Voce ai giovani

Anno 38 - 7 Giugno 2014 - Numero 23

Settimanale indipendente di informazione

euro 0,50

Progetto-concorso gratuito “Voce ai Giovani Giornalisti” indetto da questa testata e rivolto ai ragazzi della Calabria QUALCOSA SI PUÒ FARE

CENTRI STORICI MINORI

L’APPELLO AI FEDELI

Aism, stare dalla parte dell’ammalato

Le Calabrie Risorsa eccellente da riscoprire

La visita del Papa non diventi un peso

di Lucia De Cicco

Il caso di Lo Gullo, di cui il Comune di Cosenza dovrebbe farsi carico

di Pietro De Leo

Bizantini, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi: il contributo alla diversità

Indetta una colletta per le spese del Comune

II

sabato 7 giugno 2014

Appello ai fedeli Monsignor Galantino: «L'evento non deve rappresentare un peso per le amministrazioni locali»

Aspettando Papa Francesco È attivo un conto corrente bancario, intestato alla diocesi di Cassano all’Jonio, avente un’unica finalità: raccogliere le offerte dei fedeli che intendono contribuire, con spirito di liberalità e ciascuno secondo le proprie disponibilità e volontà, alla copertura delle spese necessarie per l’organizzazione della visita pastorale di papa Francesco, in programma per il 21 giugno.

I versamenti potranno essere effettuati sul conto corrente bancario n. 100000101713, avente Iban IT 49 E 03359 01600 100000101713, oppure sul conto corrente postale n. 13001870, intestato a “Curia vescovile”, indicando come causale “21 giugno 2014”. Ad ogni versamento seguirà il rilascio di regolare ricevuta in favore del donante. Tutte le somme saranno contabilizzate ed alla fine sarà pubblicato e diffuso, attraverso ogni possibile canale di comunicazione, un bilancio consuntivo. Eventuali residui saranno devoluti in beneficienza.

Il programma ufficiale

Dal carcere alla messa È ufficiale il programma della visita pastorale di Papa Francesco alla diocesi di Cassano all’Jonio, definito d’intesa tra la Prefettura della Casa pontificia e la diocesi cassanese.

Confermata la data: 21 giugno. Il pontefice arriverà in Calabria alle 9, atterrando in elicottero nel piazzale del carcere di Castrovillari, per la visita ai detenuti, al personale penitenziario ed alle loro famiglie. Ad accoglierlo il vescovo, monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, insieme al quale successivamente - sempre in elicottero - raggiungerà Cassano.

L’appuntamento è fissato alle 11, allo stadio comunale “Pietro Toscano”: dopo una breve cerimonia di accoglienza, avrà luogo il trasferimento al vicino centro di cure palliative per malati terminali “San Giuseppe Moscati”. Quindi, alle 12, attraversando in auto via Salvo D’Acquisto, via Giovanni Amendola e corso Garibaldi, l’arrivo in Cattedrale, per un incontro riservato al clero diocesano. Alle 13 il Papa sarà al seminario diocesano “Giovanni Paolo I”, dove offrirà il pranzo ai poveri della Caritas diocesana ed ai giovani della comunità terapeutica “Saman”. Nel pomeriggio, alle 14.30, altra visita, questa volta agli anziani dell’istituto “Casa serena”. Quindi la ripartenza in auto alla volta di Sibari, per la Santa Messa che sarà celebrata nella spianata dell’area ex Insud, con inizio fissato alle 16.30. Prima, però, passaggio tra i diversi settori a bordo della papamobile, per stringere in un unico, affettuoso abbraccio le decine di migliaia di fedeli che hanno già richiesto il pass (gratuito) attraverso il sito www.papafrancescoacassano.it e l’Infopoint attivo in piazza sant’Eusebio. Alle 18, infine, la partenza per Roma, con l’elicottero che decollerà dalla piazzola attrezzata alle spalle del palco, librandosi in volo sulla Piana di Sibari.

«Sarà un giorno di gioia, ma soprattutto un evento di Chiesa», commenta monsignor Galantino. «Il Santo padre - aggiunge il presule - verrà per incontrare la comunità di credenti che testimonia il Signore risorto in un territorio che sente forte il bisogno di essere confermato nella fede e recuperato ad una vita degna di essere vissuta. Un impegno che ci chiama tutti, nessuno escluso, a fare appieno la nostra parte, seminando coerenza, speranza, giustizia, solidarietà e fede vissuta nella quotidianità, incarnando in maniera coerente il Vangelo».

Tutto pronto: aspettando Papa Francesco, inizia il conto alla rovescia.

Aperto un conto corrente per raccogliere le offerte e finanziare le spese della visita

Sarà così il popolo di Dio a farsi liberamente e consapevolmente carico di quanto occorrente alla preparazione dell’evento, secondo la linea tracciata dal vescovo della diocesi cassanese, monsignor Nunzio Galantino, che nell’annunciare la venuta in Calabria del Santo padre aveva auspicato che essa non rappresentasse «un capitolo di spesa ingiustificata per le amministrazioni comunali, in particolare per quella di Cassano», specificando di ritenere inopportuno «chiedere denaro a istituzioni pubbliche quali Regione e Provincia: se si prevede di realizzare qualche intervento, che si tratti di interventi strutturali e duraturi per il bene della città». Aggiunge adesso il Presule: «Sono sicuro che, con l’impegno di tutti e con le offerte liberali di presbiteri, laici, parrocchie, associazioni, movimenti e gruppi si riuscirà a far fronte alle inevitabili spese che l’evento comporterà, pur nella consapevolezza che ciò non darà diritto a trattamenti di preferenza o a prime file».

Le fasi della organizzazione e gestione della visita del Santo Padre a Cassano continueranno ad essere curate e coordinate dalla segreteria organizzativa diocesana, d’intesa con il Comune di Cassano all’Jonio ed in collaborazione con tutti gli altri enti ed istituzioni interessati.

sabato 7 giugno 2014

La parola ai ragazzi Progetto-concorso “Voce ai Giovani Giornalisti”, indetto dalla testata regionale “Il Tiraccio, Voce ai giovani”

Giornalismo a gran “voce” Rivolto a titolo gratuito agli studenti delle scuole di primo e secondo grado della Calabria. Il 12 giugno nella sala concerti di Palazzo de Nobili a Catanzaro la manifestazione finale e premiazione del concorso. Appuntamento dunque con la Calabria migliore, quella delle nuove generazioni che hanno voglia di farsi sentire ma soprattutto di farsi leggere...

Dopo un intenso e pieno anno scolastico si avvicina il momento della premiazione finale del progetto-concorso di giornalismo, che ha visto impegnati studenti di tutta la regione. Il progetto-concorso “Voce ai Giovani Giornalisti”, è stato indetto dalla testata regionale Il Tiraccio, Voce ai giovani ed è stato rivolto, a titolo totalmente gratuito, agli studenti delle scuole di primo e secondo grado della Calabria. Giorno 12 giugno si terrà, alle ore 17,30, nella sala concerti di palazzo de Nobili a Catanzaro, la manifestazione finale nonché la premiazione del concorso.

La risposta dei ragazzi e degli istituti è stata immediata e a gran voce. Tantissimi gli articoli arrivati in redazione, migliaia le visualizzazioni e centinaia i voti, cose che porteranno, alla fine dei lavori alla individuazione dei vincitori sia tra gli studenti che tra gli istituti partecipanti. Verranno premiati infatti i primi tre studenti classificati e uno tra gli istituti partecipanti, oltre a premi speciali indetti dalla redazione. Saranno presenti, tra gli altri, l’assessore Caligiuri, che consegnerà uno dei premi agli studenti, il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Calabria Giuseppe Soluri, il sindaco di Catanzaro Sergio Abramo, l’assessore Tony Sgromo e un rappresentante dell’ufficio scolastico regionale che ha patrocinato il progetto-concorso insieme alla Regione Calabria.

L’idea è nata dall’esigenza sempre più pressante di avvicinare i giovani alla comunicazione ed al giornalismo,sopratutto in una regione come la nostra spesso tristemente tra le ultime nella classifica di lettori di giornali. E spingerli a conoscere in modo critico e obiettivo i problemi e i punti di forza del nostro territorio, dandogli una “voce” che se pur “giovane” saprà se necessario farsi sentire perchè pronta, informata e consapevole. All’interno del progetto la redazione de Il Tiraccio Voce ai giovani ha deciso di far partire un concorso, che ha visto partecipanti tutti gli studenti iscritti al progetto, così da premiare alla fine dell’anno scolastico chi si è distinto tra gli altri.

L’iniziativa è stata accolta da istituti di tutte le province calabresi.

Gli studenti hanno lavorato con entusiasmo ed hanno inviato numerosi articoli, interviste, foto notizie e altro ancora. Si sono improvvisati reporter ricercando con intuito le notizie più interessanti ed evidenziando una visione critica della società e dei suoi problemi,che hanno affrontato con atteggiamenti propositivi, mai passivi. «È bello vedere in ragazzi così giovani l’entusiasmo e la passione per il giornalismo, per la propria regione e per il futuro» dichiara Claudia de Fazio, direttore responsabile del settimanale, nonché referente del progetto. «Per questa prima edizione mi sono occupata personalmente di leggere gli articoli dei ragazzi, consigliarli se necessario, lodarli la maggior parte delle volte, ed è stato interessante vedere i loro progressi articolo dopo articolo. Devo dire che anche tra i dirigenti scolastici e i docenti ho notato entusiasmo, una gran voglia di dare ai propri studenti tutti i mezzi possibili per aiutarli a formarsi». Il 12 giugno quindi l’appuntamento è con la cultura, la passione, la Calabria, il giornalismo, la verità, ma sopratutto con i ragazzi che hanno partecipato al progetto-concorso “ Voce ai Giovani Giornalisti”.

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sabato 7 giugno 2014

Centri storici minori

Le Calabrie Una risorsa straordinaria da riscoprire e valorizzare di Pietro De Leo

La Calabria é la regione che nel Mezzogiorno, più di ogni altra, si sottrae a qualsiasi tentativo di definizione sintetica e sommaria. La struttura orografica del territorio e la mancanza di comunicazioni interne, risolta in parte solo negli ultimi decenni, ha provocato infatti per secoli condizioni di isolamento reciproco fra le singole comunità, tali che ancora oggi é forse più corretto parlare al plurale di Calabrie per definire la realtà di una regione storicamente frammentata.

A diversificare maggiormente il territorio calabrese hanno contribuito senz’altro le diverse dominazioni che si sono succedute nel corso dei secoli: Bizantini, normanni, svevi, angioini, aragonesi, non fecero altro che accentuare il potere della classe baronale a danno del demanio regio e delle popolazioni a loro sottoposte. Infatti anche se vi furono sovrani (Ruggero II e Federico II) fautori dell’accentramento e dell’assolutismo regio, che cercarono di limitare il potere dei baroni e della chiesa, in realtà il processo di indebolimento del potere statale divenne sempre più rapido e si accentuò quella che poi è rimasta una caratteristica del Mezzogiorno: il contrasto tra la legislazione dello Stato e la sua trascurata applicazione pratica.

Il ruolo egemonico svolto dal potere feudale ed ecclesiastico sul territorio calabrese è ampiamente rappresentato dal patrimonio monumentale rimasto: castelli, palazzi, conventi e abbazie spesso sono stati i primi nuclei aggreganti intorno ai quali sono sorte diverse comunità.

Individuare, fra i 412 comuni calabresi, dei centri storici campione, rappresentativi per collocazione geografica, tipologia insediativa ed importanza storica, non è compito facile per un territorio costituito in gran parte da alture, ma circondato da 740 Km di coste. Eppure in Calabria il popolamento costiero, ad eccezione di pochi centri, è molto recente. Per secoli i calabresi sono vissuti ignorando il mare, poiché la maggior parte dei nuclei urbani sono sorti, arroccati sulle alture, in posizione di difesa e di avvistamento.

La Calabria interna, con la sua popolazione arroccata sui monti, prima a causa del dissesto oroidrogeologico e della malaria e poi delle temutissime incursioni dei saraceni, si è trasformata nel corso dei secoli in un reticolo di centinaia di contesti urbani, la maggior parte dei quali di origine medievale, tutti piccoli e reciprocamente isolati, dalle strutture urbanistiche e abitative quasi sempre elementari, modeste quando non addirittura misere, esposte all’inclemenza del tempo. Nelle città medievali, mura, tessuto stradale, cattedrali e palazzi dell’autorità comunale, rappresentano nel loro complesso le strutture pubbliche della morfologia della città, all’interno della quale si sviluppa l’edilizia privata che tuttavia non rappresenta mai un fatto personale ed arbitrario, ma rientra in una normativa in parte espressa e codificata dagli statuti, in parte consuetudinaria, non scritta ma non per questa meno rispettata, dalla cui osservazione un architetto come Le Corbusier ha tratto la definizione di “coerenza di

La struttura orografica del territorio e la mancanza di comunicazioni interne, risolta in parte solo negli ultimi decenni, ha provocato condizioni di isolamento

stile della città medievale”, in grado di fornire, nonostante l’apparente disordine, un’immagine di continuità e di omogeneità di composizione.

Quasi ovunque il proprietario che intenda edificare una casa presso la pubblica via è tenuto ad avvertire le autorità competenti affinché provvedano a verificare che ciò avvenga senza pregiudizio del suolo pubblico e dei diritti comunali. Dappertutto poi è fatto divieto di utilizzare materiali edilizi troppo facilmente combustibili, quali la paglia o le fascine di legname, per evitare il pericolo, sempre ricorrente, di incendi, anche se c’è da dire che tali divieti sono spesso ignorati.

Abitazioni semplici, con poche finestre, ballatoi verso la strada, aderenti le une alle altre, serrate attorno a edifici comuni e comunicanti fra loro per un groviglio di stradine, cortili e passaggi coperti. Una costante è rappresentata dalla presenza della piazza, sulla quale si trovava molto spesso la chiesa del santo patrono e il palazzo “gentilizio”. Tutto attorno sorgevano magazzini, stalle, abitazioni minori, giardini e orti. Non esistono nelle città meridionali “zone residenziali”, “zone commerciali”, “zone operaie”, poiché ogni articolazione urbana si presenta mista.

In apertura la chiesa di Altomonte Sotto, da sinistra: Santa Severina, Stilo (la “cattolica” in primo piano), Oppido Mamertina e Rende

La “vicinìa” appare l’elemento principale del tessuto connettivo urbano, gravitante sulla chiesa parrocchiale o sulla porta cittadina e conserva il carattere di agglomerato socio-territoriale il cui buon funzionamento garantisce la sicurezza della vita quotidiana dei suoi abitanti. Somma quindi di “vicinie popolari” che ospitano abitazione e bottega di artigiani e commercianti, ma anche grandi residenze nobiliari, abitate dai clan familiari e dai loro clienti.

sabato 7 giugno 2014

Centri storici minori

Caratteristica comune dei centri albanesi è la presenza in ogni luogo abitativo di tre elementi fondamentali: 1) l’insediamento in uno spazio aperto (sheshi) attorno al quale orbitano le prime strutture abitative; 2) la presenza in questo spazio di una fonte (kroj) indispensabile per la sopravvivenza del gruppo; 3) un bosco in prossimità dell’insediamento per l’approvvigionamento del legname e per il pascolo degli animali.

I valdesi sono giunti in Calabria dal lontano Piemonte fra il ‘200 e il ‘300, soprattutto per ragioni demografiche ed economiche. Erano per la maggior parte contadini e, arrivati in Calabria, iniziarono a coltivare le terre abbandonate ed incolte che i vari feudatari affidavano loro per contratto. Col tempo alcuni si trasformano in artigiani, commercianti e forse anche banchieri. I centri presso i quali si stabilirono furono Guardia, S. Sisto e San Vincenzo La Costa. Qui vissero mantenendo rapporti cordiali con le popolazioni circostanti per due o tre secoli, fino a quando la chiesa cattolica, nel secolo XVI, in piena riforma, iniziò contro i valdesi una crociata di una incredibile ferocia. Alla fine furono massacrati quasi tutte le popolazioni di San Sisto e di Guardia ed i pochi superstiti furono costretti alla conversione.

Realizzazione e manutenzione di palazzi pubblici, cattedrali e chiese, ma soprattutto di piazze, strade e servizi comunali, regolate da una precisa normativa priva il più delle volte di una documentazione scritta, che compare solo occasionalmente negli statuti comunali, rappresentano il deliberato sforzo dell’autorità cittadina di svolgere una politica che non è soltanto di contenimento degli sviluppi centrifughi delle autonomie locali, bensì, dove riesce, è già un intervento di pianificazione. Pianificazione non certo facile e non sempre chiaramente cosciente, ma che, in definitiva, ha lasciato una traccia visibile nella fondamentale omogeneità con cui si presentano oggi i resti dei vecchi centri storici. Scegliere dei criteri omogenei per individuare gruppi di insediamento particolarmente significativi in un territorio molto frammentato non è stato facile, ma ci è parso che alcuni centri avessero degli elementi comuni e particolari tali da indurci a ritenerli significativi. Tra questi senz’altro vi sono i paesi la cui popolazione è costituita dai vari gruppi etnici che, a più riprese, si sono stabilite in Calabria: gli albanesi, i valdesi ed i grecanici.

Gli albanesi sono giunti in Calabria come mercenari già dal XV secolo, a più riprese, assoldati dagli aragonesi per domare le rivolte dei baroni. Compensati, di volta in volta, con cariche e feudi, questi primi albanesi, cui se ne aggiunsero altri a ondate successive fino al XVIII secolo, fondarono decine di comunità in tutto il meridione. In Calabria se ne contano 19 in provincia di Cosenza e 7 in quella di Catanzaro. Gli agglomerati più densi sono situati nell’area del Pollino e sui primi rilievi della Sila greca. Per secoli sono rimasti completamente chiusi al territorio circostante, conservando le loro tradizioni, la loro lingua e - in campo religioso - il rito greco che fa capo all’Eparchia di Lungro.

Alla maggiore diversificazione del territorio calabrese hanno contribuito senz’altro le diverse dominazioni che si sono succedute nel corso dei secoli: Bizantini, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi

Un altro gruppo di centri abitativi interessante per alcune peculiarità è costituto dai cosiddetti “casali” cosentini (Rogliano, Aprigliano, Grimaldi e Cerisano). Distribuiti a raggio intorno a Cosenza su altitudini diverse, comprese fra i 300 e gli 800 metri, sono stati per secoli visti come un corpo unico con il capoluogo, poiché sono rimasti per lunghi periodi dell’età moderna fra le poche terre calabresi “demaniali”, cioé non infeudate, ma dipendenti direttamente dalla Corona. Attualmente formano 35 comuni, ma nel passato sono stati un centinaio. La loro origine si fa risalire intorno all’anno 975 quando le invasioni saracene costrinsero molte popolazioni ad abbandonare le coste e trovare rifugio sui monti.

In un memorabile saggio sulle strutture agrarie meridionali, Manlio Rossi Doria ha riconosciuto la zona dei casali come una delle poche aree del Mezzogiorno interno in cui non è generalizzata la coltura estensiva “capitalistica” o “contadina” che sia. Questa è area di prevalenza di aziende territorialmente compatte e stabili nel tempo, siano esse di proprietà dei coltivatori o siano “poderi” di proprietà di terzi e concessi per lo più a colonia parziaria.

Altri centri interni interessanti per la loro valenza storica, nonché per il patrimonio monumentale conservato, sono Altomonte, Bisignano, S. Severina, Saracena, Taverna, Mileto, S. Marco Argentano e Serra San Bruno.

Fra i centri costieri particolarmente significativi in quanto importanti centri commerciali e di approdo si evidenziano invece Scalea, Cetraro, San Lucido, Amantea, Pizzo, Tropea, Nicotera sul Tirreno e Rocca Imperiale, Amendolara, Isola Capo Rizzuto, Squillace, Stilo e Caulonia sullo Ionio.

Una tipologia insediativa particolare è poi rappresentata dai centri di Oppido Mamertina e Filadelfia che furono completamente ricostruiti dopo il terremoto del 1783. Sono ovviamente considerazioni da approfondire minuziosamente perché quella Calabria, apparentemente “minore” faccia risplendere sempre più tutti gli aspetti del suo bellissimo volto, anche quando ci si imbatte in centri storici di altre cittadine come Rende, traslocati in pianura guardando al futuro, senza irrobustire il loro passato tutelando storia, memorie e tradizioni, che sarebbe avvilente cancellare o dimenticare.

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Si può fare Una sinergia per costruire una società migliore

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ScienzaGiustizia eco di Pierfrancesco Gr

Una tavola rotonda su un tema che riguarda da vicino il mondo della cultura, il mondo della giustizia, il mondo dei saperi, il mondo della Scienza, quella svoltasi lo scorso giovedì 29 maggio, a Cosenza, presso il suggestivo proscenio di Villa Rendano, in occasione della presentazione del libro Manuale di Linguistica forense, che, curato dal professor Luciano Romito, «apre per la prima volta - come affermato da Arcangelo Badolati, caposervizio della Gazzetta del Sud e, nello specifico, moderatore del confronto - una finestra sulla necessità di formalizzare un approccio scientifico nell’ambito della trascrizione delle intercettazioni telefoniche, e sulla possibilità di sviluppare attorno a questo settore occasione di crescita sociale».

Un volume dal notevole valore scientifico, giuridico e socio-antropologico, copioso di contenuti, che ha suscitato interesse anche al di fuori della nostra Regione, tanto da essere presentato, nei mesi scorsi, nella prestigiosa cornice del Senato della Repubblica.

Contenuti aulici, ripresi in occasione dell’iniziativa svoltasi nei giorni scorsi a Cosenza: in particolare, il simposio, vertente sul tema “Il controverso rapporto tra scienza e giurisprudenza”, ha offerto diversi spunti di riflessione e discussione, elaborate da esperti dei settori giuridico e sociale, i quali, con le loro articolate dissertazioni, hanno proficuamente integrato e arricchito le questioni affrontate da Romito nella sua opera.

Opera, che, ha sottolineato Francesco Altimari, direttore presso l’Unical del dipartimento di Lingue e Scienze dell’educazione, «rappresenta un buonissimo modello di attività, prodotta, in questo caso, da un affiatato gruppo di ricerca guidato dal professor Romito, intesa ad aprire nuovi orizzonti, proiettanti l’azione dell’Università, i cui capisaldi sono la didattica e la ricerca, verso quella che è la terza missione di un ateneo, ovvero quella di fondere i risultati delle sue attività interne con quelle che sono le realtà, le peculiarità e le necessità di altre istituzioni, quali, la magistratura, di altri settori, di altri enti, in una sinergia volta a rendere continuo e fruttuoso il dialogo tra delle istituzioni complementari nel valorizzare i diversi contesti sociali, creando nuove opportunità di sviluppo, anche in riferimento a possibili sbocchi occupazionali. In questo senso, l’innovativo manuale approntato dal professor Romito e dal suo gruppo di ricerca, che sta iniziando a fare breccia anche al di fuori delle istituzioni, dimostra come ci siano ambiti da sviluppare che possono offrire, soprattutto ai nostri giovani, altre nuove opportunità, creando, quindi, nuove professionalità e venendo incontro anche a dei bisogni reali, come quelli dei disabili visivi, che vengono, in questo caso, valorizzati, divenendo protagonisti di una nuova stagione in cui riescono a essere attori principali di un settore importante, con la possibilità di utilizzare certe loro particolari attitudini al servizio della nostra società. Penso che questo sia il modo migliore di rendere un servizio doveroso alla categoria dei diversamente abili, i quali vanno ad arricchire con la loro esperienza un ambito che ci rende tutti più compartecipi di questo progetto».

Al riguardo, ha evidenziato Annamaria Palummo, presidente regionale dell’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti della Calabria, «la sperimentazione che è stata portata avanti dal professor Romito, attraverso un corso di formazione professionale di perito fonico, tenutosi in Toscana, presso il centro Uici Le Torri, a Tirrenia, e rivolto a giovani ciechi e ipovedenti, non solo ha dimostrato che l’adattamento del cieco ad utilizzare in sostituzione della vista i sensi vicarianti, quali l’udito, rende il medesimo un canale ricettivo privilegiato, ma, piuttosto, come gli elementi distintivi del tratto fonico possono essere utilmente rintracciati ai fini di una trascodifica quanto più pulita e congruente relativamente all’uso probatorio del materiale oggetto di elaborazione. Il cieco, del resto, è più allenato, è più attento, è più predisposto ad interpretare i segni della realtà attraverso l’udito. Questo corso, che ha costituito l’humus dal quale il professore ha attinto gli elementi trovanti compendio nel suo pre-

Il 29 maggio presso Villa Rendano di Cosenza durante la presentazione del libro “Manuale di Linguistica forense” curato dal professor Luciano Romito, tavola rotonda dal tema “Il controverso rapporto tra Scienza e Giurisprudenza”

gevolissimo e rigorosissimo, dal punto di vista scientifico, manuale, ha trovato un apprezzamento, presso l’Ente regionale Toscano, tale da indurre al riconoscimento, grazie anche all’opera di sensibilizzazione dell’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, della qualifica di perito fonico, riservata ai ciechi ed agli ipovedenti. In Calabria stiamo tentando di intraprendere lo stesso percorso, essendoci spazio afferentemente all’ambito occupazionale, con numerosi giovani che vorrebbero professionalizzarsi in tale settore, dopo aver già tentato i consueti sbocchi lavorativi riconosciuti ai fini del collocamento obbligatorio per i ciechi, quali l’operatore telefonico e il massofisioterapista. La Regione Calabria, attraverso l’assessorato alle Politiche sociali potrebbe e dovrebbe cogliere l’opportunità di finanziare un corso analogo a quello tenutosi in Toscana, attivandosi per il riconoscimento della figura professionale e l’istituzione di un apposito albo professionale. Di tutto ciò trarrebbe giovamento, intanto, l’amministrazione della giustizia, poi, principalmente, la società nel suo complesso, che sarebbe sgravata dall’occuparsi della categoria dei non vedenti in termini meramente assistenziali e filantropici, e anche i ciechi medesimi, perché utili nell’ambito del processo di tutela della collettività».

«C’è la possibilità di utilizzare una risorsa in più - ha, in proposito, asserito Luciano Romito, curatore del Manuale -; il non vedente, infatti, possiede una sorta di udito globale, attraverso il quale dà forma all’esistente. Noi abbiamo costruito questo progetto, presentandolo alla Regione Calabria, che però non ci ha dato ascolto, cosa che ha fatto, invece la Regione Toscana, la quale ha riconosciuto la figura professionale, tanto che adesso per fare il perito fonico trascrittore, in quella Regione, è necessario aver seguito un corso, con specifiche competenze, quali psicologia, analisi di segnale, linguistica generale, linguistica forense. Tutto questo per noi è una grande vittoria: certo, essendo i docenti tutti calabresi, l’idea del progetto calabrese, le strutture calabresi, per noi sarebbe importante costruire tutto ciò in Calabria, ove c’è tanto bisogno di queste professionalità e dove queste professionalità, per ragioni ambientali, culturali e linguistiche, avrebbero modo di dare un contributo decisivo nell’ambito della comprensione del materiale verbale intercettato dagli organismi investigativi».

Difatti, come ha ricordato Badolati, «la Calabria è una delle regioni italiane dove, come strumento investigativo, le intercettazioni tro-

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Si può fare

Il tavolo della presidenza Da sinistra, Arcangelo Badolati, Annamaria Palummo, Franco Sammarco, avvocato del Foro penale di Cosenza e Mario Spagnuolo, procuratore capo Vibo Valentia

La necessità di formalizzare un approccio scientifico nell’ambito della trascrizione delle intercettazioni telefoniche e alla possibilità di sviluppare attorno a questo settore occasione di crescita sociale, in cui grande importanza hanno i non vedenti, con le loro peculiarità

vano un riscontro spaventoso nelle indagini giudiziarie, per venire a capo di molte vicende. Uno strumento investigativo, questo, che presenta risultati sovente non eccellenti, non essendovi la preparazione necessaria per svolgere questo tipo di funzione, considerato il tipo di linguaggio che il più delle volte caratterizza le telefonate ascoltate: un linguaggio gergale, la cui comprensione richiede una adeguata padronanza del mezzo e del linguaggio stesso», equivalendo l’inadeguatezza dei periti fonici, nell’ambito di un’indagine giudiziaria, ad una “sconfitta” per gli organi inquirenti, come ha avuto cura di mettere in evidenza il dottor Mario Spagnuolo, procuratore capo di Vibo Valentia, il quale, nel reiterare il carattere essenziale di questo tipo di lavoro in presenza di carenti fonti testimoniali, ha affermapresidente regionale Annamaria Palummo to che «oggi, nelUnione italiana ciechi e ipovedenti Calabria l’attuale quadro delle investigazioni in Calabria e, in genere, nelle indagini relative alla criminalità organizzata, si pensa alla costruzione della prova scientifica attraverso l’integrazione e il lavoro coordinato di più saperi fra loro autonomi, in cui il perito fonico, il balistico, il medico legale e l’esperto di telecomunicazioni collaborano tra loro, in modo da costruire un reticolo estremamente serio ed importante».

E se, dunque, il procuratore ha posto l’accento sull’importanza del «lavoro sinergico tra la magistratura inquirente e la scienza nel fornire quegli elementi in grado di portare davanti ad un giudice quella prova scientifica che consente l’adozione di una sentenza di verità», l’avvocato Franco Sammarco, penalista del Foro di Cosenza, oltre ad affrontare questioni di carattere prettamente giuridico, dando vita ad un vivace dibattito con il procuratore Spagnuolo, e a focalizzare l’attenzione, «sulla necessità, da parte di un’istituzione universitaria, di sviluppare il sapere sul territorio d’appartenenza, anche attraverso incontri come questo, che costituiscono un viatico a tale percorso di crescita», ha affermato che «forse bisogna ragionare sul tipo di approccio che si ha con riferimento all’individuazione di taluni mezzi di ricerca della prova. In questo pregevolissimo volume, il professore Romito lancia un segnale particolarmente interessante e preoccupante, sostenendo che l’intercettazione e la risultante dell’intercettazione debba servire per curatore del volume Luciano Romito andare ben oltre il dato presentato a Villa Rendano probatorio, perché attraverso l’esame delle risultanze dell’intercettazione noi possiamo aggredire i dati sociologici, capire la dimensione e le dinamiche della società, in un’ottica che conferisce all’interprete la stessa essenza di macrofenomeni, tipo il tema della criminalità organizzata. Ecco, in questo, occorrerebbe andare più cauti, senza con questo sminuire l’importanza del contributo che le scienze e le tecniche d’intercettazione rivestono nell’ambito del percorso investigativo».

Un contributo, che può rendere la nostra società migliore, più pulita, più inclusiva; una società, ha chiosato il presidente Annamaria Palummo, in riferimento al ruolo attivo che hanno in tale processo di crescita i disabili visivi, che sia effettivamente capace «di trovare risoluzione alla questione del vizio sociale sui portatori di handicap»; una società, insomma, più bella!

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sabato 7 giugno 2014

Economia bloccata Cosenza fermata dalla criminalità e penalizzata dalle dimensioni aziendali

Se il mercato del lavoro è debole Appena chiusa la giornata dell’economia nazionale, la Camera di Commercio di Cosenza è pronta a rilanciare sul territorio quella provinciale con la presentazione dei dati locali.

Così facendo eco alle parole del presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello che ha confermato come «il 2014 rappresenti un anno di inversione ciclica per l’economia italiana, anche se la prolungata debolezza del mercato del lavoro, che recepirà nel 2015 i riflessi dell’inversione del ciclo, continuerà a frenare i consumi delle famiglie» la Camera di Cosenza può confermare che, purtroppo, Cosenza potrebbe avere difficoltà ad agganciare la modesta ripresa dell’economia italiana prevista per metà 2014, ed a beneficiare della crescita in atto del commercio mondiale, rimanendo così, anche per i prossimi mesi, in recessione.

La Provincia di Cosenza, dichiara il segretario generale Donatella Romeo, mostra una bassa sensibilità al ciclo economico; ciò, a causa di un sistema produttivo poco presente sui mercati internazionali, una modesta apertura al turismo straniero (capace di introdurre nuove risorse nel circuito), una contenuta redditività delle imprese (nonostante un discreto livello medio di competitività), un profilo di nuove assunzioni non caratterizzato da competenze strategiche (in grado di conferire ricchezza aggiuntiva) ed un mercato interno che si distingue per i bassi livelli di ricchezza distribuita.

In questo ambito, la provincia sconta poi alcuni fattori che deprimono le capacità di crescita potenziale, rivelandosi ostativi per un auspicato processo di convergenza congiunturale. A tal proposito, si sottolinea il fatto che la provincia è tra le prime quattro in graduatoria nazionale per vulnerabilità (delle famiglie, delle imprese, del territorio) alla criminalità organizzata di tipo economico.

A Cosenza, in particolare, l’indice di sintesi della vulnerabilità provinciale ai fenomeni criminali si attesta, in numero indice, a 181,6 (Italia = 100), trainato in alto da tutte le macrocomponenti statistiche dell’indicatore di sintesi; la vulnerabilità di imprese e famiglie (che sintetizza la fragilità finanziaria e la potenziale esposizione all’usura) si rivela superiore di oltre 60 punti percentuali rispetto alla media nazionale (rispettivamente 160,2 e 169,7; Italia = 100), mentre la criminalità espressa sul territorio di matrice economica evidenzia valori più che doppi (n.i. 224,9) rispetto all’Italia, in relazione ai reati legati al ciclo del cemento, a quello dei rifiuti, ma soprattutto per la presenza di criminalità organizzata.

Ciò alimenta il circuito recessivo e deprime ulteriormente i potenziali di sviluppo.

Su un andamento recessivo si innesta anche la contrazione del mercato del credito. Il credito a imprese e famiglie si riduce a ritmi non modesti (-3% per entrambe le categorie), determinando una sostanziale stazionarietà dell’intero aggregato (impieghi). Stante tale risultato, la crescita dei depositi provinciali (+2,7% nel 2013) si traduce in una sottrazione netta di liquidità al sistema economico locale.

Inoltre, la “pezzatura” media dei prestiti bancari alle imprese cosentine è pari al 33,7% della media nazionale, indicando così prestiti concessi a fronte di progetti di investimento di piccola dimensione, inadeguati ad indurre “rotture” significative negli assetti competitivi.

Il mercato del lavoro provinciale subisce gli effetti di tale ciclo.

L’occupazione provinciale perde quasi 19.000 unità in un solo anno (-14,5%) e, come conseguenza di un comportamento tipico del mercato del lavoro locale, la risposta all’emorragia occupazionale è un allargamento della già ampia base di inattività, soprattutto da parte delle lavoratrici e dei giovani, le fasce più critiche in termini di accesso al lavoro, provocata da fenomeni di scoraggiamento e di sommerso.

Pertanto, il tasso di disoccupazione guadagna 3 punti percentuali, attestandosi al 23,3% (Italia 12,2%).

Inoltre, le ore di cassa integrazione erogate crescono del 93,4%, a fronte di una media nazionale del 17,8%. In questo complesso scenario, la disoccupazione giovanile maschile (15-24 anni) si attesta

Appena chiusa la giornata dell’economia nazionale la Camera di Commercio di Cosenza è pronta a rilanciare sul territorio quella provinciale con la presentazione dei dati locali

in provincia al 47,5% (Italia 39%), mentre quella femminile al 61,5% (Italia 41,4%), rivalendo consistenti barriere all’ingresso per le fasce più deboli.

Come conseguenza di un mercato del lavoro difficile, gli indicatori di benessere, ovvero il reddito disponibile, mostrano un degrado del tenore di vita medio negli ultimi anni, al punto tale che la quota di famiglie che, nel 2012, vive in povertà relativa è pari al 26,5%, in crescita negli ultimi anni e ampiamente superiore a quella nazionale (12,6%). Per altro verso, il tenore di vita non è compensato dallo stock patrimoniale disponibile, tra i più contenuti fra le province italiane (n. i. 56,1, Italia = 100), che nel 2012 subisce un calo (-1,6%) attribuibile all’abbassamento dei prezzi sul mercato immobiliare, in evidente declino di domanda.

In un quadro provinciale in cui i percorsi di internazionalizzazione “a largo raggio” stentano a decollare ed in cui il credito alle imprese risulta mediamente tarato sulla piccola dimensione, che non consente l’avvio di processi significativi di competitività nazionale e internazionale, occorrerebbe, dichiara il commissario straordinario Pasquale Monea, dare fiducia alle imprese, in particolare a quelle che già operano sui mercati internazionali o a quelle che vogliono cogliere sfide di investimento competitivo.

Occorre, inoltre, affermare che le attuali formule di competitività, soprattutto in un contesto recessivo caratterizzato significativamente da imprese familiari (Cosenza 84,9%; Italia 81,9%), passano attraverso l’aggregazione di imprese, quali reti di impresa e filiere produttive, al fine di alimentare le economie di scopo. Le diverse formule aggregative possono conferire alle imprese che le adottano una maggiore propensione all’internazionalizzazione, all’innovazione (a maggio 2014 sono presenti in provincia 13 delle 25 start up innovative della regione), nonché un più efficace accesso al credito.

Di conseguenza, conclude il commissario Monea, serve far evolvere le specializzazioni settoriali esistenti, conferendo loro maggiore valore aggiunto puntando su un approccio “green”, che investa, oltre che sul ciclo produttivo, anche sulle connotazioni eco-sostenibili e di tutela della salute del consumatore. A tal proposito, la provincia di Cosenza si posiziona favorevolmente, considerando che la quota di imprese (extragricole con oltre 3 addetti) che ha investito in tecnologie green nell’ultimo quinquennio è pari al 24,5%, superiore alla media nazionale (22%). In valore assoluto, tale quota si traduce in oltre 3.200 imprese, un numero superiore a quello di ogni altra provincia della regione.

sabato 7 giugno 2014

Stop alle atrocità Cena della speranza per la Fidapa Cosenza

Donne per la pace

di Francesco Fotia

Si è svolta nei suggestivi saloni di Villa Bitonti la ‘Cena delle candele’, evento organizzato dalla Fidapa Cosenza (Federazione italiana Donne Arti Professioni Affari) in collaborazione con Bpw (International federation of business and professional women), da cui nasce proprio la sigla italiana Fidapa, che ogni anno sancisce l’ingresso nell’associazione di nuovi membri. La Bpw è un’associazione che compierà i suoi primi cento anni nel 2019. La sua ideatrice, Lena Madesin Phillips, la creò negli Stati Uniti per mettere le donne nelle condizioni ideali di fare valere il proprio ruolo nella società, in un’epoca in cui non sussistevano le condizioni di parità che la donna, nel corso dei decenni, ha conquistato e per cui ancora sta lottando. La fondatrice dell’associazione nasce a Nicholasville nel Kentucky (Usa) nel 1881; dopo aver conseguito la laurea in legge, alla dottoressa fu affidata la gestione del Ywca, il fondo governativo statunitense che reclutava le donne che avevano dato prova di grande capacità produttiva nel corso della prima guerra mondiale, quando si scoprirono in grado di sostituire, garantendo massimo risultato, gli uomini impegnati al fronte. Dopo questa esperienza la Phillips dà vita a quella che ancora oggi è la Bpw nel corso di un’assemblea molto partecipata in St.Louis.

La cena delle candele sarà solo una delle tante manifestazioni, anche simboliche, dell’associazione. «Nell’inverno del 1942, - spiega la presidente di Fidapa Cosenza Silvana Gallucci - in un momento tragico della storia dell’Europa e del mondo, i giorni più cupi della seconda guerra mondiale, la presidente fondatrice Lena Madesin Phillips istituì la “Cerimonia delle luci” e lo fece nell’intento di tradurre, in un simbolo concreto, l’idea che aveva ispirato la nascita della nostra federazione , cioè quella di stabilire dei legami di amicizia con le donne di tutto il mondo. La Phillips - prosegue la Gallucci - era persuasa che una partecipazione più attiva delle donne alla vita sociale, politica ed economica dei vari paesi sarebbe stata una garanzia di pace; quella pace tanto desiderata e che, in quel momento, sembrava tanto lontana. Il rito fu introdotto durante la notte internazionale. Ogni nazione - continua la presidente - era rappresentata da una candela accesa, che veniva spenta se il paese a cui si riferiva era in guerra. Restavano accese quindi solo le candele dei paesi che non erano coinvolte nel conflitto. Le candele spente - afferma ancora - evocavano le sofferenze e le atrocità che le guerre generano mentre le fiamme delle candele accese, con i loro bagliori, comunicavano il calore della speranza e il desiderio di pace. Così è nata questa nostra suggestiva tradizione ed è per questo che ogni anno le socie della Fidapa e della Bpw, si riuniscono e celebrano la “Cerimonia delle cande-

Nei suggestivi saloni di Villa Bitonti la “cena delle candele”

le”. Lo facciamo per proteggere la luce della speranza; - dichiara orgogliosa - lo facciamo per sentirci vicine a tutte le donne che nel mondo sono vittime di ingiustizia, di cieca violenza e sono private della libertà a causa di conflitti, che purtroppo ancora insanguinano tanti paesi del mondo; lo facciamo per comunicare che educare alla pace significa far dischiudere le menti e i cuori all’accoglienza, testimoniando con l’esempio della nostra vita valori quali la verità, la giustizia, l’amore, la libertà; lo facciamo - spiega ancora Gallucci - perché noi donne siamo operatrici ed educatrici di pace e di vita e in quanto tali, dopo averla generata, amiamo, difendiamo e promuoviamo l’ esistenza umana in tutte le sue dimensioni. Lo facciamo perché siamo consapevoli che non può esistere pace se non si promuove, a tutti i livelli, il riconoscimento della dignità della persona umana; e lo faremo ancora - conclude - vestendoci della nostra forza, del nostro amore per la verità e la giustizia, della nostra capacità di aprirci e di donarci all’altro, della nostra avversione per qualsiasi discriminazione o violazione dei diritti umani, per schierarci tutte e sempre dalla parte della vita e di un futuro che sia finalmente abitato dalla pace. Perché la pace non è un sogno, non è un’utopia: è una scelta impegnativa ma possibile».

Nuove adesioni per Fidapa Cosenza Come da tradizione, in concomitanza con l’evento è stata ufficializzata l’adesione a Fidapa Cosenza di quindici nuove membre, che vanno a ingigantire un elenco che, ad oggi, conta 111 iscritte, tra cui la presidente Silvana Gallucci (eletta lo scorso autunno) e le socie onorarie Elvira Graziani Lavorato e Vittoria Occhiuzzi. Questi i nomi delle nuove iscritte: Rosellina Arturi, Lucia Boellis, Francesca Daniele, Alessandra De Rosa, Debora Falcone, Francesca Gallucci, Luana Galluccio, Nadia Gambilongo, Maria Cecilia Gioia, Rosa Martirano, Maria Carmen Nappi, Maria Pagliaro, Maria Teresa Pagliuso, Maria Teresa Quintieri, Manuela Taurino. Ha partecipato alla cerimonia la presidente distrettuale Angiola Infantino, la cerimoniera della sezione Tania Frisone, e la segretaria distrettuale Giusy Porchia, nonché i presidenti di varie associazioni.

La presidente Fidapa Silvana Gallucci Sopra, l’accensione delle candele

IX

X

sabato 7 giugno 2014

Qualcosa si può fare Sclerosi multipla: in primo piano la qualità della vita

Dalla parte dell’ammalato

“Dalla parte della persona con sclerosi multipla. Ricerca sulla qualità della vita”, titolo del convegno che ogni anno affronta la malattia, sotto un nuovo profilo, dai farmaci, alla ricerca. Quest’anno si è parlato della qualità sociale e quotidiana dell’ammalato di Sclerosi multipla. L’appuntamento, che si è tenuto presso la sede ufficiale “San Giuseppe Moscati” di Cosenza, adibita a sezione provinciale per Aism Cosenza, ha visto l’introduzione della presidente Anna Flaminia Batta Veltri, cui è seguita la relazione di Bruno Bossio, direttore del centro SM Asp di Cosenza, di Guccione sociologo, della psicologa Calomino e di Trotta, assistente di ricerca Università Magna Graecia di Catanzaro, Palmieri, infermiera del centro.

«Il tema scelto - afferma Batta Veltri - è sociale, riguarda una qualità di vita adatta, che dovrebbe essere la prima condizione essenziale per il miglioramento della stessa. Potenziando la situazione in famiglia». In questo contesto Batta Veltri ci parla anche di un caso particolare, che abbiamo avuto modo di conoscere personalmente e ascoltare nella sua gravità.

Stiamo parlando di Ernesto Lo Gullo, che per necessità di famiglia, acquistò un immobile in uno stabile, che oggi è fatiscente e al terzo piano senza ascensore. Sappiamo bene quanto importante sia invece avere a disposizione un ascensore per una malattia così invalidante e peggiorativa nel tempo. Lo Gullo ha fatto da qualche tempo richiesta al Comune di Cosenza di avere un appartamento in uno stabile popolare, ma con ascensore o munito della possibilità di attrezzare una sedia mobile, che lo possa portare al piano abitativo (cosa impossibile quest’ultima poiché l’attuale stabile in cui abita ha mancanza di spazio per fissare una tale attrezzatura). Si è dichiarato anche disponibile a scambiare la sua attuale abitazione con altra abitazione, che possa migliorare la sua condizione di vita, che negli ultimi tempi sta degenerando, poiché la malattia sta colpendo in particolare modo le gambe, che all’improvviso e in qualsiasi momento (la malattia presenta tale imprevedibilità) possono cedere: si comprende benissimo quanto difficile possa essere in queste condizioni salire tre piani.

Continua la dottoressa Veltri: «La situazione di Ernesto Lo Gullo, va presa in carico dall’amministrazione comunale. Dobbiamo renderci conto che gli ammalati di SM appartengono a tutti, a partire già dalla famiglia, devono essere accolti in un ambiente confortevole. La famiglia deve anche essere in condizioni di serenità per garantire quel sostegno possibile all’ammalato di SM. L’amore è il principio da cui partire per affrontare tutti i problemi. Dovremmo parlare un linguaggio, che sia carico di rispetto, ad iniziare dal semplice grazie, buongiorno e buonasera come quello di Papa Francesco».

Bruno Bossio ci ha spiegato perché tra gli argomenti proposti dall’Aism nazionale, la qualità della vita è stato quello preferito dalla sezione cosentina. Semplicemente perché di farmaci se ne parla continuamente e così delle terapie attraverso le sedute con l’ammalato e le riviste specializzate, ma si parla poco di “qualità della vita”, per sensibilizzare, famiglie società e istituzioni a guardare ai cittadini che sono stati meno fortunati.

Convegno presso la sede Aism di Cosenza

Dal sociologo abbiamo appreso attraverso la nostra domanda, di come la qualità della vita sia strettamente legata alla percezione di come si avverte la propria condizione; non necessariamente, dice Guccione, agio e ricchezza sono sinonimo di benessere, ma sicuramente lo è accettare la serenità della propria condizione con una buona autoconsapevolezza di ciò che si deve fare nel proprio ruolo e cercare di viverlo in famiglia e nella società nel migliore nei modi anche se con limiti evidenti. Quindi, valorizzare le proprie risorse personali.

Ma come la società può contribuire affinché il soggetto ammalato di SM si autostimi? «Diciamo che a livello comunitario non esiste una sensibilità necessaria. La persona disabile ha un peso non solo nell’immaginario del singolo, ma può creare dei costi con disagio annesso, come i posti riservati, come le risorse economiche che sono richieste per far fronte alla condizione, con l’idea che del debole tutto sommato si può sempre fare a meno».

La psicologa Caterina Calomino ci ha, invece, introdotti al “benessere come riscoperta del piacere”; la qualità della vita non è strettamente legata dall’essere sano, ma da come la vita viene percepita dal soggetto sia che sia sano o ammalato, in base alle aspettative, valori e contesto socioculturale in cui si vive e si è inseriti.

Sicuramente, aiuta imparare a cogliere le opportunità della vita, che non necessariamente devono essere cose grandi ma anche di piccole quotidianità belle e di cui neppure ci accorgiamo. Se s’impara ad assaporare i piaceri della vita, ella migliorerà di conseguenza.

Ernesto Lo Gullo con la moglie Daniela Pugliese Al tavolo: al centro Bruno Bossio; alla sua destra la presidente Batta Veltri

La dottoressa Trotta si è soffermata sui disturbi principali, che influenzano negativamente la vita dell’ammalato di SM, come la depressione, poiché la malattia colpisce pazienti giovani, nel pieno della loro vita attiva economica e sociale, sottraendole al periodo migliore dell’esistenza umana, che è quella produttiva. Nella seconda parte della sua relazione si è soffermata sulle nuove terapie per una qualità di vita migliore. «Come? Personalizzando la terapia, in relazione alle diverse strategie terapeutiche, scegliendo, a seconda del paziente, la strada più giusta, anche riguardo alla somministrazione del farmaco. Ovviamente se il paziente è molto impegnato un farmaco orale sarà più efficace che non un farmaco invasivo come le iniezioni settimanali, che comportano a loro volta disturbi importanti». Ed è qui che ritorniamo alla terapia sociale di ogni paziente, così come quella farmacologica, secondo il progredire della malattia, deve essere riveduta.

Il caso del signor Lo Gullo potrebbe rientrare in quest’ambito, ad una urgenza abitativa per la sua famiglia, oggi, segue l’esigenza di rivedere la situazione per via del progredire in negativo del disturbo.

Il limite maggiore consiste nel fatto che Lo Gullo è proprietario del suo immobile, ma ciò può causare che una mattina o in qualsiasi momento della giornata egli si possa ritrovare prigioniero nelle sue quattro mura, immobilizzato nelle gambe. La situazione di Lo Gullo è piuttosto seria, un mutuo ancora da estinguere, una situazione non lavorativa inesistente, non è facile in queste condizioni trovare lavoro, una famiglia di quattro elementi che vive con la pensione d’invalidità di Lo Gullo.

Lucia De Cicco

sabato 7 giugno 2014

XI

Luoghi impregnati di una strana magìa Di origine calabrese, con lo sfizio e la passione artistica degni del nome che porta Veronica Azzinari figlia di Franco, il pittore del vento

L’artista degli spazi dell’anima i di Franco Bartucc

Cosenza ha ospitato in una mostra le opere di una giovane ventottenne lombarda, con origini appartenenti alla Calabria, con lo sfizio e la passione artistica degni del nome che porta. Si tratta di Veronica Azzinari, che ha realizzato le sue opere usando un metodo antico e laborioso, quello della calcografia che guarda con interesse al recupero di antiche tecniche adottate per esprimere estetiche contemporanee.

«Le simbologie che si trovano sui miei lavori - ci ha detto in occasione della mostra - non hanno la pretesa di avvicinarsi ad alcuna religione o esoterismo, è solo che i luoghi in cui vivo spesso sono così impregnati di una strana “magìa” che non riescono a fare a meno di produrre dei sogni un po’ particolari che poi cerco di trasmettere a matita, penna, pennello o punta d’acciaio... E poi c’è da dire che quanto ero piccola sognavo, pensavo che da grande avrei fatto l’archeologa e a furia di rinvenire, dal campo sotto casa, frammenti di cocci corrosi dal tempo, sassi e strane radici, mi sono portata fino ad oggi un fascino nei confronti del passato e di alcune sue estetiche».

Le sue metodologie lavorative le permettono di descrivere al meglio i suoi spazi onirici che, mediati dalla tecnica, a volte sono nitidi e chiari mentre altre volte appaiono sfumati ed evanescenti, in ogni caso le sue calcografie delineano spazi dell’anima, della storia e della cultura della giovane artista.

«Le opere di Veronica Azzinari - è il pensiero di Renato Guzzardi, docente dell’Unical, raccolto durante la visita alla mostra - emanano energie sottili facilmente percepibili; sono energie generate da nuclei di vita palpitanti inseriti nelle evanescenze delle sue opere che, a volte, già sviluppati si configurano come cascate cristalline di fili energetici nell’atto di fecondare spazi terreni della vita quotidiana, mentre altre volte si configurano come embrioni di vita, fragili e delicati da riporre all’interno di spazi protettivi convessi».

«Il tratto chiaramente riconoscibile, la sapiente scelta dei colori, le sfumature energetiche provenienti dei percorsi filiformi descritti nelle opere - sottolinea ancora Guzzardi - appaiono incoerenti con la giovane età di Veronica. Infatti sembra che la giovane artista porti

Ha realizzato le sue opere usando una metodo antico e laborioso, quello della calcografia, che guarda con interesse al recupero di antiche tecniche adottate per esprimere estetiche contemporanee

Veronica Azzinnari e Renato Guzzardi Sotto, uno dei lavori dell’artista

dentro di sé esperienze di vite vissute intensamente più volte nei secoli passati e che giustificano i messaggi emozionali densi di misticismo, di simboli esoterici, di segni incompleti ed evanescenti che richiamano alla nostra memoria religiosità antiche e riportano ad esperienze magiche primitive già vissute negli albori della nostra civiltà. Veronica è figlia d’arte, suo padre il maestro Franco Azzinari, le ha trasmesso il suo Dna d’artista. Artisti diversi, non confrontabili, ma comunque artisti di grande spessore e grandi potenzialità».

Veronica Azzinari ha studiato presso la Scuola del libro di Urbino specializzandosi nella sezione “Cinema di animazione”, con un ricco percorso di ricerca anche sulla pittura, scultura e sulle tecniche serigrafiche. Dal 2010 ha iniziato ad esporre i suoi lavori a Riccione, Rezzato (Brescia), Urbino, Pesaro, Carpi (Modena), Torino e Cosenza, pubblicando su alcune riviste, tra cui Lo Straniero ed altre realtà editoriali del Bolognese, dei saggi su argomenti di attualità e forte impatto culturale ed artistico. Nel 2011 si avvicina alla musica che sente come supporto e ispirazione per le sue immagini.

Nascono così collaborazioni con NicoNote e la “Morte”, per la quale nel 2012 realizza trenta soggetti/copertine in calcografia stampate a mano. C’è poi da dire infine che Veronica Azzinari, secondo il pensiero del giornalista Simone Sbarbati, crea con il suo lavoro artistico una simbologia sacra tutta sua che funziona proprio perché coerente a sé stessa e invece di raccontare storie già scritte ne evoca frammenti, come in un sogno.

Buon lavoro Veronica, aspettiamo di vedere l’evoluzioni delle tue potenzialità e siamo certi che riuscirai ad emozionarci ancora con le tue nuove opere.

XII

sabato 7 giugno 2014

Quelle pagine ancora oscure Il libro del sociologo Rocco Turi che ha fatto emergere la verità sul caso Moro

Storia segreta del Pci Nel corso della cerimonia conclusiva del “Premio Troccoli Magna Graecia”, tenuta al teatro comunale di Cassano, il sociologo Rocco Turi ha fatto emergere la verità sul caso Moro nel libro Storia segreta del Pci, (Rubbettino editore). «La giuria del Premio - ha osservato il professor Rocco Turi - ha avuto un bel coraggio nel premiare Storia segreta del Pci (Rubbettino), saggio che affonda le sue radici nel 1983 quando i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani si conclusero con risultati insoddisfacenti e fuorvianti».

A Turi, quindi abbiamo rivolto alcune domande.

Lei sostiene che i lavori della Commissione nacquero su presupposti inefficaci e conflittuali: perché?

Era previsto che la Commissione avrebbe dovuto ultimare i suoi lavori entro otto mesi dal suo insediamento e invece furono promulgate ben cinque leggi per ulteriori indagini. Considerata la qualità dei risultati ottenuti sembra quasi scandaloso. Ma il Partito comunista italiano avrebbe desiderato un dibattito parlamentare piuttosto che nominare una Commissione d’Inchiesta. Tuttavia, solo apparentemente l’inciucio con la Democrazia cristiana non ebbe esito perché il tempo di proroga servì proprio a smussare i contrasti.

Il Pci controllò i lavori della Commissione allo scopo di giungere a un risultato politicamente corretto che escludesse qualsiasi responsabilità attribuita a soggetti legati al comunismo e organizzazioni di oltre cortina di ferro. Il Pci riuscì a concludere i lavori con una Relazione di maggioranza che comprese anche il voto favorevole della Democrazia cristiana e di quasi tutti i componenti la Commissione. Furono compilate anche alcune Relazioni di minoranza che tracciavano responsabilità politiche ben diverse, ma di esse il grande pubblico non fu mai informato.

«Saggio che affonda le sue radici nel 1983 quando i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani si conclusero con risultati insoddisfacenti e fuorvianti»

Il tragico ritrovamento

Secondo le sue ricerche qual era lo scenario politico europeo?

Il Governo italiano sapeva che il caso Moro era inserito in un contesto politico di oltre cortina, ma - come spesso accade in Italia avrebbe preferito che altri ne rivelassero lo scenario. D’altra parte, lo storico inciucio Pci-Dc, appena dimostrato con il comune voto favorevole alla Relazione di maggioranza sulla Commissione d’Inchiesta su via Fani, non permetteva che la Democrazia cristiana deviasse dall’accordo raggiunto dopo tre anni. Attraverso un accordo fra Governi fu attribuita una borsa di studio per cercare in Cecoslovacchia le tracce sul caso Moro.

Allora quale fu la verità sul caso Moro?

I vari libri pubblicati aventi per obiettivo la responsabilità di Democrazia cristiana e degli Stati Uniti d’America, nonché di altre organizzazioni rigorosamente occidentali o mediorientali, aumentarono a tassi crescenti. Su verità incredibili molti autori costruirono lungimiranti carriere e lo scopo era di blindare la conoscenza politicamente corretta del caso Moro. È noto in Italia, infatti, che quando una pseudo verità viene più volte confermata essa diventa dogma. È noto altresì che migliaia di titoli fino a ora pubblicati, praticamente fuorvianti, servono oggi a contrastare il cammino dell’unico volume che, dopo 35 anni, abbia risolto definitivamente la questione politica relativa al caso Moro: Storia segreta del Pci. A quali risultati approdarono le sue ricerche in Cecoslovacchia?

I partigiani della Volante Rossa che nel dopoguerra avevano commesso reati in Italia furono aiutati dal Pci a fuggire in Cecoslovacchia; per rendere l’ospitalità ricevuta essi si misero al servizio del Paese che li accolse e fondarono la “Gladio rossa”, organizzazione che partecipò alle iniziative politiche per contrastare in Italia il nascente compromesso storico.

sabato 7 giugno 2014

Pillole di fede XII convegno del terz'Ordine Carmelitano del Sud Italia

La Parola ai tempi nostri di Lucia De Cicco

Il XII convegno residenziale dell’Ordine secolare carmelitano anche quest’anno ha dato il suo frutto. Il tema scelto, “la Parola”, alla luce dei giorni odierni con il richiamo alla figura del profeta in ogni tempo. Tenutosi dall’ 1 al 3 giugno a San Giovanni Rotondo, provincia di Foggia e terra in cui visse San Pio da Pietralcina, canonizzato il 16 giugno del 2002. Il convegno è stato aperto dal provinciale padre Enrico Ronzini, dalla già presidente del Terzo Ordine della provincia napoletana, Marisa Fotia, da padre Antonio Calvieri, e con la relazione avvincente sul Verbo e il profeta di padre Bruno Secondin. Il titolo di quest’anno: “Il Terziario carmelitano, testimone impegnato nel quotidiano”. Hanno partecipato gli Ordini secolari del Sud Italia, della Puglia, Calabria, Campania e Basilicata. Il convegno è stato aperto con una riflessione sul valore del Vangelo, che deve rappresentare, ha ribadito, padre Calvieri, uno spogliarsi delle vesti mortali e devozionali per rivestire quelle del servizio verso l’altro, accrescendo Cristo e diminuendo il nostro “io” secondo le nostre personali convenienze. Padre Bruno Secondin, carmelitano, è stato a lungo professore ordinario all’Università Gregoriana di Roma, insegnando Storia della spiritualità moderna e principi di Teologia spirituale sin dall’ultimo trentennio del secolo scorso, tra i suoi lavori più importanti, ascoltare e annunciare l’esperienza mistica di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi (fra l’altro sua tesi di laurea), facendo sempre i conti nei suoi scritti, con un tempo, ormai, profondamente cambiato, con particolare attenzione alla spiritualità contemporanea, alla vita religiosa e alla Lectio Divina, che cura presso Santa Maria in Traspontina In Roma. Ovvero come ama definirla Benedetto XVI, lettura orante della Parola. La lettura della Parola deve svolgersi con molta attenzione e con passaggi necessari per la concentrazione, possibilmente a piedi nudi e in un angolo silenzioso della casa: Invocazione dello Spirito santo; la lettura lenta e attenta del testo biblico; la meditazione, che si deve allargare non solo nello scrutare parola per parola ma servirsi di riferimenti anche biblici; conoscere, mediante l’interpretazione della tradizione ecclesiale; discernere, è una finestra aperta sul mondo nel nostro vivere quotidiano alla luce della Parola; la preghiera, che deve essere fatta sempre con il testo biblico o con i Salmi; la contemplazione, gustare Dio con il cuore e riconoscerlo nella storia; ricordare, tramite la scelta di una frase e viverla; condividere, con la comunità ciò che è il frutto della Parola meditata; agire, secondo la conformità alla Parola meditata. Altra frase, che colpisce nella relazione di Padre Bruno, è stata quella che ha ripercorso l’immagine del profeta. Chi è costui? Come si deve comportare? Il riferimento è forte a Papa Francesco. Egli è un uomo, che parla delle cose di Dio, adottando il linguaggio del popolo, rielaborando alla luce della Bibbia però il suo discorso. L’idolatria, i riti che sfiorano il pagano o che sono intrisi di esso devono essere rielaborati per fare comprendere al Popolo l’autenticità del messaggio evangelico. L’Icona di Cristo deve essere sempre posta al centro della meditazione, poiché la “Parola orante” è soprattutto in rapporto al Maestro, che sostiene e

La lettura della Parola deve svolgersi con molta attenzione e con passaggi necessari per la concentrazione, possibilmente a piedi nudi e in un angolo silenzioso della casa

Nella foto sopra: Bruno Secondin tra il priore Enrico Ronzini e Marisa Fotia presidente uscente del Terzo ordine

guida come un fuoco che dal centro irradia i suoi raggi. Il profeta, afferma Padre Bruno Secondin, è chi affronta tutto con un fuoco dentro, ne è egli stesso “ubriacato”, adottando la mistica del popolo, e facendo suo il linguaggio, solo così la gente lo ascolterà.

Abbiamo chiesto a Padre Secondin In che modo può il terziario essere, profeta oggi?

Tramite i tre passaggi importanti ripercorsi durante il convegno, che sono i modelli essenziali: Elia, che diventa profeta nella fragilità e nella sua impotenza di fronte al mistero più grande della morte, ma che allo stesso tempo diventa segno di Dio, nella solidarietà, nella vicinanza, nella tenerezza e non solo del miracolo giacché tale. La centralità della Parola, quindi, in cui Lei plasma l’identità cristiana, senza Parola non c’è Chiesa e invece noi usiamo molte altre strade, torrentelli piuttosto che il fiume più grande. Poi tramite l’esempio di Paolo della cultura mentale, identità religiosa intesa come luogo, dove Dio ci chiama a testimoniare. Ci sono delle tradizioni, che sono nate nel tempo pulite e autentiche e poi con il tempo stesso, forse si è andata perdendosi per dimenticanza, la ragione e l’origine per cui sono sorte. Incrostandosi di superstizione e prive di qualità possono essere tante le ragioni, che le hanno trasformate facendo perdere quell’autenticità originaria. Si deve sempre purificare ciò che non lo è, vigilare, affinché non vadano alla deriva le cose belle e che di tanto in tanto si rivitalizzino alla luce della Parola e della centralità della liturgia. Ci sono linguaggi che in determinate epoche sono molto efficaci, ma che in altri sono controproducenti.

Rielaborare, purificare, è una grande sfida, che si chiama nuovo acculturamento.

Che cosa fare allora? Ritornare alla Parola così come espressa nell’Evangelo oppure attualizzarla alla lue dei tempi moderni?

La Parola va colta nella sua originalità, ma nello stesso tempo deve essere una Parola, che parla, oggi, alle domande, alle angosce al bisogno di felicità, di luce e di vita dell’uomo moderno. La Chiesa ci aiuta da una parte all’approccio di autenticità alla Parola, ma dall’altra parte ci invita a trovare espressioni, linguaggi, che comunichino all’uomo di oggi, alle sue attese e sofferenze. Questa mediazione, che è molto importante necessità di stagioni, che devono essere giocate nuovamente. Si tratta di andare alla fonte genuina, ma nello stesso tempo una fonte di vita e non una semplice archeologia. Non si può restare nell’archeologia, o andare nella banalizzazione della moralità. A ciò serve, la vigilanza del Magistero, che deve esprimersi nella autenticità della fonte e fecondarsi nella applicazione e tenere, sempre, conto di una serietà dell’applicazione e della sua essenzialità.

Che cosa dire all’uomo moderno, che è lontano dalla Parola e che non crede in quest’apparato del costrutto archeologico o contaminato?

Ciò cui Papa Francesco ci istruisce: il primo dialogo è quello della tenerezza, della vicinanza e della compagnia. All’uomo moderno servono non chiacchere, ma un linguaggio umano carico di empatia.

Ha chiuso il convegno il Provinciale padre Enrico Ronzini, che non ha ribadito ciò, che il Carmelitano plasmato dalla Parola deve svolgere nella sua esistenza e già sottolineato dalle parole di padre Secondin. Egli non può chiudersi in sé, ma lasciarsi aprire all’accoglienza per nuovi orizzonti, capace di un dialogo nuovo per nuove frontiere.

XIII

XIV

sabato 7 giugno 2014

Il racconto

Scene paesane nella mia memoria Erano in quattro, in paese ad avere il carrozzino con il cavallo di Giuseppe Aprile

Erano in quattro, in paese, ad avere il carrozzino con il cavallo. Mio padre (Micuzzo Aprile), ‘Ntonuzzo Mittica, Mimì Chianese e Peppino du “ddi peppi” Questo ultimo faceva vita a sé. I primi tre erano sempre assieme, fratelli, amici, collaboratori, complici nel lavoro e con famiglie in grande amicizia e parentela. Mio padre, con Ntonuzzo Mittica, aveva anche un lavoro in comune. Oltre che viaggi per trasportare ogni bene di consumo che veniva poi venduto nelle botteghe alimentari e di vino, commerciavano olio anche all’ingrosso (in grossi bidoni su camion) oltre che negli otri (su carrozzino). Tutti, in paese li favorivano vendendo ad essi l’olio che producevano nelle proprie campagne. Questo veniva venduto al grossista di Siderno, Macrì, che pagava sempre puntualmente e bene. Molte famiglie benestanti, che avevano molta terra ed in più parti delle campagne, con il ricavato annuale dell’olio, completavano le proprie entrate. Avevano denari e beni agricoli. Con i soldi dell’olio compravano tutto quello di cui avevano bisogno e passavano per famiglie assai benestanti. Alcuni dei loro capi, venivano chiamati con il don, altri col titolo di cavaliere, altri ancora erano i signorini dei grandi ricconi per tradizione antica.

I più ricchi del paese erano i fratelli Vitale e il cavalier Speziale. C’era un altro ceppo di Speziali: i figli di un antico medico che, come averi,. venivano subito dopo le prime due famiglie: Vitale e Speziale.

Nel paese c’erano anche altre antiche famiglie di benestanti che avevano anche palazzi sontuosi ed abitavano pure tante campagne. A Santo Simio, alla Rombolella, dai Lanciano; c’erano pure i Murdaca di cui uno, l’avvocato, è stato uno dei deputati della Democrazia cristiana e Sottosegretario di Stato. Dopo che non fu più rieletto deputato della Dc, passò ad altri partiti per avere le candidature, ma perse le elezioni sempre e perse anche una certa reputazione che si era fatta per tutti gli anni che venne eletto nelle liste della Dc del famoso Alcide De Gasperi. Tutt’ora, il paese, anche se tutte le famiglie ricche per antica tradizione sono quasi tutte scomparse, è pieno di antichi palazzi che sorgono in tanti punti; alcuni in aperta campagna. Di tradizione religiosa erano due famiglie. Quella di Don Mimì Speziale che sarebbe lo speziali più noto e più di antica ricchezza, festeggiava ogni anno la Madonna del Rosario. Per questo nel paese, ogni hanno, si svolgevano due grandi feste: quella patronale di S.Ilarione Abbate e quella della madonna del Rosario. Per entrambe le feste si portava la musica e si facevano i fuochi artificiali nonchè una grande e partecipata processione.

Per la festa di Sant’Ilario arrivava la grande banda musicale composta da circa quaranta elementi e si esibiva facendo i giri del paese per due-tre volte, il mattutino (era una suonata per svegliare la gente e segnava l’inizio della festa, assieme agli spari del fochista Minasi), la processione e l’esibizione serale sul palco per suonare le grandi opere dei musicisti: Betowen, Verdi, Puccini, Mozart, Mascagni ed il canzoniere per chiusura serale, prima del ballo finale del cavalluccio e dei fuochi artificiali che venivano fatti nella zona della Mante, dove tutti li potevano vedere con comodità. Per la festa della Madonna del Rosario, molto più modestamente anche perché la festa il cavaliere Speziali la faceva a spese sue, senza uscire a raccogliere denari tra la popolazione e gli emigranti, come si faceva per la festa del santo Patrono, e la musica che portava era la più modesta “Banda du mbulla”, una fanfara composta da ciaramella, zampogna, tamburo, piatti, lazzarino, grancassa. Era la famosa banda campagnola che veniva portata dalla vicina Bombile di Ardore ed era diretta da un meraviglioso e indimenticabile suonatore di tamburo. Che non confondevano con Gelonese, il tamburinaro di Condojanni che si esibiva in tutte le altre ricorrenze festive del paese.

Mio padre, con Ntonuzzo Mittica, aveva anche un lavoro in comune Oltre che viaggi per trasportare ogni bene di consumo che veniva poi venduto nelle botteghe alimentari e di vino, commerciavano olio anche all’ingrosso

Ora il paese è rovinato Abbandonato, pieno di case vecchie disabitate, con tanta gente emigrata o andata a vivere in paesi di marina facendosi una nuova vita.

E’ un ambiente che ad un certo momento è venuto occupato da gravi fenomeni delinquenziali che hanno scacciato la gente giusta e di antiche tradizioni civili. Ora è rimasto solamente un agglomerato urbano quasi privo di gente seria ma con gruppi di affaristi venuti da fuori, che hanno praticamente occupato il suolo e si sono impadroniti di ogni forma di attività produttiva.

I paesani non ci sono più e il vecchio ambiente, le antiche tradizioni che hanno retto per secoli, oramai sono diventati un ricordo. Peggio che in qualsiasi altro paese della zona. Nemmeno le grandi feste delle antichità che si facevano e si fanno in tutto il mondo cattolico, si fanno più.

La gente del paese è fuori, o scomparsa per vecchiaia o, comunque, che vive solamente in attesa di morire; senza più speranza e senza altra ragione che resistere alle vicissitudini della società contemporanea, negatrice delle migliori e sane tradizioni popolari e locali, depistata dall’avvento di nuove e gravi abitudini che deturpano l’oggi e lasciano antichi ricordi e nostalgie infinite e taglienti.

La tristezza, il dolore, la vecchiaia, la rassegnazione sono oramai i sentimenti di questa popolazione la cui maggior parte è all’estero, al nord o in paesi europei dove hanno potuto trovare un lavoro ed una vita possibile.

Le feste che in quasi tutti gli altri paesi della nostra provincia resistono ancora, ma che una volta erano vitali per queste popolazioni, erano la Pasqua, Il carnevale e il Natale. La Pasqua durava per cinque giorni. Non calcolo alcune dedicate a tradizioni squisitamente religiose che la stragrande maggioranza della popolazione non aveva mai acquisito. Si svolgevano nel chiuso della chiesa, come le famose prediche di cui l’unica molto centrale era quella in cui il sacerdote che svolgeva la predica dal pulpito, chiamava la Madonna, Maria, a prendersi il suo figliolo morto. Era la cerimonia totalmen-

sabato 7 giugno 2014

Il racconto

gli occhi della madonna e l’apparizione del Cristo Risorto tra una ondata di commozioni che avvolgevano i fedeli. Suono di campane, quindi, squilli di tamburo, tintinnìo di campane in festa e banda musicale diventavano tuttuno per far sorgere la grande festa della resurrezione che comportava la processione, per tutto il paese, della processione con i tre santi protagonisti di tutte le feste. Veniva, poi, il giorno del festeggiamenti popolari che erano determinati dall’invasione di tradizionali luoghi di aperta campagna che, con salsiccia, soppressate, formaggi e vini, suoni e canti, esplodevano in una gioia infinita che simboleggiava la contentezza popolare che festeggiava la fine della morte e l’avvenuta resurrezione di Cristo, assieme alla Madre che aveva finito di essere addolorata, evidentemente.

La festa della Madonna del Rosario Il cavaliere Don Mimì Speziale che era la seconda famiglia del paese come ricchezza di terreni e di denari, ogni hanno faceva la festa della Madonna del Rosario. Si trattava della seconda festa del paese, a parte le festivtà di Natale che comprendeva il capodanno e il Battesimo, il Carnevale e la Santa Pasqua che erano, poi, feste non paesane, ma di tutti. Don Mimì Speziali era padrone di una grande statua della Madonna del Rosario, che era nella chiesa, bene in vista, in una nicchia tutta propria di legno ed ogni anno celebrava la festa con denari proprio, al contrario di come si faceva, ovunque, con le feste che vedevano sempre una commissione organizzatrice adatta ad organizzarla e ad raccogliere i denari per il finanziamento. In verità v’era una diceria paesana riguardo al fatto che ogni anno, quando si recava la festa del Santo patrono, si raccoglievano fondi anche tra gli emigrati qualche volta questi servivano non solo a finanziare la festa, ma anche a pagare un maiale che i membri della Commissione utilizzavano per una giornata di scialacquamento.

te religiosa che vedeva il prete chiamare la Madonna, dal pulpito, che veniva ad entrare portata in corsa dagli appositi portatori, in grande corsa, e si avvicinava al predicatore che svitava una piccola composizione del cristo dalla croce e la consegnava tra le braccia di Maria Addolorata perché venisse, poi, portata mestamente nel Sambuco (Santo Sepolcro) dove quel piccolo Cristo poggiato tra le braccia della Maria Maddalena, veniva sostituito da uno più grande poi deposto dentro una bara coperta di veli mobili e trasparenti e rimaneva tutta la notte ricevendo la visita dei fedeli che si abbassavano e baciavano preganti e pietosi.

Le campane finivano di squillare e venivano sostituite dal suono della Trocca e del Corarace che facevano anche il giro del paese con i loro tocchi e stridii lugubri. La mattina del venerdì santo, detto così perché giorno della consacrazione del cristo morto, si svolgeva la processione al Calvario dove la gente si portava portando il Cristo morto, la madonna in nero e S. Giovanni, ed il prete faceva la sua nuova predica spiegando il significato della morte di Cristo, la condizione della madre piangente e vestita a lutto, di nero. La sera di sabato veniva recitata, in piazza, la Passione e Morte di Gesù Cristo, da giovani attori selezionati tra la gente del luogo. A mezzanotte si teneva la messa per la Resurrezione e, al ritornato suono di campane in festa, risorgeva Cristo con la famosa scena della resurrezione.

La mattina di domenica si svolgeva l’Affruntata in piazza. La Madonna, ancora vestita in nero perché la cerimonia doveva rappresentare l’atto della Resurrezione dopo la morte, veniva collocata in una zona del paese che veniva identificata con l’inizio di corso Garibaldi, subito dopo la curva a gomito del mulino che immetteva nel paese con un breve rettifilo che giungeva fino alla piazza Garibaldi e procedeva poi per il resto del paese, fino alla zona di Cresima, dove, dietro a una curva, veniva mantenuta la sfavillante statua del Cristo risorto. Tra la Madonna e il Cristo, faceva dei viaggi, in corsa, S. Giovanni che portava alla Madonna la notizia della Resurrezione, mentre la Madonna non ci credeva. Al terzo viaggio, che i portatori portavano in corsa, la Madonna invitata da S. Giovanni, veniva portata pur’essa in corsa fino alla piazza dove avveniva l’incontro (l’affruntata) mentre, in uno, avveniva che veniva tolta la benda da-

Don Mimì Speziali era considerato molto bene in paese, per questa sua devozione alla Madonna. Faceva svolgere la festa tante volte in concorrenza con la festa del Patrono e molti per tutto l’anno facevano il paragone tra le due feste paesane di Sant’Ilarione Abate (santo protettore del paese) e della Madonna del Rosario rilevando che l’unica grande differenza fosse il fatto che per la festa del Patrono arrivava la banda musicale che la sera suonava sul palco in piazza e per la Madonna del Rosario si esibiva la bella musica “del mbulla”: la banda musicale paesana che veniva dalla vicina Bombile ed allietava comunque i paesani per tutta la giornata ed anche in processione. Per tutte le altre cose si trattava della solita festa che interessava tutto il paese ed anche per l’intera giornata, compresa la fase del fuochi artificiali dove la gente gareggiava tra i fuochi delle due feste e quando riteneva gli uni, quando gli altri migliori, ma sempre osannando le due festività entrambe e coloro che le avevano rese possibili con il loro sentimento religioso e di amore paesano. Resta figura indimenticabile il fochista Minasi. Un uomo che tea figlio di un altro fochista di Sant’Agata del Bianco che per un incidente di lavoro aveva perso un braccio e continuava il suo mestiere e ballava addirittura il “cavalluccio” proprio con una mano, mentre al posto dell’altra mancante, era una manica di giacca vuota che gli pendeva e finiva nella tasca della sua giacca. Si chiamava Mimì Minasi ed si era sposato a Cimino, un paese vicino al Sant’Ilario. La gente lo considerava bravo quanto il padre.

Con i soldi dell’olio compravano tutto quello di cui avevano bisogno e passavano per famiglie assai benestanti

Nel paese c’erano due fazioni di ammiratori tra le due feste. Una diceva sempre che la festa migliore fosse quella del Santo patrono.

L’altra sosteneva che la festa della madonna del cavaliere Speziale fosse da ammirare di più per due motivi. Da una parte c’era da dire che la festa “del Rosario” non era di gran lunga inferiore a quella di Sant’Ilarione Abate nemmeno come esecuzione delle caratteristiche e l’altra era che era pagata in privato, da una famiglia sola.

Chi, invece, preferiva la festa di Sant’Ilario, diceva: «Va tutto il nostro apprezzamento e l’ammirazione per il cavaliere Speziali che fa le cose con cuore e convinzione. Ma la festa principale resta quella di Sant’Ilario perché da una parte a noi non interessa chi paga, ma interessa come si fa e quali interessi suscita. E poi c’è da dire che una festa non vale per i denari che richiede, ma per l’importanza che assume nelle tradizioni di un popolo di paese. La festa del Patrono è sempre la festa del Patrono! «Gli altri sostenevano che comunque conta la volontà del cavaliere Speziali che va ammirato parimenti perché copn il suo amore ed il suo sacrificio ha dotato il paese di una seconda festa per cui in paese è come se fossero due le grandi le feste patronali dell’anno, mentre negli altri comuni la festa è solo una». continua...

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