Mete n. 4

Page 1

NR 4 | FEBBRAIO 21

O B I E T T I V I Sulle orme dei Longobardi: il Castello Arechi di Salerno

S U C C E S S I DESTINAZIONI

Vette da conquistare: la salita alla Roda di Vael


SERVIZI Impianti fotovoltaici, quadri bt e mt impianti elettrici e strumentali, sottostazioni, impianti elettrici industriali e civili, impianti biogas, impianti antincendio e sprinkler MASSIMO MALAVOLTI

P.I.e C.F. e N.Reg.Impr. RA: 02503580397

Sede legale: via Circondario Sud 62/1 - 48022 Lugo (RA) Sede operativa: via Achille Grandi 19 - 48123 Ravenna Tel. 0544 684079 - Cell. 349 7587699 - Fax 0544 684086

ergon@ergonravenna.it - www.ergonravenna.it


campo base IL VIAGGIO È UN DIRITTO Il mappamondo. Era un oggetto affascinante. Lo toccavamo con un timore reverenziale, con estrema attenzione, così delicato nella sua inclinazione assiale, e stimolava la nostra immaginazione infantile e la nostra curiosità.

con slogan piuttosto che affrontarle e studiarle per risolverle efficacemente; l’impoverimento culturale porta ad ignorare sempre più la storia; con la scomparsa progressiva dei testimoni del tempo si attenua la memoria storica e si perdono le tracce dell’esperienza.

Hanno sempre viaggiato, gli abitanti della Terra, per cercare la vita. All’inizio erano nomadi, per millenni si sono mossi alla ricerca di cibo, per sfuggire a condizioni climatiche avverse, per esplorare e scoprire. Il viaggio è parte integrante della natura umana, della sua essenza; fondamentale spinta verso la ricerca e, quindi, verso il progresso. Strettamente legato al concetto di viaggio è quello di ospitalità, sacro nell’antica Grecia: si riteneva che l’ospite potesse nascondere in sé una divinità, e non accoglierlo avrebbe potuto attirare l’ira di Zeus. Ospite (Xenios, protetto da Zeus), per i Greci, era chiamato lo straniero ma anche colui che lo accoglieva, e le due famiglie restavano legate per sempre; l’ospitalità prevedeva anche uno scambio di doni reciproco. Questi stessi valori li ritroviamo nella tradizione giudaico-cristiana, discendendo dall’esperienza diretta del popolo eletto. Il viaggio presuppone l’incontro con l’altro, “lo straniero”, e chiama in causa la comunità, di cui si è parte o in cui si vuole soggiornare, che dovrebbe garantire i diritti e riconoscere l’uguaglianza tra i soggetti di questo incontro.

Si assiste, dopo oltre 70 anni, ad un tradimento dei risultati che si erano ottenuti dopo la Seconda Guerra Mondiale. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, redatta dalla Commissione presieduta da Eleanor Roosevelt il 10 dicembre 1948, sancisce a chiare lettere il diritto di lasciare il proprio Paese e quello di farvi liberamente ritorno. Lo ius migrandi è il diritto naturale di ogni uomo a migrare, spostarsi liberamente per usufruire della terra del mondo, che appartiene a tutti. Non è difficile osservare come sia incentivata e promossa l’emigrazione di concittadini al fine di migliorare la propria posizione lavorativa, trovare nuove opportunità di lavoro e quant’altro mentre, al contrario, qualora altri desiderino varcare le “nostre” frontiere vengano percepiti come minacce, ostacoli o addirittura usurpatori. Vanno creandosi, ad opera degli Stati democratici, normative atte a depotenziare i diritti enunciati (e resi anche cogenti) dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, vere barriere istituzionali, il cui frutto non può che essere la discriminazione. Le migrazioni sono frutto non già di emergenze ma del nostro stile di vita insostenibile per il pianeta, di un sistema profondamente sbagliato. Sulla Terra il 10% della popolazione consuma il 90% dei beni; oltre 4 miliardi di esseri umani impoveriti devono sostentarsi con l’1% della ricchezza posseduta da pochi; è evidente la ragione che spinge milioni di persone a lasciare le proprie terre per potere sopravvivere. Questo sistema economico finanziario per reggersi per forza deve armarsi: di qui, ad esempio, i 1917 miliardi di dollari spesi dalle grandi potenze l’anno scorso per mantenere la posizione ed assicurarsi l’approvvigionamento delle materie prime (anche attraverso guerre, vedi Afghanistan, Libia, Siria, Iraq, Congo).

“Siamo tutti sulla stessa barca”, è la frase ricorrente in questi tempi di prova globale; magari, invece, siamo su barche diverse; chi sullo yacht, chi sul catamarano, chi sul gommone ma certamente tutti ci troviamo investiti dalla medesima tempesta; chi ha mezzi più deboli probabilmente patirà in misura maggiore. Il momento storico, caratterizzato da una tragedia sanitaria inaspettata e soverchiante, rende evidente il fatto che, davvero, nessuno può salvarsi da sé. La pandemia moltiplica barriere e paure antiche. Sembrano argomenti distanti tra loro, eppure sono profondamente legati l’uno all’altra. Davanti al mappamondo, la Terra vista da “fuori”, non ci appaiono limitazioni. Frontiere e confini posti dagli uomini possono essere strumenti per delimitare gli ambiti di competenza dei singoli Stati, ma non dovrebbero essere impermeabili allo scambio tra persone e comunità entro ed oltre questi stessi confini. Avere cura delle proprie radici non significa chiudersi ed alzare muri o mettere filo spinato. La diversità culturale è nei fatti una ricchezza, e non una minaccia; l’identità culturale non fa a pugni con il dialogo, e non si tratta di dovere difendere la propria storia: eppure ormai si percepiscono le culture diverse come una minaccia. Credo ci sia una convinzione, purtroppo piuttosto radicata, sebbene sottile e sottotraccia: la superiorità razziale. Essere al punto di costruire muri sui territori liberi, per tutti fruibili, della madre Terra, significa essere immersi in un’ottica di discriminazione. Assistiamo ad una marcata tendenza all’omogeneizzazione del pensiero. Al contempo, anche la memoria storica sbiadisce. Il futuro fabbricato e proposto da altri appare appetibile e più facilmente realizzabile. È certamente più facile liquidare questioni impegnative

Non si recepisce né interessa quello che accade nei Paesi impoveriti da questo sistema: violenze, colpi di stato, terrorismo, disastri e fame causati dai cambiamenti climatici; la notizia che cattura è quella di chi varca i “nostri” confini, e che non si vuole, alla faccia del principio di non respingimento alle frontiere, come sancito dalla Convenzione Internazionale di Ginevra del 1951. Queste riflessioni non sono nuove; le abbiamo sentite spesso e ci sono scivolate sopra; perché pensiamo di essere impotenti, di non potere decidere, non ci è dato cambiare il corso degli eventi. Questo è ciò che ci raccontiamo. Non è vero! Ciascuno può agire coerentemente ai propri principi, nelle proprie piccole scelte quotidiane, che sono centinaia; ciascuno può focalizzarsi sui propri comportamenti. Ciascuno può ragionare sul perché un prodotto al supermercato costi così poco, ed evitare di acquistarlo, se è frutto del lavoro sottopagato di migliaia di migranti. Non possiamo obbligare nessuno ad adottare determinati stili di vita, ma ciascuno può cominciare. SILVIA GIRONI


SOMMARIO Numero Quattro

01

06

il ritorno del lupo nel Bosco Pantano

il Castello Arechi di Salerno

SULLE TRACCE

PROGETTI VISIONARI

pagina 6

pagina 23

02

03

04

05

il rispetto della fauna in inverno

sentieri

il viaggio dall’Io al Noi

Flagstaff, Arizona

SULLE TRACCE

SOSTA

VIAGGI ALTRI

SCORCI

pagina 10

pagina 14

pagina 16

pagina 18

COLOPHON DIRETTORE RESPONSABILE

Silvia Gironi CONDIRETTORE

Giuliano Latuga COORDINAMENTO EDITORIALE E GRAFICA

Enrico Cigolla

HANNO COLLABORATO:

PROMOZIONE E PUBBLICITÀ: tel. 0516014990 Emiliano Ardigò LUOGO DI PUBBLICAZIONE: Bologna Fabio Bergamo ANNO: 2020 Vinicio Paselli PROPRIETARIO: A.R.E. s.r.l. Corrado Poli DIRETTORE RESPONSABILE: Silvia Gironi Francesca Vinai CONDIRETTORE: Giuliano Latuga Marta Gandolfi Gabriele Gironi METE MAGAZINEEDITORE: A.R.E. s.r.l, Via E. Mattei, 48/D, 40138 Bologna STAMPATO DA: MGP s.r.l., Antonio Iannibelli -4Martina Verrilli Autorizzazione Tribunale di Bologna n. 8523 del 06.08.2019


08 la salita alla Roda di Vael PASSI

pagina 36

07

11

09

10

vulcani

la crescita post-traumatica

Mes, recovery fund e piano di acquisti

orme medievali a Friburgo in Brisgovia

CAMMINO TRA IMMAGINARIO E SCIENZA

VIAGGIO DENTRO DI SÉ

I TALENTI E I FRUTTI

DI TAPPA IN TAPPA

pagina 28

pagina 40

pagina 44

pagina 46

ABBONAMENTI

FOTOGRAFI

Abbonandovi a METE nella formula da voi preferita potrete usufruire per un anno dell’offerta promozionale:

PIXABAY | PEXELS | FREEPIK | UNSPLASH | WIKIPEDIA | GABRIELE GIRONI | MARTA GANDOLFI | TAKEANYWAY | EMILIANO ARDIGÒ | ENRICO CIGOLLA | ANTONIO IANNIBELLI | SILVIA GIRONI | FRANCESCA VINAI | ANTONIO GABELLI | FRANCO MODENA | IVAN MOSELE

FORMATO CARTACEO € 52,00 FORMATO PDF € 32,00

METE MAGAZINE

Per richiedere l’abbonamento scrivere a: REDAZIONE@METERIVISTA.IT

-5-


01

sulle tracce

ph: antonio iannibelli, fabio quinto

Negli ultimi decenni, grazie all’entrata in vigore di leggi di protezione e all’aumento della presenza di prede selvatiche, si è assistito a un progressivo aumento della popolazione di lupo. Nel 2019, il lupo si è insediato nella Riserva Regionale “Bosco Pantano di Policoro” in Lucania.

ITALIAN WILD WOLF – ERIKA OTTONE, ANTONIO IANNIBELLI, FABIO QUINTO | WWF – CIRELLI GIANLUCA METE MAGAZINE

-6-


Il ritorno del lupo nel Bosco Pantano di Policoro

METE MAGAZINE

-7-


La popolazione di lupo in Italia ha subito un drastico declino a partire dal XX secolo, a causa della persecuzione da parte dell’uomo. Negli anni ’70 l’areale di presenza del lupo era rappresentato da piccoli nuclei lungo l’appennino centromeridionale, tanto da poter affermare che il predatore, in Basilicata, non sia mai scomparso. Negli ultimi decenni del XX secolo, grazie all’entrata in vigore di leggi di protezione della specie e all’aumento della presenza di prede selvatiche, si è assistito ad un progressivo aumento della popolazione di lupo che ha iniziato a ricolonizzare il territorio italiano, partendo dalle aree in cui non era mai scomparso. Il legame dei lucani con il lupo è atavico ed è racchiuso nel nome stesso della Regione (λυκος in greco “lupo”). Dalle montagne, il lupo ha iniziato ad espandersi nei territori collinari, fino a spingersi in pianura, arrivando anche nel Bosco Pantano di Policoro. Da marzo 2019, infatti, il lupo si è insediato nella Riserva Regionale “Bosco Pantano di Policoro” e, differentemente dalle credenze popolari, non è mai stato oggetto di campagne di reintroduzione; né è un esempio quanto accaduto nel piccolo relitto planiziale di Policoro, dove l’espressione “il lupo è arrivato” calza a pennello. L’unico progetto di ripopolamento del lupo nel mondo è avvenuto negli Stati Uniti d’America, precisamente nel Parco Nazionale di Yellowstone, utilizzando lupi provenienti dal Canada. Il progetto

ebbe un grande successo, portando i ricercatori a scoprire l’influenza del predatore sulle specie ed habitat, definendo le cascate trofiche del lupo. I ricercatori di Yellowstone affermarono che il predatore, attraverso il controllo degli ungulati, avesse modificato i fiumi, favorendo un sollevamento dello stato di salute dei corsi d’acqua e della loro morfologia e un arricchimento della biodiversità in generale. Il lupo come un bioingegnere! Il lupo è una specie gregaria, organizzandosi in branchi che in Italia sono delle vere e proprie famiglie, con una gerarchia ben definita: genitori, cuccioli dell’anno e qualche giovane delle cucciolate precedenti. Il nucleo familiare difende un territorio mediamente di 150 Kmq, dal quale i giovani, per competizione alimentare e sessuale, si disperdono, lasciando il branco famigliare, per trovare un territorio libero dove stabilirsi e creare una propria famiglia. Il fenomeno della dispersione è la spiegazione alla comparsa di lupi in territori in cui negli ultimi decenni la specie non era presente. Nell’inverno 2018-2019 un lupo in dispersione è arrivato a Policoro, stabilendosi con la compagna anch’essa in dispersione, nella Riserva Orientata Bosco Pantano di Policoro. A seguito del loro arrivo, ricercatori e professionisti nello studio del Lupo quali Remo Bartolomei, Fabio Quinto ed Erika Ottone, insieme ad associazioni coinvolte nel progetto “L’Ultima Foresta Incantata”, che vede partecipe in sinergia Legambiente METE MAGAZINE

-8-

Montalbano, WWF Costa Jonica Lucana, Centro Studi Appennino Lucano, SAFE dell’Università di Basilicata e la Provincia di Matera, si sono spesi nel monitorare l’evoluzione dell’insediamento del Lupo nella Riserva. Attraverso il fototrappolaggio e il monitoraggio faunistico lungo transetti all’interno della Riserva Regionale Bosco Pantano di Policoro, i tecnici sono riusciti a raccogliere importanti informazioni sulla dieta e sulla fenologia della specie, valutando l’impatto delle attività antropiche e individuando possibili strategie di mitigazione. Nonostante la presenza del lupo possa (scelleratamente) scaturire sentimenti di paura e diffidenza, in Italia negli ultimi 200 anni non si è mai verificata un’aggressione da lupo sull’uomo. Turisti e visitatori (più di 7000 nel mese estivo) hanno attraversato e continuano ad


L’uomo non sa di più degli altri animali; ne sa di meno. Loro sanno quel che devono sapere. Noi, no. Fernando Pessoa

attraversare i sentieri della Riserva di Policoro incolumi e inconsapevoli della sua presenza, specie elusiva e diffidente. Da maggio 2019 a maggio 2020 sono stati raccolti a cadenza settimanale all’interno della riserva 130 escrementi di lupo (mediamente circa un escremento ogni 3 giorni), e l’analisi degli stessi ha permesso di capire e verificare che i lupi di Policoro si nutrono del circa il 95% di cinghiale. Il restante 5% di vegetali, istrice e capriolo. Non si annoverano segni di presenza di Ungulati domestici nella dieta. Il monitoraggio e la sorveglianza costante da parte dei ricercatori fanno supporre che l’aggressione al bestiame domestico sia un evento eccezionale. Ciò non toglie che gli allevatori presenti nel territorio della Riserva o nelle immediate vicinanze debbano prestare attenzione al fenomeno di colonizzazione da parte del lupo. Applicare buone pratiche di gestione

zootecnica, come ad esempio dei recinti idonei, il pascolo seguito, aumentare la guardiania attraverso l’utilizzo di cani da pastore ed evitare che i nuovi nati di poche settimane vengano lasciati al pascolo anche di notte senza alcuna protezione, siano interventi prioritari per ridurre la potenzialità di aggressione al bestiame. Inoltre, esistono strumenti di compensazione, come l’indennizzo erogato dalla Regione Basilicata, a favore di eventi di perdita di capi di bestiame conseguenti ad aggressione da lupi. Il lupo come specie Bandiera e Ombrello, attraverso la sua presenza, modifica e migliora gli habitat, favorisce gli equilibri ecosistemici, controlla le specie, ristabilendo ordine e funzionalità in Natura. La sua presenza può essere un importante indicatore per individuare la complessità di sistemi biologici e favorire la resilienza dei servizi ecosistemici ad METE MAGAZINE

-9-

essi connessi. L’uomo può trarre vantaggi dalla sua presenza: dalla riduzione e controllo degli ungulati invasivi alla riduzione del dissesto idrogeologico. Sebbene i ricercatori e gli studiosi siano consapevoli dell’importanza della presenza di questo importante predatore nei territori lucani, il rapporto con le comunità locali può essere complicato, soprattutto se non vengono messi a disposizione dei cittadini tutti gli strumenti per completare un processo di trasformazione culturale sul problema della gestione della fauna selvatica. A tale scopo, i tecnici e tutti i professionisti che si occupano del monitoraggio dei lupi nella Riserva Regionale Bosco Pantano di Policoro, sono a completa disposizione dei cittadini, offrendo supporto alle aziende zootecniche sui sistemi di prevenzione e nelle procedure di indennizzo.


02 Il rispetto della fauna in inverno Cosa possiamo fare (o non fare), per rispettare e proteggere gli animali selvatici.

sulle tracce

marta gandolfi

METE MAGAZINE

- 10 -

ph: ivan mosele


Parliamo in questo numero di un argomento importante in questo momento dell’anno, caratterizzato dalla stagione fredda, quest’anno più rigida e nevosa del solito sulle Alpi, ma anche un po’ su tutta l’Italia: il disturbo arrecato dall’uomo alla fauna durante l’inverno. E soprattutto quest’anno, in cui, a causa della pandemia e delle restrizioni ad essa associate che ci limitano nelle nostre uscite cittadine, magari, molta più gente del solito sceglierà la montagna per rilassarsi un po’, per uscire, muoversi e sentirsi meno legati, più liberi. Per cui, parlando di METE, la montagna quest’anno potrà esserne una delle più gettonate. Consideriamo poi che, negli ultimi tempi, il turismo invernale ha ampliato il suo raggio con nuove tipologie di attività sia ricreative che sportive, coinvolgendo così sempre più appassionati e praticanti. E pensiamo anche che, forse,

ultimamente tendiamo sempre più ad addentrarci nei boschi, nelle aree remote, per sentirci più vicini a quello che veramente significa Natura e lasciarci alle spalle il “caos” della nostra civiltà quotidiana, per una giornata. Essendo quindi in tanti a fruirne ed a frequentarla, è importante capire come la montagna non sia semplicemente una risorsa da utilizzare a nostro piacimento, ma piuttosto a considerarla per quello che è: casa nostra. Ed è essenziale capire “come vive”, quali sono i fattori che la regolano in questi mesi freddi. L’inverno per gli animali selvatici è il periodo più critico dell’anno, soprattutto se particolarmente nevoso. Immaginiamo di essere un erbivoro selvatico in montagna (un capriolo, un camoscio, un cervo), che arranca sulla neve alta alla ricerca di quel poco di cibo che l’inverno riesce a donare: quel piccolo rametto già secco ormai coperto dalla coltre nevosa. È freddo ed il corpo, per mantenere il calore adeguato, richiede energia. Energia, che in parte viene adoperata anche per muoversi a fatica sul metro e più di neve caduta nei giorni scorsi. Energia, che difficilmente potrà essere recuperata se la neve durerà, alta, per tutto l’inverno. Immaginiamoci di essere un gallo forcello (un galliforme alpino), una pernice, anch’essi alla ricerca di quel poco cibo disponibile o a scavarsi un igloo dentro la neve per ripararsi dai predatori e dal freddo, sfruttando l’isolamento termico. La fauna cerca di superare l’inverno riducendo al massimo i movimenti e gli spostamenti e mettendo in atto tanti accorgimenti e adattamenti anatomici, fisiologici e comportamentali che li aiutino ad arrivare “vivi e vegeti” alla primavera: folta pelliccia o piumaggio particolarmente isolante, narici coperte di pelo, riserve di grasso corporeo, la riduzione dei ritmi di attività (lo stare la maggior parte del tempo a risposo per ridurre il dispendio energetico), un apparato digerente con intestini ciechi ben sviluppati e in grado di assimilare gli alimenti con tanta fibra, facilmente reperibili in inverno. METE MAGAZINE

- 11 -

Tuttavia, il più importante e comune a tutti gli espedienti è la necessità di tranquillità, di ridurre i movimenti solo a quelli essenziali, per ottimizzare il metabolismo ed i consumi energetici. Una fruizione della montagna inconsapevole o poco attenta a questi aspetti può creare notevoli disagi a questi animali. Gli sport invernali come lo scialpinismo, l’escursionismo con ciaspole, il freeride e altri, se praticati in zone frequentate dagli animali selvatici, possono arrecare un forte disturbo e comportare per loro un rischio significativo: l’arrivo di ciaspolatori o scialpinisti vicino alla buca dove si rifugia la nostra pernice o il nostro forcello, possono indurli a fuggire via in volo velocemente, esponendoli al freddo, facendo consumare loro preziosa energia e rendendoli più visibili agli eventuali predatori che potrebbero essere nei paraggi. Il disturbo causa stress e lo stress brucia le risorse incamerate ed impedisce all’animale di alimentarsi regolarmente. Molti, per esempio, sono gli studi scientifici che dimostrano l’aumento dei livelli degli ormoni dello stress (glucocorticoidi, come corticosterone e cortisolo) negli animali selvatici alpini più esposti a disturbo. Lo stesso vale per cervi, camosci, lepri alpine che spaventati dall’improvviso arrivo dell’uomo (magari anche in velocità sugli sci) nelle loro aree di svernamento o rifugio nel bosco, si lanciano in una fuga “dispendiosa” in termini energetici, in movimenti faticosi su neve alta, inutili e rischiosi. Nei grandi erbivori, il disturbo antropico può portare gli animali ad essere più vigili, a stare più tempo a testa alta per controllare, diminuendo così il tempo dedicato all’alimentazione, in inverno già difficoltosa di per sé. La conseguenza di tutto ciò è costituita da una forte debilitazione fisica, che, nei casi peggiori porta alla morte per inedia o a quella per predazione. Altra conseguenza può essere una protratta diminuzione della condizione fisica che può aumentare il rischio di contrarre malattie e, se prolungata nel corso


della stagione estiva successiva, può incidere negativamente sulla capacità riproduttiva. Il disturbo dovuto agli sport invernali praticati senza attenzione a questi aspetti, può comportare, infatti, la frammentazione, la perdita e a volte l’abbandono delle migliori aree di svernamento, poiché, per evitare il disturbo antropico, gli animali sono costretti a spostarsi in aree non idonee, dove la quantità di cibo non è sufficiente, le loro risorse vengono presto esaurite, mettendo a rischio la loro sopravvivenza. Molto spesso, soprattutto oggi, che abbiamo sempre il telefonino alla mano, girano sul web video di persone che si ritrovano animali selvatici davanti alla propria auto e, ignari che indurli a correre o a saltare a lato strada comporta per loro una inutile perdita di preziosa energia corporea difficilmente recuperabile, fanno il video seguendoli, magari felici di averli incontrati, di vederli e mostrarli agli altri, nel loro ambiente, sulla neve alta. Oppure c’è chi li insegue appositamente, come è recentemente successo ad alcuni lupi ripresi nel Bellunese da un automobilista che, sproloquiando, li insegue per un intervallo di tempo notevole, su una strada costeggiata da neve alta, costringendoli a correre davanti a sé in velocità, in cerca di un varco laterale entro cui poter uscire dalla strada, varco difficile da intercettare, dati gli alti muri di neve, per cui infine i lupi si creano una via d’uscita balzando via lateralmente sulla neve. Un notevole disturbo, fatica e dispendio energetico per quei lupi (e non dimentichiamoci che questo per loro è il delicato periodo degli amori). Questo video ha creato molte polemiche sul web e sui social e l’automobilista è stato anche sanzionato, ma, nonostante questo, i casi in cui l’uomo disturba la fauna, volontariamente o involontariamente, si ripetono nel tempo, anno per anno. Risulta per cui importante far buona comunicazione su questo tema, su quello che significa “inverno” per la fauna selvatica e su come noi uomini possiamo essere attenti e consapevoli delle difficoltà della fauna durante la stagione fredda e rispettarla, per proteggerla e per poterne fruire e godere a lungo, in futuro.

Cosa diventerebbe una montagna senza i suoi cervi, camosci, stambecchi, lepri bianche, tetraonidi e.. lupi? Per questo, molte realtà ed aree protette italiane ed estere, stanno lanciando campagne informative su questo argomento, per informare la comunità e renderla consapevole di alcune semplici buone norme di comportamento da rispettare quando si va in montagna, per evitare di disturbare gli animali, pur godendosi volentieri la nostra ciaspolata o giornata di scialpinismo. Alcuni esempi degni di nota. Il Parco Nazionale dello Stelvio ha lanciato la sua campagna sul rispetto della fauna in inverno, dedicandovi una pagina intera sul proprio sito web (percorso: Parcostelviotrentino. it - Conoscere-il-parco - Rispetta-glianimali-in-inverno) e realizzando degli appositi cartelli informativi, che sono stati affissi all’imbocco dei percorsi più gettonati del Parco, in cui si spiega brevemente il tema e si elencano i semplici suggerimenti comportamentali relativi. L’Ente Aree Protette Alpi Marittime ha lanciato una campagna molto carina, chiamata #attentialfagianodimonte, più incentrata specificamente appunto sul fagiano di monte, ovvero il gallo forcello, riprendendo un video realizzato dai colleghi ed amici francesi del Parc naturel régional du Massif des Bauges e fornendolo di sottotitoli in italiano. Vi consiglio di vederlo, è molto bello e informativo (percorso web: Areeprotettealpimarittime.it – Educazione ambientale - Attenti-alfagiano-di-monte). Il tema è stato trattato anche da Lo Scarpone, notiziario del CAI nazionale, su più articoli recentemente pubblicati online, tra cui quello intitolato “Frequentare la montagna senza disturbare gli animali”, in cui si parla,

METE MAGAZINE

- 12 -

tra le tante cose, del network Be Part of the Mountain (sviluppato all’interno della Rete delle Aree Protette Alpine – Alparc, n.d.r.) che ha facilitato l’avvio di progetti di frequentazione responsabile della montagna in tutto l’arco alpino. Si parla anche del Progetto RESICETS – Resilienza ambientale delle attività ricreative nelle aree protette dell’Ossola, promosso da CIPRA Italia e dall’Ente di Gestione delle Aree Protette dell’Ossola, attraverso la Carta Europea per il Turismo Sostenibile ed anche le Aree Protette dell’Ossola stesse hanno la loro pagina web informativa su come “Muoversi consapevolmente” in montagna, non solo in inverno. L’articolo su Lo Scarpone tratta, inoltre, del progetto di realizzazione da parte della Commissione TAM nazionale (CAI – TAM) di un convegno ad ampio respiro per il prossimo autunno sul tema della frequentazione responsabile della montagna innevata. La SAT (Società degli Alpinisti Tridentini), ovvero il CAI trentino, in collaborazione con la sua Commissione TAM (Tutela Ambiente Montano), con le associazioni ambientaliste del territorio e con la TAM nazionale, sta lavorando sullo stesso fronte, per la divulgazione sul tema tramite alcune iniziative, tra cui l’organizzazione di un webinar dedicato, programmato per il 12 febbraio, nell’ambito del quale parleranno esperti di fauna selvatica quali il Dr. Luca Pedrotti – Coordinatore Scientifico del Parco Nazionale dello Stelvio e Radames Bionda – Responsabile del Settore gestione e conservazione delle risorse naturali dell’Ente Aree Protette dell’Ossola, spiegando questi aspetti. E poi, non da ultima, vi segnalo la campagna informativa svizzera, con piattaforma web apposita (che spiega anche le aree di rispetto per la fauna, istituite dalle autorità), patrocinata dall’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM) e dal Club Alpino Svizzero (CAS), lanciata al motto di “Chi rispetta protegge”! Facciamolo anche noi!


Cosa possiamo fare (o non fare), quindi, noi uomini per rispettare e proteggere gli animali selvatici durante l’inverno? Beh, non serve troppa fatica, basta seguire alcune semplici raccomandazioni, eccole qui (dalla pagina web del Parco Nazionale dello Stelvio trentino): • rimanere sui percorsi segnalati, preferendo le aree aperte e stando lontani dai margini del bosco; • non seguire le tracce degli animali selvatici sulla neve e non cercare di avvicinarli; • muoversi in piccoli gruppi, senza far troppo rumore, lentamente, evitando le ore crepuscolari e la notte; • praticando scialpinismo, mantenere traccia di salita e di discesa coincidenti; • evitare le zone rocciose libere da neve e le aree particolarmente sensibili (zone di riproduzione, di nidificazione, di svernamento per tetraonidi ed ungulati); • tenere i nostri cani sempre al guinzaglio; • informarsi su questi temi da fonti attendibili (per es.: siti web di aree protette, enti di gestione della natura) e seguire le indicazioni che si trovano sui pannelli segnaletici all’imbocco di sentieri o sulle bacheche informative. Comportandosi in questo modo, eviteremo notevoli difficoltà alla fauna che, senza eccessivo disturbo da parte nostra, è in grado di adattarsi alla nostra presenza discreta in montagna. Così da poterci comunque godere la montagna ed i suoi “abitanti” anche noi, serenamente. Inoltre, il fruitore corretto contribuisce alla tutela della fauna locale e può essere di buon esempio per gli altri, collaborando indirettamente alla sensibilizzazione della comunità e dei turisti su queste tematiche, divulgando ciò che ha imparato in proposito. Allora buona montagna a tutti, nel rispetto degli animali selvatici che ci vivono!

METE MAGAZINE

- 13 -


03 s e nt

SOSTA gG gG

ieri

Tracce impercettibili individuabili

frequentazione stagionale, piĂš o meno

solamente da qualche calpestio, da una

guidati da cartelli direzionali (presenti

pennellata scolorita su una pietra o su

soprattutto sui sentieri giĂ ampiamente

un tronco oppure, al contrario, lingue

conosciuti e frequentati, e molto meno,

asfaltate o cementate.

invece, su poco noti).

Tra i due estremi: mulattiere, cavedagne,

Attrezzati, tematici, didattici, naturalistici;

stradine forestali, di servizio, agricole ed i tanti sentieri escursionistici di

ricalco e ripristino di antiche vie di comunicazione e scambi commerciali (non sempre legali, come quelle tra confini), vie e cammini di origine storica o religiosa (ora

Impervi, scoscesi, panoramici, piatti, ondulati,

molto in voga). Presentano fondi ben battuti o instabili,

ombreggiati, assolati, preferibilmente con

ricamati da intrecci di radici lucidate dai

percorso circolare per godere di viste diverse,

scivolose, da tronchi abbattuti, da piccoli

portano perlopiĂš a una meta prefissata quale

passaggi, ostacolati da pietre levigate e guadi. Impervi, scoscesi, panoramici, piatti,

un rifugio, un passo, una vetta, una spiaggia, un

ondulati, ombreggiati, assolati,

punto panoramico, una meta personale.

godere di viste diverse, portano perlopiĂš

METE MAGAZINE

- 14 -

preferibilmente con percorso circolare per


a seconda della stagione, i sentieri italiani sono profumati dalla macchia mediterranea, dalle fioriture di campagna, dagli alberi sempreverdi

a una meta prefissata quale un rifugio, un passo, una vetta, una spiaggia, un punto panoramico, una meta personale. A seconda del luogo e delle stagioni sono profumati dalla macchia mediterranea, dalle fioriture di campagna, dal rododendro, dagli alberi sempreverdi (pino, abete, cirmolo, pino mugo…). È un dovere percorrerli innanzitutto nel massimo rispetto della natura e delle altre persone: nei sentieri turistici purtroppo non è raro vedere piccoli rifiuti abbandonati (cartine di caramelle, fazzoletti, filtri di sigarette, addirittura bottigliette e ora anche tante mascherine), riscontrare la mancanza di precedenze con invadenza degli spazi da parte di chi cammina senza mai cedere il passo (e anche molti bikers che scendono pretendendo la precedenza), cani senza guinzaglio. METE MAGAZINE

- 15 -

Spesso il silenzio, doveroso in certi ambienti, è un’utopia: quando orde di persone, improvvisati camminatori, sfoggiano loquacità amplificate al pari di look tecnici superflui e sproporzionati (in difetto e in eccesso). È disturbo per tutti, soprattutto per gli abitanti naturali. La società, d’altronde, si specchia in ogni contesto: il fatto stesso di camminare e spesso faticare sudandosi la meta comporta, per i percorsi più impegnativi, una selezione, anche se la crescente invasione delle e-bike (su alcuni sentieri) porta maggiore affollamento in luoghi naturali solitamente più difficili da raggiungere. Perchè, è inutile negarlo, dove arriva l’uomo in maniera sempre crescente, inadeguata e decontestualizzata, le ripercussioni negative sulla natura si rivelano sempre più preoccupanti.


viaggi altri elisabeth ohlbock pexels

Il pellegrinaggio alla Cattedrale di Santiago di Compostela dove si dice siano conservati i resti di San Giacomo Apostolo è una pratica che ha più di 1000 anni. La leggenda narra che dopo la resurrezione di Cristo l’apostolo Giacomo andò in Galizia (nel nord della Spagna) per evangelizzarne le genti. Tornato a Gerusalemme fu condannato a morte per decapitazione e più tardi il suo corpo senza testa fu riportato in Galizia, dove fu sepolto in un campo, sotto le stelle (in spagnolo: campo =campo, stela=stella). La Tradizione vuole che circa 800 anni

04

Il viaggio dall’io al noi I pellegrinaggi hanno a lungo giocato un luogo molto importante nella trasformazione spirituale in molte religioni.

METE MAGAZINE

- 16 -


più tardi le ossa furono ritrovate in quest’area, ed il vescovo locale proclamò che erano i resti di San Giacomo Apostolo. Il fatto che le reliquie custodite nella Cattedrale di Santiago appartengano davvero a San Giacomo è stato ininfluente per le tante persone che sono andate in pellegrinaggio al santuario negli ultimi dieci secoli.

trasformarci e, dal guardare solo ai nostri bisogni, ci portano a diventare noi stessi doni maturi, ad auto-donarci agli altri, ciò che alla fine trasforma, porta pace, contentezza e dà senso alla vita. Per me, è stata l’esperienza della trasformazione, dentro e tramite le relazioni, che mi ha fortemente spinta a percorrere il Cammino con gli altri.

Trasformazione spirituale

Il modello della Trinità – la comunità perfetta

I pellegrinaggi hanno a lungo giocato un luogo molto importante nella trasformazione spirituale in molte religioni. Nell’agosto 2019 tre di noi si sono avventurati nel proprio pellegrinaggio a Santiago. Eravamo consapevoli che ci stavamo introducendo in una meravigliosa vecchia usanza della Chiesa: quella di camminare verso una meta, tanto lentamente quanto i nostri piedi ci avrebbero portati, con la semplicità di uno stile di vita condizionato da ciò che eravamo in grado di portare sulla schiena, obbedendo alle famose frecce gialle che ci indicavano la meta. Le persone intraprendono il Cammino per svariate ragioni. Abbiamo incontrato persone che hanno preso ponderatamente questa decisione, rendendo grazie per una preghiera esaudita, o addolorate per un lutto, o semplicemente desiderose di godersi una sfida fisica. Molti percorrono il “Cammino di Santiago” da soli, ottenendo da questa pratica una grande crescita spirituale ed umana. Il tema della crescita spirituale e della trasformazione non mi era sconosciuto. La mia personale scelta di percorrere il Cammino coincideva con la fine di una crisi spirituale, durante la quale avevo ricevuto preziose intuizioni. In primo piano c’erano stati i molti momenti di riflessione e discernimento, senza fretta interiore. La rivelazione più importante però è stata che per crescere abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Come la citazione di Martin Buber “Der Mensch wird am Du zum Ich” (“una persona diventa un sé solo attraverso l’incontro con l’altro”) sottolinea, sono le relazioni che ci fanno diventare esseri umani pienamente se stessi. Le relazioni hanno il potere di

Come motto per il nostro pellegrinaggio, Chiara Lubich ha ispirato a noi tre, che ci siamo messi in cammino, la promessa reciproca di coltivare un atteggiamento e una pratica basati sulla Trinità: cercare di svuotare i nostri cuori e le nostre menti di fronte all’altro in modo da ricevere pienamente qualsiasi cosa l’altro abbia da dare. Chiara Lubich ha illustrato spesso la Trinità come la “comunità perfetta”, in cui sono presenti sia la diversità che l’unità e che può quindi essere un modello per tutte le relazioni umane. Vivere in questo modo può rendere possibile a noi umani l’esperienza del mistero, altrimenti inaccessibile, del Dio Uno e Trino. Il ritmo lento del camminare, la semplicità materiale e la bellezza della natura hanno reso più facile il nostro diventare allievi di questo stile di vita. Le sfide e le gioie sperimentate sulla nostra strada sono state tutte l’opportunità di dare noi stessi gli uni agli altri e allo stesso tempo di ricevere l’uno dall’altro. Sono stati molti i momenti in cui scegliere un percorso da prendere o da lasciare, stanchezza da capire, vesciche da guarire, sete da placare, tensioni muscolari da perdere, risate, riflessioni, dialogo e silenzio – tutto è diventato un’opportunità per essere pellegrini nel viaggio all’interno di relazioni trinitarie. Ho sperimentato che attraverso l’incontro con l’altro posso rendermi disponibile a lasciare che il mio ego si liberi dall’auto-introspezione e mi lasci trasformare nel mio vero sé. In questo modo, nel Cammino di Santiago, abbiamo fatto un viaggio dall’io al noi. Siamo passati dal trovare Dio in noi stessi allo sperimentare Dio tra noi che, inoltre, ci ha restituito, come bonus, un sé più vero e pieno. METE MAGAZINE

- 17 -

Il viaggio è la destinazione Il detto in lingua tedesca “Der Weg ist das Ziel” , “il viaggio è la destinazione“ ha espresso, per me, l’essenza del nostro Cammino di Santiago. Il momento più memorabile non è stato l’arrivo a Santiago di Compostela, ma piuttosto le tante opportunità di praticare l’amore vicendevole durante il percorso, che ci ha portato a sperimentare, seppure in modo limitato ed incompleto, la vita della Trinità. Vissuto così, adesso posso vedere ogni momento della mia vita come un tratto di pellegrinaggio. Ogni giorno mi rendo conto sempre di più che il significato della vita risiede nell’inserire me stessa nelle relazioni trinitarie e nel lasciarmi trasformare da esse. Il desiderio di costruire questo tipo di relazioni, che portano un contributo che cura le molte divisioni del nostro mondo, è diventato per me il vero viaggio e la vera destinazione, da scoprire, sempre, di nuovo. Pubblicato per la prima volta su New City, marzo 2020 – www.newcity.co.uk


Flagstaff, Arizona

METE MAGAZINE

- 18 -


scorci corrado poli ph: unsplash

05

Passai qualche mese a Flagstaff in Arizona e per tre anni vi tornai ripetutamente. Questa cittadina è considerata un vero Paradiso per la bellezza della natura, dei monti, del deserto e del Grand Canyon, ma anche per la presenza di una buona università, di imprese hi-tech e quindi di persone di cultura e di scienza. Vi si trova un famoso osservatorio astronomico poiché il clima e l’aria rarefatta degli oltre duemila metri consentono le migliori osservazioni del cielo. L’altitudine costituisce un ambiente perfetto per gli atleti che praticano ciclismo, nuoto e corse di lunga distanza. Per altri versi, è un luogo isolato dove buona parte dei residenti, più che altro borghesi e intellettuali, sono convinti praticanti del salutismo e dello sport, delle medicine

orientali e, naturalmente, vegetariani. A qualcuno che vi si trova per caso manca la città e la presenza di persone diverse, eccentriche e complicate. A Flagstaff, il mondo deve essere a tutti i costi perfetto e la perfezione stanca: troppa armonia. Questa cittadina di cinquantamila abitanti si dice che goda della seconda migliore qualità della vita in tutti gli Stati Uniti e nel mondo. Non ho mai saputo quale fosse la prima. Ma vi è un appariscente contrasto. Appena fuori di essa, là dove i prezzi delle case sono più bassi e nelle riserve indiane che la circondano, si percepisce una povertà materiale e morale impressionante. Oltre agli indiani Navajos della Coconino County, confinati in riserve e in buona parte alcolizzati, ci vivono coloro che sono definiti “white trash”,

I contrasti della società americana sono più che mai evidenti in questa media cittadina dell’Arizona.

METE MAGAZINE

- 19 -


spazzatura bianca, altrettanto alcolizzati e per di più fanatici delle armi. Odiano il mondo intero. Sono persone fuggite da qualcosa (soprattutto da loro stessi) e si ritirano in villaggi abitati in gran parte da derelitti come loro. Proprio perché sono emarginati e falliti nonostante siano bianchi e in buona parte anglosassoni, aderiscono spesso alle teorie del suprematismo bianco e adorano Trump. I suprematisti bianchi dell’Arizona sono quindi proprio coloro che dimostrano come la loro inferiorità personale e il fallimento delle loro squallide vite possa

essere compensata dalla convinzione assolutamente astratta di appartenere a una razza superiore. D’altra parte, cosa possono fare se non trovare una strategia per uscire dalla propria frustrazione esistenziale? Gran parte di loro sono tanto deboli quanto violenti; amano perciò le armi e si dicono pronti a sparare anche a Gesù Cristo se permettesse di fare entrare gli immigrati o ripetesse ancora una volta la parabola del Buon Samaritano. Poiché però “amano Gesù” (we love Jesus, è il loro mantra) ritengono che non sarebbe comunque necessario

Ai bravi, ricchi cittadini che lavorano nelle aziende high tech si contrappongono gli abitanti delle periferie, la cui unica consolazione al fallimento è il pensiero di appartenere a una razza superiore.

METE MAGAZINE

- 20 -

perché il Messia stesso imbraccerebbe le armi contro froci, immigrati, lesbiche, democratici, Hilary Clinton, negri, asiatici, indiani, avvocati e tutta una serie di categorie su cui scaricano l’odio per se stessi e i propri fallimenti. Praticamente, imbraccerebbero le armi contro tutti gli altri: amano la Patria e odiano la totalità dei concittadini. Ci sono altri, invece, che pure si sono ritirati dalla vita e vivono in semi-povertà ma frequentano con convinzione qualche comunità religiosa integralista di varia estrazione. A Flagstaff, i ricchi e i poveri, i fanatici

religiosi e i salutisti ossessionati non si incontrano mai! L’organizzazione sociale e urbana consente a ciascuno di vivere isolato dai diversi. Il contatto avviene sporadicamente quando gli emarginati valicano il limite commettendo qualche crimine evidente: un furto, il solito stupro, qualche sparatoria o guida in stato di ebbrezza. Oppure quando lavorano per i ricchi facendo le pulizie dell’università o i lavori più umili e peggio pagati. Ma questo non è nemmeno un contatto perché, pur vicini e necessari gli uni altri agli altri, rimangono invisibili gli uni agli altri.


METE MAGAZINE

- 21 -


METE MAGAZINE

- 22 -


06 progetti visionari fabio bergamo ph wikipedia

Il Castello Arechi edificato a Salerno in epoca medievale, è collocato sul monte Bonadies, ad un’altitudine di 300 metri sul livello del mare. Prende il nome del duca e poi principe di Benevento Arechi II (734 – 787 d.C.) che lo fece erigere come fortezza militare a difesa della città di Salerno, divenuta sede della corte del Ducato di Benevento. Sulla scorta dei testi scritti dallo storico greco Strabone e lo storico romano Tito Livio, la struttura originaria è di età classica e, rifacendoci ad altre fonti, ciò risulta confermato dal fatto che già nel III secolo a.C. Roma fortificò Salerno, sua colonia, con un castello sede militare (castrum) eretto in cima al Monte Bonadies (il termine latino bona dies tradotto in italiano significa “buongiorno a tutti”, perché è la parte più alta della città che viene illuminata per prima al sorgere del sole).

Il Castello Arechi di Salerno METE MAGAZINE

- 23 -


Miniatura risalente all’XI secolo ritraente il Principe Arechi II conservata nell’Archivio dell’Abbazia della SS. Trinità a Cava de’ Tirreni (L’immagine è contenuta nel Codex Legum Langobardorum)

Beniamino di Tudela (1130 – 1173 d.C.)

Cenni storici

A partire dai primi anni del 1900 e fino al 1959 il Castello è abitato da una famiglia di fattori; ma dal 1960, per volontà del Presidente della Provincia di Salerno l’Avv. Girolamo Bottiglieri, diventa proprietà dell’Ente che dà inizio ai lavori di restauro. Nel 1992 Poste italiane ha dedicato un francobollo al Castello Arechi. Nel 2001 è stata riaperta al pubblico la Bastiglia ossia la torre più alta del castello, distaccata dalla fortezza.

Il castello medievale di Salerno racchiude tre secoli di civiltà longobarda (dall’VIII all’XI secolo). Le indagini archeologiche hanno rivelato come la costruzione più antica risalga al periodo goto-bizantino; infatti nel corso della guerra greco–gotica (535–553 d.C.), ad opera del generale bizantino Narsete (478–574 d.C.) venne edificato un castrum a pianta rettangolare. Arechi II, principe longobardo, dopo aver sconfitto i bizantini e acquisito il dominio della città, trasferì la sede principale del suo Ducato da Benevento a Salerno. Successivamente, nel 1077, con l’assedio di Roberto Il Guiscardo, il “Castello di Arechi”, fu sottratto a Gisulfo II, ultimo principe longobardo di Salerno per diventare una roccaforte normanna: è da ricordare che la resa, dopo 8 mesi di assedio, fu dovuta alla fame dei difensori della fortezza e non per la sconfitta inferta dagli invasori. Nel XII secolo d.C. l’esploratore e geografo spagnolo Beniamino di Tudela nel suo “Sefer ha-Masa’ot” ossia “Il Libro dei viaggi”, riporta: “Salerno è circondata da mura nella parte volta verso la terra, mentre l’altra parte è sulle sponde del mare; in cima alla collina c’è un castello ben munito”. In seguito, il Castello di Arechi, con Salerno sottoposta al dominio aragonese, diventò un importante elemento nello scacchiere difensivo dei regnanti e nel XVI secolo perse la sua funzione difensiva, divenendo residenza dei Principi Sanseverino, feudatari di Salerno. Nel 1820 nella fortezza ebbe luogo una congiura carbonara con l’intento di provocare un’insurrezione popolare: la cospirazione non giunse a compimento per il tradimento di uno dei membri. Negli anni successivi e per tutto il secolo XIX il Castello restò abbandonato a se stesso.

METE MAGAZINE

- 24 -

Veduta della Bastiglia edificata come torre di avvistamento, intorno al 1075 da Gisulfo II, in vista dell’assedio di Roberto il Guiscardo avvenuto nel 1077


La struttura Il nucleo principale è costituito da una sezione centrale protetta da quattro torri differenti, unite tra di loro per mezzo di una cinta muraria merlata. La struttura va a modificare, un edificio già esistente di epoca bizantina, rinforzandone le mura esterne e sopraelevandole con l’aggiunta della merlatura al loro apice, al fine di diventare inespugnabile ed irraggiungibile dal nemico invasore. La fortezza è munita di una torre distaccata da essa, collocata su una collina posta più in alto, realizzata sotto la dominazione normanna; essa ha la funzione di tenere sotto controllo tutto quello che accade in prossimità del castello, in particolare i possibili attacchi nemici dal versante nord-ovest. Tale torre fu chiamata “Bastiglia” nel 1800, perché erroneamente si credeva che fosse utilizzata come prigione, quando invece le carceri erano collocate all’interno della struttura del castello. Con gli Angioini subentrati ai Normanni, il Castello non subì corposi cambiamenti, ma semplicemente degli ampliamenti per migliorare le sue funzioni di utilizzo, confermandone la destinazione militare a fini difensivi; con essi la struttura fu dotata di un “balneum” ossia di un impianto termale. La struttura poteva consentire anche ad un ridotto numero di difensori di assumere una posizione dominante durante la ritirata, nel caso in cui gli avversari fossero penetrati all’interno del recinto murario urbano. La fortezza era ed è circondata da un’area naturale caratterizzata dalla macchia mediterranea (Parco Naturale del Castello Arechi).

METE MAGAZINE

- 25 -


Il Castello Arechi e le mura a protezione della città di Salerno nel periodo aragonese (La Bastiglia è visibile in alto, a destra del Castello)

sala museale

Passaggi segreti Nel corso degli assedi dal castello venivano lasciate rotolare delle grosse pietre tramite l’utilizzo di appositi macchinari. In base ad una leggenda, si dice che esistano uno o più passaggi segreti che collegano le antiche torri d’avvistamento delle mura con il Forte La Carnale. Il Castello di Arechi, nel corso dei secoli è stato fonte d’ispirazione per molti scrittori; infatti, il poeta Ugo Foscolo, intrattenutosi a Salerno nel 1812, decise di ambientare all’interno delle mura del Castello la tragedia in 5 atti dal titolo “Ricciarda”.

Il Museo Medievale Il Castello ospita un museo medievale, dove sono raccolti armi, oggetti di ceramica e vetro ed ancora monete rinvenute in loco che lasciano traccia delle attività tenute nella città di Salerno come la caccia, i commerci e gli antichi mestieri svolti in quel periodo storico. Nella parte alta della fortezza nell’ottobre del 2009 è stato inaugurato un percorso multimediale che ripercorre la storia dell’area attraverso video e proiezioni murali che riportano all’epoca longobarda. La struttura, oggi, ospita un salone dedicato alle conferenze, ai congressi ed ancora una sala destinata alle mostre. All’interno del Museo, su una parete, sono presenti due affreschi: uno dedicato a Santa Caterina Alessandrina e l’altro a San Leonardo, quest’ultimo protettore dei carcerati.

METE MAGAZINE

- 26 -


La ceramica a bande rosse e le monete d’oro Sono stati rinvenuti ben quattrocento frammenti di un tipo di ceramica decorata, definita “a bande rosse”. Tali oggetti sono caratterizzati da una decorazione con strette spirali o larghe fasce. Per quanto concerne le monete sono stati ritrovati tre gruzzoli: il primo è costituito da denari della zecca di Rouen. Il secondo gruzzolo è composto da 21 monete d’oro rinvenute in una brocca di creta identificate come tari siciliani della zecca di Palermo. Il terzo gruzzolo comprende 22 monete di argento e una di rame, provenienti dalle zecche di Macerata, Napoli, Bologna e databili dal 1392 al 1534. Nello specifico si segnalano: una moneta del II sec. a.C. proveniente da Ebusus (odierna lbiza); un asse e un sesterzio del II sec. d.C.; tre follari di Costantinopoli e numerosi follari della Zecca di Salerno (secoli XI-XII), ed ancora monete di rame coniate ad imitazione del follis bizantino. Gli scavi del Castello hanno portato alla luce oggetti e suppellettili da mensa come calici, ampolle, piatti, bottiglie in vetro: tra i vari rinvenimenti vi è un elegante bicchiere in vetro incolore con bordo svasato, sotto il quale è presente una decorazione a fascia incolore. Le ricerche hanno dimostrato che la ceramica rinvenuta in loco è di una età che oscilla tra l’Alto Medio Evo e l’Epoca Barocca ed è di tipo ingobbiata, graffita e smaltata.

Armi e metalli Sono state rinvenute anche numerose armi risalenti al XII secolo (cuspidi, punte di freccia e di dardo da balestra, lance, ecc.) utilizzabili sia in battaglia sia in caccia: tra essi vi è uno sperone a rotella di bronzo dorato della prima metà del XIV sec. appartenente ad un cavaliere. Compaiono anche reperti in ferro e bronzo quali chiodi, coltelli, spille per capelli, anelli, fibbie, ed anche finimenti e ferri di cavallo.

METE MAGAZINE

- 27 -


VULCANI I “fuochi d’artificio” della terra e un libro aperto su ciò che “abbiamo sotto ai nostri piedi”

07 cammino tra immaginario e scienza

MARTA GANDOLFI

METE MAGAZINE

- 28 -

ph: antonio gabelli franco modena


Io quando guardo una montagna aspetto sempre che si converta in vulcano Italo Svevo – Il vegliardo

Vulcani… rombo di tuono, possenti esplosioni, la terra che trema e si spacca, emettendo il suo “fuoco”: magma rovente che risale dal ventre della terra e fuoriesce come lava incandescente che, poi, diventa nera e silenziosa... Per gli antichi greci, le eruzioni vulcaniche erano il frutto dell’ira dei Titani. I Titani combattevano con gli déi dell’Olimpo e nelle loro tremende battaglie, per la rabbia e la potenza scaturita dai combattimenti, scuotevano la Terra, sollecitandola così a scagliare contro di loro il “fuoco custodito nelle proprie viscere”. Si dice che gli dèi, per punire l’insolenza di Tifone, il più grande dei Titani, che li sfidava continuamente a combattere, lo imprigionarono sotto l’Etna. Tifone urlava da laggiù, le sue grida si udivano a grande distanza, scuoteva e spaccava la terra per l’immensa rabbia e spargeva il suo fiato ardente, che fuoriusciva dalla bocca del vulcano e scendeva sulle sue pendici. Altre leggende narrano i vulcani come fucine per le armi degli dei, forgiate da Efesto, dio “fabbro” del fuoco e dei vulcani, aiutato dai ciclopi, sotto il Mediterraneo. Fulmini per Giove, armi per gli altri dèi e addirittura, si dice che da lì provenga lo scudo di Achille. Tra gli antichi greci e romani, nei secoli, sulle eruzioni vulcaniche cominciano a nascere ipotesi e deduzioni, pur ricondotte tutte a manifestazioni divine, ovviamente negative. L’evento, realmente accaduto, più eclatante da ricordare è sicuramente quello avvenuto circa nel 1650 a.C., successivamente ad una serie di grossi terremoti, quando una potentissima eruzione del vulcano sito nell’isola di Thera, l’attuale Santorini, patria della fiorente civiltà minoica di navigatori, distrusse sia il

vulcano stesso che parte dell’isola, sepolta sotto un enorme strato di pomice, derivato dall’immensa nube ardente da esso fuoriuscita. L’evento è stato denominato eruzione minoica di Thera ed è stato uno dei più grandi e distruttivi episodi di vulcanismo accaduti e documentati storicamente. In passato sull’isola si erano già verificati modesti episodi di attività eruttiva, ma erano stati sempre eventi sporadici, risolti in ogni occasione da alcuni opportuni sacrifici a Poseidone, il “dio del mare che scuote la terra”. Thera è un enorme vulcano di tipo pliniano (poi vedremo cosa significa), le cui eruzioni hanno solitamente conseguenze molto maggiori e drammatiche rispetto alla semplice esplosione e fuoriuscita di lava. Dopo l’enorme eruzione, i resti del vulcano sprofondarono nel mare, causando maremoti (tsunami) che arrivarono a danneggiare gli insediamenti costieri della vicina isola di Creta. L’eruzione vulcanica ed i fenomeni ad essa connessi durarono solo quattro giorni, ma furono sufficienti a causare la morte di migliaia di persone, a distruggere un’intera florida civiltà, ferendone irrimediabilmente l’economia e ad intaccare, praticamente, tutta la cultura occidentale dell’epoca. Sebbene gli storici non siano affatto convinti, alcuni sostengono che da questo evento ebbe origine la leggenda di Atlantide, cantata da Platone nei suoi dialoghi Timeo e Crizia. L’eruzione vulcanica e le sue conseguenze hanno dato a Santorini la forma rotondeggiante ad arcipelago che ha oggi, al centro della quale esiste ancora il vulcano Thera, tutt’ora attivo.

METE MAGAZINE

- 29 -


L’Etna borbotta alle spalle minacciando il risveglio della sua rabbia di fuoco Lucrezio

I Romani ereditarono le antiche leggende greche ed i timori che ne derivano, sostituendo all’uopo i nomi greci secondo la propria cultura, così che Tifone divenne Encelade ed Efesto fu Vulcano (nome di derivazione etrusca), dio romano del fuoco, da cui pare derivi il nome dei vulcani come strutture geologiche naturali (in effetti, nessuno dei testi antichi che li descrive, li chiama con un nome specifico). Non mancano storie e miti sul Vesuvio, altro importante vulcano d’Italia e sui protettori della popolazione napoletana dalla sua incontrollabile furia, leggende nordiche sui vulcani d’Islanda e su quelli hawaiani, dove Pele, dea del fuoco, della danza e dei vulcani, appunto, avrebbe dimora all’interno del cratere Halema’uma’u, sul vulcano Kilauea (in eruzione proprio in questo periodo) e storie su tanti altri. Addirittura nel Vecchio Testamento della Bibbia si ritrovano passaggi riconducibili all’immagine dei vulcani. Dalle famose piaghe d’Egitto, per alcuni conseguenza dell’eruzione del vulcano di Santorini, fino al ritiro delle acque del mar Rosso (nella fuga dall’Egitto), anch’esso ipotizzato come conseguenza del maremoto provocato dallo stesso evento. Oppure allusioni sul Monte Sinai, che fu avvolto

per sei giorni dalle nuvole, luogo in cui la “Maestà divina apparve come un fuoco che divorava la sommità della montagna” (Esodo). Rimanendo “a casa nostra”, l’Etna, il gigante buono dal cuore ardente della Sicilia, dominatore incontrastato del golfo di Catania, il vulcano attivo più alto dell’Europa continentale, il cui nome di derivazione greca, significa appunto “bruciare”, è stato un grande ispiratore per l’uomo e molti poeti greci e romani lo hanno citato, Omero, Virgilio, Ovidio e altri ancora. Oltre alla leggenda di Efesto, si narra che dentro le profonde caverne dell’Etna, fosse stato imprigionato il dio Eolo, il re dei venti. Talvolta l’Etna è associato al Tartaro, il greco “mondo dei morti” che si vocifera si trovasse sotto il vulcano siciliano. Nel Tartaro, infatti, le leggende narrano che furono rinchiusi i Titani ed i Ciclopi, legati ai vulcani, come abbiamo già spiegato. Secondo le narrazioni, pare che là pose fine alla sua vita, gettandosi dentro al cratere, Empedocle di Agrigento, il filosofo presocratico che descrisse il mondo come diviso in quattro elementi fondamentali: aria, acqua, terra e fuoco, quest’ultimo rappresentato dai vulcani. Plinio il Vecchio, nel 79 D.C. riferisce e descrive, invece, l’inizio della purtroppo METE MAGAZINE

- 30 -

famosa eruzione del Vesuvio. In quell’eruzione, ennesima catastrofe, vennero completamente distrutte e sepolte Pompei ed Ercolano e l’idea, anche in questo caso, fu quella di una punizione inflitta all’uomo dovuta a collera divina, anzi, col tempo e l’ascesa del Cristianesimo, il Vesuvio venne piano piano associato alla bocca dell’Inferno, dimora di Satana ed il fuoco come simbolo del male. Oggi è considerato quiescente (l’ultima eruzione risale al 1944), ma è comunque costantemente monitorato dall’occhio attento dei tanti esperti vulcanologi dell’Osservatorio Vesuviano e dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia); è il simbolo di Napoli, tanto che famosa è la frase: “Non esisterebbe il Vesuvio senza Napoli. Non esisterebbe Napoli senza il Vesuvio”. Plinio osservò che alcuni terremoti precedettero l’eruzione del 79 e, successivamente, volendo avvicinarsi di più laddove avveniva questo fenomeno, si dice che sia rimasto ucciso forse dalle nubi ardenti da esso scaturite. Suo nipote, Plinio il Giovane, successivamente, descrisse dettagliatamente l’eruzione, la prima descrizione scientifica di un’eruzione vulcanica, che poi venne classificata come pliniana, in loro onore.


Sì, così come le stelle, le comete, le eclissi, i terremoti e chissà quanti altri fenomeni naturali, anche i vulcani e le loro eruzioni hanno incuriosito l’uomo, che non sapendo come e da dove si originassero, ha cercato di darsene spiegazione, nei secoli, con i vari mezzi che aveva, creando leggende e storie mitiche, di creature demoniache o dei iracondi pronti a punire gli uomini. Vulcani ed eruzioni quindi non venivano considerati manifestazioni naturali, bensì divine. Ai tempi d’oggi, in cui lo studio scientifico dei vulcani ha fatto passi da gigante e può avvalersi di strumenti sofisticati per scoprirne sempre più dettagli, ovviamente se ne sa molto ma molto di più.

Cosa sono in realtà i vulcani e come si sono formati? Per capire come nasce un vulcano, dobbiamo scendere molto profondamente sotto la superficie terrestre, fin quasi nel cuore della Terra. Ed in effetti, i vulcani portano allo scoperto un libro aperto della geologia “sommersa”, sita dove i nostri occhi non possono arrivare: al centro del nostro pianeta. I vulcani sono degli elementi del paesaggio, delle strutture geologiche generatisi a causa dei movimenti della crosta terrestre o, nello specifico, delle placche terrestri tra loro (enormi zolle o placche contigue, non fisse, di cui è formata la crosta terrestre, così come quella oceanica: Teoria della Tettonica a placche o a zolle). Tali movimenti causano delle spaccature della crosta terrestre, da cui fuoriesce materiale solido e fluido ad elevate temperature, il magma, che è derivato dalla parziale fusione della crosta stessa o del mantello (strato della Terra sottostante la crosta ed esterno al nucleo). Ecco, la nascita di un vulcano. Il vulcanismo, quindi, non è altro che la METE MAGAZINE

- 31 -

manifestazione esterna di quello che è il dinamismo interno della Terra, il quale è causato dai notevoli flussi di calore generati dalle variazioni termiche che esistono in profondità. I vulcani, perciò, si creano nei punti della Terra a più alto calore, ovvero: - lungo le zone di subduzione, dove cioè le placche tettoniche collidono ed una, più pesante, subduce, ovvero sprofonda nel mantello, sotto l’altra placca; - lungo le dorsali oceaniche, spaccature della crosta oceanica dalle quale il magma proveniente dal mantello, ad alte temperature, fuoriesce e si accumula in stratificazioni laterali sui fianchi del vulcano, nell’oceano; - o anche all’interno delle placche (vulcanismo intraplacca), in corrispondenza di quelli che sono chiamati hot spots (ovvero “punti caldi”), punti in cui si verifica la risalita di materiale caldo dal mantello, che forma delle vere e proprie sacche di magma. Il punto caldo si manifesta sulla placca tettonica in movimento sopra di esso con un allineamento di vulcani, un po’ come se sopra un accendino fermo facessimo scorrere un foglio di carta e questo mostrasse impressa una scia di punti scuri, bruciati. I vulcani delle Hawaii come il Kilauea e il Mauna Loa, ad esempio, si sono formati per la presenza di un punto caldo, che nel tempo, ha originato un allineamento di isole e rilievi, sviluppato per quasi 6 km sotto il Pacifico, la catena sottomarina Hawaii – Emperor, comprendente 80 vulcani, la maggior parte sottomarini, di cui la più giovane è proprio la Grande Isola di Hawaii, ancora in formazione. Il Kilauea è un vulcano attualmente attivo, monitorato dall’Osservatorio del Vulcano Hawaiano ed in eruzione proprio in questi giorni e proprio dentro il cratere Halema’uma’u, protagonista di leggende e dimora della dea Pele, in cui si è formato un lago di lava, oggi profondo circa 200 metri. Sembra che i punti caldi del nostro pianeta siano circa una cinquantina e che quelli attualmente più attivi siano, oltre a quelli appena menzionati dell’isola Hawaii, quelli che hanno originato i vulcani islandesi e quello della Yellowstone Caldera, una vasta zona, sotto l’omonimo Parco, al centro di cui sono presenti i famosi geyser. In corrispondenza di un vulcano, al di sotto della superficie terrestre si trova la camera magmatica o bacino magmatico. Il magma, ossia un miscuglio di roccia fusa e altri composti liquidi e gassosi, risale poi in superficie attraverso uno o più condotti (principale e secondari) chiamati camini vulcanici ed esce attraverso aperture dette crateri (sommitali e avventizi, sui fianchi). Dall’esterno, inizialmente, un vulcano si presenta come un semplice “buco” nella crosta terrestre, dal


quale fuoriesce il magma, che all’esterno diventa lava. Questi materiali, con il tempo, si sono solidificati e, accumulandosi in successivi strati di colate laviche diverse, hanno dato vita a quello che noi chiamiamo generalmente vulcano ma che scientificamente andrebbe denominato cono vulcanico. Ma non tutti i vulcani hanno la classica forma a cono.

Quanti tipi di vulcani esistono? Se pensiamo ad un vulcano, ciò che ci viene subito alla mente è l’immagine di una montagna “sputafuoco” o fumante, con la lava che scende incandescente sui suoi fianchi. Ma non è sempre così, in realtà i vulcani hanno una morfologia assai variabile e possono essere suddivisi, in base alla loro struttura esterna, in vulcani a cono o a strato (stratovulcani), come l’Etna o il Vesuvio o il Monte Fuji, in Giappone, oppure vulcani a scudo, che hanno una forma appiattita, come un cono

Caldera dello Yellowstone, già nominate. In Italia, la più grande caldera è invece quella dei Campi Flegrei, una delle più studiate al mondo, occupata da tanti piccoli coni, ognuno protagonista di una o più eruzioni. La caldera dei Colli Albani (sempre in Italia, nei pressi di Roma) ospita invece un lago, il lago di Castel Gandolfo, noto anche come lago di Albano. I vulcani possono essere classificati anche usando altri parametri, quali il tipo di edificio vulcanico esterno o il tipo di attività eruttiva, dipendentemente dalla composizione del magma e della camera magmatica (e di conseguenza, anche della lava che fuoriesce). A seconda della loro forma, quindi, i vulcani possono avere la classica forma del nostro immaginario generale, ovvero essere centrali, con un condotto vulcanico praticamente cilindrico culminante in un cratere centrale e presenza di uno o più condotti laterali. Oppure, possono essere vulcani fissurali o lineari, quando il magma fuoriesce non da una colonna centrale e verticale, ma da una fessura

Di vulcani ce ne sono tanti, che nascono tra i ghiacci, come in Islanda, l’Eyjafjöll, dove fuoco e ghiaccio si uniscono in un affascinante connubio di fenomeni naturali e colori. Vulcani esplosivi, che creano spettacoli unici e coni vulcanici di mille colori accesi, come i nostri Etna, Stromboli o vulcani nati sotto l’oceano, che creano isole meravigliose e continuano a plasmarle, come quelli che hanno dato origine alle isole Hawaii, in cui la lava solidificata, nera come la pece, ospita piante di un verde acceso e ha creato spiagge, scogliere a picco sull’oceano, dove l’acqua blu zaffiro vi si scaglia con forza creando un’energica schiuma bianca. Anche qui, un tripudio di colori estremamente affascinante. schiacciato e sviluppato più orizzontalmente che verticalmente. Ne sono un esempio il Mauna Loa (il più grande presente sulla Terra per questa tipologia), il Mauna Kea e, ancora, il Kilauea delle isole Hawaii o anche i vulcani islandesi. Molti coni vulcanici, inoltre, al loro interno hanno una depressione chiamata caldera, originata dal collasso anche parziale della camera magmatica, in seguito a grandi eruzioni, una volta che essa si sia svuotata del magma interno. Una delle caldere più famose è quella del vulcano hawaiano Kilauea, oppure la grande

longitudinale sulla crosta. Un’altra distinzione riguarda l’attività magmatica e allora si parla di eruzioni effusive, quando l’esplosività è bassa e comporta prevalentemente l’emissione di magma fluido, che scende sui fianchi del vulcano, per gravità, formando le tipiche colate laviche. Questo magma contiene pochi gas, ma ad elevata temperatura (1100 – 1200°C) e può essere variabilmente viscoso. Quando, invece, un’eruzione è esplosiva, il magma

METE MAGAZINE

- 32 -


è molto viscoso e soprattutto molto ricco di gas che, appena diminuisce la temperatura, cercano di risalire, generando processi che causano un aumento della pressione interna tale da provocare un’esplosione, con emissioni di piroclasti, lapilli e frammenti di lava che vengono lanciati violentemente in aria dal vulcano. Sulla base del tipo di eruzione, invece, si possono distinguere sette tipi di vulcani: hawaiano, islandese, stromboliano, vulcaniano, vesuviano, pliniano (o peleano), grandi caldere. I vulcani con eruzione hawaiana (Kilauea, Mauna Loa – Hawaii), come abbiamo già descritto, sono vulcani a scudo, dove la lava esce a mo’ di colate, insieme ad emissioni di gas ma senza esplosioni. Sul fondo del cratere di questi vulcani possono formarsi laghi di lava da cui a volte zampillano fontane di lava e si creano fiumi di lava ad elevata velocità. Quelli di tipo islandese sono vulcani fissurali, effusivi, in cui l’eruzione è lineare ed avviene su lunghe spaccature, fessure longitudinali nella crosta. Spesso da questi vulcani si origina un nuovo pavimento oceanico. Ne sono un esempio il Bárðarbunga ed i vulcani della Dorsale Medio-Atlantica, che spacca letteralmente in due parti l’Islanda, originando appunto questo tipo di vulcani. Stromboliana, invece, dal nome del vulcano Stromboli, è un’eruzione che causa grosse e rumorose esplosioni e fontane di lava, che possono raggiungere centinaia di metri d’altezza, dal lancio di lapilli e detriti. Le eruzioni vulcaniane, così chiamate ricordando il vulcano dell’omonima isola, sono eruzioni esplosive durante le quali fuoriescono bombe di lava e nubi di gas colme di ceneri. Le eruzioni di tipo vesuviano, in ricordo del nostro Vesuvio, appunto, sono inizialmente molto violente, caratterizzate da una forte esplosione, che riesce quasi a svuotare completamente la camera magmatica interna. Le eruzioni vesuviane più violente, dei vulcani che trattengono i gas per molto tempo, generando elevate pressioni interne, possono raggiungere un’enorme potenza distruttiva e vengono chiamate eruzioni pliniane, in onore di Plinio (il Vecchio ed il Giovane). A parte le eruzioni hawaiane che creano vulcani a scudo e quelle islandesi che li creano fissurali, tutti gli altri tipi di eruzioni danno origine a vulcani a cono o stratovulcani. Le grandi caldere, dette anche supervulcani, sono caratterizzate invece che da un cratere sviluppato in alto, da una grande depressione.

«Io» disse ancora possiedo una rosa che innaffio tutti i giorni. Possiedo tre vulcani che pulisco tutte le settimane. Perché pulisco anche quello spento. non si sa mai. Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe

METE MAGAZINE

- 33 -


Prima dell’alba siamo passati tra Capri e il Continente e siamo entrati nel Golfo di Napoli. Ero sul ponte. L’indistinta massa del Vesuvio fu presto in vista Herman Melville, Diario Italiano

I vulcani attivi nel mondo. Parliamo di alcuni di essi, lontani o vicini a noi. I vulcani attivi nel mondo (in tempi storici) son attualmente circa 600 e sono localizzati in alcune grandi aree. Una, molto vasta, è quella definita “cintura di fuoco” e si trova nel Pacifico. Interessa Alaska, Montagne Rocciose, America Centrale con Antille e Galápagos, Ande, Antartide, Nuova Zelanda, isole del Pacifico occidentale, Kamchatka, Giappone e Hawaii; un’altra importante zona corre lungo la dorsale dell’Oceano Atlantico e tocca la zona artica, l’Islanda, le Azzorre, le Canarie, costeggiando l’Africa; poi, la zona delle regioni mediterranee e dell’Asia centromeridionale, lungo le catene alpino-himalayane (Atlante, Italia centrale e meridionale, Grecia, Turchia, Caucaso, Iran e Tibet) e infine una zona situata in Africa Orientale, che interessa Arabia, Medio Oriente e Oceano Indiano. Per l’Italia, fonte l’INGV, siamo abituati a considerare i vulcani più famosi come Etna, Vesuvio, Campi Flegrei e Colli Albani, perciò si pensa che nel nostro paese ci siano solo una decina di vulcani. In verità, ne abbiamo circa 70! Molti di questi non li vediamo, sono sottomarini e sono distribuiti sotto i nostri mari dalla Toscana alla Sicilia. “Come è possibile?” direte. Lo è proprio perché l’Italia ricade su una parte di crosta caratterizzata una zona di subduzione (sotto gli Appennini) e una zona di estensione (sotto il Tirreno), processi che favoriscono l’origine di attività vulcanica. I vulcani in superficie in Italia sono circa dodici: Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, Vulcano, Lipari, Panarea, Colli Albani, Stromboli, Etna, Pantelleria, Marsili e Ferdinandea. Molti di questi attualmente si trovano in una fase di quiescenza, mentre Etna e Stromboli sono caratterizzati da un’attività pressoché persistente. Sì, per essere precisi, bisogna distinguere i vulcani in base al

loro stato di attività, ovvero in: vulcani ad attività persistente, quiescenti, ed estinti. I vulcani definiti estinti hanno avuto la loro ultima eruzione più di 10.000 anni fa e, quindi, non sono più considerati pericolosi. Detto anche spento, il vulcano esaurisce la sua attività e la camera magmatica non contiene più magma, ma si riempie di altro, anche di acqua meteorica. Il Monte Amiata, in Toscana, la mia terra che non posso non citare parlando di vulcani, ne è un esempio. Un vulcano è quiescente invece, quando non erutta da molti anni, ma la sua camera magmatica non si è ancora svuotata, per cui potrebbe potenzialmente riprendere la sua attività in qualunque momento: non si può definire attivo, ma risulta comunque opportuno monitorarlo costantemente. Un vulcano è invece attivo quando la camera magmatica si riempie costantemente di magma incandescente. I vulcani ad attività persistente sono quelli ancora attivi, che continuano periodicamente ad eruttare. Attualmente gli spettacoli maggiori vicini e lontani, riguardano le suggestive eruzioni dell’Etna e del Kilauea, vulcani costantemente monitorati, ovunque mostrate sul web. Fatevi un giro ad ammirare i video delle loro eruzioni, vi assicuro che ne sarete per qualche minuto rapiti. Il Kracatoa, in Indonesia, conosciuto per l’imponente eruzione del 1883, che sprigionò un’energia elevatissima e presumibilmente fu il rumore più forte mai udito sul pianeta in epoca storica, che sarebbe stato avvertito a migliaia di km di distanza. Non eruttava da 140 anni, pochi mesi fa ha ripreso la sua attività vulcanica. Non posso dirvi tutto sui vulcani, per farlo ci vorrebbe una vita e molti numeri di METE! Ma spero di avervi solleticato abbastanza l’interesse da farvi venire la voglia di leggervi altre belle cose interessanti su di loro e magari, anche di sceglierne qualcuno di quelli visitabili, come meta di un vostro viaggio futuro. La nostra Terra è uno scrigno di tesori maestosi, tutti da vivere ed ammirare!

METE MAGAZINE

- 34 -


METE MAGAZINE

- 35 -


08

È il possibile di fronte al tutto Gianmaria Polidoro

METE MAGAZINE

- 36 -

Che cos’è un passo?


passi

emiliano ardigò

ph: emiliano ardigò

La salita alla Roda di Vael Dopo la fatica della splendida salita al mio luogo

infatti forse non sarò nella condizione migliore

magico, il piccolo e incantevole lago Antermoia,

per tirarmi su con le braccia, visto che le gambe

voglio realizzare un grande e antico sogno: salire

mi danno problemi abbastanza seri. Tra le tante

in cima alla Roda di Vael , un poderoso blocco di

qualità di questo ragazzo, che mi onoro di avere

roccia con pareti gialle e strapiombanti, banco di

come amico, ci sono una onestà intellettuale fuori

prova per molti alpinisti del passato.

dal comune e uno spirito libero.

Su queste pareti verticali Herman Buhl ha

Michele sa sempre essere se stesso e io sono

realizzato una fantastica via in solitaria, e Cesare

davvero felice che qualche volta insieme si

Maestri una via in artificiale sulla famosa parete

inseguano sogni, piccoli o grandi, ma sempre sogni

rossa, con un considerevole uso di chiodi a

di due innamorati della vita e della bellezza di

pressione che per anni, fino all ‘arrivo dei fortissimi

queste montagne. Probabilmente potrei farcela,

giovani arrampicatori del Nuovo Mattino, sarebbe

ma non vorrei, causa crampi improvvisi, obbligare

stata una pietra miliare del mondo dell’artificiale.

questo mio grande amico a mettersi in pericolo

Io, con le mie modeste capacità, vorrei solo

solo per una mia voglia, un mio desiderio, per

salire i due facili speroni che, assicurati dal cavo

stupido orgoglio o falsa autostima.

d’acciaio, portano alla bellissima, e solitaria nella

Ma racconto dall’inizio. La mattina presto Michele

sua magnificenza, croce di vetta. Con me c’è

viene addirittura a prendermi in albergo a Pozza e,

Michele, un ragazzo nativo della valle, poliziotto

con guida sicura, mi porta al passo di Costalunga

a Bolzano, con una pazienza infinita, pazienza che

dove, parcheggiata la macchina e stretti i lacci agli

mi dimostrerà proprio all’attacco della ferrata:

scarponi, si parte con buona lena e tanta voglia

METE MAGAZINE

- 37 -


Mentre Michele mi mostra pareti e linee che da giovane ho tanto amato, con la mia passione pazzesca per tutto ciò che è roccia verticale, il mio sguardo si perde su cime eleganti e superbe, che poeticamente mi sembrano preghiere che salgono verso il cielo per rendere onore a Dio per la bellezza della Sua Creazione.

di godere momenti e panorami magici. Arrivati alla baita Pederiva e al rifugio Roda di Vael, per me inizia un viaggio nell’ignoto, in un ambiente che, nonostante i tanti anni, le innumerevoli escursioni compiute, non ho mai conosciuto né frequentato… cosa di cui mi pentirò durante la giornata, visto la magnificenza degli scenari che i miei occhi avranno la fortuna di vedere. Debbo confessare che spesso il fiato mi manca; quest’anno ho potuto allenami poco, ma Michele, da grande amico ed esperto di montagna, non me lo fa mai notare, anzi, indicandomi i luoghi, mi decanta le bellezze dell’ambiente, con le sue guglie verticali e le sue pareti che tolgono il fiato a chi sa cosa voglia dire affidare la propria vita alla sola forza ed eleganza di gesti che portano un corpo a salire verso la luce, verso un grande sogno. Mentre Michele mi mostra pareti e linee che da giovane ho tanto amato, con la mia passione pazzesca per tutto ciò che è roccia verticale, il mio sguardo si perde su cime eleganti e superbe, che poeticamente mi sembrano preghiere che salgono verso il cielo per rendere onore a Dio per la bellezza della Sua Creazione. Mentre arranco dietro il paziente Michele, spesso mi tornano alla mente le parole di una canzone di De Gregori: “dietro quel monte il confine, dietro il confine chissà” e qualche volta mi giunge alla mente l’immagine di un giovane soldato che, solo e spaventato, con una sigaretta tra le tremolanti dita, guarda queste montagne con anima e cuore totalmente diversi da me in questi bellissimi attimi. Probabilmente Michele non si rende METE MAGAZINE

- 38 -

conto della gioia che mi sta regalando con le sue spiegazioni su queste cime che mi stanno riempiendo il cuore. Arrivati al passo del Vaiolon, dopo aver superato facilmente la Busa di Vael, un canalino roccioso con un sentiero un po’ delicato, tutto friabile e sassoso, e i bei prati di Pael, finalmente un po’ di orizzontale dopo tanto ripido e quasi verticale; con il mio amico decidiamo di non fare la ferrata, sono troppo insicuro e francamente, sarà l’età, ma temo che stavolta la fatica e la debolezza che sento potrebbero diventare una insidia per la mia sicurezza e per quella del mio forte amico. In questo frangente Michele mi dimostra la grandezza d’animo che lo contraddistingue e, senza battere ciglio, mi propone di scendere dal passo del Vaiolon verso la conca sopra il rifugio Paolina, facendo così uno stupendo giro ad anello, che veramente placherà, ma no, anzi, darà nuove emozioni alla mia anima assetata di bellezza. La discesa dal Vaiolon è altrettanto bella quanto la salita, con scalette e un sentiero anche ripido in una gola veramente selvaggia , e sempre davanti agli occhi, come uno sfondo di un bellissimo dipinto, l’ immagine dei campanili del Latemar, fieri della loro longilinea bellezza… se guardi questi campanili dal lago di Carezza capisci il significato che ha l’espressione “longilinea bellezza”. Alla fine è un gioco, uno spasso arrivare al monumento a Christomannos, la famosa aquila bronzea in onore dell’ideatore della strada statale delle Dolomiti, che permette a molti di coronare in minor tempo i sogni del proprio


cuore. La birra al rifugio Roda di Vael ,con i primi avidi sorsi, mi riempie il cuore di gioia e soddisfazione per le emozioni, per le bellezze ammirate, e per la consapevolezza che avere un amico come Michele con la sua pazienza, la sua conoscenza del territorio, la sua intelligenza, ti rende davvero una persona ricca di tutto. Anche conoscere Roberta, la mitica donna che gestisce egregiamente il rifugio, è davvero un’ emozione di quelle che restano nel cuore e non si ripetono. E con queste certezze nel cuore, con questa gioia infinita, nonostante la sconfitta della ferrata non fatta e, purtroppo, non fatta fare neanche a Michele, con la bellezza dei luoghi che mi è entrata nel cuore, mi accingo, dopo gli attimi in cui mi sono sentito un re nel suo regno, a tornare alla solita vita, anche se a volte noiosa , sempre bella, visto che mi permette di godere spesso di attimi e orizzonti infiniti. E, dopo il bello che ho visto e le tante esaurienti illustrazioni di Michele, come posso non avere tanta voglia di ritornare con nuovi sogni e sicuramente più allenamento e forza per riuscire a toccare davvero la croce sulla cima di questa montagna? Montagna, la Roda di Vael, che ogni mattina, quasi come una donna che si trucca per compiacere il suo uomo, è la prima che da Pozza vedo rivestirsi di quel rosso magico e confortante che preannuncia l’ imminente e calda alba. Ormai la Meta mi è entrata nel cuore e nella mente, insieme all’altrettanto importante amicizia di Michele che, credo, saprà dare, come ha fatto questa volta, un senso nuovo al mio vivere di sogni.

il rifugio Roda di Vael

METE MAGAZINE

- 39 -


La crescita post-traumatica METE MAGAZINE

- 40 -


09 viaggio in sé stessi martina verrilli

Oltre la resilienza: i cambiamenti positivi che possono nascere dal dolore La resilienza è la capacità di autoripararsi dopo un danno e di riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili.

In Psicologia, un trauma è definito come un evento avverso potenzialmente in grado di originare nella persona che lo subisce una serie di reazioni e/o di disturbi psichici che perdurano oltre l’avvenimento traumatico stesso. Gli eventi traumatici sono definiti dai criteri diagnostici dell’American Psychiatric Association (APA, 2013) come eventi che comportano morte o minaccia di morte, gravi lesioni o violenza sessuale. L’esposizione può avvenire in diversi modi: • attraverso l’esperienza diretta (la vittima vive il trauma in prima persona); • assistendo ad un evento traumatico accaduto ad altri; • venendo a conoscenza di un evento traumatico accaduto a una persona con cui si ha una relazione intima, ad esempio un componente della propria famiglia o un amico stretto, e in particolare ai caregiver primari nel caso dei bambini (la morte o la minaccia di morte deve essere stata violenta o accidentale); • attraverso l’estrema e ripetuta esposizione a dettagli crudi dell’evento (ad esempio, nel caso dei primi soccorritori in seguito all’evento o di agenti di polizia durante le indagini), ma non tramite i media, ad eccezione che nei casi in cui anche ciò sia legato alla professione svolta. Il disturbo post-traumatico da stress

(PTSD) è una possibile conseguenza dell’esposizione ad un evento traumatico. Tra i sintomi del disturbo vi sono ricordi ricorrenti, incubi, flashback accompagnati da paura e attivazione fisiologica (battito cardiaco accelerato, sudorazione, tensione muscolare…), tentativi di evitamento di situazioni che possano richiamare l’evento traumatico. Inoltre, possono verificarsi difficoltà a dormire, irritabilità, difficoltà a concentrarsi, ipervigilanza. Un evento traumatico è definito tale in quanto altera la normalità, la nostra realtà quotidiana; nel farvi fronte, ciascuna persona risponderà in maniera unica, e qualsiasi reazione, anche se particolarmente intensa, può essere considerata normale. Proprio per questo, non tutte le persone che sono state esposte ad un evento traumatico rimangono traumatizzate o sviluppano un disturbo post-traumatico. Sintomi emozionali, psicologici e/o comportamentali successivi ad un evento avverso potenzialmente traumatico sono infatti fisiologici. L’intensità delle reazioni varia da persona a persona. Oltre alle conseguenze negative, un numero crescente di studi rivela che molti sopravvissuti ai traumi sperimentano anche cambiamenti psicologici positivi (Calhoun & Tedeschi, 1996). La crescita post-traumatica è definita come l’esperienza soggettiva di METE MAGAZINE

- 41 -

un cambiamento psicologico positivo riportato da un individuo in seguito alla lotta contro un evento sfidante e complesso e alla grande sofferenza che ne consegue. Questo concetto si differenzia da quello di “resilienza”, definita come la capacità individuale di affrontare eventi difficili e di superarli. Il termine fu inizialmente utilizzato nel campo della fisica per indicare la capacità di un materiale di resistere a urti e sollecitazioni semplicemente deformandosi, per poi ritornare alla forma iniziale. Negli anni ’60, un gruppo di psicologi e psichiatri ha applicato il concetto di resilienza alle scienze umane: dal punto di vista psicologico, essa indica la capacità di adattarsi alla situazione anche in presenza di fattori di stress o traumi, mantenendo un equilibrio nel funzionamento psicologico nonostante possibili reazioni disfunzionali temporanee (Bonanno, 2004). Il 50% della popolazione mondiale si è ritrovata a fronteggiare, almeno una volta nella vita, un evento potenzialmente traumatico, ma solo l’8% di queste persone ha sviluppato un disturbo post-traumatico da stress (APA, 2000). Ciò naturalmente non significa che le persone che restano traumatizzate siano più deboli delle altre: ognuno di noi reagisce a suo modo ed ha un proprio “punto di frattura”, poiché la fragilità è propria dell’essere umano. Semplicemente


questi dati possono fornirci la prova di come la resilienza, unitamente a diversi altri fattori protettivi (risorse fisiche, psicologiche e relazionali) sia efficace nel prevenire conseguenze più importanti in seguito all’esposizione ad un evento potenzialmente traumatico. Il processo di traumatizzazione avviene infatti quando le capacità di resilienza dell’individuo vengono sovrastate dall’accadimento. Quando parliamo di crescita posttraumatica, invece, intendiamo che l’individuo non solo è riuscito ad adattarsi e sopravvivere al danno, ma ha anche sperimentato e acquisito cambiamenti positivi importanti: non è semplicemente un ritorno alla base, alla “normalità”, quanto piuttosto un’esperienza di miglioramento che per alcune persone si configura come molto profonda, e che può avvenire in tre sfere principali: nella percezione di sé, nelle relazioni interpersonali e nella filosofia di vita (Tedeschi, Park & Calhoun, 1998).

Percezione di sé Le vittime o i superstiti smettono di sentirsi tali e di “sopravvivere”, ricominciando a “vivere” con la consapevolezza di aver affrontato con successo un evento molto complicato. Questa nuova visione può comportare un incremento della fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità. Infatti, l’aver superato una situazione traumatica può far sentire più forti, ma anche maggiormente vulnerabili, poiché la sofferenza sperimentata deriva da cause non necessariamente controllabili o prevenibili (Janoff-Bulman, 1992). Tuttavia, molte persone riferiscono di sentirsi maggiormente capaci di sopravvivere alle grandi sfide della vita (Calhoun & Tedeschi, 1999).

Relazioni interpersonali La persona vittima di un trauma può vivere cambiamenti positivi anche per quanto riguarda le relazioni interpersonali: potrebbe svelarsi una maggiore intimità con i propri cari, come il partner o la famiglia, oppure una spinta a creare nuovi legami. Inoltre, il senso di vulnerabilità sperimentato può favorire l’espressione di emozioni, l’accettazione di un aiuto, l’empatia o l’altruismo (Pietrantoni e Prati, 2009): altre esperienze spesso riportate dai sopravvissuti ai traumi riguardano infatti il bisogno di parlare degli eventi vissuti, che favorirebbe l’instaurarsi di relazioni interpersonali, ed un maggiore senso di compassione per coloro che si ritrovano ad affrontare difficoltà importanti.

Filosofia di vita La minaccia alla propria vita può tradursi in un maggiore apprezzamento di essa e in una riformulazione delle proprie priorità. Le nostre convinzioni sulla vita e la morte possono essere influenzate in diversa misura dagli eventi traumatici; le persone che affrontano un trauma possono essere più propense ad impegnarsi cognitivamente ponendosi domande esistenziali sulla morte e sullo scopo della vita. Cambiamenti comunemente riportati riguardano l’apprezzamento delle piccole cose e una tendenza ad approfondire la propria spiritualità. Il contenuto specifico di quest’ultima varia, naturalmente, a seconda del sistema di credenze iniziali dell’individuo e dei contesti culturali entro i quali si verifica l’evento. Nonostante le domande che l’evento negativo suscita (“Perché accadono eventi traumatici?”, “Qual è il senso della mia vita ora che questo trauma si è verificato?”, “Perché dovrei continuare a lottare?”) restino spesso irrisolte, affrontare queste riflessioni può generare una soddisfazione nei sopravvissuti, permettendo loro di sperimentare un livello di consapevolezza più profondo. Le riflessioni sui propri traumi e sulle loro conseguenze sono spesso spiacevoli, ma necessarie per ricostruire l’evento e stabilire una prospettiva di vita più ampia e saggia che tenga conto di queste difficili circostanze. Gli individui che sperimentano livelli significativi di crescita post-traumatica non necessariamente sperimenteranno in maniera proporzionale una diminuzione dei loro livelli di sofferenza o un aumento dei loro livelli di felicità. Inoltre, il post-trauma può richiedere periodici e spiacevoli richiami cognitivi di ciò che è andato perduto, ma, in modo apparentemente paradossale, anche di ciò che è stato guadagnato. La crescita post-traumatica descrive quindi l’esperienza di individui il cui sviluppo, almeno in alcune aree, è andato incontro a dei miglioramenti rispetto al periodo precedente il verificarsi della situazione traumatica.

Realtà o illusione? Alcune obiezioni rispetto al costrutto della crescita post-traumatica riguardano il fatto che i cambiamenti positivi possano essere riconducibili esclusivamente ad alcuni meccanismi di difesa, come la negazione della sofferenza; tuttavia, le vittime di un trauma riferiscono gli aspetti sia negativi, riconoscendoli, sia positivi. Inoltre, alla crescita post-traumatica si associano METE MAGAZINE

- 42 -

cambiamenti nelle risorse sia esterne (sostegno sociale) che interne, come un cambiamento nella personalità (Pietrantoni & Prati, 2009). Un’ulteriore critica considera la crescita post-traumatica unicamente come il risultato di una valutazione sbilanciata a favore del presente: le persone tenderebbero cioè a valutare come migliori le loro condizioni attuali rispetto a quelle passate. Tuttavia, questo accade soprattutto nel caso di un evento di rottura positivo anziché di natura traumatica. È possibile, quindi, che eventi drammatici possano modificare positivamente alcuni aspetti della vita di chi vi è stato esposto; la “ricostruzione” (non solo fisica) è un processo che implica grande sofferenza ma da cui possono svilupparsi anche aspetti positivi. Naturalmente, non tutte le persone che affrontano esperienze traumatiche vivono poi cambiamenti positivi; nella traiettoria di sviluppo intervengono infatti anche fattori personali e ambientali. Tuttavia, abbiamo dimostrato più volte di saper essere resilienti: possediamo cioè risorse e capacità per affrontare situazioni anche estremamente complesse, seppure queste implichino dolore e sofferenza. Ma quando ci sentiamo sopraffatti dagli eventi e dalle emozioni e abbiamo bisogno di un aiuto per affrontare un’esperienza negativa o traumatica, il miglior gesto che possiamo fare verso noi stessi è quello di rivolgerci ad un professionista della salute mentale, senza mai vergognarsene.

BIBLIOGRAFIA American Psychiatric Association. (2013). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (5a Ed.): DSM-5. Trad. it. Raffaello Cortina, Milano 2014. Bonanno, G.A. (2004). Loss, trauma and human resilience: Have we underestimated the human capacity to thrive after extremely eversive events? American Psychologist, 59, 20-28. Calhoun, L. G., & Tedeschi, R. G. (1999). Facilitating posttraumatic growth: A clinician’s guide. Mahwah, NJ: Erlbaum. Calhoun, L.G., Tedeschi, R.G. (1996). The Posttraumatic Growth Inventory: Measuring the Positive Legacy of Trauma, Journal of Traumatic Stress, 9(3). Calhoun, L.G., Tedeschi, R.G., Park, C.L. (1998). Post-traumatic growth. Positive changes in the aftermath of crisis. Mahwah, NJ: Erlbaum. Janoff-Bulman, R. (1992). Shattered assumptions. New York: Free Press. Pietrantoni, L., Prati, G. (2009). Psicologia dell’emergenza. Il Mulino, Bologna.


DETRARRE IL 100% DEL VEICOLO A USO AZIENDALE Autovettura aziendale in regime forfetario o autoveicolo aziendale totalmente detraibile e deducibile? Ora puoi scegliere.

businesscar.it

Autoveicolo per uso aziendale: vuoi continuare a perderci tanti soldi? Potendo scegliere, lo voglio detraibile e deducibile al 100%

La tua auto aziendale defiscalizzabile al 100%

D

a anni la trasformazione da autovettura ad autocarro è una delle possibili soluzioni consentite, ma non l’unica o la più efficace, specie se sei un libero professionista. Esistono una serie di omologazioni, quali quelle di autoveicoli ad uso speciale, che permettono di scegliere la versione ideale del proprio autoveicolo per uso aziendale, evitando così di perderci tanti soldi. Gli autoveicoli ad uso pubblicitario (pubblycar), tecnologico (technologycar) e officina mobile (workcar) sono, insieme all’autocarro, le risposte più sicure per un’auto aziendale Per un parere di pre-fattibilità totalmente deducibile per inerenza. visita il sito www.businesscar.it Infatti, la legge impone che i beni (anche quelli mobili) aziendali per essere detraibili e deducibili al 100% abbiano due Per saperne di più, o se desideri caratteristiche: ricevere il questionario, scrivi a 1) Essere strumentali (tutti gli autoveicoli di categoria N1 sono strumentali) bcpoint@businesscar.it 2) Essere inerenti (l’inerenza stabilisce che ogni attività deve o telefona al numero 3476997198 avere il suo autoveicolo su misura della propria attività) Ecco perché quattro soluzioni: per usare quella correttamente inerente ad ogni impresa o studio professionale. Anche il Sole 24 Ore nei suoi opuscoli informativi sulla materia utilizza il marchio Businesscar per definire gli autoveicoli ad uso speciale aziendale deducibili per inerenza. Per questo, in collaborazione con un pool di commercialisti esperti, è nata la certificazione di congruità fiscale che, unitamente all’omologazione della trasformazione, garantisce al 100% la detraibilità e la deducibilità di un autoveicolo per uso aziendale. Sarà sufficiente compilare un apposito questionario sul sito www.businesscar.it per ottenere gratuitamente il pre - parere di fattibilità. METE MAGAZINE

www.businesscar.it

- 43 -


Mes, recovery fund e piano di acquisti di obbligazioni dalla BCE METE MAGAZINE

- 44 -


È inutile utilizzare il MES, viste le condizioni di finanziamento sui mercati, dal momento che non è un sussidio ma un prestito, che Sembra che la Teoria della Moneta Moderna stia prendendo corpo in tutto il mondo sviluppato, complice una imposte dall’UE. Utilizzarlo non pandemia che renderebbe insostenibile ci esporrebbe a particolari rischi, il debito pubblico in una architettura ma utilizzarlo non porta benefici. tradizionale. Secondo la Modern Monetary Theory le imposte hanno solo la funzione di costringere i cittadini a usare la moneta legale ufficiale, non hanno la funzione di finanziare la spesa pubblica e, pertanto, lo Stato può ricorrere a deficit fiscali facendoseli finanziare dalla Banca Centrale. Questa visione sta già portando le varie banche centrali, inclusa la BCE, ad acquistare massicciamente debiti sovrani e privati, abbattendone i tassi di interesse. Con riferimento alla BCE, è plausibile che sia entrata in una trappola della liquidità, dove la liquidità fornita alle banche per finanziare l’economia non è mai sufficiente a stimolare l’inflazione, in quanto l’economia è depressa dalle restrizioni dovute alla pandemia. In uno scenario in cui i tassi di interesse sul debito pubblico sono sempre più negativi, c’è da chiedersi se gli Stati siano effettivamente condizionati dai vincoli di bilancio: in questo momento sono tutti in deficit. Il MES è inutile utilizzarlo, viste le condizioni di finanziamento sui mercati, dal momento che non è un sussidio ma un prestito, che esistano o meno condizionalità imposte dall’UE. Utilizzarlo non ci esporrebbe a particolari rischi, ma utilizzarlo non porta benefici.

esistano o meno condizionalità

i talenti e i frutti vinicio paselli ph: pexels

10

Il Recovery Fund è il piano di sussidi e prestiti, ostaggio al momento di Polonia e Ungheria, Paesi di cui il resto dell’UE denuncia riduzioni alla libertà di stampa e di opinione; i due Paesi intendono accedere ai fondi del Recovery Fund pur non rispettando lo stato di diritto o, in alternativa, perseguiranno la politica del veto, bloccando i trasferimenti a fondo perduto e i prestiti a paesi come Grecia, Italia e Spagna, duramente colpiti dalla pandemia. Grecia e Spagna non sono interessate al MES e la Spagna vuole accedere solo ai sussidi del Next Generation UE, rinunciando ai prestiti. In Italia possiamo prendere spunto dalla scelta di questi due Paesi, ma soprattutto dobbiamo formulare proposte di impiego dei fondi. Il Next Generation EU è la prima forma di trasferimento fiscale di una certa rilevanza interno all’UE e dobbiamo cogliere al volo l’occasione.

METE MAGAZINE

- 45 -


Orme medievali a Friburgo in Brisgovia

di tappa in tappa francesca vinai ph: takeanyway

Quando il tempo si arresta, diventa luogo Chawki Abdelamir

È nota per essere il capoluogo della fiabesca Foresta Nera, nel Land tedesco BadenWürttemberg, ma Friburgo in Brisgovia è molto più di questo. È una città che invita alla scoperta, un passo alla volta, nel suo cuore antico… Sguardo a terra. Curiosi di sapere il perché?

METE MAGAZINE

- 46 -


cattedrale

mosaico

Tutto ha inizio dalla pavimentazione delle vie centrali, una sinfonia ipnotica di grigi e ocra composta da ciottoli di fiume accostati gli uni agli altri. Piccoli, piatti, ovoidali, provengono dal letto del vicino Reno e rivestono queste strade dal Duecento. Oggi ci sfrecciano sopra, come cerchi lanciati da giocolieri sfuggenti, i copertoni consunti di centinaia di biciclette, molto in voga in una città antica ma dall’animo green. Ad ingentilire la schiera di sassolini lungo le vie ci sono i mosaiken, curiosità sorprendente di Friburgo. Se ne incontrano ad ogni passo e sono gli antenati delle insegne moderne, posizionati a terra anziché sulle facciate dei palazzi: mosaici colorati che, decorando il selciato antistante gli ingressi di locali e

11

botteghe, ne indicano la funzione originaria. Davanti alla porta che fu di un fornaio, un mosaico riproduce un brezel. Il boccale di birra suggerisce che qui sorgeva una locanda e quel diamante che là aveva sede una gioielleria. Le forbici annunciano un sarto, lo stivale un calzolaio. C’è un altro luogo non convenzionale che ospita brezel e stivali a Friburgo, la Cattedrale gotica. Stupisce ritrovarli raffigurati sulle sue vetrate sgargianti, che irradiano le navate interne di lame iridescenti di luce. Ma una ragione c’è: ciascuna vetrata esibisce, a mo’ di firma, il simbolo della corporazione artigiana medievale che la commissionò: il brezel dei fornai, lo stivale dei calzolai. È il fascino germanico dell’Alto Medioevo che attraversa Friburgo sul filo della storia, sull’onda delle fiabe. METE MAGAZINE

- 47 -


100% 150%

Deducibilità auto aziendale con Formula 200xcento.com

Deducibilità massima con il credito d’imposta

UN’OPPORTUNITÀ RISERVATA SOLO A 210 PARTITE IVA Come abbattere del 96% il costo della tua prossima auto aziendale. Se sei una partita IVA sei sempre alla ricerca della soluzione al tuo problema aziendale più grande: detrarre il costo dell’auto aziendale in proporzione più equa rispetto al forfettario impostato dallo Stato La nostra Formula 200xCento.com ha completamente cambiato il focus su cui ti devi concentrare, esattamente come fanno i prestigiatori. Ecco il concetto:

Fai una campagna promozionale stellare con noi e noi ti regaliamo un’auto di pari valore al contratto pubblicitario. In questo modo l’auto è totalmente deducibile e detraibile al 100% e, con il credito d’imposta, deduci il 150%! Già tanti imprenditori, dal 2004 ad oggi, hanno scoperto i veri benefici della nostra Formula, ma gli spazi disponibili sono sempre meno e questa opportunità è riservata solo a 210 Partite IVA.

METE MAGAZINE

- 48 -


Hai una partita IVA? Ti sei mai posto queste due domande? Da imprenditore immagino di sì!

Sai quanto ti costerebbe oggi una campagna promozionale che ti porti centinaia di nuovi clienti e che ti aiuti a fidelizzare quelli già acquisiti, o la creazione di un Brand o un Logo di successo? Sai quanto ti costerebbe oggi l’acquisto, il noleggio o il leasing di un’auto aziendale nuova al netto dei risparmi fiscali? Se ti dicessimo che con la nostra Formula, per entrambi i servizi e per la consulenza per aumentare le possibilità di risparmio, mal che vada risparmi il 96% del costo auto, tu onestamente cosa ci risponderesti? Siamo così sicuri dei risultati che ti porteremo che siamo disposti a regalarti un’auto di pari valore al nostro contratto.

Ti spieghiamo come funziona la Formula. Formula 200xCento.com è un contratto di servizi promozionali che ti dà in cambio l’Auto Aziendale Gratis. Investi in un contratto pubblicitario deducibile al 150% e noi ti regaliamo un’auto di pari valore. Nella percentuale risparmiata sono comprese anche le nostre commissioni. Fai due domande precise al tuo consulente fiscale! Chiedi al tuo commercialista quanto ti costa un’auto aziendale al netto dei risparmi fiscali. Chiedigli anche quanto ti costa una campagna promozionale di pari valore al netto dei risparmi fiscali, magari con credito d’imposta annesso. Ecco assolta la Formula vincente:

+ fatturato e – costi (fiscali) = auto gratis subito! Due prodotti al costo di…? ZERO!

Ma non finisce qui. Vogliamo sottolineare che ci sono altri due vantaggi economici di cui potresti usufruire: in molte altre situazioni si tratta delle soluzioni del consulente fiscale o dell’escapologo di turno, e invece con la nostra Formula sono… in più!

Formula 200xCento = + Fatturato – Costi = Auto gratis Subito Ma… attenzione! I posti sono veramente limitati. Possiamo accettare solo 210 adesioni l’anno.

METE MAGAZINE

- 49 -


Senza meta, libere riflessioni Premessa... essendo il Diritto una scienza è necessario che di esso si dia una definizione esatta oltre che corretta da un punto di vista grammaticale. Con il termine Diritto si

di rendere stabile, nel

intende l’insieme delle

tempo, l’ordine sociale,

conoscenze teoriche

instaurando, allo scopo,

(acquisizione delle

un corretto equilibrio tra

discipline da esso regolate

interesse pubblico (di cui

e comprensione di esso da

è titolare la collettività),

un punto di vista storico,

e interesse privato (di

filosofico, comparativo,

cui è detentore il singolo

ecc..) e degli strumenti

individuo), all’interno di

di attuazione (fonti di

un gruppo di consociati

cognizione e fonti di

costituitosi al fine a cui

produzione), definibili

esso, ossia il Diritto, è

appunto giuridici, atti alla

destinato, che è la Giustizia

costituzione di un impianto

in quanto concreta e

di regole (ordinamento

definitiva espressione della

giuridico) aventi la funzione

Legalità mediante la Legge. FABIO BERGAMO

METE MAGAZINE

- 50 -


ASSISTENZA E CONSULENZA PER LE ARTI GRAFICHE Nuova Tesea opera da anni nel settore delle Arti Grafiche, avvalendosi dell’esperienza dei tecnici che la compongono, con un know-how costruito attraverso le numerose installazioni e gli interventi su periferiche e software dedicati al colore, vero punto di forza della società, forniamo assistenza a 360 gradi a tutte quelle aziende al cui interno vengono realizzati prodotti con l’utilizzo di hardware e software dedicati.

MARCHI DISTRIBUITI:

SERVIZI: - Software per la gestione del colore- Profilatura stampanti e macchine da stampa. - Conversione in automatico dei file Color Server. - Profilatura monitor. - Creazione di hotfolder per processi automatizzati. - Installazione di Server.

Via Mazzini 33 – 20092 Sesto San Giovanni (Mi)

Tel. +39 02 36526409 Tel. +39 02 91988136/7 Tel. +39 02 26260375

METE MAGAZINE

- 51 -

info@nuovatesea.it amministrazione@nuovatesea.it www.nuovatesea.it



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.