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Papi, artigiani, inventori, ribelli La città del tempo
Papi, artigiani, inventori, ribelli
LA CITTÀ DEL TEMPO
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Giuseppe Fini, il mastro artigiano che rifece camminare l’orologio di palazzo d’Accursio. Auro Montanari, uno dei più grandi collezionisti ed esperti di orologi da polso: come John Goldberg ha scritto in inglese libri-culto nel mondo, è riferimento di grandi marche produttrici e case d’aste, «One of the world’s most important (and elusive) watch collectors», lo riverisce “Roob Report”, rivista internazionale di tutti i lussi, “an autority”.
In Santo Stefano, fra la piazza e i negozi della via, scivola la storia ultima di Bologna città del tempo. Fra piccole botteghe e immense nicchie, uno scorrere continuo di lancette.
Di Montanari, raffinato signore giramondo, “Robb Report” ha fatto persino l’entusiasta traduzione in inglese di nome e cognome: Auro per Gold, Oro, Montanari per Highlanders. Gold Highlanders. Lui passeggia per i portici, se ne sta nell’ombra, “shadow” per la ricca rivista, e sorride lontano. «Scelsi uno pseudonimo un poco per difendere la mia vita quotidiana, un poco per divertimento. Sono figlio di commercianti d’arte, scelsi gli orologi da polso perché sono gli unici oggetti da collezione portatili. L’ora la leggi ormai sullo smartphone.» È il Lord of the Time.
Giuseppe Fini, andatosene nel 2019 a 86 anni, era il maestro artigiano con il camice, le mani, la saggezza e gli
occhi da mago degli ingranaggi. Nel 1979, l’economo del Comune lo chiamò per “mettere a posto” l’orologio montato nel 1773 da Rinaldo Gandolfi sulla quattrocentesca torre di piazza Maggiore: si fermava, rimaneva indietro.
«Ho rifatto tutti i pezzi. – raccontava – Ho tribolato per il tornio della ruota, ci sono due pesi, da 97 chili e 3 quintali. Ho messo un collegamento elettrico che dà la carica quattro volte al giorno, un orologio al quarzo per trasmettere il suo segnale a quello del palazzo, un meccanismo per la lubrificazione e una stufa perché il freddo fa male agli ingranaggi.» Da allora la sua famiglia cura l’Orologio della Città. Un assessore chiese di spegnere il rintocco dalle nove di sera alle sette di mattina perché i clienti degli alberghi si lamentavano.
Piccoli fiori di una storia grande. Bologna è la città del tempo. Le sue ore sono diventate semi, linguaggi, leggi, segni, svolte che hanno scandito la storia.
Ha la più antica università del mondo. Dal 1088. A consacrarne la nascita, 800 anni dopo, fu uno dei suoi professori, Giosuè Carducci, il primo Nobel italiano per la Letteratura. La data è stata accettata universalmente.
Bologna è stata la prima a salutare una donna che saliva in cattedra: nel 1239, Bettisia Gozzadini, maestra di quel diritto al mondo. Per prima ha liberato i servi della gleba: era il 1257. Nel 1530 un papa, Clemente VII, qui ha incoronato Carlo V, l’imperatore sui cui domini non tramontava mai il sole. E nel 1898, Guglielmo Marconi ha lanciato il linguaggio oltre i confini del tempo e dello spazio: ecco il telegrafo senza fili, la radio.
Grandi avventure e grandi drammi. Voci dei tempi. Urla. L’orologio della stazione ferroviaria è fermo alle 10:25 del 2
agosto 1980, quando una bomba uccise 85 persone, 200 ne ferì. La strage più orrenda d’Italia.
San Francesco e San Petronio, il patrono d’Italia e quello di Bologna, si celebrano lo stesso giorno, il 4 ottobre. Fu un papa a conservare quella comunanza. Gregorio XIII, pontefice bolognese, rinnovò il calendario e fu la Riforma Gregoriana: nell’anno 1582 cancellò, dopo oltre quindici secoli, il calendario giuliano di Giulio Cesare.
Ad attuare la rivoluzione si erse il bolognese Ugo Boncompagni, di famiglia borghese, dottore in Giurisprudenza e poi per otto anni docente all’università, sacerdote a quarant’anni, con un figlio nella vita precedente. Da papa, con il suo calendario volle creare una voce che unisse e indicasse le strade. Recuperò il ritardo dei giorni ufficiali sul corso del sole, conciliò date e fenomeni astronomici, conoscenze scientifiche e liturgie unificanti per la cristianità frantumata dalla Riforma protestante, anno civile e anno tropico, il giorno di San Francesco e il giorno di San Petronio. Fece partire il suo calendario il 4 ottobre 1582: stabilì che in quell’anno a quel giorno, un giovedì, seguisse venerdì 15 ottobre. Recuperò dieci giorni, salvò i santi.
Quasi cinque secoli dopo un altro bolognese, molto meno potente e tanto diverso, divenne anche lui signore del tempo. Quirico Filopanti, nato a Budrio con il nome vero di Giuseppe Barilli, nel 1858 fu il primo a proporre al mondo i fusi orari. Laureato in Matematica, divenne professore di Meccanica e Idraulica all’università, perse la cattedra perché rifiutò il giuramento al re. Fu garibaldino, repubblicano, segretario dell’Assemblea che a Roma, nel 1849, aveva dichiarato decaduto il potere dei papi e proclamato la Repubblica. Aveva pensato di suddividere idealmente la
Terra in corrispondenza dei meridiani in 24 zone, a ognuna delle quali avrebbe dovuto corrispondere un orario. Fino ad allora si usava l’ora solare locale (media o vera), che produceva un orario leggermente differente persino da città a città. Filopanti-Barilli non trovò aiuto né negli Stati nazionali né nelle istituzioni economiche. L’introduzione dei fusi viene attribuita a Sandford Fleming, che l’applicò alle ferrovie canadesi di cui era ingegnere capo. Filopanti morì in povertà nel 1894. Lo ricorda un viale. Gli è stato dedicato un asteroide, 21687 Filopanti.
Benvenuti a Bologna.