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Liberazione Gli ebrei
Liberazione
GLI EBREI
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Liberazione è anche ritrovare il proprio nome. «Il 21 aprile 1945, dopo due anni, potemmo tornare a chiamarci Jacchia. Avevo 19 anni. Ho ancora nel cassetto i documenti falsi con sopra scritto Rossini. Mio padre lo catturarono con questo cognome. E non abbiamo mai saputo dov’è il suo corpo.»
La signora Adriana Olivo è morta nel 2019. Era figlia di Mario Jacchia, Medaglia d’oro, capo partigiano. Avvocato. Ebreo. Portare il suo cognome era doppiamente pericoloso. Persino per la moglie e le due figlie, cattoliche. Come era irrilevante che gli Jacchia fossero da sempre liberi pensatori. Atei.
«Con le leggi razziali, nel ’38 tolsero a mio padre molti diritti come avvocato. Il brevetto da pilota. Noi ragazze tememmo di non potere più andare a scuola. Ci volevano cinque ottavi di sangue ariano. Non andammo più in villeggiatura. Dovemmo licenziare la cameriera. Io avevo 12 anni… i miei genitori stettero ben peggio.» Prima dei nazisti, i fascisti avevano già preparato il campo. Nel ’38 dovettero lasciare la cattedra all’università undici docenti: Tullio Ascarelli, Alberto Mario Camis, Gustavo Del Vecchio, Emanuele Foà, Guido Horn D’Arturo, Beppo Levi, Rodolfo Mondolfo, Maurizio Pincherle, Beniamino Segre,
Giulio Supino, Edoardo Volterra. Studenti furono allontanati dalle scuole. Nella biblioteca universitaria i libri scritti da ebrei dovevano portare sulla copertina la dicitura in rosso «Lib.Sg.», «libro sgradito». Via de’ Giudei divenne via delle Due Torri.
Quando, il 7 novembre 1943, i tedeschi fecero la prima retata, si trovarono già pronta la lista. Il questore, Saverio Polito, proclamò che «il popolo appoggia con tutte le sue forze» le nuove disposizioni, in realtà i bolognesi non si comportarono da infami, non denunciarono: coprirono, aiutarono. Soltanto tre locali esposero il cartello che vietava l’accesso agli ebrei, ben poche furono le scritte antisemite sui muri. Quando, nel maggio 1942, venne decretata la precettazione per il lavoro coatto per tutti gli ebrei, il medico provinciale Francesco Addari fece «il possibile per dichiarare un numero assai esiguo come adatti». Reazione della Comunità israelita, compatta nel tentativo disperato di solidarietà. Erano 864 gli ebrei a Bologna l’8 settembre 1943. In 84 non sopravvissero alle persecuzioni. Non ce la fecero Leone Alberto Orvieto, rabbino dal 1899, e la moglie Margherita Cantoni.
La strada del tempio oggi è intestata a Mario Finzi: era un giovane magistrato, «musicista bolognese» lo dipinse Primo Levi, con la Delasem fece funzionare una macchina di assistenza finché fu catturato e deportato in Germania: morì ad Auschwitz. Altri scelsero la lotta armata. Franco Cesana era il più giovane partigiano d’Italia. Aveva 13 anni quando cadde in combattimento: a sette lo avevano espulso da scuola, aveva continuato le elementari nelle aule improvvisate nella sinagoga. Aveva seguito il fratello maggiore nelle brigate di Giustizia e Libertà. Ora anche lui è una scuola
elementare in via Guardassoni. È la foto di un bimbo nel sacrario di piazza Nettuno.
L’avvocato Jacchia era già stato ferito nel Ventennio, suo padre Eugenio aggredito. Lo studio in via d’Azeglio devastato. Liberi pensatori per scelta, ebrei per nascita. Eroi nella Prima guerra mondiale, fascisti con Leandro Arpinati, un’illusione durata poco. L’antifascismo sempre più marcato, coraggioso. Giustizia e Libertà.
Poi l’intellettuale, orgoglioso di essere stato ufficiale alpino, riprese le armi: il Partito d’Azione, divenne uno dei luogotenenti di Ferruccio Parri. «I tedeschi lo vennero a cercare il 3 novembre ’43. – raccontava la signora Adriana – Bartolo Nigrisoli lo nascose la prima notte. Anche noi donne quel giorno lasciammo Bologna.» Valeria, la sorella più grande, fu staffetta a Montefiorino.
Mario lo catturarono il 3 agosto ’44 a Parma, si attardò per distruggere documenti. Torturato. Scomparso.
La Liberazione arrivò a Maranello, il 21 aprile. «Poche ore dopo a Bologna. Un fratello di mio padre in divisa da ufficiale medico arrivò con la Brigata ebraica. Mi chiesero se volevo andare in Israele. No, voglio casa mia, a Bologna. Avevo lasciato il Galvani alla prima liceo, avevo perso due anni. Feci la Maturità grazie a una legge di aprile. Non sapevo niente.» «Tu la storia l’hai vissuta», le disse il professor Giorgio Bonfiglioli. Un signore che fece politica nel Pri, visse con lo stipendio di insegnate, fu consigliere in Comune. Lo fecero presidente dell’Istituto della Resistenza dal 1982 fino alla morte, dieci anni dopo. Unico onore. Liberazione è anche una vita così.