Msoi thePost Numero 15

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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Giulia Marzinotto, Segretario MSOI Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di MSOI Torino, desidera proporsi come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulterà riconoscibile nel mezzo di informazione che ne sarà l’espressione: MSOI thePost non sarà, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE: Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Sarah Sabina Montaldo, Silvia Perino Vaiga Amministrazione e Logistica Emanuele Chieppa Redattori Benedetta Albano, Federica Allasia, Erica Ambroggio, Timothy Avondo, Daniele Baldo, Giada Barbieri, Lorenzo Bardia, Giusto Amedeo Boccheni, Giulia Botta, Stefano Bozzalla, Federico Camurati, Matteo Candelari, Emanuele Chieppa, Sara Corona, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Alessio Destefanis, Giulia Ficuciello, Lorenzo Gilardetti, Simona Graceffa, Luca Imperatore, Andrea Incao, Michelangelo Inverso, Daniela Lasagni, Andrea Mitti Ruà, Giulia Mogioni, Silvia Peirolo, Daniele Pennavaria, Silvia Perino Vaiga, Emanuel Pietrobon, Sara Ponza, Jessica Prieto, Fabrizio Primon, Carolina Quaranta, Francesco Raimondi, Jean-Marie Reure, Michele Rosso, Fabio Saksida, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Martina Terraglia, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi. Editing Lorenzo Aprà Copertine Mirko Banchio Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole GERMANIA 13,2% è il risultato raggiunto alle elezioni comunali in Assia dall’Alternative für Deutschland (Alternativa per la Germania), il partito xenofobo ed euroscettico che si sta rapidamente presentando come terza forza politica del Paese, dopo i socialdemocratici del SPD e i democristiani della CDU. Il 54% del tedeschi non crede che la Germania sarà in grado di affrontare né di integrare il sempre crescente numero di profughi. Il diffuso sentimento di trovarsi sotto assedio ed un leader carismatico ed agguerrito, la quarantenne Frauke Petry, sono dunque gli ingredienti del recente successo dell’AFD.

22.000 è il numero di aspiranti foreign fighters contenuti in un dossier segreto ora in possesso del Bundesnachrichtendienst, l’agenzia di intelligence esterna della Repubblica Federale Tedesca. I documenti rappresenterebbero una sorta di questionario per ogni aspirante recluta del Daesh, contenenti ogni informazione necessaria riguardo al soggetto in questione. Il ministro degli Interni tedesco, Thomas de Maizière, ne conferma l’autenticità, comunque al vaglio degli esperti, e ritiene siano un notevole passo in avanti nel monitoraggio di coloro che ritornano dalla Siria e dall’Iraq. Sebbene l’Agenzia non specifica come ne sia entrata in possesso, si ritiene che se la “gola profonda” sia un ex combattente del

MIGRANTI: LUNGA STRADA VERSO L’ACCORDO Intesa UE-Turchia, ma solo sui principi

Di Federica Allasia Il vertice straordinario UE-Turchia tenutosi lunedì 7 marzo 2016 a Bruxelles, solo qualche giorno dopo il Consiglio Europeo di metà mese, si è concluso nella notte con una prima intesa e l’impegno, da parte dei 28 Stati, a lavorare sui dettagli delle proposte turche per arrivare ad una soluzione già nel prossimo summit europeo, previsto per il 17-18 marzo. L’incontro è stato fortemente voluto da Angela Merkel per rassicurare i tedeschi sulla gestione dei flussi migratori, soprattutto in vista delle regionali che coinvolgeranno parte del Paese domenica prossima. Il tema era l’adozione di una strategia e comune efficac che permetta di risolvere l’emergenza migranti e il salvataggio di Schengen, grazie anche ad un concreto impegno della Turchia per contenere i flussi di profughi diretti in Grecia e nel Nord Europa attraverso la rotta balcanica. Il governo di Ankara ha presentato la richiesta di ulteriori aiuti finanziari per gestire l’emergenza profughi: altri 3 miliardi entro il 2018 andrebbero ad aggiungersi alla somma analoga approvata a novembre dall’UE. La Turchia assicura accoglienza nei campi ai profughi in fuga lungo la rotta balcanica. Inoltre, propone di reinsediare

nei suoi confini i migranti economici ed i richiedenti asilo che abbiano raggiunto l’UE illegalmente, secondo il meccanismo uno ad uno: per ogni profugo siriano riammesso, l’Europa dovrà impegnarsi ad accoglierne uno in modo legale dalla Turchia. Immediata l’opposizione di Budapest, che ha ribadito la sua irremovibile contrarietà all’accoglienza, avvalendosi del veto. Il premier turco Ahmet Davutoğlu ha approfittato del summit per avanzare nuove proposte funzionali alla accelerazione del processo di adesione all’UE, chiedendo la liberalizzazione dei visti dei cittadini turchi entro la fine del 2016. Dura la replica del presidente del Parlamento Europeo: Martin Schulz ha sottolineato che i negoziati per l’accesso della Turchia non possono essere “la precondizione per trovare soluzioni rapide nella crisi dei rifugiati”. Matteo Renzi, sostenuto da altri colleghi tra i quali David Cameron, ha sollevato la questione della libertà di stampa, fortemente compromessa dalle recenti iniziative di Ankara. Il Premier italiano ha chiesto un preciso riferimento nel documento conclusivo del summit, minacciando il veto in caso contrario. Il vertice si è quindi concluso con un’intesa di principio i cui dettagli devono ancora essere messi nero su bianco.

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EUROPA Free Syrian Army. ITALIA 17,8% è il valore rappresentante il calo della popolazione carceraria italiana. L’Italia si mantiene comunque al di sopra della media europea del sovraffollamento, con circa 9.000 detenuti in eccesso. “Questo risultato è l’effetto delle leggi introdotte in Italia tra il 2013 e il 2014”, spiega Marcelo Aebe, responsabile del progetto Space. Risultato che ha permesso al Consiglio d’Europa di chiudere il monitoraggio sull’esecuzione della Sentenza Torreggiani, a 3 anni dall’emanazione della suddetta sentenza. GRECIA 15.000 i migranti bloccati ad Idomeni dai reticolati di filo spinato appena spuntati sul confine greco-macedone. Dopo le decisioni di Slovenia Croazia e Serbia di non accettare più migranti senza documenti validi e di ripristinare il regime delle regole Schengen, come un effetto domino, anche la Macedonia blocca la frontiere con la Grecia. La rotta balcanica è chiusa. “La giungla di Calais rispetto a Idomeni è un resort a cinque stelle” sbotta un giornalista francese, a testimonianza delle disperate condizioni igenico-sanitarie nonché alimentari dei profughi. Condizioni di cui si fanno carico - incessantemente - numerose ONG. Bloccati in Grecia, l’unica strada percorribile sembrerebbe ora l’attraversamento dell’Albania per raggiungere poi le coste pugliesi. I governi italiano ed albanese sono già al lavoro per impedire che si ripetano gli sbarchi dei primi anni’90. a cura di Fabio Saksida

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UNA QUESTIONE DI GRATITUDINE Anche in Irlanda l’austerity viene bocciata

Di Matteo Candelari “Gli elettori non sanno cosa sia la gratitudine, è questo quello che dicono sempre i politici per giustificare un cattivo risultato”. Così cominciava l’editoriale del Guardian all’indomani delle elezioni irlandesi. I sostenitori della coalizione di governo, uscita sconfitta dalle elezioni del 26 febbraio, hanno infatti rimarcato l’ingratitudine dei cittadini verso un esecutivo che ha riportato l’Irlanda ai tassi di crescita pre-crisi. Ma a quale prezzo? Rispondendo a questa domanda possiamo forse capire perché gli irlandesi abbiano deciso di non rinnovare la fiducia al governo Kenny. Peter Geoghean, autorevole firma del Guardian, spiega che la maggior parte degli Irlandesi non ha percepito tale ripresa, in quanto sono rimasti stagnanti i redditi e, in alcuni casi, sono addirittura diminuiti. Inoltre, i cittadini hanno sentito gli effetti dei tagli alla spesa pubblica. Il governo di Enda Kenny, in carica dal 2011, era composto dalla coalizione tra Fine Gael, un partito di centro-destra, e i Laburisti, un partito di centro-sinistra. La campagna elettorale impostata da Kenny si basava sul fatto che, dopo anni di sacrifici, finalmente il Paese avrebbe

ripreso a crescere e, per continuare a godere dei benefici della ripresa, bisognava rinnovare la fiducia al governo. Ciò non è avvenuto e a fare le spese della batosta elettorale è stato soprattutto il Partito Laburista, crollato da 37 a 7 seggi in Parlamento. I partiti politici che si sono fatti portavoce dell’anti-austerity, invece, sono andati molto bene: primo fra tutti il Sinn Fein, che è salito da 14 a 23 seggi. Le elezioni irlandesi sono l’ennesimo esempio - dopo Grecia, Portogallo e Spagna - di un governo che, avendo applicato misure di austerità su indicazioni della Troika, non viene poi riconfermato nelle successive elezioni. Ma c’è un dato significativo in più: l’Irlanda veniva spesso citata dai sostenitori dell’austerity come la prova che tali politiche possono funzionare, in poche parole, come il modello da seguire. La forte bocciatura per il governo è un segnale importante. I prossimi mesi ci diranno se, come molti auspicano, vi sarà un parziale cambio di rotta nelle politiche economiche europee, in un periodo in cui, oltre alla stagnazione economica, il Vecchio Continente deve affrontare altre innumerevoli crisi, dalla possibile Brexit alla messa in discussione di Schengen.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI D’AMERICA La sera di mercoledì 9 marzo, due uomini hanno sparato e ucciso 5 persone a Pittsburgh in Pennsylvania. Le vittime stavano facendo un barbecue. Le cause sono ancora sconosciute e non si ha traccia degli omicidi. Il miliziano del sedicente Stato Islamico catturato la settimana scorsa si è scoperto essere il responsabile per le armi chimiche dell’intera organizzazione. Lisa Monaco, consigliere di Barack Obama per la sicurezza e la lotta al terrorismo, ha detto in conferenza stampa che per la prima volta gli Stati Uniti diffonderanno i dati sulle morti e i bombardamenti causati da droni nella lotta al terrorismo. Sono 5 i nomi presentati da Obama per il seggio lasciato vuoto alla Corte Suprema da Antonin Scalia.

CLINTON, TRUMP E LA LOTTA ALL’ISIS La strategia dei due candidati per la lotta al terrorismo

Di Lorenzo Bazzano Martedì 1 marzo i risultati del Super Tuesday hanno confermato i candidati di punta della campagna per le primarie presidenziali negli Stati Uniti: Hillary Clinton per i democratici e Donald Trump per i repubblicani. Qualunque sia l’esito delle elezioni di novembre, la politica estera degli Stati Uniti cambierà. Dopo 7 anni di presidenza Obama, caratterizzati da una politica estera per molti troppo debole, entrambi i candidati intendono imporre una nuova linea. Uno dei nodi centrali della politica estera sarà, ovviamente, la lotta all’ISIS. Hillary Clinton è una convinta sostenitrice dell’internazionalismo e dei diritti umani.

Il 10 marzo il capogruppo repubblicano al Senato, Mitch McConnell, ha fatto sapere che si opporrà, e con lui la maggioranza dei senatori, ad ogni nomina proposta dall’attuale Presidente. Clinton ha trionfato con un gran margine in Mississippi mentre Sanders, a sorpresa e di misura, è risultato vincitore in Michigan. Il numero di delegati di distacco fra i due è ancora significativo, ma il successo nel Midwest ha decisamente rilanciato la campagna del senatore del Vermont. In campo repubblicano la situazione sembra, invece, più chiara: nonostante gli attacchi congiunti dei membri dell’establishment

Queste posizioni si riflettono sul suo piano per la lotta al terrorismo: secondo l’ex Segretario di Stato, per sconfiggere l’ISIS occorre una coalizione internazionale a guida statunitense che combatta sul territorio, bilanciando raid aerei e forze locali e distruggendo le infrastrutture del terrorismo. Così come Obama, anche Hillary Clinton non vuole truppe statunitensi di combattimento e ha dichiarato che l’Iran e la Russia devono smettere di appoggiare Assad, in quanto ciò non può portare alla stabilità. L’intenzione della democratica

è quella di ritornare a una politica estera più tradizionale, distanziandosi sia dall’eccessivo interventismo della presidenza di G. W. Bush, sia dalla più cauta politica di Obama. Molto diverse sono le posizioni di Donald Trump. La sua ricetta include l’arresto degli immigrati illegali, la costruzione di un muro con il Messico per proteggere il Paese da possibili attacchi interni, il divieto d’ingresso negli Stati Uniti ai musulmani e bombardamenti a tappeto nei confronti dello Stato Islamico. Nel dibattito fra i candidati repubblicani, egli ha inoltre affermato che punirebbe i familiari dei jihadisti e bloccherebbe le infrastrutture di Internet che questi utilizzano per comunicare. L’obiettivo principale dell’imprenditore sembrerebbe, quindi, quello di proteggere il Paese dall’interno, impedendo l’ingresso di possibili nemici. Posizione radicalmente opposta a quella della candidata democratica, che ha affermato la necessità di ospitare i rifugiati siriani in quanto vittime della stessa minaccia. La strategia di Trump rientra nel quadro della nuova direzione che il candidato intende imprimere al Paese: una politica estera che vedrebbe gli Stati Uniti sempre più disposti a mostrare la loro forza nel momento in cui questa venga messa in discussione.

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NORD AMERICA e notabili del partito Trump ha vinto le primarie in Mississippi e Michigan e i caucus nelle Hawaii. Si conferma in ascesa, sebbene sempre secondo nella corsa alla nomination, Cruz che ha vinto le primarie in Idaho. Stanti così le cose, si aspetta invece solo l’annuncio di rinuncia di Rubio, sconfitto in tutti gli Stati e mai oltre il 15%. CANADA Il primo ministro Canadese, Justin Trudeau, ha fatto sapere che il Canada punterà sempre di più sulle energie rinnovabili e sulla green economy. Ha affermato che il suo Paese, “potenza idrocarburicomineraria sottovalutata”, deve sviluppare questi settori per potersi affermare sullo scacchiere energetico internazionale. Justin Trudeau ha iniziato il 10 marzo e la visita ufficial di tre giorni negli Stati Uniti.

Oltre allo scontato incontro con il Presidente statunitense durante una cena d’onore alla Casa Bianca, sono in programma incontri con universitari, gruppi di analisti e rappresentanti del Dipartimento di Stato. I temi su cui verteranno questi incontri saranno gli scambi commerciali tra i due Paesi (sono allo studio dei documenti di intesa per il commercio trans-frontaliero) e la comune lotta al terrorismo e al cambiamento climatico.

A cura di Alessandro Dalpasso 6 • MSOI the Post

IL JOBS REPORT CHE SCUOTE L’ECONOMIA Attesa e piena di aspettative l’analisi del mercato del lavoro statunitense

Di Alessio Destefanis Grande sollievo in reazione ai nuovi dati sulla situazione occupazionale degli Stati Uniti. Sono soddisfacenti i dati relativi al mese di febbraio, rivelati venerdì 4 marzo dal Bureau of Labor Statistics. 242.000 lavoratori in più nel solo mese di febbraio: questa è la cifra che ha soddisfatto e superato le aspettative di economisti e analisti del settore. Un dato più che positivo, dal momento che ci si sarebbe attesi, invece, una crescita di soli 195.000 nuovi posti di lavoro. Sanità, assistenza sociale, commercio al dettaglio, servizi educativi privati e ristorazione sarebbero, secondo quando riportato dalle analisi del jobs report, i settori nei quali è stato registrato il più elevato incremento occupazionale. A compensare l’entusiasmo dei numeri rilevati è, tuttavia, la constatazione che proprio i settori di riferimento sono stati catalogati come lowpaying jobs, ossia lavori poco remunerativi. A questo dato si aggiunge, inoltre, una spiacevole notizia proveniente dal settore energetico: qui si è registrato un taglio di 20.000 posti di lavoro, a causa del recente e forte calo del prezzo del petrolio. Ad

accompagnare

questi

dati sono altri significativi indici registrati dal jobs report di febbraio. Il tasso di disoccupazione è rimasto stabile rispetto al mese di gennaio, al 4,9%, una percentuale corrispondente a circa 7,8 milioni di persone e che mantiene il primato di più bassa della presidenza Obama. Non meno importante è ciò che gli analisti hanno rilevato riguardo al tasso salariale medio: tale valore risulta essersi fermato al 2,2% rispetto allo scorso anno. Non solo: sembra anche essere ulteriormente diminuito rispetto ai mesi precedenti, nei quali si era invece registrata una percentuale pari al 2,5%. Il calo effettivo dei salari medi è dunque quantificabile nello 0,1%, contrariamente a quanto era stato invece promesso dall’amministrazione Obama, la quale sperava di raggiungere un rialzo pari allo 0,5%. Ciononostante, la fotografia complessiva dell’economia e del mercato del lavoro statunitense è positiva. Quanto riportato in quest’ultima analisi, infatti, manifesta una grande elasticità dell’economia americana nei confronti di una recessione di portata globale. Recessione dalla quale gli Stati Uniti non sono, tuttavia, immuni, soprattutto per quanto concerne il settore manifatturiero, che non manifesta cenni di crescita da quasi 6 mesi.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole TURCHIA. Il 4 marzo viene commissariato il gruppo editoriale che controlla il giornale d’opposizione Zaman. Secondo il procuratore capo di Istanbul, il giornale ha legami con l’ex imam e magnate Fethullah Gulen, inviso al presidente Erdogan. L’accusa è quella di contribuire a creare uno ‘’Stato parallelo’’. Zaman è stato posto sotto controllo amministrativo dopo l’irruzione e sequestro da parte della polizia. La Turchia ha, inoltre, ottenuto un accordo di principio con l’UE per gestire la crisi migratoria dalla Siria e impedire gli sbarchi in Grecia in cambio di 3 miliardi di euro, la promessa accelerazione sulla liberalizzazione dei visti e una nuova fase del processo di adesione all’Unione Europea. SIRIA Secondo numerose fonti, uno dei capi militari del Daesh, Abu Omar Al Shishani, georgiano formatosi negli anni del conflitto russo-ceceno, sarebbe stato ucciso da un raid della Coalizione nel nord della Siria nella zona di Al Shaddadi. La nuova data per l’inizio dei colloqui di pace è stata fissata per il 14 marzo. Secondo l’inviato ONU Staffan De Mistura, i colloqui: ‘’Non si protrarranno oltre il 24, poi ci sarà una pausa che durerà da una settimana a dieci giorni. Successivamente, ricominceranno’’. Il governo di Assad ha già confermato la sua presenza, in dubbio, invece, quelle dei rappresentanti dell’Alto Comitato Negoziatore che riunisce le opposizioni.

“LA COSTITUZIONE È ABOLITA” Erdogan calpesta (ancora) i diritti umani

Di Samantha Scarpa “La Costituzione è abolita”. Così recita il titolo dell’ultimo numero di Zaman, il quotidiano turco di opposizione la cui redazione è stata commissariata dalle forze di polizia nazionali in quanto “complice del movimento terroristico di Fethullah Gülen, il cui scopo è la creazione di uno Stato parallelo e ostile al governo” (ex alleato di Erdogan, nel 2013 Gülen fu costretto a trasferirsi negli USA dopo la critica al governo per lo scandalo corruzione nella famiglia presidenziale). In realtà, l’azione del governo turco verso il quotidiano con la più alta tiratura del Paese - circa 650.000 copie al giorno non si è limitata ad una semplice sospensione dei lavori. Come racconta Mustafa Edib Yilmaz, giornalista di Zaman: “oltre 50 dei miei articoli sono stati cancellati; hanno cancellato l’indirizzo di posta elettronica della redazione. [...] La pagina web del sito è inaccessibile. [...] “Gli amministratori [nuovi] non stampano le notizie che [...] prepariamo. Il giornale è preparato altrove.” Pochi giorni dopo aver disperso alcuni attivisti - raccoltisi per manifestare a favore della libertà di stampa nel Paese - con lacrimogeni, idranti e pallottole di gomma, il governo ha re-introdotto Zaman, stravol-

gendone totalmente la politica editoriale e trasformandolo in uno strumento di stampa filo-governativo. Nonostante Amnesty International abbia subito stigmatizzato l’accaduto, molto più tiepide sono state le reazioni della comunità internazionale. Durante il summit UE-Turchia di lunedì 7 marzo, la questione ha ottenuto solo un timido accenno, incentrato perlopiù sull’importanza della libertà mediatica all’interno di un Paese democratico. Mercoledì 9 marzo, infine, le autorità hanno preso il controllo di Cihan, l’unica agenzia di stampa indipendente del Paese a possedere un controllo nazionale sulle operazioni di scrutinio delle elezioni. La motivazione ufficiale sarebbe aver trattato delle violenze subite da alcune donne scese in piazza - nonostante i divieti - per la Festa Internazionale della Donna. È proprio questa l’ambivalenza sulla quale Ankara calca impietosamente. Così come in una famosa fiaba il popolo elogia i vestiti invisibili del sovrano nudo, così il ruolo geograficamente strategico della Turchia permette al suo governo di non rispettare alcuna tutela dei diritti umani; davanti a questo, tuttavia, la sola reazione è una silenziosa ed imbarazzata accondiscendenza.

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MEDIO ORIENTE IRAQ Secondo The Indipendent del 5 marzo, la coalizione occidentale avrebbe ucciso attraverso i raid aerei almeno 1.000 civili. L’inchiesta del quotidiano britannico inoltre riporta dati di alcune ONG che riferiscono di altri 2.900 morti provocati dai raid russi. Il governo iracheno ha accusato l’ISIL di aver fatto uso di armi chimiche, in particolare gas al cloro, durante il bombardamento con razzi di Taza. L’Agenzia AP ha rilevato che gli USA avrebbero catturato vivo Sleiman Daoud al-Afar, responsabile del sedicente Stato Islamico per lo sviluppo delle armi chimiche. Secondo il New York Times, l’ex chimico di Saddam, si trova già negli Stati Uniti, dove avrebbe confessato la progettazione e l’uso da parte di armi al gas mostarda da parte di Daesh. ISRAELE In concomitanza con la visita del vice-presidente statunitense Joe Biden, c’è stato un aumento degli attacchi palestinesi a cittadini e poliziotti israeliani. Tel Aviv si è mostrata sempre più preoccupata nei confronti dell’Iran, per lo sviluppo di missili a lunga gittata in grado di colpire lo stato ebraico.

BREVE STORIA DEI FRATELLI MUSULMANI Parte III: Hamas tra terrorismo e politica

Di Martina Terraglia La percezione comune che si ha di Hamas è quella di un movimento islamista radicale con metodologie terroristiche. Eppure, la storia è leggermente diversa. Fondato ufficialmente nel 1987, il movimento esisteva dagli anni ’40,quandoalcuniinviatideiFratelli Musulmani avevano iniziato a recarsi in Palestina. Il riferimento alla Fratellanza è evidente in due aspetti che caratterizzano il nucleo iniziale di Hamas: l’assistenzialismo e il jihad interno

. Per quanto riguarda il primo, esso rientra nell’ottica comunitaria adottata da molti movimenti islamisti. La retorica del jihad interno viene ripresa dagli scritti di Qutb, che incolpava della decadenza mediorientale l’influsso dei corrotti costumi occidentali, anche in politica.

Con Hamas, islamismo e nazionalismo si fondono: la A ciò si aggiunge un raffred- perdita della Palestina è da imdamento nei rapporti con gli putarsi a una punizione divina; Usa, per la cancellazione della solo lottando per la causa islavisita del premier Netanyahu a mica e abbandonando il laiciWashington, che secondo fonti smo occidentale sarà possibile riottenere la patria. Un simile ufficiose israeliane sarebbe do vuta ad un mancato accordo sul discorso si inserisce nel conteprogramma di rifornimento mili- sto della Naksa (1967) e della delusione generata dal socialitare 2018-2028. smo nasseriano. A cura di Emiliano Caliendo Hamas mitigherà le proprie posizioni: la necessità di agire attivamente in campo politico spinge il movimento a mettere 8 • MSOI the Post

da parte l’iniziale retorica intransigente e violenta, e a cercare l’appoggio dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese). Hamas diviene un vero e proprio partito e lentamente conquista consensi. Nel 2006 vince le elezioni legislative e diventa il primo partito politico palestinese: una vittoria resa possibile dalla comprensione delle effettive esigenze politiche e sociali della popolazione, che si discostano dagli ideali interventisti del primo statuto. La vittoria non ottiene il riconoscimento internazionale. Viene richiesto ad Hamas di riconoscere Israele e gli accordi di pace fino ad allora stipulati. Hamas non accetta: comunità internazionale e Israele interrompono l’erogazione di fondi e pagamenti di tasse che costituiscono la linfa vitale della Palestina. Hamas vede il proprio progetto politico fallire, mentre gli uomini di al-Fatah portano avanti una serie di violente azioni di protesta. Nella guerra civile del 2007 Hamas viene rinchiuso a Gaza, dove da allora cerca di sopravvivere, situazione per la quale non si prospetta un imminente cambiamento. L’esperienza palestinese ha rappresentato il primo caso di effettiva vittoria politica di un movimento di matrice ikhwaniyya attraverso elezioni libere. Senza dubbio, va riconosciuto come, per ottenere la vittoria elettorale, Hamas abbia dovuto rinunciare ad alcuni elementi fondanti del proprio nucleo ideologico iniziale, dimostrando una notevole flessibilità intellettuale e politica.


RUSSIA E BALCANI CASO NEMTSOV

7 Giorni in 300 Parole CROAZIA Il governo di Tihomir Orešković ha deciso di schierare l’esercito presso i confini per difendere il Paese dall’ingresso dei migranti. L’opinione pubblica si è mostrata indignata, ricordando come la Croazia fosse stata terra di accoglienza durante i conflitti degli anni ‘90. Molte ONG hanno ribadito come aiutare i rifugiati sia “conforme al diritto umanitario internazionale”. RUSSIA Il 10 marzo il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo serbo Tomislav Nikolic si sono incontrati al Cremlino. I punti discussi spaziano dalle questioni economiche a quelle politiche, sottolineando l’importanza di un’alleanza strategica tra i due Paesi.

Il 5 marzo, 63° anniversario della morte di Stalin, è comparso un cartellone di un movimento di opposizione presso una fermata della metropolitana di Mosca. “Morì quello, morirà anche questo”: così recitava lo slogan, con un’evidente allusione al presidente Putin. Il cartellone è stato immediatamente rimosso dalle autorità. SERBIA Nello scorso fine settimana le forti piogge hanno ingrossato molti dei fiumi serbi, portandoli all’esondazione e provocando danni all’agricoltura, interruzioni stradali e blackout.

A un anno dall’assassinio

Di Giulia Andreose La scorsa settimana migliaia di persone hanno sfilato per le strade di Mosca in occasione del primo anniversario dell’assassinio di Boris Yefimovich Nemtsov, leader dell’opposizione al presidente Vladimir Putin ed ex vice-premier, ucciso il 27 febbraio 2015. A distanza di un anno, il Comitato Investigativo ha dichiarato chiuso il caso, confermando colpevoli i quattro ceceni già fermati a marzo 2015 (Zaur Dadayev, Shadid Gubashev, Temirlan Eskerhanov e Hamzat Bahaev) e il quinto sospettato Beslan Shavanov, che si era suicidato per sfuggire all’arresto. I quattro sono stati accusati di aver commesso un omicidio su commissione come parte di un gruppo organizzato. Stando agli investigatori, il mandante sarebbe stato Ruslan Mukhutdinov, ufficiale ceceno, che si starebbe nascondendo all’estero. Mukhudinov era l’autista di Ruslan Gheremeiev, che la stampa russa indica come testimone nel caso, ma che, secondo alcuni analisti, potrebbe essere stato il collegamento tra i mandanti dell’omicidio e gli esecutori. Sarebbe, infatti, imparentato con il braccio destro di Ramzan Kadyrov, luogotenente del corpo di guardia personale di Putin in Cecenia. Alla stessa unità armata appartenevano Zaur Dadayev e Beslan Shavanov. Il capro espiatorio della “pista cecena” aveva alimentato le

voci circa un possibile conflitto “interno” con la FSB (Servizi Federali per la Sicurezza della Federazione Russa). La richiesta da parte della famiglia di Nemtsov di interrogare altre persone legate al gruppo ceceno è stata respinta. Le persone più vicine all’ex leader non credono a queste versioni e considerano il caso irrisolto. Le investigazioni sono state contestate anche davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. È emerso che Nemtsov stava lavorando a un rapporto sul coinvolgimento russo nella guerra in Ucraina, poi pubblicato a maggio 2015. Il dossier si apre con una citazione dello stesso Nemtsov: “Il dovere dell’opposizione adesso è quello di fare chiarezza e di dire la verità. E la verità è che Putin vuol dire crisi e guerra.” Questa citazione rappresenta il filo conduttore del rapporto, che parte dall’annessione della Crimea voluta da Putin e dal conseguente conflitto in Ucraina. A un anno dall’assassinio, i compagni di partito vogliono mantenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica e di tutti i cittadini del Paese sull’omicidio. “Boris Nemtsov era un personaggio scomodo per il nostro potere. La sua figura destabilizzava, in quanto stimolava l’attivismo dei cittadini, smascherando schemi di corruzione”. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI Il Ministero dell’Interno a Belgrado ha dichiarato lo stato di emergenza in 11 località. Le aree più colpite finora sono state quelle centrali. La Serbia aveva già affrontato una disastrosa alluvione nel maggio del 2014. UCRAINA Le forze governative e le milizie separatiste del Donbass si accusano di aver violato la tregua stabilita lo scorso 14 febbraio. Il 5 marzo le truppe ucraine sono state accusate di aver attaccato le città di Donetsk e Horlivka, mentre Kiev punta a sua volta il dito contro i miliziani, che avrebbero ripetutamente aperto il fuoco contro le postazioni governative.

Il 6 marzo circa 2.000 persone hanno manifestato in piazza Maidan, a Kiev, per chiedere la liberazione di Nadia Sachenko, la pilota ucraina accusata da Mosca di aver fornito le coordinate per i tiri di mortaio che nel 2014 causarono la morte di due reporter nel Donbass. Il corteo si è poi diretto all’ambasciata russa, dove i manifestanti hanno gettato bombe carta e danneggiato alcune automobili nelle vicinanze. Il 9 marzo è ripreso il processo contro la top gun ucraina, che ha affermato di non riconoscere la legittimità della Corte russa, definendo il processo una ”farsa dei burattini del Cremlino”. Sachenko ha, inoltre, espresso la volontà di continuare lo sciopero della fame. A cura di Giulia Bazzano 10 • MSOI the Post

LA SERBIA VERSO ELEZIONI ANTICIPATE Unione Europea, crisi migratoria, difficoltà economiche: il governo cerca conferme

Di Daniele Baldo Il presidente della Repubblica serba, Tomislav Nikolic, ha sciolto il Parlamento e indetto elezioni anticipate lo scorso venerdì. Precedentemente, il suo primo ministro, Aleksandar Vucic, aveva avanzato la necessità di un nuovo mandato, per poter attuare le riforme economiche necessarie a permettere l’ingresso nell’Unione Europea. A gennaio, infatti, a due anni dalla fine del suo mandato, il Premier aveva richiesto il supporto dei cittadini serbi con un’approvazione alle urne del suo lavoro. L’UE però, in preda a una crisi migratoria e economica profonda e con uno Stato membro, la Gran Bretagna, con un piede fuori dall’Unione, ha già annunciato che non accoglierà altri Stati nel fino al 2020. L’ultimo Paese che è entrato a far parte dell’Unione è la Croazia, nel 2013. La mossa di Vucic è stata bollata da molti come un tentativo di aumentare il proprio potere, già ampio vista la comoda maggioranza che possiede il suo partito di centro-destra in Parlamento. Vucic è stato un ultranazionalista e stretto alleato di Slobodan Milosevic, morto nel 2006 mentre stava affrontando accuse internazionali di crimini di guerra relativi ai conflitti degli anni ‘90 nei Balcani.

Vucic, 45 anni, si è da allora presentato come sostenitore delle potenze occidentali e delle strette relazioni con UE e Stati Uniti, ma è comunque stato al centro di critiche che lo accusavano di scoraggiare i dissidenti interni e la libertà di stampa. La Serbia, un Paese balcanico relativamente povero, in un travagliato tentativo di entrare nell’Unione ha cercato di ammodernare la propria economia e di ammorbidire le relazioni con le nazioni vicine. Il Paese, tuttavia, ha un’economia ancora debole con un alto tasso di disoccupazione e la crisi dei migranti europea ha spinto il governo a chiudere le frontiere. Alla fine del 2014 è stato accettato un prestito del Fondo Monetario Internazionale di 1,2 miliardi di euro; per quest’ultimo è stato richiesto un risanamento delle finanze serbe, con misure come la privatizzazione delle industrie pubbliche. Allo stesso tempo, la Serbia si trova in brutti rapporti con il Kosovo, che, dichiaratosi indipendente nel 2008 e ancora senza un riconoscimento ufficial eda parte né della Serbia né dell’alleata Russia. Il riconoscimento del Kosovo è un prerequisito necessario per l’ingresso della Serbia nel blocco europeo. Le elezioni del 24 aprile serviranno a chiarire la direzione che prenderà il governo.


OCEANIA E ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole CINA Cina e Giappone ancora faticano a raggiungere una conciliazione. Tokyo invia aerei militari alle Filippine di Aquino, che, per fronteggiare l’assertività cinese, pianifica una spesa da 1,77 miliardi in armamenti entro il 2017. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha criticato il doppiogiochismo nipponico. Yoshide Suga, portavoce del governo giapponese, ha rigettato le accuse, precisando che il dialogo resta aperto. In questi giorni si tiente il meeting di Manila tra la Cina ed i Paesi dell’ASEAN per discutere una Dichiarazione di Condotta nei territori contesi. GIAPPONE La Corte Distrettuale di Otsu ha ingiunto alla Kansai Electronic Power (KEP) di interrompere i lavori per la riattivazione dei reattori nucleari N.3 e N.4 di Takahama, che pure avevano superato i test di conformità alla normativa vigente, più aspra dopo Fukushima. Un colpo basso per la politica energetica di Shinzo Abe, anche se, data la tendenza filogovernativa dell’Alta Corte, è probabile un ribaltamento in appello.

AUSTRALIA L’Australia affronta le falle del proprio sistema di accoglienza, basato su accordi coi Paesi vicini. Il governo australiano ha promesso 41 milioni di

SCONTRO TRA TOKYO E LA PREFETTURA DI OKINAWA

Lite sul ricollocamento delle basi militari USA sull’isola

Di Gennaro Intoccia

sonale tecnico americano.

Al termine della sanguinosa battaglia di Okinawa nel 1945, gli americani, vincitori, occuparono l’isola che rimase sotto il loro formale controllo fino al 1972. Nonostante la riconsegna dell’isola al Giappone, oggi le basi aereo-navali che vi erano state costruite dagli statunitensi sono rimaste operative. Attualmente vi sono dislocati 47.000 soldati statunitensi.

Il governatore di Okinawa Takeshi Onaga ha revocato le autorizzazioni ai lavori di bonifica nei pressi della baia di Honaka per la costruzione della nuova base aereo-navale. Egli ritiene che il progetto di ricollocamento sia irragionevole e sproporzionato rispetto alle dimensioni dell’isola: Okinawa rappresenta solo lo 0,6% del territorio Giapponese, ma ciononostante sull’isola è situato il 74% delle basi statunitensi del Paese.

Nel 2006 fu stipulato un accordo fra Washington e Tokyo per rivedere la presenza ed il collocamento di basi militari e logistiche sull’isola, prevedendo una diminuzione del numero di marines. 8.000 sarebbero stati destinati a Guam, gli altri militari trasferiti nella nuova base di Henoko, all’epoca ancora in costruzione, nella parte meridionale di Okinawa. Dopo il fermo disposto nel 2009 dal Partito Democratico, allora alla guida del governo centrale, recentemente l’esecutivo guidato da Shinzo Abe non ha solo permesso la continuazione della costruzione, ma ha anche portato ad una accelerazione dei lavori. Nel 2015 si sono susseguite vivaci manifestazioni da parte della popolazione di Okinawa che si oppone alla costruzione della nuova base. I comitati cittadini hanno denunciato apertamente episodi di violenza sulle donne da parte di soldati e per-

L’Alta Corte Suprema di Fukouka ha sancito l’interruzione dei lavori, confermando la decisone del Governatore ed invitando il governo centrale e la prefettura di Okinawa a raggiungere un accordo. Shinzo Abe è stato costretto ad adeguarsi, confermando temporaneamente la decisone della Corte. Il Premier ha però invitato la Prefettura di Okinawa a non commettere atti di ostruzionismo. auspicando la ripresa delle trattative. Washington osserva con sconcerto l’evoluzione dei negoziati. Obama ha dichiarato, nell’ultimo incontro avuto con Abe, la necessaria prosecuzione dei lavori. Tokyo non sembra voler indietreggiare. Okinawa e molte isole dell’arcipelago rappresenterebbero, infatti, una risorsa nella strategia di contenimento della Cina. MSOI the Post • 11


OCEANIA E ORIENTE dollari alla Cambogia perché accogliesse 5 rifugiati. L’8 marzo però due di essi han deciso di rimpatriare. Un caso analogo si era già verificato ad ottobre con un rifugiato birmano.

A un anno dal no del Tesoriere Scott Morrison per ”mancanza di interesse nazionale”, riaprono le trattative della Shangai Penxin per l’acquisto di 101.000 km² di pascoli australiani della S. Kidman & Co. Questa volta l’Australian Rural Capital spalleggia la compagnia cinese. INDIA Il governo indiano riduce del 70% le royalties pagate dai coltivatori locali alla Mahyco Monsanto Biotech e fissa prezzi massimi per i semi OGM. Il taglio arriva a ridosso della minaccia della corporation, già sotto esame dell’antitrust indiano per sospettato abuso di posizione dominante, di abbandonare il Paese.

A cura di Giusto Amedeo Boccheni

12 • MSOI the Post

LA “RISTRUTTURAZIONE” DELLA CINA Pechino vara la bozza del nuovo piano quinquennale

Di Tiziano Traversa

carbone nei processi produttivi.

In un periodo di grande incertezza per l’economia cinese, la bozza del nuovo piano quinquennale acquieta, per il momento, gli animi di coloro che negli ultimi tempi si sono interrogati sugli evidenti problemi della finanza cinese.

Vi è poi un piano per incrementare la produzione risorse energetiche interne che permetta al Paese di essere sempre più e autosufficient . Il presidente Xi Jinping lavora da anni per rendere la Cina un Paese modestamente prospero ed indipendente che possa allontanarsi dai giochi macroeconomici internazionali.

Gli obbiettivi della bozza, presentata dal premier cinese Li Keqiang, sono ambiziosi. Vanno da una regolare crescita del PIL (stimata di circa il 6,5% annuo) al miglioramento sostanziale dei servizi, passando per importanti riforme delle infrastrutture e delle realtà industriali. Verrà incrementato il settore dei trasporti, verranno restaurate le aziende che al momento non sono sufficientemente produttive e saranno eliminati surplus inutili e dispendiosi. Il piano stima di creare decine di milioni di posti di lavoro, mantenendo la disoccupazione ad un livello accettabile. E’ presente nel piano un importante pacchetto di riforme sull’inquinamento. Il governo sa bene che la riduzione delle emissioni tossiche prodotte dal Paese deve essere un punto imprescindibile del nuovo piano economico. Le proposta è di ridurre l’impiego di energie inquinanti per la produzione industriale limitando l’utilizzo di

Non si può sapere se la Cina riuscirà a mantenere gli obbiettivi, la borsa ha risposto positivamente alla proposta del nuovo piano, ma ora l’economia del Paese pare rallentata. Le esportazioni sono, infatti, calate drasticamente (circa il 20%). Il premier cinese ha assicurato che la crescita non rallenterà in futuro, ma sia il governo sia le riforme presentate nella bozza del piano quinquennale si concentrano particolarmente sulla situazione interna. Sul piano internazionale, quindi, i dubbi permangono. Le preoccupazioni degli osservatori esteri, infatti, non si focalizzano tanto sulla realtà interna della Cina, ma su quali possano essere le conseguenze dell’allontanamento dal panorama finanziario internazionale della seconda potenza economica mondiale.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole LE NUOVE SFIDE DELLO SVILUPPO AFRICANO SOMALIA Peter Cook, portavoce del Pentagono, ha confermato che il 5 marzo gli Stati Uniti hanno attaccato un campo di addestramento di Al Shabaab utilizzando droni e caccia. Sono morti 150 terroristi, tra cui un esponente di spicco. Gli Stati Uniti hanno dichiarato che l’attacco è avvenuto perché i servizi di intelligence avevano indicato che all’interno del campo si stava preparando un attentato su larga scala.

MAROCCO Il Ministero dell’Interno del Marocco ha annunciato di avere smantellato una cellula del Daesh, al cui interno militavano 5 jihadisti che progettavano una serie di attentati con esplosivi in spazi pubblici affollati. Non si conoscono le nazionalità degli arrestati. LIBIA Il segretario generele delle Nazioni Unite Ban Kimoon ha espresso la sua preoccupazione per la minaccia dello Stato islamico in Libia, ritenendo che il futuro del Paese sia in bilico. Egli auspica un governo di unità nazionale che contribuisca a ripristinare la stabilità in Libia e in tutta la regione del Sahel; inoltre, ritiene che l’intervento di un “qualsiasi giocatore esterno possa solo alimentare il fuoco”.

A Casablanca summit tra ministri, ambasciatori e industriali

di Jessica Prieto Giovedì 25 febbraio, nella città marocchina di Casablanca, si è aperto il quarto Forum Internazionale per lo Sviluppo Africano. In questa sede, esperti e diplomatici si sono confrontati per elaborare nuove forme di cooperazione tra i singoli Paesi africani ed incrementare i loro affari infraregionali. I partecipanti al Forum hanno discusso sulle nuove possibilità di sviluppo del continente, concentrandosi su due aspetti: agricoltura e elettricità. Nel settore agricolo, grande impegno è stato dimostrato dai leader politici nel voler trasformare l’agricoltura da semplice attività di sussistenza a motore di sviluppo economico. A tal proposito, il ministro marocchino dell’Agricoltura Mohammed Aziz Akhannouch ha illustrato ai suoi colleghi i successi ottenuti tramite il piano Marocco Verde. Il programma, introdotto a partire dal 2008, ha come obiettivo l’ammodernamento del settore agricolo attraverso due pilastri principali: aumentare gli investimenti privati e allo stesso tempo sostenere le piccole aziende, migliorando il reddito degli agricoltori più poveri. Per quanto riguarda il tema dell’elettrificazione, è stato

sottolineato come questo rappresenti un serio problema per la maggior parte delle popolazioni africane, che ancora oggi non dispongono di energia elettrica. Nel 2013 la presidenza Obama aveva approvato un progetto di elettrificazione rurale ed urbana dal nome Power Africa. Questo piano prevedeva lo stanziamento di 7 miliardi di dollari per incrementare nell’arco di 5 anni la rete elettrica dell’Africa subsahariana e incentivare l’utilizzo delle energie pulite geotermiche, idriche e solari. Tuttavia, l’intervento americano non ha ottenuto i risultati sperati e ancora oggi il problema dell’elettrificazione rimane centrale per la costruzione di un’economia solida ed equilibrata. Lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite Ban Kimoon ha più volte sottolineato come il rilancio economico del continente africano sia essenziale per lo sviluppo e la crescita dell’intera comunità internazionale. Eventi quali il Forum assumono quindi sempre maggiore importanza, poiché rappresentano le principali occasioni in cui i Paesi in via di sviluppo possono trovare partner internazionali disposti a collaborare e ad investire nei loro progetti di crescita. MSOI the Post • 13


AFRICA BURUNDI. È stato arrestato nella capitale Hugo Haramategeko, uno degli ultimi leader dell’opposizione del partito La Nuova Alleanza per lo sviluppo del Burundi. La polizia non si è ancora pronunciata, ma alcuni sostengono che si tratterebbe di un “arresto arbitrario”. Il Paese sta vivendo una grave crisi politica da luglio, dopo la rielezione per il terzo mandato del presidente Pierre Nkurunziza.

TUNISIA Lunedì 7 marzo scontri tra forze governative e miliziani jihadisti nella cittadina di Ben Gardane, al confine con la Libia. Morti 36 terroristi, 7 civili e 12 militari. 7 arresti. La Tunisia ha chiuso la frontiera con la Libia e il premier Habib Essid ha decretato il coprifuoco. BENIN Le elezioni di domenica 6 marzo mandano al ballottaggio l’uomo d’affari Patrice Talon (24,8% dei voti), il primo ministro uscente Lionel Zinsou (28,4%) e il magnate della finanza Sebastien Ajavon (23.03%). I candidati erano 33 e gli elettori 4,7 milioni, mentre gli osservatori 3.000. I 136 osservatori internazionali della CEDEAO (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) si sono dichiarati soddisfatti quanto alla trasparenza e alla regolarità delle elezioni. A cura di Giulia Mogioni 14 • MSOI the Post

UNA SOVRANITÀ DIMEZZATA, PARTE PRIMA Il Sahara occidentale, tra Marocco e autonomia

di Fabio Tumminello Il Sahara Occidentale è una zona arida e desertica, ma ricca di risorse minerarie e gassose. Ex colonia spagnola, cruciale anche per il commercio con il Maghreb, fu a lungo oggetto di contesa tra la Spagna e il Marocco. Si rese indipendente dal dominio coloniale spagnolo a seguito della Marcia Verde del 1975, una storica manifestazione che si concluse con il simbolico attraversamento del confine di quasi 350mila marocchini, guidati dal re Hassan II. Appena un anno dopo, però, nella zona scoppiò una sanguinosa guerriglia che vide contrapposti il Fronte Polisario, indipendentista, e il governo marocchino. Nacque in questo periodo la RDAS, acronimo per Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi, che raccoglieva tutti i popoli arabiberberi della zona sahariana. Il conflitto si concluse solo nel 1991, con un cessate il fuoco che però non attenuò il desiderio di libertà della neonata Repubblica dei Sahrawi. Sempre nel 1991 anche l’ONU intervenne per tentare di dirimere la questione, cercando un accordo tra le parti. La Missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara Occidentale non ha però dato i frutti sperati. Ad oggi non c’è pace per i quasi

85mila abitanti della zona, dal momento che Marocco e RDAS non hanno ancora trovato un accordo e l’ONU ha inserito il Sahara Occidentale nella lista dei territori non autonomi. Per tentare di arginare il conflitto, il Marocco ha eretto una berma, un vero e proprio muro atto a dividere i suoi territori da quelli della Repubblica, che si estendono nel deserto fino al confine con la Mauritania. Pur di fronte ad un limitato riconoscimento internazionale, la Repubblica ha assunto tutti i connotati di un’entità statale: occupa un territorio definito, stampa moneta (la peseta sahrawi, usata insieme al dirham marocchino, a testimonianza dell’ancora stretto legame tra i due Stati), possiede una propria bandiera e ha un’organizzazione amministrativa interna. Ma ad oggi sono soltanto 82 gli Stati dell’ONU che riconoscono l’esistenza della RDAS, tra cui soprattutto alcuni Stati africani appartenenti all’Unione Africana (di cui la stessa Repubblica fa parte). Nel corso del tempo, molte altre nazioni hanno gradualmente interrotto le loro relazioni diplomatiche con la Repubblica. Nonostante i tentativi di mediazione, i rapporti con il Marocco continuano ad essere glaciali.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole NICARAGUA

L’ARGENTINA E GLI HEDGE FUND Deposte le armi dopo 15 anni di discussioni

Il presidente della Repubblica Daniel Ortega ha ritenuto una dichiarazione di guerra l’asserzione di Washington che annovera il Venezuela come pericolo per la sicurezza nazionale statunitense. “Accusano il Venezuela di essere una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti: si tratta di una dichiarazione di guerra, è altrettanto grave come il blocco di Cuba” ha affermato Ortega. VENEZUELA Il Venezuela si avvia verso l’iperinflazione. Il crollo del prezzo dell’oro nero e le politiche populiste del presidente della repubblica Nicolas Maduro hanno de facto notevolmente immiserito il Paese. In data 8 marzo, il carrello della spesa ha subito un aumento del 395%.

BRASILE L’ex presidente brasiliano Luiz Lula da Silva e sua moglie sono nuovamente soggetti alle accuse di riciclaggio di denaro. La procura di San Paolo sospetta che Lula e la moglie siano coinvolti nell’indagine Lava Jato che ha già portato all’arresto di numerosi imprenditori, manager e politici.

Di Stefano Bozzalla Cassione Il default argentino, cominciato a inizio anni ‘90 e compiutosi nei primi anni del nuovo millennio, colpì duramente l’economia del Paese, con ovvi strascichi in tutto il mondo della finanza. Si sviluppò in un contesto caratterizzato da anni di lotte interne e dittature, che arrecarono ingenti danni alla stabilità economica della regione. Complice della situazione anche il susseguirsi di governi deboli e impreparati ad affrontare una simile situazione civile, economica e sociale. Nel 2002 fu dichiarato ufficialmente il default del Paese. Questo causò un quasi totale abbandono del mercato argentino da parte degli investitori stranieri, che provocò un ovvio calo dei flussi di capitale. Una simile situazione costrinse il governo a trovare i fondi per risanare il debito accumulato negli anni. Le difficoltà non furono poche, giacché lo Stato non possedeva quasi più riserve finanziarie e anche le riserve di valuta estera della Banca Centrale erano praticamente esaurite. Manovre finanziarie intense, unite a un governo più forte e all’azione di un Ministro dell’Economia rispettato, centrista e

con idee eterodosse, riportarono l’Argentina, negli anni successivi, a una situazione di stabilità e forza economica. Il fallimento dell’Argentina causò notevoli perdite anche per gli investitori stranieri, che si ritrovarono nell’impossibilità di richiedere rimborsi. Oggi, dopo 15 anni di controversie e discussioni tra gli hedge fund stranieri e il governo argentino, si è raggiunto uno storico accordo di principio che promette il rimborso di 4,65 miliardi di dollari da parte del governo verso i fondi stranieri. Nel 2014 era fallito il primo tentativo di arrivare a un simile accordo, provocando il secondo default del Paese nel giro di 15 anni. Con la recente elezione del nuovo presidente Mauricio Macri, le condizioni sono mutate e la volontà del governo di dare un segnale ai mercati mondiali potrebbe portare a una conclusione diversa, costosa in termini di numeri, ma sicuramente favorevole all’economia argentina e all’immagine politica del neo presidente Macri. Chiudere tutti i contenziosi legati ai default del 2002 e del 2014 porterebbe di nuovo l’Argentina nei mercati internazionali e ricondurrebbe l’attenzione degli investitori verso il Paese.

MSOI the Post • 15


SUD AMERICA MESSICO L’ex presidente messicano Vincente Fox ha annunciato che in caso di vittoria del candidato repubblicano Donald Trump tra Washington e Città del Messico potrebbe scoppiare una guerra commerciale. Fox ha inoltre sottolineato che è dovere della candidata Hillary Clinton “salvare” gli Stati Unti dal “Tycoon”

LULA COINVOLTO NELLO SCANDALO DI PETROBRAS

Anche l’ex Presidente nella rete della “Mani Pulite” brasiliana

Di Daniele Pennavaria

COLOMBIA La firma per un accordo di pace tra le FARC e il governo colombiano potrebbe essere posticipata. “Dopo tutti questi sforzi e questo tempo, se ancora non avremo raggiunto un buon accordo entro il 23 marzo, proporrò all’altra parte di stabilire una nuova data massima non firmerò una cattiva intesa per rispettare i tempi” ha dichiarato il presidente Santos, motivando la sua posizione.

A cura di Sara Ponza

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Il 4 marzo, in seguito alla mancata presentazione per una testimonianza, Lula è stato portato in questura dalla polizia di San Paolo per essere interrogato. Dopo l’interrogatorio, è stato rilasciato, ma ciò peggiora ulteriormente la posizione del PT (Partido dos Trabalhadores) e dell’attuale governo, anche per via del mandato d’arresto per il braccio destro di Lula, Paulo Okamoto.

vede tra gli indagati e i condannati senatori e deputati. Da quando, nel 2014, la bufera Petrobras è iniziata, la preoccupazione principale è stata che l’uragano arrivasse a una carica tanto alta. Il fatto che ora queste connessioni siano evidenti è un peso per l’intera sinistra. È netta la divisone tra chi manifesta sostegno all’ex Presidente e chi non risparmia i suoi attacchi a una politica che sembra essere tornata lontana dal popolo.

Sembra inoltre che possa essere coinvolta anche l’attuale presidente Dilma Roussef, citata da un senatore per aver rallentato le indagini che hanno condotto a Lula. La Roussef ha convocato una riunione straordinaria con i ministri per analizzare la situazione. In ogni caso, il partito continua a difendere Lula e a sostenerne il coinvolgimento al solo scopo di accertamenti.

Il coinvolgimento di Lula, che difficilmente potrà sperare in un risultato positivo nelle elezioni presidenziali del 2018, è l’ennesimo duro colpo per l’immagine della sinistra sudamericana. Un altro dei leader popolari che hanno portato cambiamenti radicali nei propri Paesi, partendo dal basso e arrivando ai vertici della politica, si trova alla fine di una carriera che li vede non propriamente immacolati.

Molti osservatori interni ed esterni vedono l’operazione della magistratura, denominata Lava Jato (“autolavaggio”), come una “Mani Pulite” verde-oro, anche per la fama che ha ormai raggiunto Sergio Moro, il giudice che la dirige. Al di là delle comparazioni, è indiscutibile la dimensione inedita dello scandalo, che a quasi 2 anni dall’inizio dell’operazione conta oltre 130 arresti e

Lula e Rousseff in Brasile, come la Kirchner in Argentina, Maduro in Venezuela e Morales in Bolivia, incarnano il fallimento di un sogno che forse solo Mujica in Uruguay è riuscito a portare avanti un po’ più a lungo. A fare le spese della parabola di questi leader è lo sviluppo di Paesi che avrebbero potuto oggi ricoprire un ruolo completamente diverso nella regione e nel mondo.


CONTRASTARE I FOREIGN FIGHTERS

Prospettive giuridiche, politiche e militari

Di Andrea Mitti Ruà

Il secondo incontro del ciclo di conferenze “EU KNOW”, preparatorie all’EU MODEL 2016, ha avuto luogo ieri al Campus Einaudi. Il tema proposto è stato affrontato sotto tre diversi punti di vista grazie alle competenze specifiche di ciascun relatore.

Le questioni giuridiche sono state illustrate dal dottor Stefano Montaldo, che ha brevemente esposto i diversi modi per contrastare il fenomeno dei foreign fighters previsti a livello internazionale ed europeo.

Si è passati poi ad esaminare i punti salienti della proposta di Direttiva che sarà al centro delle attività del prossimo EU MODEL. “La Commissione assicura che la Direttiva verrà trasposta senza problemi nei diversi ordinamenti statali, ma non è mai facile dare per scontato tale procedimento, soprattutto quando si tratta di un argomento così importante” ha concluso il dottor Montaldo.

Il dottor Andrea Beccaro ha ripreso il tema dell’opposizione al terrorismo da un punto di vista militare; dopo una rapida introduzione sul mutamento della definizione di “guerra”

negli ultimi decenni, ha analizzato le 4 caratteristiche che avvicinano maggiormente il termine ai giorni nostri: “Irregolarità, mobilità, ideologia politica ed “effetto tellurico” sono i fattori che definiscono la tipologia di guerra condotta dai cosiddetti foreign fighters”

La conferenza si è quindi conclusa con l’intervento del dottor Claudio Bertolotti, che ha trattato l’argomento in chiave politica e si è soffermato in particolare sulla distinzione tra foreign fighters e terroristi, illustrando le percentuali di affiliazione all’estremismo islamico nei diversi Paesi europei e medio orientali.

Per rimanere aggiornato sulle attività di MSOI Torino, visita il sito internet www.msoitorino.org, la pagina Facebook Msoi Torino o vieni a trovarci nella Main Hall del Campus Luigi Einaudi tutti i mercoledì dalle 12 alle 16. MSOI the Post • 17


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