieme a Francesco Ricca, ricercatore del dipartimento di Matematica e Informatica, ha curato l’accordo stipulato tra le due università con il prezioso sostegno dei rispettivi uffici per i rapporti internazionali. I rapporti tra l’Università della Calabria e la Miami University si collocano nell’ambito della promozione dell’internazionalizzazione dell’Ateneo e della valorizzazione del campus, che il rettore Gino Mirocle Crisci ha individuato come un elemento di punta del suo programma. Un obiettivo centrale ribadito durante l’incontro che lo stesso rettore, presente anche il prorettore con delega alla Internazionalizzazione, Guerino D’Ignazio, ha avuto con gli ospiti americani, ai quali ha rinnovato la volontà di rafforzare i legami tra i due atenei. I presupposti sembrano esserci tutti. Gli americani, infatti, pienamente soddisfatti sia della qualità della docenza calabrese che dell’accoglienza nel campus, hanno manifestato interesse a ripetere l’iniziativa e ad intensificare i rapporti di collaborazione con l’Unical. Per questo, verrà presto sottoscritto un accordo “Erasmus+” per lo scambio di studenti tra le due università, mentre il prossimo gennaio verrà attivata una “Winter school”, sempre presso il dipartimento di Matematica e Informatica. La Miami University, situata nello stato dell’Ohio, è come si diceva una delle migliori istituzioni didattiche pubbliche americane. È frequentata da 16.000 studenti e vanta il terzo posto nella classifica nazionale per la qualità dell’insegnamento universitario. Il dipartimento di Matematica ed Informatica dell’Unical, dal canto suo, vive da tempo una fase particolarmente positiva e gratificante. Dopo il risultato ottenuto dal programma di valutazione nazionale della ricerca (Vqr), che ha posto l’Informatica del dipartimento al primo posto in Italia nella classifica sulla qualità dei prodotti scientifici conferiti, vanta il prestigiosissimo “Kurt Goedel research prize”, assegnato in questi giorni al professor Gianluigi Greco, e i non meno importanti “Eccai fellowship” e “Mendelzon test-oftime award”, conferiti al professor Leone in Francia e Usa. L’elenco dei riconoscimenti comprende anche il premio “Aij prominent paper award”, conferito al professor Giovambattista Ianni, e il premio europeo per la miglior tesi di dottorato in Intelligenza artificiale, conferito a Mario Alviano.


sabato 5 luglio 2014

Sicurezza al cubo Consentirà di migliorare l'innovativo progetto della "Safety cell" realizzato dall'azienda calabrese

Scossa di soddisfazione Nella sala stampa dell’Università della Calabria, il rettore, Gino Mirocle Crisci, e Antonino De Masi, fondatore e consigliere delegato della Demtech, startup impegnata a sviluppare un dispositivo di nuova concezione per la mitigazione dei danni legati ad eventi sismici, hanno sottoscritto un accordo di collaborazione scientifico, tecnologico, applicativo e formativo. In particolare, la convenzione firmata da Crisci e De Masi - che ha la durata di 1 anno e potrà essere rinnovata previo accordo scritto tra le parti - punta a favorire il coinvolgimento delle diverse aree disciplinari dell’ateneo nel progetto “Safety cell”, una struttura concepita per assicurare un alto livello di protezione contro il terremoto all’interno di abitazioni ed edifici. L’iniziativa assume un significato rilevante, non solo per ciò che riguarda lo sforzo che l’Ateneo sta portando avanti, finalizzato a favorire il collegamento delle proprie strutture di ricerca con aziende e istituzioni presenti sul territorio regionale, ma anche riguardo all’obiettivo di caratterizzarsi sempre più come supporto culturale e scientifico nel contesto sociale e lavorativo in cui devono potersi inserire i propri laureati. Una proiezione ed un ruolo che fanno il paio con il valore imprenditoriale del progetto e con la storia aziendale tanto della Demtech che del fondatore e consigliere delegato, importanti anche sotto il profilo della lotta contro la criminalità organizzata. «La nostra - ha detto Antonino De Masi - è un’idea che ci piace definire “figlia della nostra terra” e di cui siamo particolarmente orgogliosi. La struttura che abbiamo realizzato è destinata a segnare un salto di qualità sul piano della prevenzione sismica, ma è anche un elemento di arredo da non sottovalutare. Su di essa - ha aggiunto De Masi - abbiamo registrato notevole attenzione, anche da parte di prestigiose istituzioni scientifiche americane, che hanno espresso apprezzamento per la filosofia che interpreta e la funzione essenziale che può svolgere. Per questo, e per il messaggio culturale legato al progetto - ha proseguito il Consigliere delegato della Demtech - mi piacerebbe tanto che la collaborazione intrapresa con l’UniCal diventasse il simbolo della caparbietà e dell’orgoglio dei calabresi nel mondo. La conferma - ha concluso De Masi - che il riscatto e il cambiamento sono contrassegnati dalle iniziative migliori, in nome delle quali è possibile mettere insieme le eccellenze che la società calabrese esprime in ogni settore». Sulla stessa lunghezza d’onda si è dichiarato il rettore dell’Unical Crisci: «Condivido pienamente le considerazioni fatte da De Masi e i diversi profili, di ordine sociale, economico e, appunto, di

Unical, importante passo in avanti nel campo della prevenzione sismica Sottoscritta convenzione tra l’ateneo di Arcavacata e la Demtech di Gioia Tauro

sicurezza, che il progetto interpreta e riesce a mettere in pratica. Particolarmente rispetto al rischio sismico - ha aggiunto Crisci - dobbiamo tutti pretendere maggiore attenzione e operare affinchè esso diventi occasione di riflessione e di impegno corale. Non scopriamo certo oggi che la Calabria è in cima ai pensieri dei sismologi, per la probabilità elevata che possa, prima o poi, essere interessata da un terremoto, ma questo, lungi dal condizionarci, deve essere motivo di stimolo a lavorare perché non si verifichino più eventi catastrofici come in passato». È intervenuto anche Roberto Musmanno, delegato del rettore alla Ricerca e al Trasferimento tecnologico, che ha sottolineato il ruolo avuto dal Liaison office nella sottoscrizione dell’accordo con la Demtech: «Abbiamo molto apprezzato la volontà di De Masi di coinvolgere la nostra Università, che potrà certamente assicurare una sorta di valore aggiunto ad un progetto innovativo e di grande interesse sociale. È chiaro - ha aggiunto Musmanno - che la Safety cell non risolve tutti i problemi e non può sostituirsi al rispetto delle leggi in materia di sicurezza e di protezione civile, ma essa rappresenta senza dubbio un contributo importante per fronteggiare un rischio con cui dobbiamo imparare a convivere. Cominceremo a lavorare subito - ha concluso Musmanno - puntando a migliorare ulteriormente la proposta progettuale di De Masi anche attraverso l’utilizzo di dispositivi elettronici e sensori capaci di elevarne la fruibilità e l’utilizzo in situazioni di crisi». L’accordo firmato potrà riguardare numerose e importanti attività di ricerca e sviluppo, prototipazione e test commissionate dall’impresa all’Ateneo o sostenute dallo stesso con fondi e risorse proprie; ancora, attività di studio e analisi, in maniera brevettuale, economica e di mercato, commissionate dall’impresa all’Ateneo o sostenute da quest’ultimo con fondi e risorse proprie; progetti congiunti fra l’Università e l’impresa finanziati da fondi pubblici regionali, nazionali o comunitari; attività congiunte di valorizzazione delle caratteristiche innovative del prodotto, con particolare riferimento a quelle messe a punto nella collaborazione con l’Università. La convenzione prevede anche la possibilità che vengano svolte attività di tirocinio per studenti o neo laureati dell’Università della Calabria presso le sedi della Demtech; il conferimento a studenti o neo laureati dell’Unical di argomenti di testi di laurea, borse di studio e di stage, da svolgersi nell’Università della Calabria o presso le sedi dell’azienda; e borse di dottorato e assegni di ricerca fiDe Masi e Crisci nanziati dall’impresa su problematiche di protagonisti dell’accordo proprio specifico interesse.

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sabato 5 luglio 2014

Una storia che porta al successo La vita dell'artista Marigilda Bugelli, una vera favola moderna

Nobel tra arte e insegnamento Figlia di un amore contrastato, dalla nonna paterna, Marigilda Bugelli crebbe, tuttavia, nell’amore e calore familiario, in salute e sobrietà ed estro artistico, a casa della nutrice, che cercò di ricomporre la famiglia attorno a questa ragazzina...

La storia di quest’artista, premio Nobel per l’arte, consegnato a Montecarlo, è una vera e propria favola moderna. Nata da origini nobili, toscane, non poté avere suo titolo, perché la madre era una semplice “persona del popolo” e in più meridionale. Figlia di un amore contrastato, dalla nonna paterna, Marigilda Bugelli crebbe, tuttavia, nell’amore e calore familiario, in salute e sobrietà ed estro artistico, a casa della nutrice, che affettuosamente cercò di ricomporre la famiglia attorno a questa ragazzina. Ci racconta di ricordare, in un giorno particolare, la nonna come in un sogno, donna elegante, con un bel cappello, molto alta, bella e già nell’aspetto severo, che cercò di riprendersi il figlio, accettando la nipote per essere educata secondo i costumi nobiliari, ma nello stesso tempo escludendo la madre legittima della piccola Marigilda: «Ricordo ancora oggi, come in un sogno, che mio padre, prese la mano della nonna, la baciò ringraziandola, ma la invitò verso la porta, poiché la donna, che si voleva escludere, era la mia mamma. Mio padre, quindi, dovette lavorare tantissimo e con le sue sole forze laurearsi in ingegneria petrolifera». L’abbiamo incontrata in occasione dell’estemporanea organizzata dalla “Bottega degli hobbies” onlus di Vilma Perrone e con il patrocinio dell’amministrazione comunale di Castrolibero (Cs), sindaco Giovanni Greco e assessorato Sabrina Pacenza. Marigilda Bugelli è insegnante d’Arte nelle scuole medie cosentine: ci dice che l’ha fatto per scelta, perché ama trasmettere ai più giovani la passione per questa nobile attività. Ha ricevuto anche il premio come accademica di Viterbo, presso il teatro “Leonardo” con un’opera che ritrae Santa Rosa. Quest’immagine nel Viterbese non esisteva e dall’opera ne hanno fatta la riproduzione per i santini, che si trovano in occasione della memoria della Santa. Il Premio Nobel consegnato a Montecarlo ha scelto una rosa di quattordici partecipanti nel ramo della cultura, tra cui la Bugelli. La vita privata della Bugelli, oltre il plasmare come lei stessa afferma i giovani in erba delle scuole superiori di primo grado, è arricchita dai colori e non solo quelli, che utilizza per le sue opere, ma anche quelli che indossa, per sollevarsi il morale; nell’occasione era vestita come una nuvola rosa, essendo lei stessa, ci dice, un colore che solleva il morale, quando si sta poco bene. Un premio Nobel, quindi, con semplicità, perché la Bugelli, difficilmente partecipa a gare e concorsi e non ritira mai i premi personalmente, perché la sua passione nasce dal cuore e non si dirige verso l’approvazione cercata a tutti i costi della propria opera. «Essere artisti è qualcosa di più che operare in vista di premi, ma è anche un momento, affinché, si possa comprendere che fare arte è un viaggio attraverso le varie tecniche. Diciamo che l’arte è come me, dolcezza, ma nello stesso tempo combattiva e forte, non mi ferma nessuno. Ho avuto belle proposte e allettanti dal punto di vista economico, ma non sono mai caduta. Parlo poco di me e lascio agli altri, se vogliono, di raccontarmi; l’ambizione cerco di controllarla, anche attraverso i miei lavori e non porto mai nulla di ciò che faccio e neppure brochure, biglietti da visita e altro». Riguardo all’estemporanea, tenutasi a metà giugno a Castrolibero cerchiamo di capire quali sono stati i criteri di scelta delle prime tre opere, che ricordiamo essere di Antonio Oliva, Mimmo Intrieri e Marilena Rocca. «Non è stato difficile scegliere perché, essendo non solo un’insegnante di arte, sono soprattutto un’artista. Pur conoscendo tutte le tecniche, ciò non significa che si possa andare avanti, serve il talento. Si possono fare cinquanta scuole, ma il talento e la passione sono determinanti. Essere artisti è avere il dono del Signore, che l’angelo custode tiene riservato per noi. Ottimi pittori si può diventare, ma essere artisti è un’altra cosa, nasce da dentro. Il professionista che ha il dovere di decretare un vincitore deve saper distin-

Marigilda Bugelli, a sinistra, con gli altri artisti secondo e terzo classificati

guere l’artista dal pittore. Il pittore può essere un ottimo professionista, ma non necessariamente sarà un bravo artista, che, invece, emana un certo alone di stupore, di anima; se manca tutto ciò l’opera decade. Non è facile il giudizio, perché dietro l’opera c’è sempre una personalità, che ci mette il suo impegno. A volte può succedere che non si accetti un verdetto sulla propria opera, perché ci si lascia prendere dal panico, dalla paura di non farcela, cosa comune ai pittori. Il maestro Oliva mi ha colpito particolarmente perché nelle sue figure ha dato la dinamicità, il voler camminare di questa cittadina o la necessità, questo è il messaggio, che ho capito dell’opera. La prospettiva nella stessa è data dalle figure, non necessariamente la profondità di un’opera si avverte con l’architettura; ma Oliva solo con le figure riesce a dare la profondità, fino ad arrivare alla torre (che si trova nel centro storico di Castrolibero) che sprigiona una luce, che è in simbiosi con il cielo, le sfumature, il chiaro scuro, la dimensione. A volte, come nel Caravaggio, bastano i colori a dare la profondità; se dal Caravaggio si tolgono i colori, rimangono sole linee. Opera immediata, quindi, spontanea, creativa che dona dinamicità a una cittadina che è meravigliosa, da cui immediatamente si avverte la storia del paese, che io conosco e apprezzo». Lucia De Cicco


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sabato 5 luglio 2014

Figli della nostra terra Ennesimo riconoscimento al giovane storico castrovillarese Giuseppe Russo

Dentro la Storia ò di Maria Malagrin

Domenica 8 giugno presso il Protoconvento francescano di Castrovillari, all’interno dell’evento socio-culturale “Il vino e la sua cultura”, promosso dal Rotary club di Castrovillari, è stato conferito all’illustre storico castrovillarese, Giuseppe Russo, il prestigioso premio “Pino loricato 2014” per la sezione Ricerca e Storia locale con la seguente motivazione: “per essere diventato, nonostante la sua giovane età, uno dei massimi studiosi di storia medioevale del nostro territorio, con importanti e prestigiose pubblicazioni, per la sua rigorosa e meticolosa opera di catalogazione svolta negli archivi di Stato di importanti città”. Un ennesimo riconoscimento a questo giovane figlio castrovillarese che, nonostante tutte le difficoltà che uno studioso incontra durante la sua attività di ricerca, soprattutto in piccole realtà come le nostre, non demorde mai, animato dalla passione per la storia del nostro territorio. Grazie al rigore scientifico con cui conduce la sua ricerca storica, all’impegno profuso nell’analisi dei documenti storici conservati presso gli archivi statali, comunali e parrocchiali, l’emerito ricercatore offre agli studiosi e a tutti gli appassionati di storia locale di venire a conoscenza di avvenimenti importanti del proprio patrimonio culturale che, senza la sua capacità di leggere, trascrivere ed interpretare pergamene d’epoca medioevale, andrebbero nel dimenticatoio. Il ricercatore ha trovato un valido supporto nel presidente dell’Associazione italiana di cultura classica - delegazione di Castrovillari, Leonardo Di Vasto, che ha riposto in lui grandissima fiducia, offrendogli la possibilità di pubblicare i suoi vari lavori attraverso l’associazione. Il sodalizio di classicisti castrovillaresi sta portando avanti, da anni, una lodevole politica culturale incentrata sulla valorizzazione di giovani capaci, dotati di peculiari competenze: oltre allo storico Russo, si può citare il giovane orafo Francesco Scriva di Castrovillari che, nel mese di aprile dell’anno scorso, ha riprodotto per la prima volta, su sollecitazione dell’associazione, lo statere incuso d’argento di Sibari, la colonia achea. Per il bene della collettività e della cultura è dovere di tutti fare spazio a chi è competente e meritevole. Russo, attualmente, è cultore di storia medievale, paleografia latina e diplomatica presso l’Università degli Studi della Calabria e sta conseguendo, sempre nel suddetto Ateneo, il dottorato di ricerca in Studi internazionali umanistici. È stato già vincitore nel 2004 del

Conferitogli il prestigioso premio “Pino loricato 2014” per la sezione Ricerca e Storia locale

Premio letterario “Padre Francesco Russo” e nel 2011 del Premio letterario nazionale “Troccoli-Magna Grecia”, 25a edizione, “Targa Francesco Toscano” per la sezione Ricerca. Varie le sue pubblicazioni, tra cui Le pergamene di Castrovillari (secc. XIII-XVII), edizioni il Coscile, Castrovillari 2005; Inediti documenti di archivi e biblioteche calabresi (secc. XII-XVII), edizioni il Coscile, Castrovillari 2006; Le pergamene latine di Castrovillari. Edizione critica, I (1265-1457), prefazione di P. Cordasco, Associazione culturale “V. Bruno”, Castrovillari 2009; Il cartulario di Carlo Maria L’Occaso. Documenti e regesti per la storia di Castrovillari (1100-1561), edizione e note a cura di Giuseppe Russo, Associazione italiana di Cultura classica, Castrovillari 2010. Con questa opera si riconosce a Carlo Maria L’Occaso, nato a Castrovillari il 1809 e morto esule a Nizza il 1854, «il merito di aver raccolto e studiato - come scrive Giuseppe Russo nell’Introduzione - con grande perizia un’ingente mole di documenti che svelano fatti e curiosità di Castrovillari per un arco di tempo di ben oltre cinque secoli. Tante notizie messe assieme con non poca fatica che, a causa degli eventi del tempo, non ebbe l’onore ed il privilegio di veder pubblicate». Infine, si può ricordare il lavoro: Storia e fonti scritte: Mormanno, Morano e Saracena nei secoli XV-XVII. I documenti inediti degli archivi parrocchiali, Associazione italiana di Cultura classica, Castrovillari 2013. Si tratta dell’edizione di quarantaquattro documenti, che abbracciano tre secoli, dal XV al XVII, reperiti nelle chiese di Mormanno, Morano e Saracena. Russo collabora attivamente a prestigiose riviste scientifiche di ambito storico come Archivio storico per la Calabria e la Lucania, Archivio storico pugliese e Archivio storico per le Province napoletane. Sembra assurdo che ancora questo giovane non abbia un posto di lavoro adeguato alle sue capacità, eppure è così. Potrebbe esplicare le sue notevoli e pregevoli competenze di storico e di paleografo in una biblioteca o in un archivio. Castrovillari non ha un archivio comunale, pur avendo molto materiale storico da studiare e mettere a disposizione di tutti. Perché, allora, non sfruttare le potenzialità dello studioso in tal senso? Non sarebbe un motivo di vanto e di qualificata attrazione turistico-culturale per la nostra tanto amata città? Sono da elogiare il presidente del Rotary club di Castrovillari, Nicola Lisanti, e la Commissione giudicante per aver premiato un’eccellenza della città di Castrovillari qual è Giuseppe Russo, al quale non si può che dire grazie per i suoi preziosi scritti e augurargli una meravigliosa carriera. Semper ad maiora!


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sabato 5 luglio 2014

Il racconto Ragazza di un paese sul mare Jonio, figlia di commercianti di stoffa Suo padre andava per i paesi della riviera o appollaiati sulle colline per il suo commercio

Strano spazio di destino per Elvira di Giuseppe Aprile

Chiamata in causa per rispondere della responsabilità di diffamazione nei confronti di una badante rumena, Elvira precisa che l’accusa a lei rivolta non ha alcun fondamento. Si trova incredula davanti al fatto che sia stata esposta una denuncia contro di lei sol perché avrebbe detto che quella badante stava condizionando la vita delle sue cognate con lo scopo di determinare una padronanza all’atto in cui si sarebbe potuto incidere circa l’attribuzione di valori ereditari dentro cui anche lei avrebbe avuto ruoli in quanto di famiglia del fratello delle proprie cognate. A proposito intende precisare e parlare. Il suo dire sostanzialmente può sintetizzarsi come segue. È giusto, ancora, sintetizzare la sua condizione come ragazza di un paese di marina, sul mare Jonio, figlia di commercianti di stoffa. Suo padre andava per i paesi della riviera o appollaiati sulle colline della riviera e vendeva stoffa che portava in giro interessando le donne dei paesi e fermandosi ogni volta che veniva invitato ad esporre la sua roba in vendita. Apparteneva ad una famiglia numerosa composta da uomini e donne, tutti impegnati in un lavoro da commercianti nel loro paese di marina. Lei era andata a scuola fino a laurearsi e diventare titolare di cattedra. Ha guadagnato sempre e non ha mai avuto bisogno di alcuno per vivere. Andava ogni giorno a mare, sulla immensa spiaggia del paese e attendeva intere ore il ritorno dei suoi fratelli che si avventuravano sempre nel mare azzurro, con la propria barca, per pescare. I suoi fratelli facevano pescate molto intense e duravano, in mare, interminabili ore. A volte tornavano senza pesci, a volte, invece, portavano abbondanza di tante specie di pesci di cui il mare, allora, era ricco. Elvira stava sulla spiaggia e stava fino al ritorno dei fratelli vigile perché nulla accadesse per poterli trasportare, con il vento che qualche volta si levava, dentro l’interminabile specchio del mare che finiva dall’altra parte della spiaggia, in Africa. L’immenso mare Mediterraneo era suggestivo, azzurro quasi sempre, pescoso, invitante e molti pescatori si avventuravano fino ad entrare molto in dentro alla ricerca di pesci. Elvira vigilava che i fratelli tornassero a destinazione, ogni giorno, a fine pescata. Poi, al ritorno della barca, rientravano a casa assieme, contenti come una pasqua per il risultato della pescata: comunque fosse avvenuto. Avevano piacere anche se qualche volta i fratelli tornavano a mani vuote. Era valsa la bellezza e la suggestione della pescata, in quel mare meraviglioso. Avvenne che s’è fatta fidanzata con il signor Domenico, all’improvviso. Il figlio di colui che poi divenne grande scrittore. Il matrimonio finì per portarla in una nuova famiglia che si stabilì a Reggio Calabria. I primi anni furono felici e sicuramente solo parzialmente difficili. Una ragazza abituata al suo paese, in una famiglia numerosa, con abitudini assai caratteristiche di ragazza di famiglia, con fratelli e genitori sufficientemente dediti alla famiglia intesa tradizionalmente, piena di affetti e di vicinanza, alla fine s’è dovuta fare strappare alle sue storiche abitudini per diventare sposa con vita un po’ lontana, a Reggio Calabria. Poi cadde ammalato il marito e divenne assai difficile la sua vita. Dopo anni ed anni di dedizione alla famiglia, con una famiglia numerosa e con figli che hanno costituito il suo pensiero totale, avvenne una fase brutta, caratterizzata da difficili rapporti improvvisamente rivelatisi e finì per essere contrastata dalle sorelle del marito, pur’esse ammalate e invecchiate. Si trovò all’improvviso con una rumena, badante, a contrastare la vita ed i rapporti tra la sua famiglia e quella dei Timpano. L’entrata nella famiglia delle sue cognate, di una badante, ha determinato difficoltà e incomprensioni fino a trovarsi denunciata per la stupidaggine che la badante si sentì attaccata come fosse responsabile dei cattivi rapporti instauratisi tra le due famiglie: la sua e quella delle cognate. «Cose assurde» mi dice. «Quando mai mi sono posta certi argomenti. Le due famiglie dovevano e devono vivere il grandi rapporti. Auspico questo e combatterò al massimo fino a che si ripristino i rapporti come una volta; perché mio marito non sta bene,

Si trova incredula davanti al fatto che sia stata esposta una denuncia contro di lei sol perché avrebbe detto che quella badante stava condizionando la vita delle sue cognate con lo scopo di determinare una padronanza all’atto in cui si sarebbe potuto incidere circa l’attribuzione di valori ereditari

perché la vecchiaia si fa sempre più avanti, perché non vivremo molto visto lo scorrere inesorabile degli anni». Ora è accusata di avere diffamato la badante che, di contro, qualche problema l’ha posto in mo-

do tale che occorre fare sarti mortali per ripristinare serenità e buoni rapporti tra parenti. Sostanzialmente, di fronte ad una querela per diffamazione, si pone problemi che la rendono anche un po’ nervosa, oltre che incredula. La sua posizione, tesa a ripristinare una normalità di vita, è sostanzialmente identificabile come segue. La sua tesi, il suo dire. «Non ho mai affermato in pubblico che Adria, la sorella di mio marito, fosse condizionata da alcuno per decidere le sue deduzioni in merito alla causa in vigore;ho semplicemente pensato ai condizionamenti, come fatto personale, non verificabile, non testimoniabile perché nessuno avrebbe mai potuto farlo. La stes-


sabato 5 luglio 2014

Il racconto gioni per non allontanare il loro fratello e la mia famiglia. Siamo vicini di casa, ci sono ragioni attinenti a fatti ereditari che comunque non riguardano la sottoscritta, anche se non è estranea o intrusa.

sa affermazione che mi viene attribuita e per la quale rischierei un rinvio a giudizio, di per sé non determina questa responsabilità. Del resto: come avrei potuto affermare questo come verità nella quale crederci? Io ho constatato un fatto assai strano e per molti versi inspiegabile. La Adria, sorella di mio marito, è giunta che non può vedere il fratello con gravi ripercussioni negli affetti e nei rapporti famigliari, dopo una vita di grande com-

La sottoscritta non ha e non ha mai avuto ragione alcuna per contrastare il rapporto con le sue cognate che ha sempre rispettato, tra l’altro. La sottoscritta è una persona che ha sempre vissuto collaborando con la propria famiglia con il proprio stipendio perché sempre titolare di cattedra come maestra di scuola, quindi non avrebbe mai avuto e non avrà mai bisogno di protezione economica. Ha dato sicuramente a tutta la famiglia Timpano le sue sempre grandi risorse anche economiche. Non capisco come si sia potuta determinare l’attuale incomprensione (mi auguro che sia identificata come tale) con le sorelle di mio marito che avrebbero ben altre ragioni di vita che operare contrasti della natura giudiziaria e di altra natura. È evidente che qualcosa da chiarire sicuramente c’è. E lo faremo a qualunque costo anche se ritengo, e lo dico con molta chiarezza. Di fatto si tratta di fatti in famiglia, non tra estranei e soprattutto non avrebbe mai dovuto avere contrasti tipo questi che in atto addirittura vede in piedi denunzie e ricorsi alla magistratura. Per niente, anche perché una cosa sono i normali rapporti e la normale dialettica famigliare, qual’è quella che sempre si è avuta in famiglia -le mie cognate e la famiglia del loro fratello che passa giornate di grave situazione da ammalato, fino ad avere bisogno non solo della sottoscritta, ma di tutta la mia famiglia - e ricordo che la sottoscritta è semplicemente una donna che sta dedicando la propria famiglia per la famiglia Timpano (mio marito e le sue predilette sorelle), per gente ammalata in tutti i sensi -malattie naturali, voglio dire, che il padreterno manda (devo stare, evidentemente attenta a tutte le parole che dico , “tra estranei o addirittura rivali”). Voglio precisare per via definitiva che la presenza di una rumena nella casa delle sorelle Timpano, è cosa che riguarda solo loro. Io vedo e constato solo che si sarebbe potuto ragionare al meglio e risolvere le piccole problematiche che ci sono, senza contrasti di sorta. Perché s’è arrivati alla magistratura, per la quale ho comunque il massimo rispetto e la massima fiducia». Elvira mi racconta tutto questo e, ogni tanto, versa qualche lacrima. La trovo assai amareggiata e quasi predisposta ad un atteggiamento del tutto irrequieto. Per alcuni versi sente che s’è creata una situazione abnorme. Per l’altro si render conto che alla base di tutto c’è davvero una situazione determinata dal fatto che una badante di origine straniera, sicuramente tesa a creare condizioni a lei favorevoli, sì è inserita nella famiglia e, con la iniziale condizione di accudire ai bisogni delle sorelle Timpano, col passare del tempo stava diventando un possibile problema che avrebbe inciso sulla definizione della eredità delle sue cognate. Ci sarebbero testimonianze di personale che testimonierebbero che Elvira avrebbe detto davvero che la badante rubava. Elvira non aveva mai affermato questa cosa. Andava prendendo atto che stranamente, davvero stranamente, il rapporto tra le due famiglie, la sua e quella delle sorelle del marito, si erano rese impossibili, fino ad una inimicizia quasi totale. Lei invece, bene sorretta e consigliata alla figlia intelligente e colta che ha fatto del periodo della scuola, dove s’è laureata, una fase di formazione di valore assoluto, anche perché ha avuto la fortuna di professori di grande valore al suo servizio. Due suoi figli sono stati preziosi per la formazione di una grande equilibrio nella sua vita, ovviando da una parte alla malattia del proprio genitore che sta passando giornate di grande bisogno di aiuto e dall’altra una condizione difficile per altri motivi, sempre legati al comportamento di famiglie vicine.

prensione e di rapporti ottimi. Lo stesso è avvenuto tra Adria e i figli che sono miei ma anche di mio marito -suo fratello!-, nipoti fino a poco tempo addietro prediletti di mia cognata. Cosa è potuto avvenire perché le cose mutassero così repentinamente e con tanto contrasto? Le Timpano, si sentono garantite e senza bisogno di aiuto per la sola ragione che dentro la loro casa opera una signora rumena come badante, che rappresenta, in atto, la loro unica fonte di sostegno fisico e per le faccende di casa. Senza di questa le mie cognate avrebbero avuto centomila ra-

Elvira si sta battendo con tutte le sue forze per far ritrovare alla sua famiglia quella serenità che aveva sempre avuta nella vita, per anni ed anni lunghi. Utilizza il comportamento responsabile di due bravi avvocati che sono decisamente sensibili all’esigenza del ripristino della serenità nelle famiglie attualmente vittime di incomprensioni da superare e, forti di conoscenze senza eguali nel campo del diritto ma soprattutto persone di famiglia e dotati di grandi capacità umane e sociali, ed il tutto andrà sicuramente al superamento di ogni forma di incomprensione ed al ripristino dei buoni rapporti, compresa la rumena che per fare il suo mestiere di badante ben retribuita, non ha bisogno di forzature e di interpretazioni poco esatte circa il suo ruolo che resta al giudizio delle persone cui deve accudire. O, come finisce col dire Elvira, «è una questione che dovrà sapere gestire, Adria». La cosa non può che finire con la pace generale anche perché si sono trovati avvocati che hanno responsabilmente dimostrato di battersi per l’interesse pacifico sopra ogni altra cosa. «Il che non è», come dice la brava figlia di Elvira, «sicuramente poco».

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Favoleggiando In un mondo tecnologiaco esiste ancora chi trova il tempo di scrivere fiabe

Pagine per sognare

di Mario Guido

La presentazione dei due volumi Il segreto di Rosa e Il girotondo delle Fiabe di Maria Adelaide Paldino, pubblicati da Apollo Edizioni, ha offerto l’occasione per un interessante convegno di studi sul tema “La Letteratura per l’infanzia nell’era digitale” che si è svolto nella mistica cornice del chiostro duecentesco del santuario di Sant’Umile, sulla collina Riforma di Bisignano. In un società come quella in cui viviamo, dominata dall’egoismo, dall’invidia, dalla lotta per il potere, dalla mania di protagonismo ad ogni costo, dal desiderio smodato di primeggiare, dalla tracotanza e dalla superbia, avere la voglia di scrivere una favola, è veramente da considerare un atto quasi eroico. È quello che ha fatto Maria Adelaide Paldino che, nello scrivere le sue fiabe ha immaginato, forse, di proseguire la sua mission di maestra che si è dedicata, per lunghi anni, all’istruzione ed alla formazione dei più piccoli. Il convegno, organizzato dalla sezione locale dell’Associazione maestri cattolici, in collaborazione con l’I.C. “G. Pucciano” di Bisignano e l’amministrazione comunale, è stato introdotto da Silvana Sita nella sua qualità di presidente Aimc della provincia di Cosenza. Dopo i saluti di Raffaella De Luca, dirigente scolastico dell’I.C. “G. Pucciano” e del vice sindaco ed assessore alla Cultura, Damiano

Presentazione dei volumi “Il segreto di Rosa” e “Il girotondo delle fiabe” di Maria Adelaide Paldino che ha offerto l’occasione per un convegno sul tema “La letteratura per l’infanzia nell’era digitale” che si è svolto a Bisignano

Grispo, l’ispettore emerito del Miur, Francesco Fusca, ha svolto la sua dotta relazione sul tema mettendo in evidenza i principi educativi esistenti in ogni fiaba che, sotto i più svariati colori della fantasia, finisce sempre col rappresentare la realtà della vita. Alle relazione dell’ispettore sono seguiti gli interventi di Teresa Mancini, dirigente scolastico di “L. Docimo” di Rose; di Francesco Lo Giudice, ricercatore universitario in “Politica Società e Cultura”; di Antonietta Meringolo, Editore Apollo Edizioni; di Maria Adelaide Paldino autrice, che ha ringraziato tutti, in particolare le docenti dell’I.C. “G. Pucciano” che hanno voluto presentare le sue fiabe nelle rispettive classi. Suggestivo è stato l’intervento di Paola Salfi, docente in Lettere della scuola secondaria che ha deliziato i presenti cantando una melodiosa e fantastica ninna nanna accompagnata dal suono degli strumenti della liuteria De Bonis di Bisignano.

In piedi l’ispettore Francesco Fusca durante il suo intervento e (sopra) i componenti del direttivo del movimento “Rinnoviamo Bisignano!


sabato 5 luglio 2014

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Pillole di fede L’opera di San Luigi guanella

Accordò la terra con il cielo di Lucia De Cicco

Nella chiesa della Ss. Annunziata, a Marano Principato Cs, guidata dal giovanissimo sacerdote, don Pompeo Rizzo, si è tenuta la conferenza del cooperatore guanelliano presidente, Angela Maria Bruni, che ha spiegato l’opera del cooperatore, di che cosa si tratta e quale popolazione di riferimento cerca con la sua missione laica di aiutare i bambini in particolare e le famiglie nelle case gestite dall’Ordine delle suore di don Luigi Guanella. Don Luigi Guanella nasce a Fraciscio (Sondrio) il 19 dicembre 1842, sacerdote dal 26 maggio 1866. Fonda la congregazione delle Figlie di S. Maria della Provvidenza e dei Servi della Carità. La sua opera si è diffusa in tutto il mondo, è ritornato alla casa del Padre il 24 ottobre 1915. È stato canonizzato da Benedetto XVI in piazza San Pietro il 23 ottobre 2011. «San Luigi Guanella era convinto che anche nel più derelitto essere umano, esiste una forza - ci spiega Angela M. Bruniche se aiutata con amore, emerge e corregge la vita della persona. Ed è ciò che noi laici e consacrati cerchiamo di fare nelle case famiglia. In queste case ci sono laboratori e scuole di formazione in cui i ragazzi crescono con dignità e condivisione sociale. I cooperatori guanelliani, li volle don Luigi nel 1895, quando fondò la prima casa, titolata l’ “Amicizia”. Il cooperatore è il ramo laico della famiglia guanelliana e cerchiamo di portare il messaggio del lavoro di amicizia anche nella nostra famiglia, servo degli ultimi, per i bambini, figli di donne provate dalla vita e straniere». «La bellezza delle case guanelliane - riprende Angela - consiste proprio in quest’accoglienza. Famiglie, che sono ai margini e prese in carico sempre con il sorriso. Sorriso cui teneva tanto anche don Guanella. Questo Santo sacerdote, fino all’età di quarantatré anni dovette lottare moltissimo, anche con l’incomprensione dei Vescovi, esasperato dal non consenso immediato di accogliere questi ultimi, dopo tre anni conobbe don Bon Bosco e la sua opera al Cottolengo. Tuttavia la sua prima idea di fondare un ordine non l’abbandonò mai. Vi riuscì a Como, fondando il primo nucleo delle figlie di Santa Maria della Provvidenza, poi dopo i Servi della Carità, che oggi sono ovunque, soprattutto in America Latina». Il gruppo di Cosenza i cui membri, con sede a Porta Piana, zona del centro storico cosentino, che hanno fatto voto di promessa sono una ventina, ma ci sono anche tantissimi volontari, che vengono formati presso la scuola di istruzione guanelliana. «Cerchiamo sempre forze, però, come lo stesso don Guanella diceva, tutto il mondo è Patria vostra, i poveri, i diseredati e gli abbandonati, purtroppo, non mancano da nessuna parte». La chiesa di Marano Principato è stata davvero molto generosa nell’offrire le proprie donazioni libere in cambio di alcune pubblicazioni e oggetti religiosi che ripercorrono il Carisma Ganelliano, tra cui scorgiamo anche il testo redatto da suor Michela Carrozzino e dalla scrittrice Cristina Siccardi, sulla canonizzazione del Santo Guanella dal titolo Accordò la terra con il cielo edizioni San Paolo. Abbiamo raggiunto la scrittrice Cristina Siccardi per farci raccontare la sintesi di questo libro che racchiude la fatica, ma anche la bellezza di un uomo contro tutti per amore del prossimo e del piccolo. Dottoressa Siccardi Partiamo da questo bellissimo titolo del libro. Perché di questo Accordò la terra con il cielo? Vivere autenticamente la fede cattolica significa stare alla presenza di Dio, in ogni circostanza. San Luigi Guanella è vissuto esattamente così: ogni cosa che pensò e realizzò la mise al vaglio dell’Amore e della giustizia di Dio. Don Luigi Guanella, beatificato da Paolo VI il 25 ottobre 1964 e canonizzato il 23 ottobre 2011 da Benedetto XVI, fu coluig che cercò sempre il Creatore del cielo e della terra e si affidò in modo incondizionato alla Provvidenza divina per edificare già in terra il Regno di Dio. Ecco che l’espressione utilizzata per il titolo del libro Accordò la terra con il cielo trova la sua spiegazione e la sua dimensione.

Conferenza del cooperatore guanelliano per fare capire di che cosa si tratta e quale popolazione di riferimento cerca con la sua missione laica di aiutare

Il libro è scritto a due mani, perché di questa scelta? È stata la Congregazione guanelliana a cercarmi per scrivere questa biografia ed io ho accettato molto volentieri, giacché San Guanella fu formato, per alcuni anni, alla scuola di San Giovanni Bosco e a Torino, mia città d’origine e che amo molto, ebbe modo di conoscere la Piccola Casa della Divina Provvidenza, fondata da San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Cristina Siccardi, lei ha scritto altre vite di Santi e beati, perché di questa scelta di stile letterario? La mia tesi di laurea in lettere con indirizzo storico, agli inizi degli anni Novanta, fu dedicata alla figura straordinaria della Marchesa Giulia di Barolo, nata Colbert: una vandeana che aveva visto il terrore della Rivoluzione Francese e poi aveva sposato l’ultimo rampollo della famiglia Barolo, il Marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo: divennero “padre e madre dei poveri” di Torino. Lui, che fu un eccellente e magnanimo Sindaco, si dedicò all’infanzia abbandonata e all’educazione; lei alle carcerate e alla riforma delle carceri nella Torino risorgimentale. Entrambi sono candidati all’onore degli altari. La tesi fu pubblicata nel 1992. Ero giornalista al settimanale cattolico “il nostro tempo” e da allora ho proseguito, a tempo pieno, a dedicarmi ai testimoni del Vangelo e alle figure della storia della Chiesa: sono giunta a cinquantaquattro libri, fra gli ultimi una biografia su San Giovanni Bosco, dove si evidenzia il carattere mistico della vita del fondatore dei Salesiani. In settembre, invece, uscirà una biografia dedicata a San Pio X, a cento anni dalla sua morte, pubblicata dalla casa editrice San Paolo. Uno dei capitoli del libro è dedicato al Cottolengo, che cosa attrae don Guanella verso questa categoria di sofferenti? Don Luigi Guanella era un sacerdote intrepido ed energico, un santo che non si accontentava mai... scalpitava sempre: il sacro fuoco della Fede lo sospingeva continuamente in ambiti diversi per seminare la parola di Dio, donandosi completamente ai giovani e ai poveri. Trovò in Torino due santi poli attrattivi: don Bosco e don Giuseppe Benedetto Cottolengo. Non conobbe personalmente quest’ultimo, essendo morto nel 1842, ma attraverso l’opera che aveva fondato e il suo successore, padre Luigi Anglesio. Guanella fece suo quel modello di assistenza ai malati poveri e lo portò altrove. Andò a visitare più volte la Piccola casa della Divina provvidenza e ne fu sempre entusiasta: rimase letteralmente folgorato da quell’umanità abbandonata, lì ospitata con tanto amore e tanto calore. Fu proprio allora che, come aveva fatto il Cottolengo, anch’egli si lanciò fra le braccia della Provvidenza e il suo amore per Dio Padre aumentò di giorno in giorno; egli stesso lascia scritto: “è la Bontà per essenza. Egli non aspira che a beneficare [...]. Un padre terreno sol che indovini i bisogni del figlio subito vi provvede. E il Padre celeste, quando ode che noi sospiriamo gridando: Padre, Padre! Com’è possibile che non accorra in aiuto nostro. Siamo creature delle sue mani”. Sono le creature, che devono comprenderlo: Dio, in tre Persone (Padre, Figlio e Spirito Santo) è l’Unico di cui davvero ci si può fidare. San Luigi Guanella si fidò e realizzò l’umanamen-

Cristina Siccardi Sopra, nella chiesa di Marano in ginocchio con una bimba della casa famiglia la presidente del Cooperatore guanelliano e altri aderenti con il parroco don Pompeo Rizzo


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sabato 5 luglio 2014

Non addio, ma arrivederci Un dono sincero di umanità, normalità e umiltà

Da Cerisano all’Africa eco di Pierfrancesco Gr

«Grazie, don Vivien. Non addio, ma arrivederci»: queste le parole che hanno punteggiato, domenica scorsa, l’atmosfera gradevole di una serata di inizio estate, che, a Cerisano, in provincia di Cosenza, ha avuto quale proscenio, il sagrato della chiesa parrocchiale di San Lorenzo Martire, ove s’è tenuto il festival canoro, rassegna musicale, giunta all’ottava eduzione, riservata a giovani cantanti del circondario, i quali, preparati dalla maestra Angela Bilotto, hanno allietato il numeroso pubblico presente, rendendo dolce e, certamente, più emozionante e commovente, il saluto della comunità cerisanese al parroco don Vivien, il sacerdote congolese che, terminato il suo servizio, durato diciotto mesi, alla guida della parrocchia di San Lorenzo Martire, ha fatto ritorno nella sua terra, ove proseguirà il suo impegno pastorale, dedicandosi, inoltre, alla formazione accademica di tanti futuri sacerdoti. Un servizio, quello svolto da don Vivien a Cerisano, che da più parti viene giudicato “eccellente” e che, a giudicare dall’affetto mostrato, non solo domenica sera, da grandi e piccoli, non verrà dimenticato tanto facilmente. Da parte sua, anche don Vivien, seduto in prima fila durante la kermesse di domenica sera, ha trattenuto a stento la sua commozione, cogliendo la gratitudine negli occhi dei bambini che lo festeggiavano e degli adulti che brindavano a lui e, probabilmente, avrà ripensato al giorno in cui giunse a Cerisano, mandato là dall’arcivescovo, assegnato quale guida spirituale di una comunità multiforme, disomogenea difficilmente inquadrabile in schemi predefiniti. Ebbene, in questa comunità così sfaccettata, don Vivien è arrivato in punta di piedi, sul finire dell’anno 2012, palesando fin da subito quella discrezione che avrebbe caratterizzato il suo breve ma intenso magistero a Cerisano. È arrivato in un momento particolare, con la comunità cerisanese reduce da un periodo alquanto turbolento, connotato da continui, crescenti sommovimenti interni all’articolata dimensione parrocchiale locale, che avevano suscitato marcate inquietudini in seno alla realtà cittadina. Una comunità, che in quella fase avvertiva in maniera forte la necessità di trovare una guida spirituale affidabile, decisa, sicura, culturalmente elevata e totalmente antitetica ai refusi subculturali di stampo localistico; una guida, capace, insomma, di accompagnarla verso il superamento di quel momento tanto delicato. Caratteristiche, queste, che furono rintracciate in un giovane sacerdote, nativo della Repubblica del Congo, che aveva rivestito le funzioni di vice parroco nella parrocchia Santa Famiglia di Castrolibero e in quella di Luzzi; parrocchie dove don Vivien Carol Etouolo, questo il suo nome completo, aveva lasciato un ottimo ricordo, soprattutto per la sua capacità di rapportarsi con le varie società locali, coniugando fermezza e dialogo: fermezza, nel preservare le peculiarità del suo ruolo di riferimento spirituale, e dialogo, con le diverse individualità delle comunità parrocchiali; il tutto, senza snaturare le specificità endogene, bensì comprendendole, semmai attualizzandole, in conformità con i nuovi orizzonti della Chiesa postconciliare, e, quindi, valorizzandole in un’ottica inclusiva, orientata verso un salubre cammino di comunione. Caratteristiche, queste, in cui consta la chiave dell’eccellente risultanza che ha connotato il breve percorso compiuto da don Vivien quale guida spirituale della comunità cerisanese. Un breve segmento esperienziale, quello compiuto insieme al popolo cerisanese, da don Vivien; un itinerario, che, per il sacerdote proveniente dall’ex colonia francese, avente alle spalle un lusinghiero percorso di alta formazione accademica e con una prospettiva proclive all’insegnamento seminariale, ha solo costituito una giovevole tappa, verso il ritorno nella sua terra, tra la sua gente. Un cammino, quello cerisanese, iniziato una domenica mattina, nel dicembre del 2012, quando si presentò ai fedeli, cercando fin da subito, con i gesti, gli atteggiamenti, le parole di valicare la distanza intercorrente tra la dimensione cosmopolita della sua vicenda individuale e la realtà prettamente periferica del contesto locale, e suscitando, nel corso delle prime funzioni celebrate nelle chiese della cittadina delle Serre, l’apprezzamento convinto degli osservatori più attenti, colpiti dall’abilità mostrata dal nuovo parroco durante le omelie e i suoi

Domenica scorsa la comunità parrocchiale di Cerisano ha salutato don Vivien Carol Etouolo il sacerdote congolese che, terminato il servizio di diciotto mesi alla guida della parrocchia di San Lorenzo Martire ha fatto ritorno nella sua terra

interventi pubblici, elargiti ai fedeli con uno spiccato, ma delicato, accento esotico, che nel corso del tempo, è riuscito ad “arricchire” con alcune inflessioni tipiche del dialetto paesano, snocciolate con meditata oculatezza: abilità nel farsi seguire, nello spiegare la Parola, nel contestualizzarla ai luoghi e ai tempi, riuscendo, inoltre, a inserirsi nel tessuto sociale, senza, però, rinunciare al suo alto ruolo di guida irreprensibile. Per Cerisano, lo stile raffinato e, nel contempo, popolare di quel nuovo parroco, ha costituito una ventata di freschezza, che ha caratterizzato non solo lo svolgimento proficuo della sua funzione spirituale e l’espressività della sua verve comunicativa, bensì, il senso complessivo della sua presenza nella vicenda cittadina, a cui ha sempre partecipato con interesse e sobrietà, cogliendo sempre l’occasione di comunicare ai suoi parrocchiani la bellezza di una fede vissuta con solida serenità; indicativa è, al riguardo, la sua presenza al concerto di Natale 2012 tenuto dalla Giovane orchestra di Cerisano, diretta dal professor Fabrizio Zecca, nella chiesa del Carmine, il 19 dicembre del 2012, allorché, invitato ad assistere, si fece conoscere a settori di società diversi da quelli abitualmente presenti alle funzioni religiose. In particolare, le parole che usò per commentare il concerto mostrarono con chiarezza già allora, come rilevarono in tanti, una persona di cultura, serena, umile: «Il Verbo s’è fatto Carne e, questa sera, in questa chiesa, s’è fatto anche musica», affermò, impugnando la bacchetta attraverso cui pochi istanti prima il professore Zecca aveva guidato, nei meandri della chiesa e nei sensi degli astanti, le note dei giovani componenti dell’orchestra, anch’essi affascinati dalle parole e dai gesti di quel sacerdote di colore. Parole e gesti, quelli di don Vivien, che avrebbero trovato consequenzialità anche successivamente, sia nel vivere la quotidianità della sua missione, sia nello svelare, attraverso coinvolgenti catechesi, la straordinarietà del messaggio evangelico ai più piccoli; sia nell’offrire sempre vicinanza a chi gli manifestava necessità d’aiuto, ai


sabato 5 luglio 2014

Non addio, ma arrivederci Don Vivien durante una processione nel centro storico di Cerisano A destra un momento della festa di saluto per il sacerdote congolese Accanto al titolo la chiesa di San Lorenzo martire

malati, che egli andava con regolarità a trovare nelle loro case, portando loro il viatico dell’Eucaristia, sia nell’affrontare le criticità in cui da anni ormai si dibatteva la comunità cerisanese, al cospetto delle quali don Vivien ha manifestato, accanto alla sua inclinazione al dialogo, un carattere certamente non morbido ma decisamente equilibrato, e, proprio per questo, efficace, nel riportare normalità contestualmente alla sfera parrocchiale e nello smussare le tensioni, fisiologiche in questi casi. Illuminante, al riguardo, è il ritratto tracciato in uno scritto pubblicato, alcuni giorni addietro, da un parrocchiano, il quale, nel salutare il sacerdote congolese, racconta una serie di episodi che, più d’ogni altra testimonianza, aiutano a comprenderne la personalità e la natura del servizio da egli svolto a Cerisano, soprattutto per quanto riguarda l’insegnamento valoriale colà lasciato da questa brava persona, che non è né un santo, né un profeta, ma semplicemente un sacerdote, che, però, ha piena consapevolezza della delicatezza e dell’importanza del suo ruolo: al suo arrivo, si legge, «non trovò posto per dormire nella faraonica casa canonica da poco tempo ultimata e ripiegò presso l’istituto delle suore. Si è sempre mosso con una vecchia Ka grigia o a piedi in paese. Ha cominciato a tessere sin da subito una tela di rapporti che ben si sono coniugati con la sua difficile e osteggiata missione pastorale. In punta di piedi si è fatto largo fra la diffidenza generale e fra i contrapposti settori della società paesana. La sua grandissima capacità di mediazione ha permesso a tutti di trovarsi assieme, in “comunione”, non più da una parte o dall’altra. Una visione diversa del ruolo, della missione pastorale. Quasi tutti gli esponenti delle confraternite locali, del Carmine e del Rosario, sono stati coinvolti nelle attività parrocchiali, segno tangibile della volontà di valorizzarne e non di cancellarne, in discontinuità con un recente passato, la storia e tradizione. Quando gli fu dato da indossare un paramento sacro d’oro ricamato, si rifiutò chiedendone uno meno sfarzoso. Non ha mai chiesto

Proseguirà il suo impegno pastorale dedicandosi inoltre alla formazione accademica di tanti futuri sacerdoti Un saluto caratterizzato da commozione e gratitudine, con i suoi ex parrocchiani che affermano: «Ha fatto un eccellente lavoro»

soldi per i servizi, non ci sono stati tariffari rigidi e imposizioni forzose. Pian piano ha conquistato la fiducia e la stima di tutti tranne di pochi “irriducibili”. La sua opera è stata improntata sulla necessità di unire e non di dividere. C’è ampiamente riuscito. Ieri sera al festival canoro, l’altro ieri sera alla funzione delle Cresime la commozione si percepiva evidente. I bambini piangevano e quasi tutti avevano gli occhi lucidi. Non sappiamo se don Vivien abbia compiuto il miracolo di unire il paese per gli anni a venire, siamo certi quantomeno che sia riuscito a imporre una tregua. Sta ai Cerisanesi e sta al nuovo pParroco non discostarsi da una linea di principi e di comportamenti venuta da lontano, quasi dalla fine del mondo». Insomma, per Cerisano, in una comunità ricca di problemi, ma anche di valori, don Vivien è stato un sacerdote, che, con la sua presenza moderata, discreta, ma umanamente, spiritualmente e culturalmente incisiva, ha creato ponti, laddove erano stati eretti muri, laddove si erano prodotte crepe profonde. Don Vivien ha fatto in modo che quei muri, quelle crepe diventassero meno deleterie, meno insormontabili, meno marcate, in direzione di una reale pacificazione, affrontando i problemi e esaltando i valori insiti nella Comunità, e offrendo, così, a tutti i cerisanesi, una bella, bellissima esperienza, che è poi una bellissima Lezione, trovante fonte, forse, in quella inclinazione all’insegnamento che costituisce una naturale vocazione per don Vivien, la medesima vocazione che, una volta tornato nella sua terra d’Africa, saprà esternare dallo scranno di una cattedra, facendone dono ai fratelli che, come lui, vorranno rendere con amore e gioia il servizio più bello alla Parola di Gesù. In questo senso, la sua esperienza appena conclusa, la sua lezione, sarà per sempre anch’essa un dono che la parte più viva e promettente della comunità cerisanese saprà, con gratitudine, serbare nell’angolo più prezioso del cuore, come induce a credere l’affettuosa commozione che le bambine e i bambini gli hanno tributato al termine della serata di domenica; una commozione, che costituisce un altro dono, forse l’incommensurabile... Un dono per tutti noi, anche per don Vivien: il dono del sentimento sincero, verso l’umanità e l’umiltà, che si sprigiona dalla purezza interiore... Un dono, che ogni bambina e ogni bambino, ogni donna e ogni uomo, ogni comunità, ogni nazione dovrebbe avere la fortuna di far suo e di custodire, per sempre! Quel dono che oggi, a Cerisano, parla col cuore di tanti grandi e di tantissimi bambini: «Grazie, don Vivien. Non addio, ma arrivederci».

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