Mete n. 6

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NR 6 | LUGLIO 21

O B I E T T I V I La bellezza dei tardigradi

S U C C E S S I DESTINAZIONI

Dreaming California


SERVIZI Impianti fotovoltaici, quadri bt e mt impianti elettrici e strumentali, sottostazioni, impianti elettrici industriali e civili, impianti biogas, impianti antincendio e sprinkler MASSIMO MALAVOLTI

P.I.e C.F. e N.Reg.Impr. RA: 02503580397

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campo base Oltre l’unanime plauso ad una “libertà” ritrovata negli spostamenti, negli incontri, negli aperitivi, nei pranzi e cene “fuori” dopo un lungo periodo di restrizioni, pare che parecchie persone abbiano scoperto il gusto di rimanere nelle proprie case. Nella propria abitazione si è rassicurati da abitudini consolidate, da oggetti con significati e ricordi, da presenze conosciute che non mettono in discussione certezze acquisite. Ho provato a fare un gioco: ho immaginato la mia casa, le pareti che mi circondano, con tutti gli oggetti in essa contenuti, mobili, quadri che ho scelto, divano nell’angolo giusto, colori, l’odore del mio rifugio, la sensazione che sperimento quando rientro dopo una giornata al lavoro, il senso di appartenenza che ne scaturisce: il rifugio per eccellenza; fuori e intorno, il mondo che rientra nella parabola del mio sguardo quando mi affaccio alla finestra o esco sul terrazzo, l’ambiente circostante, in cui è radicata la mia casa, parte integrante della mia dimora. Ho poi immaginato la casa, le pareti, le stanze e tutto il loro contenuto, posta altrove: in luogo degli edifici, delle case, del parco, della strada che ora vedo, visualizzo attorno un’altra città, altri edifici, contesti diversi; la immagino immersa in un bosco, in riva al mare, in cima ad un monte o in un Paese straniero: cambiano le luci, i profumi, le prospettive. E come cambia il mio senso di appartenenza? Riconosco ancora la mia casa come un rifugio? Provo ancora la sensazione di protezione entrandovi? Come cambia la percezione della mia casa in rapporto all’ambiente esterno? Circondata dalle cose di sempre ma non nello stesso luogo fisico. Il luogo in cui si vive spesso è anche l’ingresso al mondo interiore, e infatti l’ambiente esterno e l’universo del proprio sé generalmente tendono a confondersi. L’ambiente domestico è come una frontiera, al di là c’è il mondo esterno; un confine tra quello che si vuole fare entrare e quello che invece non può trovarvi spazio, il dentro e il fuori, l’accoglienza e la chiusura. In passato, nell’Europa centro occidentale, la casa includeva le relazioni di comunità, era strettamente connessa al villaggio o ad altri insediamenti, era il fulcro di una serie di attività di carattere sociale; basti pensare alla famiglia contadina tradizionale, inserita totalmente in un contesto comunitario, una cellula sociale essa stessa. La modernità ha poi portato una serie di cambiamenti culturali e sociali che hanno modificato i concetti di abitare e di casa, connotandoli come contenitori di effetti e di affetti, luoghi di intimità, non necessariamente aperti ad ospiti non invitati né attesi. A poco a poco ha preso forma una organizzazione statuale e, dopo i villaggi, gli uomini hanno dato vita alle città, luoghi necessari a svolgere funzioni che i singoli, da soli, non potevano svolgere. Le città si sono arricchite di strutture, sono divenute fulcri creativi, culturali e artistici. Durante una lettura mi sono imbattuta in un articolo che riportava un’espressione tanto efficace quanto inquietante: la “sindrome da deficit di natura”, utilizzata dal pedagogista e psicoterapeuta statunitense Richard Louv, autore di “Last Child in the Woods” (l’ultimo bambino nel bosco), che identifica un vero disagio, una malattia, causati dall’assenza di contatto con la natura. Strettamente connessa a questa patologia è, per converso, la “sindrome da vita moderna”, che vede importanti disagi esistenziali, disturbi da ansia,

disturbi dell’alimentazione con le conseguenze del caso, attribuibili ad una progressiva perdita dei ritmi di vita naturali e del contatto, anche fisico, con aria aperta, luce ed elementi. Il rapporto con la natura affina i sensi e l’attenzione ed abbatte lo stress, causa di numerose malattie. Se ci pensiamo, non è che da 2000 anni circa che l’uomo ha cominciato a costruire “città” abbandonando via via le proprie radici “forestali”: nel suo processo evolutivo l’Homo sapiens ha vissuto da nomade in foreste, nutrendosi di vegetali e cacciando, e soltanto recentemente ha operato il suo distacco dall’ambiente primigenio. Negli ambienti chiusi, come suggerisce la medicina forestale, l’uomo tende a privilegiare l’uso di soli due dei cinque sensi, la vista e l’udito mentre, nella natura, all’aperto, tutti i sensi sono sollecitati: toccare la terra e magari anche sdraiarvisi dimenticando il canonico plaid, toccare alberi e piante, odorare i profumi di boschi e campi, gustare i frutti selvatici. Il rilassamento indotto dalla permanenza in un contesto naturale fa recuperare energia e migliora le funzioni vitali, poiché induce un abbassamento dell’adrenalina ed una riduzione della produzione di cortisolo, sostanze che vengono liberate nell’organismo in condizioni di stress e non sempre vantaggiose. Un bagno di natura, di tanto in tanto, per quanto fugace, non può che essere salutare per il benessere psicofisico. L’ambiente che circonda le abitazioni contribuisce in maniera importante al” benvivere”; spazi verdi, presenza di specie animali e vegetali compatibili anche nelle aree urbane possono dar vita a contesti abitativi piacevoli, gratificanti, con ricadute positive sugli abitanti in termini di riduzione dell’ansia, dell’aggressività e di miglioramento delle capacità di attenzione e concentrazione. Vorremmo ricordare qui un’iniziativa particolarmente interessante ed educativa, “weTree”, a firma Ilaria Capua del centro di eccellenza One Health dell’Università della Florida, Maria Lodovica Gullino, vicedirettrice dell’Università di Torino e direttrice di Agroinnova, e Ilaria Borletti Buitoni, vicepresidente del Fai, che ha come obiettivo la valorizzazione, la creazione ed il recupero di verde urbano, anche attraverso il coinvolgimento attivo dei cittadini nella messa in opera di “buone pratiche di salute circolare” (cerchio ambiente-salute), attraverso la formazione di comitati cittadini, confortato da percorsi formativi per l’acquisizione delle competenze necessarie a dar vita a progetti verdi. (è anche possibile inviare la propria idea di restyling verde urbano scrivendo a wetreeit@gmail.com). Tra gli obiettivi, nella cui realizzazione dovranno impegnarsi le città che accoglieranno la sfida(già Milano,Perugia, Palermo e Torino hanno aderito), la promozione della mobilità sostenibile, della raccolta differenziata, del riciclo e del recupero, della parità di genere e dell’educazione ambientale. Saranno davvero anche tutti piccoli passi ma, ancor più alla luce della delusione che regolarmente ci riservano gli accordi internazionali i quali faticano ed esitano sia a prendere che, poi, a rispettare, decisioni importanti per la difesa dell’ambiente, è giusto crederci; e suonano come intermittenze luminose che possono fare ben sperare. SILVIA GIRONI


SOMMARIO Numero Sei

01 Pastori tra i Sibillini SULLE TRACCE

pagina 6

02

03

04

05

Il mio Oltrepò

Vero green?

La bellezza dei tardigradi

Rialto, il ponte di Venezia

RITORNI

SOSTA

SCORCI

PROGETTI VISIONARI

pagina 10

pagina 14

pagina 18

pagina 22

COLOPHON DIRETTRICE RESPONSABILE

Silvia Gironi CONDIRETTORE

Giuliano Latuga COORDINAMENTO EDITORIALE E GRAFICA

Enrico Cigolla

PROMOZIONE E PUBBLICITÀ: tel. 0516014990 Emiliano Ardigò LUOGO DI PUBBLICAZIONE: Bologna Fabio Bergamo ANNO: 2020 Vinicio Paselli PROPRIETARIO: A.R.E. s.r.l. Corrado Poli DIRETTRICE RESPONSABILE: Silvia Gironi Francesca Vinai CONDIRETTORE: Giuliano Latuga Marta Gandolfi Gabriele Gironi METE MAGAZINEEDITORE: A.R.E. s.r.l, Via E. Mattei, 48/D, 40138 Bologna STAMPATO DA: MGP s.r.l., Antonio Iannibelli -4Martina Verrilli Autorizzazione Tribunale di Bologna n. 8523 del 06.08.2019 HANNO COLLABORATO:


10 Di viaggi e di nascite VIAGGI ALTRI

pagina 48

06

07

08

09

Un paradiso fuori dalle rotte

Profezie che si autoavverano

La paura dell’inflazione

Dreaming California

PASSI

VIAGGIO IN SÉ STESSI

IL TALENTO E I FRUTTI

DI TAPPA IN TAPPA

pagina 28

pagina 32

pagina 36

pagina 40

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GABRIELE GIRONI | MARTA GANDOLFI | GIORGIO GIRONI | EMILIANO ARDIGÒ | ENRICO CIGOLLA | ANTONIO IANNIBELLI |

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Pastori tra i Sibillini

01

sulle tracce

antonio iannibelli METE MAGAZINE

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ph: antonio iannibelli


Convivere con il lupo è

efficaci ed economici.

possibile. Silvia e Riccardo

Però il vero ostacolo per i lupi

dell’allevamento La

sono i grossi cani, dal peso

Sopravissana dei Sibillini ci

anche di 70 chilogrammi.

raccontano come fare. Le

La loro imponente presenza

pecore devono essere sempre

tiene alla larga i lupi che non

protette, di giorno e di notte,

metterebbero mai a rischio la

con recinzioni elettrificate

loro vita.

e sopratutto con dei buoni

Durante la notte l’intero

cani. Nel loro caso i pastori

gregge assieme ai cani, che

abruzzesi ben addestrati sono

vivono in simbiosi con le

un ottimo deterrente per i

pecore, viene protetto da

predatori.

un recinto fisso più alto e

È molto importante però il

più robusto con un ricovero

numero dei cani per gregge

notturno in caso di maltempo.

che deve essere almeno pari al Le pecore gravide e gli numero minimo dei branchi

agnelli restano al sicuro

di lupi che vivono in Italia, nel

invece nella grande stalla

gregge di Silvia e Riccardo sui

dove i predatori non possono

pascoli ci sono cinque cani da

entrare. Silvia e Riccardo ci

guardiania.

spiegano che in quei monti i

Inoltre la recinzione

lupi ci sono sempre stati così

elettrificata deve essere

come la pastorizia e le loro

leggera e pratica, da poter

pecore dalla lana pregiata.

essere smontata e rimontata

Dopo questa esperienza

velocemente, come quella

siamo sicuri che l’antica

che Riccardo sposta ogni

tradizione e i nostri predatori

giorno. L’energia non deve

continueranno a convivere

mai mancare e i pannelli

per sempre in questa terra

solari come nel loro caso sono

dalla bellezza unica.

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gregge dell’Az. Agricola La Sopravissana

un buon cane resta sempre nel gregge

dei Sibillini di Silvia Bonomi (Visso)

come Caino e il suo branco

pastore abruzzese al lavoro

recinzione elettrificata, il gregge e sullo sfondo il Monte Bove, Sibillini

recinzione e cani pastori abruzzesi,

il capobranco controlla il gregge

la migliore difesa per il gregge

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Caino, cane da pecora dell’Abruzzo

Riccardo nello spostamento quotidiano

giovane maschio

del gregge

Riccardo porta il gregge ad abbeverarsi

all’interno del ricovero notturno Riccardo

prima del ricovero notturno

premia il lavoro dei suoi guardiani con buone trote allevate a Ussita

Antonio Iannibelli - Fotografo e scrittore naturalista. Bologna Sito web: http://www.antonioiannibelli.com Il blog del lupo selvatico italiano: http://www.italianwildwolf.com Ass. culturale Provediemozioni.it: http://www.provediemozioni.it Clicca Mi piace sulla pagine Un cuore tra i lupi: https://www.facebook.com/UnCuoreTraILupi

il tramonto in montagna è sempre bello

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RITORNI corrado poli ph: freepik

02

Torno spesso e volentieri a Pavia e a Varzi. Sono luoghi pregni di ricordi e avvolti dalla nostalgia dell’infanzia e dell’adolescenza. Ma non vorrei mai tornare ad abitarci, nemmeno comprare una seconda casa e passare le vacanze sulle montagne dell’Oltrepò. Lo facessi, banalizzerei i ricordi e svanirebbe la nostalgia che mi prende ogni volta che vi torno. Questi posti, per me magici, diventerebbero null’altro che reali.

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Sono cresciuto a Pietragavina, una frazione di Varzi, nella Val Stàffora. Rientra solo per caso nei confini dell’estremo sud della Provincia di Pavia, in Lombardia, precisamente. Anzi con parecchia imprecisione. In realtà l’Oltrepò pavese è quasi Piemonte, quasi Emilia e quasi Liguria. E un poco persino Toscana, considerato che per secoli fu feudo dei Malaspina, originari della Lunigiana, a sua volta erroneamente associata alla Toscana poiché vi si parla una lingua ligure ed emiliana di origina celtica. Per le vicende storiche l’Oltrepò è sempre stato legato al Monferrato e al Piemonte più che alla Lombardia e vi si parla un dialetto che avrebbe rilevanti influenze liguri e preromane. Da Pietragavina si scorge la Val Tidone. Faceva parte della Provincia di Bobbio nel Regno di Sardegna, poi fu assorbita dalla Provincia di Pavia con l’unità d’Italia. La città di Bobbio in Val Trebbia rimase compresa fino al 1923 nella Provincia di Pavia assieme ad altri comuni che si affacciano sulla Valle del Trebbia e verso la Liguria.

Oggi Bobbio è in provincia di Piacenza, ma i vecchi della zona ricordavano quando Bobbio era in Provincia di Pavia ed era un centro importante nelle montagne. Vi si andava agli uffici, a scuola, al tribunale, al distretto militare e alla diocesi. Ora fa parte della Regione Emilia e questo potrebbe persino essere accettato sulla base di considerazioni puramente geografiche, o meglio ancora idrografiche, considerato che rientra nel bacino del Trebbia che scende al Po passando vicino a Piacenza. Ma l’Emilia è associata alla Romagna e a Rimini, che con Bobbio non si capisce proprio cos’abbia a spartire! Per secoli la Valle Staffora fu disputata tra Longobardi e Bizantini, tra i Malaspina e i Visconti, tra la Diocesi di Tortona e l’Abbazia di Bobbio. In ogni villaggio ci sono tradizioni di vecchi feudi e signorie. Storie efferate di violenze, vendette, battaglie e omicidi, di santi, streghe, miracoli, maledizioni e devozioni, di eserciti, di pellegrini e di commercianti di passaggio che si erano mischiati alle

popolazioni locali fin da quando c’è una storia. Verosimilmente anche prima. Perciò l’Appennino pavese è cosparso di numerosissime torri, castelli e borghi fortificati costruiti da imbecilli che passarono secoli a derubarsi, scannarsi, farsi dispetti di ogni tipo e nel complesso a rovinarsi l’esistenza. La diffidenza che dette origine a quei fortilizi ha prodotto un ambiente suggestivo di edifici oggi restaurati dove si festeggiano le nozze e si va a mangiare il sabato. A ben pensare, quanta più fiducia danno le terme romane, i teatri, i templi, gli stadi e le arene, simboli del piacere di godersi la vita? In un’Italia prevalentemente cattolica, a Pietragavina è presente una comunità evangelica così come succede in altre valli del Piemonte, della vicina Francia occitana e persino della cattolicissima Austria. Insomma, una terra anomala in tutto e per tutto, così come lo sono tutte le regioni della provincia europea. Quindi è normale.

IL MIO OLTREPÒ METE MAGAZINE

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Vero Green? sosta gG ph pexels

03

Si è cominciato realmente a parlare di ecologia ed ambiente solamente dal 1990, appena trent’anni fa, anche se alcune associazioni erano già presenti sul territorio da tempo (in Italia: WWF dal 1966, Fai dal 1975, Legambiente dal 1980, Greenpeace dal 1986, per citare le più conosciute). Dimostrazione della totale mancanza di lungimiranza nel considerare le irreversibili conseguenze causate, a partire dagli anni 60, dalla grande opera di sviluppo industriale ed edilizio priva di ogni vincolo e controllo; un generalizzato e perenne “stato emergenziale” e “sanatorio” che ha puntualmente consentito di aggirare qualsiasi timido ostacolo a difesa dell’ambiente, in nome della crescita a qualsiasi costo e dello sviluppo insostenibile.

Solo dal 1990 infatti, la “Giornata della Terra”, nata nel 1970 negli Stati Uniti in forma ridotta, cominciò a mobilitare milioni di persone in molti paesi del mondo, ponendo l’attenzione sulle questioni ambientali e dando un impulso alla cultura del riciclo ed alla organizzazione per il primo Summit della Terra organizzato dall’ ONU nel 1992 a Rio de Janeiro. METE MAGAZINE

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Quella umana è l’unica specie al mondo ad aver inquinato la Terra ed è l’unica che può ripulirla

Dennis Weaver

Eco e Green sono tra i termini più

commerciali, come se “eco e green”

di più lo smaltimento delle sostanze

utilizzati negli ultimi anni, ed i temi

fossero a prescindere marchi di garanzia

minerali e chimiche utilizzate per la

ambientali sono venuti progressivamente

di un prodotto o di una campagna

produzione di energia alternativa a quella

“alla moda” con la loro introduzione a

pubblicitaria “pseudo ecologista”. Svariati

di origine fossile (ancor più deleteria).

livello di iniziative scolastiche e con una

esempi sulle reti televisive private ed

Sarebbe deprimente constatare, come si

impennata dal 2018 grazie al Movimento

anche generaliste.

è verificato con enorme e voluto ritardo

giovanile per l’ambiente. Ciò ovviamente

È nel contempo vero che il “più se ne

per l’energia “petrolifera e carbonifera”,

non comporta automaticamente un

parla meglio è” può essere comunque

l’entità dei danni e degli effetti derivanti

miglioramento delle tante situazioni

considerato in modo positivo, se

da una produzione non ecologica

compromesse del nostro ecosistema

supportato da una seria, decisa e diffusa

dell’energia cosiddetta “pulita”.

anzi, come per tutte le cose, l’abuso

volontà di risolvere, almeno inizialmente,

Una palese contraddizione è infatti

e l’eccessivo “consumo” dei termini

i problemi più urgenti coinvolgendo

rappresentata dal fatto che l’energia

può portare ad una svalorizzazione ed

fattivamente e non solo a livello di

elettrica utilizzata per ricaricare, ad

indebolimento degli argomenti stessi.

slogan modaioli più settori possibile e

esempio, le batterie dei veicoli elettrici sia

Non è difficile infatti osservarne l’uso

soprattutto i giovani.

derivata in larga parte da combustione

improprio ed “interessato” nella

Anche l’orientamento “green” pone grandi

fossile e solo in minima parte da fonti

promozione di svariate iniziative

interrogativi circa la produzione ed ancora

naturali rinnovabili.

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“Produrre energia “verde” con parchi

di auto elettriche, turbine

eolici e solari, stoccare questa energia

ed altri componenti; materie

per utilizzarla in un secondo momento, rivoluzionare i trasporti con la mobilità 100%

eoliche, pannelli fotovoltaici prime indispensabili per abbandonare gradualmente l’utilizzo di carburanti fossili:

elettrica, sono tutti passaggi che richiedono

ma a quale prezzo? Un

quantità crescenti di metalli rari e preziosi.

interi ecosistemi, l’estremo

Cobalto e litio, ad esempio, sono ingredienti

ulteriore deturpamento di sfruttamento delle persone e delle risorse rappresenta davvero

fondamentali delle attuali batterie per i veicoli,

la nuova e soprattutto etica

e lo saranno finché da qualche laboratorio di

L’irrefrenabile ed “obbligata”

soluzione?

ricerca uscirà una nuova ricetta chimica in

spinta consumistica porta alla

grado di sostituirli in tutto o in parte senza

prodotti di qualsiasi genere,

produzione spropositata di

perdere terreno in termini di efficienza e

di qualsiasi materiale (spesso

durata. Ad esempio, si prevedono crescite

tonnellate di prodotti giacenti,

neanche controllato): milioni di

fino al 1000% per la domanda di litio e cobalto

di per sé già inquinanti, prodotti

nei prossimi decenni, nell’ipotesi di provare

commercializzati ad ogni costo,

a contenere il surriscaldamento globale sotto

inutili che devono essere anche se di bassa qualità o addirittura già obsoleti...

la soglia di +2 gradi centigradi come stabilito

Notizia di questi giorni è che il

dagli accordi di Parigi. Un simile boom avrà

materiali vari ha superato

conseguenze ad ampio raggio, non solo per le condizioni di lavoro e salute delle persone

numero dei manufatti, prodotti, numericamente per la prima volta in assoluto quelli degli organismi animali e vegetali…

– soprattutto in Africa, Asia e America Latina

Forse non ci si domanda

– ma anche per la disponibilità futura delle

destinazione di questa enormità

materie prime e l’andamento dei relativi prezzi.” (Quale energia.it, 2019)

seriamente quale sia la di prodotti stoccati per i quali, paradossalmente, continua una incessante produzione, con altissimi costi energetici ed ambientali.

Difatti, un problema spesso taciuto o sottostimato dell’industria delle tecnologie pulite riguarda gli effetti dell’estrazione dei minerali-chiave: Cobalto (nel Congo, con sfruttamento criminale dei bambini), Litio (che proviene soprattutto da miniere in Argentina, Bolivia e Cile e la cui estrazione, oltre a provocare deforestazione, richiede enormi quantità di acqua che impoveriscono le già scarse falde sotterranee, provocando inoltre frequenti incidenti con fuga di sostanze tossiche), ed ancora Manganese, Nickel, Rame, Zinco, necessari per la produzione METE MAGAZINE

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Considerato l’insufficiente livello di riciclo, di riutilizzo e di riconversione raggiunto, la domanda può portare purtroppo ad elementari quanto ciniche considerazioni, che si aggiungono a quelle relative alle numerose azioni illecite, sostenute da organizzazioni criminali, di “eliminazione” di rifiuti “scomodi”: per esempio e per restare in Italia, i frequenti roghi dei capannoni camuffati nelle campagne della pianura Padana, i “famosi” fuochi campani, gli scarichi delle acque di zavorra e di lavaggio delle petroliere nel mar Mediterraneo…


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04

La bellezza dei tardigradi scorci antonio marco serra ph: eye of science

Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai vecchio.

Franz Kafka

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“Se la quotidianità ti sembra povera, non incolparla di questo: incolpa te stesso di non essere abbastanza poeta per accorgerti della sua ricchezza”

Non amo molto la parola ‘benessere’ e la uso di rado. Forse perché con essa, abitualmente, ci si riferisce principalmente al benessere materiale, quasi fosse un sinonimo di ‘prosperità’, ‘agiatezza’, ‘tenore di vita’. Si parla di civiltà del benessere, di economia del benessere, persino di ‘benessere interno lordo’ o di ‘indice di benessere economico sostenibile’. E si stilano classifiche delle nazioni dove la qualità della vita dovrebbe essere più elevata. Strano, però, che spesso le nazioni che si trovano ai primi posti in queste classifiche, lo siano anche in quelle del tasso di suicidi. Non molto tempo fa era stato addirittura istituito il Ministero del Welfare (Ministero del Benessere), e per le moderne società occidentali si parla di Welfare State (Stato del benessere). Qui è sempre sottointeso che si parla di benessere sociale, qualunque cosa ciò possa significare. Forse è vero che «l’operaio di una città moderna usufruisce oggi di un benessere materiale superiore a quello di un nobile dei secoli scorsi» (1). È vero che se ne sta al calduccio nel suo appartamentino, mentre d’inverno il vino gelava sulla mensa di Luigi XIV, visto che abitava in palazzi così ampli che era impossibile scaldarli adeguatamente. Ma dedurne che il benessere di un odierno operaio sia maggiore di quello del Re Sole, mi pare perlomeno azzardato. Oppure, e anche questo non è per me piacevole, mi vien da pensare ai ‘Centri Benessere’, che richiamano alla mia mente immagini di persone che si impiastricciano la faccia con fanghi verdastri mentre ascoltano allucinanti musiche psichedeliche, alla luce di tremolanti bagliori provenienti da lampade di sale tibetano. Se pensiamo a un benessere collettivo, la domanda fondamentale è la seguente: stiamo realmente procedendo verso delle società in cui le persone stanno meglio di un tempo? Siamo davvero sicuri che, mediamente, le persone del XXI secolo stiano davvero meglio degli appartenenti ai piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori che popolavano la Terra nel paleolitico? Probabilmente non potremo mai saperlo, ma, francamente, io nutro fortissimi dubbi METE MAGAZINE

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al riguardo. Certo, l’aspettativa di vita era molto inferiore a quella attuale, ma ‘vivere a lungo’ e ‘viver bene’ sono lungi dall’essere sinonimi. «Costui non è vissuto, ma si è attardato nella vita, e non è morto tardi, ma lentamente» (2). Non contenti di pensare di essere in grado di aumentare il grado di benessere di intere società, ci allarghiamo sempre di più, e oramai riteniamo addirittura un punto d’onore preoccuparci anche del benessere del nostro pianeta. Come se al pianeta potesse minimamente interessare se la nostra specie, una dei miliardi di specie viventi che la abitano o l’hanno abitata (oltre il 99% delle quali già si sono estinte), smettesse o meno di calpestare il suo suolo. Ho una brutta notizia per la megalomania del genere umano: il pianeta starà benissimo sia con, che senza di noi, e per quanto possiamo darci da fare, le modifiche che riusciremo ad apportare all’atmosfera del pianeta, prima di renderla inabitabile per noi stessi, non saranno neanche lontanamente paragonabili alle modifiche apportate in passato dai minuscoli cianobatteri, che l’hanno completamente trasformata. E probabilmente, quando il genere umano sarà scomparso da milioni di anni, quei simpatici animaletti che sono i tardigradi, che esistono da mezzo miliardo di anni e che sono sopravvissuti a cinque estinzioni di massa, continueranno a zampettare allegramente per il pianeta. Penso perciò che un salutare bagno di umiltà non potrebbe che farci bene. Non fraintendetemi, penso che facciamo benissimo a preoccuparci dei mutamenti climatici, ma per fare un favore a noi stessi, e non certo al pianeta. Sarebbe già tanto se riuscissimo a preoccuparci del nostro personale benessere, in particolare del nostro benessere emotivo. Ovviamente, su un tema così coinvolgente ciascuno ha la propria personale teoria e io mi limiterò a illustrare la mia. Il benessere emotivo non è un’ambita preda da conquistare con lunghi appostamenti. Siamo noi ad essere la sua preda. Non è qualcosa che si conquista, né con un lungo percorso meditativo, né con un’illuminazione


improvvisa, ma qualcosa da cui si è conquistati. Non è qualcosa in da mezzo miliardo di anni cui poterci arrotolare e che sono sopravvissuti a per lungo tempo, ma qualcosa che ci avvolge cinque estinzioni di massa, per breve tempo, come continueranno a zampettare in un grembo materno, per poi proseguire allegramente per il pianeta oltre. Se troviamo una pozza d’acqua, anche quando il genere immergerci nella quale ci procura uno stato di umano sarà estinto. profondo benessere, non illudiamoci, queste abluzioni non dureranno a lungo, perché come insegnava già Eraclito, “non possiamo bagnarci due volte nello stesso fiume”. «Il vento soffia dove vuole e tu ne odi il rumore, ma non sai di dove venga, né dove vada: così è di chiunque nasce dallo Spirito»(3). In realtà, detto così, potrebbe sembrare che io abbracci un assoluto fatalismo, in realtà penso che qualcosa, forse, possiamo fare, porci all’ascolto per aumentare

I tardigradi, che esistono

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le nostre possibilità di udire quel rumore (il vento che soffia dove vuole). Che in fondo significa poi porci all’ascolto di noi stessi. Perché il ‘divino’ non è in un altrove lontano, ma qui, tra le nostre umanissime cose. E «se la quotidianità ti sembra povera, non incolparla di questo: incolpa te stesso di non essere abbastanza poeta per accorgerti della sua ricchezza»(4). Solo se ci predisponiamo con umiltà a questo ascolto, senza dare nulla di scontato, scartando il comodo tran-tran della consuetudine, potremo ascoltare cosa ha da dirci. Perché «la consuetudine soffoca l’uomo, lo allontana dalla verità, lo scosta dalla vita. È un tranello, un precipizio, un abisso, un male divorante» (5). E se ci pare che le nostre umane cose siano silenti, «forse la loro immobilità è imposta dalla nostra certezza che sono esse e non altre, dall’immobilità del nostro pensiero nei loro confronti» (6). E in questo nostro girovagare possiamo giovarci di due potenti fari: lo stupore e la bellezza. La meraviglia ci segnala che qualcosa nel nostro abituale modo di vedere ‘stride’, e che bisogna elaborare (o forse dovrei dire: ‘essere’) un nuovo modo di vedere, più prossimo al nostro stare attuale,


Se c’è paura di cadere,

e forse così incrementeremo le nostre la sola speranza possibilità di consiste nel saltare benessere, perché è difficile che deliberatamente si possa ‘stare’ bene, se stiamo lontani da dove effettivamente siamo. Se vogliamo ‘stare bene’, dobbiamo anzitutto comprendere che noi non ‘stiamo’ affatto da qualche parte, perché in noi, continuamente, qualcosa trapassa, si dissolve, si trasforma. Se vogliamo vederla in termini biologici, e non è affatto obbligatorio, potremmo dire che non c’è istante che nel nostro cervello non si creino nuove sinapsi, alcune si rafforzino e altre si indeboliscano. Certo, questo trapassare può farci timore ma «la gioia richiede più abbandono, più coraggio che non il dolore. Abbandonarsi alla gioia significa appunto sfidare il buio, l’ignoto» (7). E «se c’è paura di cadere, la sola speranza consiste nel saltare deliberatamente» (8) . Parafrasando Keats potremmo dire che nessuno arriva ad essere incoronato dal benessere se teme di andare dove lo conducono voci sconosciute. Come ho scritto tante volte, non dobbiamo avere timore nel frequentare le nostre oscurità, le nostre Erinni. Oggi va tanto di moda l’essere vegetariani o vegani, come forma di rispetto verso gli altri esseri viventi, ma forse così facendo stiamo rinnegando i geni dei nostri progenitori, che sono i nostri stessi geni. Forse al fondo di noi fa capolino l’istinto di braccare la preda, catturarla, ucciderla e sbranarla ancora calda. Forse di questo istinto represso ci parlano i riti dionisiaci delle menadi. Non dobbiamo sfuggire il turbamento e la vertigine, ma anzi immergerci in essi, se vogliamo sperare di pervenire a un nuovo stato di benessere; e «anche se non riusciremo a entrare nella Terra Promessa, è meglio morire nel deserto, piuttosto che ritornare in Egitto» (9)! Forse, per aumentare le possibilità di cogliere in ciò che ci circonda ciò che ci fa star bene, occorre fare costanti esercizi di attenzione, mantenersi sempre radicati nel momento presente. Occorrono una nuova vista, un nuovo udito, un nuovo olfatto… E poi la bellezza. La bellezza. «La bellezza è verità, la verità è bellezza: questo è tutto ciò che sapete in terra e tutto ciò che vi occorre sapere» (10). L’essere in grado di abbandonarci completamente a ciò che ci sembra irradiare

bellezza è forse la strada meno incerta per sperare di giungere a un autentico benessere. Trovo sempre un senso di fastidio nel leggere i critici d’arte o i critici musicali. Per carità, ciascuno si guadagna da vivere come meglio crede, ma per me il bello, il sublime, non stanno per qualcos’altro, ma per sé stessi. Non sono simboli o metafore di qualcosa. Non si tratta di fare aulici discorsi su di essi, ma di lasciare che il nostro animo risuoni nella loro contemplazione. In nessun altro caso mi pare che il linguaggio mostri così evidentemente i suoi limiti e la sua insufficienza. Forse «il bello è una manifestazione di arcane leggi della natura che, senza l’apparizione di esso, ci sarebbero rimaste eternamente celate» (11). Ma queste leggi sono ineffabili e indicibili con la parola. Certo, l’animo di ciascuno risuonerà maggiormente con certe forme di bellezza che con altre. Personalmente trovo maggiore bellezza in un solo vaso di terracotta della civiltà di Cucuteni, sviluppatasi oltre seimila anni fa, che nell’intera Teoria delle stringhe, per quanto elegante questa possa essere. Resto però convinto che gli esseri umani siano sufficientemente simili gli uni agli altri, perché ciascuno sia in grado di ‘risuonare’ con ogni forma di autentica bellezza, in particolare con quelle create dalla nostra specie nel corso della sua storia. Perché «il mondo non è stato creato una volta, ma tutte le volte che è sopravvenuto un artista originale» (12). E in questo, ma forse è solo una mia pia illusione, siamo stati meglio dei tardigradi. Fonte: Il Nuovo Faro NOTE [1] Ignazio Silone, Uscita di sicurezza [2] Seneca, Lettere a Lucilio [3] Vangelo secondo Giovanni, III, 8 [4] Reiner Maria Rilke [5] Clemente Alessandrino, Il Protrettico [6] Marcel Proust [7] Hugo von Hofmannsthal [8] Carl Gustav Jung [9] Detti dei Padri del deserto [10] John Keats, Ode su un’urna greca [11] Wolfgang Goethe [12] Marcel Proust

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Rialto

il ponte di Venezia

05

progetti visionari

fabio bergamo

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Rialto è il primo ponte realizzato per unire le due sponde del Canal Grande a Venezia.

Nella sua prima versione, datata 1172, il ponte era di tipo galleggiante: esso era costituito di barche affiancate l’una all’altra, prendendo il nome di “Quartarolo” che era la moneta con cui ogni persona pagava il prezzo per attraversarlo (tale moneta era molto piccola, misurava 16-17 mm di diametro, pesava tra i 0,60 e i 0,78 grammi e valeva un quarto di denaro). Ma nello stesso anno, la calca di persone che transitava su di esso, dopo aver assistito alla Messa della Vigilia di Natale presso la Basilica Marciana, causò il ribaltamento di una delle barche: caddero in acqua ben trenta persone in maggioranza donne che persero la vita per annegamento. Nel 1180, a seguito della tragedia, il Doge Orio Mastropietro decise di far costruire il ponte con una struttura in legno: la seconda versione di Rialto fu chiamata “Ponte della Moneta” perché sulla sponda orientale, oltre al Mercato, era presente la Zecca di Venezia. A costruirlo fu l’architetto di origine lombarda Nicolò Barattiero. Nel 1310 i congiurati della rivolta di Bajamonte Tiepolo (i cui mandanti erano le famiglie Tiepolo, Querini e Badoer) che tentarono un colpo di Stato per impossessarsi della città, sconfitti, ne distrussero una parte per evitare di essere inseguiti il ponte di rialto con struttura in legno e catturati durante la fuga. (fine xv secolo) dal dipinto “il miracolo Il ponte fu subito restaurato e reso transitabile, ma nel 1444, della reliquia della croce a rialto” crollò sotto il peso della folla accorsa al passaggio delle barche di vittore carpaccio (1496) del corteo nuziale del Marchese di Ferrara. Fu ricostruito sempre in legno, nel 1450, più largo e con una porzione mobile al centro per consentire il passaggio delle imbarcazioni più grandi, ma rimase ancora distrutto nel 1514 da un vasto incendio: il ponte della moneta arse per ben 6 ore e fu chiuso perché ormai inagibile. Dieci anni dopo, cioè nel 1524, crollò nuovamente ma solo parzialmente. Per la sua importanza commerciale, all’interno della città, visto che era la via di collegamento col Mercato di Rivoalto, prese il nome di Ponte di Rivoalto e che in epoca moderna è mutato in Rialto. Il nome Rialto deriva dal latino “rivus praealtus” poi “rivus altus”, che significa “canale profondo”, in riferimento al Canal Grande del quale le isole di Rialto costituiscono le sponde. il ponte di rivoalto in legno con al centro Il ponte in legno non poteva durare per sempre, dunque, a le parti mobili, disegno tratto dalla mappa partire dai primi anni del XVI secolo (1500) si iniziò a pensare di panoramica di jacopo de barbari (1500) costruire il ponte in pietra. La sua progettazione e la sua costruzione furono rinviate parecchi anni dopo, per via degli accadimenti che interessarono Venezia in quegli anni, come la peste, gli incendi e alcune battaglie che coinvolsero la città. La costruzione del Ponte di Rialto - nella sua versione definitiva, cioè quella che abbiamo oggi, venne a costare una cifra altissima ossia ben 250.000 ducati dell’epoca - fu dunque avviata nel 1588 e fu ultimata nel METE MAGAZINE

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1592; Rialto restò l’unica opera architettonica ad unire le due sponde del Canal Grande fino al 1854, anno in cui fu realizzato il Ponte dell’Accademia. Nella costruzione, le fondamenta furono realizzate utilizzando 12.000 pali di legno di olmo infissi nel caranto (cioè il paleosuolo solido e resistente immerso in profondità nella laguna e risalente al pleistocene) e dei tavoloni di larice (poggiati orizzontalmente sui pali) sui quali è ancorata la struttura portante del ponte. Il ponte da una estremità all’altra è lungo 48 metri; esso è ad arcata unica - larga 22 metri, con una luce di 28 metri ed una altezza massima di 7.5 metri dal livello del mare – e regge oltre alla struttura sovrastante i 24 ambienti che ospitano gli esercizi commerciali: 12 per ogni rampa suddivisi in 6 per lato. Le salite che sono tre, una centrale (larga 10 metri circa) e due laterali (ognuna larga tre metri circa) sono costituite da gradini. Al centro, il ponte presenta due grandi arcate (con arco a tutto sesto con lesene ai lati e timpano triangolare con mascherone in chiave) che si collegano alle strutture delle botteghe aventi arco a botte. L’archivolto sud è caratterizzato da tre decorazioni scultoree che rappresentano l’Arcangelo Gabriele e la Vergine Maria mentre riceve il messaggio divino da parte di Gabriele: il messaggio è simboleggiato dalla Colomba collocata al centro dell’arcata che vola verso Maria. Le tre sculture sono opera dell’artista Agostino Rubini: l’Annunciazione simboleggiata sul Ponte ricorda anche la data di fondazione di Venezia (25 marzo 421 d.C.) riportata in una targa scolpita in pietra, posta più in basso. L’archivolto nord presenta invece le immagini scultoree di San Marco (che è l’odierno protettore della città) e San Teodoro (precedente protettore di Venezia) realizzate dallo scultore Tiziano Aspetti. Le pietre bianche (Pietra d’Istria) utilizzate per la costruzione del ponte provenivano dallo Zairo, il teatro di epoca romana di Padova, datato I secolo d.C.; il Vescovo della città nell’XI secolo pagò i suoi debiti con Venezia cedendo parte delle pietre di questo monumento e che più tardi furono usate appunto per erigere Rialto. Le scalinate laterali che si affacciano sul Canal Grande presentano una balaustra in pietra con colonnine.

il lato sud del ponte di rialto visto dal basso

l’arcangelo gabriele

La scelta del Ponte ad unica arcata la vergine maria

la colomba che simboleggia il messaggio che gabriele porta a maria col quale le si annuncia che è la prescelta come madre del figlio di dio

La Repubblica di Venezia non affidò l’incarico ad un architetto, ma bandì un concorso per scegliere il progetto più adatto a rappresentare da un punto di vista estetico, la città, attraverso il ponte che si andava a realizzare. Furono presentati ben 24 progetti. Tra i diversi presentati non furono presi in considerazione anche quelli di artisti e architetti celebri del tempo come Michelangelo Buonarroti, Jacopo Sansovino e Andrea Palladio che avevano proposto un ponte classico realizzato a tre o più campate. Furono scartati anche i progetti di altri architetti come Jacopo Barozzi da Vignola e Vincenzo Scamozzi. La scelta cadde sul ponte ad una sola arcata progettato da Antonio da Ponte, noto architetto veneziano, già autore di

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san teodoro

san marco

capriccio con edifici palladiani (xviii secolo) dipinto del canaletto raffigurante il ponte di rialto in base al progetto di andrea palladio

diversi restauri fatti a Venezia come quello effettuato per il Palazzo Ducale, devastato dall’incendio del 1577. Il ponte ad una arcata era più adatto all’architettura di Venezia e Antonio da Ponte seppe più di altri rispondere a tale esigenza estetica oltre che pratica. L’architetto Scamozzi sul progetto di Antonio da Ponte fu molto critico; egli affermò che il ponte ad unica arcata, da lui concepito, avrebbe avuto vita breve: infatti, secondo la sua opinione, il ponte sarebbe imploso in quanto le sponde a cui esso era vincolato avrebbero ceduto sotto la pressione del suo peso. Nel 1587 furono smantellati gli ultimi resti del ponte in legno (Ponte della Moneta) e i lavori della struttura in pietra partirono nel 1588 sotto il dogato di Pasquale Cicogna per giungere ad ultimazione nel 1592. A ritardare la costruzione del Ponte furono alcuni gravi eventi, come già anticipato, tra i quali citiamo: la Battaglia di Lepanto del 1571 che indebolì fortemente le casse della Repubblica di Venezia, la peste del 1576, l’incendio di Palazzo Ducale nel 1577. Altri motivi del rinvio della realizzazione del ponte furono: il costo per la costruzione molto oneroso per la città di Venezia; il conflitto che venne a crearsi con i locatari delle botteghe sul ponte in legno che perdevano i loro profitti durante la costruzione del ponte o lo stesso rischio di perdere lo spazio da loro occupato quando il ponte in pietra sarebbe stato ultimato. Dalla seconda metà del XVII secolo in poi il ponte è stato sottoposto a diverse ristrutturazioni. Elenchiamo le principali: nel 1677 il pavimento in cotto fu sostituito da uno in trachite, nel 1740 furono restaurate le scalinate e la balaustra; nel 1769, un incendio causò la distruzione di alcune botteghe, la loro riparazione comportò la modifica del numero dei gradini delle scale laterali; nel 1823 vi fu la ricostruzione delle quattro gradinate laterali presenti alla base del ponte; tra il 1845 e il 1853 fu aggiunta la scalinata centrale, il piano di calpestio fu ancora restaurato tra il 1920 e il 1922; le botteghe vennero restaurate nel 1952; un restauro generale del ponte avvenne ancora tra il 1973 e il 1976 e nel 1982 si intervenne sulla pavimentazione. Il Ponte di Rialto è stato recentemente restaurato grazie al contributo del gruppo OTB posseduto dall’imprenditore Renzo Rosso - a cui fanno capo i marchi della moda come Diesel, Maison Margiela, Marni, Viktor&Rolf. L’imprenditore ha vinto la gara di aggiudicazione nel 2012 portando a termine il restauro prima del termine stabilito (2017), con un costo inferiore di 5 Milioni di euro rispetto a quello inizialmente preventivato. Il ponte di Rialto oggi risulta con fondazioni e struttura in buon stato, alcune criticità che riguardavano la balaustra e le pareti delle botteghe sono state eliminate.

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Ci sono viaggi che si fanno con un unico bagaglio, il cuore. Audrey Hepburn

Un paradiso fuori dalle rotte passi

emiliano ardigò

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06 Questa volta cambio un po’ l’ambientazione e la meta, anzi le mete del mio viaggio immaginario ed emozionale; però credo che ne sarai lo stesso soddisfatto, come se ti avessi portato con me, con le mie parole, in montagna. Cito subito una frase di un grande uomo, che giganteggia su un murale di un piccolo, ma veramente carino, paese dell’Abruzzo, Bussi sul Tirino, che spiega bene qual è la forza che mi fa andare avanti da tantissimi anni in una delle poche cose belle che faccio: donare il sangue… La frase dice: “IO DONO, NON SO PER CHI, MA SO PERCHÉ…” Insomma, la gratuità del dono è la molla che sempre deve spingere noi, poveri e semplici uomini, a fare un grande e importante gesto di bene, dare un po’ di noi in una semplice sacca di sangue, che a noi non costa nulla, ma a molti (e credimi, l’ho visto con i miei occhi) salva letteralmente la vita. Ma partiamo dall’ inizio… È un caldo pomeriggio di luglio e sul cellulare l’amico Paolo, membro del direttivo Avis della sezione comunale di Codogno, mi chiama per chiedermi se sono disposto ad andare tre giorni in Abruzzo, per un gemellaggio con la sezione di Bussi sul Tirino, a parlare, in occasione dell’inaugurazione del murale che citavo prima, della mia esperienza di donatore ai tempi del Covid. A febbraio 2020 Castiglione d’Adda, che è il mio paese, con Codogno e altri comuni limitrofi, sono state le prime zone rosse, tragicamente colpite da dolore e lutti. Mi sono preso qualche giorno per pensarci perché, nonostante molti credano il contrario, io sono una persona tremendamente timida e spesso la mia esuberanza è proprio un modo per coprire la mia timidezza.

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Comunque alla fine sono andato, con Paolo, Gianfranco Tabu e il nostro mitico segretario Enrico. Devo dire che sono stati tre giorni davvero indimenticabili, l’Abruzzo è una terra meravigliosa e mi sono davvero pentito di non esserci mai andato prima, le persone sono davvero eccezionali, con una disponibilità e un cuore che fanno davvero emozionare. Dopo la bellissima cerimonia dell’inaugurazione del murale, gli amici Avisini ci hanno fatto visitare luoghi fantastici ed emozionanti, luoghi che ci sono rimasti nel cuore. Oltre a Bussi, bellissimo paese, ancora segnato dal terremoto, il vicino borgo di Capestrano ci ha regalato davvero sensazioni magiche. Il castello al centro del paese domina la valle, e ogni pietra ne racconta la storia. Il maniero era della famiglia Senese dei Piccolomini, di cui faceva parte papa Pio II, celebrato dal Pinturicchio in una cappella laterale nel duomo di Siena, così umile da far chiamare una intera cittadina col proprio nome, Pienza, la splendida località in Val d’Orcia, nella magica campagna toscana. Anche Castel del Monte (non l’omonimo paese in Puglia), con il maniero di Federico II, raffigurato sulla moneta da un centesimo, mi ha molto colpito. Luogo strategico per la transumanza delle pecore, con panorami fantastici sulle valli sottostanti e sui dolci declivi tutti intorno. Ma il luogo, direi meglio, l’emozione che più mi ha segnato e che ho ancora nel cuore, credo per sempre, è ancora, a Capestrano, un bellissimo torrente, con acque davvero cristalline, che mi ha fatto regalato picchi di emozione altissimi. Il fiume Tirino (è davvero una cosa notevole poterlo navigare e ammirarne la flora e la fauna), mi hanno detto abbia la sorgente sul Gran


Il Tirino è un fiume dell’Abruzzo, affluente di sinistra del Pescara. Originato da un lungo corso sotterraneo che culmina in tre sorgenti, attraversa i territori di Capestrano e Bussi sul Tirino, a cavallo tra le province dell’Aquila e di Pescara. Si distingue per la pulizia e limpidezza delle sue acque, in buona parte navigabili.

Sasso, dal piccolo e purtroppo quasi sparito ghiacciaio del Calderone e scompare quasi subito nelle viscere della terra per percorrere più di venti chilometri sottoterra e uscire in questa placida pianura dove ha plasmato ambiente e confini davvero unici. La cosa bella è che tanti giovanissimi accompagnando i visitatori con le canoe raccontano con tanto sapere e dovizia di particolari la storia e le caratteristiche di queste lande così belle e, per fortuna, ancora incontaminate nella loro unicità. A un vecchio cuore come il mio fa un piacere enorme vedere questi ragazzi giovani e preparati (molti sono universitari e tutti davvero competenti e con esperienza) amare così tanto la propria terra da e la sua millenaria storia, da farla amare anche a chi ne era proprio all’oscuro. A proposito di storia, nei canneti intorno al Tirino mi pare sia stata ritrovata la statua chiamata “Guerriero di Capestrano”, il simbolo dell’Abruzzo, risalente addirittura al VI secolo a.C. Questi ragazzi insegnano anche a riconoscere le piante e gli animali tipici delle rive dei torrenti. Prova ad immaginare l’acqua cristallina: spesso io l’ho bevuta raccogliendola direttamente con le mani, il vento che smuove le canne, quasi a farti ascoltare la musica celestiale che la natura sa intonare, le parabole dei voli delle anatre che, disturbate dall’animale fastidioso, quanto lo è spesso l’uomo, scappano verso l’azzurro del cielo, oppure la brezza leggera e fresca sulle guance, con gli occhi ansiosi di bellezza, incantati ad ammirare i giochi di luce del sole tra gli alberi oppure sfiorando l’acqua. Per questa esperienza debbo ringraziare, davvero di cuore, Nino, il mio responsabile di canoa, figlio di Teodolindo, presidente dell’Avis di Bussi, per la sua passione e arguzia nel decantare le bellezze dei luoghi; e come dimenticare Paolo, un grande, un ragazzo con una METE MAGAZINE

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EMOZIONI FASSANE Il libro di Emiliano Ardigò, edito da IM Editore. Per informazioni contattare:

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passione forte per questo lavoro così bello ma altrettanto difficile. Credo sia raro trovare persone così appassionate del proprio lavoro da lasciare a chi le conosce un ricordo indelebile. Ecco, credo che il Tirino, il torrente con l’acqua più pulita d’Italia, per qualcuno d’Europa, mi sia entrato nel cuore con tutta la bellezza di questa regione, troppo spesso ignorata. Un altro grande personaggio innamorato dell’Abruzzo e delle sue bellezze anche a tavola è Gianluca, uno straordinario giornalista, infallibile sulla storia e sulla qualità del vino, su cui è ferratissimo. È così bravo che, a me che se fossi bendato non riuscirei a distinguere il vino bianco dal rosso, ha fatto davvero nascere in quei giorni una curiosità per la cultura e la storia di questa bevanda. Comunque, ogni momento vissuto è stato bello, con splendide persone. Un altro luogo che davvero mi ha colpito, un po’ per la storia che ha vissuto in anni difficili, ma soprattutto per la bellezza dell’ ambiente (mi sembrava davvero di essere sulle Dolomiti) è stato l’altopiano di Campo Imperatore. Le valli sottostanti si perdono deliziose a vista d’occhio, andando a lambire altre bellissime montagne; la curiosità di essere in un luogo dove la storia è diventata vita e purtroppo morte di molte persone; ciò che colpisce è la mole del Gran Sasso che, imponente, si eleva verso il cielo come a voler sfidare i sognatori e i cuori impavidi. In alcune condizioni di luce assomiglia al Sassolungo; questa montagna simbolo e vanto di una regione è uno dei miei nuovi e tanti sogni e spero prima o poi di posare i miei piedi su quella cima che da Campo Imperatore

sembra lontanissima e molto desiderabile. Tre giorni splendidi, carichi di emozioni e di ricordi, tra cui parlare tranquillamente a tante persone: devo dire che me la sono cavata abbastanza bene… probabilmente avrei dovuto studiare da prete! Io dono, Ma, per concludere… non so per chi, quali sono le METE di cui ho parlato all’inizio? ma so perché. Una è arrivare a centocinquanta donazioni di sangue, e dovrei riuscirci se la salute non mi abbandona, essendo già a centoventisette, e l’altra, forse un po’ più difficile, ma chissà… è che tu, se puoi, voglia provare almeno una volta a donare il sangue o il plasma, e magari diventare donatore effettivo. Credimi, ne vale la pena perché… IO DONO, NON SO PER CHI, MA SO PERCHÉ.

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07 PROFEZIE CHE SI AUTOAVVERANO La profezia che si autoavvera è un’errata rappresentazione della realtà o una supposizione della verità che a sua volta dà origine a comportamenti che finiscono per trasformare l’ipotesi iniziale in una realtà effettiva.

viaggio in sé stessi martina verrilli ph: freepik

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In che modo le nostre convinzioni influenzano la realtà Quando le nostre credenze e aspettative influenzano il nostro comportamento e la realtà a livello inconscio, stiamo mettendo in atto ciò che si definisce una “profezia che si auto-avvera”. Per esempio, se ci svegliamo e pensiamo che quella che ci aspetta sarà una giornata terribile, il nostro atteggiamento potrebbe far avverare la previsione. Potremmo infatti agire inconsciamente per affermare la nostra convinzione, ad esempio ignorando gli aspetti positivi e amplificando il negativo. Un esempio di profezia che si autoavvera in psicologia è noto come “effetto placebo”: esso si riferisce ai miglioramenti nei risultati di studi scientifici o clinici ottenuti da soggetti che in realtà non sono stati sottoposti ad alcun trattamento (ad esempio farmacologico) o agente attivo. Le convinzioni che questi pazienti hanno circa il farmaco “somministrato” possono far sì che la profezia, ossia la credenza iniziale riguardo l’efficacia, si realizzi. Il concetto di profezia che si autoavvera è un fenomeno ben noto anche nel campo della sociologia, in particolar modo grazie agli studi del sociologo Robert Merton. Egli ha definito la profezia che si autoavvera come “una falsa definizione della situazione che evoca un determinato comportamento, che a sua volta fa avverare la concezione originariamente falsa” (Merton, 1948). In altre parole, Merton notò che a volte una determinata credenza può portare a conseguenze che fanno sì che alla fine la realtà corrisponda alla convinzione iniziale. Generalmente, coloro che si trovano al centro di una profezia che si autoavvera non sono consapevoli del fatto che le loro convinzioni hanno causato le conseguenze che si aspettavano o che temevano: è un METE MAGAZINE

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meccanismo spesso involontario. Anche se le profezie che si autoavverano possono manifestarsi in una varietà di modi, Merton era interessato a capire come il fenomeno agisse nell’ambito del pregiudizio e della discriminazione razziale. Notò che le persone con pregiudizi razziali erano più propense a trattare le persone di altre etnie in un modo che alla fine portava a confermare i loro pregiudizi. Ad esempio, coloro che consideravano le persone di colore intellettualmente inferiori evitavano di parlarci, non dando loro la possibilità di dimostrare che gli individui razzisti avevano torto. Quando un intero gruppo di persone viene trattato come se fosse inferiore, non riceve le stesse opportunità, concesse invece a coloro che sono considerati “pari”, che gli permetterebbero di migliorare o di dimostrare le proprie capacità. Allo stesso modo, quando le persone sanno di essere considerate “inferiori”, anche il loro rendimento sarà inferiore. Si origina così un circolo vizioso da cui è difficile uscire.

L’effetto Pigmalione Le profezie che si autoavverano possono coinvolgere processi intrapersonali, quando la convinzione di un individuo influenza il suo comportamento, o interpersonali, quando una convinzione relativa ad un’altra persona ne influenza il comportamento. Dunque le nostre aspettative non solo influenzano i nostri risultati e la nostra realtà, ma hanno anche un impatto su pensieri, sentimenti e comportamenti degli altri. I risultati di un esperimento di Robert Rosenthal e Lenore Jacobson condotto negli anni ‘60 hanno dimostrato che le


aspettative degli insegnanti nei confronti degli studenti possono influenzare il loro rendimento scolastico più di qualsiasi differenza individuale nel talento o nell’intelligenza. L’esperimento fu condotto in una scuola elementare pubblica; i ricercatori fecero eseguire ad un gruppo casuale di bambini un test di intelligenza e dissero ai loro insegnanti che erano stati identificati come “growth-spurters”, ossia come ragazzi che possedevano un grande potenziale e capacità superiori rispetto alla media, e che probabilmente avrebbero sperimentato un notevole sviluppo intellettuale entro l’anno successivo. I ricercatori hanno rilevato che gli studenti verso i quali gli insegnanti avevano aspettative più elevate circa il rendimento scolastico, ossia i growthspurters, mostravano effettivamente un miglioramento maggiore rispetto ai loro compagni “ordinari”, poiché ricevevano, dagli stessi insegnanti, maggiori attenzioni e incoraggiamenti a fare meglio. Poiché i ragazzi non erano stati informati dei loro falsi risultati al test, si concluse che le loro prestazioni fossero influenzate dalle aspettative e dai comportamenti degli insegnanti nei loro confronti: ciò li aveva aiutati a sentirsi più sicuri e motivati, rafforzando al contempo le convinzioni iniziali dei docenti. Questo effetto, noto come “effetto Pigmalione”, è un esempio di profezia auto-avverantesi che coinvolge processi interpersonali: quando ci aspettiamo determinati comportamenti dagli altri, potremmo agire in modi che rendono più probabile il verificarsi di tali comportamenti, i quali a loro volta rafforzano le nostre convinzioni su di loro (Rosenthal & Babad, 1985). Allo stesso modo, quando crediamo qualcosa su noi stessi, tendiamo a comportarci in modi che corrispondono alle nostre convinzioni, incoraggiando così la ripetizione dello stesso comportamento. Le profezie che si autoavverano possono dare origine a cicli di pensiero e comportamenti, virtuosi oppure, purtroppo, viziosi. Ad esempio, una persona che dubita costantemente delle sue capacità di svolgere il proprio lavoro potrebbe inavvertitamente sabotarsi, credendo che esso sia inferiore alla media, evitando di impegnarvisi o di farlo del tutto. Questo si tradurrebbe in una mancanza di pratica e di esperienza, che renderebbe il suo lavoro ancora meno competente, portandolo a dubitare ancora di più di sé stesso e a diminuirne l’autostima..

Profezie che si autoavverano e depressione La natura ciclica delle profezie che si autoavverano può giocare un ruolo importante nello sviluppo e nel mantenimento della depressione. Una persona che soffre di depressione può avere pensieri molto negativi su sé stessa, pensieri come “sono inutile”, “non piaccio a nessuno”, “non ho amici”. Convinzioni di questo genere possono indurla a rinunciare all’autosviluppo e al miglioramento delle sue capacità. “Dopo tutto”, pensa, “non funzionerà comunque”. Se questi pensieri persistono per un tempo prolungato, la persona potrebbe effettivamente non riuscire più a funzionare normalmente: ad esempio, potrebbe diventare troppo depressa per svolgere anche le azioni più elementari, come parlare con gli altri, preparare da mangiare o fare la doccia. La persona depressa può evitare del tutto di interagire con gli altri perché è sicura che non apprezzeranno la sua compagnia, oppure potrebbe interagire con gli altri ma comportarsi in modo negativo e poco amichevole perché è sicura che loro saranno poco amichevoli o poco accoglienti con lei, facendo così in modo che coloro con cui interagisce formino opinioni coerenti con i suoi pensieri negativi su sé stessa.

Altri esempi Oltre agli esempi sopra elencati, il fenomeno delle profezie che si autoavverano può essere riscontrato in molti altri ambiti della vita quotidiana. Forse l’esempio più saliente riguarda una delle prime interazioni sul posto di lavoro: il colloquio. Immaginiamo due candidati con le stesse qualifiche: stessa istruzione, stessa esperienza, stesse capacità. Una è estremamente fiduciosa della sua capacità di superare il colloquio, mentre l’altra si sente insicura e pensa che non otterrà il posto di lavoro. L’individuo sicuro di sé potrebbe entrare nella stanza del colloquio con un sorriso e rispondere fluentemente ad ogni domanda, mentre l’individuo più insicuro potrebbe incespicare nelle risposte. Il candidato che crede in sé stesso e agisce in base a questa convinzione ha dunque più probabilità di ottenere il posto di lavoro rispetto all’intervistato che si aspetta di fallire, nonostante abbiano entrambi le stesse qualifiche. La profezia potrebbe tuttavia realizzarsi METE MAGAZINE

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anche dopo l’assunzione. Se ad un dipendente viene assegnato un compito che sente essere al di sopra delle sue capacità, potrebbe essere convinto di fallire e, inconsciamente, mettere meno impegno nel progetto, pensando che sia una causa persa, oppure evitare di chiedere aiuto agli altri perché crede che il progetto sia comunque condannato. Quando il progetto effettivamente fallisce, potrebbe pensare di aver avuto ragione fin dall’inizio, senza rendersi conto che in realtà è stato proprio il suo comportamento a causare il fallimento dell’attività. Il posto di lavoro può ospitare anche processi interpersonali che portano a profezie che si auto-avverano. Immaginiamo che l’impiegato nell’ultimo esempio abbia un atteggiamento diverso sulla sua capacità di completare il progetto. Potrebbe sentirsi nervoso nell’affrontare un nuovo compito che gli richiederà di imparare e mettere in pratica nuove abilità, ma sa di essere capace e in grado di farlo. Tuttavia, il datore di lavoro è meno sicuro delle abilità del dipendente. Decide quindi di non investire tempo e denaro nel progetto perché non crede che andrà bene: non lo mette in contatto con le persone con cui ha bisogno di parlare e si rifiuta di iscriverlo alla formazione che lo aiuterà a sviluppare le competenze necessarie. Poiché il lavoratore non riceve le risorse di cui ha bisogno per completare con successo il progetto, esso è davvero destinato a fallire, ma a condannarlo questa volta sono state le convinzioni del datore riguardo le capacità dell’impiegato: un processo interpersonale. È importante riconoscere quando cadiamo nel “tranello” delle profezie che si autoavverano e distinguere le cause dalle conseguenze delle nostre azioni. I pensieri e le credenze che possediamo su noi stessi e sugli altri possono influenzare, in misura notevole, i nostri comportamenti, causando spesso risultati indesiderati.

BIBLIOGRAFIA Merton, R. (1948). The Self-Fulfilling Prophecy. The Antioch Review, 8(2), 193-210. Rosenthal, R., Babad, E. Y. (1985). Pygmalion in the gymnasium. Educational Leadership, 43(1), 36-39. Rosenthal, R., Jacobson, L. (1968). Pygmalion in the classroom. Urban Rev, 3, 16-20.


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la paura dell’inflazione METE MAGAZINE

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Chi non s’intende di economia non capisce affatto la storia

Ezra Pound

Negli USA non si vedeva un’inflazione superiore al dal 1996. i talenti e i frutti vinicio paselli ph: pexels

Ad aprile l’inflazione è salita al 4,2% in USA, al 2% in Germania e al 1,5% nel Regno Unito. Per quanto riguarda gli USA, si trova oltre il target del 2% della Federal Reserve e l’inflazione di fondo, al netto di alimentari ed energia, è salita al 3% annuo, record dal 1996. Gli immobili, che sono esclusi dal calcolo dell’inflazione, sono più cari del 12% su base annua in USA e di oltre il 10% nel Regno Unito. Negli Stati Uniti si sono riscontrati rincari a doppia cifra per le auto usate, il noleggio auto, i soggiorni negli alberghi, oltre a rincari considerevoli per personal computer e smartphone. L’inflazione attesa per i prossimi anni supera il target della Federal Reserve ed è probabile che il peggio debba ancora venire, forse nei primi mesi del 2022. L’effetto della base di calcolo del 2020 disinflazionistico è una componente a mio avviso marginale di questa inflazione, perché non ci fu deflazione e soprattutto perché le aspettative di inflazione e il deflatore dell’economia sono in surriscaldamento. 4% Quali sono le cause? Varie. Una fra tante è l’interruzione delle catene globali di fornitura, che ha generato una scarsità di semiconduttori e generato un calo dell’offerta proprio in concomitanza con la ripresa della domanda post pandemica di autoveicoli, cellulari e computer. Un’altra causa è il blocco al Canale di Suez, probabilmente temporanea. Molti economisti individuano nei sussidi di Biden il seme che ha fatto salire il salario di riserva, con molti americani che fino a settembre percepiscono 2800 Dollari al mese senza dover compiere particolari sforzi. Sta salendo di conseguenza il costo del lavoro, soprattutto quello non qualificato, per invogliare i cittadini a lavorare. Inoltre, la precedente amministrazione Trump ha riempito i conti correnti privati di Dollari, che ora trovano sfogo in acquisti più disparati grazie all’allentamento delle restrizioni. Infine, le banche erogano credito a condizioni allentate grazie alla politica monetaria espansiva della Federal Reserve e il Dollaro si è parzialmente deprezzato, stimolando l’inflazione importata dall’estero tramite il canale delle importazioni. È importante che le banche centrali riescano a raffreddare queste prospettive inflative per preservare la fiducia nella moneta legale, già sottoposta alla concorrenza, per ora tenue, delle criptovalute. Il valore dei risparmi deve essere preservato per evitare il “panic buying” tipico di paesi sudamericani o africani, nel quale le persone temono un repentino rincaro di beni e servizi e corrono ad accaparrarseli, col valore dei risparmi che viene bruciato rapidamente e, in ultima istanza, il crollo degli investimenti, dato che il denaro non riesce a comprare più nulla, dunque nessuno riesce a creare un’impresa, in un contesto in cui anche i consumi voluttuari svaniscono a causa della perdita di potere d’acquisto. In un contesto altamente inflazionistico le banche centrali sono costrette ad alzare i tassi d’interesse a livelli alti, deprimendo la domanda e incoraggiando il risparmio, con l’obiettivo finale di sedare i prezzi di consumi e investimenti. In un simile contesto anche i debiti finiscono per pesare di più, perché il loro costo supera l’inflazione, mentre nella fase iniziale di un processo inflazionistico i debitori traggono giovamento da entrate monetarie elevate e tassi di interesse bassi. Vedremo come andrà a finire stavolta, le banche centrali sono ancora in tempo per ottenere un’inflazione al 2% nel lungo periodo. Non fa piacere leggere su internet che, siccome i prezzi sono saliti in USA dello 0,9% su base mensile, saliranno allora del 10% su base annua in un futuro vicino: queste sono definite aspettative autorigeneranti, autoavveranti, da evitare assolutamente e confido che le autorità rispondano prontamente nei fatti. METE MAGAZINE

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DI TAPPA IN TAPPA

marta gandolfi

ph: marta gandolfi

DREAMING CALIFORNIA

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“Se chiudo gli occhi, mi vedo lì, nella Baia di Monterey, su una di quelle meravigliose spiagge che la caratterizzano, ad osservare i leoni marini riposarsi al sole su qualche scoglio, a vedere i delfini fuoriuscire dalle onde, mentre passeggio sulla riva o, più tardi, a contemplare il tramonto che si consuma lentamente sull’oceano... facendomi viso e capelli dorati. Oro, soprattutto dentro agli occhi.”

I tramonti sull’oceano della West Coast americana hanno qualcosa di magico... Il giallo arancio del sole, che si tramuta piano piano in un rosso profondo, più delle acque su cui scompare, si fonde con il blu del cielo, cangiante verso il nero della notte, a creare ghirigori come sulla tavolozza di un bravo pittore. Osservarli è un privilegio che la mente non scorda.

tramonto sulla west coast a point reyes

Le mete che ci prefiggiamo di raggiungere, anche più di una volta nella vita, ci accompagnano anche nei nostri pensieri, anche nei nostri sogni. Soprattutto in questo momento in cui non siamo liberi di viaggiare come prima, lo facciamo con la mente, in luoghi da

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vedere o già visti, che rivedremmo ancora, dove il cuore è sereno.

La California è la meta dei miei sogni, la meta che culla il mio cuore. Sono stata “a trovarla” due volte e non vedo l’ora di tornarci. Ha così tante cose che amo e semplicemente mi piace, mi rasserena. Anche se adoro la montagna e ci vivo felicemente, non so stare senza il mare e se il mare diventa oceano allora il mio sorriso in faccia si apre ancora di più! E l’oceano delle coste californiane rapisce completamente il mio sguardo ed il mio animo. Alcune spiagge, che sono tra l’altro aree protette, lasciano letteralmente senza fiato. Percorrere la Highway 1 lungo tutto o quasi lo stato è una meraviglia per gli occhi ed il viaggio merita alcuni stop per scendere sulla spiaggia e prendersi un momento intimo, tra noi e l’oceano. Le mie migliori conversazioni sono state quelle che ho fatto col pensiero, seduta davanti ad alcune cime mozzafiato oppure “parlando” con il mare o l’oceano, sulle spiagge più belle e deserte che abbia mai visto. Quei dialoghi sono quelli meglio riusciti e più profondi, dove parlo anche con me stessa. Dalla caotica “città degli Angeli”, andando verso Nord, mille spiagge, pezzi di costa suggestivi e pittoreschi: Santa Monica, Venice beach, Malibu, Santa Barbara, la più selvaggia ed incontaminata Pfeiffer State Beach a Big Sur, oppure le coste della Point Lobos State Reserve, vicino a Carmel, tutta la baia di Monterey, la Shark Fin Cove (chiamata anche


pfeiffer state beach

los lobos

Shark Tooth Beach) nella zona di Santa Cruz… potrei continuare ancora, fino ad arrivare all’altra grande città, con la sua baia ed il suo famoso ponte rosso. Andando ancora a nord, proprio poco distante dalla “big city”, oltrepassato il Golden Gate Bridge, c’è un angolo di paradiso, la Point Reyes National Seashore. È un’altra riserva sulla costa, con spiagge da cui ammirare tramonti unici, un luogo in cui vive una popolazione endemica di cervo wapiti, il Tule deer. Un luogo abbastanza tranquillo e in qualche modo selvaggio, sicuramente non caotico o antropizzato, fatto di prati e colline che scendono sul mare. Andarci all’inizio dell’autunno, nel periodo del bramito dei cervi (il periodo degli amori), ritrovarsi lì verso sera, poco prima del tramonto, è semplicemente fantastico. La California unisce spiagge meravigliose alle alte montagne della Sierra Nevada americana La California unisce le (il Tioga Pass, nella spiagge meravigliose parte nord dello Yosemite National Park alle alte montagne. sfiora i 3000 metri di altitudine), le grandi sequoie del Sequoia National Park e del Mariposa Grove nella parte meridionale dello Yosemite NP, passando per le montagne boscate della Sierra, fino ai deserti della Death Valley, che giungono fin sotto il livello del mare (il Bad Water Basin si trova a - 85,5 metri s.l.m.) e a quello del Mojave, METE MAGAZINE

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tule deer


route 66

zona in cui ci si immette nell’ultimo pezzo della famosa e culturalmente affascinante Route 66, “The Mother Road”, che percorrendola ci porta a Barstow, caratteristica cittadina, da lì La Route 66 si giunge a San Bernardino, Pasadena, termina sul molo fino a tornare a Los Angeles e arrivare a di Santa Monica toccare il cartello che avvisa “End of Route 66” sul molo di Santa Monica. La “Caly” unisce i paesini desolati, che si incontrano percorrendola, con i luoghi ricchi di naturalità dello Yosemite e degli parchi vicini, con le grandi città caotiche, piene di grattacieli come Los Angeles e San Francisco, ognuna con la sua interessante storia, tra pepite d’oro, mercenari e imprenditori, o Levi Strauss, che lì a fine ‘800, lanciò sul mercato i suoi blue-jeans che sono diventati una leggenda ed il Cinema, per me nato lì, ad Hollywood, nella Città degli Angeli, con il Dolby Theatre, patria degli Oscar, gli Universal Studios ed i retroscena dei più bei set di film che rimarranno alla storia, le stelle del cinema incastonate nella Walk of Fame e quelle reali, osservate dal telescopio del Griffith Observatory, rivisto giusto poco tempo dopo in una delle scena scene più belle del film “La la land”. E poi sapete cos’è la California? Il posto dove antico e avanguardistico s’incontrano, in un modo che non stride e non annoia ma intriga ed incanta: è

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yosemite

death valley

così che in pochi giorni esci dal Campus di Google o dalla Apple a Cupertino, dove sono stati fondati i miti della tecnologia, che oggigiorno governano la nostra quotidianità e ti ritrovi immerso nelle old ghost towns di Bodie e Calico, in mezzo ai deserti californiani, tra carri di legno, vecchie miniere d’oro e vecchi saloon, antiche chiese del west, che ti riportano ai tempi passati, a quel periodo spesso visto nei vecchi film western e, quindi, torni di nuovo, in un certo senso, a Hollywood. Solo che lì non è finzione, ma realtà, è storia.

san francisco

E vogliamo parlare di conservazione della natura e di Parchi Nazionali? Lo Yosemite National Park, con le sue maestose e bianche pareti rocciose di El Capitan e della Half Dome, tra le più famose al mondo, e tante altre solcate da affascinanti cascate come le Bridalveil Falls o le Yosemite Falls, le più alte dell’America settentrionale, è stata una delle culle della conservazione della natura. In quei luoghi, John Muir, uno dei padri della tutela della natura pristina e selvaggia, della “wilderness”, passò una fetta importante della sua vita e fondò i principi della sua visione naturalistica e conservazionista. Nella Yosemite Valley, si trova un cartello nel luogo esatto in cui John Muir, nel 1903, parlò al Presidente METE MAGAZINE

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Roosvelt della natura, della sua conservazione e dell’importanza di preservare le più belle aree selvagge americane, tra cui, appunto, quella valle. Era da poco nato, infatti, lo Yosemite National Park, uno dei primi parchi nazionali ad essere istituito (nel 1890), insieme al Sequoia NP e dopo lo Yellowstone National Park, primo parco nazionale al mondo (1872).

La California ha tante cose che amo, comprese alcune specie di fauna selvatica a me care. Orsi (l’orso è tra l’altro l’emblema dello stato, raffigurato anche nella bandiera ufficiale), puma e da qualche tempo, sono arrivati anche i lupi,

il punto di incontro tra miur e roosvelt

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hollywood

golden gate

nella parte settentrionale dello stato, provenienti dall’Oregon, dove alcuni esemplari sono stati muniti di radiocollare, che ne traccia gli spostamenti. La California è il posto dove vivrei la seconda parte della mia vita, é stata la meta del primo gran viaggio con mio marito, un pot-pourri di natura, cultura, solitudine e “caoticitá” che mi ha letteralmente conquistato ed incantato.

E, pensate, che ancora non ho visitato San Diego, con la sua storia e le sue caratteristiche. Dicono che “non c’è due senza tre” ... beh, il mio terzo viaggio in California inizierà infatti da lì, per dirigersi verso il Parco Nazionale delle Channel Islands e su su, a visitare posti nuovi e tornare a “salutare” posti vecchi, ritrovandomi volentieri a conversare qua e là con l’oceano e finendo con un bel bicchiere di Chardonnay, comodamente seduta ad ammirare i vigneti più belli della Napa Valley (mi manca anche questo). “Cin cin!” allora e buon viaggio, semmai anche voi, appena sarà nuovamente possibile, voleste andare a scoprire il Golden State! METE MAGAZINE

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di viaggi e di nascite Siamo nati viaggiando, Siamo nati per viaggiare METE MAGAZINE

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francesca vinai

ph: freepik

il vero viaggio di scoperta

viaggi altri

non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi Marcel Proust

10 Scrisse Marcel Proust che “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi”. Diventare mamma mi ha fatto comprendere appieno il senso di questa affermazione. Da viaggiatrice intenta a scovare orizzonti inediti sono diventata viaggiatrice del quotidiano: ogni giorno è una scoperta, ogni meta una sfida, ogni domanda un sentiero da scegliere in un bosco fitto di “se”, “ma”, “perché”. Se prima andavo in cerca di mete curiose e di frontiere da oltrepassare, ora viaggio a piccoli passi con la mia bambina ed esploro insieme a lei il mondo con occhi nuovi. La maternità è un viaggio sorprendente che comincia non appena si scopre di essere in dolce attesa, eppure a me non sono bastati nove mesi per prepararmi al momento in cui è nata mia figlia (ed io sono nata come mamma).

Durante la gravidanza ho fantasticato spesso sul momento in cui ci saremmo incontrate per la prima volta, immaginando prima il dolore, poi la felicità. Ma il parto è stato ben più di questo: un viaggio dei sensi, una parentesi estatica in cui l’istinto animale ha la meglio su ragione e sentimenti, in cui i sensi aiutano e il corpo guida. Ricordo bene quegli attimi. Eccomi dentro una bolla fuori dal tempo, oltre lo spazio, a nutrirmi di una solitudine che non è abbandono ma concentrazione, mentre le voci intorno a me echeggiano in lontananza e le carezze e i movimenti hanno i profili indistinti di un’ombra. Non ho contezza che del mio respiro e delle contrazioni sempre più forti, sempre più frequenti, in un’onda di spasmi da cui non posso fuggire. Attimi intensi, brutali. E poi, finalmente, il primo vagito. Mi assale una calma esaltante che non mi METE MAGAZINE

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fa versare neppure una lacrima. I miei occhi cercano i suoi, la mia pelle la sua, ci annusiamo, ci assaggiamo. Ci fondiamo in un abbraccio che mi colma di beatitudine e dà senso alla vita. Ma il parto, a ben vedere, è anche il primo grande viaggio che mia figlia – e così ciascuno di noi – ha intrapreso lasciando il ventre materno. Nove mesi di dondolio, al sicuro da tutto e da tutti, immersi in una tenue oscurità e poi, d’improvviso, ci troviamo catapultati in un mondo di aria e luci taglienti mentre qualcuno esulta: “È nato!”. Dopo mesi di capriole e quiete, questo primo viaggio ci coglie impreparati, ci lascia sgomenti, ci fa esplodere in un pianto di angoscia o, chissà, di felicità per la straordinarietà dell’esperienza. Siamo nati viaggiando. Siamo nati per viaggiare.


Senza meta, libere riflessioni

Mare Dalle ripetute onde rovesciate, dalle acque tanto sincere e vive, dalla voce che propria si diparte e non risponde. Agogno la tua libertà! All’orizzonte osservo il tuo colore, che come il cielo tende all’infinito e a lui si unisce frettolosamente. Dimenticar vorrei la mia natura, e come onda navigar sulle tue acque. Nulla ti costringe, solo convieni alle leggi universali, e al futuro dell’umana mia terra, unirmi vorrei alle tue sublimi profondità. FABIO BERGAMO

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