Msoi the post Numero 2

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MSOI thePost

13 - 20 Novembre

Il settimanale di politica internazionale di MSOI Torino


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MSOI Torino

M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Giulia Marzinotto, Segretario MSOI Torino

MSOI thePost

MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di MSOI Torino, desidera proporsi come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulterà riconoscibile nel mezzo di informazione che ne sarà l’espressione: MSOI thePost non sarà, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost

REDAZIONE: DIRETTORE Jacopo Folco CAPOREDATTORE Alessia Pesce CAPI SERVIZIO Rebecca Barresi, Sarah Sabina Montaldo, Silvia Perino Vaiga AMMINISTRAZIONE E LOGISTICA Emanuele Chieppa e Davide Tedesco REDATTORI Sara Corona, Daniele Lasagni, Giulia Mogioni, Silvia Peirolo, Jessica Prieto, Francesco Raimondi, Chiara Zaghi, Timothy Avondo, Lucky Dalena, Lorenzo Gilardetti, Jean-Marie Reure, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Martina Terraglia, Giusto Amedeo Boccheni, Emanuele Chieppa, Simona Graceffa, Tiziano Traversa, Carolina Quaranta, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Emanuel Pietrobon, Fabrizio Primon, Silviu Rotaru, Leonardo Scanavino, Stefano Bozzalla, Daniele Pennavaria, Sara Ponza, Benedetta Albano, Giada Barbieri, Federico Camurati, Matteo Candelari, Federica Allasia, Michele Rosso, Fabio Saksida, Erica Ambroggio, Alessandro Dalpasso, Luca Negro, Silvia Perino Vaiga, Francesco Turturro. EDITING Lorenzo Aprà Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA

7 Giorni in 300 Parole

PORTOGALLO 11 giorni dopo il suo insediamento cade il governo di centrodestra del Premier socialdemocratico Passos Coelho. Bocciato il programma pro-austerità dell’esecutivo dall’opposizione socialista e dei partiti di sinistra con 123 voti contrari su 230. Gli scenari che ora si aprono sono molteplici: eleggere un governo di coalizione presieduto dal leader dei socialisti Antonio Costa oppure mantenere l’attuale esecutivo fino alle prossime elezioni (che però non si terranno prima di sei mesi). In entrambi i casi, si evoca uno scenario di incertezza per i mercati, preoccupati da un possibile revirement delle politiche economiche. Antonio Costa ha dichiarato che la nuova coalizione di sinistra “garantirebbe le condizioni di un’amministrazione stabile”. L’attuale governo ritiene invece che il Portogallo rischierebbe così di trasformarsi in una nuova Grecia. (foto)

GRAN BRETAGNA 4 sono le richieste britanniche, da negoziarsi con i rappresentanti delle ventisette capitali europee, che ieri hanno viaggiato alla volta di Bruxelles, più precisamente dell’ufficio di Donald Tusk. Le perplessità inglesi sono da tempo note, ma da ieri hanà no il crisma dell’ufficialit

DEAR DON, …

di Federico Camurati Flessibilità: è la parola chiave della lettera che il primo ministro britannico David Cameron ha indirizzato al Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e che alcuni giornali britannici hanno prontamente soprannominato “Dear Don” a causa del suo incipit piuttosto informale. Nella missiva, Cameron sintetizza le quattro condizioni che Londra chiede a Bruxelles per scongiurare il pericolo di un’uscita dall’Unione europea. Tra i temi principali: stimolare la competitività economica dell’Unione, tutelare lo status dei Paesi non-euro, prevedere una clausola di opt-out per chiamarsi fuori da futuri trattati che rafforzino l’unità europea e, dulcis in

fundo, forti limitazioni all’accesso al welfare britannico per chi si trasferisce oltremanica pur vantando la cittadinanza europea. John Crace del Guardian li ha tradotti così: “Potete essere così gentili da non escluderci dalle trattative commerciali? Possiamo stare un po’ più lontani, ma rimanere comunque buoni amici? Potete bloccare gli europei dell’est dall’inondare i nostri supermercati di birre scadenti?”

Quest’ultimo punto è quello più controverso, nonché palesemente in violazione del principio fondamentale di libera circolazione dei cittadini europei negli stati dell’Unione (e per le birre…delle merci). E’ chiaro che quella di Cameron sia anche una mossa di politica interna: se è vero che la minaccia del partito euroscettico e populista UKIP sembra arginata a seguito della clamorosa vittoria elettorale dei Tory, il rischio di spaccare il partito, per via della forte resisten za dei backbenchers conservatori anti-Europa, è dietro l’angolo. Cameron sa bene che il Regno Unito ha bisogno dell’Europa e, diciamo, anche l’Europa ha bisogno del Regno Unito. Da un lato, infatti, sono già parecchie le società che minacciano di lasciare la City in caso di uscita dall’Unione e la Scozia non aspetta altro per indire un nuovo referendum sull’indipendenza. Dall’altro lato, Londra costituisce il canale privilegiato dei rapporti UE-USA e, inoltre, la Brexit genererebbe un precedente politico e giuridico pericoloso, visto che i movimenti antieuropei non sono presenti solo in UK, anzi, tutt’altro. Il Regno Unito, inoltre, sebbene non sia il più appassionato fan dell’integrazione europea, rappresenterebbe probabilmente, proprio per questo, un importante contrappeso rispetto agli interessi degli altri grandi Paesi continentali in vista delle future ed inevitabili riforme delle istituzioni europee.

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“Del tutto fiduciosa” si è detta Angela Merkel ed anche il premier britannico Cameron ha affermato che “La missione non è impossibile”, sebbene sia chiaro che dal risultato del summit europeo dipenderà la decisione di Downing Street se sollecitare o meno il “no” all’ipotesi brexit. SVEZIA 200.000 i migranti previsti solo per quest’anno. Con una popolazione di 9,7 milioni, la Svezia è uno dei Paesi europei che si trova più in difficoltà. Anders Ygeman, ministro degli interni, ha annunciato che la Svezia introdurrà “controlli temporanei” alle frontiere che dureranno fino al 21 Novembre. “La Svezia non potrà più garantire un alloggio a tutti coloro che verranno. A chiunque arriverà verrà detto che non c’è nessun posto dove poter stare”, ha detto il ministro Johansson.

SPAGNA 5 mesi per la pronuncia sul merito della Corte costituzionale che ha deciso all’unanimità di dichiarare ricevibile il ricorso del governo e di sospendere in forma cautelare la mozione con la quale il Parlamento di Barcellona ha dichiarato aperto il processo verso l’indipendenza della Catalogna. Notificato ai membri del Parlamento catalano, qualora non rispettino la sospensione, la sottoposizione ad azioni legali e la sospensione dalle cariche.

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a cura di Fabio Saksida

DESCONEXIÓN DEMOCRÀTICA

Il sogno “secessionario” di Artur Mas sta per diventare realtà? di Federica Allasia I sostenitori dell’indipendentismo catalano non scorderanno facilmente il 9 novembre 2015, giornata storica per il Parlamento di Barcellona, che con 72 voti su 63 ha approvato una mozione con cui si sancisce “l’inizio del processo di creazione dello Stato catalano indipendente in forma repubblicana”. La risoluzione, espressione di una spaccatura insanabile con il governo di Madrid, è stata presentata dai due partiti secessionisti Junts Pel Sì e Candidatura d’Unitat Popular (CUP), che detengono la maggioranza assoluta dei seggi dopo la vittoria netta conseguita alle elezioni regionali dello scorso 27 settembre. Il presidente catalano uscente Artur Mas, che ha promesso di portare la Catalogna all’indipendenza già dal 2017 senza peraltro tener conto delle deliberazioni contrarie provenienti dalle istituzioni spagnole considerate espressione di un ormai anacronistico “orgoglio imperiale”, ha chiesto al parlamento di Barcellona di essere rieletto, così da guidare la fase “costituente” di 18 mesi necessaria per la creazione del nuovo stato indipendente. Il risultato del voto, accolto da un lungo applauso da parte dei deputati secessionisti e dalle proteste dei popolari di Rajoy che hanno esposto in aula le bandiere spagnole, ha avuto immediate ripercussioni economiche: dopo l’approvazione

della mozione, lo spread della Spagna si è riavvicinato alla soglia dei 130 punti base e il differenziale tra Bonos e Bund è salito a quota 128 punti base, rivedendo i massimi da fine settembre scorso. Le conseguenze dell’eventuale indipendenza catalana sarebbero peraltro ancor più gravi: la Spagna perderebbe circa il 16% della propria popolazione e soprattutto una delle regioni più ricche ed industrializzate del Sud Europa (nella regione catalana vengono infatti realizzati il 20% del Pil spagnolo e il 23% della produzione industriale nazionale). Immediata la replica del premier Mariano Rajoy, il quale, forte dell’appoggio dell’opposizione socialista e dei centristi di Ciudadanos, ha dichiarato che la mozione non avrà alcuna conseguenza politica e ha intrapreso un’azione legale contro il Parlamento di Barcellona rivolgendosi alla Corte costituzionale con l’intenzione di impugnare il provvedimento per manifesta incostituzionalità e ottenendo l’11 novembre la tempestiva risposta dell’organo di garanzia, che all’unanimità ha dichiarato ricevibile il ricorso del governo, sospendendo automaticamente l’applicazione della risoluzione in attesa di una sentenza definitiva. Al momento la certezza risulta dunque essere una sola: numerosi sono ancora i nodi da sciogliere prima che sulla questione possa esser scritta la parola fine.


7 Giorni in 300 Parole

USA

GLI STATI UNITI ARMERANNO I DRONI ITALIANI Concluso l’accordo da 129,6 milioni di dollari tra Stati Uniti e Italia. Gli americani armeranno con missili Hellfire, bombe a guida laser e altre munizioni, i due droni MQ-9 Reaper acquistati dal Governo italiano nel 2009 ed usati finora a scopo di sorveglianza in Iraq, Afghanistan e Libia. Il sì del Pentagono fa dell’Italia il secondo Paese, insieme a Gran Bretagna, dotato di un simile armamento bellico. Improbabile il “no” del Congresso. XL KEYSTONE : NO DI OBAMA “Non è negli interessi dell’America” per Barack Obama il progetto XL Keystone, presentato in precedenza dal Partito Repubblicano e approvato dal Congresso. Questo colosso avrebbe dovuto potenziare la pipeline di collegamento tra Canada e Golfo del Messico, e incentivare, secondo alcuni, l’indipendenza energetica degli Stati Uniti. Assunti non condivisi dall’amministrazione Obama, intenzionata a portare avanti la propria politica ambientalista a poche settimane dal Summit ONU di Parigi sul clima. (foto)

PROVE DI DIALOGO PER OBAMA E NETANYAHU

Di Silvia Perino Vaiga Un incontro definito “eccellente” dal Primo Ministro israeliano, ma descritto come “semplicemente OK” dalla Presidenza americana. Stride il contrasto tra le dichiarazioni di Barack Obama e Benjamin Netanyahu all’indomani del loro meeting del 9 Novembre scorso a Washington: il primo tra i due leader in 13 mesi. Un periodo lungo, ma soprattutto denso di avvenimenti che hanno rischiato di minare le basi della partnership tra Stati Uniti e Israele: primo fra tutti lo storico accordo sul nucleare iraniano siglato nel luglio scorso, sul quale Netanyahu non ha mai mancato di esprimere un più che acceso disappunto. Incertezza, ma anche grande aspettativa, hanno dunque caratterizzato la vigilia del meeting. Perché il Primo Ministro Israeliano entrava alla Casa Bianca con un obiettivo preciso: strappare a Obama la promessa di un nuovo, sostanzioso pacchetto di aiuti per Israele. Una sorta di assicurazione contro il rischio di attacchi da un Iran che si profila ora più che mai minaccioso agli occhi di Gerusalemme. Oggi Israele riceve da Washington 3.1 miliardi di dollari all’anno sotto forma di aiuti.

Secondo fonti governative statunitensi, Netanyahu punterebbe ad assicurarsi invece un pacchetto da 5 miliardi di dollari annui per i prossimi 10 anni. In un momento in cui si trova a fronteggiare un Congresso particolarmente critico, Obama potrebbe aver bisogno di navigare in acque calme, e forse anche per questo si è mostrato particolarmente aperto alle richieste della controparte. Senza però dimenticare di mettere sul tavolo le sue condizioni: l’impegno israeliano nel processo di pace in Medio Oriente e, soprattutto, il riconoscimento da parte di Netanyahu della two-state solution come unica via alla risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Lo smaccato entusiasmo israeliano sull’incontro potrebbe essere dunque dettato da una volontà di corteggiare Washington. Va da sé che la speculare cautela di Obama è quella di chi, corteggiato, vuole comunque assicurarsi spazi di manovra. Ciò che è certo è che tra un mese una delegazione statunitense visiterà Israele per discutere il rinnovo del pacchetto di aiuti: solo allora si potrà valutare lucidamente l’esito del ritrovato dialogo tra le due leadership.

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NETANYAHU – OBAMA: UNA NUOVA INTESA Durante l’atteso incontro tra Obama e Netanyahu, per la prima volta faccia a faccia dopo le tensioni sul nucleare iraniano, il presidente americano ha dichiarato: “La sicurezza di Israele è la mia priorità”, rassicurando il Premier israelinao, che punta ad innalzare da 3 a 5 miliardi gli aiuti militari USA. Scambi di opinioni anche su Siria e Palestina. Contrariamente a pochi mesi prima, Netanyahu dichiara: “Non ho rinunciato alla soluzione due Stati per due popoli.” IL QUARTO DIBATTO DEL GRAND OLD PARTY Gli otto canditati del Grand Old Party si sono confrontati nel quarto dibattito andato in onda su Fox Business Channel. Crisi migranti, politica estera ed economia i temi più discussi. Quella di Donald Trump è stata, secondo i media, la performance peggiore, con la proposta di costruire un muro che divida gli Stati Uniti dal Messico. In ascesa, invece, Marco Rubio e Ted Cruz, grazie a preparazione ed energia. Il Washington Post: “I candidati repubblicani sono diventati seri martedì sera, mettendo da parte gli attacchi personali a favore di un’animata discussione”. (foto) a cura di Erica Ambroggio

UN ANNO E CINQUE CANDIDATI: CORSA ALLA NOMINATION DEM Di Alessandro Dalpasso Hillary Clinton, Bernie Sanders, Martin O’Malley, Lincoln Chafee e Jim Webb. Questi i nomi dei cinque candidati democrats alla presidenza degli Stati Uniti a meno di un anno dalle elezioni, che si svolgeranno il prossimo 8 novembre. Ma mentre gli ultimi due citati, i senatori Chafee e Webb, sono destinati a svolgere un ruolo di secondo piano fino a un quasi scontato ritiro e l’ex governatore del Maryland O’Malley dovrà sicuramente giocarsi le sue carte nel ruolo di outsider, i due veri papabili alla nomination rimangono la Clinton e il senatore del Vermont Sanders.

Se infatti il suo principale avversario paga le prese di posizione troppo morbide nei confronti della “lobby delle armi” e il suo ruolo di “democraticosocialista” (così infatti si è auto-definito), l’ex Segretario di Stato è stata penalizzata dagli errori di valutazione riguardo la vicenda irachena commessi ai tempi in cui era in carica.

La Clinton è inoltre stata criticata con durezza per la sua ideologia fortemente interventista nell’ambito delle attuali crisi internazionali e ha dovuto giustificare le sue idee a supporto della necessità, da lei percepita come stringente, di una no fly zone su tutta la Siria, tesi questa fortemente contestata, perché ritenuta pericolosa, anche da O’MalA certificare lo stato dell’ar- ley. te delle forze in campo ci ha pensato l’ultimo dibattito te- Nonostante questo e nonolevisivo, andato in onda la stante le indagini condotte sera del 14 ottobre, presenti dai federali sulle e-mail sospette, l’ex first lady, stando tutti e cinque i candidati. La Clinton da allora ha rigua- ai sondaggi, sembra la favoridagnato un netto vantaggio ta per conquistare quello che su Sanders (circa 20 punti un tempo è stato il ruolo del percentuali di media: 43.5% marito Bill. - 23.5%), nonostante i duri colpi subiti in tema di politica estera nel corso del confronto con gli altri candidati.


MEDIO ORIENTE

7 Giorni in 300 Parole

UNCLE ISIS WANTS YOU!

Le strategie comunicative dello Stato Islamico.

EGITTO A dieci giorni dalla tragedia dell’Airbus Metrojet 321, il Ministro degli Interni egiziano annuncia la morte di Ashraf Gharabli, leader delle forze jihadiste nella provincia del Sinai affiliate al gruppo Stato Islamico. Secondo quanto riportato dalle autorità egiziane, Gharabli sarebbe stato ucciso a seguito di una sparatoria al Cairo, dopo il tentativo delle forze di polizia di procedere con l’arresto. Il distaccamento jihadista della provincia aveva recentemente rivendicato la responsabilità dell’attac- Di Lucky Dalena, Martina Il vero cuore della comunicazione di Daesh risiede però co all’aereo russo, il cui schianto ha Terraglia nella capacità di creare una causato oltre 220 vittime. IRAN Per la prima volta dopo la rivoluzione islamica del 1979, è una donna la nuova ambasciatrice iraniana in Malesia. Marzieh Afkham, 50 anni, era già portavoce degli affari esteri dal 2013. Con una carriera diplomatica di oltre trent’anni alle spalle, Marzieh Afkham ha definito “coraggiosa” la scelta del presidente moderato Hassan Rohani. (foto)

simbiosi tra il propagandista e i potenziali militanti. Ciò avviene sfruttando una visione utopistica e la ricerca di un senso di appartenenza: il messaggio veicolato è, infatti, ricco di rappresentazioni ideali della vita nel Califfato. Militari durante i combattimenti, ma anche l’istirah, il riposo bevendo il tè, sono le immagini ricorrenti in Dabiq - il magazine ufficiale dello Stato Islamico. Ci sono altri elementi ricorrenti, come il richiamo alla guerra, alla pietà per coloro che si affiliano più tardi, o la vittimizzazione del movimento stesso, ma il Osservando la loro presenza cardine resta la costruzione sia sui social media sia sui dell’idea di Stato. media tradizionali, è chiaro che il sistema di reclutamen- È chiaro che gli elementi che to si basa fondamentalmente vengono coinvolti manifesu una comunicazione di stano già delle tendenze di successo. ammirazione nei confronti La brutalità delle esecu- dell’organizzazione, e non è zioni, su cui noi occidentali grazie al messaggio veicolaci concentriamo, è solo una to che si genera dal nulla il piccola parte di una struttura sentimento radicale. Il focus studiata con minuziosità. L’a- della comunicazione di ISIS spetto violento e sanguinoso è, piuttosto, il mantenimento di ISIS assolve alla stessa fun- della fedeltà. zione dei riti di guerra tribali, È questo il segreto di ISIS: quella di destabilizzare psi- jihad non solo di spada, cologicamente il nemico. quindi, ma di propaganda. Lo Stato Islamico, ISIS (Islamic State of Iraq and Syria), Daesh o comunque vogliate chiamarlo, è un gruppo militante di ispirazione salafita. Nel giugno 2014, si è autoproclamato califfato nei territori siriani e iracheni, ma ha già mostrato mire espansionistiche. Si stima che i militanti siano circa 200mila. Ma qual è il segreto di questa organizzazione? Al di là del mero coinvolgimento ideologico, cosa attira sostenitori dai Paesi arabi ma anche da tutta Europa?

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GIORDANIA Martedì 10 Novembre un ufficiale giordano ha ucciso 3 istruttori in un centro di addestramento vicino alla capitale. La morte di due contractors americani e di un sudafricano coincide con la decima ricorrenza degli attentati, che causarono più di 60 morti nella stessa data. PALESTINA Un commando israeliano è entrato ieri nell’ospedale Al-Ahli di Hebron per interrogare un sospetto. Muore il cugino che tentava di opporsi all’interrogatorio. (Foto) L’UE impone la dicitura Proveniente da Territori Occupati per i beni esportati dalle colonie israeliane.

DUM AMERICA CONSULITUR, SYRIA EXPUGNATUR di Jean-Marie Reure Un modesto territorio che misura meno dei 2/3 dell’Italia, perlopiù desertico, attira gli interessi delle più grandi potenze mondiali: U.S.A., Europa, Russia, Turchia, Arabia Saudita, Iran e, non da ultima, la Cina. Questi non guardano alla Siria per i suoi tesori archeologici, né per le sue risorse. Evidentemente nemmeno le condizioni della popolazione destano il loro interesse, visto che il bilancio di ottobre dell’Osservatorio siriano sui diritti dell’uomo parla di 250.124 vittime, di cui 74.426 civili, 12.517 bambini e 8.062 donne.

Gli Europei sono in evidente (forse esiziale) panico a causa dell’afflusso di profughi. Erdogan guardava alla Siria con mire espansionistiche, ma ora sembra voler risolvere al più presto il conflitto. La Russia, frattanto, riguadagna la ribalta internazionale dimostrandosi un interlocutore inevitabile, sebbene non privo di interessi geopolitici nella regione. IRAQ Iran e Arabia Saudita fanno Giovedì 12 Novembre le forze cur- fronte comune di fronte

de, supportate dall’aviazione americana, hanno conquistato villaggi attorno alla città di Sinjar - da oltre un anno nelle mani del gruppo Stato Islamico - nel nord del Paese.

a cura di Jean Marie Reure e Samantha Scarpa

all’instabilità che le bandiere nere del Daesh portano con sé (nonostante le rivalità fra Teheran e Ryad si consumino sul terreno yemenita). Xi Jinping attende con occhio vigile, preoccupato che i venti estremisti raggiungano lo Xinjiang. E gli Stati Uniti? Mentre l’attenzione di tutti è rivolta al “carrozzone” di interessi siriano, Washington, in punta di piedi, gioca le sue carte migliori: un accordo sul nucleare iraniano - sostanzialmente bilaterale ratificato dall’ONU e da altri quattro attori significativi; un passo indietro, anche se a metà, rispetto ai fallimenti in Iraq e Afghanistan. All’alleato di sempre, Israele, è stato chiarito che l’America non sarà più così presente nella sua politica di sicurezza. La progressiva indipendenza statunitense dall’oro nero mediorientale e la disponibilità sempre minore a spendere somme esorbitanti in teatri secondari stanno forse incrinando una cinquantennale relazione col medio oriente? E l’ISIL? Anche se SU-34, F-22, F-16 e numerosi elicotteri solcano i cieli della Siria, l’IS, a terra, pare non soffrirne troppo. Il nemico giurato, il mostro contro il quale convergono gli interessi di tutti questi attori, pare invincibile. Muoiono i civili, ne soffrono i ribelli schierati contro Assad, ma gli uomini del Califfato rimangono incolumi. Il 75% dei bombardieri americani però torna alla base senza aver sganciato una bomba.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

CROAZIA Il 9 novembre il centrodestra all’opposizione ha ottenuto un minimo vantaggio alle elezioni politiche in Croazia, ma non tale da poter formare da solo il governo. La coalizione guidata dall’Unione democratica croata (HDZ – conservatori, nda) ha ottenuto 59 deputati, su un totale di 151. I socialdemocratici del premier uscente Milanovic arrivano a una totale parità, motivo per cui tutte e due le coalizioni hanno fatto aperture al partito Most (Il Ponte) che, con 19 deputati, a sorpresa, diviene l’ago della bilancia, in uno scenario che comunque non preclude la possibilità di un governo minoritario o la convocazione di nuove elezioni a gennaio. RUSSIA La Russia avrebbe fatto circolare alle Nazioni Unite un piano di pace per la Siria, in vista della prossima riunione internazionale sulla crisi, in programma il 14 novembre a Vienna. L’agenzia Reuters ha pubblicato una bozza della proposta, che prevede una transizione politica di 18 mesi con la stesura di una nuova costituzione, un referendum popolare ed elezioni presidenziali anticipate. Russia e Iran hanno firmato un contratto il 9 novembre per il rifornimento da parte di Mosca di sistemi missilistici terra-aria. Lo riporta Sergei Chemezov, direttore esecutivo dell’Organizzazione per la difesa Rostec, controllata dal Cremino. Chemezov afferma che i Paesi del Golfo non hanno motivo di essere intimoriti dall’accordo, dal momento che il sistema di cui l’Iran è stato rifornito sarebbe solo difensivo e non in grado di attaccare le nazioni limitrofe all’Iran.

THE FAULT IS IN OUR SKIES One crash, a thousand questions: Sinai crash still an unsolved issue

di Samantha Scarpa Despite more than 10 days have passed since the Airbus 321 fall over the Sinai Peninsula on the 31st October, there is not any official verdict about its causes yet. The suspicion of a terroristic action behind the crash argues with a theory of mechanical and structural failure – or even a pilot error. Both the scenarios would substantially influence not only the forthcoming developments of the touristic industry in Egypt, but also geopolitical decisions about the Islamic State group presence in that area. However, UK and US governments have decided not to wait experts’ responses. Following their intelligence teams, they are claiming “high probability” of a bomb placement among the luggage and therefore backing the terroristic line, as UK foreign secretary Philip Hammond and president of the US Barack Obama publicly reported (The Guardian). Further proofs could come from an incident happened on 23rd August 2015 and kept under silence as yet, when a British flight to Sharm El Sheik had dodged a missile fired 300 meters from the aircraft during - allegedly- a military Egyptian training (L’Express). On the other side, Russian and Egyptian governments show much more caution and care in exposing themselves. Both of them have dismissed

the aforementioned positions as premature, despite US interceptions have reported Russian experts to start believing in a terroristic action (Reuters). Egypt’s foreign minister Sameh Shoukry strongly rejects these interpretations and drifts towards a mechanical flaws line instead. On Thursday even head of the State Al-Sisi flew to Sharmel-Sheik and claimed “full transparency about the inquiry” to the national TV, reaffirming the solidity and the high-level safety of the country. Besides, Russia and Egypt have refused any assistance from the FBI intelligence on Monday (Reuters), even if Egypt has recently accepted U.S. investigators’ asssitance on the spot. At the moment, Russian and British flights to Sharm-elSheik are suspended, and several extra flights are bringing back holidaymakers from a wide range of countries (L’Express). A delegation of French, Egyptian and international experts is investigating on the Airbus black boxes, which seem to have registered a loud noise – probably an explosion - some seconds before the crash (The Guardian). On 10th November CNN has eventually broadcast a report that should confirm the angloamerican point of view. According to the source, it is likely that C4-explosive tracks have been found on the wreckage.

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Due televisioni di stato russe, la NTV e Channel One, hanno trasmesso accidentalmente immagini di documenti confidenziali riguardanti un sistema di armamenti che potrebbe essere installato su sottomarini russi. I piani mostrano missili torpedo che, una volta lanciati sarebbero in grado di creare zone di ampia contaminazione nucleare. Le immagini riguardano l’incontro di lunedì 9 tra Putin e alcuni ufficiali nella città di Sochi. Portavoci del Cremlino hanno confermato la fuga di notizie e non è ancora chiaro come i documenti siano stati messi in onda da canali altamente controllati dal governo. (foto)

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A SPEDIZIONE SIRIANA DI PUTIN di Daniele Baldo

Poche settimane fa la Russia è riapparsa in Medio Oriente con un intervento militare in Siria. Molti analisti hanno spiegato l’operazione guardando alla situazione attuale in cui si trova la Russia, che affronta una generale debolezza economica e al contempo si trova ad avere un’opportunità geopolitica. La prima è generata dalla crisi energetica e dalle sanzioni inflitte da Stati Uniti ed Europa per l’aggressione a cura di Daniele Baldo all’Ucraina, la seconda, che il presidente Putin potrebbe voler sfruttare a suo vantaggio, risiede nell’inefficacia della politica americana nella lotta all’ISIS. Putin starebbe dunque cercando di espandere l’influenza russa nel Medio Oriente, presentando al mondo il ritratto di un Cremlino in grado di ricoprire un ruolo chiave nella risoluzione dei problemi internazionali. La Russia, inoltre, grazie alla Siria vede gli occhi indiscreti dei governi occidentali distogliere il proprio sguardo dall’Ucraina per via dell’incessante flusso migratorio dei profughi che fuggono verso un’Europa sempre più in difficoltà In un simile scenario, i governi occidentali hanno

accusato Mosca di aver preso di mira gruppi di opposizione al governo durante la sua campagna di bombardamenti, ma l’esecutivo russo ha più volte affermato che tutti gli obiettivi colpiti avevano legami con lo Stato Islamico. Alla luce dei fatti, però, Mosca sembra ritenere bersagli legittimi tutti i gruppi armati che si oppongono al regime di Bashar al-Assad, il quale, secondo lo stesso Vladimir Putin, gode di piena legittimità alla guida del governo siriano. Mentre accusa l’occidente di essere miope nel preoccuparsi solo della figura di Assad e non della più grande minaccia dell’ISIS, il presidente russo ritiene che la frammentazione del territorio siriano in più parti non possa essere una soluzione al conflitto, poiché a suo avviso tale divisione renderebbe il clima ancora più instabile e la guerra insanabile. Un recente sondaggio condotto entro i confini russi ha inoltre mostrato come la popolarità di Putin sia cresciuta dopo gli air-strike in Siria fino al 90%: un notevole progresso, se si considera che nel gennaio 2012 la sua figura ottenne solamente il 59% degli apprezzamenti. Daniele Baldo


ORIENTE

7 Giorni in 300 Parole

CINA L’Apocalisse dell’aria - Domenica scorsa il livello di smog calcolato è risultato essere 56 volte più alto di quello che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ritiene essere il massimo sopportabile per l’uomo. La Cina, da anni al centro di discussioni su temi ambientali è ufficialmente il Paese con il più alto tasso di inquinamento registrato al mondo. Il ministro per la tutela ambientale, Chen Jining, ha assicurato che saranno prese misure immediate per fare fronte a un problema di inquinamento che per molti esperti è già in un punto di non ritorno Il presidente cinese Xi Jinping ha incontrato il leader taiwanese Mai Ying-Jeon in uno storico summit che riavvicina la Cina alla sua provincia ribelle. Nonostante l’incontro si sia svolto in modo piuttosto rilassato rispetto al passato, l’opinione pubblica di Taiwan resta ostile ad intrecciare nuovi rapporti con la loro ex madrepatria. Lieve crescita della Borsa e consumi in leggero aumento; la produzione tuttavia continua a calare. Il governo ritarda con la riforma dell’economia concentrandosi su riforme strutturali interne che permettano un maggiore accentramento del potere. Riforme queste volute e sostenute dal presidente Xi Jinping

LA BIRMANIA AD UNA SVOLTA: QUALE?

di Emanuele Chieppa

ostacolata com’è da un quarto dei seggi legislativi Alla Birmania e alla sua garantiti all’Esercito storia recente non può che e da varie difficoltà essere associato il nome costituzionali. della famiglia San Kyi. Il generale Aung San negoziò Molte sfide aspettano il l’indipendenza dal Regno governo, tra cui quella Unito, la moglie Khin Kyi fu della modernizzazione ambasciatrice in India, e, del Paese, ma che infine, la figlia Aung San strada intraprendere? Suu Kyi. Sicuramente c’è chi ha già Premio Nobel per la pace, in mente che cosa vorrebbe medaglia d’oro al Congresso dalla Birmania, ovvero degli Stati Uniti e attivista le sue risorse e la sua politica, ella ha combattuto manodopera. dentro e fuori dal carcere Il Myanmar, come spiega contro la dittatura militare l’Italian Trade Agency che, nonostante il processo nella “Guida per le di civilizzazione avviato imprese italiane al nuovo recentemente, ancora oggi Myanmar “ è un Paese governa il Paese. dalle enormi ricchezze naturali […]. I tremila km In Birmania, nel secondo di coste incontaminate weekend di novembre, più costituiscono un di 30 milioni di cittadini sono interessante presupposto andati alle urne. Secondo per insediamenti turistici gli osservatori dell’UE e infrastrutture portuali. le elezioni si sono svolte Crocevia tra India e Cina, si regolarmente, nonostante trova in posizione strategica le discriminazioni e il fatto nel Sud Est Asiatico, una tra che non tutti i birmani (la le regioni economicamente minoranza musulmana più dinamiche nel contesto Rohingya ne è un esempio) internazionale. godano dei diritti politici. L’ADB stima che il Paese potrebbe mantenere tassi La vittoria, aspettata di crescita del 7-8% per e prevista, è andata al la prossima decade, ed partito Lega nazionale ecco quindi che emergono per la democrazia guidato chiaramente le ragioni da Daw Suu, come viene della ricerca di un nuovo chiamata usando un titolo governo, più aperto e onorifico Aung San Suu “moderno”, che possa Kyi. Tuttavia, la manovra garantire al Paese anche per nominare il Presidente l’acceso al mercato globale anche Capo del governo e alle imprese straniere. è appena cominciata e durerà fino all’inizio 2016,

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MYANMAR Sfida aperta per “The Lady” - Il premio Nobel Aung San Suu Kyi stravince le elezioni governative e guadagna il 70% dei seggi. La donna simbolo della Birmania dovrà formare un governo opponendosi a quel regime militare che nel 1990 le impedì di governare e la fece arrestare. L’ 11 Novembre il capo dell’esercito birmano, Generale Min Aung Hlaing ha invitato agli alti ufficiali delle forze armate a fare del proprio meglio per cooperare con il futuro governo. Tale notizia risolleva gli animi: i sostenitori della democrazia temevano, infatti, una replica delle elezioni del 1990 che avrebbe trasformato una vittoria schiacciante in una vittoria di Pirro.

LE DUE CINE A SINGAPORE

di Giusto Amedeo Boccheni L’intento del Presidente era presumibilmente quello di Al Shangri-la hotel di consolidare una politica Singapore, l’incontro di apertura nei confronti a porte chiuse del 7 del vicino continentale, novembre tra Ma Ying- coltivata dal Kuomintang jeou e Xi Jinping è durato negli ultimi sette anni. appena un’ora. I due si Ciò che però preoccupa il sono rivolti l’un l’altro non PPD è proprio la possibilità con i titoli ufficiali ma con di una normalizzazione dei rapporti con la Cina senza appellativi informali. Mai, da quando, nel 1949, il la necessaria premessa di Kuomintang di Chiang Kai- un riconoscimento politico shek si rifugiò sull’isola di in quanto stato sovrano. Formosa, era accaduto che i leader della Repubblica Tsai Ing-wen, candidata di Cina e della del PPD alle elezioni Repubblica Popolare presidenziali del prossimo a cura di Tiziano Traversa ha criticato Cinese discutessero faccia gennaio, l’opacità dell’operato di a faccia. Ma, che avrebbe, poco a I rapporti diplomatici si sono poco, mosso il popolo verso retti finora sul Consenso il sospetto e la sfiducia governo. Secondo del 1992, con cui i due Paesi nel concordano che esista “una lei, senza i presupposti di una sola Cina”, senza meglio fondamentali democratica, specificare il significato procedura senza trasparenza nel dell’affermazione. flusso di informazioni Ma Ying-jeou, che a e monitoraggio da parte maggio dovrá ritirarsi per della legislazione, non sarà termini di mandato, ha possibile costruire che reso noto l’incontro con un ponte privo di alcun pochi giorni di anticipo, sostegno. suscitando le proteste del Partito Progressista Secondo Xi Jinping, i due D e m o c r a t i c o , popoli sullo stretto sono che parteggia per “una famiglia il cui sangue l’indipendenza dal governo è più denso dell’acqua”. La cinese e che ad oggi “famiglia” cinese, però, raccoglie la maggioranza ha giá dimostrato di non essere unita. Almeno non dei consensi. tanto quanto Xi vorrebbe.


AFRICA

7 Giorni in 300 Parole

BURUNDI Nel Paese si profila lo spettro di un genocidio paragonabile a quello rwandese del ’94 ed è già tragedia: a seguito del terzo mandato assunto illegittimamente dal Presidente Nkurunziza, a capo del partito hutu CNDD-FDD, 200.000 civili di etnia tutsi avrebbero abbandonato le proprie case per tentare di scampare dall’operazione di sterminio denominata Kora Kora (“lavora lavora”). Il nome dell’operazione fa riferimento alle durissime parole pronunciate il 30 ottobre scorso dal Presidente del Senato Ndikuriyo, registrate a sua insaputa: “Dovete fare tabula rasa, dovete sterminare questa gente [l’opposizione minoritaria tutsi] buona soltanto a morire. È un ordine! [...] Aspettate il giorno in cui vi diremo di lavorare, dovrete fare la differenza”. La crisi del Burundi è in queste ore all’attenzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, riunitosi a tal proposito il 9 novembre per iniziativa della Francia.

REPUBBLICA CENTRAFRICANA Escalation di violenza nella capitale Bangui: fonti militari denunciano l’uccisione di almeno 12 persone nel quartiere Pk5, assediato dalle milizie cristiane. Il Paese, che dal 2013 vede contrapposti

MULTINAZIONALI SOTTO ACCUSA La lotta di Steve Berman

Di Jessica Prieto Lo scorso settembre è stata indetta in California una class action contro Nestlé, Hershey, Mars e altre industrie alimentari, accusate di sfruttamento minorile. L’avvocato che rappresenterà i consumatori americani, stanchi di acquistare e consumare dolci prodotti da aziende dal comportamento eticamente discutibile, è Steve Berman. Questi colossi della produzione dolciaria sono accusati di impiegare minori nelle piantagioni dell’Africa occidentale, dove si producono i due terzi del cacao mondiale. Stando alle accuse mosse dall’avvocato californiano, tra il 2013 e il 2014 circa 720.000 bambini sono stati sottoposti ai lavori forzati. Diversi bambini liberati hanno raccontato di essere stati costretti a lavorare gratuitamente per 12 ore continuative al giorno senza ricevere né cibo né acqua. Nella maggior parte dei casi, essi dovevano trasportare pesanti sacchi di semi di cacao e molti di loro hanno riportato gravi danni alla salute dopo aver respirato ripetutamente sostanze nocive utilizzate nella coltivazione. Già nel 2001 il senatore americano Thomas Harkin aveva proposto un accordo

internazionale (The Arkin Engel Protocol) volto ad eliminare le peggiori forme di lavoro minorile. Il protocollo prevedeva l’introduzione, entro il 2005, di una nuova etichetta “slave free” da applicare sulle confezioni, con la quale si accertava che i prodotti fossero estranei al lavoro schiavile. Tuttavia, le industrie del cioccolato non rispettarono la scadenza e ottennero una dilazione di 4 anni per autoregolamentarsi e portare a termine gli obiettivi. La scadenza è stata poi ulteriormente rimandata e oggi l’obiettivo dovrebbe essere raggiunto nel 2020. Nestlé si difende negando l’accusa, sostenendo che il lavoro minorile non sia compatibile con la propria filosofia aziendale e affermando di aver addirittura creato in Costa d’Avorio un servizio di controllo proprio per evitare lo sfruttamento dei bambini. Tuttavia, l’azione legale di Berman ha già avuto molta risonanza e sostegno in America e l’avvocato statunitense è deciso a presentare altre accuse contro diverse industrie produttrici di alimenti, al fine di sostenere i diritti umani e le comunità locali nei paesi di produzione e aumentare la consapevolezza dei consumatori.

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i Séléka (gruppi armati a maggioranza musulmana del nord) e gli anti-balaka (“antimachete”, le milizie cristiane del sud), versa ora in uno stato di caos, nonostante la presenza di una missione ONU già da settembre e gli sforzi del governo di transizione guidato da Catherine Samba-Panza. SIERRA LEONE Dopo aver mietuto oltre 4000 vittime, il virus Ebola è stato dichiarato ufficialmente sconfitto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): sono, infatti, passati 42 giorni dalle analisi del sangue negative dell’ultimo paziente affetto. “Grazie a tutti coloro che hanno reso possibile questo risultato, assumendosi responsabilità e rischi in un lavoro massacrante durato più di un anno”, ha dichiarato Gino Strada. Un invito alla prudenza arriva però sia da Medici Senza Frontiere sia dal Presidente Ernest Bai Koroma: la popolazione ha, infatti, difficoltà ad accedere alle cure e il virus è ancora presente in Guinea.

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a cura di Francesco Raimondi

EBOLA, LA VITTORIA DELLA SIERRA LEONE

Al via un “periodo di osservazione” da parte della OMS

di Chiara Zaghi

Il 7 novembre 2015 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato la Sierra Leone libera dalla trasmissione del virus Ebola. Anders Nordström, rappresentante dell’OMS, ha annunciato che sono passati 42 giorni (corrispondenti a due cicli di incubazione del virus) da quando l’ultima persona affetta da Ebola ha effettuato un secondo test del sangue con risultato negativo al virus. Il Paese può quindi dichiarare di aver sconfitto l’epidemia. A Freetown, capitale della Sierra Leone, si sono svolti i festeggiamenti per l’importante traguardo nazionale. Si è registrata un’altissima partecipazione della popolazione, che è scesa nelle piazze e per le strade della città a ballare e festeggiare, senza nascondere il sentimento misto di felicità per la notizia e di dispiacere per le perdite subite. Il primo caso di Ebola in Sierra Leone si è registrato nel maggio del 2014. Da allora si contano 8.704 persone infette e 3.589 decessi (221 fra gli assistenti sanitari). L’epidemia di Ebola ha decimato le comunità e messo in crisi l’economia e la struttura sociale del Paese. Attualmente vi sono

circa 4.000 sopravvissuti che hanno problemi di salute e necessitano di cure mediche e sostegno sociale. Il forte impegno del governo della Sierra Leone e delle équipe sanitarie, unito al coinvolgimento dei partner internazionali e delle comunità locali, è stato fondamentale per identificare e isolare il più rapidamente possibile le catene di trasmissione dell’epidemia. È stata inoltre essenziale la creazione di una rete di assistenza sanitaria e tecnica finalizzata alla fornitura di cibo, acqua e medicinali.

La Sierra Leone entra ora in un periodo di 90 giorni durante i quali la situazione verrà monitorata con attenzione dall’OMS, per diagnosticare tempestivamente eventuali nuovi casi. Tuttavia, la sfida all’Ebola è ancora aperta. Come annunciato da Medici senza frontiere, il virus è presente e diffuso in Guinea. Pertanto non bisogna abbassare la guardia, ma trarre speranza dalla vittoria della Sierra Leone per rafforzare l’impegno, il monitoraggio e la rapida risposta a potenziali nuovi casi in tutta l’Africa occidentale, dove si è verificata la morte di più di 11.000 persone infette.


SUDAMERICA

7 Giorni in 300 Parole

ARGENTINA Al via la campagna per il primo ballottaggio nella storia delle elezioni presidenziali del Paese tra il candidato “kirchnerista” Scioli e il conservatore Macri, in vista del voto del 22 novembre. BRASILE Massiccia protesta dei camionisti in Brasile. Strade e autostrade bloccate, dopo che i sindacati non sono riusciti a trovare un accordo con l’esecutivo (riduzione del prezzo diesel e salario unificato in tutto il Paese). Il ministro dei trasporti Silva ha criticato lo sciopero affermando che si tratta di “un movimento caratterizzato dall’unica aspirazione di logorare politicamente il governo”. Governo che, per ora, è intervenuto con una maxi-multa, ma non esclude un futuro intervento delle forze dell’ordine. CILE Settimana con svariate scosse di terremoto nel paese, già colpito a settembre da una forte scossa che aveva causato vittime e tsunami. Fortunatamente, nonostante l’intensità delle scosse, non si hanno notizie di vittime, feriti o danni. COLOMBIA I guerriglieri delle FARC smettono di comprare armi. Il leader del più grande gruppo armato della Colombia ha annunciato di aver ordinato ai suoi miliziani di non comprare più armi e munizioni. Questo potrebbe essere un ulteriore passo verso la firma della pace tra FARC e Governo, prevista entro marzo, dopo circa cinquant’anni di conflitto.

IL DIBATTITO MESSICANO SULLA LEGALIZZAZIONE DELLA MARIJUANA

di Daniele Pennavaria Nell’ultima settimana il Messico è stato impegnato in un acceso dibattito a proposito della legalizzazione della marijuana a scopo terapeutico. Il tema è arrivato alle camere a partire da una sentenza della Corte Suprema Messicana del 5 novembre, che ha riconosciuto il diritto di coltivare e consumare cannabis, a scopo ricreativo e senza fini di lucro, a quattro attivisti. Il provvedimento è stato raggiunto grazie al ricorso presentato da due associazioni che precedentemente avevano presentato la loro proposta al Ministero della Salute, ricevendo però un giudizio negativo. Il presidente Peña Nieto si è prontamente dichiarato contrario al provvedimento preso dalla Corte, sottolineando che un’apertura in questo senso, o anche solo a livello medico, sarebbe pericolosa perché condurrebbe a una concezione distorta dell’utilizzo delle droghe e incrementerebbe la diffusione di sostanze più pericolose. “Auspico che sia possibile un discutere un provvedimento all’interno del Governo con un dibattito basato scientificamente su argomenti solidi, che permetta di conciliare posizioni differenti” ha affermato in un’in tervista il leader del Partito

Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e del governo.Effettivamente, all’interno della maggioranza sono presenti visioni anche particolarmente distanti; è stata, infatti, la senatrice del PRI Cristina Díaz a presentare un’iniziativa per la regolazione dell’uso terapeutico della marijuana, con il sostegno di 30 famiglie di malati di epilessia. Secondo la senatrice, adeguare le norme su importazione e utilizzo di medicinali che contengono principi attivi derivati dalla cannabis è una priorità, alla luce della prassi avviata dalla Corte Suprema. Il dibattito è avviato e sembra che l’esecutivo di Peña Nieto, che finora non si era espresso sull’argomento, non possa più evitarlo. In un Paese dove la guerra al o narcotraffic è da molti anni una priorità dettata dalle dimensioni e dalla violenza dei Cartelli, nessuno pensa comunque che sottrarre alle organizzazioni criminali una così esigua fetta del mercato dell’illegalità possa davvero indebolirle. D’altra parte, c’è anche chi fa riferimento ad altri Paesi dell’America Latina che hanno depenalizzato o legalizzato la marijuana ed agli Stati Uniti, auspicando che siano riviste le norme sia per l’utilizzo medico sia per quello ricreativo nella legislazione messicana.

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Riconosciuto il diritto all’adozione alle coppie gay. La corte costituzionale aveva autorizzato in febbraio le adozioni quando il minore è figlio di uno dei componenti della coppia. Ora il tribunale ha eliminato qualsiasi limitazione perché, secondo la corte, l’orientamento sessuale di una persona non è segno di una mancanza di idoneità morale, fisica o mentale per adottare. URUGUAY Dal primo gennaio l’Uruguay (insieme a Giappone, Ucraina, Egitto e Senegal) sarà tra i nuovi membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il mandato avrà durata biennale. VENEZUELA DEA arresta parenti del Presidente Maduro. Il figlioccio e un nipote sono stati arrestati, ad Haiti, mentre scaricavano una tonnellata di cocaina. Ora a New York, dovranno comparire in tribunale per avere negoziato con un narcotrafficante honduregno (un infiltrato della Dea) l’invio di circa 800 kili di cocaina verso gli Usa. a cura di Stefano Bozzalla

#LOVE WINS IN COLUMBIA di Sara Ponza Bogotà ha definitivamente riconosciuto le adozioni da parte delle coppie gay e transessuali, dopo la parziale apertura giuridica di Febbraio (che sanciva la possibilità per gli omosessuali e i transessuali di adottare se il minore è figlio di uno dei componenti della coppia) e una lunga e travagliata discussione in Corte Costituzionale. Ora è stata eliminata qualsiasi limitazione perché, secondo la Corte, l’orientamento sessuale di una persona non è segno di una mancanza di idoneità morale, fisica o mentale per adottare La Colombia ha detto sì seguendo l’esempio di Argentina, Brasile, Guyana Francese ed Uruguay. L’evoluzione giuridica in atto ha però infastidito la Chiesa cattolica Colombiana. In una comunicazione ufficiale alla Conferenza episcopale è stato affermato che l’adozione da parte di coppie

omosessuali appaga la coppia, ma non tutela il bambi no e il suo diritto ad avere due genitori eterosessuali.Nella nota di fine conferenza i vescovi hanno, infatti, asserito che “la famiglia composta da uomo e donna è il luogo privilegiato per offrire ai bambini le massime garanzie per una sana crescita e sviluppo, non solo nell’ambito materiale, ma anche sul piano psicologico, affettivo, etico e morale”. Inoltre, Monsignor Juan Vicente Cordoba ha prospettato, su una delle maggiori emittenti televisive nazionali, la possibile richiesta di convocazione di un referendum in modo da avere una visione più chiara dell’opinione popolare. Tuttavia, la risposta dell’Alta Corte Colombiana all’ingerenza ecclesiastica è stata forte e chiara: l’adozione da parte di coppie omosessuali è da considerarsi come un diritto del bambino ad avere una famiglia.


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