Anno 38 - 21 Giugno 2014 - Numero 25
Settimanale indipendente di informazione
euro 0,50
di Lucia De Cicco
Secicredipedala: l’avventura del cosentino Domenico Boì che da Cleto a Rocca Imperiale attraversa in bici la regione STRUMENTI PER RICORDARE
EPISODI E PERSONAGGI
L’eredità di Romano Tracce di ricordi Musica e cultura Don Giovanni per i giovani Pezzullo di Francesco Fotia
Si è tenuto a Cosenza il 5° concerto per il ragazzo scomparso prematuro
di Pietro De Leo
Presbitero di Regina (Lattarico di Cs) volle l’omonimo istituto a Cosenza
II
sabato 21 giugno 2014
Strumenti per ricordare Musica e cultura per le giovani generazioni
L’eredità di Romano di Francesco Fotia
Estate, periodo di feste all’aperto, di festival all’insegna di questa o di quella bevanda, di questa o quella pietanza più o meno tipica; ogni occasione, si sa, è buona per smuovere il commercio, per animare la movida cosentina, i cui partecipanti rispondono spesso con entusiasmo ai richiami dei tanti stand. Ed è stata in una di queste sere, in occasione dello Spring Fest, che si è tenuto il V Concert for Romano, il concerto degli amici di Romano Marino, organizzato dall’omonima associazione, nata nei mesi successivi alla scomparsa del ragazzo. Aveva solo tredici anni. Da quel momento l’associazione a lui dedicata non ha mai smesso di organizzare manifestazioni culturali in favore dei più giovani, eventi che sono diventati occasione per stare insieme in nome di Romano e della musica, il suo più grande amore. Anni in cui, sopratutto, l’associazione si è spesa per fare conoscere ai ragazzi, e non solo, tutto quanto c’è da sapere sulla sindrome da Attivazione macrofagica, la malattia che ha vinto Romano perché non diagnosticata in tempo. Un modo nobile per convertire il dolore in forza propositiva, un esempio di come si possa operare per il bene del territorio, facendo qualcosa di concreto per le giovani generazioni, senza chiedere nulla in cambio. Ed è stato davvero un gran bel concerto quello che è incominciato intorno alle 21,00 dalle parti della Villa Vecchia di Cosenza, una cornice eccezionale, ancora di più sotto il cielo blu della notte. È stata la prima volta “all’aperto” per il Concert, fino ad ora sempre ospitato dal Teatro dell’Acquario, al quale hanno partecipato alcuni gruppi che da sempre presenziano alla manifestazione, gli Snapshot e gli Sugar for your lips, i Flippertoast, un ritorno per loro, e i Duff, vera e propria band cult per l’universo underground di Cosenza. Maria Donata Giardini, presidente della Romano Marino, madre del ragazzo, a quattro anni dalla nascita dell’associazione fa un breve resoconto sulla direzione presa, sugli obiettivi raggiunti e su quelli futuri cui guardare. «La nostra è una piccola associazione che conta sulla solidarietà di istituzioni e privati, - ha detto Maria Donata - e per ora il nostro futuro e le nostre piccole-grandi iniziative dipendono molto dal sostegno che costoro continueranno a darci. Finora non ci è mai mancato l’appoggio dell’amministrazione comunale di Cosenza, che non posso fare a meno di ringraziare, e quest’anno anche della Provincia di Cosenza. Quest’ultima - ha sottolineato il presidente - ci ha supportato in occasione della seconda edizione del Concorso letterario “Diamo vita alle parole”, rivolto agli studenti di terza media degli Istituti Comprensivi di Cosenza e Rende. A proposito di questo concorso, mi preme molto ringraziare il Keystore one di Cosenza, che ha messo in palio diversi premi per i ragazzi già dalla prima edizione. Inoltre, la stessa azienda finanzierà la stampa di un volume che raccoglierà gli scritti di tutti i partecipanti delle due edizioni. Sebbene siano passate poche settimana dalla premiazione della seconda edizione - sottolinea Maria Donata - abbiamo già in mente qualche novità per il prossimo anno: il nostro desiderio è quello di coinvolgere i ragazzi delle case famiglia. Non posso non ringraziare anche tutti gli artisti, giovani e meno giovani, che hanno dato il loro contribuito gratuitamente per permetterci, ormai da cinque anni, di organizzare il Concert for Romano, solo per l’amicizia che li legava o per la sensibilità alla sua storia umana. Il concerto - sottolinea la presidente - sembra essere ormai una vera e propria istituzione e rimane prioritaria la sua organizzazione annuale. Quest’anno siamo stati ospitati in Villa Vecchia nell’ ambito dello Spring fest, dimensione meno intima, ma che inaspettatamente ci ha regalato più emozioni che nelle edizioni passate. Per il prossimo concerto vedremo. Ho la convinzione - conclude speranzosa Maria Donata - che non ci resta che desiderare qualcosa, per vederla incredibilmente realizzata senza troppo affanno. Così è stato, “per fortuna”, da quando abbiamo iniziato la nostra attività in memoria di Romano».
In occasione dello Spring fest a Cosenza si è tenuto il V Concert for Romano, il concerto degli amici di Romano Marino organizzato dall’omonima associazione, nata nei mesi successivi alla scomparsa del ragazzo Aveva solo tredici anni
Maria Donata Giardini Nelle altre foto, alcuni momenti del concerto
sabato 21 giugno 2014
L’evento L'associazione internazionale "Amici dell'Università della Calabria" esprime parole di apprezzamento e riconoscenza al Santo padre, Papa Francesco, per la sua visita di oggi in Calabria
La giornata della gioia
L’associazione internazionale “Amici dell’Università della Calabria” esprime parole di apprezzamento e riconoscenza al Santo padre, Papa Francesco, per la sua visita di oggi in Calabria per testimoniare in umiltà il valore del perdono e delle scuse di fronte ad azioni che spesso danneggiano e offendono il buon senso delle persone, calpestando diritti e soprattutto la dignità dell’individuo, chiamato a dare e fare manifestazioni di amore, giustizia e pace. Un viaggio atteso con la grande speranza di avere le parole e gli atteggiamenti giusti per comprendere che accanto al valore della cultura ci sono sentimenti e manifestazioni semplici di apertura alla donazione e perdono, piuttosto che alla chiusura degli egoismi e degli interessi, come del malaffare, che nidificano nell’uomo e nella società. «Siamo lieti - ha dichiarato il presidente dell’associazione internazionale “Amici dell’Università della Calabria”, Aldo Bonifati - che una nutrita delegazione di studenti, docenti e non docenti dell’Università della Calabria, guidata dai Padri Dehoniani, tutori e gestori della parrocchia universitaria San Pietro e Paolo, sarà presente nella piana di Sibari per assistere alla Messa celebrata da Papa Francesco. La visita del Santo padre certamente genererà emozioni, condivisione, gioia e vicinanza, così come è stato in passato, quando altri Papi, da Paolo VI a San Giovanni Paolo II, sino a Benedetto XVI, hanno espresso pensieri e gesti di benedizione verso una comunità di giovani e adulti, uomini e donne che vivono nell’ambito universitario, che nella nostra regione sono chiamati a costruire il presente e il futuro in termini sociali, economici, culturali e dare consapevolezza di una civiltà territoriale di progresso e speranze».
Un viaggio atteso con la grande speranza di avere le parole e gli atteggiamenti giusti per comprendere che accanto al valore della cultura ci sono sentimenti semplici di apertura alla donazione e al perdono
È bene ricordare quanto ci disse San Giovanni Paolo II in occasione della sua visita nella città di Cosenza il 6 ottobre 1984: «Oggi questa città ospita l’Università della Calabria, di recente istituzione. Giovani della Regione preparano qui il loro futuro, qui si addestrano alla ricerca scientifica, maturano il loro pensiero. Esser sede universitaria è un impegno che valorizza la città, ma è anche una grande responsabilità, poiché richiede da parte di tutte le componenti cittadine attenzione e dedizione per una formazione non solo accademica, ma umana e cristiana di tanti giovani. Auspico vivamente che l’Università, fucina del pensiero e dell’uomo, gareggi con le altre istituzioni sorelle per contribuire alla promozione culturale di questa diletta regione, offrendo un servizio alla scienza degno della Calabria erudita del passato. L’Università della Calabria sia il punto più alto dell’interesse degli amministratori di questo capoluogo, poiché con uno studio serio che avvii ad una professionalità qualificante si crei quella classe dirigente di cui la Calabria ha bisogno per risolvere i suoi problemi. La ricomposizione del tessuto sociale passa attraverso lo studio e l’impegno culturale, volti all’affermazione della dignità della persona umana: la Calabria tutta attende fiduciosa questo contributo di pace e di progresso sociale. A tutti imparto la mia benedizione». «Sono certo - ha concluso il presidente dell’associazione “Amici dell’Unical” - che la comunità che seguirà oggiquesto evento acquisirà nuova consapevolezza e linfa per avviarsi verso un nuovo percorso di vita». Franco Bartucci portavoce associazione internazionale “Amici dell’Unical”
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sabato 21 giugno 2014
Personaggi/episodi/intestazioni Per non dimenticare - Don Giovanni Pezzullo di Regina (Cosenza)
Tracce di ricordi di Pietro De Leo
Capita talora che passando dinanzi ad istituti scolastici, enti, piazze e vie o parlando di essi, la loro intitolazione non sempre è conosciuta. Se per Dante Alighieri Gioacchino da Fiore, Bernardino Telesio o Enrico Fermi - a titolo esemplificativo - non c’è difficoltà, per una grande parte di denominazioni non sempre si conoscono precise notizie. Ciò vale, non solo per rioni come “Commenda” a Rende o “Rivocati” a Cosenza, ma anche per scuole antiche e di rilievo. È il caso per esempio dell’Istituto tecnico commerciale “Giovanni Pezzullo” di Cosenza: una delle prime scuole superiori attive in città, dopo l’Unità d’Italia, Chi è costui? Don Giovanni Pezzullo nacque a Regina, feudo degli Spinelli di Tarsia, oggi frazione di Lattarico, in diocesi di Bisignano, il 20 marzo 1533, da Francesco e Caterina Grilli, genitori di umili condizioni. La sua grande ventura fu quella di conoscere e praticare i Padri. Minimi del convento che era sorto sulla sommità del fosso detto della Regina il 20 febbraio 1515 a cura di P. Paolo Rendace da Paterno vicario generale dell’ordine, e da essi, con i primi elementi del sapere, ebbe pure luminosi esempi di virtù. Lasciato il paese natio si trasferì a Roma dove nel 1557 fu ordinato diacono e poi sacerdote, prestando la sua attività in varie chiese, col benestare di Niccolò Caetani di Sermoneta (Roma 1526 -1585) amministratore della diocesi di provenienza prima dal 1537 al 1549, poi dal 1558 al 1560 e in fine nel 1563. Questi - vale la pena ricordare - era figlio di Camillo, cugino di papa Paolo III, e - all’età di dieci anni - era stato indicato cardinale “in pectore” nel concistoro del 22 dicembre 1536, per poi essere proclamato titolare della diaconia di San Nicola in Carcere, nel concistoro del 13 marzo 1538. L’integrità, la rettitudine e la parsimonia della condotta di vita di don Giovanni Pezzullo lo resero stimato ed amato in tutti gli ambienti in cui operò: prima nella Basilica dei Dodici Apostoli, dove fu beneficiario della cappella della famiglia Mancini, e poi canonico della Basilica di S. Lorenzo in Damaso, permettendogli di raggiungere anche un ottimo livello economico-finanziario. Devotissimo di San Francesco di Paola, come tutti i calabresi della capitale, strinse amicizia con i Minimi calabresi di Sant’Andrea delle Fratte.
L’Istituto tecnico commerciale “Giovanni Pezzullo” di Cosenza: una delle prime scuole superiori attive in città dopo l’Unità d’Italia Ma chi è costui?
Prima del suo trapasso, in piena lucidità mentale, memore della estrema povertà in cui era nato e vissuto nel paese di origine, prima di trasferirsi a Roma, redasse di sua mano un testamento in cui volle disporre tutti i suoi averi in opere buone, istituendo così i «Legati pii di Don Giovanni Pizzulli» - 1621. Al Pezzullo stava a cuore, anzitutto, lasciare un monumento perenne della sua grande devozione al Santo calabrese: un tempio a Lui dedicato in Roma nel rione Monti con annesso collegio di studi ecclesiastici per i sui conterranei: perciò il 4 febbraio 1623, alla soglia dei 90 anni, comprò dal duca Giorgio Cesarini per la somma di 12500 scudi una vasta villa sita tra San Pietro in Vincoli e Santa Maria ai Monti. Immediatamente, il 21 febbraio dello stesso anno la donò ai padri minimi del convento di Sant’Andrea delle Fratte, indicandoli come suoi eredi universali e riservando per sé l’usufrutto, come risulta dalla ratifica registrata negli atti del Capitolo generale celebrato a Roma il primo maggio dello stesso anno, che inserì il Pezzullo tra i suoi fondatori benemeriti. Determinò, inoltre, che in uno dei giardini guardanti la Madonna dei Monti, dovesse sorgere, ex novo, una chiesa in onore del suo Santo protettore, San Francesco di Paola. In segno poi di speciale benevolenza stabilì che tutti coloro che erano nati e residenti in Regina, sua patria, potessero lì dimorare. Gregorio XV, l’8 giugno dello stesso anno, con lettera apostolica, approvò l’atto di donazione, successivamente confermato da Urbano VIII il 18 Ottobre 1623 e poi il 6 dicembre 1624, quando fu stabilito che a dirigere il convento fossero solo religiosi della Calabria citeriore, l’attuale provincia di Cosenza. Fu così costituita la nuova comunità, composta all’inizio di nove religiosi professi, tutti di Regina o della Calabria, dei quali ci sono stati conservati i nomi: il Vicario Correttore Giovan Battista di Sant’Agata dell’Esaro; il parroco Francesco di Spezzano; Michele di Regina; Paolo di Rovito, Giovanni di Regina ed Antonio di Morano. Costoro, istituita la clausura ed ottenuta la licenza dai superiori aprirono alla pubblica devozione una cappella in onore di San Francesco. Don Pezzullo morì il 20 agosto 1623 e fu sepolto nella chiesa Collegio ai Monti fatta da lui edificare ad opera dell’architetto Orazio Torriani dove si legge sulla sua tomba il seguente epitaffio: D.O.M. JOANNI PIZZULLO PRESBYTERO CALABRO REGINAE DIOECES. BISIGNANEN. BENE DE ORDINE MINIMORUM MERITO HUIUS STUDIORUM COLLEGII FUNDATORI NONAGENARIO FERE DEFUNCTO XIV KAL. SEPTEMBRIS EIUSDEM COLEGII ET PROVINCIAE EX ASSE HAEREDES POS. A.D.MDCXLVI
sabato 21 giugno 2014
Personaggi/episodi/intestazioni Aggregazione e crescita
Piccoli attori crescono
L’Istituto di Cosenza che prende il nome di don Pezzullo Nella pagina accanto, uno scorcio di Lattarico, nella cui frazione Regina nacque Pezzullo (ritratto qui in basso)
L’11 settembre del 1623, con il consenso e per autorità del corettore generale, padre Egidio Camart, alla presenza del rappresentante del cardinale protettore Ippolito Aldobrandini e dei tre colleghi Generali francesi, nella sacrestia della Santissima Trinità al Pincio, i padri di Sant’Andrea delle Fratte fecero ai padri calabresi ed ai suoi successori la traslazione della intera e totale eredità. Le Bolle pontificie, di Urbano VIII prima, e di Alessandro VII poi, prescrissero a chiare lettere che il nuovo collegio riedificato poi a cura della principessa Panfili di Rossano con disegno di Pietro Moranti, fosse abitato solo dai Minimi della Calabria e non di altra provincia. «Nel 1662 - scrive Marino Armellini ne Le chiese di Roma - la chiesa viene così descritta nella relazione ufficiale dello stato temporale delle chiese di Roma esistente negli archivî del Vaticano: “La chiesa ha cappelle 4, altari 5, sepolture 8, campanile con 3 campane. Ha cura d’anime che s’esercita da un parroco del medesimo ordine da deputarsi dal Generale con approvatione dell’eccellentissimo Vicario”». Il Collegio voluto dal Pezzullo prosperò per oltre due secoli e vide tra i suoi alunni giovani calabresi di grande talento. Basti ricordare Nicola Saggio di Longobardi (1709-1786) e Bernardo Clausi di S. Sisto dei Valdesi. Quando poi intervenne la soppressione degli ordini religiosi perfezionata nel 1870 con l’incameramento da parte del Fondo del Culto anche del Convitto romano fondato dal Pezzullo, l’Intendenza provinciale di Cosenza mosse lite al Governo e con il parere favorevole del Consiglio di Stato nell’adunanza dell’8 marzo 1876 - finalmente il 20 dicembre 1882 riuscì a farsi cedere le rendite, in favore di studenti della Provincia. Tale successo si deve all’impegno del prof. Guglielmo Tocci, consigliere provinciale e poi parlamentare nella XI e XII Legislatura (dal 1870 al 1876), che si distinse sempre per l’indipendenza con la quale esprimeva il suo voto e per il sostegno dei Comuni albanesi, come si evince dai suoi numerosi saggi. Proprio per questo la Provincia di Cosenza intitolò al benemerito Pezzullo questo Istituto, che oggi in più di un secolo di vita è stato modello di cultura, di civiltà e di vita. In seguito poi al Concordato tra la S. Sede e l’Italia del 1929, l’Ordine dei Minimi, con la presentazione del testamento ritrovato da P. Giuseppe Lauro, riuscì a riottenere i locali e le rendite, pur lasciandone il frutto agli studenti cosentini fino al compimento degli studi. E così fu per molti anni anche dopo la II guerra mondiale. Una bella storia e un grande personaggio da non dimenticare.
Don Giovanni nacque a Regina feudo degli Spinelli di Tarsia oggi frazione di Lattarico, in diocesi di Bisignano il 20 marzo 1533 da Francesco e Caterina Grilli genitori di umili condizioni
Un momento di aggregazione e di crescita, il teatro come occasione per valorizzare passioni e qualità a partire dalla più giovane età imparando la difficile arte del confronto e dello stare insieme diventando grandi, nel rispetto reciproco. Una lezione di vita importante quella tratta dai piccoli attori dello spettacolo da titolo “Allora adesso si balla” che si è tenuto al teatro PloMinore, nel centro di aggregazione di via Fontana Vecchia di Catanzaro, nell’ambito del IX Festival del teatro dai bambini “Edizione straordinaria” in collaborazione con l’Istituto comprensivo Patari-Rodari, scuola primaria Andrea Gagliardi. Il progetto - al quinto anno di realizzazione - ha visto impegnati tutte le classi dell’istituto comprensivo, dalla prima alla quinta. Ci auguriamo che possa procedere con ulteriori importanti risultati anche il prossimo anno. Ai bambini del primo corso di recitazione Federica Celi, Gaia Corea, Pierpaolo Critelli, Fatima Lorenzo, Asia marino, Samuele Piterà, Davide Pugliese, Lorenzo Tolomeo un plauso speciale per la passione e l’impegno con cui hanno affrontato la sfida del palcoscenico, grazie alla bravura e alla disponibilità degli insegnanti Salvatore Emilio Corea, Massimiliano Rogato, Patrizia Costantino. Una menzione particolare va proprio alla tutor Annamaria Altilia e al maestro Salvo Corea che non si sono risparmiati nell’infondere attenzione ed entusiasmo ai piccoli attori alle prime armi con il teatro e con la vita. Questi momenti di aggregazione diventano importante occasione di confronto educativo, che permette di apprezzare il talento e l’attaccamento degli insegnanti che si spendono senza riserve, ma anche dei luoghi messi a disposizione della comunità per sfruttare importanti momenti di crescita.
Andrea Lorenzo, commissario cittadino Udc Catanzaro
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sabato 21 giugno 2014
Mosse vittoriose
Cinture d’oro per i karateki calabresi Grandi risultati a Cassano Ionio per il terzo trofeo di karate-do etti di Carmelita Brun
Per le arti marziali in Calabria appuntamento molto importante perché dà la possibilità ai giovanissimi di entrare in contatto con questa disciplina e valorizzare la propria prestazione fisica per diventare più determinati
Grandi risultati a Cassano Ionio per il Terzo Trofeo di Karate - Do, svoltosi il 15 giugno scorso, organizzato dal Presidente regionale della Fikta Domenico Francomano, maestro di Karate cintura nera 4 dan, con la collaborazione del Maestro Antonio Ruscelli cintura nera 4 dan. Per le Arti Marziali in Calabria questo appuntamento è molto importante perché da la possibilità ai giovanissimi di entrare in contatto con questa disciplina e valorizzare la propria prestazione fisica per diventare più determinati e sicuri di se, oltre che ad essere più forti, come dice Maestro Hiroshi Shirai «il karate si pratica tutta la vita!». Molte le palestre coinvolte, più di cinquanta, provenienti da tutta la regione, si sono viste protagoniste di una giornata all’insegna del benessere, di una sana competizione pronte a conquistarsi il Trofeo, finito con grande soddisfazione e merito nelle mani del Maestro Domenico Francomano e degli allievi. Un vanto per la nostra regione senza dubbio è avere dei giovani allievi che promettono grandi conquiste nei campionati nazionali e regionali come questo, ma anche per quelli internazionali. Tanta la partecipazione del pubblico, dei genitori e delle autorità politiche di Cassano seguite dal Sindaco Giovanni Papasso, l’Assessore allo Sport Stefano Petrosino e il consigliere regionale Gianluca Gallo. L’attenzione delle autorità politiche per eventi sportivi sono un buon segnale di crescita e sviluppo culturale del territorio.
Fascia
2005-04-03
Bianca 1° Presta Vittoria 2° Liguori Luciana 3° Rugiano Giada 3° Scarpitta Antonio Gialla 1° Paguso Agostino 2° Rugiano Maria Luisa 3° De Bernardi Matteo 3° Risolè Leonardo
Poules “A” Shotokan Sport Club Francavilla/Frascineto Shotokan Sport Club Francavilla Shotokan Sport Club Francavilla /Lauropoli Seidokan Castrovillari Poules “A” Musashi Dojo Corigliano Center Karate-Do Cassano Gorinkan Saracena Center Karate-Do Cassano
Francavilla Castrovillari Corigliano Francavilla/Lauropoli
Arancio 1° Castelluccio Domenico 2° LuparelliSimone 3° Perrupato Andrea 3° Sirianni Tommaso
Poules “A” Center Karate-Do Cassano Shotokan Sport Club Francavilla/Frascineto Shotokan Sport Club Francavilla/Lauropoli Yomi San Pietro A Maida
Poules “B” Shotokan Sport Club Yomi Musashi Dojo Musashi Dojo
Francavilla/Lauropoli San Pietro A Maida Corigliano Corigliano
Verde 1° Accurso Giuseppe 2° Mancuso Rosalba 3° De Cristofaro Francesco 3° Palmieri Andrea
Poules “A” Seidokan Yomi Seidokan Musashi Dojo
Center K-Do Seidokan Musashi Dojo Shotokan Sport Club
Cassano Castrovillari Corigliano Francavilla/Lauropoli
Blu 1° Graziadio Simone 2° Stabile Alessandro 3° Ferraro Alessandro 3° Corsino Vincenzo
Seidokan Castrovillari Seidokan Castrovillari Musashi Dojo Corigliano Shotokan Sport Club Francavilla/Frascineto
I risultati sono stati divisi per fascia di età e di grado 2008-07-06 Bianca 1° Giotta Vito 2° Zanfini Alessandro 3° De Marco Federica 3° Armentano Daniele
Poules “A” Seidokan Musashi Dojo Shotokan Sport Club Shotokan Sport Club
Gialla 1° Marrone Pasquale 2° Madeo Margherita 3° Rota Salvadore 3 Diaco Leonardo
Poules “A” Seidokan Musashi Dojo Seidokan Yomi
Bianca 1° Scutari Francesco 2° Mauro Luca 3° Maffia Francesca 3° Oliva Francesco
Poules “B” Shotokan Sport Club Seidokan Musashi Dojo Shotokan Sport Club
Gialla 1° Stavale Filippo 2° Grande Simone 3° Gammaro Pierpaolo 3° Salamone Angelo Arancio 1° Trinchi Ludovico 2° Baratta Mattia 3° Modeo Alessandreo 3° Minervini Sidney
Castrovillari Corigliano Francavilla/Lauropoli Francavilla/Lauropoli Castrovillari Corigliano Castrovillari San Pietro A Maida
Castrovillari San Pietro A Maida Castrovillari Corigliano
sabato 21 giugno 2014
Mosse vittoriose
Marrone 1° Ruscelli Katia 2° Gugliotti Miriam 3° Adduci Melania 3° Golia Leonardo
Center Karate-Do Shotokan Sport Club Center Karate-Do Center Karate-Do
Cassano Francavilla/Lauropoli Cassano Cassano
Gialla 1° Mario Giannotti 2° Montilli Annarita 3° Falcone Francesco 3° Risafi Natalino
“C+D” Culttt Shotokan Sport Club Musashi Dojo Musashi Dojo
Belvedere M.Mo Francavilla Corigliano Corigliano
Fascia “D”
2002-01-00
Verde 1° Dattolo Marianna 2° Di Bella Giovanbattista 3° Cuomo Renzo
“D+E” Yomi Center Karate-Do Yamashiro
San Pietro A Maida Cassano Tortora
Blu 1° Laurito Valeria Pia 2° Barrilli Enrica 3° Braile Alessandro 3° Raffa Salvatore
Gorinkan Musokan Center Karate-Do Seidokan
Saracena Catanzaro Cassano Castrovillari
Marrone 1° Di Marco Danilo 2° Perri Antonio 3° Alfano Matteo 3° Grande Antonio
Seidokan Center Karate-Do Gorinkan Yomi
Castrovillari Cassano Saracena San Pietro A Maida
Nera 1° Zanfini Cosimo 2° Cardamone Giuseppe 3° Petracca Albino
“C+D” Musashi Dojo Musokan Seidokan
Fascia “E”
1996-1979 Musashi Dojo Corigliano Shotokan Sport Club Francavilla/Frascineto Shotokan Sport Club Francavilla/Frascineto Miyata Chiaravalle
Marrone 1° Marrone Alfredo 2° Caruso Raffaele 3° Paonessa Antonio
Musashi Dojo Yomi Musokan
Bianca 1° Micieli Marco 2° Chimento Marialia 3° Lesce Giacinto
Poules “B” Seidokan Musashi Dojo Shotokan Sport Club
Gialla 1° Rugiano Manuel 2° Thiago Amelino 3° La Ghezza Andrea 3° Curti Antonio
Poules “B” Shotokan Sport Club Francavilla/Lauropoli Center Karate-Do Cassano Musashi Dojo Corigliano Musashi Dojo Corigliano
Arancio 1° Riccio Salvatore 2° Imperato Pierpaolo 3° Guarino Gabriele 3° Vaglini Azzurra
Poules “B” Shotokan Sport Club Francavilla/Lauropoli Musashi Dojo Corigliano Shotokan Sport Club Francavilla/ Lauropoli Shotokan Sport Club Francavilla/ Lauropoli
Marrone 1° Marra Antonio 2° Federica Pace 3° Lanzillotta Serena 3° Staglianò Giuseppe
Fascia “C”
2002-01-00
Fukugo open (Sp-Ju-Se)
Bianca 1° Lo Prete Giovanni 2° Ferraro Salvatore 3° Perri Camilla 3° Liguori Matilde
“C+E” Seidokan Gorinkan Center Karate-Do Shotokan Sport Club
Castrovillari Saracena Cassano Francavilla
Arancio 1° Chiarella Roberta 2° Montanaro Carmine 3° Pesce Nicola 3° Monetta Mario
“C+E” Musokan Musashi Dojo Shotokan Sport Club Culttt
Catanzaro Corigliano Francavilla Belvedere M.Mo
Verde 1° Le Pere Alexander 2° Rivello Francesco 3° Bonacci Giulio 3° Barbato Mattia
Yomi Seidokan Yomi Musokan
San Pietro A Maida Castrovillari San Pietro A Maida Catanzaro
Blu 1° Forte Alessia 2° Costantino Francesco 3° Pagano Oscar 3° Talarico Giacomo
Gorinkan Yomi Center Karate-Do Yomi
Saracena San Pietro A Maida Cassano San Pietro A Maida
Corigliano San Pietro A Maida Catanzaro Castrovillari Corigliano Francavilla/Lauropoli
Nera 1° Ruscelli Kevin 2° Palmieri Luigi 3° Aloia Francesco 3° Aloia Moris
Center Karate-Do Musashi Dojo Yamashiro Yamashiro
Corigliano Catanzaro Castrovillari
Cassano Corigliano Tortora Tortora
VII
VIII
sabato 21 giugno 2014
Una sfida su due ruote Domenico Boì, sportivo cosentino, maestro di sci ha intrapreso un viaggio in bicicletta attraverso la Calabria
Secicredipedala Domenico Boì, sportivo cosentino, maestro di sci, ha intrapreso, ormai da qualche giorno, un viaggio in bicicletta attraverso la Calabria, evento dal titolo: “Secicredipedala” e che porterà il nostro avventuriero nelle bellezze della Regione, partendo dal sud della stessa, Cleto, fino al nord, Rocca Imperiale, conosciuto anche come il Paese della Poesia (ogni anno, infatti, si tiene un concorso di poesia, organizzato dalla casa editrice Aletti, uno degli sponsor di questa traversata e che vede un Festival nella cittadina con la posa di una piastrella decorata nel centro storico con la poesia vincitrice assieme ai grandi lirici della storia). Si legge nel gruppo che Boì ha aperto in facebook dal titolo della traversata: «Un tour (poetico) su due ruote alla scoperta della provincia di Cosenza, zaino in spalla, macchina fotografica e telecamera. Da Cleto, tappa di partenza, a Rocca Imperiale “il paese della poesia”, punto d’arrivo di un meraviglioso itinerario alla scoperta dei luoghi della provincia di Cosenza. La partenza (fissata al 13 giugno scorso). Sarete informati quotidianamente sulle soste del mio viaggio con foto e video, che racconterà le emozioni dei luoghi visitati. Secicredipedala è un progetto di marketing territoriale a chi non sa dove andare o al turista che viene a visitare i luoghi più spettacolari della Calabria. Durante la mia avventura saranno create le tracce Gps scaricabili e suddivise per grado di difficoltà. Le meraviglie della mia terra saranno i miei compagni di viaggio, i suoi paesaggi la ricompensa, la gente, il mio ristoro. Farò tappa un po’ovunque, la telecamera registrerà i racconti degli abitanti, delle loro vite, i loro suggerimenti, le sagre, gli eventi, attività sportive e festival. Lungo la rotta cicloturistica ci si fermerà anche a scoprire ricette caratteristiche e ogni forma di ospitalità, che il territorio offre. Una soluzione sostenibile, economica, salutare, in linea con lo slow life e che permette di gustare il viaggio in tutta la sua bellezza. Sarà una pedalata reale e virtuale lungo la quale ognuno potrà scegliere il proprio percorso e in quali tappe fermarsi. Sarà un viaggio per me, e per chi vorrà seguirmi, alla scoperta delle nostre radici, che fanno parte dell’identità di ogni popolo, alla ricerca di spazi di crescita personale e alla conquista di notizie e informazioni “vere” su un territorio, che non è fatto solo di poteri corrotti e degrado. Esiste una Calabria viva, fatta di gente, che ogni giorno coltiva il proprio orto con la speranza che il raccolto sia dei migliori. Gente col sorriso, che scavalca i problemi con positività. Per questa gente, secondo me, vale la pena di pedalare!». Lo abbiamo incontrato alla vigilia del viaggio per farci raccontare le attese che lo porteranno a intraprendere quest’avventura. Nella vita gestisce un portale di turismo con il quale cerca di fare conoscere il territorio nella sua interezza, dal mare alla montagna, fornendo delle mappe, che vanno dalla ristorazione ai festival, alle attività, che realmente siano rappresentative di un luogo. “Secicredipedala”. Da che cosa nasce questa idea, la prima o altre volte, hai intrapreso un viaggio in bici? È la prima volta che intraprendo un’avventura di questo tipo e lo faccio da non esperto ciclista. Mi piace la Calabria e vedo che si conosce poco nella bellezza della terra. Ho cercato, tuttavia, di farlo con coscienza, mettendo in movimento tutte le risorse a me disponibili, per avere appoggi e ristoro lungo il percorso, che sarà arricchito anche di alcune escursioni. Qual è la mappatura del tuo viaggio? Partirò, da solo, da Cleto fino a Rocca Imperiale, seguendo un percorso tra costa tirrenica e jonica ed entroterra. Tuttavia, farò anche delle soste di riposo per poi ripartire, secondo linee di percorso alla scoperta del territorio. Toccherò più di cinquanta comuni: sul
Domenico Boì (primo a sinistra) in una delle sue tappe
L’avventuriero girerà tra le bellezze della regione partendo dal sud, Cleto, fino al nord, Rocca Imperiale, conosciuto anche come il paese della poesia
Tirreno, Cleto, Serra d’Aiello, Amantea, Fiumefreddo, Belmonte, San Lucido, Cetraro, Guardia Piemontese, Belvedere, Diamante, Cirella. All’interno: Santa Maria, Verbicaro, Papasidero, San Nicola, Tortora, Praia a Mare, e poi molti paesi Arbereshe, San Basile, Saracena, Lungro, Firmo, Civita, Altomonte, Acquaformosa. Sullo Jonio, Cariati, Corigliano Calabro, Rossano, Sibari, Trebisacce, Castrovillari, Amendolara, Pietrapaola e altri, tutti della provincia Cosentina. Hai affermato: possedere una bicicletta e lasciarla languire in cantina è come possedere la lampada di Aladino e non pensare mai di strofinarla... La bici per me è un mezzo importante, la uso da sempre con e senza quando l’automobile. L’idea di muoversi in bici in luoghi piccoli come i nostri è bellissimo, intraprendere questo viaggio è un far vedere ciò che possiamo fare anche con un mezzo che non inquina e non è superveloce. Vuole essere, tuttavia, non solo uno stimolo a usare la bici, ma anche un mostrare come attraverso degli itinerari interessanti si possa tornare a un buon uso della semplicità degli spostamenti, come la bicicletta. Farai anche una sorta di reportage del viaggio? Certo. Porterò videocamera, macchina fotografica e fotocamera anche subacquea. Ogni tre giorni sarà inserito nel blog e anche nella pagina facebook dallo stesso titolo, ciò che registro postando i ricordi più significativi del viaggio, che avrà come data dal 13 giugno al 15 luglio, toccando anche con delle tappe già programmate molti luoghi da scoprire come le grotte, e percorsi e itinerari, programmati. Affermi che hai messo in moto sponsor, che ti appoggeranno... La maggioranza sono calabresi come Skoda, Torre di Mezzo, Spadafora, Paese, Visit Cosenza.it. Perché credo che tutto il territorio debba beneficiare di questo viaggio e loro mi forniranno un sostegno economico, per la bici, la macchina fotografica, il pc. La mia bici avrà due sacche dietro in cui metterò le apparecchiature tecnologiche e della biancheria di ricambio. Ci saranno anche delle persone che mi sosterranno, seguendomi nel viaggio, dalla gestione del blog alle apparecchiature. Mattia Celebre, grafico pubblicitario e appassionato di fotografia, Gaspare Coscarella, che curerà la parte grafica del sito, articoli e informazioni. Alessia che si occupa dei social, Caterina Aletti, che sarà l’addetto stampa dell’evento, assoluta novità per il territorio. Che cosa ti aspetti? Mi appassionano i volti, le storie del posto, che trovo belle, voglio raccontare tutto ciò ed è questa la mia sola attesa, poi vedremo. Lucia De Cicco
sabato 21 giugno 2014
Esperti al lavoro All'Unical IX corso internazionale - Idraulica urbana sostenibile - Ciclo integrato acqua-energia
Per non perdersi in un bicchiere d’acqua
Le infrastrutture idrauliche costituiscono sistemi complessi in grado di determinare una significativa interferenza con tutte le reti infrastrutturali presenti sul territorio ma che difficilmente e raramente vengono trattate e gestite con la possibilità di dialogare fra loro al fine di poter meglio individuare le criticità presenti. Quanto è accaduto nei giorni scorsi in varie località del Centro-Nord del nostro Paese con la manifestazione delle cosiddette “bombe d’acqua”, che hanno creato grossi danni e disagi alle cittadinanze interessate, ne è un esempio e un caso emblematico che impone adeguate forme di studio e ricerca da parte degli esperti e studiosi di tali fenomeni. Un approccio integrato nella gestione dell’acqua e dell’energia nell’ambiente urbano e nei corpi idrici ricettori di pertinenza risulta indispensabile per un ottimale uso delle risorse. Di tutto questo si è parlato nell’aula Magna dell’Università, nell’ambito del IX corso di studio internazionale relativo all’Idraulica urbana sostenibile ed al ciclo integrato acqua - energia, promosso dal dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università della Calabria, coordinato dalla professoressa Patrizia Piro. Un corso che ha visto la partecipazione e la collaborazione: dell’Ordine degli ingegneri di Cosenza; del Centro studi acquedotti e fognature e del laboratorio di Idraulica urbana, dell’Università della Calabria; dell’associazione Idrotecnica italiana, con il patrocinio di Iahr Airh. «L’individuazione e l’attuazione di interventi strutturali e non strutturali, per una gestione ottimale del ciclo acqua - energia in un’ottica di sostenibilità ambientale - ha dichiarato Patrizia Piro, nell’intervento di apertura del corso - rappresentano ormai passaggi imprescindibili per il controllo degli afflussi alla rete di drenaggio, le potenziali problematiche di allargamento e il rischio ad esse connesso, l’abbattimento della produzione di inquinanti dalle superfici e conseguente riduzione dell’impatto sui corpi idrici ricettori, il controllo del microclima urbano e riduzione del consumo energetico negli edifici». Il corso, che si è sviluppato nel corso dell’intera giornata, è stato caratterizzato da ben undici relazioni scientifiche a cura di vari studiosi ed esperti locali e nazionali con presenze anche straniere, a cominciare dal professor Jiri Marsalek, del National water research institute Burlington, del Canada e del professor Cedo Maksimovic, dell’Imperial college di Londra.
Quanto è accaduto nei giorni scorsi in varie località del Centro-Nord con le cosiddette “bombe d’acqua” che hanno creato grossi danni e disagi alle cittadinanze interessate, costituiscono un caso emblematico che impone adeguate forme di studio e ricerca da parte degli esperti e studiosi di tali fenomeni
Partendo dal concetto secondo cui la crescente urbanizzazione e la sempre maggiore domanda di servizi idrici, dovuta al proliferare della popolazione, hanno comportato lo sconvolgimento del ciclo idrologico naturale a livello locale e globale, il professor Marsalek con la sua relazione dal titolo “Innovation in stormwater management: The first 50 years” ha focalizzato l’attenzione sull’impatto che tale cambiamento può avere sull’ambiente, come sulla diminuzione dell’evapotraspirazione e dell’infiltrazione superficiale e profonda; nonché sul trasporto di inquinanti associato a tale deflusso. Soluzioni a questi problemi sono ricavate da diversi approcci per la gestione delle acque in ambiente urbano; mentre l’insieme di queste tipologie di interventi finalizzati al ripristino delle condizioni naturali di drenaggio e al controllo del carico inquinante sono oggi identificate dalla letteratura anglosassone con il termine Bmp (Best management practice) e dalla letteratura americana con il termine Lid (Low impact development). In conclusione la scelta, il dimensionamento e l’applicabilità dell’uno o dell’altro approccio, che hanno entrambi l’obiettivo di mitigare i cambiamenti quali-quantitativi delle acque meteoriche urbane conseguenti al nuovo uso del suolo, sono intimamente legate alle caratteristiche di qualità che si vogliono raggiungere e alla natura e localizzazione del sito stesso, ma la migliore progettazione è quella che combina le misure di entrambe le categorie. Altrettanto interessante e particolarmente seguita è stata la relazione del prof. Cedo Maksimovic che ha parlato sul tema: “Blue green dream project’s innovations for optimised ecosystems based urban planning”, presentando il progetto “Blue green dream” che, attraverso sistemi idrici urbani (Blue) e aree vegetate urbane (Green) come sistemi combinati ed integrati tra loro - ha lo scopo di ridurre gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, ulteriormente amplificati se combinati con un’urbanizzazione incontrollata o non adeguatamente pianificata. Molteplici - ha sottolineato il professore inglese - sono i vantaggi che potrebbero derivare da queste soluzioni quali: maggiore resistenza alla siccità e al rischio di alluvioni in area urbana, riduzione dell’inquinamento atmosferico, del rumore e del fabbisogno energetico, mitigazione dell’effettoisola di calore, valorizzazione della biodiversità e della qualità della vita, miglioramento della vivibilità degli spazi urbani e del loro valore estetico. Franco Bartucci
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sabato 21 giugno 2014
Viaggio esplorativo dell’inconscio Realizzato da Rosa Francesca Romano
Desiderio d’arte lo di Vincenzo Napolil
I sette vizi tecnica mista su tela Sopra, Pandora acrilico su tela
Rosa Francesca Romano ha realizzato il suo desiderio d’arte con opere dettate dal piacere di dipingere e scolpire in nome del diritto di libertà che spetta alla fantasia e dal bisogno di compiere, prendendo Salvador Dalì come guida pittorica esemplare, un viaggio esplorativo dell’inconscio e della figurazione irrazionale. La sua pittura, sempre singolare, mostra le visioni oniriche, le spettrali fantasmagorie, il senso di spaesamento e quello di terrificante bellezza, realizzati con abilità tecnica. Nelle opere si avvertono i richiami ai miti dell’antichità (Gorgone e Pandora), alla cecità umana e al disastro immane dell’epoca attuale (Chernobyl) e persino ai motivi e ornati vegetali e floreali dell’Art nuoveau. Dallo psicanalista Freud apprende il funzionamento della psiche umana sul principio “di realtà” e su quello “di piacere”, che a esso tende sempre a sostituirsi. Il collegamento della luce all’oscurità, del bianco alle ombre, come suggerisce il titolo della sua Mostra, induce a credere in un’implicazione espressiva contraddittoria. Rosa Francesca Romano, tuttavia, rifugge dalla dialettica hegeliana (tesi, antitesi, sintesi) e dall’unità dei contrari (di Mimmo Legato) per concentrarsi su tematiche psicanalitiche e scandagliare pensieri e sentimenti nascosti nell’inconscio, e per imprimere sulla tela immagini stravolte ed esasperate. Rosa Francesca Romano recupera i grandi insegnamenti di Michelangelo Buonarroti e Salvador Dalì. Allieva di Vincenzo Lombardi (tecnica dell’incisione), Alessandro Russo (decorazione) e Rocco Pancaro (anatomia artistica), durante gli studi presso l’Accademia delle Belle Arti di Catanzaro, è stata conquistata dalla “terribilità” delle sculture e dei disegni michelangioleschi e dalla centralità della figura umana. Dedicatasi alla scultura, ha appreso dal Buonarroti, oltre all’anatomia umana, la lezione di non legare l’attività artistica all’abilità puramente manuale, bensì a capacità intellettuali. Il gruppo marmoreo della Pietà in San Pietro sollecita in lei un’interpretazione del tema della pietà più in chiave psicologica che realistica e la riflessione sull’inseparabilità della Madre dal Figlio. In un suo dipinto, Rosa Francesca Romano esprime l’angoscia di una madre che ha perduto il figlio e, in altri quadri, rappresenta il grande ventre di donne incinte nel loro disperato e vano sforzo di voler dare alla luce il figlio. La cruda visione si riflette nelle tonalità scure e inquietanti della sua pittura, densa di allegorie e di stesure a pennellate di colore rosso, nero e bianco. Rosa Francesca Romano, sulla linea di Dalì, non si accontenta di rappresentare semplicemente ciò che vede, ma intende accedere a una realtà profonda dietro quella visibile. Ed ecco che si evidenziano, con tormentosa intensità, situazioni inusitate, fattezze strampalate e scioccanti, implicazioni erotiche, figure deformi, allucinate, allegoriche, l’evidenza della sostanza plastica ansiosa di raggiungere un elevato grado di definizione. L’allegoria dà luogo a quadri, dove sono raffigurati i Vizi capitali, il Dono d’amore non ricambiato, le Età della vita sovrastate da un cavaliere indifferente, la Donna vissuta nella lascivia (con il capo reclinato, non visibile, e un tatuaggio sulla gamba e sul braccio), il Circo, figurazione allucinante di Montecitorio, con personaggi politici differenti, e della Cattedrale dissacrata dal corteo circense, il Giovane con un occhio chiuso e l’altro ingrandito e un piccolo pittore sulla spalla che disegna l’intreccio di due personaggi e scrive le massime: “La verità è un caso”, “La felicità esiste”. Nella bocca aperta compare la dicitura: “E tu quanto ci credi?”. È difficile rispondere sic et simpliciter all’enigma; conta però lo sforzo di ricondurre ciò che appare imprevedibile (il caso) a ciò che dovrebbe essere a tutti familiare (la felicità). Gli esiti di Rosa Francesca Romano rivendicano immagini audaci, sconvolgenti, provocatorie, e paradossali immagini mentali. Non c’è sintesi fra loro; ma colpisce la volontà di rendere visibili le avventure psichiche e le qualità intime e sontuose, sensorie e intellettuali, sulla ribalta scenica che le ospita.
Opere dettate dal piacere di dipingere e scolpire in nome del diritto di libertà che spetta alla fantasia e dal bisogno di compiere, prendendo Salvador Dalì come guida pittorica esemplare, spostamenti virtuali
Il Nobel per l’arte Bugelli; 2.a e 3.o classificati; il sindaco e il presidente della Bottega degli Hobbies sopra, il 1° classificato Antonio Oliva
Artisti a confronto a Castrolibero
Pennello libero Una giuria di eccellenza per l’estemporanea organizzata dalla Bottega degli Hobbies di Castrolibero, (Cs), presidente Vilma Perrone e con il patrocinio del Comune, erano presenti, il sindaco Giovanni Greco, il vicesindaco Orlandino Greco, l’assessore Sabrina Pacenza, e la presidente del Consiglio comunale, Nicoletta Perrotti, che hanno consegnato i premi ai tre vincitori. Un premio Nobel per l’arte Marigilda Bugelli, ricevuto nel 2005 a Montecarlo. Nata nella provincia di Lodi, esercita la sua professione a Cosenza ed è stata presidente di giuria per l’occasione. Altri componenti di giuria: la pittrice e docente, Patrizia Vercillo, il geologo e artista, Marcello Manna, la pittrice Patrizia de Bernardo, ed Ernesto Guido presidente della Proloco di Cosenza. La Proloco di Castrolibero nella persona del responsabile, Gaetano Franzese ha dato i locali per la decisione di giuria. Il tutto si è svolto nel centro storico e per i suoi vicoli, dove i pittori hanno potuto dipingere liberamente secondo il proprio estro e tecnica artistica. Il primo premio è andato al rendese maestro Antonio Oliva, il secondo se lo è aggiudicato la pittrice Marilena Rocca, terzo premio all’artista acrese Domenico Intrieri. Mentre la giuria decideva, intermezzi musicali e sottofondi della cantautrice, Raffaella Scarpelli e con la partecipazione di Francesco Tarantino, Lucia De Cicco, Aurora Pietramala, Mario Mandarino, Angela Gallo, Gaetano Caira, Giuseppe Bennardo, Angelo Canino, Carmine Aloise, Carmine Marozzo, Marcello Lupo (in arte). Tutti gli altri pittori hanno portato a casa una medaglia di partecipazione. Concluderei con le parole di madre Teresa: «La vita è opportunità, coglila, la vita è bellezza ammirala... La vita è una sfida, affrontala... la vita è una lotta accettalo... la vita è un’avventura rischiala...». Le opere rimarranno all’amministrazione comunale. Ldc
sabato 21 giugno 2014
XI
Alla ricerca del sangue blu Vincenzo Napolillo con un nuovo libro dove presenta la trascrizione di un manoscritto inedito giacente nella Biblioteca civica di Cosenza
I segreti dei salotti Piazza Duomo a Cosenza su cui affacciava il Sedile foto d’epoca (web.tiscali.it/cosenzaweb
Dopo una incursione nel campo della poesia, che lo ha portato a proporre una ravvolta di sue composizioni che ha riscosso un meritato successo di pubblico e di critica, Vincenzo Napolillo riprende la sua attività pubblicistica tra gli storici della realtà cosentina con un nuovo libro dove presenta la trascrizione di un manoscritto inedito giacente nella Biblioteca civica di Cosenza. La nuova fatica dell’autore mette a disposizione degli studiosi della storia locale, e cosentina in particolare, un prezioso documento che contiene in una succosa sintesi gli eventi salienti delle principali famiglie cosentine, di nuova e vecchia nobiltà, che veniva sancita con l’inclusione nel Sedile della città, che costituiva la legittimazione dello status acquisito e dava diritto a partecipare alla vita politica della città, tanto come elettore che come pretendente a una carica pubblica. La storia del manoscritto è riferita da Michele Chiodo. Esso fu venduto alla biblioteca nel 1936 da Vincenzo Tafuri, fiduciario della Federazione Provinciale del Partito Nazionale Fascista di Cosenza, insieme ad altri libri e documenti appartenenti a Roberto Spina, e recava la dicitura “Libro della vera origine ed aumento delle Famiglie nobili del Sedile di Cosenza e dei nobili fuori di esso, estratto da quello del Signor Duca di Verzino dal dott. Domenico Arena”, con l’indicazione dell’anno 1660, come probabile momento della sua scrittura. Insieme a questo, vi erano altri due manoscritti attribuiti allo stesso Domenico Arena: “Delli disturbi e rivoluzione universale di Cosenza del 1647 e 1648, Istoria (ricopiato da un ignoto amanuense e già pubblicato nei fasc. 1-5 dell’anno 1878 dell’Archivio Storico per le Province Napoletane) e “Scritture attinenti al nobil ceto degli avvocati e degli altri Nobili fuori sedile per la di loro aggregazione al sedile dei patrizii mercé istromento di convenzione dell’anno 1558 a 10 agosto”. Come per la maggior parte dei personaggi della sua epoca, anche per Domenico Arena si hanno poche informazioni sulla sua vita ed attività, nonché sulle sue fatiche letterarie per mancanza di documentazione. Sembra accertata la data della sua nascita, il 1606, ma resta ignota la professione e la data di morte. Luigi Palmieri scrive che Francesco e Domenico Arena furono iscritti nel sedile di Cosenza nel 1580 e la loro arma era costituita da “una fenice d’oro fissante un sole radioso del medesimo posto nel cantone destro del campo, su uno sfondo azzurro”. L’ammissione nell’influente cerchio dei nobili cittadini era molto recente quando Domenico Arena scrisse le sue note sulle più prestigiose famiglie della città. Nel Dizionario biografico degli italiani dell’Istituto Treccani, Gaspare De Caro scrive a proposito di Domenico Arena: «Nacque a Cosenza nei primi anni del sec. XVII, in una famiglia della classe media, appartenente all’ordine degli Onorati Cittadini, che aveva dato in passato due sindaci alla città, Agostino, nel 1547-
Un prezioso documento che contiene in una succosa sintesi gli eventi salienti delle principali famiglie cosentine
1548, e Orazio, nel 1592, e ne dette poi un terzo, Scipione, nel 1653. L’Autore, probabilmente figlio di Francesco, si addottorò in Diritto e fu membro dell’Accademia Cosentina. Scrisse una storia dei moti, che, nel 1647, sull’esempio dell’insurrezione di Napoli, scoppiarono anche a Cosenza». Egli voleva esaltare la recente ammissione della sua famiglia tra coloro che erano destinati alla supremazia politica in città, una posizione ambita e prestigiosa poiché Cosenza non era infeudata, ma come città regia veniva governata da un sindaco elettivo scelto tra i membri del Sedile. Nonostante Elia D’Amato, nella Relazione del 1712, sostenga che la città non fu mai del tutto libera, ma ebbe molti dominatori, il mito che Cosenza autonoma era diffuso e radicato. Questo perché non è mai stata infeudata, ma è stata sempre città demaniale con il diritto di mantenere l’autogoverno locale. Vincenzo Napolillo ha trascritto fedelmente l’importante documento mettendolo a disposizione degli studiosi e dei curiosi, poiché si tratta di un testo molto agile e maneggevole, di gradevole lettura, un utile strumento per la conoscenza delle vicende cittadine. Vi è contenuta la storia della famiglie nobiliari che alla sua epoca facevano parte del Sedile, con una serie di utili informazioni sulla cronaca e sulle dinamiche sociali del periodo. Si può prendere come esempio la famiglia Parise, che ha dato personaggi come Giano Aulo Parrasio, fondatore dell’Accademia cosentina, “nam proprie dicebatur Joh. Paulo Parisius ex nobilissima Parisiorum familia”, come scrive Angelo Zavarroni. Un altro illustre membro della famiglia fu Pietro Paolo Parise, la cui biografia è riportata da Giovanni Fiore nella sua Calabria Illustrata, pubblicata a Padova nel 1601. Egli nacque nell’anno 1472 e divenne un illustre letterato che tenne una cattedra universitaria a Padova e a Roma. .Papa Paolo III lo nominò “auditor della Camera”, indi vescovo di Nusco, poi di Anglona e finalmente, il 29 decembre del 1539, prete cardinale del titolo di S. Balbina, e destinato legato al Concilio universale di Trento. Morì nel 1545 e fu seppellito in S. Maria degli Angeli. Contrariamente a quanto si pensa, il Regno Partenopeo, e anche la Calabria, ha sempre manifestato un forte carattere evolutivo ed una vivace dinamica sociale, con la frequente immissione di famiglie provenienti dagli altri stati italiani, attratti dalla possibilità di fare affari con il sistema degli arredamenti, che consistevano nell’appalto dei cespiti erariali, la privativa delle opere pubbliche e il fiorente commercio dei prodotti agricoli e sericoli. Molto interessante il capitolo introduttivo che riassume la storia della città di Cosenza seguendo il filo del discorso che Vincenzo Napolillo ha ampiamente sviluppato nella sua nota e apprezzata Storia della Città, che costituisce un caposaldo per chiunque voglia approfondire le vicende cittadine dalle sue remote origini fino agli eventi contemporanei. (Oreste Parise)
XII
sabato 21 giugno 2014
Il racconto Carmeluzza era una donna che risultava simpatica per la sostanza dei suoi comportamenti e l'eleganza del suo dire sempre compassionevole ed educato
Il vicinato e il tempo in paese di Giuseppe Aprile
Carmeluzza da gnura Rosa era sempre abbastanza magra. Aveva il volto pieno di rughe ma si manteneva egualmente giovane. Quelle del suo volto sembravano rughe di bellezza, più che di anzianità. Pareva che il padreterno gliele avesse donate perchè avessero, come avevano, su un volto, un segnale di simpatia, di eleganza. Erano, le sue, rughe di eleganza. Era una donna che non risultava simpatica per la sua bravura generale e per il meraviglioso rapporto che sapeva tenere con tutti, della mia famiglia e del vicinato, ma per la sostanza dei suoi comportamenti e l’eleganza del suo dire sempre compassionevole ed educato, delicato, affettuoso, espressivo. Mia madre teneva un rapporto con lei, come se fosse una della sua famiglia. Non recava distinzione tra lei ed una sua sorella. Era sempre a casa sua. Io tornavo dalla scuola, da Locri, e la trovavo da lei. Mi dovevo affacciare per chiamarla sul gradino della strada di una discesa che portava verso le case che stavano ai lati della stradetta che scendeva verso sotto, dove abitava la zia Anna, Filomena, Maria - la Sarta compagna di giovinezza mia sorella - Catuzza e le sue figlie con le rispettive famiglie, Peppe di Catuzza. «Carneluzza, c’è mia mamma da voi?» chiamavo. E mia madre, che mi aspettava e sapeva che da un momento all’altro sarei arrivato, ri-
Mia madre teneva un rapporto con lei, come se fosse una della sua famiglia Non recava distinzione tra lei ed una sua sorella
spondeva precedendo tutti. «Peparè, sei tornato? Vengo subito!» Non si faceva attendere e nel mentre che usciva dalla porta per venire da me e servirmi il mangiare, Carmeluzza si affacciava e mi salutava e mi diceva: «Pepè, sei arrivato? tua madre ti aspettava con ansia: benvenuto». A volte usciva dietro a lei Maria, la sua figliola e mi salutavano tutti. Partecipavano all’attesa di mia madre. Cosa mi teneva mia madre per mangiare? Il piatto preferito era pasta e cavoli. A volte fagiola secca ben cucinata nella tiana di creta o ceci con la pasta spiccia , pasta al pomodoro ed altro ben di dio. Spesso mi faceva mangiare belle uova fritte, quanto da sole e quando con molta cipolla fritta. A me piacevano molto le uova con l’olio, la cipolla e, magari, delle olive colte pure esse cotte, ma anche crude, appena cacciate dalla giara, a secondo del mio piacere del giorno. Quando partivo, la mattina, quasi sempre mi preparava un uovo fatto a frittata dentro due fette di pane che mi metteva dentro lo zaino avvolto in carta e legato perché si conservasse ben fino al mangiarlo, nell’intervallo delle ore di scuola. Tutti mangiavano la colazione, durante l’intervallo che solitamente si teneva nelle ore vicine a mezzogiorno. Mia madre e mio padre non mi facevano mancare mai niente. Provvedevano ad ogni mio bisogno nel campo del nutrimento, dei libri e di quanto serviva per frequentare la scuola per bene. Non scordo mai la vita meravigliosa di quei tempi, quando in paese regnava una grande tranquillità, tutti si volevano bene, non c’erano invidie, tutti si sentivano facenti parte di una bella vita da comunanza rispettosa, erano legati da una affettuosità dettata dalla coscienza di essere nella vita in convivenza pacifica, meravigliosa, da vicini sempre. La vicinanza tra di loro, recava delle famiglie una ragione di vita che portava assoluta bravura e molto bene reciproco. Quando uno doveva avere bisogno, l’altro accorreva e con molto piacere serviva, aiutava, si immedesimava nei problemi altrui e sprizzava sempre sorrisi di compiacimento. Ci teneva a dimostrare che faceva ogni cosa con molto piacere e grande soddisfazione nell’essere utile all’altro. Bruno di Carmelluzza si guadagnava la vita con la campagna della vicina ricca famiglia dei fratelli Vitale. La famiglia di Carmeluzza,
sabato 21 giugno 2014
Il racconto
riguarda la cura per i muli, sia per quanto riguardava la cura della terra e dei suoi alberi, dei suoi orti. Agendo sempre con grande rispetto verso i suoi amici lavoratori che su quelle terre si sfamavano e mantenevano la propria famiglia. C’era lavoro per tutti, sempre. Tutti vivevano di contentezza, di gioie, di soddisfazioni per la propria vita ben vissuta. Maria, la brava e bella sarta che comunemente chiamavamo Maistra, era una delle compagne predilette di mia sorella Rosetta. Stavano spesso assieme e giocavano, ricamavano, conversavano, si passavano le giornate sconfiggendo ogni tentazione di non far niente. A volte la compagnia la estendevano alle altre compagne che, magari, abitavano in rughe più distanti. Tita di Don Carlo, Marietta di mastro Ilario, il calzolaio, le sorelle Mollica, Tita, Cata e Rosetta, Marietta del maestro Berlingeri, altro sarto del paese che aveva la bottega all’inizio del corso e dentro suonava spesso la tromba il figlio Cecè, Tita Mittica, le sorelle dello zio Micantoni che abitavano proprio accanto a noi, Cata e Rosa, ed altre ancora. Era la bella compagnia delle ragazze di allora che abitavano al paese e facevano tante cose assieme. Giocavano, andavano a messa, alla processione, a farsi la passeggiata, magari in campagna, si sedevano sull’uscio di casa, all’ombra quando c’era molto sole estivo o magari dentro oltre lla porta di casa quando pioveva e ricamavano la tela stesa dentro il cerchietto. Al momento della preparazione del mangiare, alcune rientravano a casa ed aiutavano la mamma per la cucina e la preparazione della tavola servendo il mangiare per la tutta la famiglia, altre si intrattenevano perché la mamma non sempre aveva bisogno di aiuto ed era sempre sensibile alla voglia di giochi e di amicizia delle proprie ragazze. Le lasciavano libere e si sacrificavano esse pur di tenere allegre e contente le proprie ragazze. Noi, di sesso maschile, avevamo i nostri giochi ed i nostri modi di fare. Le donne stavano con le donne ed avevano la propria vita. I maschi stavano con i maschi ed avevano una vita diversa, con modi di altra natura per stare assieme e trascorrere le loro giornate.
che comprendeva pure Tita, la sorella più grande, era contenta dei Vitale. «Gente per bene» diceva. «Che non faceva pesare la propria ricchezza e la propria signorilità di antica fattura». Bruno svolgeva il suo compito con amore. Accudiva ai muli a lui affidati, prepara la stalla ogni sera per la loro custodia. Su entrava nella grande stalla e si passava tra due file di muli grandi che ruminavano, con al testa dentro la mangiatoia, fino, paglia, erba e qualche volta la biada fatta di fave secco o di grano macinato, o di avena o di carrubi. Ogni tanto, secondo l’abitudinario loro bisogno, venivano portati, ad uno alla volta, all’abbeveratoio e si dissetavano. Servivano, i muli, per la campagna. Con essi Bruno ed altri contadini si recavano nelle campagne, vicine e più lontane e provvedevano a lavoro di guardianìa, a servire gli altri operai che accudivano ai numerosi lavori di campagna: piantare, potare, raccogliere olive, ghiande e vari tipi di agrumi. Ogni giorno Bruno andava e i fratelli Vitale, don Gilberto e con Pasqualino, avevano grande fiducia in lui che agiva sempre con grande affettuosità e competenza. Era molto competente, e si diceva in paese dove veniva portato come esempio, sia per quanto
Di rilievo erano le feste religiose e civili e il periodo dell’estate che era la stagione del mare con il ritorno di tanti emigranti e la popolazione dei bagnanti nella grande spiaggia della marina
Noi ragazzi andavamo in campagna e ci divertivamo in cerca di lucertole da prendere con un cappio alla cima di una esile canna tirata dalla felce dove cresceva “la candalicia”, o per trovare nidi di cardellini, di passeri, di farvette. Cercavamo anche le palle di miele che le api facevano tra le cime degli ulivi o di altre piante. Al tempo degli asparagi giravamo per tutti quei valloni, attorno al paese e in vicinanze raggiungibili a piedi e raccoglievamo asparagi facendo mazzetti consistenti. Altro bel piacere era al tempo dell’erba sulla, o per la raccolta dell’origano che sporgeva meraviglioso di chiome bianche, dal verde delle altre erbe, sulla terra spesso scoscesa ma anche in zone abbastanza piane e più facilmente percorribili. Solo raramente, e soprattutto i più arditi campagnoli, vedevano ragazzi intenti a lavori produttivi di campagna. C’erano, sostanzialmente, due tipi di ragazzi. Quelli di paese e quelli figli di contadini più provetti. I primi stavano più al paese e si dilettavano, nei vari periodi, con l’andare in campagna, appunto, per divertirsi. Gli altri ci lavoravano e facevano i frutti assieme ai genitori. I mestieri più propizi del paese erano: i commercianti, gli artigiani, i campagnoli, gli impiegati, i proprietari benestanti. Si tratta delle categorie (si possono definire così?) di gente che esprimevano tutte la condizioni che consentiva anche la convivenza economica. I commercianti erano grossomodo divisi in due categorie. C’erano i commercianti di generi alimentari e quelli di abbigliamento. I primi vendevano pane, pasta, vino, bibite (gassose, birra, aranciate, limonate), bevande varie, cereali, prodotti agricoli e frutta fuori stagione. Nei negozi di abbigliamento trovavi vestiti, scarpe, cappotti, ombrelli, calze, maglie, camice, giacche, pantaloni. C’era pure, a secondo il periodo, uno, due o tre bar dove venivano gestite anche strumenti di gioco (biliardi, calciobalilla, dama, scacchi, carte). Per molte compere ci si recava per i negozi in paesi rivieraschi, più grandi e più forniti; a Locri, Siderno, Bovalino. Di rilievo erano le feste religiose e civili e il periodo dell’estate che era la stagione del mare con il ritorno di tanti emigranti e la popolazione dei bagnanti nella grande spiaggia (immenso arenile) della marina. L’estate era lunga e nella nostra immaginazione veniva compresa anche la primavera. L’anno veniva grossomodo diviso in due periodi. Periodo invernale (comprendeva Autunno ed Inverno) con vento, freddo e pioggia. Periodo estivo con il caldo tiepido o torrido e comprendeva la primavera e l’estate.
XIII
XIV
sabato 21 giugno 2014
Il turbinìo della vita Nuovo romanzo di Giuseppe Parisi
di Bianca Talia
Quando tutto sembra travolgere la persona e si ha bisogno di ritrovare equilibrio e un po’ di serenità, l’unica strada possibile è il ritorno alla realtà primigenia: la famiglia, quindi le radici. È quello che succede ad Ottavio Laganà, il protagonista del romanzo, che fa un percorso in controtendenza con quella che è la realtà attuale: fuggire dalla propria terra, quindi dalla propria identità, per andare a cercare un lavoro e disperdersi nel caos della città e dell’alienazione.
L’onda gigante
Giuseppe Parisi
Intrigante, e quasi apocalittico nel titolo, il romanzo chiarisce, con linearità, unitarietà narrativa e un linguaggio appropriato e cristallino, e per questo incisivo e coinvolgente, il percorso di vita di un uomo che attraverso il suo interlocutore, un giovane innamorato e deluso, ritorna dentro di sé e rivede e chiarisce le varie tappe della sua vita. Che, però, non sono solo sue ma delle generazioni che si succedono nei tempi e che nei tempi, di crisi o di progresso, di benessere o di miseria, si immergono con la forza della volontà per trovare una collocazione nel contesto sociale, confidando nelle proprie capacità e tuffandosi nello studio prima e nel lavoro dopo senza risparmiarsi e senza cercare facili scappatoie, tipo raccomandazioni o protezioni. L’Onda gigante, quindi rappresenta il turbinio della vita e la sua naturale conclusione. L’aspetto, però, molto rilevante del romanzo è la pacatezza con cui vengono scanditi i turbinii delle varie tappe esistenziali, dell’accettazione, pur nel dolore lacerante, della perdita delle persone care, delle difficoltà nel lavoro che ne scaturiscono, degli insegnamenti che se ne traggono. La naturalezza con cui, partendo dalla propria situazione, il protagonista si contrappone, senza per questo voler dare lezioni di sociologia o di psicanalisi, alle tematiche della vita odierna, di cui mette in risalto, quasi con pudore, le brutture più logoranti come il bullismo, il clientelismo, la droga, il mito del denaro e della ricchezza a qualunque costo, la distruzione della famiglia, l’abbandono dei valori che hanno sorretto, corretto e migliorato le varie tappe della civiltà umana e che, seppure apparentemente inattuali e svenduti al mito della modernità, sono quelli che, nonostante tutto la sorreggono e la costringono a migliorarsi. La struttura del romanzo, costruito sul colloquio tra un giovane deluso e un uomo che dalla sua ricca esperienza di vita trae la forza della sua saggezza, ci ricorda più di un esempio in letteratura, da Sant’Agostino a Petrarca a Leopardi, ma la linearità e l’equilibrio che non si interrompono mai, nemmeno nei momenti di rievocazioni molto dolorose, coinvolgono intensamente il lettore e lo inducono a interrogarsi, quasi senza accorgersene, su quello che è il suo mondo e su quello che ruota attorno a lui. A rivedere errori, commessi in nome del falso mito della modernità e della sua realizzazione, traguardi sbagliati ma inseguiti perché considerati risolutivi per le proprie aspirazioni; a interrogarsi sulle sue responsabilità. «I figli crescono se crescono i genitori» ripete con forza il protagonista, facendo sua la frase di uno scrittore famoso. Ma come possono farlo, oggi, se manca la famiglia, se oggi i figli sono catapultati nelle cosi dette famiglie allargate dove non capiscono più chi sono i suoi genitori e i suoi fratelli? Come può la società offrire certezze se è minata dalla corruzione, se diffonde miti sbagliati, se ha sostituito le certezze, che rendevano belle le fasi della vita, in cui si riusciva a sognare, a illudersi che il futuro sarebbe stato sempre più bello del presente? No, il turbinio dell’Onda Gigante frastorna la mente umana, la confonde, la inaridisce prima ancora di sopprimerla. E, dunque, che
Il percorso di vita di un uomo che attraverso il suo interlocutore, un giovane innamorato e deluso, ritorna dentro di sé, rivede e chiarisce le varie tappe della sua vita
fare? La chiave della soluzione si trova nelle pagine del libro. Nel ritorno alla terra, intesa non in termini letterali ma metaforici, nel percorso vissuto da ognuno e sul quale ognuno dovrebbe ogni tanto soffermarsi, indagare, rivivere, capire. Fare questo non significa rifiutare il presente o fare un’operazione d’involuzione, antistorica e fuori luogo. «Non siamo noi che possiamo fermare il mondo e le stelle» osserva lo scrittore, ma certamente, poiché «il nostro vissuto non è una saga, ma microstorie che sanno di modernità», ognuno di noi può dare un contributo per invertire la rotta di questo contesto attuale che sembra come impazzito e senza meta. E il richiamo alla riflessione, all’ascolto, a guardarsi intorno, a fermarsi un attimo, a non correre sempre, per essere attuale con i tempi, quasi andasse continuamente alla ricerca di chissà quali continue e inaspettate novità, è molto forte. Un correre continuo il nostro che non ci porta alla soluzione dei problemi ma dall’analista che, oggi, sembra l’unico rimedio per farci capire chi siamo, cosa vogliamo... Eppure basterebbe, per dirla con lo scrittore «non dimenticare che la vita è fatta di partenze e ritorni. Si può soffrire, stare male, piangere fino a sentire doloranti gli occhi, come è successo a me, ma bisogna rialzarsi perché nulla è più importante della nostra vita, che è il dono più prezioso che abbiamo ricevuto». Io questo percorso l’ho fatto, quasi senza accorgermene, leggendo questo splendido romanzo e sono grata allo scrittore, non nuovo a fatiche di notevole pregio letterario, di avermi dato, per poterlo fare, uno strumento quasi magico quale io ritengo l’Onda gigante.
sabato 21 giugno 2014
XV
Pillole di fede Cristo tra verità e politica
Un bacio per la passione morte e resurrezione di Lucia De Cicco
Giuda un caso politico del professore e già docente di filosofia Franco Chimenti è un testo presentato nei saloni della B. V. Maria di Lourdes a Rende, con relatore lo scrittore Tommaso Orsimarsi, cui è seguito un dibattito con il pubblico che ha tenuto l’attenzione, ben desta per tre ore. A organizzare l’evento la Bottega degli Hobbies di Castrolibero, Cosenza, rappresentata dal poeta Gaetano Caira che ha portato i saluti. Chi era Giuda? Perché è plausibile credere che abbia tradito per trenta miseri denari? Era piuttosto uno zelota, così com’è ipotizzabile lo fosse anche Pietro, quando all’arresto di Gesù, sfodera un pugnale che Cristo gli dice di mettere via? I perché che attraversano il testo sono tanti e sono forse i perché che a un certo punto della vita ognuno di noi si pone nel passaggio dalla semplice dottrina cristiana e ortodossia canonica proposta dalla Chiesa cattolica a una fede più matura o alla necessità di comprendere. Sull’autenticità dei vangeli, perché la Chiesa ne accetta solo quattro, il primo quello di Marco, Luca, Matteo e Giovanni, il più romanzato e poetico. Mentre quello di Marco propone una cronaca che non può essere assunta a storia, ma di certo un approfondimento più logico della vita di Gesù, in cui un uomo, Giuda, è appena accennato nella sua cattiveria, negli altri Vangeli canonici viene dipinto più come un ladro senza scrupoli. Eppure il testo rende evidente come tutti gli apostoli si trovino spiazzati davanti al disegno del Signore, più volte affermato da Cristo, ma difficilmente compreso dagli altri, persino dai suoi. Chi è quest’uomo che entra trionfante a Gerusalemme? Il Sinedrio, formato dai sacerdoti, i farisei, i sadducei, comincia a temerlo. Uomo disarmato se non con l’arma più potente che è l’amore. Roma del resto non teme Gesù, che appare più un folle che un vero e proprio pericolo. Eppure le cose vanno avanti, Cristo è arrestato, subisce un processo ed è ipotizzabile che forse gli apostoli, Giuda il primo, e il Sinedrio, si aspettassero da lui una difesa, un segnale che potesse scatenare il giusto riscatto dal giogo romano, invece le cose non vanno come forse tutti si aspettavano. Da cui la disperazione di Giuda, disperazione ricordiamo è il contrario di speranza, ed è quindi ipotizzabile che Giuda si tolga la vita perché si sente tradito da ciò che forse erroneamente aveva capito di Cristo, soprattutto nel momento in cui caccia i mercanti dal Tempio, sorprendendo con la sua grinta e anche rabbia.
“Giuda, un caso politico” del professore e già docente di filosofia Franco Chimenti testo presentato nei saloni della B. V. Maria di Lourdes a Rende
Allora Giuda, che secondo il testo apparteneva al movimento nazionale popolare, aveva fatto male i conti, o comunque non compreso fino in fondo che cosa era venuto a fare Gesù. Ipotizzabile è che Cristo era il mezzo adatto a prestarsi a ogni strumentalizzazione, ma tutto crolla perché non si era calcolato l’imprevisto: la sua non difesa nell’arresto e nel processo. Lo stesso Pilato ne rimane sorpreso avendo visto anche un modo per farla finita finalmente con il Sinedrio, e i loro compromessi di potere, ma Cristo rimane fedele al suo nuovo modo di approcciarsi alla vita, che è appunto l’amore assoluto e totale. Il testo si conclude con il Vangelo di Giuda di cui non parleremo perché è da scoprire dal lettore, anche se tutto il saggio riserva particolari cui forse non abbiamo dato il giusto peso, sfuggenti in una ortodossia, che è rispettata, ma mai spiegata attraverso le omelie dai sacerdoti, come forse ci si dovrebbe approcciare ad essa. Attraverso il dibattito e le domande poste in intervista, emerge un Giuda che è un simbolo di un intero popolo, così come anche forse gli altri personaggi. Situati ognuno di essi nel momento e luogo adatto, affinché il Signore potesse affrontare il martirio, la crocifissione, la sepoltura e il conseguente risorgere, che lo consegna come il Dio, il Messia, che però ancora molti aspettano, secondo la logica del perdono e non secondo l’attesa del riscatto con la guerra. Tommaso Orsimarsi nella sua lettura del testo, descrive Giuda un possibile sicario, agisce nell’ombra; e nel testo il periodo politico che si vive, è quello dei fragili rapporti tra potere religioso e Roma. Tutto può mettere in discussione i già precari equilibri, prova ne sono le concessioni di liberare un detenuto durante la Pasqua, così come i due ladroni a fianco di Cristo sono un chiaro esempio che qualcosa si muove e Cristo si presta perfettamente alla rivolta. Allora perché Giuda accetta quei trenta denari? Sappiamo che egli era istruito, che proveniva da una famiglia importante, che fu tra i primi e i più fidati apostoli di Cristo. Allora perché accetta quei denari? Perché era consuetudine pagare le prestazioni, il denaro era un mezzo simbolico che affermava il potere, perché esso si afferma con il denaro. Il saggio, conclude Orsimarsi, è una chiara lettura accessibile a tutti anche se ricco di riferimenti bibliografici, ma affronta la questione inducendoci a riflettere sui personaggi, a volte a identificarci e saper individuare anche nei sacerdoti e dottori della legge l’attualità e la modernità dei vangeli, che non fanno che affermare una grande verità: l’amore di Cristo come riscatto, e l’affermazione o spartizione del potere tra i detentori e chi cerca la sua piccola fetta sociale di prestigio.
Franco Chimenti autore del libro