Voce ai giovani

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Anno 38 - 26 Luglio 2014 - Numero 30

Settimanale indipendente di informazione

euro 0,50

di Carmelita Brunetti

Importante scoperta di due affreschi nel santuario sul monte Sellaro nel comune di Cerchiara di Calabria CON LA FORZA DEI GIOVANI

MENDICINO PARTE DAL PASSATO

550° ANNIVERSARIO

Giornate d’Europa Una grande storia per nuove menti da un gruppo da Summer school di cosentini... a dodici stelle

Il Santo di Paola al largo sullo Stretto

Un filo conduttore unisce Coppet, Ventotene e Aieta

Padre Cozzolino, un libro sul prodigio di Francesco

di Lucia De Cicco

Massimo Filice e il suo libro che parla della memoria dialettale


II

sabato 26 luglio 2014

Motori al cubo Presentato all'Unical il nuovo prototipo di auto da corsa

Rombo di cervelli «Un esempio di come la collaborazione tra le istituzioni sia in grado di assicurare risultati importanti. Concreti. Tangibili. Ma anche il modo ideale (che è auspicabile registri applicazioni più frequenti) di investire le limitate risorse economiche a diposizione, puntando a raggiungere i migliori risultati possibili». Sono stati tutti d’accordo, nell’aula Magna dell’Università della Calabria, nel condividere le affermazioni del rettore, Gino Mirocle Crisci, davanti al nuovo prototipo della macchina da corsa, realizzato dal dipartimento di Ingegneria Meccanica, Energetica e Gestionale, che parteciperà alla Formula Ata, la competizione tra studenti universitari organizzata dalla Society of Automotive Engineers (Sae) in programma a Varano, in provincia di Parma, dal 29 agosto al 1 settembre 2014. Sulla stessa lunghezza d’onda si è dichiarato Mario Bozzo, presidente della Fondazione Carical, uno degli sponsor dell’iniziativa, che ha parlato di «un risultato eccellente sotto molteplici profili, oltreché su quello propriamente tecnico-ingegneristico, un esempio anche per quanto riguarda gli sprechi, che purtroppo continuano a registrarsi sul nostro territorio, a vantaggio della qualità e di investimenti capaci di ricadute positive, soprattutto per i più giovani». E se Maurizio Muzzupappa, responsabile del progetto, non senza nascondere un pizzico di emozione, si è detto «orgoglioso del risultato ottenuto grazie alla passione, allo spirito di sacrificio e alle capacità dei nostri studenti ma, non di meno, al sostegno ricevuto dagli sponsor», il direttore del dipartimento, Sergio Bova, ha sottolineato «il valore didattico, scientifico e professionale di un’esperienza unica nel suo genere, che ha dato tante soddisfazioni al team Unical, mettendone in luce la forza e l’originalità progettuale e le cui prestazioni è lecito immaginare potranno mantenersi su livelli altissimi». La Formula Ata prevede progettazione e produzione di un’auto da corsa, valutata durante una serie di prove in base alle sue qualità di design e di efficienza ingegneristica. Istituita nel 1981, con lo scopo di dare agli studenti universitari la possibilità di confrontarsi in un evento che risulti quanto più appetibile e interessante, la competizione è oggi diffusa in tutto il mondo, con dieci eventi annuali, organizzati direttamente dalla Sae in collaborazione con le associazioni nazionali di ingegneri e tecnici dell’automobile. Maggiori informazioni sulla vettura Unical sono disponibili sul sito www.unical.it

Realizzato dal dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica e gestionale dell’ateneo, parteciperà alla Formula Ata in programma a Varano dal 29 agosto al 1° settembre

Muzzupappa, Bova, Crisci e Bozzo Sotto, Sarino Branda e Natale Mazzuca (Confindustria Cosenza) In alto, il team al completo


sabato 26 luglio 2014

550° anniversario della traversata Il libro di padre Giovanni Cozzolino

San Francesco al largo nello Stretto di Pietro De Leo

Nel 550° anniversario del miracoloso passaggio di Francesco di Paola sullo Stretto di Messina, con fine intuito padre Giovanni Cozzolino da sempre impegnato con il suo apostolato e i suoi scritti a divulgare la vita e le opere del padre fondatore dei Padri Minimi, ordine cui appartiene, nel volume San Francesco di Paola e il miracolo del passaggio dello Stretto di Messina, ora pubblicato da Editoriale Progetto 2000 con mia introduzione, ha inteso richiamare l’attenzione sui rapporti che Milazzo ebbe con il Santo, particolarmente - ma non solo - nel periodo in cui egli visse in Calabria, dalla nascita il 27 marzo 1416 alla partenza nel 1483 in Francia inviato da Sisto IV alla corte di Luigi XI, affetto da grave malattia e desideroso di godere della sua intercessione. Si tratta di ben 67 anni durante i quali la Calabria trascorse un pesante periodo sia dal punto di vista civile, che sotto l’aspetto ecclesiastico, ma conobbe anche interessanti movimenti innovatori come quelli promossi dai fraticelli e gioachimiti, tra i quali va certamente ricordato Telesforo di Cosenza. Importante la scelta del Cozzolino di basare le proprie riflessioni per decifrare la vita di San Francesco da Paola, la fondazione dell’Ordine (con la costituzione Decet nos, data in San Lucido il 30 nov. 1471 dall’arcivescovo di Cosenza Pirro Caracciolo) e i miracoli a lui attribuiti, in base alle fonti tràdite facendo per questi ultimi, essenziale riferimento al Processo cosentino, più che su quello detto Processo calabro, svoltosi dal 1516 al 1518 inserito negli Acta sanctorum dei padri, Bollandisti. Tutto ciò sulla scia delle preziose indicazioni del confratello padre Alessandro Galuzzi, già titolare di Storia della Chiesa nella Pontificia Università lateranense, allievo non solo di monsignor Michele Maccarone, ma anche dal grande paleografo e diplomatista Giulio Battelli, che in ordine alla datazione delle molteplici fonti ricordava ai propri allievi la persistenza del Calendario bizantino nell’Italia meridionale sino al sec. XVII e quindi l’inizio dell’anno al 1° settembre e la fine al 31 agosto, per non alterare il computo dei mesi tra settembre e dicembre, che anticipa lo stile moderno che va dal 1 gennaio al 31 dicembre. Senza dimenticare - è doveroso aggiungere - che 117 testimoni al Processo calabro e 58 al Processo cosentino raccontano che Francesco, già nel 1424 aveva ricevuto dall’arcivescovo di Cosenza Bernardino Caracciolo il permesso di edificare una piccola cappella, dove far celebrare le sacre funzioni, visto il grande afflusso di visitatori alla grotta in cui si

Egli ha inteso richiamare l’attenzione sui rapporti che Milazzo ebbe con il Santo

era ritirato come eremita insieme con alcuni confratelli e costruire una casupola in pietra, dove poteva meglio accoglierli. La scelta di padre Cozzolino - oggi superiore del Convento di S. Francesco di Catona - è quella di intraprendere - con il collaudato stile narrativo e accattivante - la ricostruzione di eventi essenziali della vita di san Francesco, dichiarato patrono della Gente del mare da Pio XII il 27 marzo 1943, in memoria di quel 4 aprile 1464, quando insieme con un altro confratello il milazzese Francesco Maiorano partendo da Catona, attraversò lo Stretto sul suo mantello come scafo e vela e il bastone come albero maestro, approdando in Sicilia. Ma soprattutto anche quella di porre all’attenzione tanti interrogativi ai quali la storiografia - a partire dal secolo XVI ha dato risposte differenti e talora ambigue, se non addirittura contraddittorie - dando uno sprone per ulteriori approfondite ricerche, in vista dell’imminente VI Centenario della nascita del Santo Taumaturgo, che San Giovanni XXIII nel 1962 volle dichiarare Patrono della Calabria. Non è possibile qui delineare e approfondire i variegati problemi concernenti le fonti narrative e documentarie a noi pervenute sul Taumaturgo paolano, in vista di tale compito. La lettura di questo avvincente saggio di padre Cozzolino è perciò un vibrante stimolo ad affrontare al più presto una nuova edizione critica dei Processi, ma soprattutto quella della Centuria delle lettere: un enorme problema non ancora risolto, che aspetta e merita una convincente risposta per delucidare quelle ritenute autentiche, oppure false, o interpolate: senza trascurare i dati provenienti dall’agiografia paolana che sin dal secolo XVII ha interessato diversi paesi europei come la Spagna e la Francia, ma anche la Germania dove - come è noto - imperversava la Riforma protestante. Un progetto che ci auguriamo possa essere presto realizzato in onore del nostro amato protettore. Il volume è impreziosito da bellissime immagini, che rendono fruibile l’attenzione non solo del mondo dell’arte al celebre passaggio, illustrato sia dal Cozzolino: L’immagine del miracoloso attraversamento dello Stretto negli oggetti di uso comune, sia da Giacomo Sorrenti nel capitolo: L’attraversamento dello Stretto nell’iconografia; ma anche nella letteratura come annota Giuseppe Mario Militerni con utili indicazioni bibliografiche. Un bel volume che certamente è gradevole leggere anche sotto l’ombrellone, guardando idealmente il fatidico Stretto tra Scilla e Cariddi e sperando che il Santo paolano “ce la mandi buona”, nonostante le frequenti distorsioni sul passato e presente di quella terra che non registra solo “inchini”, ma sa guardare anche in silenzio nell’alto dei cieli!

III


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sabato 26 luglio 2014

Taglio del nastro e tanti progetti Inaugurata a San Vincenzo La Costa la sede della Proloco

Ricicloni, un ciclone di energia Ambiente ed energia sono stati gli argomenti trattati in occasione della cerimonia inaugurale della sede della Proloco di San Vincenzo La Costa, creata all’interno di una struttura scolastica abbandonata, ubicata in San Sisto dei Valdesi, e che l’amministrazione comunale ha inteso concedere all’associazione per lo svolgimento delle proprie attività sociali e culturali. A tagliare il nastro, dopo la benedizione da parte di padre Antonio De Rose, dell’Ordine degli Ardorini, sono stati il sindaco, Aristide Filippo, con la presidente della locale Proloco, Oriana Pesce, alla presenza dell’assessore comunale alla cultura, Alessandra Mirandola, dell’assessore provinciale, Biagio Diana, con accanto i presidenti delle Proloco di Montalto Uffugo e San Fili, Daniele Cortese e Franco Sangermano. Grande soddisfazione è stata espressa durante il dibattito, sviluppatosi subito dopo il taglio del nastro, sul risultato ottenuto dal Comune di San Vincenzo La Costa circa la raccolta differenziata che lo vede piazzato, nella campagna regionale “Comuni Ricicloni 2014”, al quinto posto con un indice pari al 71,8%, preceduto dai Comuni di Casole Bruzio (87,6%), Pedace (79,3%), Pietrafitta (76,5%) e San Fili (73,8%). Un risultato che premia l’intera comunità e che la stimola a migliorare ancora sia sulla raccolta che sulla gestione dei rifiuti solidi urbani, quale occasione di grande rispetto dell’ambiente e delle politiche economiche strettamente collegate alla valorizzazione, difesa e promozione dell’ambiente, quale opportunità di un sistema per una vita di qualità. A tal proposito il sindaco di San Vincenzo La Costa, Aristide Filippo, ha manifestato vivo apprezzamento alla dirigenza del Parco Nazionale della Sila (è il caso di riconoscere i meriti della presidente, Sonia Ferrari, e del direttore, Michele Laudati) per il lavoro svolto in questi anni di promozione e difesa del Parco, che ha prodotto vari premi a livello internazionale, come quello del riconoscimento Unesco con l’inserimento nella Rete mondiale delle riserve della Biosfera del programma Mab/Unesco; mentre rimane ancora da lavorare per ottenere, sempre dall’Unesco, la dichiarazione di Patrimonio dell’Umanità, per la quale è in corso una campagna di raccolta delle adesioni di sostegno da parte di liberi cittadini, imprese, associazioni, istituzioni pubbliche e private. Una campagna, con l’assenza del presidente in quanto il suo mandato è scaduto nello scorso mese di marzo, che ha raccolto finora soltanto 1.037 sottoscrizioni, di cui 9 appartenenti ad Enti Pubblici, 65 imprese ed organizzazioni private ed il resto firmate da semplici cittadini. Un dato non certamente felice - ha sottolineato il sindaco di San Vincenzo La Costa, Aristide Filippo, che non trascura di invitare i colleghi Sindaci della Calabria a sottoscrivere l’apposito format utilizzando il sito www.parcosila.it, sollecitando i propri cittadini ad aderire a tale campagna, essendo il Parco Nazionale della Sila un patrimonio ambientale abbastanza conosciuto ed amato dai calabresi e non solo.

Si è parlato di raccolta differenziata e del Parco nazionale della Sila che merita sostegno per la campagna della dichiarazione Unesco di Patrimonio dell’Umanità

Questo richiede - ha puntualizzato il sindaco Aristide Filippo, che anche il ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti, dia il contributo di sostegno a tale programma di lavoro, indispensabile per il Parco nazionale della Sila, dando al Parco il suo presidente, per dare continuità ad un progetto che parte da lontano e che non può essere interrotto per ragioni di pacatezza. Occorre essere dinamici, efficienti ed efficaci nelle azioni di governo del territorio e della società e noi tutti sindaci della Calabria - ha concluso - dobbiamo fare di tutto affinché il Parco nazionale della Sila diventi il quinto sito naturale italiano dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Franco Bartucci


sabato 26 luglio 2014

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Con la forza dei giovani Un filo conduttore unisce Coppet, Ventotene e Aieta Nel Palazzo Rinascimentale di Aieta la quarta edizione della Summer school "Giornate d'Europa"

Il vento dell’Europa Già a cavallo tra Settecento e Ottocento, un salotto mondano si trasformò, sotto la lungimirante guida di M.me de Stael, in laboratorio politico di riflessione e spunto critico. Tra la Rivoluzione francese e la Restaurazione, essa riunì intellettuali quali Benjamin Constant, Charles-Victor de Bonstetten, Auguste Guillaume Schlegel, Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi, e numerosi altri pensatori e letterati, dando vita ad uno dei maggiori centri intellettuali dell’epoca incentrato su una nuova, rivoluzionaria visione di Europa coesa, libera dallo statatalismo napoleonico, fondata sulle riforme e sul federalismo economico. Le menti ritrovatesi nel piccolo centro sul lago Lemano diedero così il via ad una corrente di pensiero, che non ha mai arrestato la sua corsa, sino a Ventotene e oltre. Negli anni Quaranta del secolo scorso Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni fecero del loro periodo di confino un fertile contributo alla promozione dell’unità europea, attraverso il Manifesto che prende il nome dall’isola tirrenica della provincia di Latina, Ventotene, “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto” fu il primo documento ufficiale a profilare ad un orizzonte più vicino di quanto si potesse immaginare la necessità di un’unione di tipo federalista, sotto un’unica politica estera, una sola moneta, un solo esercito. Da quattro anni a questa parte, è il piccolo paese di Aieta, tra il Parco del Pollino ed il Mar Tirreno, con un affaccio privilegiato sul Mar Mediterraneo, ad essere culla dell’ispirazione europeista delle nuove generazioni. Nelle sale del Palazzo Rinascimentale, la quarta edizione della Summer school “Giornate d’Europa”, promossa dall’associazione socio-culturale “Centro Rinascimento”. Per una settimana, dal 24 al 30 luglio, studenti e laureati provenienti dagli atenei di tutta Italia si imbarcano in un corso di approfondimento formativo di Economia, Filosofia politica, Storia contemporanea, Storia delle Dottrine politiche, Storia dell’Europa, Diritto dell’Unione europea, Sociologia. Lo scopo del progetto è rafforzare l’idea di Europa intorno al tema di quest’anno: “Europe state of mind - Europa tra concetto, percezione e crisi di rappresentanza”. Da un piccolo borgo collinare qual è Aieta, quasi sospeso nel tempo, riparte la medesima sfida di Coppet e di Ventotene: la costruzione cosciente di un’Europa dal basso, che prenda spunto dalle sue radici storiche e culturali e, calandosi nella realtà presente, sappia rispondere ad ogni esigenza ed evoluzione. L’Europa col volto dei giovani.

Promosso dall'associazione socio-culturale Centro Rinascimento

Studenti e laureati provenienti dagli atenei di tutta Italia immersi in un corso formativo di Economia, Filosofia Politica, Storia contemporanea, Storia delle dottrine politiche, Storia dell’Europa, Diritto dell’Unione europea, Sociologia


VI

sabato 26 luglio 2014

Ripartire dal passato Incontro organizzato dall’amministrazione comunale e dall'associazione "Contrada Rosario"

Mendicino, una grande storia di Lucia De Cicco

L’associazione “Contrada Rosario”, presidente Fulvio Canonaco, ha organizzato in collaborazione con l’amministrazione comunale di Mendicino, Cs, una serata nell’anfiteatro, presso la villetta Paolo De Benedittis, della frazione Rosario, dal tema “Mendicino una grande storia” con la presenza del socio fondatore Massimo Filice, scrittore, che ha ripresentato il suo libro Cosenza, Mendicino e dintorni, la memoria dialettale, che sta riscuotendo enorme successo di vendite, casa editrice The writer. Moderato dalla giornalista Elvira Madrigrano, intrattenimento con Nando Brusco. Le narrazioni, che si sono susseguite, sono state eseguite con ausilio audiovisivo e musica, gli incontri termineranno il 30 luglio. Massimo Filice ha ripercorso il suo testo raccontando di come sia nata l’idea di narrare la sua frazione, il Rosario, e di come si sia sviluppata nel tempo. Dall’epoca in cui un gruppo di cosentini si spostò al seguito dei padri domenicani per costituire un nuovo nucleo che oggi si leggerà attraverso i testi, andò a coinvolgere anche Carolei, la frazione attuale di Vadue e Piazza Riforma, era infatti uso che nella festività si salisse la copia del Ss Crocifisso della Riforma fino alle porte del Rosario. Sono pieni di pathos i riferimenti alle prime case che sono sorte nella contrada, piene di affetto l’elenco dei nomi che sono passati per questa contrada, con maggiore riferimento alla famiglia Gervasi. Presenti alla serata il sindaco di Mendicino Palermo, il vicesindaco Greco, l’assessore Irma Bucarelli e l’assessore Gervasi. Mendicino dal Medioevo al Risorgimento è stata affidata nella narrazione all’architetto Canino. Il Medioevo inizia con una battaglia navale, la città di Paola e la schiavitù. 1566 le flotte Italiane catturano una flotta dei Corsari. La schiavitù si pensa sia solo opera dei Saraceni, niente di più errato anche i Nostri fecero tutto ciò e buttati nelle campagne a uso dei Feudatari. Di conseguenza siamo figli di queste belle donne saracene o uomini saraceni di cui i signorotti da Paola a Cosenza ne fecero uso a proprio vantaggio tra terra e divertimento. Quindi, anche Mendicino fu attaccato dai Saraceni. E ancora lo storico narra di una grotta, che ha solo Mendicino, nel sito archeologico del paese, contrada Le Palazze. Crosta meravigliosa di un paese che si estende nel Sud Italia, fatta costruire dalla famiglia Magliocchi nel 1530. Esistono anche a Pompei e Ostia, ma non risalgono all’epoca medievale, e non sono, afferma Canino, belle come questa. Il convento sito in San Pietro presumibilmente è stato costruito attorno al 1530, finito nel 1609 in pochi conoscono questa grotta Medievale che si trova nell’area di San Michele. Come mai si chiede il nostro storico, la Soprintendenza non se n’è accorta? Il Castello era sito nel luogo, dove, oggi c’è Palazzo Campagna del Gaudio. 1751 la documentazione dell’epoca segna i due Castelli, l’attuale e l’altro crollato in seguito a terremoti, ricostruiti e come per il Palazzo Campagna del Gaudio, sostituito e sito nella parte antica del Paese. La chiesa di San Nicola esisteva già nel 1137 e con resti di mura tardo Romane, in località Terre “Duonniche” Donniche (Dominiche = del Signorotto), vi erano templi in cui si praticava il divorzio, tra parenti. Era possibile il matrimonio, a pagamento la soppressione degli infanti, nelle famiglie troppo numerose. Diciotto chiese in totale. Curiosità: nel 1835 expo di Parigi partecipa la registrazione della presenza dei “Quadarari calabresi”, tecnologia del rame che esportavamo all’estero. La terza parte della serata è stata dedicata a capire e discernere che cosa racchiude il testo dello scrittore Filice, leggendolo coinvolgendo il pubblico con l’aiuto della moderatrice, passando dall’uso dell’aglio, alle coppette, con l’aiuto dello storico Tonino Catalano, appassionato di detti dialettali e ricercatore della storia di Mendicino. “Rimanere ppe simenta” che cosa significa? Le spiegazioni sono state molteplici e divertenti, anche fantasiose, in realtà significa lasciare maturare l’ortaggio da cui trarre i semi per poi piantarli nella nuova stagione. Ed è ciò che auguriamo a Mendicino: che questo nuovo seme ci apra a nuove conquiste, per capire il nostro passato ma soprattutto per vivere meglio il nostro futuro.

Il socio fondatore della associazione, lo scrittore Massimo Filice, ha ripresentato il suo libro “Cosenza, Mendicino e dintorni, la memoria dialettale” che sta riscuotendo enorme successo


sabato 26 luglio 2014

Ripartire dal passato

Filice ha spiegato come è nata l’idea di narrare la sua frazione, il Rosario, e di come poi si è sviluppata nel tempo Dall’epoca in cui un gruppo di cosentini si spostò al seguito dei padri domenicani per costituire un nuovo nucleo...

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sabato 26 luglio 2014

A Gizzeria il 26 e 27 luglio il vascello dei laghi di Legambiente arriva in Calabria

Con l’acqua alla “Goletta”

Arriva in Calabria la Goletta dei Laghi, la campagna di Legambiente dedicata ai bacini lacustri italiani, realizzata con il contributo del Coou (Consorzio obbligatorio oli usati) e di Novamont. Sabato 26 e domenica 27 la tappa calabrese di Goletta dei Laghi sarà a Gizzeria, in provincia di Cosenza. Un weekend all’interno del Kitesurf tour europeo che si svolge presso il lido Hongloosebeach, dove Legambiente darà vita a due giornate di eventi e di divulgazione in merito al progetto di realizzazione dell’oasi naturalistica dei Laghi La Vota. «La Goletta dei Laghi - sottolinea Federica Barbera, portavoce della campagna ambientalista - si occupa sia di monitorare la qualità delle acque dei bacini e denunciarne i problemi sia di promuovere gli ecosistemi lacustri e valorizzare le buone pratiche. Nella tappa calabrese accenderemo i riflettori sul laghi della Sila, che possono diventare il centro di uno sviluppo sostenibile del territorio ma devono affrontare alcune minacce, ad iniziare da quella dello svuotamento». Le iniziative della Goletta dei Laghi in programma a Gizzeria (Cs) dal 26 al 27 luglio presso il lido Hongloosebeach: Sabato 26 e domenica 27 stand informativo con pannelli che illustrano il progetto per la realizzazione dell’oasi naturalistica dei Laghi La Vota di cui Legambiente Calabria è protagonista Domenica 27 “Fruizione e conservazione della natura. I laghi Silani al centro di una nuova idea di sviluppo” Legambiente Calabria in collaborazione con i circoli di Legambiente Sila, Petilia e Acri organizza un’escursione presso il lago di Ariamacina con ritrovo alle 9.00 presso il ristorante la Locomotiva Bivio Silvana Mansio a San Giovanni in Fiore (CS), inizio escursione alle 9.30, rientro presso il ristorante alle 13.00 e degustazione di prodotti tipici Alle 15.00 è prevista una visita al museo della Ferrovia e a seguire un dibattito sul turismo sostenibile al quale interverranno: il presidente del circolo Legambiente “Sila” Giuseppe Veltri, il presidente di Legambiente Calabria Francesco Falcone e il resp. Nazionale aree protette di Legambiente Antonio Nicoletti. All’interno del dibattito verrà presentato il dossier Goletta dei Laghi 2014 “Laghi della Sila, tra grandi incompiute e il pericolo di svuotamento” Segui il viaggio della Goletta dei Laghi sul sito www.legambiente.it/golettadeilaghi E su facebook.com/golettalaghi

La campagna ambientalista in provincia di Catanzaro e Cosenza per accendere i riflettori sui laghi La Vota e quelli silani

Chiusa la tappa cosentina del Peperoncino Fest

Cosenza e il jazz piccante «Una cinque giorni intensa che ha contribuito a diversificare l’offerta dell’intrattenimento estivo in città attraverso proposte musicali di grande qualità». Così il sindaco Mario Occhiuto commenta la chiusura della tappa cosentina, suddivisa in cinque serate, del “Peperoncino Jazz festival”, rassegna che a distanza di due anni dall’ultima volta è tornata a toccare con successo il capoluogo bruzio e che proseguirà adesso nella sua formula itinerante diffondendo in numerosi Comuni calabresi il fascino delle note jazzistiche di artisti locali e internazionali. «L’amministrazione comunale - aggiunge il Sindaco - apprezza i progetti culturali che legano l’affermazione identitaria sul territorio a un ampio respiro di globalizzazione, oltre che di riconosciuta attrattiva, quale è proprio il ‘Peperoncino Jazz Festival’diretto da Sergio Gimigliano, al quale va il mio personale ringraziamento insieme a tutta l’associazione Picanto. Mi piace evidenziare in particolar modo l’unicità di un appuntamento come quello andato in scena sabato scorso nell’anfiteatro della Villa vecchia, quando a esibirsi davanti a un pubblico entusiasta è stato il super trio formato da John Patitucci, Danilo Perez e Brian Blade in esclusiva per il centro sud Italia del tour mondiale dei ‘Children of the light’. Ma non sono stati da meno, ognuno con le rispettive peculiarità e target di interesse, neanche i primi due appuntamenti su corso Telesio e gli ultimi due suggestivi concerti nel chiostro di San Domenico inaugurato da poco dopo il restyling. La scommessa sull’ottimo jazz veicolato da un’ottima organizzazione - conclude Occhiuto - si è riconfermata vincente con nostra viva soddisfazione».


sabato 26 luglio 2014

Torna il “boulevard” cosentino Scalea offre una grende varietà di chiese, cinque cattoliche, una valdese e una evangelica

Evangelo nel cuore di Lucia De Cicco

L’ultima della lista è protestante: si fonda sulla Parola biblica, le lettere di San Paolo e il Vangelo

La città di Scalea, è un centro aperto alle “invasioni” che soprattutto provengono dalla Campania, lo sappiamo terra di Metastasio, poeta e religioso, essa offre una varietà di chiese, ben cinque chiese cattoliche, una Valdese e un’Evangelica Adi. Quest’ultima è protestante, si fonda essenzialmente sulla Parola biblica, le lettere di San Paolo e l’Evangelo. Entrando campeggia alle spalle del pastore la scritta: “Dio è amore”, con un albero, che simboleggia la vita, le radici, le chiome e le foglie quasi staccate dai rami, alla ricerca di avvicinare nuove anime. Non ci sono statue, non c’è Cristo Eucarestia, nessun rito, niente segno della croce, ma solo la benedizione finale, il segno della pace tra i tantissimi canti che, come affermava Sant’Agostino, è due volte pregare. Un gruppo di giovani racconta la propria esperienza al campo estivo, e il pastore invita ai canti, alla meditazione, al continuo ringraziare Gesù. Il silenzio come lo possono intendere i cattolici è quasi totalmente assente, somiglia molto alla Chiesa d’oltralpe, dove ognuno può leggere i salmi e ringraziare il Signore per ciò che ogni giorno offre. Si possono anche raccontare esperienze personali ad esempio di come il Signore si manifesta nel quotidiano di come lo si incontra e tutto appare così semplice e solare. Per certi versi somiglia tanto al movimento di Comunione e liberazione, dove un pastore invita a meditare sui versi biblici o i testi di don Giussani, fondatore della fraternità e dove poi ognuno è invitato a vivere la propria fede spontaneamente e raccontare il proprio cammino, oppure le proprie esperienze. Ciò che risalta immediatamente è sicuramente il fatto che non esistono riti se non quelli espressamente richiesti nella Parola, tutto è così libero, gli amen e alleluya si alternano alle parole del pastore, che è un uomo qualunque capitato a Scalea per lavoro e che oltre la famiglia si è portata dietro anche la sua fede. Un operaio per l’opera del Signore. La comunità, che durante l’anno conta venti aderenti, aumenta durante il periodo estivo. Le donne indossano la veletta sul capo, così come si usava fino agli Anni ‘70 del secolo scorso, anche nella Chiesa cattolica, soprattutto di periferia, e si siedono dal lato opposto agli uomini. Tutto scorre con tranquillità, i bambini che sono presenti, si sa sembrano non riuscire a seguire per intero tutta la liturgia, ma la tranquillità delle persone non sembra essere distratta affatto dal loro continuo entraree uscire. La concentrazione è massima e la preghiera è introspettiva, una voce si leva più forte, a un tratto, dopo la lettura della Il pastore Franco Liguori Parola che in questo caso è tratta dal Libro dei Re, caSopra, un momento della liturgia pitolo 4 versetto 2. E quel vociare, che sembra un disturbo continuo, a un tratto acquista senso, fosse quasi un canto e non un lamento. Le persone sembrano felici alla fine della preghiera e le donne baciano solo le donne e gli uomini solo gli uomini, mentre sono possibili le strette di mano. L’impressione

forte che ne ho avuta è stata quella di una Chiesa dei primi anni dopo la morte e resurrezione di Cristo, dove gli ordini e le vesti non contavano nulla, dove ognuno poteva essere libero di esprimere il proprio amore per Dio. Abbiamo rivolto qualche domanda al pastore per renderci conto di una modernità, che però racchiude segni anche di chiusura come l’indossare il velo, lo stare separati, come sesso, tra le sedie della comunità. Il pastore che è regolarmente coniugato e con figli, lo abbiamo già detto, si chiama Franco Liguori; non si sottrae alla nostra intervista, anzi attraverso alcune riviste di cui ci fa dono, comprendiamo di come, invece, il farsi conoscere anche attraverso i media sia condizione essenziale per la diffusione dell’Evangelo. Dopo diciotto anni trascorsi in Campania, lo aspetta l’attività di dipendente Enel a Scalea, dove ora risiede. Ci chiarisce la divisione tra maschi e femmine e l’indossare il velo, che sta scritto nelle epistole di Paolo ai Corinzi, simbolo che sopra di noi c’è solo Dio; tuttavia ci tiene a sottolineare che questa è una libera scelta, non necessariamente è obbligatorio. «Per tutte le Chiese, l’abbigliamento deve essere decoroso, senza scollature: così qui; se poi qualcuno non indossa il velo non ha alcuna importanza, il Signore guarda il cuore, non come ci si veste. Anche il sedersi separati rientra negli insegnamenti delle epistole di Paolo: la Chiesa dei Corinzi era sottolineata da queste differenze. Le epistole di San Paolo sono per noi fonte di insegnamento della Chiesa». Ci colpisce che l’Evangelo in quella particolare giornata non è menzionato, mentre è letto il Vecchio testamento. Ciò a rilevare la connessione che c’è tra il Nuovo e il Vecchio. Il riferimento specifico al Libro dei Re, sottolinea la nostra capacità di essere dei vasi da ricolmare di grazia e di Spirito santo, l’anima è il soffio che è dato a questo pezzo di polvere che ritornerà tale con la morte. La Pentecoste è un rito importantissimo per gli evangelisti, che attraversa questo darsi il segno della pace, perché quando Gesù entrò, disse ai suoi apostoli dopo la resurrezione «pace a tutti». La liturgia, ci spiega il pastore, è un modo per restare nell’incoraggiamento reciproco, non è un rituale, ma un voler restare uniti nel segno di Gesù: «La nostra è l’opera della salvezza del ministero delle anime, stiamo portando avanti un bel progetto anche nelle carceri: l’11 agosto prossimo sarà ospite un pastore che fa ciò nelle carceri di Capua e Poggio Reale, Benevento». L’appuntamento è quindi in agosto per scoprire come anche in carcere si può arrivare alla salvezza della propria anima.

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sabato 26 luglio 2014

Con la testa in su senza fiato Importante scoperta di due affreschi nel Santuario sul monte Sellaro nel comune di Cerchiara di Calabria

Sorprese disarmanti alla “Madonna delle Armi” etti di Carmelita Brun

Importanti rinvenimenti sulle pareti a sinistra e a destra dietro l’abside, a dimostrazione che l’edificio è più antico di quel che si pensava

Venerdi scorso, in una conferenza stampa indetta dal sindaco del Comune di Cerchiara (Cs) Antonio Carlomagno, con la presenza del presidente della Fondazione del santuario Santa Maria delle Armi Luca Franzese, il rettore del santuario padre Domenico Cirigliano, il direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici della Calabria Francesco Prosperetti, il soprintendente Bap per le province di Cosenza, Catanzaro, Crotone, Luciano Garella, Mariano Bianchi della soprintendenza Bap, Rosanna Caputo della soprintendenza Bsae, i progettisti e direttori dei lavori Francesco Parrilla e l’ingegnere Salvatore Sirianni, si è resa pubblica la notizia degli importanti affreschi rinvenuti sulle pareti a sinistra e a destra, dietro l’abside, del santuario. Grazie a questi ritrovamenti si dimostra, altresì, che il santuario è più antico di quel che si pensava (secondo la tradizione locale la costruzione risalirebbe intorno alla metà del XV secolo, ndr). Molto probabilmente, la tesi avanzata, tempo fa, dallo storico dell’arte Paolo Franzese è avallabile, poiché egli aveva datato il santuario a un’epoca più antica risalente al periodo di Leone III Isaurico, imperatore bizantino dal 717 al 741 (iconoclasta; in sèguito a un sinodo convocato da Papa Gregorio III che stabilì la scomunica per chi avesse profanato il patrimonio iconografico, Leone III rispose confiscando le proprietà terriere della Chiesa Romana in Sicilia e in Calabria, ndr). Si è previsto oltre alla revisione del progetto per il recupero e la valorizzazione dell’antico impianto anche il recupero di eventuali affreschi, nel rispetto degli ampliamenti eseguiti già ai tempi dei Principi Sanseverino (XVI e XVII) e dei Principi Pignatelli (XVIII). A eseguire i lavori di restauro è stata la ditta di fiducia del Mibact Gianfranco Mirabelli di Rende (Cs) ed eseguiti dai restauratori Monica Venneri, Battista Salemme e Francesco Musolino; invece lo storico dell’arte Stefania Bosco è stata la responsabile della diagnostica delle pitture. La società “Diarco spin off” dell’Università della Calabria è stata incaricata per eseguire esami diagnostici alle opere pittoriche del santuario.

Gli affreschi rinvenuti nel santuario In particolare nel riquadro centrale in basso, l’affresco completamente ripulito relativo alla zona tratteggiata in alto

Sulla parete sinistra dopo la rimozione di strati di muratura è rinvenuto un delizioso affresco, quasi intatto, raffigurante l’arcangelo Gabriele, dalle delicate cromìe del blu, giallo, marrone, e dai lineamenti del volto marcati e con sguardo intenso, databile al XIII secolo. Sulla parete di destra dell’altare maggiore, dove già era stato scoperto un affresco raffigurante la Madonna con il Bambino XV secolo, è rinvenuta una pittura orientaleggiante e raffigurante un volto appena accennato con mano benedicente. Questi ritrovamenti consentiranno agli studiosi di ricostruire i periodi storici e artistici di questo suggestivo luogo.


sabato 26 luglio 2014

Con la testa in su senza fiato

Bove e Limardi, due calabresi doc

Comicità da premiare Bove e Limardi sono due calabresi doc, due comici di grande successo, due veri artisti, ma un’unica cosa quando salgono sul palco per far divertire il pubblico con le loro esilaranti gag. Ma oggi, i due comici paolani, dopo la recente esperienza televisiva della trasmissione Giass di Antonio Ricci, andata in onda in prima serata su Canale 5, sono stati chiamati a rappresentare se stessi sul palco di uno degli appuntamenti più attesi nella spettacolare cornice della Riviera del Corallo. Oltre ad esibirsi con i loro imperdibili sketch insieme al grande imitatore del Bagaglino, Manlio Dovì, i due mattatori di Zelig hanno ritirato il Premio alla Voce inserito nell’undicesima edizione del Premio internazionale “Leggìo d’oro”. Sulla Banchina Garibaldi del Porto di Alghero, organizzato e realizzato dalla Endas, il premio è stato consegnato nelle mani di Enzo Bove e Andrea Limardi da Moreno Morello, presentatore della serata, e da Alessia Reato, la bellissima velina di “Striscia la notizia”. Uno dei più attesi appuntamenti estivi della Sardegna, il “Leggìo d’oro” è un riconoscimento che premia le voci del cinema e della televisione italiana. Dal 1995, il premio nazionale valorizza un’arte mai sufficientemente gratificata e consiste nella consegna di premi per categoria a doppiatori che si sono distinti nel doppiaggio di un film nel corso dell’anno. La manifestazione è stata ideata da Vittorio Vatteroni ed è presieduto da Lorenzo Beccati, autore di “Striscia la notizia”.

Bove e Limardi con Moreno Morello e Alessia Reato

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sabato 26 luglio 2014

Il racconto La raccolta delle chiocciole a Cirella

Presto, o ti scappano le lumache di Giuseppe Aprile

Ad inverno inoltrato le lumache non ci sono più. O si va per raccoglierle il primo giorno di pioggia intensa dopo la calda estate, o si perde il piacere della raccolta e di mangiarle. Si perdono perché escono dal letargo in una volta o, al massimo, in due a seconda di quanto la terra è stata ammollata dalla pioggia. Potrebbe anche esserci una terza mattinata utile per la raccolta, ma solo se nelle prime due la pioggia è caduta leggermente. Le lumache stanno dentro la terra per tutto l’anno ed escono tutte in due giorni; se ti perdi il piacere di raccoglierle, non te le ritrovi più. Quest’anno mi sono tenuto informato del mio paese, da dove manco da venti anni; da quando mi sono trasferito con la mia famiglia a Reggio Calabria e vivo nel ricordo delle cose che facevo in esso da giovanissimo. Totò mi aveva informato e si tenne pronto per venire con noi approfittando della mia auto e godendo della mia compagnia. Da Reggio a S. Ilario è solamente poco più di un’ora di viaggio. Nulla se penso al piacere di ripetere il rito della raccolta delle lumache. Un rito che si celebra da secoli e che vede interessati tutti i paesani ed in tutti i luoghi delle zone argillose, biancastre e poco erbose perché mantengono i segni dell’aratura che il contadino aveva fatto, a fine stagione, per dissodare l’erba sulla e farne le balle di fieno da conservare per l’intero inverno degli animali, o per semplice pulizia della terra in modo che venisse sottratta alla certa invasione di altra erba selvatica rifiutata da ogni tipo di animale ma che spuntava e cresceva enormemente facendo perdere anche quella utile per conservarsi come fieno e che comprendeva due o tre tipi di erba buona e conservabile in balle o in manne come fieno che serviva sia per gli asini, sia per i buoi che per capre e pecore. Ci spiegava massaro Micantoni: «Non che gli animali si accontentino di questo. Mangiano il fieno maggiormente, ma guai se non gli date anche periodiche dosi di cibo prediletto, che noi contadini paragoniamo con la carne, i pesci e la frutta degli uomini. Gli animali vanno trattati come gli esseri umani. E come per l’uomo c’è la pasta, la polenta e lo verdura che sarebbero serviti come primo, per gli animali dovete dare anche quello che si potrebbe considerare una specie di loro secondo, dopo il primo di erba e fieno, e che consiste in biada che può essere di fave, di resti di farina cernuta mischiata con i piselli duri, o l’avena». - Vedete che gli animali vogliono trattati per bene, meglio di noi stessi; e capiscono più di quanto alcuni di noi pensano - concludeva. Ad inizio d’inverno, anzi, in pieno autunno, quando difficilmente la terra si sottrae alle prime forti piogge, devi avere immesso nella capanna tutto il mangiare per gli animali perché si conservi all’asciutto e, comunque, fuori dalla portata dell’acqua piovana. Una volta, prima che mi trasferissi a Reggio, nel perdurare della mia vita da scapolo e comunque da ragazzo giovane, non ci sfuggivano le prime piogge. Un po’ perché stavamo attenti e molto perché eravamo tutti interessati e ci informavamo l’uno con l’altro, in prima mattina, quando ancora non era sorta l’alba e tutto era assorto nel buio delle prime giornate cattive. Alcuni avevano il sonno più lento degli altri, e sentivano il primo sbattere sui vetri della propria casa, l’acqua che cadeva dal cielo. C’erano addirittura quelli che si dicevano specialisti nel sentire la pioggia anche se cadeva leggermente. Non avevano bisogno del diluviare per rendersi conto che fuori l’acqua spazzava le ultime rimanenze del buon tempo dell’estate oramai al tramonto. Io ricordo che, essendo distante dall’abitato del paese una quindicina di chilometri Cirella, il paese che vantava terreno davvero adatto per le lumache e non essendoci allora le auto di cui ora abbondiamo, tante mattine dovevo faticare per riparare le ruote della bicicletta che era l’unico mezzo per raggiungere la terra delle lumache. E mi mettevo, nel buio della mattinata ancora avvolta nelle tenebre, per riparare la camera d’aria della mia vecchia

Stanno sotto la terra tutto l’anno ed escono tutte in due giorni; se non ti sbrighi non le ritrovi più O si va per raccoglierle il primo giorno di pioggia intensa dopo la calda estate, o si perde il piacere della raccolta e di mangiarle

bici e poter partire; qualche volta non ce la ho fatta a prima mattina, mi arrivò la luce del giorno sulla groppa e, diventato più facile lavorare, potetti iniziare il viaggio con ritardo assai rilevante. E la raccolta è stata misera, sia pure sempre avvincente. Una volta era successo che io andavo verso quella terra e tantissimi facevano ritorno. E dovevo spiegare il perché del mio ritardo. «Vai che ancora trovi» mi dicevano alcuni che sapevano quanto, in tarda mattinata e magari con lo spuntare del primo sole, le lumache si sarebbero ritirate nuovamente dentro la terra. Da una parte c’era che i più avevano raccolto perché avevano girato tutti i pezzi di terra dove sapevano di trovarne, dall’altra che il mio arrivo il ritardo impoveriva la mia raccolta. Ma mi godevo ugualmente la mattinata avendo l’idea che il raccoglierle, tra quella terra umida, che spesso faceva fango, insieme a tanti altri amici, mi rendeva felice, gioioso. E dicevo spesso, come tanti altri, che la raccolta piaceva addirittura di più rispetto al mangiarle. Non erra proprio così perché le lumache, fatte con il sugo di pomodoro e condite con olio d’oliva buono e aromatizzate sopratutto con buon peperoncino, erano una delizia. Ma si diceva così perché era il modo per sottolineare che avevano ragione i tanti che fermavano il loro massimo piacere al rito della raccolta. Cecè, il bravo Cecè che era molto attaccato alle cose della vita di paese, diceva addirittura che lui amava la raccolta delle lumache anche se queste non gli piacevano da morire; anzi, non gli piacevano spes-


sabato 26 luglio 2014

Il racconto

paesi rurali. Io non dimenticherò mai la gioia del giorno in cui, tutti a tavola, sedevamo per gustare le lumache fatte solitamente in due modi; quello più comune e di maggiore abbondanza che era costituito dalla loro frittura con un ottimo brodo piccante; e quello che era molto più semplice e sbrigativo, ma non meno gustoso, che vedeva le lumache fritte solo con puro olio d’oliva e così consumate. Mio padre e mia madre erano molto legati alla tradizione anche perché era piacevole l’andare a raccoglierle ed erano ricordi dei propri avi che avevano avuto lo stesso appassionato modello di comportamento come rituale proveniente da lontani tempi e da tante generazioni del più lontano passato. Non c’era persona, nel paese, che non partecipasse a tanto piacevole rito. Grandi e piccoli, senza alcuna differenza di età, sembravano essere diventati della stessa età. Tutti, allo stesso modo, per la raccolta e il consumo a tavola condividendo un piacere che era tutto famigliare e per l’intero paese. Come per tutte le altre cose poteva anche esserci qualcuno che godeva di meno, ma per tutti indistintamente comunque era una gioia infinita attendere e godersi questo rito antico e nuovo nello stesso tempo.

so affatto e mangiava pochissime a casa, quando sua madre le faceva friggere in padella. Lui mangiava il meno di tutti in famiglia anche se era il solo a raccoglierle. Diceva che per lui la soddisfazione era solo nella raccolta, che per lui tutto si poteva fermare alla raccolta. Poi, diceva: «Sapevo che era peccato e non lo facevo, ma per mia volontà non ci avrei pensato due volte per rimetterle libere nella terra a proseguire la loro vita e, magari, trovarceli più abbondanti nella stagione successiva». Prima ancora, quando solo la gente di montagna, della lontana Ciminà oltre che di Cirella, quando venti chilometri erano sentiti più lunghi, in mancanza di mezzi perché si raggiungessero, sapeva di esse che venivano raccolte e portate per la vendita ai paesi di marina come cibi assolutamente prelibati. Quest’anno feci anche una eccezione. Non solo mi sono divertito con Totò a raccoglierle in abbondanza, ma lungo la strada di ritorno per Reggio Calabria, senza badare al prezzo abbastanza elevato con cui le vendevano, mi feci riempire abbondantemente le buste che avevo e sono tornato a casa con una decina di chili di lumache. Molte le abbiamo conservate nel congelatore. Penso che le lumache, ben fatte con brodo di pomodoro fresco dentro cui ci mischiavano peperoncini piccanti, prezzemolo e cipolla, costituiscano uno dei piatti più prelibati di tutte le generazioni di contadini del paese e la loro raccolta, funzionale ad un pasto abbondante sulla tavola imbandita anche con fiaschi di buon vino, era una delle feste più sentite e antiche dei villaggi di campagna e dei

Un rito che si celebra da secoli e che vede interessati tutti i paesani e in tutti i luoghi delle zone argillose, biancastre e poco erbose

Nessuno ha mai pensato che si sarebbe arrivati al giorno in cui la raccolta delle lumache sarebbe stata un ricordo. Per molti contadini, addirittura, costituiva gioia raccontare come e dove avevano trovato più lumache. E c’era chi era più abile a raccoglierle, chi era più esperto e chi lo faceva con più spigliatezza perché più profondo conoscitore del terreno e dei punti dove avrebbe trovato di più.Si sapeva che la zona più umida avrebbe offerto più abbondanza. E lì c’erano lumache singole e pariglie, cioè una o più coppie. Della zona di Cirella nessuno sapeva l’esistenza fino a quando non venne una famiglia, quella del collocatore comunale che si chiamava Rocco Bova, ad abitare in paese proveniente da tale centro, vicino al paese denominato Cimino. La caratteristica di questa zona era che dalla sua conoscenza venne una nuova idea delle lumache. Si raccoglievano a chili, si riempivano buste intere che pesavano a volte anche dieci chili. Nei tempi passati, quando la vita era più raccolta nel luogo di nascita e il passare tra una zona e l’altra era un fatto più raro, le lumache si raccoglievano e si mangiavano in minore abbondanza. La scoperta della zona di Cirella, dovuta appunto al collocatore ed alla sua famiglia, fece fare un grande balzo avanti alla festa perché, da allora in poi, le lumache non sono state più una cosa da assaggiare magari da ghiotti solamente, ma divennero una grande abbondanza che consentiva un pranzo o una cena assai esaustiva dei poteri di ricezione anche per le pancette più capienti. Sulla terra dove si raccoglievano le lumache era, per tutta la mattinata, un vociare di amici e conoscenti che ad ogni vista di quel ben di dio, gridava e vantava di aver trovato. E diceva «Ecco una! Anzi, due, tre, una coppia». E molti si spostavano verso quelli che gridando di gioia mostravano che nella loro zona c’era più abbondanza. Era un muoversi di qua e di là alla ricerca dei punti di maggiore presenza e per una raccolta che fosse la più abbondante possibile. Incontrandosi, poi, verso la fine, ognuno mostrava all’altro il suo raccolto mostrando la busta indicando fin dove era stata riempita. «Io ho raccolto tre chili» diceva Ciccio che sempre si sentiva in ottima forma e ben disposto alla raccolta. «Ed io sono arrivato a quattro chili» rispondeva Franco. Qualcuno non aveva avuto un buon successo. Non era stato fortunato, come si diceva. Perché non conosceva bene il terreno o perché era meno svelto degli altri o perché era lento come per tutte le altre cose della sua vita. Ma il minimo importante per una soddisfacente mangiata lo ricavavano tutti. Quelli che avevano di meno, avevano comunque abbondanti per soddisfare l’intera famiglia. Nessuno rimaneva senza. C’era un ragazzo che è rimasto nella storia paesana per la sua immensa abilità di raccogliere lumache. E se le vendeva portandosele e disponendole in una vasca di creta al ciglio della strada nazionale, dove il traffico sarebbe stato abbondante e passava gente di paesi di marina che, si sapeva, erano meno esperti di quella dei paesi di collina e di montagna, maggiormente caratteristici non solo per le lumache, ma anche per le altre abbondanze che trovavano in terra collinare e montana come i funghi, l’origano, gli asparagi, le fragole, i tartufi. Uno, forse il più noto, era Mimmarello ‘u Giara che correva velocemente, si arrampicava sulle rocce delle colline, saliva sugli alberi qualunque fosse la loro altezza e qualunque difficoltà presentassero. Mimmarello sembrava uno fatto per la campagna, per le zolle di terra, per fare in contadino, per una vita più da animale che da uomo. Aveva, come dicevano tutti, una grande vocazione naturale per la terra e la sua vita. Per questo, forse, era noto e conosciuto e per questo in ogni sua attività campagnola, sembrava invincibile.

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sabato 26 luglio 2014

Fede, arte e versi Festeggiamenti per le celebrazioni in onore della Beata Vergine del Carmelo a Zumpano

Maria, ti festeggio in poesia In occasione delle celebrazioni in onore della Beata Vergine Maria del monte Carmelo sono stati tanti i festeggiamenti, che si sono tenuti a Zumpano (Cosenza) dal 14 al 19 luglio nella frazione di Rovella dove si sono susseguite varie manifestazioni tra cui anche un reading di poesia in vernacolo e lingua in collaborazione con l’associazione della Bottega degli Hobbies di Castrolibero di Vilma Perrone e organizzata dall’associazione Confraternita Madonna del Carmine, presidente, Luigi Perna. La chiesetta che si trova ubicata nella frazione di Rovella, oggi è di proprietà ecclesiastica, ma fu edificata nel 1884 da Pasquale Bonanno, uomo facoltoso del centro, le cui spoglie mortali si trovano oggi sotto la chiesa stessa. Il reading che ha visto anche l’esposizione di mostre di pittori del Cosentino e di artigiani anche del luogo ha registrato anche un momento di baby dance dedicata ai più piccini con il gruppo coordinamento giovani della congrega. I poeti presenti: Francesco M. T. Tarantino, Antonio Strigari, Gaetano Caira, Massimo Cistaro, Mario Mandarino, Rosa Leale, Carmine Marozzo, Franco Aloise, Aurora Pietramala, Marcello Manna, l’attrice Angela Gallo che ha recitato le poesie di Gaetano Caira, Stanislao Donadio e un omaggio in poesia, ai poeti Tarantino, Cistaro e Caira da me sottoscritta. I pittori Mimmo Intrieri e Patrizia Vercillo con Marcello Lupo e l’artigiana Elena Destefano, Nicola Magliocco, Maria Rosaria Carpino della Bottega degli Hobbies hanno esposto in piazza tra le grida di gioia dei bambini e altri artigiani del luogo. Una festa che si è conclusa il 19 luglio in contemporanea con la parrocchia di San Giorgio, che quest’anno ha ritenuto di accorpare le due feste (normalmente san Giorgio si festeggia nella prima settimana di maggio). Il teatro che ha ospitato il reading ha registrato anche la presenza di Raffaella Scarpelli, cantautrice del Cosentino che spesso fa duo con il chitarrista e giornalista tv, David Formoso.

I presidenti delle associazioni Vilma Perrone e Luigi Perna Sopra, i poeti della serata

Ritornando alla festività e alla sua chiesa: la chiesa presenta esternamente una forma rettangolare con un unico ingresso centrale. Sul lato nord sono situati il campanile e la sagrestia. La navata è unica e in parte si conserva l’originario pavimento in maiolica dipinto, mentre le tele che si trovano all’interno tra cui santa Sofia sono del primo quarto del novecento, nella stessa piazza vi è san Nicola, oggi in restauro da cui sono state traslate nella sagrestia della Cappelletta del Carmine un Cristo del XVI- XVII secolo e la statua di san Nicola. La volta è impreziosita dal dipinto della Vergine del Carmelo, che consegna lo scapolare a San Simone Stock e il profeta Elia. La statua della Vergine del Carmelo, statua di pregiato valore risale al settecento ed è normalmente posta sotto al pulpito. Tornando al reading esso è stato intitolato al Bonanno, che volle la chiesa e la congrega che con il tempo è stata disgregata ed ora si sta pensando di ricostituirla, ma al momento si parla solo di associazione. Una nota va fatta

Varie le manifestazioni tra cui anche un reading di poesia in vernacolo Esposte anche opere di pittori del Cosentino

all’organizzazione che è stata impeccabile ma che, tuttavia e nonostante la grande folla nella chiesa non è riuscita a incidere come avrebbe dovuto nella parte dei festeggiamenti popolari, come ci si aspettava, cosa fra l’altro prevedibile visto che il culto era stato messo a riposo dal punto di vista dei gruppi per un poco di anni. L’associazione è nata il 28 novembre del 1992 a norma dell’articolo diciotto della Costituzione italiana. Le congreghe è risaputo nei vecchi statuti avevano anche degli spazi per quanto riguardava la gestione dei loculi per i congregrati defunti, oggi ha scopo anche di carattere umanitario e sociale. Con sede presso le ex scuole della frazione ha ricevuto in questo un importante supporto nell’amministrazione comunale degli Anni ‘90. Vuole promuovere la cultura, le attività ricreative e sportive che possano avvicinare i giovani al culto senza dimenticare l’attualizzazione del momento. La festa è preceduta da un suono di tamburi, usanza che ritroviamo in molte feste patronali dell’antichità ancora molto in uso nel Vibonese. Abbiamo parlato con il presidente della Confraternita del Carmine per renderci conto dei passi che quest’associazione sta cercando di fare in questa direzione: scopo è di riportare, attualizzandole, le vecchie tradizioni e creare nuovi momenti di appartenenza per le nuove generazioni. La storia da sempre ci insegna che non è possibile sapere dove stiamo andando e cercare di dare un valore al nostro camminare se non si comprende il passato e la storia. Allora quale migliore momento che le feste liturgiche per riportare alla luce ciò che sappiamo sopito nel nostro cuore. Il reading poetico ha voluto essere anche questo un momento per attivare quelle possibilità di partecipazione e ascolto dei vari moti dell’animo umano. Il reading che ha visto l’alternarsi dei vari artisti è stato moderato da Amelia Lilli Bargone, membro dell’associazione “Pro Denis Bergamini”, che già è attiva sul territorio per realizzare a una scuola calcio, che porta il nome del calciatore del Cosenza, scomparso in circostanze, che sono ancora al vaglio della magistratura, con la riapertura del caso e che collabora attraverso la stessa esponente con la Bottega degli Hobbies. In cantiere un progetto per i giovani che partirà nei mesi prossimi. Una nota va dedicata alla cantautrice Raffaella Scarpelli, ospite spesso di Ischia, può essere definita la poetessa della musica melodica e contemporanea, sempre attiva ed elegante nei modi incanta il pubblico con la sua possente voce, che urla fin dentro il cuore. Un ringraziamento al poeta e artigiano presepiale, Carmine Marozzo che ha saputo fare da tramite tra associazioni, in quella che possiamo definire una nuova partenza verso l’appartenenza. Lucia De Cicco


sabato 26 luglio 2014

Universo pittorico Personale di Giovanni Arito (Il Coloraio) dal 3 all'11 agosto a Palazzo Mesiani di Bova (Reggio Calabria)

Se sei capace... “Ferma il tempo” Con il patrocinio del Comune di Bova, Palazzo Mesiani aprirà le porte dal 3 all’11 agosto per ospitare l’esposizione pittorica dal titolo “Ferma il tempo” del reggino Giovanni Arito. In mostra 36 opere che rimandano ad un universo pittorico nel quale vivaci cromatismi ed una forte matericità si trovano in una relazione continua. Lontano dalle etichette e categorizzazioni, alla definizione di artista o pittore Arito sceglie per sé quella di “coloraio”, colui che gioca con i colori per dare forma alla realtà attraverso la sintesi tra gli occhi ingenui ed allegri del bambino e la mente matura e complessa dell’adulto. Spensieratezza e gioiosità proprie del fanciullo si esprimono con la vivacità dei colori e la semplicità del segno pittorico. La compattezza materica delle opere rimanda invece alla solidità dell’età matura e all’attualità delle tematiche sociali che scuotono il nostro tempo. Se memoria e nostalgia fermano il tempo, il mondo tornerà ad essere guardato con gli occhi del bambino, pieni di magie e meraviglia. Gli occhi dell’adulto, quelli della mente, troveranno così un modo nuovo di leggere e interpretare la realtà contemporanea nella sua complessità per provare a migliorarla. Ferma il tempo! La mostra verrà inaugurata domenica 3 agosto alle ore 18.00 e sarà visitabile sino all’11 agosto, tutti i giorni dalle 17.00 alle 21.00.

Lontano dalle etichette Arito sceglie per sé la definizione di “coloraio”, cioè colui che gioca con i colori per dare forma alla realtà

Concorso fotografico su Facebook

La Calabria più bella “La tua Calabria”. È questo il titolo del concorso fotografico ideato da “I love Calabria”, la pagina Facebook seguita da oltre 120mila fans. Obiettivo: un calendario online con le immagini della Calabria più bella, quella vista attraverso gli occhi ed il punto di vista fotografico di turisti e cittadini calabresi. Un nuovo modo, genuino e artistico al tempo stesso, di fare marketing territoriale in un momento particolare. Dal 1° al 31 agosto 2014. Ecco i termini per partecipare ed il regolamento. Gli ambasciatori saranno premiati con i prodotti dell’eccellenza enogastronomica calabrese. Dal Tirreno allo Jonio, dal Pollino all’Aspromonte, dai monumenti storici posti a vedetta della costa, fino a quelli più nascosti, dell’entroterra. Chiese, castelli e palazzi. Insomma, mare e montagna ma non solo... anche zoomando e catturando momenti e particolari, dalle feste tradizionali, civili e religiose alle bellezze naturali, dalle usanze alle tradizioni, dai boschi selvaggi alle città, dagli eventi ai prodotti gastronomici, tutti elementi di cui la Calabria è ricca, specie nei mesi più caldi. Insomma, quell’identità, tipicamente calabrese e mediterranea, che non smette mai di emozionare. Le foto saranno raccolte fino al 31 agosto, chiunque potrà inviarle all’indirizzo di posta elettronica concorsoilovecalabria@gmail.com e il 1° settembre verranno pubblicate in un apposito album, nella pagina www.facebook.com/ilovecalabria. Vincerà chi avrà più “mi piace” entro il 31 ottobre. I primi tre classificati riceveranno dei premi in prodotti tipici locali offerti dagli sponsor del concorso. Tutti gli altri partecipanti diventeranno “Ambasciatori della Calabria” e le loro immagini saranno inserite nel calendario online con le immagini della Calabria più bella. Inoltre, grazie alla collaborazione con il giornale online http://www.strettoweb.com/, le immagini verranno pubblicate e menzionate in un apposito spazio dello stesso giornale, che seguirà giorno per giorno l’evolversi del concorso.

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