Mete n. 8

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NR 8 | MARZO 22

O B I E T T I V I Di viaggi e di guerre

S U C C E S S I DESTINAZIONI

Un ospedale in Kosovo


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campo base Il trolley è ancora più angusto delle altre volte, quando vi infilavo dentro ciò che ritenevo potesse servirmi per trascorrere il tempo più bello dell’anno, e mi sembrava sempre troppo poco. Oggi metto alcune cose, qualche cambio, pochi oggetti cari; manca lo spazio per tutto quello che vive nel mio amore e che, quindi, stivo dentro di me, in uno stoccaggio del cuore, un esercizio cui non sono per niente abituata e che oggi diventa urgente. Ho con me, in tasca, l’immancabile cellulare che ho utilizzato fino a pochi giorni fa per condividere musica e post, che mantengo quasi sempre spento per evitare che si scarichi, non è facile trovare la possibilità di collegarsi alla rete elettrica. Sto concentrandomi per riuscire a raggiungere la strada e poi il punto di raccolta e poi il pullman verso il confine. Provo a cacciare i pensieri negativi, risparmiando lucidità per ottenere il massimo profitto dalla contingenza. Provo ad immaginare cosa facevo qualche giorno fa a quest’ora, immagino la luce, le persone, le abitudini, i suoni della quotidianità rassicurante; immagino com’era, ma è come se non riuscissi a mettere a fuoco le foto stampate nella mente. C’è un prima, adesso, che precede ciò che è ora il presente, e spacca il quadro. Siccome voglio raffigurarmi anche un dopo, insisto a pensarmi leggera mentre rido di niente con i compagni di corso davanti ad un dolce, affannata facendo jogging per buttare giù quei maledetti cinque chili, a litigare con mia madre, a comprare il pull color corallo che mi piace da sempre. Lei, mia madre, arranca davanti a me, attenta a non scivolare sul ghiaccio, ha uno zaino caricato in spalla e una borsa capiente che tiene in mano, ci ha messo

qualcosa da mangiare, biscotti, bottigliette d’acqua, che non mi vuole cedere, aggrappata ai manici che sembrano sostenerla. Il trolley adesso, solo, fermo sull’asfalto in mezzo alla strada, è molto leggero, non vale nulla, tutto il peso dell’amore l’ho stivato dentro al cuore, e me lo sono portato via. Gli eventi drammatici che si susseguono ci sollecitano emotivamente in quanto colpiscono popolazioni a noi vicine per chilometraggio, stile di vita, cultura; troppe altre guerre, ancora in corso, le avvertiamo distanti da noi perché meno veicolate dall’informazione e vissute da popolazioni oggettivamente lontane per ubicazione e tradizioni. Non abbiamo mai vissuto la guerra, restiamo attoniti, abbiamo paura per le conseguenze, fatichiamo ad inquadrare il disastro, non lo accettiamo. Tendiamo a chiuderci, immobili, e a negarci la consolazione di una risata che fatica a spuntare, sempre più spesso dentro di noi abdichiamo a quella quotidianità di gesti, abitudini, divertimenti, svaghi che impregnavano il nostro tempo. Fino a ieri eravamo sereni e non lo sapevamo, uno status acquisito. Oggi passa la voglia di scherzare, si sperimenta l’impotenza, mentre ci spunta un sottile senso di colpa per il nostro benessere, la nostra vita normale. Eppure, occorre preservare dalla paralisi questa normalità; occorre continuare a fare ciò che abbiamo sempre fatto; se è vero che democrazia e libertà per sussistere e vivere vanno esercitate, questo è uno di quei momenti in cui vale la pena dimostrare con forza quanto esse valgono. SILVIA GIRONI


SOMMARIO Numero Otto

01 Il lupo tra storia e cultura SULLE TRACCE

pagina 8

02

03

04

05

Vagabondando in Serbia

La neve è bella anche in città

Un ospedale in Kosovo

La torre degli arabi

RITORNI

SOSTA

CON ALTRE SCARPE

PROGETTI VISIONARI

pagina 16

pagina 18

pagina 24

pagina 29

COLOPHON DIRETTRICE RESPONSABILE

Silvia Gironi CONDIRETTORE

Giuliano Latuga COORDINAMENTO EDITORIALE E GRAFICA

Enrico Cigolla

PROMOZIONE E PUBBLICITÀ: tel. 0516014990 Emiliano Ardigò LUOGO DI PUBBLICAZIONE: Bologna Fabio Bergamo ANNO: 2020 Vinicio Paselli PROPRIETARIO: A.R.E. s.r.l. Corrado Poli DIRETTRICE RESPONSABILE: Silvia Gironi Francesca Vinai CONDIRETTORE: Giuliano Latuga Marta Gandolfi Gabriele Gironi METE MAGAZINEEDITORE: A.R.E. s.r.l, Via E. Mattei, 48/D, 40138 Bologna STAMPATO DA: MGP s.r.l., Antonio Iannibelli -4Autorizzazione Tribunale di Bologna n. 8523 del 06.08.2019 Martina Verrilli Fabio Tolomelli HANNO COLLABORATO:


06

07

08

09

Di viaggi e di guerre

Salita al Carè alto

La ferita invisibile

Le conseguenze della guerra in Ucraina

SCORCI

PASSI

VIAGGIO IN SÉ STESSI

IL TALENTO E I FRUTTI

pagina 34

pagina 36

pagina 40

pagina 46

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01

METE MAGAZINE

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sulle tracce

marta gandolfi

ph: antonio iannibelli

Il lupo tra storia e cultura Il suo viaggio tra le epoche storiche e le diverse percezioni culturali, nel suo infinito intreccio di relazioni con l’uomo.

Fissa il tuo cane negli occhi e tenta ancora di affermare che gli animali non hanno un’anima. Victor Hugo METE MAGAZINE

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Chiudete gli occhi. Se vi dico: “LUPO”, così, improvvisamente e a bruciapelo... Che cosa vi viene in mente per prima? Quale scena, quale immagine? E quale sensazione vi evoca questa parola? Probabilmente molti di voi potranno provare paura e l’immagine sovvenuta potrebbe essere quella di un film o, se bambini, di una favola in cui un lupo grosso, cattivo e famelico, con i denti aguzzi, vi si avvicina con brutte intenzioni. Altri potrebbero provare un senso di mistero, di fascinazione e di ammirazione, un senso di natura selvaggia, pristina, che rapisce e pervade... E, chi li ha visti sul serio, “dal vivo” in natura, porterebbe subito alla mente quegli occhi gialli e profondi. Sì, il lupo è terrore e fascino. È sia benevolenza che conflitto. Animale totemico nell’antichità, protagonista di un’atavica venerazione e diavolo, simbolo del male, animale nocivo per l’uomo, soggetto di una recente persecuzione. Lupo sì o lupo no? Buono o cattivo? Questo è il dilemma. In che modo l’uomo ha percepito e considerato il lupo nei secoli? E perché? Cosa è successo che ha, via via, modificato la percezione umana del lupo e da lì, il suo grado di accettazione sociale? “Esistono due lupi, uno fantastico e uno reale. Il primo è la somma di una infinità di storie, leggende, racconti, tradizioni, proiezioni e fantasie che si sono accumulate per secoli e secoli attraverso tutta l’evoluzione complessa della percezione che l’uomo ha avuto della natura e degli animali. Il secondo è invece il Canis lupus Linneaus, un animale in carne e ossa con tutti i suoi caratteri morfologici e comportamentali che ne definiscono la biologia. I due hanno sì dei punti di contatto, ma piuttosto sporadici: restano comunque incommensurabili poichè parlano linguaggi diversi e si muovono in modi diversi. Eppure si sono influenzati reciprocamente in maniera drammatica: il primo, l’immaginario, nasce dal secondo per poi prendere la sua strada autonoma da cui lascia cadere periodicamente costruzioni psicologiche che si abbattono rovinosamente sul suo alter ego reale. Questo, dopo aver contribuito a un primo abbozzo

dell’immagine del primo, ne è rimasto vittima al punto che in molte battaglie ha dovuto soccombere. Il punto di contatto di questi due lupi è l’uomo, che ha sempre accanitamente difeso le fantasie che han dato corpo all’immaginario, curandone i particolari e accrescendolo di dettagli. Questo animale, del tutto improbabile, costituisce per la maggior parte dell’opinione pubblica il solo vero lupo; e questa opinione pubblica è così attaccata alla sua creatura che non vuole sentire ragioni. L’altro, il lupo vero resta un incomodo fardello in cui solo una piccola percentuale di persone ha un rapporto concreto.” Così scrive il Prof. Luigi Boitani, uno tra i massimi esperti di lupo, nel suo bel libro del 1986 “Dalla parte del lupo”, un libro di quasi 40 anni fa, ma per diversi aspetti estremamente attuale. Al tempo, io ero una bambina di 6 anni, mingherlina e letteralmente terrorizzata dai lupi, anzi, dal lupo cattivo con gli occhi rossi (sì, quello lì ha proprio gli occhi rossi, non gialli come nella realtà) tutto ringhi e dentoni affilati che brillano bianchi nell’ombra. Me lo immaginavo uscir fuori dalle stanze buie della mia casa, proprio con l’intenzione di mangiarmi. Vai a sapere tu, che poi, crescendo, sarei diventata zoologa, che proprio il lupo sarebbe stato da sempre il mio principale interesse scientifico e che poi, per anni, avrei lavorato per la sua conservazione. E il lupo reale, quello che ho imparato a conoscere ed apprezzare come specie, non è affatto così spaventoso. Più che altro, è semplicemente un animale selvatico, un lupo che “fa il lupo” e che può affascinare o meno, ma che va conosciuto nella sua realtà naturale. Una realtà, cioè, scrollata da tutto quel bagaglio culturale che troppo spesso lo dipinge di connotazioni innaturali, fantastiche, scaturite da quella fervida immaginazione che l’uomo ha da sempre alimentato, immaginando e divulgando miti e leggende su costellazioni, vulcani, dei, streghe, vampiri e specie come l’orso o il lupo, fondamentalmente non capite a pieno, troppo forti, troppo venerate per culti diffusi e potenti come la Chiesa cattolica.. o specie con cui, da un certo momento storico in poi l’uomo si è trovato a confliggere, buttandoci sopra METE MAGAZINE

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tutte le sue più profonde paure e la rabbia, arrivando a perseguitarle accanitamente e rendendole un po’ il capo espiatorio di tutto quello che bene non andava.

Al livello culturale (ma anche storico, procedendo i due piani praticamente su linee parallele) quello della percezione umana del lupo può definirsi come una diatriba tra il buono e il cattivo da un lato e tra il fantastico e il reale dall’altro Diatriba che ha quasi sempre favorito il “lupo immaginario” e l’idea del cattivo, del maligno associato a questa specie, da cui l’uomo non riesce a distaccarsi, rendendo difficile il suo approccio al lupo reale, come specie selvatica priva di attributi antropici e, di conseguenza, la vera convivenza con esso. Questo, trova parzialmente ragione nel progressivo distacco dal mondo naturale che l’uomo ha operato nei secoli, orientativamente dal primo medioevo in poi, sentendosi pian piano sempre più estraneo ad esso e considerando la natura sempre più come una risorsa da fruire e non come l’entità a cui apparteniamo. Da quando l’uomo moderno ha cambiato, modificandolo profondamente, il suo rapporto con l’ambiente e le sue componenti, lupo compreso, si è rotto quell’equilibrio rispettoso che nell’antichità guidava il suo rapporto con la natura e impediva forti conflitti. Perché non erano opportuni, né necessari. Riccardo Rao, docente di Storia medievale, Storia del Paesaggio e Storia dell’Ambiente e degli Animali a Bergamo, nel suo libro “Il tempo dei lupi”, scrive: “Quella del lupo è una triplice storia. Innanzitutto è una storia ecologica, poiché il lupo ha una funzione centrale negli ecosistemi boschivi. È poi una storia


culturale, perché gli uomini hanno creato un immaginario del lupo che con l’animale in sé ha poco a che vedere. Ma è anche una storia sociale, che si sviluppa nelle relazioni fra l’uomo e l’ambiente: scriverla significa ripercorrere una lunga strage, una delle più crudeli che l’essere umano abbia prodotto nei confronti di una specie animale.” Ed è vero, è proprio così. Il rapporto tra uomo e lupo si perde nella notte dei tempi, ha origine nell’antichità, migliaia di anni or sono. Nel tempo e per varie ragioni è cambiato, si è evoluto, diventando controverso, difficile e propendendo sempre per quel “lupo immaginario”, a discapito di quello reale, che fino alla metà del secolo scorso, per l’acuta persecuzione da parte dell’uomo, è arrivato fin quasi all’estinzione su gran parte del suo areale di distribuzione. Abbiamo già parlato della parte ecologica della storia del lupo, di come vive e dei suoi punti di forza. Adesso quindi vediamo come si intrecciano la sua storia culturale e quella sociale nei secoli, fino al giorno d’oggi, per capire come mai il lupo è tanto osteggiato, temuto oppure appoggiato dall’uomo. Uomo e lupo hanno da sempre coabitato. All’inizio era un buon rapporto fondato su un grande rispetto dell’uomo nei confronti del lupo (e della natura in genere), una sorta di timore reverenziale che si risolveva in un buon equilibrio tra le due parti e in una buona convivenza generale.

Il lupo: mito del forte guerriero antico. Nell’antichità, il lupo era considerato dall’uomo un animale totemico, simbolo di forza selvaggia e di estremo coraggio. Il suo simbolismo, a quei tempi era un simbolismo guerriero. Il lupo, predatore all’apice della catena alimentare, specializzato a predare in branco le prede più comuni del luogo in cui si trova (le prede che anticamente cacciava anche l’uomo), animale sociale come l’uomo, territoriale, così simile all’uomo in tante caratteristiche

“Celati sotto una pelliccia di lupo bianco si avvicinavano alla mandria quel tanto che bastava per colpire la preda con le frecce o con la lancia”.

IMMAGINE 1:

George Catlin, Buffalo Hunt under the Wolf-skin

Mask, 1832-1833, olio su tela.

peculiari, un tempo era l’idolo del guerriero dei tempi antichi, simbolo talvolta anche di buon auspicio nella caccia o nelle battaglie. I popoli mongoli narravano di leggende in cui il “Lupo azzurro”, inviato dal cielo, un giorno si unì con la cerva fulva, color della terra e della steppa, generando eroi e capi di alto lignaggio, come il famoso Gengis Khan, il potente generale e condottiero che in poco tempo creò un impero vastissimo, seminando terrore. Il film “L’ultimo lupo” del 2015, diretto da Jean – Jaques Annaud e tratto dal romanzo autobiografico “Il totem del lupo” del 2004 di Jiang Rong, spiega molto bene come i popoli nativi delle steppe della Mongolia vivessero in armonia con la natura, come se essi ne fossero parte, avendone profondo rispetto e cercassero di agire in una sorta di equilibrio con specie predatrici come il lupo, con il quale condividevano spazi e prede, di modo da non “darsi fastidio” e non “rubarsi” risorse trofiche importanti, così da averne a sufficienza loro ed i lupi, evitando conflitti. Conflitti che giunsero infatti, quando l’uomo “moderno” che ha perso questa prospettiva, decise di METE MAGAZINE

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metterci lo zampino. Presso alcuni popoli lapponi ed esquimesi, il lupo era considerato una divinità portatrice sia della vita che della morte, simbolo del sole come dell’oscurità, venerato anche per il suo straordinario “potere sulla luce”. Per gli Indiani nativi d’America, quelli “delle Grandi Pianure” (Lakota, Dakota, Cheyenne, Sioux, Comanche, Pueblo, Cheyenne) il lupo era degno di rispetto e considerato un cacciatore e un procacciatore di cibo non solo per sé stesso ma per la comunità intera, attitudine da loro condivisa. Veneravano il lupo per la sua abilità di predatore fin quasi ad emularlo in caccia, per ottenere il suo stesso successo. “I bisonti riuniti in gruppo, non temono troppo i lupi e li lasciano avvicinare”. Così, i nativi partivano per la caccia al bisonte, la risorsa per loro più importante, nascosti sotto pelli di lupo bianco portate su spalle e testa ed approcciavano le mandrie procedendo abbassati, sulle mani e sulle ginocchia, fino ad arrivare a ridosso della mandria e abbattere più facilmente i bisonti più grossi.


E chi di voi lettori ha mai sentito parlare degli Ulfednir norreni? I temibili guerrieribelve della Scandinavia antica, forti e invincibili, che, presi da una specie di stato di trance, andavano in battaglia vestiti solamente di pelli di lupo, simbolo totemico di forza bruta e aggressività. Accanto a loro, vi erano anche i Berserkir, guerrieri forti e vigorosi, che non si fermavano di fronte a nulla, vestiti questi, invece, di pelli di orso. E come è caratteristica delle specie di cui vestivano il manto, i Berserkir combattevano da soli, mentre gli Ulfednir, come i lupi, combattevano in gruppo. Qui il potere principale che si attribuisce al lupo, come all’orso, è quello di grande e forte predatore, associandolo con la guerra, la distruzione, la forza bruta del guerriero. Anche il dio Odino, padre di tutti gli dèi norreni, nel Valhalla (il suo maestoso palazzo di Asgard) troneggia con accanto i suoi due fidati lupi, Geri e Ferki, seduti ai suoi fianchi, mentre vegliano sulle spoglie dei guerrieri più valorosi morti in battaglia, che poi risorgeranno nel Ragnarök, il giorno dell’Apocalisse, della battaglia finale. Sempre dalla cultura e mitologia norrena, proviene la leggenda di un altro personaggio particolarmente raccontato per la sua mole e la sua forza. Personaggio delle forze oscure, primordiali, che intaccano, corrompono e dissolvono il mondo, portandolo alla rovina, ma che risultano anche quelle fondanti, portatrici di una nuova rinascita: il lupo Fenrir, animale gigantesco e mostruoso, nato dal malefico e perfido dio Loki e della gigantessa “di ghiaccio” Angrboda (“colei che porta il dolore”) e padre di Skoll e Hati. La leggenda, descritta nell’Edda, il più celebre testo medievale di mitologia norrena, narra che, temuto da tutti per la sua forza e per le sue enormi dimensioni, Fenrir venne incatenato dagli dei ad una rupe, dopo che aveva divorato la mano al dio Thor, il dio del tuono, figlio del grande Odino ma, Fenrir crebbe così smisuratamente (troppo per le sue catene) che riuscì a liberarsi. E mentre i suoi figli divoreranno il Sole e la Luna, lui divorerà il dio Odino, nel corso del Ragnarök, in cui tra morte e disastri

IMMAGINE 2: “The Binding of Fenris”, Dorothy Hardy, in Myths of

the Norsemen from the Eddas and Sagas di H.A. Guerber, 1909.

naturali, il nostro mondo verrà sommerso dalle acque. Ma la Terra successivamente riemergerà nuova e fertile, il mondo verrà ripopolato a partire da due superstiti umani e gli dèi sopravvissuti torneranno a governare i cieli. “A quel tempo Fenrir avrà raggiunto dimensioni tali che, quando spalancherà la bocca, la sua mascella toccherà il cielo, mentre la mandibola sfiorerà le parti più basse della terra”. Fenrir troverà comunque la morte, dalla mano di uno dei figli di Odino, Vídar, che lo pugnalerà al cuore e gli strapperà le mascelle. In questo periodo antico, il simbolismo METE MAGAZINE

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del lupo rappresenta il dualismo tra forze distruttrici da un lato e forze costruttrici dall’altro: come spiega la leggenda norrena appena descritta, il lupo, con la sua forza ed aggressività, da una parte distrugge e dall’altra rinnova, perché dalla sua distruzione deriva poi una successiva rinascita, un nuovo periodo positivo, luminoso. In questa antica concezione, il lupo è un animale che, distruggendo attraverso la sua forza, provoca una metamorfosi, un passaggio ad un nuovo stato. Il lupo è anche un guardiano, una guida, soprattutto delle anime: un animale


cosiddetto “psicopompo”.

Il lupo, tra tenebra e luce Come ben ricordiamo dalla storia e dall’arte antica, il lupo spesso ha la funzione di accompagnatore negli Inferi delle anime dei defunti. Ade, il dio degli Inferi, è solito indossare una pelle di lupo e, presso gli Etruschi, il dio dei morti somiglia ad un lupo (o ad un cane), con muso e orecchie da canide, così come Anubi, il dio egizio degli inferi. In questi miti e leggende il lupo è associato con l’oltretomba, con le tenebre, dove comunque simboleggia un passaggio e funge da protettore, forse anche quell’aura di misticismo e mistero che lo ha sempre caratterizzato e forse per la sua natura di animale notturno e crepuscolare, è “colui che vede nell’oscurità” (come in realtà quasi tutti gli animali selvatici, che per evitare l’uomo, sono più mobili durante la notte). Ma in altre culture, come per esempio quella greca, spesso non veniva associato con l’oscurità bensì, con la luce, avvicinandolo a divinità “luminose” come il dio Apollo: egli era infatti definito lukogenès, ossia “nato da un lupo”: sua madre, Latona, fu sedotta dal dio Zeus e messa incinta di lui e di sua sorella Artemide. Zeus, per sottrarla alla collera della moglie Era, la tramutò in una lupa. Dopo il parto, Latona si recò con i figli in Licia il “paese dei lupi”, nel sud dell’Anatolia, dove i tre rimasero per qualche tempo. Apollo, il dio del sole, nato da una donna tramutata in lupa, venne definito “Liceo” o “Licogene” (figlio della lupa), grazie sia al fatto che viveva in Licia, ma anche e soprattutto grazie alla radice del nome greco che identifica il lupo: lycos (Λύκος). E sapete che la parola “liceo” usata per designare una certa tipologia di scuola secondaria superiore, gli deve la sua etimologia? Si dice che, ad Atene, in un bosco sacro situato accanto ad un tempio di Apollo, Aristotele insegnasse la filosofia. Quel bosco si chiamava Lukeion, in onore al dio e verso il 335 a.C., il famoso filosofo vi fondò una scuola, in onore al dio Apollo, che prese proprio il nome di “Liceo”.

IMMAGINE 3:

Romolo e Remo allattati dalla lupa, P.P. Rubens,

Musei Capitolini.

Lupi salvifici e fecondi Vogliamo poi parlare della Lupa Capitolina? La “mater romanorum” che salvò i nostri discendenti Romolo e Remo da morte sicura e fu quindi fondamentale per la creazione di Roma e di tutto il nostro popolo? Come narra l’Eneide di Virgilio, ai tempi in cui Ascanio, figlio di Anchise, fondò Alba Longa, la storia di Rea Silvia, che per salvare i suoi figli gemelli, nati dal suo amore con il dio Marte, fece in modo di affidarli alla corrente del Tevere, dentro una cesta. I due bambini vennero poi recuperati ed allattati da una lupa attirata dai loro gemiti. Ecco che qui, il lupo arriva a simboleggiare anche la fecondità. Inoltre, forse non tutti sappiamo che, il dio Marte inizialmente fu considerato dai romani il dio della natura, della primavera, della fertilità. Veniva considerato un protettore del bestiame, in particolare dei cavalli, a quei tempi molto utilizzati in battaglia. Il mese in cui riprendevano le attività agricole era METE MAGAZINE

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chiamato “Marzo”, in suo onore. Marzo era anche il momento in cui riprendevano le guerre, così Marte col tempo, assunse una doppia caratteristica di divinità agricola e guerriera, simbolo di forza. Uno degli animali selvatici a lui sacro era proprio il lupo. Poi, nella storia, le cose sono cambiate ed il rapporto uomo-lupo è divenuto sempre più complicato e conflittuale. Un po’ perché uomo e lupo hanno sempre condiviso gli stessi spazi, che sono cambiati nel tempo, a causa dei vari cambiamenti sociali che hanno comportato degli importanti cambiamenti ambientali e quindi, conseguentemente, sono cambiate anche le abitudini dell’uomo, del lupo le loro interazioni ed i loro rapporti. Un po’, invece, magari perché il lupo è, di fatto, un alter ego dell’uomo. Con tutte le similarità che, accanto alle diversità, i due condividono, forse si è col tempo instaurata una competizione, magari in parte inconscia una volontà nell’uomo di prevalere sul lupo, come poi, in realtà su tutta la natura.


Il lupo e l’uomo

dell’uomo agli animali selvatici preda

perciò cercò in ogni modo di osteggiarli.

“moderno”

del lupo è aumentata e ciò significava

La parabola dell’uomo come “pecorella

meno risorse alimentari per i lupi.

del Signore”, insidiata dal lupo feroce

L’avvento dell’allevamento ovi-caprino

e sanguinario, come personificazione

e della transumanza, diede inizio ai

del diavolo ha purtroppo la meglio

primi conflitti tra uomini e lupi, a causa

nell’immaginario comune, essendo

delle prime predazioni sul bestiame,

anche associata con il reale conflitto

che a differenza dei suini bradi, non

uomo-lupo dovuto alle predazioni di

aveva strategie anti-predatorie e veniva

bestiame che diventavano sempre più

predato più facilmente.

frequenti (anche per l’aumento delle

Qui ha avuto inizio il primo vero

greggi sul territorio) e causavano ingenti

cambiamento della percezione socio-

danni ai pastori di quel tempo che con il

culturale dell’uomo nei confrontI del

bestiame ci vivevano.

Con il passaggio da un’organizzazione fondata sulla caccia e sulla raccolta, ad una vera e propria economia fatta dai primi sistemi di agricoltura ed allevamento, si sono verificati cambiamenti ambientali e sociali importanti che hanno causato una modifica significativa del rapporto uomolupo. Soprattutto nel corso del Medioevo, secolo lungo e “buio”, l’uomo modifica profondamente le sue abitudini e, con esse, l’ambiente e il suo rapporto con la natura e con gli animali. I primi a cambiare in quei secoli sono stati i boschi, da sempre i luoghi di rifugio e quotidianità del lupo (e delle sue prede). Nei primi secoli del medioevo i nostri territori erano ricchi di boschi, ai margini esterni dei quali l’uomo era solito far pascolare suini allo stato brado, i quali erano tranquillamente capaci di resistere agli attacchi dei predatori, mettendo in campo strategie anti-predatorie efficaci. Quei boschi, meno fitti e più luminosi, dove la mano dell’uomo era visibile nei tagli boschivi, nella presenza di zone aperte, campi e prati-pascoli facevano poi strada, allontanandosi dai villaggi, a fasce di bosco più fitte, meno luminose, dove la presenza dell’uomo svaniva a poco a poco... quello era l’habitat in cui vivevano i lupi e gli altri animali selvatici con cui esso interagiva. Ognuno aveva i suoi spazi e i conflitti erano quasi inesistenti. Gli uomini vivevano nelle prossimità dell’area in cui vivevano i lupi, gestendo questo rapporto secondo uno spirito di indifferenza o al limite di

lupo. Parallelamente, l’uomo si stacca dalla vita “selvaggia” del cacciatore antico per diventare agricoltore – allevatore, perdendo il legame con la natura e modificandolo in una sorta di “rapporto di fruizione” a senso unico, che lo distanzia dall’ambiente e dalla fauna, incastrandolo in una sua dimensione superiore ad essi. Transumanza: tanti animali di media taglia, privi di strategie anti-predatorie, che si muovono lungo la catena appenninica, significano prede facili e vantaggiose per i lupi. Per l’uomo, invece, le predazioni significavano una importante perdita economica, col

Uomini, lupi e santi che li addomesticavano. Ogni storia aveva la sua morale nascosta dietro la sua astuta e ben raccontata metafora. San Francesco d’Assisi che ammansisce il lupo di Gubbio (e questa è solo la più famosa), San Romedio che inginocchia e cavalca l’orso sono metafore che rappresentano la vittoria della Chiesa sul profano, sul pagano, sul demonio, sottomettendolo alla visione cristiana del mondo e della natura. Rappresentano come “il santo” sia “più forte della bestia”, dalle parole di Michel

tempo non sopportabile.

Pastoureau, autore del libro “IL LUPO.

Lupo, nemico nefasto.

Mettiamoci anche i casi di lupi

Ecco che il lupo inizia a diventare un vero

l’intensità con cui venivano divulgati,

nemico dell’uomo. Contestualmente, l’avvento del Cristianesimo, nel lume della sua veloce e potente ascesa, ha sconvolto ancor di più la percezione del lupo da parte dell’uomo, identificandosi come religione pastorale, la cui simbologia delinea Dio come “il buon pastore”,

Una storia culturale”. antropofagi verificatisi in quegli anni e “arrichendoli” di particolari fantastici e spesso esagerati, ingranditi. Molto spesso tali storie erano tramandate dalla mano erudita di ecclesiastici, fantasiosi appunto, facenti parte essi della classe tra le poche che sapevano scrivere e, quindi, che potevano lasciare testimonianze ai posteri. Allora si può ben capire come la percezione del lupo

timorosa reverenza, senza grossi scontri.

i fedeli come il “gregge del Signore”

Poi si sono verificati i primi

e quindi, conseguentemente, la

da parte dell’uomo diventi negativa e

disboscamenti, via via diventati sempre

personificazione del demonio, del

colma di terrore.

più cospicui, per dare spazio ai coltivi,

male, della crudeltà infinita tocca

Lupi antropofagi, nel senso di lupi

togliendolo in questo modo agli animali

necessariamente al lupo, da allora

che talvolta hanno attaccato e ucciso

selvatici. Meno boschi, significava quindi

schiacciato dalle innumerevoli metafore

esseri umani. Anche bambini che,

meno siti di rifugio ma anche meno

cristiane che la Chiesa cattolica iniziò a

a quei tempi, a circa di 6-8 anni di

prede selvatiche e, parallelamente, più

diffondere.

età venivano mandati sui pascoli

possibilità di contatto e incontro del lupo

Essa, inoltre, non poteva certo accettare

insieme alle greggi, per custodirle

con l’uomo.

la presenza di culti pagani e venerazioni

e che, probabilmente, in alcuni casi

Parallelamente, anche la caccia da parte

di fiere forti e vigorose come orsi e lupi,

sono stati confusi tra le pecore, nel

METE MAGAZINE

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momento della predazione. Negli anni di carestie, pestilenze e tante morti, molti cadaveri venivano lasciati ai margini delle città e potevano ovviamente significare una fonte di cibo facile per i lupi; può essere comprensibile, quindi, come essi abbiano potuto considerare, occasionalmente, l’uomo come una preda. La diffusione della rabbia silvestre, inoltre, ha contribuito a far crescere paure ed a radicare la percezione di pericolosità del lupo come animale che aggredisce l’uomo e anche altre creature, incondizionatamente. Ma non possiamo paragonare le condizioni socio-ambientali del Medioevo con quelle di oggi. Si parla di altri uomini e di altri lupi. Le ultime testimonianze di attacchi di lupo all’uomo, in tutta Europa, risalgono all’inizio del XIX secolo e non oltre, i bambini, almeno nel nostro contesto, non sono più costretti ad andare al pascolo con il bestiame, boschi e prede selvatiche sono nuovamente disponibili, il contesto sociale e le condizioni di vita dell’uomo sono notevolmente cambiate e la persecuzione di cui ha avuto esperienza ha causato nel lupo una generalizzata diffidenza nei confronti dell’uomo.

Di lupi, streghe,

IMMAGINE 4: Cappuccetto

Rosso e il lupo, Gustave Dorè, 1862.

prostitute, di Cappuccetto Rosso e dei lupari Il lupo, in questa era cupa e piena di difficoltà, paure e false credenze, viene spesso associato anche alle streghe, donne che al tempo venivano emarginate, perseguitate, come i lupi e anche destinate al rogo. Ed ecco come, da animale totemico venerato e rispettato, il lupo è diventato nei secoli il simbolo del male, del

della cupidigia, che caratterizzavano il

una irrefrenabile pulsione sessuale.

sistema politico di quel tempo.

In questo caso, come in tanti altri, il

“Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza e molte genti fé già viver grame...” Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto I

demonio, di tutti i peggiori vizi e caratteristiche negative dell’uomo... Ce lo ricordano autori importanti come Dante, nel I Canto dell’Inferno della sua Divina Commedia, quando parla della

lupo al femminile non è più simbolo di fecondità, ma di lussuria, prostituzione. “Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai - di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell’andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si

E Giovanni Verga, intitolando una delle sue più famose novelle “La lupa” (Vita dei campi, 1880), come veniva denominata

spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d’occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da

lupa, una delle tre fiere che incontra nel

in modo dispregiativo la protagonista,

satanasso..”

suo cammino, come simbolo dell’avarizia,

caratterizzata da una acuta sensualità e

Giovanni Verga, “La lupa”, da Vita dei Campi.

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Anche la favola di Cappuccetto Rosso (nelle sue più famose tre versioni, dei Fratelli Grimm (inizio XIX secolo), di Perrault (1697) e di Egberto da Liegi (intorno al 1020) cela in realtà un preciso messaggio, inviato in veste di metafora: l’avvertimento alle bambine a stare attente agli uomini malintenzionati. Il lupo, simbolo del peccato, incorniciato dal rosso della mantellina, chiaro richiamo alla sessualità e alla passione e dallo smarrimento nel bosco, inteso come deviazione dall’educazione impartita dai genitori (“non uscire fuori dal sentiero” le disse la mamma…). Lo sapevate? Il lupo, come abbiamo già detto, diventa un predatore spietato che talvolta aggredisce anche l’uomo, un suo competitore sanguinario, che gli toglie risorse, simbolo culturale del male, del peccato e che deve essere, per questi motivi, sterminato. Non esiste nessuna convivenza possibile. Così, sono comparsi i primi “lupari”, che uccidendo lupi e liberando così le varie comunità da un serio problema, di questa persecuzione ci facevano un lavoro. Inoltre, l’uomo europeo portò questa percezione negativa nei confronti del lupo nelle colonie d’oltreoceano, divulgandola a dismisura. Con i lupari, piano piano ha preso avvio la lunga persecuzione che ha portato il lupo in tempi recenti sull’orlo dell’estinzione sia in Europa che in Nord America. Col tempo, pur essendo aumentata l’accettazione generale del lupo e la sensibilità per la sua conservazione, la percezione del lupo come animale a priori spaventoso e pericoloso risulta ancora notevolmente radicata. Certo è anche che il lupo è cattivo in tutte le favole, in tutti i detti comuni (a partire da homo homini lupus di Paluto), in tutte le metafore comuni (solo per fare un esempio, ogni notizia legata alla criminalità di gruppo parla negativamente del “branco”). I media purtroppo, molto spesso agevolano questa concezione allarmistica del lupo ed anche i film più recenti dipingono il lupo soltanto come un animale che,

IMMAGINE 5:

Il luparo. Immagine tratta dal Volume “Ameria,

Un Secolo di Storia allo specchio 1860-1960” di Franco Della Rosa, Gruppo Ricerca Fotografica

ringhiando e mostrano i denti, si avvicina all’uomo per nuocergli. Fondamentale risulta invece avere voglia di conoscere il lupo nella sua realtà concreta ed oggettiva. Informarsi da fonti attendibili, sulla sua biologia, sulla sua distribuzione e sui comportamenti da mantenere in caso di incontro. METE MAGAZINE

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Cerchiamo di liberarci del nostro antico bagaglio culturale tutt’oggi strettamente ancorato alla figura del “lupo cattivo” e cerchiamo di vedere il lupo in maniera più oggettiva, per essere anche noi più liberi di frequentare la montagna con consapevolezza e senza paura.


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… poi ti succede per caso che ti invitano a cena in una piccola città della Vojvodina di cui non sapevi nemmeno il nome nonostante ti vanti di essere un geografo… Intanto rimani colpito dal ristorante sulla bella spiaggia del fiume Sava per attraversare il quale è stato costruito il ponte ciclo-pedonale più lungo del mondo (così mi riportano, ma anche se ce ne fossero altri, questo è davvero grande e sorprendentemente senz’auto).

Vagabondando in Serbia RITORNI corrado poli ph: freepik

02 METE MAGAZINE

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La città è Sermska Mitrovica che oggi ha meno di ventimila abitanti (ma la regione di cui è capoluogo amministrativo arriva a 70.000). Al tempo degli antichi romani si chiamava Sirmium ed era una delle quattro capitali del tardo impero diviso tra i quattro Tetrarchi. Vi sono nati dieci imperatori, tra cui Traiano! Marco Aurelio non ci è nato, ma ci ha passato vari anni. La città era antichissima, forse una delle prime città in Europa. Sono stati trovati reperti che risalgono a una vita urbana già nel 5000 avanti Cristo. Il nome ricorda – secondo il Mazza – la nostra Sirmione: potrebbe essere di origine greca e significherebbe “coda” o “strascico”, toponimi legati alla penisola, all’acqua e al fiume. Il lungo periodo di appartenenza all’Impero Romano ha lasciato tracce rilevanti: dai mosaici recentemente restaurati, all’acquedotto e a numerose opere scultoree alcune delle quali di marmo portato da Carrara. Impressiona la bellezza dei reperti, la qualità dei materiali usati e la loro provenienza da tutto il Mediterraneo, quali alcune

colonne egizie. Tutto questo in una regione la cui profonda bellezza naturale non è appariscente, ma reale e preziosa. Una grande pianura con un largo e placido fiume che la percorre lento in mezzo a campi di grano e boschi opportunamente conservati per evitare inondazioni. La fertilità della terra, ben conosciuta e bonificata dai romani ha reso questa città e la regione contesa da diversi imperi così che la popolazione è sempre stata multietnica e multireligiosa. Talora vivendo in pace e armonia, altre volte i poteri esterni hanno usato le diversità per suscitare guerre e massacri intestini. Oggi la popolazione è prevalentemente serba, ma la gran parte dei cittadini non riconoscono vere diversità tra serbi e croati. Vi abitano anche molti ungheresi e in passato c’era una grande minoranza di tedeschi e di ebrei. Gli ebrei, i Rom e i Serbi furono sterminati dai tedeschi in un grande campo di concentramento sito nei pressi della città. I tedeschi se ne andarono dopo la guerra. Prima esistevano numerose moschee, eliminate assieme ai METE MAGAZINE

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turchi con il ritiro dell’Impero Ottomano. Rimangono diverse confessioni cristiane, cattoliche, greche ortodosse e serbo ortodosse che tuttora rendono giustizia a una città – come molte altre nei Balcani – che dalla diversità ha tratto nei secoli la propria ricchezza. L’altra grande bellezza di questa città, come di tutte le città piccole e medie del mondo, sta nel suo provincialismo, anzi nella sua “provincialità”. Si cammina per la strada e si incontrano persone conosciute… non tutti al punto di violare la tua privacy; giusto quelle poche che ti consentono di non sentirti solo come nelle grandi metropoli dove ti sorprendi se incontri qualcuno che conosci. Ecco il mio rapporto da una cittadina sperduta nei Balcani, una delle tante presenti in tutta Europa il cui modello di vita, di relazioni e la cui storia costituiscono un patrimonio che purtroppo stiamo disperdendo concentrandoci in metropoli sempre più grandi, sempre più anonime.


la neve è bella anche in città sosta

03 METE MAGAZINE

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gG ph gG


Tra la moltitudine delle “frasi fatte”, una in particolare si sente echeggiare al primo fiocco di neve che si appoggia al suolo cittadino: “la neve è bella in montagna!”. Prevedendo i disagi di una presunta nevicata e temendo di vedere ostacolati gli affrettati ed inderogabili spostamenti giornalieri, la frase fatta viene ripetuta diffusamente, forse per esorcizzarne le eventuali gravose conseguenze, raccogliendo facile e largo consenso in modo molto trasversale. Il problema è rappresentato principalmente, con tutta evidenza, dalla difficoltà negli spostamenti. Sono infatti sufficienti due centimetri di neve per mandare in tilt il traffico cittadino; la causa prima è soprattutto l’incapacità di guida: manovre imbarazzanti nonostante l’aiuto della moderna tecnologia nelle automobili, come ESP (controllo

elettronico della stabilità), ASR o TCS (controllo elettronico della trazione), ABS, oltre alle apposite gomme invernali. Ma, constatazione curiosa, il problema è generalizzato e sentito anche da chi non deve obbligatoriamente spostarsi. Effettivamente, nella nostra epoca scandita dai minuti contati, dai singoli secondi sfruttati per un attimo di riposo mattutino in più, non può essere assolutamente contemplata una minima organizzazione preventiva né tantomeno tollerato il rischio (peraltro molto remoto) di dover rinunciare anche ad una sola delle abitudini o degli appuntamenti quotidiani. Il paragone con i tempi passati è improponibile, anche se c’è ancora qualche previdente che si alza un po’ prima dal letto considerando le probabili modifiche dei tempi di percorrenza stradali.

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In ogni caso è da sottolineare che, escludendo situazioni eccezionali (come dieci anni esatti fa), oggettivamente le nevicate a bassa quota sono oramai poco frequenti e poco consistenti.

Erano sicuramente altri tempi, molto meno frenetici e trafficati, ma in ogni caso era generalmente tollerata anche da chi, a causa sua, doveva intraprendere spostamenti un po’ avventurosi e faticosi.

Fortunatamente, tolto il fardello degli spostamenti automobilistici dei giorni feriali, nei giorni festivi cambia sensibilmente l’approccio con la neve, persino in città!

A volte la sua venuta coincideva con l’inizio meteorologico dell’inverno, a volte anticipava la sua venuta in novembre, a volte (raramente) si nascondeva fino a marzo (ed erano temporali copiosi), a volte invadeva la primavera avanzata. Ma arrivava sempre.

La maggioranza diventa benevola, festante (grazie ai bambini, piccoli e..grandi), quasi avventuriera (abbigliamento artico). Una minima infarinata porta allo sfruttamento di qualsiasi pendenza, anche con dislivello impercettibile; collinette prese d’assalto con slittini, spesso improvvisati, che solcano improbabili piste ove spesso emergono erba, sassi e terra, predominanti sui pochissimi centimetri di neve, umida e poco duratura. Perché, alla fine, la neve, divenuta innocua, è paesaggisticamente apprezzata: “però che bello che è!” ed improvvisamente riporta ad uno spirito infantile e giocoso. Peccato che venga accolta solamente in certe circostanze, secondo i propri voleri e a comando… d’altronde è un po’ difficile poterla confinare esclusivamente al di fuori dei confini comunali o al di fuori dei giorni feriali! Un tempo, neanche troppo remoto, la neve arrivava e soprattutto “durava”. Anche in città. Essendo una consuetudine era addirittura “benvoluta” anzi, se in un inverno se ne vedeva poca, ci si preoccupava. METE MAGAZINE

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Negli ultimi decenni la tendenza è notevolmente cambiata; l’innalzamento delle temperature, il cambiamento della direzione di provenienza dei flussi perturbati e relative correnti ha visibilmente rivoluzionato l’andamento climatico con sempre maggiore discontinuità delle perturbazioni, della loro “carica”. In ogni caso, le precipitazioni nevose sono legate alle temperature, anche negli strati bassi. Durante l’inverno le temperature minime erano, anche in città, costantemente sotto lo zero. La rubrica del meteo in onda ogni giorno su RaiUno dopo il telegiornale dell’ora di pranzo riportava tabelle (ancora in bianco e nero) sulle quali si poteva tifare per il valore più “negativo” nella immaginaria gara tra Aosta, Bolzano, Torino, Milano, Bologna, L’Aquila e Potenza. Ed i valori erano quotidianamente sottozero, anche abbondantemente. Si diceva quindi, a ragione, “se cade qualcosa è sicuramente neve”.


Nelle strade di periferia, spesso

veder scendere i fiocchi, sottili,

non ancora asfaltate, i cumuli

polverosi o a stracci larghissimi

accompagnavano il passaggio

e controllarne costantemente la

quotidiano per andare a scuola,

intensità ed il …sapore.

alla “spesa” o al lavoro; il fondo

Segno inconfondibile dell’arrivo

sconnesso era livellato dalle

della neve era il colore del

pozzanghere costantemente

cielo: di giorno grigio chiaro

ghiacciate (e le gambe, in buona

perfettamente omogeneo e,

parte scoperte, o coperte fino alle

la sera, con leggera sfumatura

ginocchia dai calzettoni, erano

arancio (riflesso delle luci

paonazze, come le guance).

“industriali” o effetto ottico della

Il naso appoggiato al vetro

copertura omogenea?).

appannato fungeva da mirino

Ed il profumo di aria pulita,

per osservare le tegole sui tetti

rarefatta, ozonica, quasi sempre

che progressivamente venivano

di tramontana.

ricoperte dalla neve. Anche qui si

E quando in città il bianco lasciava

tifava per una copertura omogenea spazio al grigio, bastava salire e quando non si vedevano più le

sulla prima collina dove i campi

scanalature tra le fila delle tegole,

erano quasi sempre coperti oltre

era una festa. Come era una festa

all’altezza dell’erba.

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Non è passato un secolo, solo qualche decennio, ma è cambiato tutto e neanche progressivamente. A volte si sente ancora parlare, con riferimento ai cambiamenti climatici e riscaldamento globale, di un normale andamento con alternanza di fasi glaciali e fasi calde, “come sempre è stato”: ma se storicamente tale cadenza è stata di diverse centinaia o addirittura migliaia di anni ed ora invece è avvenuto in 30/40 anni, si può forse dedurre, senza addentrarsi in studi scientifici, che qualcosa non ha funzionato in modo “naturale”. Le temperature giornaliere esageratamente elevate che spesso si registrano durante l’inverno consentono innegabilmente piacevoli ed inaspettatamente leggere passeggiate primaverili che spontaneamente distraggono, sul momento, come è normale che sia, dalla realtà dell’anomalia termica, dalla preoccupante e frequente siccità. Chi ha sensibilità ambientale però non riesce a non riflettere su tali condizioni che rappresentano, se non sono veramente occasionali, un significativo indicatore. I modelli di sviluppo economico/industriale con le relative fonti energetiche non tengono ancora nella dovuta considerazione la difesa dell’ambiente e ciò che ad esso è collegato. Il conseguente enorme costo ambientale e climatico non è ancora ben percepito dalla gente comune, tantomeno dai “potenti”; tra le varie cause (profitto, ignoranza, egoismo) potrebbe anche esserne collocata una molto semplice, forse ingenua: il menefreghismo. La stragrande maggioranza delle persone non avverte la gravità di ciò che sta accadendo, anche perché, paradossalmente, si sta abituando alla mitezza di questa fase climatica, in cui gli inverni, finalmente (!), non fanno nessuna “paura”. Innegabile e ripetuto messaggio dei media, che cavalcando la moda e la tendenza, riportano l’agognato desiderio di una imminente estate o di un clima comunque caldo, non piovoso, non troppo ventilato, appiattito su una temperatura esotica costante per tutto l’anno. Si dovrebbe però, allo stesso modo, essere consapevoli che l’evidente sconvolgimento climatico (di cui siamo tutti, chi più chi meno, responsabili) che porta il tanto apprezzato aumento delle temperature medie comporta manifestazioni atmosferiche anche di estrema cruenza. Diventare improvvisamente ed ipocritamente preoccupati ecologisti ed ambientalisti solo in determinate circostanze è un esercizio ancor più insopportabile. Per questo, tutto questo, si dovrebbe auspicare il ritorno costante della neve anche in città, come segnale di un tempo e di una natura ritrovata, aldilà dei cicli di alternanza climatica. La coltre bianca abbellisce, ricoprendo benevolmente tutte le brutture e gli inestetismi del grigio cemento cittadino, di tutte quelle strutture abbandonate e non curate, rende l’ambiente cittadino un po’ più “naturale”. Quando arriva, considerando anche la rarità di questi eventi, sarebbe opportuno esserne contenti sempre, non solo per un fatto ludico, romantico o estetico ma soprattutto per le sue peculiarità: l’apporto graduale di acqua, assorbita lentamente dal terreno, la protezione delle piccole colture dal gelo, la purificazione dell’aria quando i suoi cristalli, scendendo lentamente, catturano le particelle delle polveri pesanti alleggerendo, anche se per poco, il nostro respiro. METE MAGAZINE

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DETRARRE IL 100% DEL VEICOLO A USO AZIENDALE Autovettura aziendale in regime forfetario o autoveicolo aziendale totalmente detraibile e deducibile? Ora puoi scegliere.

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Sono lieto di vedere che siamo diversi. Che insieme si possa diventare più grandi della somma di entrambi. Leonard Nimoy

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Il caso (e la curiosità) mi portano in Kosovo, ex provincia autonoma della Serbia e ora

Si tratta di un territorio incastonato tra Serbia, Albania, Macedonia e Montenegro. La natura colpisce per la bellezza Stato indipendente sia pure non selvaggia delle montagne, ma anche le città e i villaggi riconosciuto. ospitano alcuni splendidi monumenti che ricordano il secolare contesto multietnico e multireligioso della regione. Tra questi la moschea di Sinan Pasha a Prizren (costruita nel 1615) e il monastero ortodosso Visoki Dečani costruito all’inizio del XIV secolo. Entrambi sono stati recentemente restaurati e sono conservati a regola d’arte. La sopravvivenza di questa autoproclamatasi repubblica è garantita soprattutto dalla presenza militare della NATO che ha posto fine (speriamo per sempre) alle dispute tra albanesi e serbi per il controllo del territorio. Passeggiando per le vie di Pristina, la capitale, come primo impatto incontro soldati e soldatesse italiane che svolgono compiti di controllo e ordine pubblico. In seguito, avrei incontrato militari di gran parte dei Paesi europei. Se questi operano alla luce del sole, meno evidente, ma ben più solida è la presenza degli Stati Uniti con una grande base armata dotata delle tecnologie di guerra più avanzate. Così si dice. La moneta circolante è l’euro… e ne circola evidentemente molto, considerata l’intensa attività di nuove costruzioni che sorgono ovunque. Appare subito la separazione netta tra l’economia tradizionale, agricola e silvo-pastorale, e le nuove attività introdotte grazie all’indipendenza della regione. Tra tutto il denaro che arriva in Kosovo, ci sono anche finanziamenti privati e pubblici che consentono di realizzare opere civili quanto mai necessarie e lodevoli. Tra questi ho potuto visitare un nuovo ospedale sorto per iniziativa della dottoressa Angelica Korica che si avvale della consulenza di alcuni tra i migliori medici italiani in cardiochirurgia pediatrica, ginecologia e altre specializzazioni. Andato a regime, l’ospedale assumerà medici locali. Il progetto si chiama CentroCuore-Bambino e costituirà un punto di riferimento nei Balcani poiché nessuna altra struttura di questo genere è presente nei Paesi confinanti. I bambini malati oggi possono trovare assistenza solo a Belgrado o a Istanbul, ma non nelle prossimità. L’edificio è interessante dal punto di vista architettonico. Non sembra il solito grigio e triste ospedale, ma piuttosto un “asilo per bambini” pieno di colori e di vetrate. Tuttavia, le sale operatorie, gli strumenti, il personale e l’organizzazione sono all’avanguardia. Realizzare questo ospedale non è assolutamente facile poiché tutto deve essere importato non esistendo alcuna produzione locale specializzata. Persino l’ossigeno – necessario nelle situazioni di emergenza – non è ancora prodotto sul posto. Le procedure doganali rimangono complicate: nonostante l’euro sia la valuta ufficiale, il Kosovo non è parte dell’Unione Europea e questo crea difficoltà. Così, in questo strano Paese – dolce e aspro allo stesso tempo, antico e moderno, in un territorio di secolare incontro e talora di scontro tra culture diverse – sorgerà un luogo di cura tecnologicamente avanzato e allo stesso tempo attento alla “gentilezza” degli ambienti a dimostrazione che l’intelligenza, la generosità e, in definitiva, l’umanità prevalgono sempre sulla guerra e l’egoismo. METE MAGAZINE

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La Torre degli Arabi: Icona di Dubai METE MAGAZINE

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la torre burj al arba illuminata di sera

l’eliporto della burj al arab trasformato a campo da tennis

La Torre degli Arabi (Burj al-Arab) realizzata a Dubai, nello stato degli Emirati Arabi Uniti (penisola arabica) è tra gli edifici più belli al mondo, grazie alla sua particolare architettura. Essa ospita un albergo di categoria extra-lusso e trova collocazione nella zona residenziale costiera della città, denominata Jumeirah, distante dal centro cittadino alcuni chilometri. La Torre è stata costruita per volere dell’emiro e sceicco Mohammed Bin Rashid Āl Maktūm il quale ricopre dal 2006, vari incarichi politici per lo stato degli Emirati Arabi Uniti: è Capo del Governo (Primo Ministro), Ministro della Difesa e Vice Presidente degli Emirati Arabi Uniti. Accanto alla produzione del petrolio che pone gli Emirati Arabi Uniti tra i primi 10 paesi al Mondo, lo sceicco ha voluto dare un ulteriore slancio economico al Paese puntando al settore del turismo

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di lusso, appunto dando avvio alla edificazione di strutture ricettive, residenziali e commerciali di alto livello quali: il complesso delle Palm Island (tre spettacolari isole realizzate artificialmente), l’arcipelago artificiale The World (composto da 300 isole) il grattacielo più alto al mondo denominato Burj Khalifa, ed ancora il Dubai Mall ad oggi il più grande centro commerciale realizzato al Mondo con 1.200 attività commerciali al suo interno; ad esse si aggiungono tantissime altre strutture tra grattacieli, alberghi, ville e palazzi destinati ad uso residenziale privato, e ad uffici e studi che hanno permesso al Paese di trasformarsi in una importante meta turistica e commerciale ed essere altresì luogo di approdo di importanti aziende di livello internazionale. Nel 1993 lo sceicco dà incarico all’architetto inglese Tom Wright di progettare una torre dalla forma spettacolare ed originale che diventasse il simbolo, l’icona stessa del progresso economico della città di Dubai. L’assist parte dall’imprenditore italiano Andrea Martinez che vive e lavora a Dubai, il quale suggerisce di realizzare un edificio a forma di vela. I lavori iniziano nel 1994 e la torre viene ultimata


una suite dell’hotel della torre burj al arab

la città di dubai sullo sfondo

alla fine del 1999 risultando, con i suoi 322 metri di altezza totale, il 48° grattacielo più alto costruito al mondo in quegli anni e l’albergo più alto al mondo. Il Burj Al Arab con base triangolare, poggia su un’isola artificiale appositamente realizzata, collegata alla terra ferma da un ponte stradale lungo 280 metri, utilizzato appunto per condurre alla torre. Per garantire stabilità alla struttura portante, nella creazione dell’isola artificiale – alta 7 metri sul livello del mare – si è dovuti ricorrere alla palificazione: la conformazione geologica del fondo roccioso non adatta ai plinti poggiati sul fondo marino ha indotto i tecnici a optare per la penetrazione dei pilastri nella roccia stessa.

L’isola poggia dunque su una base costituita da 250 pilastri di cemento armato larghi ognuno 1,5 metri di diametro che giungono a 45 metri di profondità conficcandosi nella roccia marina.

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La sua costruzione ha richiesto 3 anni di lavoro, 2.000 addetti tra architetti, ingegneri, designer, tecnici ed operai, e vari test di resistenza antisismica. La torre dallo stile neo-futuristico è realizzata in cemento armato e vetro. Per resistere alla gravità, la struttura portante in cemento armato ha la forma di una V rovesciata; tutte le altre parti che la compongono sono in cemento armato prefabbricato; essa monta anche degli ammortizzatori per contrastare la pressione orizzontale prodotta dalle masse d’aria e dai terremoti ed è dotata di rivestimenti che la proteggono dalla corrosione. L’esoscheletro o guscio esterno che caratterizza esteticamente la torre è in acciaio. La vela è costituita di teflon e fibra di vetro. Il design interno è stato curato dall’architetto Huang Chu e lo stile che lo caratterizza è quello arabeggiante nel rispetto della cultura medio-orientale. Il lusso è all’ennesima potenza: marmo pregiato ai pavimenti e alle pareti, colonne, rivestimenti e modanature in oro, mosaici, enormi specchi, tappeti pregiati, cascate d’acqua, terrazze interne, ecc. L’albergo, che la torre ospita al suo interno, va ben


l’architetto britannico tom wright autore del progetto della torre degli arabi

sulla sinistra, il ristorante panoramico della burj al arab dal suo stile futuristico

oltre gli standard dei servizi previsti per una struttura

Al suo interno si trovano: 3 ristoranti di cui 1

a 5 stelle, e dispone di 60 piani, 18 ascensori, 202

panoramico, diversi locali adibiti a bar, spazi per la

suite ampie ed eleganti, due terrazze panoramiche,

spa, bagni termali, saune, sale massaggi, una piscina

scale mobili, due strutture a sbalzo contrapposte che

coperta, una biblioteca, diverse sale da biliardo, una

sporgono dal corpo-struttura identificantesi con un

palestra, un asilo e vari spazi dedicati ai bambini. Altri

ristorante panoramico ed una piattaforma circolare

spazi e piscine sono presenti all’esterno oltre alla

per l’atterraggio degli elicotteri (eliporto) che può essere convertito a campo da tennis, campo da golf o ancora location per cerimonie nuziali, ecc.

splendida ed attrezzata spiaggia antistante la torre riservata esclusivamente agli ospiti. Il ristorante collocato al primo piano ospita un acquario di 280 metri cubi d’acqua di mare nel quale

Le camere hanno superfici che partono da

sono presenti oltre 700 pesci tropicali.

170 mq e raggiungono i 780 mq nelle Royal

Torre degli Arabi possiamo ricordare che: nel 2005

Suite che sono disposte su due livelli.

Tra le curiosità che rendono ancor di più unica la l’eliporto in cima alla torre è stato utilizzato come campo da tennis per una sfida amichevole tra lo

Ogni alloggio prevede uno, due e anche tre

statunitense Andrea Agassi e lo svizzero Roger

camere da letto matrimoniali con servizi

degli Emirati Arabi Uniti riportano come simbolo

personalizzati.

Federer; che le targhe delle automobili dello stato l’immagine della Torre. Il costo totale per la realizzazione della Burj Al Arab ha raggiunto la stratosferica somma di 650 Milioni di dollari.

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06 scorci francesca vinai ph: takeanyway

Di viaggi e di guerre METE MAGAZINE

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Che ne sarà dei viaggi? Dei viaggi intrapresi

Che ne sarà delle mappe contemplate, degli itinerari tracciati, dello zaino in spalla? Che ne sarà del cuore leggero prima della partenza? per svago, curiosità, Ancor più, che ne sarà della libertà di essere qui o là, indifferentemente? Di attraversare frontiere, abbracciare parole e abitudini che non ci piacere. Che ne sarà appartengono? di noi viaggiatori, Il cielo sopra di noi non promette nulla di buono. Dietro l’angolo c’è la guerra, non un’ennesima guerra: pensiero spregevole ma sincero. Perché cercatori di sguardi, ogni guerra è orrenda ma qualcuna, allo sguardo di noi occidentali, è più orrenda di altre, più vicina per geografia, storia, posta in gioco. chiacchiere, storie? Quanti di noi hanno mai viaggiato con il pensiero rivolto alle minoranze oppresse, alle esecuzioni in strada, alle scorribande del terrore sparse in ogni angolo del mondo? Quante guerre dimenticate, quante addirittura sconosciute. Guerre combattute dietro una cortina di indifferenza da terroristi, anarchici, narcotrafficanti, ribelli. Guerre subdole, meno eclatanti di quelle studiate a scuola, ma egualmente distruttrici di speranza e vita. Poi c’è la guerra che scoppia alle porte dell’Unione europea. Cresce la paura di un’escalation senza ritorno, contagio dilagante per il quale non esiste l’arma del vaccino. E veniamo a ciò che più rattrista noi viaggiatori: venti di guerra prendono a soffiare sulle nostre teste quando un’altra guerra da oltre due anni incatena i nostri sorrisi dietro le mascherine, ci obbliga al sacrificio, ci fa piangere morti, ci fa infuriare per i disertori che negano il pericolo, le morti, la necessità di vaccinarsi. Quella del Covid è stata una guerra improvvisa, silenziosa, impietosa. Una guerra che, forse, stiamo finalmente vincendo. Ma non hanno fatto in tempo a diradarsi le nuvole della pandemia che altre nubi, basse e cupe, si sono addensate nel nostro cielo. Via le mascherine, chi se le ricorda più? C’è un’altra minaccia che mozza il fiato. Non ha cura possibile se non il buon senso di vivere lo stesso pianeta e di averne uno soltanto da lasciare intatto ai nostri figli. Guardo la mia bimba, dieci mesi appena, e mi chiedo cos’ha in serbo il destino per lei, per la sua generazione. Di fronte all’evidenza del male come potrò rispondere ai suoi perché? Per una domanda sola ho la risposta; la prendo in prestito da Rodari. “La guerra? È una cosa da non fare mai”.

La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire. Albert Einstein METE MAGAZINE

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passi emiliano ardigò ph: wikipedia

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I viaggiatori sono quelli che lasciano le loro convinzioni a casa, i turisti no. Pico Iyer

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Come dico spesso, il mio andare in montagna non ha e non ha mai avuto niente di epico, di eroico, ma è sempre stato un modo di vivere la vita riempiendola di emozioni che mi hanno fatto, mi fanno ancora, sospirare di desiderio davanti alla bellezza delle montagne, e riempire il cuore di sensazioni davvero appaganti e meravigliose.

la fatica della salita. Non è comunque che in montagna ci andassi perché ero sfigato con le donne; però a volte mi hanno riempito un vuoto e, forse, aumentato un pochino la mia autostima. Col senno di poi devo dire che le cose sono andate bene e col tempo ho trovato la persona giusta, l’unica che probabilmente è riuscita a scalfire la corazza che inconsapevolmente mi mettevo, però davvero in quegli anni il mio salire è stato un po’ il contrappeso, l’alternativa alle spesso dure delusioni della vita. Non immagini quante volte, davanti all’ennesimo no, mi sono detto “tanto domani il mio cuore, la mia mente, è a casa e sarà pieno di pazza gioia.”

Quando qualcuno mi chiede il perché del mio andare in montagna, non posso che rispondere che è bellissima e che, ed è pura verità, che mi colora la vita. Però se penso un po’ più attentamente al mio alpinismo, al mio faticare su sentieri, rocce, ghiacciai di molte montagne, mi viene in mente la strofa di una bellissima canzone di un poeta moderno, il grande Roberto Vecchioni. La canzone inserita nell’album capolavoro Samarcanda si intitola “L’ultimo spettacolo” e fra parole bellissime, a volte toccanti, in una strofa recita: “ma tu non mi parlavi e le mie idee come ramarri ritiravano la testa dentro al muro quando è tardi, perché è freddo, perché è scuro e mille solitudini e buchi per nascondersi.” Quante volte scappare in montagna, magari anche rischiando di non tornare più (e qualche volta davvero la cosa non mi interessava), è stato un modo, forse l’unico, di dire a me stesso che forse contavo qualcosa. Che, nonostante non ci fosse neanche una ragazza (e in tante hanno detto di no al mio voler condividere con una persona la mia vita, nessuna che volesse camminare un poco nella vita con me), mentre a poco a poco gli amici se ne andavano appagati lasciandomi solo, la solitudine forse si poteva riempire con l’adrenalina e l’emozione della cima dopo

E ogni salita, anche la più banale e breve, è scolpita nel mio cuore, anche perché poi il gusto del salire, non solo aveva fatto da unguento medicamentoso alle ferite della vita, ma aveva riacceso la voglia di ripartire. Ricordando le mie tante salite, te ne voglio raccontare una che ancora oggi, volando sulle ali dei ricordi, mi illumina l’esistenza. La cima di cui voglio raccontare è il Carè Alto, nel gruppo Adamello Presanella, per la cresta est, una salita non facile, con punti esposti e di non istantanea lettura, ma seguimi continuando a leggere, perché non sono mancate le emozioni che ogni volta segnano e contraddistinguono una avventura. Prima di raccontarti della splendida salita permettimi si citare il compagno di quella scalata, nella quale tra l’altro eravamo legati, ma solo in conserva, e se te ne intendi un poco di alpinismo sai che, specialmente se si è inesperti e la via è quasi sconosciuta, è come non avere nessuna sicurezza. Comunque con me c’era Flavio, un carissimo amico, una persona speciale che l’estate scorsa ci ha lasciato per una cattiva malattia. Con lui il paese ha perso un pezzo importante della sua storia, qua chiunque abbia fatto atletica leggera è passato sotto l’attenta e appassionata vigilanza di Flavio, che si

Salita al Carè Alto

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il carè alto dalla cima del monte cengledino

faceva in quattro per aiutare chiunque a

era stata parecchio rischioso, è stata

Dopo la faticosa escursione al rifugio,

realizzare i suoi piccoli grandi sogni.

che se lui fosse caduto o scivolato su

un’ottima cena e la solita notte infinita (io

A me, insieme al fratello Franco, ha fatto

quel pendio, saremmo finiti in due

non riesco mai a dormire al rifugio, forse

un po’ da maestro nelle prime uscite

nel crepaccio terminale, non avendo

c’è un po’ di ansia da prestazione) ci si

in montagna e giorno dopo giorno,

io nessun punto di sicurezza in caso

alza prestissimo.

salita dopo salita, è cresciuta in me la

di caduta. Per quel tiro di corda,

Per essere agosto e a questa quota fa già

consapevolezza della sua passione per i

ironicamente, garbatamente, il mio

abbastanza freddino.

monti e del suo cuore che sapeva mettersi

grande amico, giustamente non mi aveva

Sono a piedi nudi e alle quattro del

sempre in gioco per aiutare gli altri.

mai perdonato.

mattino è una goduria camminare

Tra le tante salite fatte insieme, questa

Comunque con il suo ricordo sempre nel

sui sassi intorno al rifugio per cercare

al Carè Alto è una di quelle che ricordo

cuore, permettimi di raccontare qualche

una sorgente dove lavarmi la faccia e

più volentieri, proprio perché siamo

emozione e la bellezza della salita.

svegliarmi completamente.

arrivati al nostro limite di allora e

Già arrivare al rifugio, che porta lo stesso

Dal terrazzo del rifugio lo spettacolo

insieme abbiamo vissuto stupende e

nome della montagna, è una fatica

è unico, perché sotto di noi è tutto

indimenticabili emozioni. Ancora prima

notevole: sono milleduecento metri di

un ribollire di nuvole e non nego che

di ammalarsi, quando ci si vedeva, si

dislivello, ripagati però dalla bellezza

verrebbe la voglia di camminarci sopra

rideva insieme rammentando quando

dell’ambiente dove è posto il rifugio e

per salire le montagne circostanti..

in discesa, sulla Pala di ghiaccio e neve,

dalla visione del sogno corrente, quella

Sopra di me invece il cielo è sereno come

scendendo proprio sotto la vetta, io gli

cima dove insieme cercheremo di dare,

non mai, con le stelle, giganteschi fanali,

avevo fatto sicura fino a quando il pendio

per qualche ora, un senso più vero alla

a coronare la luna che illumina con la

era diventato orizzontale.

nostra vita. Certi ricordi sono davvero

sua pallida luce la vetta che tra poco

La cosa ridicola, dopo però, allora

incancellabili…

cercheremo di salire...

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chiesetta dei prigionieri russi

rifugio carè alto

Saranno sensazioni e ricordi banali ,ma è

problema prima della vetta, una cresta di

citavo nella salita del mattino. Il problema

in quei momenti che mi sento vivo come

roccia, ghiaccio e sfasciumi per un attimo

è stato che l’acqua non era più ghiacciata

non mai e ancora oggi ,quando mi fermo

ci aveva fatto cullare la tentazione di

a ricordare quella salita al Carè Alto, mi

lasciar perdere, di ritornare.

ma vorticosa e nel saltare dall’altra parte,

sembra di sentire ancora il godimento del

Flavio dall’alto della sua esperienza era

freddo sotto i piedi nudi.

andato avanti mentre io gli davo corda

Appena si è pronti si parte, prima su prati

e finalmente la croce di vetta ci aveva

e rocchette, con attraversamento di un

illuminato occhi e sorriso. Credo che

torrente ghiacciato e piano piano fino al

quella volta non sia stata tanto la gioia

fronte del piccolo ma ripido ghiacciaio

della conquista a farci felici, ma forse il

dove inizia la vera via. Sul ghiacciaio, con

fatto che la fatica è i pericoli erano alle

il bellissimo spettacolo del sole che sorge,

nostre spalle. Non ho mai ringraziato

abbiamo trattenuto spesso il respiro

abbastanza Flavio per quella cima,

quando sotto di noi, non sapevamo

quelle emozioni, credo addirittura di

quanto lontani, ascoltavano il risveglio

essermi commosso un poco; il Carè Alto è

dei ghiacci con toni paurosi e sibili che

veramente una cima splendida, tra l’altro,

ci facevano davvero rizzare i capelli.

allora non lo sapevo, ma nella prima

Finalmente, finito il ghiacciaio, una

guerra mondiale è stata teatro di tragiche

partita verticale di roccia ci ha regalato

e intense battaglie, quindi un poco anche

una bella e divertente arrampicata… io ho

famosa. Della discesa due ricordi, la

giorno...e ricordare con riconoscenza chi

sempre preferito la roccia, ma, arrivati in

sicurezza solo apparente sul pendio di

ci ha aiutato a vivere questi momenti,

cima a questo che credevo fosse l’ultimo

ghiaccio e il superamento del torrente che

queste emozioni.

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mettendo un piede su un sasso bagnato, mi sono procurato una storta alla caviglia che mi ha tormentato per tutta la discesa fino alla macchina. Flavio non se lo ricordava però in certi punti mi ha aiutato a scendere dandomi il suo braccio e la sua spalla per appoggiarmi. Ogni salita è una storia particolare, ma poi siamo noi che nel nostro cuore ricordiamo gli attimi più coinvolgenti ed emozionanti…e questi momenti sono, per me ,quelli che formano e determinano il mio andare in montagna...camminare e guardare però, specialmente, vedere col cuore le cose che la natura ci dona ogni


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la ferita invisibile La sofferenza psicologica dei giovani dopo due anni di pandemia

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viaggio in sé stessi

martina verrilli

ph: pexels

Nel corso degli ultimi due anni, che hanno avuto come protagonista assoluta la pandemia da Covid-19, si è parlato molto di salute fisica e molto poco, purtroppo, di salute mentale, nonostante le ripercussioni su questo fronte siano anch’esse innumerevoli e per nulla trascurabili. E questo sia per quanto riguarda le persone adulte e anziane, sia per quanto riguarda i giovani. A causa della pandemia, infatti, 1 bambino o giovane su 7, in tutto il mondo, è dovuto permanere nella propria casa per diversi mesi, con forti ricadute sulla propria salute mentale e il proprio benessere (UNICEF). Anche prima della pandemia, la metà dei casi di disturbi mentali colpiva bambini di età inferiore ai 15 anni e il 75% i giovani nella prima età adulta. L’autolesionismo è la terza causa di morte tra i 15 e i 19 anni e almeno 1 bambino su 4 nel mondo vive con un genitore a cui è stato diagnosticato un disturbo mentale. L’emergenza pandemica ha naturalmente peggiorato tali condizioni. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la pandemia da COVID-19 ha interrotto i servizi fondamentali per la salute mentale nel 93% dei Paesi, mentre sono aumentate le richieste di supporto. METE MAGAZINE

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Se da un lato, dunque, si è stati costretti a fermarsi, anche nell’ambito dei servizi essenziali, dall’altro le necessità della popolazione, che si è trovata ad affrontare un’emergenza di tale portata, andavano, e vanno tutt’ora, nella direzione opposta.

Uno studio condotto in 194 città della Cina ha rilevato che, durante la pandemia, il 16% dei rispondenti ha riportato sintomi depressivi e il 28% sintomi di ansia. L’inizio del secondo anno di pandemia ha avuto un impatto molto negativo sulla salute mentale e il benessere psicosociale di bambini e giovani: in America Latina e nei Caraibi, ad esempio, oltre un quarto dei giovani si è sentito ansioso e il 15% depresso (sondaggio U-Report – UNICEF). In aggiunta alle conseguenze direttamente


collegate alla pandemia e alla situazione emergenziale nel suo complesso, molti bambini si sono ritrovati a convivere forzatamente con i propri maltrattanti, e, per via delle chiusure e delle azioni messe in campo dai Governi per tentare di contrastare la diffusione del virus, non hanno potuto contare sul sostegno di insegnanti o parenti. Ricerche recenti (Racine et al., 2021) hanno evidenziato come la prevalenza globale di patologie mentali in bambini e adolescenti sia aumentata considerevolmente durante la pandemia. Prima di essa, le percentuali di ansia generalizzata clinicamente significativa e di sintomi depressivi nei giovani erano rispettivamente di circa l’11,6% (Tiirikainen et al., 2019) e del 12,9% (Lu, 2019). I giovani di tutto il mondo hanno subito drammatici sconvolgimenti nella loro vita quotidiana: isolamento sociale, chiusure scolastiche, quarantene, situazioni di stress familiare (Golberstein et al., 2020), dunque si può ben comprendere come tutto questo abbia portato ad un incremento o alla nascita di disagi o di vere e proprie patologie. I sintomi depressivi, che includono sentimenti di tristezza, perdita di interesse e piacere nelle attività, nonché disregolazione delle principali funzioni biologiche, come il sonno e l’appetito, potrebbero aver subito un’impennata durante la pandemia proprio a causa dell’isolamento sociale dovuto alla chiusura delle scuole e alla necessità di mantenere la distanza fisica (Loades et al., 2020). L’ansia generalizzata nei giovani si manifesta invece attraverso sintomi quali preoccupazione incontrollabile, paura e ipereccitazione, e durante la pandemia possono esser stati accentuati da incertezza, interruzioni nella routine e angoscia per la salute e il benessere della famiglia e dei propri cari. Gli studi che hanno approfondito le ripercussioni della pandemia sulla salute mentale di bambini e adolescenti (sia maschi sia femmine) hanno evidenziato che 1 giovane su 4 (dunque il 25%) a livello globale mostra sintomi di depressione clinicamente elevati, mentre 1 giovane su 5 (il 20%) presenta sintomi di ansia clinicamente elevati. Un

confronto di questi risultati con le stime prepandemiche suggerisce dunque che le difficoltà di salute mentale dei giovani durante la pandemia sono raddoppiate (Racine et al., 2021). Infatti, tra i vari fattori, le preoccupazioni legate al Covid-19, le difficoltà di apprendimento in didattica a distanza, l’isolamento sociale e l’aumento dei conflitti con i genitori (di cui questi ultimi non hanno colpe, e che può essere considerato assolutamente normale in situazioni di tal genere) hanno portato ad un peggioramento della salute mentale. In particolare, gli adolescenti hanno riferito una preoccupazione maggiore per le restrizioni del governo volte a contenere la diffusione del virus, piuttosto che per il virus stesso (Magson et al., 2021), e tali apprensioni risultano associate all’aumento di ansia e sintomi depressivi e alla diminuzione della soddisfazione di vita.

lavoro da remoto, la didattica a distanza, ma anche dall’interruzione dei normali ritmi circadiani (la quarantena influisce sulla struttura delle giornate dei bambini e degli adolescenti), dalla perdita del lavoro o dalle difficoltà economiche per molti cittadini adulti e dalla necessità di ridurre lo stress emotivo dovuto a tutte queste difficoltà (Ettman et al., 2020). Per quanto riguarda quest’ultimo punto, tra le varie strategie utilizzate tra i giovani, troviamo un utilizzo eccessivo dei giochi online e offline, dei social media e della pornografia, soprattutto in orari notturni (andando così ad alterare ulteriormente il ciclo sonno-veglia) e come sostituto di altri comportamenti comunque dannosi, quali ad esempio l’assunzione di alcol o droghe (Sinclair et al., 2021). L’uso di Internet riduce il tempo speso per svolgere altre attività, benefiche, e può influire negativamente sulla salute emotiva e sul benessere psicologico dei ragazzi (Kiraly et al., 2017): l’utilizzo problematico di tale Le inquietudini dei ragazzi hanno strumento durante la pandemia è stato riguardato soprattutto l’interruzione associato a depressione, delle attività e delle interazioni sociali. ansia ed altri problemi di salute (Giardina et al., Il gruppo dei pari rappresenta spesso 2021). Da strategia per ridurre sentimenti il principale punto di riferimento degli ed emozioni negativi, dunque, esso può adolescenti, il fulcro della connessione facilmente diventarne la causa, andando sociale e dello sviluppo dell’identità così ad instaurare un complesso circolo personale (Meeus et al., 1995); per vizioso. questo motivo, la chiusura delle scuole Accanto all’aspetto ludico dei social e la restrizione di tutte o quasi le attività media, non va inoltre dimenticato sociali hanno fatto sì che, in aggiunta ad il loro ruolo nella trasmissione di ansia e depressione, bambini e ragazzi informazioni (non sempre veritiere sperimentassero anche livelli elevati di e non correttamente verificate): se irritabilità, rabbia, noia, paura e stress in altre situazioni questa funzione (Panchal et al., 2021). assume una valenza positiva (i ragazzi Il lockdown ha così favorito, nei possono imparare ad informarsi giovani, l’emergere di nuove condizioni autonomamente e acquisire un ricco psichiatriche ed il peggioramento di bagaglio di conoscenze grazie alla rete), quelle già esistenti, in particolar modo dei durante la pandemia il sovraccarico disturbi alimentari (Graell et al., 2020). di notizie negative e la costante Le limitazioni alla mobilità e le esposizione ad esse ha contribuito disposizioni relative al restare in casa a peggiorare le condizioni di salute hanno fatto sì, inoltre, che aumentasse il mentale, aumentando i livelli di ansia tempo trascorso davanti al pc o ad altri e stress. Durante l’isolamento questa dispositivi mobili, un fattore di rischio “infodemia” è entrata con ancora più importante per l’emergere di condizioni forza nella nuova routine di quasi tutti di disagio psichico (Biljana et al., 2022). noi, caratterizzata da un utilizzo inusuale L’utilizzo maggiore di internet è stato e spesso eccessivo di tv e smartphone. infatti favorito da disposizioni quali il È bene sottolineare nuovamente che METE MAGAZINE

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i genitori non hanno alcuna colpa: le difficoltà che tale pandemia ha portato con sé sono pervasive e colpiscono tutti i membri della famiglia, dai più giovani ai più anziani. Va considerato l’impatto altamente stressante che le situazioni legate all’emergenza e la loro gestione (lockdown, didattica a distanza, lavoro agile, diffusione del virus ecc.) hanno avuto ed hanno su tutti noi, in misura diversa nel corso del tempo. Poiché l’isolamento sociale e lo stress interpersonale ed emotivo durante l’adolescenza possono essere precursori di patologie mentali croniche, i genitori e gli insegnanti potrebbero aiutare i ragazzi a trovare metodi alternativi

per mantenere reti e relazioni sociali, monitorare eventuali segni di disagio, soprattutto attraverso la comunicazione con loro, fornire ambienti domestici e di apprendimento positivi e di supporto e coinvolgere tempestivamente i professionisti della salute mentale. Ci auspichiamo che anche da parte del Governo italiano ci sia un’attenzione maggiore al tema della salute mentale, fin ora completamente trascurato nonostante il periodo estremamente complesso, accompagnata da soluzioni concrete ed efficaci per garantire facile accesso alle cure psicologiche a tutta la popolazione.

BIBLIOGRAFIA American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. 5th ed. American Psychiatric Association; 2013. Biljana Gjoneska, Marc N. Potenza, & co. Problematic use of the internet during the COVID-19 pandemic: Good practices and mental health recommendations, Comprehensive Psychiatry, Volume 112, 2022. D.L. Sinclair, W. Vanderplasschen, S. Savahl, M. Florence, D. Best, S. Sussman. Substitute addictions in the context of the COVID-19 pandemic, J Behav Addict, 9 (4) (2021), pp. 1098-1102. Ettman, C.K., Abdalla, S.M., Cohen, G.H., Sampson, L., Vivier, P.M., Galea, S. Prevalence of depression symptoms in US adults before and during the COVID-19 pandemic, JAMA Netw Open, 3 (9) (2020). Giardina, A., Di Blasi, M., Schimmenti, A., King, D., Starcevic, L., Billieux, J. Online gaming and prolonged self-isolation: evidence from Italian gamers during the COVID-19 outbreak, Clin Neuropsychiatry, 18 (1) (2021), pp. 65-74. Golberstein E, Wen H, Miller BF. Coronavirus disease 2019 (COVID-19) and mental health for children and adolescents. JAMA Pediatr. 2020;174(9):819-820. Graell M, Morón-Nozaleda MG, Camarneiro R, Villaseñor Á, Yáñez S, Muñoz R, Martínez-Núñez B, Miguélez-Fernández C, Muñoz M, Faya M (2020) Children and adolescents with eating disorders during COVID-19 confnement: difculties and future challenges. Eur Eat Disord Rev 28:864–870. Loades ME, Chatburn E, Higson-Sweeney N, et al. Rapid systematic review: the impact of social isolation and loneliness on the mental health of children and adolescents in the context of COVID-19. J Am Acad Child Adolesc Psychiatry. 2020;59(11):1218-1239. Lu W. Adolescent depression: National trends, risk factors, and healthcare disparities. Am J Health Behav. 2019;43(1):181-194. Magson, N.R., Freeman, J.Y.A., Rapee, R.M. et al. Risk and Protective Factors for Prospective Changes in Adolescent Mental Health during the COVID-19 Pandemic. J Youth Adolescence 50, 44–57 (2021). Meeus W, Dekovic M (1995) Identity development, parental and peer support in adolescence: results of a national Dutch survey. Adolescence 30:931–945. O. Király, P. Sleczka, H.M. Pontes, R. Urbán, M.D. Griffiths, Z. Demetrovics. Validation of the tenitem Internet Gaming Disorder Test (IGDT-10) and evaluation of the nine DSM-5 internet gaming disorder criteria, Addict Behav, 64 (2017), pp. 253-260. Panchal, U., Salazar de Pablo, G., Franco, M. et al. The impact of COVID-19 lockdown on child and adolescent mental health: systematic review. Eur Child Adolesc Psychiatry (2021). Racine N, McArthur BA, Cooke JE, Eirich R, Zhu J, Madigan S. Global Prevalence of Depressive and Anxiety Symptoms in Children and Adolescents During COVID-19: A Meta-analysis. JAMA Pediatr. 2021, 175(11):1142–1150. Sinclair DL, Vanderplasschen W, Savahl S, Florence M, Best D (2021). Sussman S. Substitute addictions in the context of the COVID-19 pandemic. J Behav Addict, 9(4), 1098–102. Tiirikainen K., Haravuori H., Ranta K., Kaltiala-Heino R., Marttunen M. Psychometric properties of the 7-item Generalized Anxiety Disorder Scale (GAD-7) in a large representative sample of Finnish adolescents. Psychiatry Res. 2019; 272, 30-35. UNICEF (2021). Salute mentale e benessere dei bambini dopo quasi un anno di restrizioni per il COVID-19. Disponibile in: https://www.unicef.it/media/salute-mentale-e-benessere-dei-bambinidopo-quasi-un-anno-di-restrizioni/

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09 Le conseguenze della guerra in Ucraina

La guerra non stabilisce chi ha ragione, ma solo chi sopravvive.

Bertrand Russell i talenti e i frutti vinicio paselli ph: freepik

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La Russia, a seguito dell’invasione dell’Ucraina, ha assistito a un congelamento

Queste società hanno sospeso le vendite e inevitabilmente ci saranno dei licenziamenti, ma degli investimenti da è probabile che intervenga il governo russo con parte di numerose società nazionalizzazioni. Il risultato delle nazionalizzazioni spesso è misto: si salvaguarda l’occupazione ma multinazionali, fra cui Ikea, i profitti si trasformano in perdite e l’occupazione non diventa mai qualificata, ossia i salari stessi Nike, H&M, Volkswagen. restano fermi. In uno scenario di guerra, di inconvertibilità sostanziale del rublo russo, è ipotizzabile un’inflazione molto elevata che erode il potere d’acquisto di risparmi, investimenti, salari stessi. L’UE ha bloccato l’accesso della Russia alle nuove tecnologie occidentali, e oggi sappiamo che il progresso tecnologico è ormai una delle poche fonti di crescita economica. La Cina aiuterà quasi sicuramente la Russia da questo punto di vista, con un certo ritardo temporale e con un potere limitato. Per fare uno dei tanti esempi possibili, c’è una società spagnola, neanche quotata, che produce vestiti che resistono alle macchie facendo scivolare il materiale estraneo, fanno respirare il vestito, sono antibatterici e antivirali, possono essere lavati a mano e a freddo senza uso di detersivi e tante altre qualità. Una tecnologia simile è difficile da copiare e c’è il brevetto; in un contesto di sanzioni alla Russia permanenti sarà impossibile anche in futuro. La chiusura dello spazio aereo comporta altri danni ai russi che vogliono viaggiare e ai dipendenti delle compagnie aeree e dei tour operators. Vale lo stesso discorso per le importazioni di alimentari, in assenza dei quali vi sarà una fiammata inflazionistica considerevole. Gli esempi sono infiniti. Le stime sul PIL russo sono variabili ma indicano tutte due anni di recessione, che potrebbe essere cumulativamente nell’ordine del 14% del PIL a fine 2023.

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