Anno 38 - 26 Aprile 2014 - Numero 17
Settimanale indipendente di informazione
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Per la Giornata mondiale della Libertà di stampa il Circolo “Maria Rosaria Sessa” di Cosenza incontra gli studenti STIMOLO PER I GIOVANI
UN RICORDO INDIMENTICABILE
Nuccio Ordine Quel mattino attualizza la cultura da Papa Wojtyla umanistica di Maria Lucilla Aprile
Il docente dell’Unical ha parlato con i ragazzi liceali di Castrovillari
di Pietro De Leo
Quando Giovanni Paolo II ricordò sorridendo la visita a Serra S. Bruno
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sabato 26 aprile 2014
Un ricordo indimenticabile... Quando Giovanni Paolo II nel giugno del 1984, comunicò ai vescovi della Conferenza episcopale calabrese il proposito di far visita alla regione il 6 e 7 ottobre
Quel mattino da papa Wojtyla L’incontro con Karol Wojtyla
di Pietro De Leo
Erano trascorsi 862 anni dall’ultimo viaggio di un Papa in Calabria, quando Giovanni Paolo II nel giugno del 1984, comunicò ai vescovi della Conferenza episcopale calabrese il proposito di compiere una visita nella Regione il 6 e 7 ottobre. Nessuno poteva dimenticare l’attentato subito dal Papa per mano di Alì Agca in Piazza San Pietro il 13 maggio 1981. Gravemente ferito, fu ricoverato al policlinico Gemelli dell’Università Cattolica e affidato alle cure del professor Francesco Crucitti, ordinario di Chirurgia, che lo portò alla guarigione. Quel “chirurgo in carriera” reggino, a cui il Papa rimase legato per sempre. Fu proprio lui a sollecitare il Papa a venire in Calabria, dove poi lo accompagnò, meritandosi un preciso e meritato ringraziamento a Reggio Calabria. Il programma iniziale prevedeva l’arrivo all’aeroporto di Lamezia Terme sabato 6 ottobre e il trasferimento al Santuario di Paola, da dove poi avrebbe raggiunto Catanzaro, Cosenza, Crotone e Reggio Calabria. Proprio quel giorno ricorreva la festa di S. Bruno di Colonia, che in quell’anno segnava il IX Centenario della fondazione della Grande Chartreuse. Evento celebrato a Grenoble nel settembre 1984, al quale chi scrive era stato invitato a relazionare sull’Eremo calabrese della Torre. Nell’apprendere il diario del viaggio papale che non prevedeva la visita a Serra San Bruno d’intesa con il rettore professor Pietro Bucci, membro del comitato preparatorio e soprattutto con monsignor Antonio Cantisani, arcivescovo di Catanzaro Squillace, fu rivolto alla Segreteria Apostolica Vaticana l’auspicio che fosse proprio la Certosa la prima tappa dell’itinerario papale. La risposta non si fece attendere: venne anticipata di un giorno la visita. Giunto all’aeroporto di Lamezia il Papa guardando il cielo disse: «A Roma ho lasciato la pioggia, qui ho trovato l’azzurro. La Calabria vincerà il tempo». Una battuta allegra, ma anche una metafora di speranza e di positività, che scatenò l’entusiasmo delle migliaia di fedeli accorsi ad accoglierlo. Da lì raggiunse Serra San Bruno, quella «terra di paradiso» amata da San Bruno e dai suoi discepoli. Recandosi alla Certosa ebbe una gradita sorpresa: gli abitanti di Spadola vollero riconciliarsi simbolicamente con il Pontefice, restituendogli una pantofola che i loro antenati avevano sottratto a Callisto II nel 1121, quando questi passava da lì, e poi silente sorrise, quando il Sindaco di Serra, ricordando i precedenti viaggi dei papi, confuse Clemente VII con Callisto II. Abbaglio non certo paragonabile al curioso lapsus di Giovanni Paolo II che, giunto in ritardo nella città dello Stretto si giustificò dicendo: «E come il Papa non poteva essere
Il viaggio non prevedeva la visita a Serra San Bruno Fu però rivolto alla Segreteria apostolica vaticana l’auspicio che fosse proprio la Certosa la prima tappa dell’itinerario papale
in ritardo a Reggio Emilia?». Dalla folla si levò un brusio leggero ma egualmente rumoroso e allora il pontefice si corresse: «Errore imperdonabile. Intendevo dire Reggio Calabria». Alla Certosa il Papa fu accolto dal priore don Pietro Anquez, il quale dopo aver espresso vivi ringraziamenti egli disse: «Ora vi presenterò uno per uno i miei confratelli, tanto onorati e gioiosi della Vostra visita... Avete davanti a Voi una comunità internazionale. Siamo radunati da tutta l’Europa dall’Amore di Dio, dalla stessa vocazione e dal desiderio del nostro Ordine di mantenere tale presenza mistica sui luoghi tanto significativi per noi certosini...». Un modello di vita che si coniuga con la loro proverbiale longevità, favorita non solo dalla meditazione, ma anche dalla ferrea dieta vegetariana a cui i religiosi si sottopongono. Frugale perciò fu il pranzo che seguì. Cosi lo ricordava don Elia Castellani: «In refettorio, eravamo tutti in silenzio. Io ero incaricato di leggere la Bibbia, ma dopo la prima frase, il Santo Padre batté con la posata sulla bottiglia e disse: “Vediamo se questi monaci hanno perduto l’uso della parola”. Allora scesi dal pulpito, mi sedetti a tavola e quella fu l’unica volta in 50 anni che parlammo in refettorio!». La visita del Papa attirò l’attenzione sullo stato precario in cui versavano le strutture della Certosa. Le autorità civili nazionali e regionali si attivarono per avviare consistenti lavori di ristrutturazione, rigorosamente seguiti dalla comunità, anche in vista del IX centenario della sua fondazione, celebrato poi nel 1991 con interessanti eventi religiosi e culturali, apprezzati dalla “Lettera apostolica” di Giovanni Paolo II del 2 maggio dello stesso anno al priore don Gabriele Lorenzi, che resse il monastero sino 1993, quando gli subentrò il parigino don Jacques Dupont, laureato in matematica alla Sorbona. I lavori di restauro insieme con la storia dell’edificio vennero poi descritti nel volume curato dall’architetto responsabile Gianfranco Grittella, La Certosa di S. Stefano del Bosco a Serra San Bruno, e stampato a cura della Borini Costruzioni di Torino, che li aveva eseguiti. Il 1 febbraio 1992 il libro fu presentato a Giovanni Paolo II durante la Visita “ad limina” dei vescovi calabresi, alla quale ebbi l’onore di partecipare insieme all’ingegnere Marco Borini e all’architetto Gianfranco Gritella, dopo la celebrazione alle 7 del mattino nella cappella pontificia della S. Messa dei vescovi con il Papa. Sfogliando quel libro finemente illustrato, Giovanni Paolo II ricordava sorridendo la visita alla Certosa il 5 ottobre 1984, mentre con grande emozione mi tornava in mente la richiesta di preparare un piccolo memoriale storico, che fu utilizzato nella lettera Con animo grato indirizzata dal Papa il 2 maggio 1991 per il IX Centenario della fondazione dell’Eremo della Torre al priore dom Gabriele Maria Lorenzi. Quel priore, già gesuita e maestro dei novizi, che ebbe tra i discepoli Carlo Maria. Martini, il quale da cardinale arcivescovo di Milano scese più volte durante l’estate a ritrovare in Certosa il suo amato maestro don Lorenzi e che il Papa inviò a Serra come inviato speciale per la conclusione del IX Centenario della morte di San Bruno.
sabato 26 aprile 2014
Ambizione al cubo Aperti i lavori dell’assemblea dei soci dell’associazione internazionale “Amici dell’Università della Calabria”
Una vetrina Unical «L’Università della Calabria deve puntare ad essere una vetrina positiva, propositiva e trasparente della Calabria. Deve essere, come pensata dai suoi padri fondatori, un soggetto dinamico, progettuale e referente per quanto riguarda lo sviluppo della Regione valorizzando al suo interno anzitutto tutte le sue potenzialità scientifiche, culturali ed umane, per trasferire tutto ciò ai giovani che passano tra le sue strutture per acquisire conoscenza e processi formativi. Deve essere una comunità viva aperta al territorio e contribuire a creare così una coscienza etica, morale e civile necessaria a garantire alla società calabrese un futuro di progresso e crescita sociale ed economica nel rapporto con quanto accade nell’area del Mediterraneo e nel contesto del continente europeo». Lo ha affermato il presidente dell’Associazione internazionale “Amici dell’Università della Calabria”, Aldo Bonifati, aprendo i lavori dell’assemblea annuale 2014 dei soci, tenutasi nella sala stampa dell’aula magna “Beniamino Andreatta” dell’ateneo, convocata per l’approvazione del bilancio consuntivo 2013 e per definire il programma di lavoro per l’anno in corso. Guardando al futuro, l’associazione, che dal mese di novembre 2012 ha ottenuto il riconoscimento di soggetto “no profit”, deve curare, come prevede anche il suo statuto, un rapporto attivo e costruttivo con i laureati dell’Università della Calabria, i cui dati statistici parlano di circa sessantamila laureati partendo dal 1976 ai nostri giorni. Occorre assolutamente stabilire un contatto diretto di collegamento tra l’Associazione e tutti coloro che hanno conseguito la laurea presso l’Università della Calabria - è stato sottolineato nel corso della discussione all’interno dell’assemblea - per dare seguito ad un progetto di alta dimensione culturale e sociale che abbia al centro una doppia finalità: la valorizzazione delle nuove generazioni di studenti e laureati nel prepararli in un processo formativo e di inserimento nella società e nel mondo del lavoro attraverso la conoscenza e l’esperienza dei laureati di prima e prossima seconda generazione. Un lavoro che dovrebbe portare alla costituzione di un Premio da assegnare ai migliori laureati dell’Università della Calabria che nel loro percorso di vita nel frattempo hanno raggiunto mete e vissuto storie degne di essere raccontate ed esplicitate, utili a creare una nuova consapevolezza di appartenenza ad una terra meritevole di uscire dalle secche del sottosviluppo. Nel rispetto della legge sulla riservatezza dei dati anagrafici, utilizzando i mezzi di comunicazione, l’associazione internazionale “Amici dell’Università della Calabria” intende lanciare un appello rivolto a tutti i laureati dell’Unical, mirato a costituire una rete interattiva di collaborazione, pregando tutti coloro che sono interessati a tale programma di comunicare al seguente indirizzo di posta elettronica (e mail associazioneamiciunical@gmail.com) ogni informazione utile a fornire il proprio indirizzo di residenza e di contatto telefonico e posta elettronica. Attraverso il sito dell’associazione (www.amiciunical.it) si può, comunque, compilare un apposita scheda di manifestazione d’intendi ed inoltrarla all’indirizzo di posta elettronica di cui sopra. Intanto - è stato deliberato - di coinvolgere tutti i dipartimenti dell’Università nel fornire idee e proposte per come organizzare al meglio la “Festa annuale di nascita” dell’Università della Calabria in ossequio alla legge istitutiva dell’Ateneo 12 marzo 1968, n.442 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 103 del 22 aprile 1968) e chiedere agli attuali studenti se hanno come genitori laureati dell’Università della Calabria, in modo da poter stabilire contatti immediati. La festa annuale di nascita dell’Università deve essere per tutti loro occasione di ritrovo gioioso e di spirito di appartenenza. Come associazione “no profit”, al fine di supportare tutte le iniziative di impegno culturale, sociale, scientifico e formativo, previste dal proprio Statuto, si è deciso di lanciare una campagna di sostegno attraverso il 5x1000 avendo come codice fiscale il numero: 98078430786. Nel frattempo l’assemblea ha pure deliberato di costituire un Comitato di studio per la predisposizione di programmi e progetti mirati in ottemperanza alle programmazioni europee ed internazionali proprio per dare una impronta lavorativa e progettuale di sfondo ampio. Franco Bartucci portavoce Associazione internazionale “Amici dell’Unical”
«L’ateneo deve puntare ad essere una vetrina positiva propositiva e trasparente della Calabria Deve essere, come pensata dai suoi padri fondatori, un soggetto dinamico, progettuale e referente per quanto riguarda lo sviluppo della Regione valorizzando al suo interno anzitutto tutte le sue potenzialità» ha affermato il presidente Bonifati
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Si punta sulle nuove generazioni Giornata mondiale della Libertà di stampa, il 3 maggio il circolo “Maria Rosaria Sessa” di Cosenza incontra gli studenti
Giornalismo oggi di Francesco Fotia
La libertà di stampa, le basi di cui bisogna per essere pienamente realizzata e le conseguenze del suo mancato raggiungimento sono gli argomenti al centro di “Giornalismo, oggi”, evento organizzato dal circolo della stampa “Maria Rosaria Sessa” di Cosenza, che si svolge il prossimo 3 maggio, proprio in occasione della Giornata mondiale della Libertà di stampa. Teatro del convegno, che ha inizio alle 10,30, è il liceo scientifico “G. B. Scorza” di via Popilia, la cui disponibilità è stata gentilmente concessa del dirigente scolastico Mario Nardi. Si tratta di un incontro pensato soprattutto per gli studenti, nella convinzione che proprio dalle giovani generazioni bisogna partire per costruire una società che sia, in ogni ambito, all’insegna della vera democrazia, alle cui fondamenta non può mancare una stampa che sia pienamente tutelata dalla legge. Lo scorso anno la Giornata mondiale della Libertà di stampa fu celebrata nel clima di grande apprensione che si era creato tra tutti gli appartenenti all’Ordine, ma che aveva interessato tutta la popolazione italiana: come molti ricorderanno, infatti, l’Italia intera era con il fiato sospeso per la sorte di Domenico Quirico, il giornalista de La Stampa, rapito in aprile in Siria, da dove stava raccontando la terribile guerra civile che si stava consumando nel Paese; l’inviato verrà rilasciato soltanto l’8 settembre, dopo cinque lunghi mesi di prigionia. «Anche quest’anno, pur sotto aspetti differenti, la Giornata assume in Italia, e in Calabria particolarmente, un’importanza particolare; - ha commentato Gregorio Corigliano, presidente del Circolo della stampa di Cosenza. Occorre mettere in luce con forza il significato della celebrazione - ha proseguito il giornalista - perché la crisi economica ha aggravato, e continua ad aggravare, le condizioni di vita degli organi di informazione, al punto tale che è necessario prendere urgenti provvedimenti affinché il diritto acquisito di informare, e di essere informati, non venga ulteriormente danneggiato. Il circolo della stampa Sessa - prosegue il presidente - nel decennale della sua Dall’alto: Corigliano costituzione, intende quest’anno soffermar- Gregorio Sandro Ruotolo si con rinnovato vigore sul bisogno di pro- Giuseppe Soluri teggere la libertà di stampa, e ha inteso far- Attilio Sabato lo coinvolgendo il direttivo tutto, l’Ordine nazionale e quello calabrese, di cui abbiamo l’onore di ospitare autorevoli membri, e il collega Sandro Ruotolo, che da anni si spende con tutte le proprie energie in difesa di tale diritto. È necessario - ha concluso il presidente - che a Cosenza e nella regione tutta si avvii una riflessione a vari livelli su questa tematica, che ci permetta di difendere un diritto acquisito con sempre maggiore vigore ed energia». Il parterre di ospiti invitati a intervenire e relazionare nel corso della giornata è di primissimo livello, essendo composto da eccellenze del giornalismo, che ben conoscono i problemi della libertà di stampa a livello regionale e nazionale. Dopo i saluti del dirigente scolastico Mario Nardi e l’introduzione del presidente Corigliano, prenderanno la parola Attilio Sabato, direttore di Teleuropa network e consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Giuseppe Soluri, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Calabria e il già citato Sandro Ruotolo, vicedirettore e coautore del programma televisivo “Servizio pubblico” di Michele Santoro.
Teatro del convegno, che ha inizio alle 10,30 è il Liceo L’ospite d’onore scientifico Napoletano, classe 1955, Sandro Ruotolo è uno dei giornalisti più “G. B. Scorza” stimati e apprezzati dal pubblico televisivo italiano, che ormai da anni associa il suo volto e i suoi servizi a quello di Michele Santoro, di via Popilia con il quale ha collaborato per “Samarcanda”, “Il rosso e il nero”, “Tempo reale”, “Moby Dick”, “Circus Sciuscià”, “Annozero” e, ancora oggi, “Servizio pubblico”. La carriera di Ruotolo, il cui lavoro sul campo è stato riconosciuto da numerosi premi venti, ha avuto inizio negli Anni ‘70, con la collaborazione per Il Manifesto, ed è proseguita con l’ingresso in Rai, nel 1980. È stato inviato speciale per conto della sede Rai della Campania, e corrispondente da Napoli per il Tg2 e il Gr1. Ha lavorato poi per il Tg3 e per Mediaset, prima di tornare in Rai all’inizio del 2000. Dal 2011 passa a La7, dove tutt’oggi lavora, affianco a Michele Santoro, come coautore di “Servizio Pubblico”.
Difendere un diritto universale.. La Giornata mondiale della Libertà di stampa è stata promulgata dall’Onu, patrocinata dall’Unesco e fissata per il 3 maggio di ogni anno. Essa vuole ribadire quanto scritto nell’articolo 19 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, in merito all’informazione; diritto sancito anche dall’articolo 21 della Costituzione italiana: “tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, sottolineando che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Ciononostante da anni l’Italia occupa posizioni poco rassicuranti nelle classifiche che indicano il grado di libertà di stampa di ciascuno Stato. Secondo la classifica stilata dall’Ocse nel 2013, il nostro Paese si colloca soltanto al 61esimo posto. Leggero miglioramento per l’anno in corso, stando almeno alla classifica di Reporter sans frontières, che nel 2014 ci colloca al 49esimo posto, dopo il 58esimo del 2013. Un miglioramento sensibile, giustificato con la depenalizzazione del reato di diffamazione a mezzo stampa, ma che non basta ad avvicinarci ai paesi che detengono da tempo il primato della libertà di stampa: Finlandia, Norvegia e Olanda. Un’urgenza che riguarda purtroppo la stampa di tutto il mondo, a causa della censura ancora applicata nei paesi con regimi dittatoriali, dell’elevato numero di giornalisti uccisi, particolarmente in paesi dove la commistione tra politica e malavita è più elevata degli altri, e nelle tante zone di guerra in cui, con coraggio, operano centinaia di giornalisti provenienti da ogni angolo del globo.
sabato 26 aprile 2014
Si punta sulle nuove generazioni
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Stimolo per i giovani Partecipata iniziativa dell'Associazione italiana di Cultura classica
Attualità della cultura umanistica rile di Maria Lucilla Ap
Il professor Nuccio Ordine, ordinario di Letteratura italiana presso l’Università degli Studi della Calabria, ha incontrato, il 15 aprile scorso, presso il Protoconvento francescano di Castrovillari, gli studenti del liceo classico “G. Garibaldi” e del liceo scientifico “E. Mattei”, nonché diversi docenti e cittadini, relazionando sul tema “L’utilità della cultura umanistica nella società attuale”. L’iniziativa si inserisce tra le numerose attività culturali promosse dall’Associazione italiana di cultura classica di Castrovillari, che da oltre 25 anni stimola i giovani su tematiche di ampio respiro dando un notevole contributo alla crescita culturale del territorio. In apertura, la professoressa Maria Clara Donato, docente di italiano e latino presso il Liceo scientifico “E. Mattei” di Castrovillari, nel tracciare il profilo dell’autore, ha ricordato la sua intensa attività di ricerca, nonché alcune delle sue numerose pubblicazioni. Studioso di Giordano Bruno, il professore ha dedicato al filosofo nolano tre libri, tradotti in undici lingue, tra cui cinese, giapponese e russo: La Cabala dell’asino (1996), La soglia dell’ombra (2003) e Contro il Vangelo armato (2007). È stato inviato in qualità di Visiting Professor in diversi Istituti di ricerca e Università negli Stati Uniti e in Europa (Parigi, Berlino). È membro d’Onore dell’istituto di Filosofia dell’Accademia Russa delle Scienze e ha ricevuto la laurea honoris causa dall’Universidade Federal do Rio Grande do Sul di Porto Alegre (2012). È stato insignito in Francia delle Palme Accademiche (2009) e della Légion d’honneur (2012), quest’ultima la più alta onorificenza della Repubblica francese. In tale occasione, Marc Mézard, Directeur de l’École normale supérieure, ha detto: «Entre le professeur qui sait entraîner ses étudiants avec une énergie et un enthousiasme irrésistibles, le philologue qui s’est construit en Calabre un logisbibliothèque lui permettant d’habiter au milieu de tous classiques e de s’imprégner de leurs oeuvres à toute heure du jour et de la nuit, le chercheur-voyageur qui collabore avec les plus éminents collègues de tous le pays d’Europe, le pêscheur-plongeur qui va chercher poulpes et langoustes dans les criques de la méditerranée au bord de son village, et l’homme qui sait donner son amitié et l’entretenir, à l’ancienne, au cours de longues promenades à pied qui servent de cadres aux discussions les plus érudites, il ne faut pas chercher à choisir». Recentemente, il presidente della Repubblica, Napolitano, lo ha nominato commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana. Il saggio-manifesto, L’utilità dell’inutile, edito prima in Francia e poi, nel mese di settembre dell’anno scorso, in Italia da Bompiani, tradotto in diversi Paesi (Spagna, Francia, come è stato appena detto, ecc.; inoltre, è in corso la traduzione in altri Paesi europei e no) ha venduto migliaia di copie, e continua a venderne. L’illustre ospite chiarisce, anzitutto, l’ossimoro “l’utilità dell’inutile”: l’utilità cui si riferisce non è quella del profitto, ma è legata a quei saperi liberi da qualsiasi finalità utilitaristica e che proprio per la loro natura gratuita e disinteressata hanno un ruolo fondamentale nel «rendere l’umanità più umana». Nella nostra società dove è dilagante la barbarie, ribadisce lo studioso, la letteratura, l’arte, la filosofia, il teatro, tutto ciò che non produce soldi, non viene preso in considerazione, cosicché non c’è da meravigliarsi che i governi operino drastici tagli alla scuola, all’università e alla ricerca. La domanda che molti si pongono: “A che cosa servono le materie umanistiche?”, contiene in sé un vizio, presupponendo un sapere subalterno a qualcosa. Già Antonio Gramsci nel 1932, in una pagina dei suoi Quaderni dal carcere, affermava che, nella vecchia scuola, lo studio grammaticale del latino e del greco non aveva uno scopo pratico-professionale, ma era disinteressato, «perché l’interesse era lo sviluppo interiore della personalità [...]».
Il professor Nuccio Ordine ordinario di Letteratura italiana presso l’Università degli Studi della Calabria ha incontrato il 15 aprile presso il Protoconvento francescano di Castrovillari gli studenti del Liceo classico “Garibaldi” e del Liceo scientifico “Mattei”
Ordine ha immediatamente catturato l’attenzione del numeroso pubblico presente raccontando un aneddoto riferito dal saggista David Foster Wallace in un discorso tenuto ai laureandi di Kenyon College, negli Stati Uniti: «Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: - Salve ragazzi: Com’è l’acqua? I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: - Che cavolo è l’acqua?». La simpatica storiella fa comprendere come le realtà più importanti sono quelle più difficili da capire e che la cultura e l’istruzione sono come l’acqua nella quale viviamo e di cui non possiamo fare a meno. Il relatore si è, inoltre, soffermato sulla odierna situazione della scuola italiana messa in ginocchio dalle cattive riforme e dai continui tagli di risorse finanziarie, che l’hanno trasformata in un’azienda preoccupata di produrre diplomati e laureati da immettere nel mondo del lavoro, anziché cittadini autonomi e consapevoli. I vecchi presidi sono diventati dirigenti e gli studenti clienti, i professori si sono trasformati in modesti burocrati vincolati a compilare carte più che impegnati a formare allievi. Dal discorso appassionato dell’italianista viene fuori con chiarezza lo spirito militante del-
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Stimolo per i giovani
che ludiche sono quanto di più deleterio si possa escogitare per il nostro sistema formativo. A tal proposito, ai ragazzi attenti e incuriositi, il relatore ha letto un passo tratto dal Simposio di Platone in cui Socrate così si rivolge ad Agatone: «Sarebbe davvero bello, Agatone, se la sapienza fosse in grado di scorrere dal più pieno al più vuoto di noi. Solo se ci mettessimo in contatto l’uno con l’altro come l’acqua che scorre attraverso un filo di lana da quella più piena a quella più vuota»; e ancora ha concluso citando Petrarca (Familiari, XIII, 5, 23), che così si rivolge al suo lettore: «Io voglio che il mio lettore, chiunque egli sia, pensi solo a me [...], e almeno mentre legge, sia solo con me [...]; non voglio che si impadronisca senza fatica di ciò che non senza fatica io ho scritto». Gli studenti alla fine hanno posto diverse e stimolanti domande rispondendo alle quali il relatore ha arricchito l’incontro di ulteriori riflessioni.
l’opera e “la battaglia” che l’autore, insieme ai suoi lettori, vuole fare per ridare valore all’inutile. Alla scuola, in primis, è demandato questo compito: educare i giovani ad amare il bene comune, a proiettarsi verso i valori universali, che nessun assegno circolare può comprare. I professori devono, pertanto, tornare a considerare la loro attività non un mestiere ma una sincera vocazione. Bisogna stimolare passione ed entusiasmo negli allievi leggendo i classici dai quali si ascolta la voce dell’umanità. Italo Calvino, strenuo difensore dei saperi disinteressati, ci ricorda che i classici non si leggono perché «servono a qualcosa» ma per il desiderio di conoscere e di conoscerci. Dunque, obiettivo precipuo della scuola e dell’università, ha continuato lo studioso, deve essere quello di creare «eretici», cioè persone che si discostano dall’ortodossia, oggi rappresentata dal guadagno. Il sapere è l’unica cosa che resiste al denaro e che si può trasmettere senza impoverirsi, ma studiare costa anche sforzo e fatica che altri non possono fare al posto nostro. Pertanto, i pedagogisti che elaborano fantasiose didatti-
A tirare le fila di questo coinvolgente discorso è stato il presidente dell’Associazione castrovillarese, Leonardo Di Vasto, che, nel ringraziare lo studioso per la sua chiarezza e capacità comunicativa, ha preso spunto da qualche passaggio basilare della relazione per ribadire quanto era stato sostenuto. Socrate, definito nel Simposio «invulnerabile al denaro», è il simbolo del sapere disinteressato, finalizzato al bene: Platone critica, attraverso la figura di Socrate, sofisti come Protagora di Abdera, Gorgia di Lentini, Prodico di Ceo, che fanno commercio, presso i giovani, delle loro conoscenze. Su questo aspetto, ha aggiunto, si è soffermato l’antropologo Marc Augé, nella relazione tenuta un mese fa alla festa del libro e della lettura, svoltasi all’auditorium Parco della Musica di Roma: infatti, il teorico francese dei non luoghi ha sostenuto che «le politiche educative sono sempre meno orientate all’acquisizione del sapere in sé e per sé», convinto che «non v’è altra finalità per gli uomini sulla Terra se non l’imparare a conoscersi e a conoscere l’universo che li circonda». Infine, Di Vasto, dopo aver richiamato l’attenzione su una riflessione di Goethe sottolineata, nel suo discorso, dallo studioso dell’Unical, il quale, ha detto, la tiene sempre presente nella sua attività didattica, secondo la quale il docente deve amare le discipline che insegna se vuole che i suoi studenti le amino, ha concluso con una incisiva e calzante riflessione tratta dallo straordinario Bildungsroman di Goethe: Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister. Il giovane protagonista, Wilhelm, difende, dinanzi al padre che gli proibisce di andare ogni sera a teatro, la sua passione per le scene, chiedendo alla madre contrita e preoccupata: «È dunque inutile tutto ciò che non ci procura subito denaro, ciò che non procura un guadagno immediato?». A ricordo della memorabile giornata l’associazione ha offerto in omaggio al professor Ordine lo statere incuso d’argento di Sibari, elaborato con finezza dal giovane orafo castrovillarese Francesco Scriva, raffigurante il toro retrospiciente (con la sigla iniziale “sy” nell’esergo), emblema della potente colonia greca.
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Una nuova buona idea Dalla sperimentazione alla pratica con il progetto
Unicalmente sostenibile Dal progetto Pon sulle “Ultime novità nel drenaggio urbano legato alla realizzazione di servizi di gestione sostenibile per il ciclo acqua - energia”, caratterizzato dalla creazione di un tetto verde su uno dei cubi dell’area del complesso strutturale della ex facoltà d’ingegneria dell’Università della Calabria (46/C), con relativi impianti tecnologici e di raccolta delle acque piovane, è nata una nuova idea progettuale battezzata “Unical-mente sostenibile: un progetto lungo un ponte”, che avrà riflessi sul territorio per quanto riguarda l’evoluzione di un piano di sostenibilità ambientale quale modello per l’efficienza sia delle strutture delle pubbliche amministrazioni che delle proprietà dei privati. Un progetto innovativo, preparato e coordinato dalla professoressa Patrizia Piro, del dipartimento d’ingegneria civile, con la collaborazione di un nutrito gruppo di lavoro composto da ricercatori e docenti delle diverse aree d’insegnamento e ricerca presenti all’interno dell’Università della Calabria. Le linee di azione del progetto riguardano il cibo, la salute e la qualità della vita, il contenimento dei consumi idrici ed energetici, la mitigazione dei fenomeni di allagamento urbano, la riduzione della produzione di rifiuti e così via ed ha già trovato una prima fase applicativa e sperimentale nelle strutture e gestione del Centro residenziale dell’Università della Calabria. In sostanza non è un progetto dell’Università della Calabria - ha sostenuto la coordinatrice, professoressa Patrizia Piro - ma un lavoro ecosostenibile elaborato per l’Università guardando all’insieme delle sue attività di campus e luogo di scienze, formazione e cultura da estendere ad altre realtà locali del territorio calabrese. Anche se il rettore, Gino Mirocle Crisci, nel portare i suoi saluti nell’ambito dei lavori dell’incontro appositamente promosso per un aggiornamento e condivisione dello stesso con la dirigenza della Regione Calabria, tenutosi lo scorso 15 aprile negli ambienti dell’University Club, alla presenza dell’assessore regionale al Bilancio e alla Programmazione nazionale e comunitaria della Regione Calabria, Giacomo Mancini, e del dottor Tommaso Calabrò, dirigente del servizio “Programmazione regionale, settoriale e territoriale della Regione Calabria”, ha tenuto a precisare di adottarlo, sostenerlo e farlo proprio, non risparmiando parole di apprezzamento nei confronti di Patrizia Piro, animatrice di tale importante progetto che pone la stessa Università in un rapporto di dialogo e collaborazione con il territorio per una crescita e sviluppo comune. Il progetto, che ha portato a creare nell’Università della Calabria un Parco di idraulica urbana sostenibile con un suo gruppo di lavoro unico nel suo settore, assume la sua importanza sociale e diffusa in quanto coinvolge docenti e competenze appartenenti a tutte le aree disciplinari dell’Università della Calabria e prevede partneriati con
Ultime novità nel drenaggio urbano legato alla realizzazione di servizi di gestione sostenibile per il ciclo acqua-energia caratterizzato dalla creazione di un tetto verde su uno dei cubi dell’area del complesso strutturale della ex facoltà d’Ingegneria dell’Università della Calabria
altre università, creando una interazione profonda per dare un servizio al territorio, coerentemente con la programmazione regionale, nazionale ed europea. Proprio questa programmazione con sullo sfondo il programma Horizon 2020 e la destinazione dei fondi strutturali 2014/2020 sono stati oggetto di approfondimento ed analisi nel corso dell’incontro tenutosi nei locali dell’University Club alla presenza dell’assessore, Giacomo Mancini, che ha dichiarato la sua personale disponibilità e del governo regionale nel guardare con particolare interesse ed attenzione al Progetto “Unical-mente sostenibile”, in quanto si innesta perfettamente nella programmazione dei fondi strutturali della Regione Calabria, alla quale sono stati assegnati dall’Unione europea ben undici miliardi. Una programmazione che merita tempistica e cantierabilità dei progetti in un rapporto sinergico tra la Regione e l’Università, come sottolineato dal dirigente regionale, Tommaso Calabrò; mentre hanno arricchito il dibattito e i contenuti del progetto gli interventi dei professori: Annabella D’Atri, Wilma Siciliano, Laura Corradi, Giancarlo Statti, Vincenza Calabrò, Natale Arcuri, Gianfranco Becciu, Gabrio Celani, Petronilla Fragiacomo, Daniele Menniti, Marco Carbone, Fabio Mazza, Rosanna De Rosa. Indispensabile, dunque, sarà lavorare con metodo interdisciplinare e con un forte processo osmotico tra le istituzioni, Università e Regione Calabria, per una partita da giocare assieme avendo come obiettivo la realizzazione di un Piano di Sostenibilità ambientale, come più volte richiamato da Patrizia Piro nel suo intervento, che, partendo dall’Unical venga trasferito sul territorio come modello di efficientamento delle Pubbliche amministrazioni. L’Unical, dunque, come dimostratore di “Best management practices” da coniugare a livello regionale e nazionale. Franco Bartucci
sabato 26 aprile 2014
Trepidante attesa Dalla “Tentative list” all’aspirazione di Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco
Quel riconoscimento che manca... In attesa della nomina del presidente da parte del ministro all’Ambiente parte la sottoscrizione della campagna di sostegno al riconoscimento del Parco nazionale della Sila nella “World heritage list - Unesco”. Come noto nel 2012 il Parco nazionale della Sila è stato inserito nella “Tentative list” ed è forte l’aspirazione a divenire il quinto sito naturale italiano dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Col suo straordinario valore naturalistico di biodiversità ed in particolare per la presenza del pino laricio, il Parco nazionale della Sila ha avviato e sta completando il complesso procedimento per la candidatura come sito naturale iscritto nella “World heritage list Unesco” al fine di comprovare il suo eccezionale valore universale. Ottenere questo riconoscimento come sito Unesco posizionerebbe il Parco in una piattaforma di rilevanza mondiale e rappresenta un’occasione importantissima di sviluppo socio-economico del territorio, in particolare sul piano turistico, un’opportunità di accesso a finanziamenti nazionali, internazionali, comunitari e fondi privati. In questa ultima fase di completamento del dossier ufficiale, che sarà trasmesso all’Unesco per la valutazione, è stato dato il via alla campagna di sostegno all’iniziativa a cominciare dalla collettività del Parco e non solo, nel senso che ci dovrà essere il coinvolgimento diretto dell’opinione pubblica calabrese, come del nostro Paese e di soggetti residenti all’estero pensando agli innumerevoli calabresi residenti in vari Paesi del mondo. La campagna, che avrà la durata di circa sette mesi, dovrà coinvolgere il mondo dell’informazione, dei media, della scuola, dell’università e delle varie istituzioni pubbliche e private ed è per questo ch’è stato predisposto un dettagliato piano dei servizi utilizzando il web marketing. Tale attività sarà mirata a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica a divulgare l’iniziativa al maggior numero di soggetti possibili, facendo loro acquisire consapevolezza dell’importanza di tale iniziativa, stimolandoli a divenire sostenitori attivi della candidatura, trasmettendo il messaggio (progetto candidatura e lettera di adesione) attraverso il canale web utilizzando gli strumenti più opportuni per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Tutti coloro che vivono in quest’area devono comprendere i benefici che conseguono dall’ingresso di un territorio come quello del Parco della Sila nella Lista Unesco, esprimendo un forte consenso, convinti e ricchi del sostegno di tutti coloro che ne risiedono al di fuori, ma che apprezzano ed amano questo incantevole patrimonio ambientale strumento di benessere diffuso. Pertanto si richiede alla comunità civile tutta - sostiene la dirigenza dell’ente - di sostenere questo riconoscimento del Parco, come patrimonio dell’umanità, sottoscrivendo il format sul sito www.parcosila.it, nella pagina dedicata alla candidatura così da poter dire di aver contribuito alla conservazione, alla conoscenza e alla trasmissione alle future generazioni di questo meraviglioso patrimonio custodito nel territorio del Parco nazionale della Sila. Franco Bartucci
Col suo straordinario valore naturalistico il Parco nazionale della Sila ha avviato e sta completando il complesso procedimento per la candidatura come sito naturale iscritto nella “World heritage List Unesco” al fine di comprovare il suo eccezionale valore universale
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sabato 26 aprile 2014
Accoglienza speciale Il jazz di Enrico Granafei il 10 maggio al teatro Rendano di Cosenza
Note che tornano a casa Concerto a ingresso gratuito promosso dall’amministrazione comunale per omaggiare il grande artista cosentino trapiantato da anni nel New Jersey
Enrico torna a casa, dal “suo” pubblico e sul palcoscenico più prestigioso. In questo caso non si tratta del Fiabeschi cinematografico di Max Mazzotta che, studente fuori corso, fa rientro in Calabria per ritrovare il sostegno della famiglia, bensì di un altro Enrico e dello stesso richiamo alle radici: Enrico Granafei, musicista bruzio trapiantato da anni nel New Jersey e che, questa volta, tra tante tournée in giro per il mondo, farà tappa nella città che gli ha dato i natali e a cui lo lega un amore viscerale. Cosenza ricambia questo affetto omaggiandolo il prossimo 10 maggio con una serata tutta per lui in programma al teatro Rendano e offerta dall’amministrazione comunale (l’ingresso è gratuito). Il sindaco Mario Occhiuto lo aveva già anticipato lo scorso anno di questi tempi e la promessa per i fan del jazz e del maestro Granafei viene ora a concretizzarsi, cogliendo l’occasione di una data francese del musicista in quei giorni. Nella circostanza, sarà presentato
e proiettato il documentario di Gianluca Bozzo, “Walnut Street station - Last jazz stop from NY”, un viaggio emozionante girato nel 2013 fra il centro storico di Cosenza, la grande mela e Montclair, dove Granafei vive e gestisce il “Trumpets club jazz”, riferimento mondiale per i grandi nomi e per gli appassionati del genere. Dalle immagini, che sono insieme racconto e storia, si passerà quindi alla musica con un concerto che rappresenta l’abbraccio dell’artista alla sua città, e viceversa. Sul palco con Enrico Granafei, a partire dalle 21 di sabato 10 maggio, anche il “Danilo Blaiotta trio” (Danilo Blaiotta al piano, Silvio Ariotta al contrabbasso e Fabrizio La Fauci alla batteria) e la partecipazione del maestro Giuseppe Maiorca. Non mancherà il tributo a due indimenticati uomini di cultura scomparsi di recente, quali il liutaio Vincenzo De Bonis e il drammaturgo Vincenzo Ziccarelli.
Le biografie degli artisti ENRICO GRANAFEI è un chitarrista ed armonicista cosentino di fama internazionale. Vive da anni negli Stati Uniti, a Montclair (New Jersey), dove gestisce il “Trumpets Club Jazz & Restaurant”. Enrico Granafei, diplomatosi al Conservatorio dell’Aquila nel 1976, comincia la sua carriera a Roma per poi trasferirsi in Germania dove trascorre due anni insegnando ed esibendosi come chitarrista classico. Tornato a Roma nel ‘79, diventa armonicista jazz dopo aver ascoltato il grande Toots Thielemans. Granafei lavora un anno nell’orchestra di Pippo Caruso per una trasmissione tv condotta da Pippo Baudo, ma in seguito decide di emigrare definitivamente: New York è la sua destinazione. Nella Grande mela entra in contatto con il jazz americano esibendosi in storici locali musicali statunitensi, tra cui i mitici “Blue note” e “Birdland”. Nel 1989 decide di iscriversi alla Manhattan School of Music. Dopo due anni conseguirà un “masters degree” in jazz come unico studente del suo maestro, Toots Thielemans, nonché unico armonicista nella storia dell’istituto ad aver conseguito tale titolo di studio. Da armonicista ha avuto l’occasione di suonare con Paquito d’ Rivera, Claudio Roditi, Ted Curson, Eddie Gomez, Marc Johnson, Richie Cole, Eliot Zigmund, Adam Nussbaum, Fred Hersch, Joe Diorio. Da chitarrista continua la sua attività con Carlo Barone, esperto di musica ottocentesca. DANILO BLAIOTTA, pianista e compositore classe 1987 di origine arbereshe, cresce e raggiunge la maggiore età in un ridente paesino della sponda lombarda del lago maggiore. Si trasferisce in calabria a 18 anni e si laurea in pianoforte solista al conservatorio di Cosenza con il massimo dei voti e la lode.
Inizia la sua carriera artistica nella musica classica. Oltre a svariate masterclasses con importantissimi pianisti del ‘900,si specializza un anno con A. Lucchesini e 3 anni con il leggendario Aldo Ciccolini, con il quale condivide l’amore per la musica di Debussy. Dopo aver vinto svariati concorsi nazionali ed internazionali, suona come solista in importanti rassegne del panorama nazionale (tra queste “Genio nel territorio”, “Suoni e Luoghi”, “Amici della Musica” in tutta Italia) e calca alcuni tra i più importanti palcoscenici di classica in Italia, (tra questi i teatri “La Fenice” di Venezia, Lirico di Cagliari, Mercadante di Napoli, Auditorium Sinopoli di Fiesole). Si ricorda un’esecuzione con l’orchestra di DonetskUcraina, del concerto n.2 op.18 di Rachmaninov. Da sempre alterna la passione per la classica a quella, fortissima, per il jazz. Dal 2011 decide di dedicarsi quasi esclusivamente alla musica afroamericana. Nascono così i progetti Balkanica, Danilo Blaiotta Trio, Fasoli-Blaiotta Duet e tanti altri, senza mai trascurare il Piano Solo e soprattutto la composizione. Collabora stabilmente con alcuni tra i più noti jazzisti italiani e stranieri: Claudio Fasoli, Pietro Leveratto, Attilio Zanchi, Achille Succi, Joe Amoruso, Roberinho de Paula e per Siena Jazz 2013 suona concerti anche con Larry Grenadier e Avishai Cohen. È stato pianista del Premio Persefone 2011 (Rai Uno), collaborando con personaggi dello spettacolo (Massimo Lopez, Marisa Laurito). Ha lavorato come musicista per il teatro di prosa (“Clitennestra” con A. Bartolucci, M. L. Bigai; “Peggio di un bastardo” con G. Blaiotta e M.Rossin). Ha suonato davanti a personalità dell’arte e della letteratura del ‘900 in varie mostre e incontri d’arte (tra questi A. Merini, E.Treccani, I.Kodra).
sabato 26 aprile 2014
Accoglienza speciale
Figlio della Calabria migliore
Una medaglia dal Colle Il lametino Giovambattista De Sarro riceverà il 3 maggio a Catanzaro, nell’ambito della premiazione dei vincitori della terza edizione del Premio “Merini” il riconoscimento del presidente della Repubblica
SILVIO ARIOTTA al contrabbasso (collaboratore di Massimo Moriconi, Antonio Onorato, Giovanni Amato). FABRIZIO LA FAUCI alla batteria (collaboratore di C.Cannon, P.Fresu, Chicago Bue, G.Amato, Wess, A.Onorato, A. Britti, L.Berg, M.Stamm, M.Tamburini, C.Santucci , D.Santorsola, E.DelTrono, R.De Paula, Gegè Telesforo, Franco Califano, Claudio Baglioni, Rossana Casale, L.Valori, S.Bencini, Joe Amoruso). Il programma è a sorpresa. Facile immaginare l’incontro tra brani originali e standards della tradizione jazzistica. Data però la poliedricità degli elementi del quartetto, si potranno certamente notare commistioni tra diversi generi musicali, che possono fornire spunti interessanti ad ogni tipo di ascoltatore. GIANLUCA BOZZO: video editor. Il documentario “Walnut Street station - last jazz stop from NY”, è stato girato nel mese di ottobre 2013 tra NY e il New Jersey . Ospita musicisti internazionali come Billy Hart, Wallas Roney, Vic Juris, Bob Devos, Rob Paparozzi, Dave Stryker, Ron Aprea, Patrizia Scascitelli, Enrico Granafei, Mel Davis e giovani emergenti del panorama mondiale del jazz come Simona Premazzi, Laura Campisi, Marco Panascia, Daniela Schachter. Un racconto corale in cui aneddoti, incontri, bilanci, prendono corpo alla luce di uno stile che - come sosteneva Sonny Rollins - può assorbire un sacco di cose ed essere ancora Jazz. Il Trumpets Jazz club di Montclair, nel New Jersey, è il luogo fisico in cui sono state realizzate parte delle interviste e delle riprese. Un’agorà post-moderna (così come lo aveva immaginato la sua fondatrice, Emily Wingert) in cui il sacro fuoco del Jazz continua a bruciare e permette l’incontro tra diverse generazioni. Due italiani, Enrico Granafei, armonicista e allievo di Toots Thielemans e Kristine Massari, insegnante e vocalist, lo gestiscono dal 2000, non senza sacrifici, provando a mantenerne lo spirito originario che fu della Wingert. Una pagina di storia contemporanea del Jazz.
Lametino di origine e catanzarese di adozione, Giovambattista De Sarro riceverà il prossimo 3 maggio, nell’ambito della premiazione dei vincitori della terza edizione del Premio “Alda Merini” realizzato dall’Accademia dei Bronzi e dalle edizioni Ursini con il partenariato della Camera di Commercio di Catanzaro e dell’orafo Michele Affidato, la medaglia che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha inviato nei giorni scorsi al presidente del sodalizio culturale catanzarese, Vincenzo Ursini, quale sua tangibile vicinanza alla più seguita manifestazione culturale d’Italia dedicata alla poesia inedita del nostro tempo. «Il professore De Sarro - sottolinea Ursini - è un illustre rappresentante del mondo accademico che merita a pieno titolo la medaglia che il presidente della Repubblica: figlio di quella Calabria migliore che vuole crescere e misurarsi quotidianamente con le più importanti realtà scientifiche internazionali». Nato nel 1955 a Nicastro, De Sarro, nel 1980, consegue la laurea in Medicina e Chirurgia, con il massimo dei voti e la lode accademica, presso l’Università degli studi di Messina. Nel 1984, sempre con lode accademica, si specializza in Farmacologia presso la facoltà di Medicina di Napoli. Nel 1990 consegue la seconda specializzazione in Neurologia presso l’ateneo di Bari. Dal 1992 è direttore del servizio di Farmacologia clinica dell’azienda ospedaliera “Mater Domini” di Catanzaro, mentre dal 1999 è direttore della Scuola di specializzazione in Farmacologia medica dell’Università "Magna Graecia", nonché professore ordinario di Farmacologia. Nello stesso ateneo, dal luglio 2007 ad ottobre 2011, riveste quindi la carica di preside della facoltà e ora quella di direttore del dipartimento di Scienze della salute e membro della commissione tecnicoScientifica dell’Aifa. La sua intensa e qualificata attività didattica è ben documentata dai numerosi incarichi di insegnamento, nonché dall’elevatissimo numero di studenti che nei diversi corsi, afferenti alla facoltà di Medicina e Chirurgia, hanno svolto con lui la relativa tesi di laurea. È co-autore di oltre 340 lavori scientifici in extenso pubblicati su riviste internazionali con un impact factor complessivo superiore a 1000 e di 50 pubblicazioni in extenso in lingua Italiana, nonché di oltre 20 capitoli di libri in lingua inglese. Possiede più di 350 comunicazioni a congressi nazionali e internazionali. Le sue ricerche scientifiche sono rivolte soprattutto alla individuazione di vie e neurotrasmettitori coinvolti nella patogenesi dell’epilessia, di nuovi farmaci antiepilettici, del ruolo delle connessine nell’epilessie, di agenti che modulano il ciclo sonno/veglia a livello del locus coeruleus, di farmaci agenti sul sistema oppioide, dei chemioterapici. Più di recente si è dedicato alla cura di alcuni aspetti della farmacovigilanza con una interessante produzione scientifica (circa 50 pubblicazioni). Dal 2010 è il responsabile scientifico del centro di Informazione, Formazione e Farmacovigilanza della Calabria. «Con questa nuova medaglia, - conclude Vincenzo Ursini - dopo quella assegnata negli anni scorsi al giornalista Enzo De Virgilio di Catanzaro, agli artisti Pasquale Macrì di Dinami e Caterina Rizzo di Pizzo, alla giovane scrittrice Maria Pia Furina di Soverato, il premio Alda Merini di Poesia fa un ulteriore salto di qualità nel segno di quell’appartenenza al territorio tanto cara alla nostra associazione culturale».
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sabato 26 aprile 2014
Il racconto Si sono messi a parlare sul come difendersi da coloro che li ritengono merce da sfruttare
di Giuseppe Aprile
In una baracca si sono riuniti tanti braccianti agricoli della Piana e si sono messi a parlare sul come difendersi da coloro che li ritengono merce da sfruttare e braccia da porre al servizio di chi usa la terra per raggranellare ulteriori proventi per la propria vita da nababbi sul lavoro degli altri, e senza avere coscienza del valore sociale ed economico del lavoro e della vita nel terribile freddo delle mattinate senza sole e piene di brina fredda che trasforma le dita in carne gelata. Non è la prima volta che avviene una riunione di queste. Si tratta di momenti di rabbia dovute al dato che la gente della campagna non sopporta, ogni tanto, il dolore di una vita dio sacrifici e di stenti. Diciamo ogni tanto perché non sempre si è in condizione di riflettere sul dramma della propria condizione. Solitamente si sgobba e si soffre e si tira avanti dimenticando che prima o poi, con il passare degli anni, nei corpi di ognuno subentra oltre che la vecchiaia, la malattia propria dell’ambiente di freddo gelido e sicuramente insopportabile. Che fa arrivare reumatismi, artrosi cervicale, nevrosi ed altri malanni che riducono la forza di lavorare degli anni normali. La vecchiaia arriva precocemente e arrivano pure tanti casi di dolori fisici che comportano riduzione della cartilagine degli arti e dolori e giramenti di testa, fino a tramutare la vita da un fatto normale, dove il fisico regge e non presenta anomalie di sorta, ad uno nuovo, figlio di un improvviso cambiamento, con la gente che si trova immersa in una condizione fisica insopportabile, fino a ridurre prima e annullare poi, ogni possibilità di stare tra le zolle della terra, sotto gli ulivi, a raccogliere gli agrumi, a zappare e seminare. Vediamo un po’, i racconti singoli e collettivi di questi lavoratori e dei loro famigliari, la cui vita non ha scampo di fronte ai maltrattamenti concreti di gente senza scrupoli che chiamare padroni è poco o niente.
Conversazioni tra braccianti della Piana Caterina della gorna secca: «Che non ce la faccia più non posso dirlo ancora. Sono giovane e posso tirare avanti sia pure soffrendo quotidianamente. Ma sento parlare voialtri, sopratutto i più anziani, e mi vedo nelle vostre lamentele e penso che anch’io, un giorno, avrò i mali di cui mi parlate. È vero che molte malattie non colpiscono i signori che stanno bene e stanno al caldo dei termosifoni mentre noi ci alziamo la mattina con due ore di notte per essere puntuali sul lavoro,quando il, quando c’è, sembra che non arrivi mai e siamo costretti ad accendere i falò con l’aiuto di alcuni dei nostri uomini presenti che tagliano legna raccolta in tante parti e messa ad appiccicare a stento perchè umida e gelata. Si, ho paura e non mi vergogno di dirlo. Ma quando finiranno i nostri patimenti? Quando avremo una vita normale? Non dico civile e comoda, ma almeno con molta riduzione delle nostre sofferenze?». Carmaluzza a sciontina: «Vedete, comare Caterina? Non è solo che soffriamo, ma è che la nostra vita si consuma sulla terra e gli altri godono sui nostri sacrifici. Noi lavoriamo ed altri si arricchiscono e noi appena abbiamo le marche versate per un domani di pensione. Oggi prendiamo quattro soldi, domani dovremo essere riconosciute alla visita medica dell’INPS perchè non bastano le marche per la pensione, dobbiamo anche essere ammalate gravemente. Non basta una invalidità normale. Dev’essere al settanta per cento, dicono. Ci danno la pensione quando non avremo la possibilità di godercela. Perché aumentano le medicine, i patimenti, la vecchiaia che non è per tutti eguale. Per chi lavora arriva prima, le gambe cessano precocemente., i reumatismi ci prendono a sorpresa quando non possiamo farci niente. Chi lavora muore prima, arriva prima ai dolori insopportabili del proprio fisico mentre le signore dei signori si godono la vita sfruttando i nostri sacrifici. Loro non hanno dolori, non hanno fisici sfruttati, stanno al caldo delle loro belle case e non muoiono mai. Bella questa vita! È una vita per servi e padroni. Noi ci siamo meritati questa di servi! È questa la verità. Che male abbiamo fatto?».
Momenti di rabbia La gente della campagna non sopporta il dolore di una vita di sacrifici e di stenti
Compare Mico, il pecoraio: «Vedete comare Carmaluzza. Il fato è che siano nati poveri e sfortunati. I governi non aiutano l’eguaglianza, perché l’eguaglianza non consente che ci sia chi comanda e chi ubbidisce. Sono i governi che vogliono le differenze di classe. Poveri e ricchi sono esistenti perché il povero consente al ricco di essere ricco. Ed i governi non vogliono la giustizia, non vogliono il lavoro per tutti. Vogliono il lavoro per pochi, per i fessi, per coloro che lavorano per il comodo degli altri». Lina della Gnura Naria: «Voi, compare Mico, avete pure un mestiere, una professione e siete meglio di tutte noi altre. Avete la mandria e fate il formaggio, vendete il latte, gli agnelli e state qui, in campagna tra di noi, solo perché vi servono le marche per la pensione. Come capraio le marche non ve le versa nessuno e siete costretto a farvi le giornate retribuite in qualche pur minimo modo. Non vi serve nemmeno il pagamento della giornata a contratto. Possiamo dire che vi bastano i versamenti por la pensione e il resto dell’anno vi guardate le pecore e vi fate la vostra vita dive ricavate più di noi. Per voi si può dire che questo lavoro che fate con noi, è un passatempo. Il vostro sacrificio è maggiormente in montagna a controllare e portare a pascolare le pecore. A lavoro sempre brutto, di sacrifici, ma almeno vi guadagnate la pagnotta più e meglio di noi. Ma noi lavoriamo non per qualche mese. Siamo raccoglitrici di olive, di agrumi. Lavoriamo nella terra di queste immense pianure
sabato 26 aprile 2014
Il racconto
a Milano, a Genova è lo stesso. Questa nostra è la vita dei campi, sulla terra. Una vita che ci isola da Dio e dal mondo. Viviamo da poveracci e nessuno ci guarda in faccia. Noi non sappiamo cosa sia la gentilezza perché nessuno è gentile con noi. Chi ci difende?». Quasi tutti in coro: «Siamo nati tutti sfortunati!». Mariuzza di zio Carmelo: «Non vedete che anche da noi c’è il patronato? Quando uno vuole qualcosa va dal patronato e gliela spiegano! Non siamo poi del tutto senza aiuto! Meno male che c’è il Patronato. E non è il patronato dei soliti sindacati che lo vogliono per politica. Oggi c’è il patronato che sta per i fatti suoi, dove trovi chi non ti chiede a che partito sei iscritto. Vai, vedi quello che ti serve, quale spiegazione devi avere, quale chiarimento, e se hai bisogno ti fanno la domanda che ti serve e sei libera di pensare quello che ti pare e piace. A me questo tipo di patronato piace tanto. Non è un canale della politica dove vogliono sapere se sei democristiano o comunista o socialista. Ora c’è il patronato per i tuoi bisogni e stai tranquillo che nessuno viene a domandarti per chi voti. Il voto resta un fatto della tua coscienza e resta separato dal tuo fare sul lavoro. Meglio ora che una volta». Gnura Peppina: «Io sono iscritta ad un sindacato e lì sempre mi parlano di politica. Non che a me non piaccia la politica. So che ci dobbiamo occupare di politica e dobbiamo saper votare. Ma una cosa è la politica, altra cosa dev’essere il sindacato. Il al sindacato non voglio parlare di politica. La politica mi vede tante volte in voglia di nascondere come la penso. Perché voglio essere amica con tutti e nessuno sapere i fatti miei. La politica divide, ci rende rivali. Uno pensa in una maniera e non sapete se l’altro è convinto di voi ; dopo che vi lascia, se non siete come lui, non dico che vi odia, ma sicuramente resta indifferente su di voi. È bene che anche su questa cose ci sia riservatezza. Quando voglio dico quello che faccio, quando no, voglio pure il contrario. Sono io a dover decidere come sono e come la penso. Mi dà fastidio che vado per una pratica e mi fanno le domande, per sapere come voto e perché. O è patronato o è politica. Io la vedo così. Ed ora è così. Uno va dove vuole. Io preferisco il rispetto della mia idea politica. Se voglio la dico, ma nessuno deve venire a rompermi l’anima e domandarmi. Io la vedo così -vengo da te per la pratica e per l’informazione, sul lavoro. E devi servirmi per questo - poi, se io voglio parlo di politica, posso dirti anche come e perché la penso in un determinato modo. Ma non che tu devi sapere, vuoi sapere e magari mi tratti in base a come la penso. Per questo preferisco il patronato che ti lascia in pace sul fatto della politica. E vorrei essere indirizzata verso un patronato da intendersi così».
della Piana perché è qui e solo qui il nostro pane, la nostra minestra, il nostro vestiario, le nostre medicine, e tutto quanto per sopportare una vita di veri sacrifici e di stenti. Pensate a quanto stiamo, come ore, sulla terra? Non più di voi? Lo capisco, ma la differenza è che noi stiamo sulla terra tanto e guadagniamo poco, voi almeno avete il privilegio di avere capre, pecore ed agnelli e vi potete ritenere ricco, almeno al cospetto nostro». Compare Nico: «Sì, avete ragione che c’è differenza tra chi ha un gregge e chi non ce l’ha. Ma si tratta dei sacrifici che passiamo e ci rendono eguali. Chi dispone di un po’di averi soffre altrettanto quanto chi non ha niente. Non si risolvono i problemi stando un po’ meglio economicamente dell’altro. La terra è terra per tutti, la umidità è umidità per tutti, la fame è fame per tutti. Guardate che non è bella mangiare sempre la stessa cosa. Di carne di capra e di pecora e di formaggio siamo stufi. Non ne possiamo più. Da noi non è entrata la civiltà dei tempi moderni e della vita di mercato. Questa è la verità. Più o meno poveri. Sempre poveri siamo e sempre poveri restiamo». Peppinuzza Manti: «Questa mattina proprio non sopporto nulla. Mi verrebbe voglia di morire. Una buona volta per sempre, penso che uno muore e finisce di patire, invece di tirare a campare senza soddisfazione e senza piacere alcuno. E non mi venite a dire che a Torino,
Racconti di lavoratori la cui vita non ha scampo di fronte ai maltrattamenti concreti di gente senza scrupoli
Costatino: «Non che una volta i sindacati, o cosiddetti confederali, fossero una lagna o un errore. Si sa come sono nati i sindacati in questo paese, Una volta il patronato era uno strumento indispensabile per il sindacato che portava avanti una tesi di fondo della società. I grandi dirigenti non potevano sapere tanto delle mille leggi e disposizioni per le pratiche di pensione, di assistenza varia al servizio dei lavoratori. Il patronato che avevano era uno strumento importante che consentiva di separare e specializzare le due attività: la sindacale strettamente intesa, la assistenziale che faceva riferimento all’uso del patronato come strumento proprio. Poi la politica partitica ha degenerato il tutto è rimasto sempre più importante separare il sindacato dal suo passato di dipendenza dai partiti, lasciandolo organizzazione autonoma dei lavoratori e non strumento legato a questo o a qual partito. Per questo ora vogliamo un patronato libero: Si parta da questo e si lavori per unire ogni forma di associazione dei lavoratori impedendo alla politica ed ai partiti di fare separazioni che tanto male hanno fanno». Piero, attivista sindacale dei tempi moderni, del dopo fallimento del processo unitario: «I lavoratori vogliono un sindacato libero, autonomo, democratico. Non vogliono un sindacato che faccia gli interessi di questo o quel partito. Rispetto ai partiti ed alla politica si pensi come si vuole. Ogni lavoratore è libero. Nell’ambito sindacale e assistenziale, si dev’essere tutti uniti, tutti eguali, senza divisione ideologica o politica. Il male del sindacato, che ha rovinato la storia passata delle confederazioni sindacali, è stata proprio la dipendenza partitica, politica, che ha diviso per modi di pensare politico abbattendo la preziosa necessità dei lavoratori di stare assieme, di costruirsi un solo unico e unitario sindacato. Da qui - conclude Piero - l’esigenza di ripensare il sindacato, il patronato, il mondo dei lavoratori e del lavoro che dal 1962 è oramai paralizzato ed in mano a pochi intimi che tutto fanno tranne che gli interessi dei lavoratori; tranne che svolgere azioni per il rinnovamento della società e una nuova e sana politica di sviluppo e del lavoro».
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sabato 26 aprile 2014
Parole chiare che toccano l’anima A discuterne con don Vincenzo Filice, il magistrato Biagio Politano
Resurrezione... continuo cammino di umiltà di Lucia De Cicco
La Pasqua di certo appartiene all’incontro con il Risorto, che attraverso il silenzio e la meditazione della Quaresima, muove l’altro alla riscoperta dei valori autentici della vita e delle cose semplici, che accompagnano il cammino non solo del cristiano, ma dell’uomo in generale. Il messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2014, ha ispirato pochi giorni prima della Pasqua una meditazione/riflessione sul contenuto del messaggio dal titolo: “Risorgere dalla triplice miseria per ridare valore alla vita” tenutasi presso il centro culturale “V. Bachelet di Cosenza”. A discuterne con don Vincenzo Filice, il magistrato Biagio Politano. Il Papa nel testo fa riferimento a tre tipi di miseria: quella morale spirituale e materiale, il tutto accompagnato dalla parola “senso” e di come questo senso si nasconda nelle pieghe della vita. A sostenere le riflessioni/intervista del magistrato Politano anche due video delle musiche di Vasco Rossi Un senso e il suo ultimo disco Dannate nuvole. Perché la visione rappresentata da Vasco Rossi è quella dell’uomo moderno, che cerca continuamente di dare un significato alle cose, che fa e che pur se esse nascono e crescono nell’incertezza ricomincia con i cocci a sperare di potere trattenere qualcosa. Eppure il Papa nel suo messaggio è chiaro: Egli riprende le parole di San Paolo in cui si dice che Cristo scendendo fin dal suo battesimo nelle acque del Giordano ha abbracciato tutta la condizione dell’uomo e salvato per mezzo della Sua povertà, attraverso l’amore della condivisione. Il magistrato Politano definisce il messaggio del Papa, un testo immediato, che ha un fondamento biblico, e che propone diverse chiavi di lettura sul concetto di povertà, un riferimento forte al contesto in cui abitiamo e una provocazione altrettanto dura alla rinuncia di qualcosa che non sia il superfluo; nel messaggio, infatti si legge: «Dio non ha fatto cadere su di noi la salvezza dall’alto, come l’elemosina di chi dà da parte del proprio il superfluo con pietismo filantropico». Don Vincenzo Filice ha fatto notare la grande capacità di Papa Francesco, pur nel suo parlare semplice e diretto, che esiste una gradualità nella parola “povertà”, che è sfumata in tanti sensi, che riconducono all’unicità pur toccando i tanti aspetti della condizione umana in divenire e per cui non possiederemo mai in maniera totale e compiuta la storia. «Dobbiamo essere continui pellegrini, abbandonare il passato per guardare al futuro all’interno di un presente, che come afferma Arturo Paoli (è un presbitero, religioso e missionario italiano, appartenente alla congregazione dei Piccoli fratelli del Vangelo, ancora vivente e di 102 anni), non basta mai a nessuno».
Il messaggio di Papa Francesco per la Quaresima ha ispirato il centro culturale “V. Bachelet” di Cosenza che ha tenuto un incontro dal titolo “Risorgere dalla triplice miseria per ridare valore alla vita”
Nella foto, a destra don Vincenzo Filice a sinistra il magistrato Biagio Politano
Nel messaggio il Papa crea un dualismo importante distingue la povertà dalla miseria, la seconda è priva di fiducia. Si deve sempre diffidare di un’elemosina che non costa e non duole. Don Vincenzo Filice nella sua analisi, non priva di riferimenti storici all’impalcatura storica di ricchezza anche materiale costruita attraverso i secoli dalla Chiesa, afferma: ormai non regge più nel situazione difficile di oggi. La riflessione di don Vincenzo Filice ci riporta continuamente anche attraverso il distinguo che fa il Papa nel suo messaggio a porre attenzione alle parole. Le parole devono essere un bene di cui riappropriarci perché anche i Vangeli tradotti dal Greco riportano delle differenziazioni nel significato di una stessa parola tanto da modificarne la scrittura. Con il termine Povero dal greco ptogos e dall’ebraico Anah, s’intende definire una persona che manca di tutto, incapace di sostenersi ed è per ciò che è chiamato a comprendere il bisogno e a interrogarsi sulla sua condizione cercando anche il senso della sua vita. Ecco le parole della canzone di Rossi in cui alcuni versi esprimono: «Quando cammino in questa valle di lacrime. Vedo che tutto si deve abbandonare. Niente dura, niente dura e questo lo sai. Però non ti ci abitui mai. Chissà perché...?». I Greci usano allora un altro termine che designa chi vuole essere sostenuto in questo vuoto, che potrebbe essere in questo caso Dio la mano amica a sollevarlo. Chi ha necessità di sostegno, dall’ebraico ananim, è chi avverte il vuoto e che lo porta a una vanità che è priva di senso. Qui allora non siamo più in una povertà vera e che i Greci designano con il termine di pénes (povero di lavoro, povero di mezzi di sussistenza). Allora Cristo ci insegna con la sua Croce e la sua discesa nelle acque del Giordano a svuotarci di questa Vanità, di questo guardare solo verso noi stessi, perché ciò impedisce la comunione con l’altro. La Resurrezione, quindi, è un cammino lento che dura per tutta la vita, afferma don Vincenzo Filice, su un sentiero tappezzato da tanti eventi, anche spiacevoli, nessuno potrà occupare il nostro posto, gli ostacoli che attraverseremo non sono altro il segno di questa figliolanza con Cristo. Il processo di Resurrezione si compie alla fine e con la nostra morte e come soleva scrivere Sant’Agostino: «Chi ti ha creato senza di te non ti salverà senza di te». Il messaggio quaresimale di Papa Francesco ha esortato a comprendere ciò che veramente Cristo ha lasciato con la sua Passione, concedendosi al nostro Nulla (potere, vanità, ricchezze materiali superflue), ci ha salvato da esso, a noi ora tocca lasciare le cose inutili e vane per aderire al suo messaggio di maggiore dignità e uguaglianza per tutti e allontanare da noi questo senso di costante insoddisfazione e ricerca di senso della vita. Poiché, concludo io, come diceva la poetessa contemporanea Alda Merini, siamo solo noi che diamo senso alla nostra stessa vita.
sabato 26 aprile 2014
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Pillole di fede La Via Crucis “Agonia di Nostro Signore Gesù Cristo”, tenutasi nella chiesa del Carmine di Cerisano è stata diretta dal maestro Massimo Belmonte
Le sette parole di Cristo Una via Crucis dal titolo “Agonia di Nostro Signore Gesù Cristo”, che si è tenuta lo scorso venerdì Santo e che si ripete nella chiesa del Carmine di Cerisano, ogni 4 anni, in occasione della Passione di Cristo Signore Gesù con meditazioni e versi rielaborati sulle note delle musiche originali del maestro Mario Greco. I versi sono di Pietro Metastasio, rielaborati e adattati dal maestro Fulvio Vercillo. L’emozionante funzione accompagnata anche da una parte in digitale, che ci ha immerso tutti nel momento più triste della Passione, la morte del Messia in Croce, è stata diretta (arrangiata e adattata musicalmente) dal maestro Massimo Belmonte con l’orchestra da Camera “Mario Greco” e con le voci di Giuliana Tenuta, soprano e Cesare Tenuta, baritono. Mentre le meditazioni sono state affidate al padre carmelitano, François-Marie Léthel, ospite, ormai, da tantissimi anni nella ricorrenza Pasquale, della cittadina delle Serre cosentine e che, con il suo sorriso, lenisce, come balsamo, le funzioni della passione fino alla Resurrezione domenicale. La Narrazione delle sette Parole di Gesù in Croce è stata affidata ad Antonio Greco, già priore della Confraternita B.V. del Monte Carmelo e dalla signora Mariella Vercillo, eredi dei compositori l’opera. La funzione ha ripercorso in una chiesa gremita di gente venuta anche dal circondario, i sette patimenti di Cristo in Croce: «Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno»; «Oggi con me sarai nel Paradiso»; «Donna, ecco tuo figlio!... Figlio, ecco tua madre»; «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»; «Ho sete»; «Tutto è compiuto»; Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». L’ultimo dei brani musicali magistralmente riprodotti dalle liriche voci dei cantanti recita: “Gesù morì, Gesù morì/Gesù morì…di nero il ciel si ammanta/i duri sassi spezzansi/si squarcia il sacro vel/E l’Universo attonito/compiange il suo Signor/e l’Universo attonito compiange il suo Signor”. Il maestro Belmonte insegna strumento nelle scuole di Mendicino e Cerisano (Cs) dove è uno dei professori maestri che compongono l’orchestra scolastica oltre ai giovani allievi. Diplomato al Conservatorio di Cosenza “Giacomantonio”, dedica la sua vita principalmente all’insegnamento delle Percussioni. Il maestro Belmonte è nipote del compositore Greco, il quale, curiosità, incominciava a provare il brano, così ci narra, fin subito dopo il Natale per ottenere il migliore risultato dai suoi musicisti. La performance offerta dal nipote è stata prodotta per orchestra e anche con musica digitale, un pianoforte, che nella settima parola, con la morte di Cristo, ha reso un effetto cinematografico nella riproduzione del terremoto e del temporale. Maestro Belmonte quando inizia il suo amore per la musica? Avevo solo dodici anni, quando ho iniziato a suonare al seguito del
Con meditazioni e versi rielaborati sulle note delle musiche originali del maestro Mario Greco Emozionante funzione accompagnata anche da una parte in digitale
La performance nella chiesa del Carmine a Cerisano Sotto, il maestro Belmonte
nonno Mario, mi sono diplomato nel 1993 in Conservatorio. Tra le sue attività più importanti: il ricordo più bello... Sono uno dei soci fondatori della “Philarmonia mediterranea”. Al momento si trova in difficoltà per i tagli, ma è stata vincitrice di premi importanti anche a livello nazionale così come tanti premi della Critica, nelle performance al Teatro Rendano. Questa non è una Via Crucis tradizionale... Sono le sette parole pronunciate da Cristo Gesù sulla Croce, che rivolge e/o esclama verso l’Altissimo e chi lo circonda. Progetti futuri? Diciamo che mi piacerebbe al momento rivalutare il lavoro di mio nonno, perché era un ottimo musicista e non era facile allora essere riconosciuti tali nelle piccole realtà. Quindi, queste sue musiche come questa, che è intima nella Passione di Cristo Le sette parole mi piacerebbe farle conoscere anche in giro nella Provincia di Cosenza. Tra gli addetti ai lavori l’opera specifica ha riscontrato un buon apprezzamento allora perché non proporla anche in altri luoghi? Oltre che Cerisano, perché da tradizione essa è rappresentata soli ogni 4 anni. Sarebbe opportuno e piacevole riascoltarla in particolari altri momenti dell’anno, che non sono necessariamente legati ai riti della settimana Santa. Ha accompagnato le musiche, le narrazioni e il bel canto, anche la meditazione di un Padre Carmelitano, François-Marie Léthel... Ci siamo trovati bene nel coniugare le musiche alla meditazione, che già nel passato era una cosa unica con le stesse. Meditazione umile, nonostante lo spessore del personaggio, diretta e toccante, così come lo sono state quelle del passato a iniziare da don Ciccio Fusaro a don Grabriele Vencia. Lucia De Cicco