Msoi thePost Numero 22

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Giulia Marzinotto, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Silvia Perino Vaiga Amministrazione e Logistica Emanuele Chieppa Redattori Benedetta Albano, Federica Allasia, Erica Ambroggio, Timothy Avondo, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Giusto Amedeo Boccheni, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Stefano Bozzalla, Emiliano Caliendo, Federico Camurati, Matteo Candelari, Emanuele Chieppa, Sara Corona, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Alessio Destefanis, Alessandro Fornaroli, Giulia Ficuciello, Lorenzo Gilardetti, Andrea Incao, Gennaro Intocia, Michelangelo Inverso, Andrea Mitti Ruà, Efrem Moiso, Silvia Peirolo, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Emanuel Pietrobon, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Simone Potè, Jessica Prieto, Fabrizio Primon, Giacomo Robasto, Carolina Quaranta, Francesco Raimondi, Jean-Marie Reure, Michele Rosso, Fabio Saksida, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi. Editing Lorenzo Aprà Copertine Mirko Banchio Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole

GERMANIA, 1945-2016 L’ascesa politica dell’AFD e la crisi europea

AUSTRIA 24 aprile. Nel primo turno delle elezioni presidenziali, il conteggio finale ha assegnato il 36,4% dei voti a favore dell’ FPÖ, il partito anti immigrazione di estrema destra guidato dal candidato Norbert Hofer. Il 20,4% è andato ai Verdi dell’economista Alexander Van der Bellen. Al secondo turno elettorale del 22 maggio gli elettori dovranno scegliere uno di loro quale futuro capo del Governo.

Di Benedetta Albano

71 anni dopo la caduta del nazifascismo, in Italia e in Germania, come nel resto d’Europa, le estreme destre ottengono un’impennata di voti e di consensi. La crisi economica e l’emergenza profughi hanno evidenziato le fragilità e le 27 aprile. Approvata la barriera debolezze dell’Unione Europea, sul confine con il Brennero: invece di essere l’impulso per da maggio una rete metallica l’attuazione di politiche comuni. chiuderà la A22 e la statale per il Brennero. Oltre a ciò le autorità Germania il partito austriache hanno chiesto il In permesso alle controparti antieuropeista e xenofobo (Alternative fur italiane di effettuare controlli in AFD Deutschland) ha registrato territorio italiano, autorizzazione al momento negata da Roma. risultati importanti alle elezioni Inasprite le norme sul diritto federali. La cancelleria Merkel fatto dell’accoglienza d’asilo, con una legge che ha ha visto solo 4 voti opporsi ad essa profughi una dei suoi punti di forza, ma la popolazione nell’intero Parlamento. tedesca non sembra più appoggiarla, come dimostrano BELGIO 27 aprile. Le autorità belghe l’aumento delle aggressioni hanno concesso l’estradizione contro i centri di accoglienza e in Francia di Salah Abdeslam, le manifestazioni organizzate l’unico terrorista sopravvissuto contro i migranti (specialmente degli attacchi di Parigi. Un dopo i fatti di Colonia). elicottero delle forze speciali Il movimento AFD e la sua francesi lo ha prelevato in leader, Frauke Petry, hanno mattinata dal carcere nel cui sempre sottolineato nei loro era detenuto per portarlo in una comizi l’importanza dell’identità località ignota. tedesca che i flussi migratori Il suo legale, Frank Berton, è e l’Unione “minaccerebbero” al lavoro per garantire al suo (con posizioni peraltro non assistito “un processo equo, dissimili alle vedute di Trump, basato su quello che ha fatto e espresse anche nel suo slogan non su ciò che non ha commesso”. “Make America great again”).

In un’Europa che continua a rinegoziare Schengen (di poche ora fa l’annuncio che l’Austria bloccherà definitivamente con un muro il passo del Brennero) sembra che lo spirito di cooperazione che animava i cittadini europei alla costituzione dell’Unione sia stato sostituito dalla volontà di rivendicare la propria identità nazionale. Ovviamente una causa importante di questo cambiamento di mentalità è stata la crisi economica, nonchè il potere di organi come la BCE, sentiti come un’imposizione e un peso da molti cittadini. I movimenti di estrema destra in Germania hanno quindi saputo raccogliere il malcontento della popolazione, inserendosi nel quadro dei movimenti antieuropeisti che hanno raccolto forti consensi in questi ultimi anni, ma senza offrire (almeno per il momento) soluzione concrete e attuabili alle tematiche dell’accoglienza e dell’integrazione culturale. Questi ultimi cinque anni hanno diminuito il consenso nei confronti nell’Unione, ma proprio per questo è maggiormente auspicabile un richiamo ai valori di unità e cooperazione, per non distruggere quello è stato costruito negli ultimi 70 anni. MSOI the Post • 3


EUROPA FRANCIA 26 aprile. Il gruppo industriale francese DCNS è stato selezionato dall’Australia quale vincitore della gara internazionale per la fornitura di 12 sottomarini. “E’ un programma storico” ha commentato l’ufficio presidenziale dell’Eliseo, Il più grande programma d’esportazione di armi che il nostro Paese abbia mai sottoscritto”. Il contratto prevede, infatti, che il governo australiano dilazioni in più anni il pagamento totale di 50 miliardi di dollari australiani. Il presidente Hollande si è detto soddisfatto del risultato ottenuto, sottolineando il fatto che il progetto creerà 4.000 nuovi posti di lavoro. 27 aprile. Il progetto di legge presentato dal ministro del lavoro francese Myriam Il Khomri, che ricalca riforme sul lavoro simili a quelle attuate in Italia e in Spagna, ha causato un’ondata di scioperi, specialmente nel settore dei trasporti. Per la quarta volta in 2 mesi aeroporti e ferrovie sono bloccate, causando forti disagi in tutto il Paese. Oggi a Parigi, nel quarto giorno di manifestazioni, secondo la polizia sono scese in strada 170.000 persone (500.000 secondo la CGT). SPAGNA 27 aprile. Si è concluso senza successo il terzo round di consultazioni che Re Felipe VI ha tenuto con i leader politici per trovare un Primo Ministro. Se entro il 2 maggio non si troverà un accordo, la Spagna dovrà tornare alle urne il 26 giugno per elezioni anticipate, prima volta nella storia del Paese. A cura di Andrea Mitti Ruà

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IL VOLTO RASSICURANTE DELL’ESTREMA DESTRA

Alle presidenziali austriche 1° posto a Norbert Hofer del ‘Partito della Libertà’

Di Fabio Saksida Nella Repubblica austriaca, la corsa alle elezioni presidenziali è sempre stata una sfida fra i due grandi partiti tradizionali, popolari e socialisti: un gioco a porte chiuse, che ha sempre visto solo la vittoria dei due partiti di coalizione. Per questo i risultati del primo turno delle presidenziali di domenica 24 aprile hanno lasciato sbigottito l’intero establishment politico austriaco. Al 1° posto si è piazzato, con il 36,4% dei consensi, un risultato inaspettato che non ha esitato a definire “storico”, Norbert Hofer, il volto rassicurante del Partito della Libertà (FPOE). Ed è davvero un risultato storico. Per il FPOE, infatti, nato nel 1956 come partito pan-germanico, liberale e nazionalista, si tratta del miglior risultato di sempre, soprattutto dopo la morte, avvenuta nel 2008, dello storico segretario Jörg Haider . Negli ultimi anni il partito, da sempre diviso fra un’area liberale e una nazionalista, si è avvicinato a posizioni euroscettiche e anti-migratorie, soprattutto per quanto riguarda la politica portata avanti dal cancelliere Angela Merkel, giudicata troppo aperta. Al 2° posto, con il 21% delle preferenze, si piazza Alexander van der Bellen, economista di 72 anni che tra il 1997 e il 2008 ha guidato i Verdi, dato come favorito. Sarà probabilmente su di

lui che si concentreranno i voti degli esclusi. Al 3° posto l’indipendente, Irmgard Griss (18,5%), mentre il socialdemocratico Rudolf Hundstorfer (SPO) e il popolare Andreas Khol (OVP) sono stati eliminati con l’11,2% dei voti ciascuno. È la prima volta che i partiti tradizionali, che sino ad oggi hanno governato grazie ad una coalizione, “escono” al primo turno. Il successo di Hofer riflette, oltre che la diffusa sfiducia verso i partiti tradizionali, la preoccupazione dell’elettorato austriaco per i rifugiati. L’Austria, Paese di 8.500.000 abitanti, ha visto nel solo 2015 il transito di oltre un milione di persone, nonché circa 90.000 domande d’asilo. Hofer minaccia già, una volta Presidente, di sfiduciare il governo se non adotterà misure più restrittive. Non che l’attuale governo stia tenendo una linea morbida: si è opposto al paradigma dell’accoglienza illimitata e ha ripristinato i controlli alla frontiera con l’Ungheria e la parziale chiusura del Brennero, che rischia di diventare completa. Saranno quindi i primi tre a confrontarsi questo 22 maggio e per chiunque sarà il vincitore il dato politico sarà innegabile: una chiara sconfitta per la grande coalizione tra popolari e socialdemocratici che governa il Paese dal 2007.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole CANADA 26 aprile. Il primo ministro Justin Trudeau nel corso di una conferenza stampa, interrogato sulla decapitazione di un ostaggio canadese (John Ridsdel) nelle Filippine per mano di un gruppo affiliato al sedicente Stato Islamico, si è detto molto preoccupato per la sorte di un altro ostaggio nelle mani dello stesso gruppo, Abou Sayyaf. Ha, inoltre, invitato tutti i Paesi della coalizione a non versare più riscatti in futuro. 27 aprile. Davanti alla devastazione provocata dal sisma che ha colpito l'Equador, il governo canadese ha annunciato che contribuirà con altri 2 milioni di euro. 27 aprile. Il Tribunale Canadese dei Diritti della Persona ha condannato il governo Trudeau perché, non ha reso conforme la legislazione nazionale che non assicurerebbe uguali diritti ai bambini che vivono nelle riserve rispetto ai non-autoctoni. STATI UNITI 24 aprile. Foreign Policy ha pubblicato uno studio sull'arma principale della guerra al terrore utilizzata dall'attuale amministrazione: i droni, facendo eco alle dichiarazioni rese dal presidente Obama lo scorso 8 aprile alla University of Chicago Law School. Sarebbe, infatti, erroneo dichiarare, come è stato fatto finora, che le "Valchirie di Obama" causino meno danni collaterali e morti civili degli attacchi aerei tradizionali. I dati raccolti dimostrerebbero, infatti, il contrario. 25 aprile. Obama ha annunciato l'invio di altri 250 militari delle forze speciali in Siria. Saranno

LE VITTIME DELL’ORO NERO

La dipendenza canadese dalla produzione petrolifera

Di Erica Ambroggio 19.600 i posti di lavoro persi nell’anno 2015 nella provincia dell’Alberta. Si tratta di un dato eclatante, ma perfettamente in grado di fotografare l’attuale situazione economica di uno dei territori chiave dello Stato canadese. Nella lista dei Paesi travolti dal rallentamento economico dovuto al calo del prezzo del petrolio, il Canada vanta una vittima di prim’ordine. L’Alberta, provincia canadese occidentale, ha infatti basato gran parte della propria economia sulla produzione petrolifera, subendo per tale ragione un tracollo economico di grande portata. La drammaticità della situazione dell’Alberta ha raggiunto il culmine registrando, parallelamente al picco del tasso di disoccupazione, un conseguente aumento del 30% del tasso di suicidi. Un dato allarmante, che ha portato i vertici politici locali e lo stesso primo ministro Justin Trudeau a definire necessaria una manovra in grado di dare respiro all’economia della provincia. In tale contesto si inserisce, dunque, il ritiro cominciato domenica 24 aprile, in un resort di Kananaskis Country, e terminato martedì 26. Protagonisti dell’incontro sono stati Justin Trudeau e i suoi 30 ministri, riuniti per discutere della devastazione economica in atto nella provincia.

A creare le maggiori pressioni sul ministro Trudeau, le richieste e le affermazioni del premier dell’Alberta, Rachel Notley. “La salute economica dell’Alberta è legata alla salute economica della Nazione”, ha dichiarato il premier della provincia, facendo riferimento alla necessità che il governo federale approvi la costruzione di nuovi oleodotti sul territorio per rinvigorire l’economia e creare nuovi posti di lavoro. La richiesta portata avanti dalla Notley si trova, tuttavia, a dover fronteggiare il blocco delle revisioni ambientali. Il ministro Trudeau, conosciuto per la sua politica ambientalista e da sempre a distanza dalle posizioni di “cheerleader pipeline” tipiche dei suoi predecessori, ha dichiarato che sarà di fondamentale importanza il rapporto della National Energy Board sulla sicurezza e l’impatto di tali impianti. Le suppliche della Notley, dunque, non sembrano aver sortito gli effetti immediati sperati. La mattina di lunedì 25 aprile i segnali provenienti dal Gabinetto hanno fatto intendere che le posizioni assunte dalla Premier locale non sarebbero in linea con la nota green policy di Trudeau. Miglioramenti e nuovi risultati sono fondamentali, ma sarà necessario raggiungere i traguardi prefissati attraverso strumenti sostenibili e rinnovabili. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA dispiegati al fianco dei ribelli che stanno attaccando Raqqa e per eventuali attacchi contro i leader del sedicente Stato Islamico. 26 aprile. Si è votato in 5 stati: Maryland, Pennsylvania, Delawere, Connecticut e Rhode Island. Sul fronte repubblicano, Donald Trump ha conquistato tutti e 5 gli Stati. Trump non ha comunque ancora raggiunto il numero di delegati necessari alla nomination automatica. In quest'ottica si deve leggere il "cartello" stabilito dai due sfidanti rimasti Kasich e Cruz. Questi ha annunciato, evento inusuale prima della nomination ufficiale, colei che sarebbe la sua vice-presiden-

te: Carly Fiorina. Sul fronte democratico Sanders si è imposto solo in Rhode Island, riuscendo a limitare i danni del secondo Super Tuesday, mentre la Clinton ha vinto nei restanti 4. Grazie a questi, la senatrice ha raggiunto il 90% dei delegati, cioè la percentuale necessaria per aggiudicarsi la nomination. 27 aprile. Pubblicata una prima bozza di relazione sullo stato di avanzamento sulle negoziazioni del TTIP. É infatti in corso questa settimana a New York, il 13º round negoziale e dai dati presentati si evince come i negoziati stiano avanzando su numerosi capitoli. A cura di Alessandro Dalpasso 6 • MSOI the Post

BREXIT E L’EFFETTO OBAMA

Nel Regno Unito, il messaggio anti-Brexit di Obama scuote l’opinione pubblica

Di Silvia Perino Vaiga “Lasciatemi dire, da amico, che l’Unione europea rende la Gran Bretagna ancora più grande”: questa l’accorata testimonianza anti-Brexit che risuonava dalle colonne del Daily Telegraph lo scorso 22 aprile. Parole nette, che non lasciano spazio a interpretazioni. Parole che assumono un valore ancor più potente se a firmarle è il Presidente degli Stati Uniti d’America. È proprio Barack Obama, infatti, l’autore del messaggio, che potrebbe smuovere gli equilibri della campagna in corso sul referendum del prossimo 23 giugno. Giunge durante la visita di Stato di Obama a Londra questa inaspettata presa di posizione, le cui ragioni si profilano con argomentazioni stringenti: il Presidente parla di come la Gran Bretagna abbia beneficiato del sostegno dell’UE nell’accordo sul nucleare con l’Iran, ma anche del ruolo decisivo dell’Europa nelle negoziazioni per l’accordo sul clima. “Su temi come il lavoro, il commercio e la crescita (…) la Gran Bretagna ha beneficiato della membership europea” – continua Obama, precisando anche che “viviamo in un momento storico in cui i Paesi che sono amici e alleati devono agire insieme” per fronteggiare le sfide davanti a cui si trovano, dalla crisi economica al terrorismo.

A ricorrere è proprio il tema dell’alleanza tra Paesi: più volte il messaggio del Presidente torna a sottolineare quanto gli Stati Uniti contino sulla special relationship con il Regno Unito – e non lo fa a caso. Per molti sostenitori della Brexit, infatti, il rapporto privilegiato con i cugini d’oltreoceano potrebbe salvare Londra dall’isolamento. Un argomento, questo, che viene puntualmente smentito dalle parole di Obama, ponendo un’enorme sfida al fronte anti-UE. Non si sono fatte attendere le reazioni, anche dure, da entrambi gli schieramenti. Il primo a rispondere è stato il sindaco uscente di Londra Boris Johnson, fervente sostenitore del sì a Brexit, che dalle pagine del Sun ha definito Obama “un mezzo keniano ipocrita” da sempre avverso al Regno Unito. Di parere opposto il premier David Cameron, che ha ammonito il Paese ricordando che “su Brexit, bisogna dare ascolto agli amici”. E mentre i leader si scontravano sulle prime pagine dei quotidiani, pare che anche il pendolo dell’opinione pubblica si sia spostato verso posizioni europeiste: secondo l’agenzia Reuters, da dati aggiornati al 25 aprile emerge che circa il 75% dei cittadini britannici sarebbe favorevole a rimanere in Europa.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole EGITTO 25 aprile. Due ordigni esplosivi ad El Arish (nord del Sinai) hanno ucciso 5 persone, un civile e 4 agenti della polizia egiziana. Sono stati disinnescati con successo gli altri 6 ordigni, senza lasciare feriti.

IRAQ 24 aprile. Due attacchi kamikaze nella capitale sono costati la vita a 14 persone, tra civili e soldati. Ancora nessuna rivendicazione. 25 aprile. Un’autobomba è esplosa nella zona orientale di Baghdad, uccidendo 12 civili: sono almeno 38 i feriti. Le autorità hanno riferito che l’attacco è stato rivendicato dal gruppo Stato Islamico. LIBIA 23 aprile. La National Oil Corporation libica (NOC) ha denunciato le autorità di Beida per aver esportato illegalmente 650.000 barili di petrolio in una sola settimana. Il primo ministro Sarraj ed il consiglio presidenziale hanno dichiarato di comprendere l’importanza della questione. 27 aprile. Sono 16 gli egiziani uccisi durante una sparatoria a Bani Walid, a sud-est di Tripoli: a riferirlo fonti della sicurezza libica presenti sul posto. SIRIA 23 aprile. Sanguinosi scontri tra

YEMEN, CHE COSA SUCCEDE? Riassunto delle puntate precedenti

Di Lucky Dalena, Corrispondente dal Libano Antico crocevia tra l’Africa e l’Asia, lo Yemen è però un Paese dalla storia recente e conflittuale. Dopo l’indipendenza dal regno britannico negli anni ‘60, solo alla fine degli anni ‘80 gli interessi comuni dei due presidenti hanno permesso l’unione di quelli che erano lo Yemen del sud e lo Yemen del nord. Ma cosa sta succedendo negli ultimi anni in questo Paese purtroppo dimenticato dai media occidentali? Quando tutti noi, nel 2011, avevamo gli occhi sulle primavere arabe, anche nello Yemen insorsero alcuni movimenti di protesta che chiedevano un miglioramento del sistema educativo, sanitario e il rispetto dei diritti umani. Il presidente Saleh rispose alle proteste con il fuoco e 50 persone furono uccise in marzo 2011. Questo fu solo l’inizio di una serie di disequilibri politici che hanno portato a un vero e proprio conflitto nel 2014, tra i fedeli dell’ormai ex presidente Saleh, il movimento Houti dal nord, ma anche tra movimenti che interferiscono dall’esterno come Hezbollah, Al-Quaeda e Daesh. Da marzo 2015, inoltre, è intervenuta la coalizione dei muqwarma (“la resistenza”), guidata dall’Arabia Saudita a sostegno del nuovo presidente Hani e contrapposta a Saleh e

gli Houti. Un anno dopo, i risultati della guerra sono ancora incerti. L’Arabia Saudita sostiene di avere il controllo dell’80% del territorio, ma le città chiave (quali la capitale Sanaa, Ibb e Taiz) sono ancora sotto il controllo degli Houti, sostenuti dall’Iran. Il sud-est del Paese, invece, risente del vuoto di potere in cui si sono infiltrati i movimenti armati di Al-Qaeda e il sedicente Stato Islamico. In un clima di incertezza, l’Occidente risponde, da un lato, condannando velatamente le violazioni dei diritti umani e, dall’altro, fornendo armi all’Arabia Saudita. Da novembre 2013, il Dipartimento di Stato USA ha autorizzato $ 35miliardi in accordi per il commercio di armi con i sauditi. In questi giorni, in Kuwait, si parla di pace. La comunità internazionale, però, si dimostra divisa sulla soluzione al conflitto, se sia necessario formare un governo di unità nazionale o se, piuttosto, sia da favorire la ritirata degli Houti dalle città chiave. Quel che è certo, però, è che il grande sconfitto di questa guerra non ha un colore politico: con più di 6.000 morti e 2,5 milioni di persone costrette a fuggire dalle loro case, chi ha perso davvero sono la società civile yemenita e noi, l’umanità. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE le forze governative e curde hanno portato a 40 morti ed un centinaio di feriti. Il mediatore dell’ONU, Staffan De Mistura, riferisce che il bilancio delle vittime dei conflitti, finora stimato 250300.000 morti, sia superiore a quello dichiarato dalle Nazioni Unite. “Questa tragedia deve finire” ha dichiarato De Mistura, preoccupato dai continui raid aerei in Siria. 26 aprile. Due bombardamenti ad Aleppo, nel quartiere di Sheikh Maqsud, occupato dalle milizie Curde. L’uno è stato compiuto dalle forze governative, l’altro dai gruppi di ribelli. 35 civili uccisi, secondo l’Osservatorio Nazionale per i Diritti Umani (ONDUS) che tra le vittime vi sarebbero 5 bambini. 27 aprile. Il gruppo Stato Islamico avanza a nord, verso il centro dei ribelli dell’Esercito Libero Siriano (ELS), vicino alla frontiera turca. La notizia è confermata dall’Osservatorio Nazionale per i Diritti Umani. Si stimano siano circa 40 le vittime tra civili, miliziani e elementi del Daesh.

YEMEN 23 aprile. Violenti scontri nello Yemen del sud tra militari e jihadisti di Al-Qaida. Stando alle dichiarazioni delle forze armate sul campo, una decina gli jihadisti uccisi. A cura di Maria Francesca Bottura 8 • MSOI the Post

VITA DA RIFUGIATI

La realtà economica dei rifugiati siriani in Giordania

Di Martina Terraglia La crisi siriana è stata definita dall’UNHCR come la grande tragedia di questo secolo. La Giordania è uno dei Paesi che ospita il più alto numero di rifugiati siriani, quasi un milione; di questi, circa l’80% risiede in host communities, aree urbane nel nord del Paese, mentre il restante 20% vive nei campi profughi, come Za’atari e al-Azraq. Per entrambe le categorie, la priorità non è rispondere a bisogni basilari, a cui fanno già fronte le organizzazioni che lavorano nei campi e fuori, ma costruire resilience, resilienza, la capacità della comunità di adattarsi e sopravvivere. Il requisito basilare per la resilienza è una fonte di guadagno, ma per i profughi siriani in Giordania la realtà occupazionale è molto difficile. Possiamo analizzare la situazione da due punti di vista, quello dei Siriani residenti nelle host communities e quello dei Siriani che vivono nei campi. Nelle host communities c’è una grande differenza nella partecipazione al mercato del lavoro da parte degli uomini (51%) e delle donne (7%). A causa delle forti restrizioni economiche e burocratiche imposte dal governo per l’assunzione di stranieri, la maggioranza dei rifugiati accetta di lavorare

in nero, spesso con salari inferiori alla media nazionale e con orari di lavoro più lunghi. Per questo, i giordani percepiscono i siriani come un pericolo per la propria stabilità economica, rendendo difficile la convivenza. A livello familiare, le difficoltà economiche sfociano in tensioni che hanno come conseguenze violenza domestica e diffusione del matrimonio precoce, visto come una soluzione ai problemi economici. I rifugiati residenti nei campi non ottengono permessi di lavoro e, a causa dei frequentissimi controlli, non possono lasciare i campi per impieghi non registrati. I campi si reggono su un’economia informale, la cui base è rappresentata dalla compravendita dei buoni distribuiti da NGO e agenzie ONU, dalla vendita di beni familiari e dai programmi C4W, cash for work, istituiti proprio dalle NGO. Tali programmi, tuttavia, funzionano su base rotatoria e non costituiscono una fonte di guadagno stabile. Inoltre, a causa di corruzione e logiche clientelari, a beneficiare di tali programmi sono sempre le stesse famiglie. Le tensioni e i problemi economici generano gli stessi risultati accennati per le host communities. Di fronte a una simile situazione, costruire resilienza sembra sempre più difficile. Ciò che è richiesto è un cambiamento del governo giordano e un maggiore controllo delle NGO.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole CRIMEA 26 aprile. La Suprema Corte di Crimea ha dichiarato illegale il Mejlis, ovvero il Parlamento dei tartari. La Corte ha giustificato questa decisione definendo il Mejlis come “organizzazione estremista”, che si sarebbe macchiata di atti di sabotaggio ai danni delle nuove autorità in carica in Crimea. I Tartari rappresentano una minoranza significativa (oltre il 13% della popolazione della Crimea) e, sotto il governo ucraino, godevano di uno statuto autonomo. MACEDONIA 27 aprile. Secondo il nuovo rapporto di Freedom House, osservatore statunitense della libertà nel mondo, la libertà di stampa in Macedonia in particolare, ma in tutta la regione balcanica in generale, è diminuita drasticamente nel giro di pochi mesi. La Macedonia è stata inserita nella lista dei Paesi Not Free, mentre il resto della regione resta Party Free.

RUSSIA 27 aprile. L’ultimo report del )Foreign Office (FCO britannico pone l’accento sul fatto negli ultimi mesi in Russia si è assistito a gravi e continue violazioni dei diritti umani, sia dopo l’annessione della Crimea sia, sul territorio russo, relativamente

IL FALLIMENTARE INCONTRO TRA RUSSIA E NATO

A due anni dalle ultime trattative, il tentativo di appianare le tensioni non dà risultati molto pericolosi: lo scorso 13 aprile un aereo caccia russo ha rischiato il contatto con un destroyer americano nel mar Baltico.. Di Daniele Baldo Era denso di aspettative l’incontro tenutosi lo scorso 20 aprile a Bruxelles, in cui la Russia e la NATO avrebbero dovuto appianare tensioni militari crescenti e riaprire un dialogo stabile. Il colloquio del Consiglio NATO-Russia (NRC) è durato più di un’ora, ma si è concluso senza alcun accordo sul problema più urgente: ridurre il rischio di scontri militari ravvicinati. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha affermato che fra Russia e NATO vi sono profondi e persistenti disaccordi e che le discussioni non hanno portato a nessun cambiamento di posizioni. Gli alleati della NATO hanno confermato che non potrà esserci alcuna cooperazione finché la Russia non ricomincerà a rispettare le leggi del diritto internazionale. Resta tuttavia l’intenzione di mantenere canali di comunicazione aperti. L’ambasciatore russo Alexander Grushko ha affermato che vi è la possibilità di organizzare ulteriori incontri. L’incontro è stato programmato dai diplomatici russi e statunitensi dopo che le tensioni militari hanno raggiunto livelli

Il Consiglio NATO-Russia venne creato nel 2002 per migliorare la cooperazione e la comunicazione, ma non si è più riunito dal 2014. Quell’anno, la NATO sospese la cooperazione militare tecnica e pratica in segno di protesta contro l’annessione della Crimea da parte di Mosca e il suo intervento indiretto in Ucraina. Il consiglio, però, non venne formalmente sciolto, lasciando così la porta aperta alle discussioni politiche fra gli ambasciatori. Questo incontro era, infatti, atteso ormai da entrambe le parti. Dopo lo scoppio della crisi in Ucraina, sia la NATO sia la Russia hanno eseguito esercitazioni militari sempre più vicine ai confini delle rispettive giurisdizioni, mentre l’intervento russo in Siria ha avvicinato sensibilmente l’esercito di Mosca al territorio turco, portando poi anche all’incidente aereo del novembre 2015.. I lavori hanno cercato di focalizzarsi anche sul rinnovamento del Documento di Vienna dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (OSCE), ma le accuse nei confronti di Mosca di aver più volte violato, riguardo alla situazione ucraina, il cessate il fuoco deciso a Minsk nel 2015 hanno irrigidito le discussioni. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI all’applicazione arbitraria della legge e alla sempre più limitata libertà di opinione e di stampa. Maria Zakharova, direttore dell’ufficio stampa del Ministero degli Affari Esteri russo, ha commentato dicendo che il report di FCO è “un’intromissione negli affari interni russi” e ha sottolineato l’ipocrisia della Gran Bretagna. La Zakharova sostiene, infatti, che per muovere critiche, un Paese debba essere assolutamente esemplare sul fronte dei diritti umani, e ritiene che questo non sia il caso della Gran Bretagna. SERBIA 25 aprile. Il premier serbo Aleksandar Vucic vince le elezioni politiche con oltre il 55% delle preferenze. Le elezioni erano state anticipate dal Premier, intenzionato a portare avanti la procedura di ammissione della Serbia all’UE. Questi ha ottenuto il pieno mandato dalla popolazione per altri 4 anni di politiche filoeuropeiste. Rientra in parlamento dopo 8 anni anche il partito di estrema destra e filorusso di Vojislav Seselj. UCRAINA 20 aprile. Nuova proposta dalla Commissione Europea: i cittadini ucraini in possesso di un passaporto biometrico potranno viaggiare liberamente per 90 giorni senza necessità di visto nell’area Schengen. Affinché la proposta venga attuata, serve ancoral’approvazionedelConsiglio UE e dell’Europarlamento. A cura di Elisa Todesco

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CHERNOBYL, 30 ANNI DOPO

Cosa rimane oggi del più grande incidente nucleare della storia

Di Lorenzo Bardia 30 anni fa, la notte del 26 aprile 1986, esplodeva all’1.23 il reattore numero 4 di una centrale nel nord dell’Ucraina che, di lì a poco, avrebbe provocato quella che oggi è la catastrofe nucleare più grande della storia: Chernobyl. Dopo sei lustri, poco è cambiato. Nessuna bonifica è stata mai tentata e le radiazioni disperse nell’ambiente continuano ad uccidere ancora ai giorni nostri. Secondo un rapporto ufficiale diffuso dall’ONU, le vittime del disastro sono 65, alle quali vanno aggiunte4.000persone,mortedirettamente o indirettamente, per Chernobyl. Attualmente, la struttura di protezione che mirava a proteggere l’ambiente circostante, costruita nel 1986 in condizioni di estrema emergenza, sta lentamente cedendo. La nuova costruzione di acciaio, costata 2 miliardi di euro, al momento si trova in fase di costruzione e tra pochi anni, sostituendo l’ormai vecchia struttura, non avrà soltanto il compito di contenere il materiale radioattivo e proteggere dagli agenti atmosferici quella esistente, ma in aggiunta consentirà, attraverso un sistema di ponti mobili,

anche lo smantellamento del reattore. Un ulteriore e successivo problema sarà quello di occuparsi dei rifiuti solidi radioattivi: cosa farne. Un deposito di rifiuti nucleari, infatti, non sarà costruito in Ucraina prima dei prossimi 30-40 anni. Le due città di Chernobyl e Pripyat, che furono evacuate dopo quasi 48 ore dal disastro, e la esclusion zone, l’area proibita all’uomo per un raggio di 30 km dalla centrale, sono tuttora luoghi fantasma e, a causa dell’intensità delle radiazioni, non saranno abitabili per i prossimi 20mila anni. Nonostante ciò, 5 milioni di persone abitano su terreni contaminati, consumano prodotti agricoli e bevono acqua che proviene da quelle terre. Secondo gli scienziati non vi sono ancora o studi affidabili che sian in grado di valutare i rischi per la salute scaturiti da ciò. Sul luogo della tragedia, invece, un semplice monumento, in onore dei “liquidatori”: un gruppo di statue grigie di pompieri con un idrante in mano, che attorniano una stele e una croce. E un’iscrizione che recita: “A coloro che hanno salvato il mondo”.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole LA CINA E IL SUO PASSATO, PARTE SECONDA AUSTRALIA 27 aprile. Il premier di Canberra, Malcom Turnbull, ha annunciato che sarà l’impresa francese DCNS, a scapito delle rivali tedesche e delle giapponesi Mitsubishi e Kawasaki Heavy Industries, ad aggiudicarsi la maxi-commissione da € 35 miliardi per la costruzione in loco di 12 sottomarini Shortfin/Barracuda Block A1, dotati di propulsione ibrida, diesel ed elettrica.

COREA DEL NORD 27 aprile. Kim Jong-un ha annunciato che la prossima settimana si terrà il settimo Congresso del Partito dei Lavoratori. Questa convention è la più significativa degli ultimi due decenni e rappresenta un valido strumento attraverso cui il leader potrà consolidare la sua autorità. In queste settimane inoltre, le stesse province hanno eletto dei rappresentanti da inviare a Pyongyang, la Capitale, rispondendo subito alla mozione del Segretario del Partito. HONG KONG 21 aprile. La settimana scorsa circa 10.000 persone si sono unite a Guangzhou in protesta contro l’inceneritore locale. È la terza manifestazione in due settimane per combattere la costruzione di un bruciatore di rifiuti nella borgata di Shiling. Secondo le fonti locali, sarebbero rimasti contusi 4 manifestanti, mentre la polizia ne avrebbe arrestati una dozzina nel villaggio di Qianjin,

La rivoluzione culturale del 1969

denominati Guardie Rosse. Sul finire dell’anno, Mao ordinò all’esercito di supportare le organizzazioni giovanili, alle quali si unirono gli operai.

di Emanuele C. Chieppa Dopo il fallimento della politica economica del Grande Balzo in Avanti e l’allontanamento di Mao, deciso dai quadri del Partito Comunista Cinese nel 1959, Liu Shaoqui divenne Presidente. Mao rimase a capo del Partito, ma lo scontro interno tra i suoi seguaci e chi invece avrebbe voluto l’apertura del Partito stesso e della Nazione all’occidente, come Liu Shaoqi e Deng Xiaoping, si rivelò inevitabile. Il Grande Timoniere non volle però arrendersi alla realtà che andava profilandosi: attaccò tramite i giornali Deng e gli altri quadri ai quali aveva dovuto cedere il potere. L’occasione per dare avvio a uno scontro vero e proprio si presentò il 25 maggio 1966, quando un insegnate di filosofia dell’Università di Pechino appese un dazibao in cui venivano esortati gli studenti ad attaccare il Preside. Fu il principio della Rivoluzione Culturale, la scintilla che infiammò la Cina, che scatenò una furia iconoclasta senza precedenti. Mao sostenne il dazibao e cercò di sfruttare le energie dei giovani: li aizzò contro i borghesi a lui ostili e annidati nei vertici del Partito e del governo. Questi, secondo le sue parole, stavano portando la Cina verso il disastro. I giovanissimi studenti delle superiori diedero il via alle violenze e dal 2 giugno 1966 presero a unirsi in gruppi

Liu Shaoqui fu deposto, ogni potere passò nelle mani di Mao e del nucleo centrale della Rivoluzione. In ogni parte della Paese, vecchi funzionari del Partito, intellettuali, insegnanti, religiosi e artisti vennero trascinati in piazza, insultati e malmenati. Mentre Mao formulava il motto “Senza distruggere il vecchio non si può costruire il nuovo”, i rivoluzionari radevano al suolo il 90% del patrimonio storico, artistico e culturale del Paese, un segno indelebile nella storia del mondo. Nell’estate del 1967 all’organizzazione delle Guardie Rosse fu intimato di restituire le armi. La purga era compiuta, i nemici di Mao erano stati allontanati, erano scappati o erano morti. I giovani che avevano preso parte alla Rivoluzione furono mandati a lavorare nelle campagne. Le loro energie non erano più necessarie. Sono già trascorsi 50 anni da quando questi drammatici eventi hanno scosso il globo. È il momento di chiedersi se e quanto abbiano contribuito a costruire il presente ed il futuro del gigante orientale.

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ORIENTE nella zona vicina al sito dove si è svolta la protesta.

LAOS 20 aprile. Thongloun Sisoulith è stato eletto Primo Ministro della Repubblica Popolare Democratica del Laos. Scelto dalla Camera dell’Assemblea Nazionale, è il primo leader del Paese con un’esperienza diplomatica significativa, avendo permesso al Laos di uscire dall’isolazionismo dopo la Guerra Fredda e di aprirsi all’esterno entrando nell’ASEAN. Di quest’ultimo il Paese quest’anno detiene la Presidenza.

MALAYSIA 27 aprile. Muhammad Ibrahimm è stato nominato futuro Governatore della Banca Centrale, con un mandato che durerà 5 anni. L’incarico inizierà il 1° maggio e sostituirà quello di Zeti Aziz, prima donna ad aver ricoperto una posizione simile nella Banca Negara e che si ritirerà dopo 35 anni di servizio nel settore. A cura di Alessandro Fornaroli

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“COABITAZIONE” AL PARLAMENTO DI SEUL

La presidente Park Geun-Hye perde la maggioranza parlamentare generato diffuso malcontento e massicce proteste, occasionalmente sfociate in episodi di violenza. Inoltre, evidenti spaccature interne al partito hanno contribuito a minare la stabilità del governo e la fiducia in Park.

Di Gennaro Intoccia, Sezione MSOI Napoli Le recenti elezioni legislative hanno provato la fragilità dell’esecutivo di Park Geun-Hye, sottraendo alla Presidente la maggioranza assoluta al Parlamento di Seul. Il partito di opposizione Minjoo guadagna 123 seggi, contro i 122 ottenuti dal partito al potere Saenuri. Le consultazioni elettorali hanno comunque registrato una scarsa affluenza alle urne, generata soprattutto dalla disaffezione giovanile alla politica. Secondo gli analisti, le cause della sconfitta elettorale sono molteplici. Park ed il suo partito di stampo conservatore hanno promosso politiche di flessibilità contrattuale per porre rimedio al problema della disoccupazione. L’atteggiamento risoluto nei confronti della Corea del Nord, uniti ad un ambiguo interesse per la sua economia, hanno portato ora a picchi di fiducia, ora a sospettoso dissenso da parte del pubblico. L’incerta crescita economica della Cina, principale partner economico della Corea del Sud, e le poco convincenti riforme sociali sponsorizzate dall’esecutivo, come l’introduzione della censura governativa per i libri di testo di storia, hanno

Il Minjoo, della corrente socialista, propone politiche di welfare per risolvere disoccupazione giovanile e stagnazione economica. Ha promesso una “democratizzazione dell’economia” favorendo le piccole imprese, alzando le pensioni e i salari minimi, costruendo case popolari e aumentando i posti di lavoro per i giovani. I suoi esponenti, inoltre, lamentano l’invasività della tassazione, che frustra il ceto medio e quello operaio, proponendo aggravi a carico dei grandi conglomerati produttivi del Paese, come la Samsung o la Hyundai. Infine, denunciano apertamente la carente trasparenza del Saenuri nella designazione dei candidati per le ultime elezioni. Per quanto riguarda i bellicosi vicini, il Minjoo ritiene sia più proficuo trattare sul piano economico che su quello militare. Nel frattempo, Kim Jong-Un ha convocato il 6 maggio il Congresso del Partito dei Lavoratori, per la prima volta dopo 36 anni, presumibilmente per adottare ufficialmente le nuove politiche sugli armamenti nucleari. Le elezioni presidenziali del 2017 sono sempre più vicine e la coabitazione fra destra e sinistra potrebbe indurre la presidente Park Guen Hye, che per legge non potrà più ricandidarsi, a ricorrere più frequentemente a ipotesi di compromesso con l’opposizione.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole CIAD 22 aprile. Il presidente Idriss Déby, al potere da oltre 20 anni, sarebbe stato rieletto per il quinto mandato con il 61.56% dei voti in base ai risultati provvisori delle elezioni del 10 aprile. Il presidente uscente era dato per favorito dall’inizio della campagna elettorale in quanto il suo partito, l’MPS (Mouvement Patriotique du Salut), disponeva di risorse finanziarie nettamente superiori rispetto agli avversari. Saleh Kebzabo, il capo dell’opposizione, è arrivato secondo con il 12.80% dei voti. L’opposizione ha denunciato un broglio elettorale e ha definito la rielezione di Déby “la sconfitta della democrazia in Tchad”. In concomitanza delle elezioni, infatti, decine di militari che si opponevano alla rielezione del Presidente precedente sono spariti. Alta l’affluenza alle urne, ha votato il 71% degli aventi diritto.

GABON 25 aprile. Le forze dell’opposizione del governo gabonese hanno chiesto le dimissioni del presidente Ali Bongo. L’Union sacrée pour la patrie, un raggruppamento di oppositori e di leader della società civile del Paese, ha intimato ad Ali Bongo di ritirare la sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali. In caso contrario, destituirebbero il presidente tramite l’Assemblea Nazionale o con una sommossa popolare. Ali Bongo ha subito risposto definendo la richiesta dell’opposizione ”une blague”, una barzelletta.

LE RAGAZZE DI BOKO HARAM

Le testimonianze delle vittime dei rapimenti Di Sara Corona Nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 2014, in un liceo del villaggio di Chibok in Nigeria, il gruppo jihadista Boko Haram rapì 276 studentesse tra i 16 e i 18 anni, che frequentavano l’ultimo anno scolastico. Fu l’apice di una lunga serie di rapimenti perpetrati dal 2013 nella nazione nigeriana da parte dell’organizzazione terroristica, il cui nome significa “l’istruzione occidentale è proibita” e che osteggia soprattutto l’educazione scolastica delle donne, in accordo con l’interpretazione più radicale dei principi della Sharia. Secondo Amnesty International, dall’inizio del 2014 sono state sequestrate 2000 donne. A due anni da questi fatti, alcune centinaia tra le donne rapite sono riuscite a fuggire da Boko Haram, anche grazie all’aiuto dell’esercito nigeriano, ma la maggior parte delle studentesse di Chibok rimane tuttora nelle mani dei miliziani. Nel corso dei negoziati tra il governo e Boko Haram, i rapitori hanno inviato come “prova di vita” un video che mostra 15 di queste ragazze, apparentemente in salute, recitare su richiesta i propri nomi e affermare di stare bene. L’obiettivo dei miliziani era probabilmente quello di velocizzare i negoziati per il rilascio delle studentesse con il governo, per il quale è stato richiesto un altissimo riscatto: secondo la CNN, una fonte dell’intelligence parla di $ 15 milioni.

Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto che raccoglie le testimonianze di 46 donne rapite dal gruppo fondamentalista. La maggior parte è stata costretta ad avere rapporti sessuali con i miliziani, per cui molte di loro al momento della liberazione erano in stato di gravidanza. Tutte riportano come conseguenza del rapimento e delle violenze viste e subite forti traumi psicologici. Spesso Boko Haram impiega le giovani donne in prima linea negli scontri, costringendole a uccidere o a uccidersi, trasformandole in kamikaze. Secondo la testimonianza di Fati (nome di fantasia), 16 anni, le sue compagne litigavano per proporsi come volontarie negli attentati suicidi. In molti casi, infatti, questo era l’unico modo per uscire dalla costante sorveglianza dei miliziani e le ragazze speravano che soldati amici le trovassero e salvassero prima che la bomba esplodesse. L’episodio di Chibok ha posto all’attenzione della comunità internazionale la questione dei rapimenti femminili, che fino a quel momento erano stati passati sotto silenzio. La mentalità dei villaggi del nord-est nigeriano condanna le donne sopravvissute ad un forte isolamento sociale: sono bollate come annoba – “epidemia, contagio” – e i figli concepiti durante la prigionia vengono chiamati “iene”. Per le “mogli di Boko Haram” il ritorno a casa è un altro ostacolo da affrontare.

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AFRICA GHANA 22 aprile. Almeno 50.000 ghanesi rischierebbero di perdere il posto di lavoro nel settore ittico se saltasse l’accordo interinale di paternalismo economico con l’UE. L’amministratore delegato della Thai Union, la più grande manifattura di scatole di tonno e crostacei nel mondo, ha dichiarato che il governo del Ghana dovrà lavorare sodo per poter firmare l’accordo con l’UE. Se l’intesa dovesse saltare le esportazioni del Paese africano subirebbero un aumento di tassazione del 20.5%, non godendo più di esportazioni duty-free verso l’Unione Europea. Ciò porterebbe al licenziamento di 50.000 lavoratori del settore ittico e al crollo delle esportazioni. La firma dell’accordo è fissata per il 1° ottobre. GUINEA EQUATORIALE 26 aprile. Il presidente Teodoro Obiang Nguera governerà per altri 7 anni. Secondo i risultati parziali delle presidenziali del 24 aprile, il leader sarebbe in testa con il 99% dei voti. Il 73enne Obiang, al potere dal 1979, diventerebbe così il più longevo dirigente politico africano di sempre. SUD AFRICA 26 aprile. Il Congresso Nazionale Africano (ANC), il partito attualmente al potere, ha sporto denuncia contro Julius Malema, leader dell’opposizione, in seguito ad una sua intervista trasmessa da Al-Jazeera in cui ha ammesso di non escludere il ricorso alla violenza per rovesciare il governo. L’ANC ha rilasciato un comunicato stampa in cui ha definito la dichiarazione di Julius Malema “diffamatoria e sovversiva”. A cura di Francesca Schellino 14 • MSOI the Post

L’AFRICA E IL MONDO, PARTE QUARTA

Gli interessi di Mosca nel mercato dell’energia e delle armi

Di Fabio Tumminello Pur non avendo partecipato al processo di colonizzazione del continente (Sagallo, in Gibuti, fu colonia russa in Africa per meno di un anno), fin dai tempi dell’Unione Sovietica il governo russo ha da sempre avuto un occhio di riguardo per il continente africano. Ben conscia del suo ruolo strategico nello scacchiere geopolitico e come immensa fonte di risorse, da quasi un decennio la Russia ha riconsiderato la cooperazione, economica e politica, non solo con le singole nazioni – in particolare Niger e Paesi del Maghreb – ma anche con l’Unione Africana nel suo complesso, con la quale i rapporti sono sempre più stretti e amichevoli. In particolare, l’attenzione del governo di Vladimir Putin si concentra su due mercati che si stanno rivelando centrali nelle dinamiche del continente. A livello energetico, infatti, molti Paesi, come il Sud Africa, che ad oggi fondano gran parte della loro economia sull’estrazione di petrolio e di altri combustibili fossili, si stanno aprendo al nucleare e alle energie rinnovabili. Se, da una parte, la Russia è pronta a fornire conoscenze e supporto

tecnico al lento processo di conversione energetica, dall’altro la comunità scientifica internazionale e la società civile nutrono dubbi in merito alla sicurezza degli impianti e alla loro gestione. Di notevole importanza è anche il ruolo del mercato degli armamenti nell’economia russa e nel volume dei traffici. Sia le esportazioni europee sia quelle statunitensi verso i Paesi africani hanno subito una flessione notevole (quasi il 2% in meno in 3 anni), cedendo il passo proprio ai produttori d’armi provenienti da Mosca. La costante instabilità locale comporta inoltre una continua espansione di questo mercato. Ma non è solamente questione economica.

una

Il Cremlino è ben conscio che rafforzare le proprie relazioni con partner africani, oltre a garantire un nuovo e ricco mercato per gli affaristi russi, ha un’importanza fondamentale sul piano politico. Arginare il dominio di Europa e USA come primi alleati dell’Unione Africana e limitare l’espansione commerciale della Cina – da sempre alleata ma anche rivale sulla scena internazionale – è la priorità nell’agenda del Ministero degli Esteri russo.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

MESSICO: 43 STUDENTI RAPITI DALLA POLIZIA? Accuse al governo, negata il coinvolgimento dei narcos Di Andrea Incao

BELIZE 22 aprile. Il Guatemala ha affermato che l’aggressivo comportamento del Belize sta danneggiando le relazioni bilaterali. La causa delle tensioni sarebbe dovuta alla denuncia del Belize relativa all’ammasso di truppe guatemalteche al confine. La controversia diplomatica si inserisce in un antica disputa territoriale tra i due Stati. BRASILE 22 aprile. La presidente Dilma Rousseff ha firmato una legge che consente a tutte le persone malate di tumore di accedere alla fosfoetenalamina. La sostanza, che ha attirato le critiche degli oncologi, non è mai stata testata sull’uomo, ma solo su terreni di coltura e topi. 28 aprile. Dopo le dimissioni dei Ministri dell’energia, dei porti e della scienza, si è dimesso il ministro della salute, Marcelo Castro. COLOMBIA 26 aprile. Il premier colombiano Manuel Santos ha manifestato la volontà di sostituire sei Ministri, in una rielaborazione di governo presentata come “gabinetto della pace”. Nel nuovo gabinetto saranno presenti tre donne, un afrocolombiano e rappresentanti del Polo Democratico, del Partito

La commissione d’indagine internazionale punta il dito contro il governo di Henrique Pena Nieto. Nessuna guerra tra narcos, il 26 settembre 2014 gli studenti furono vittima di un’operazione sporca delle forze dell’ordine locali e federali con la complicità dei servizi di intelligence. Il 28 aprile il Gruppo Interdisciplinare Di Esperti Indipendenti (GIEI) ha consegnato al governo un rapporto di 608 pagine sul caso degli studenti di Iguala scomparsi nel settembre del 2014. Il documento smentisce la versione governativa. La versione ufficiale sostenuta dal governo ipotizzava lo scenario di una guerra tra narcos, successivamente i 43 studenti sarebbero stati cremati e gettati nella discarica di Cocula. La commissione sottolinea come non vi siano però evidenze in merito. Le evidenze prodotte dalla contro-inchiesta indipendente non sarebbero di poco conto. Una delle più clamorose riguarda i cellulari degli studenti, che sarebbero rimasti attivi e tracciabili per molto tempo. E potrebbe confermare una delle ipotesi sollevate dai familiari: il rapimento e la prigionia in una caserma militare, spesso luogo di tortura e dotate, inoltre, di veri e propri forni crematori. Un’altra prova inconfutabile è,

inoltre, la presenza a Guerrero, luogo dell’ultimo avvistamento degli studenti, della polizia statale, di quella federale e del 27° battaglione dell’esercito, intenti a reprimere una protesta di altri studenti. Secondo il rapporto, un agente federale è stato in contatto con il capo della polizia di Iguala, Felipe Flores Velazquez, a tutt’oggi ricercato. Il governo messicano ha però negato ogni collaborazione, né ha acconsentito a prolungare la permanenza della commissione per approfondire le indagini per altri sei mesi. Gli esperti lamentano anche il costante discredito nei confronti del loro lavoro. Gli studenti sarebbero spariti dopo esser stati arrestati dalla polizia di Iguala, per aver sequestrato un autobus municipale (forma di protesta molto frequente in Messico) con cui volevano raggiungere Città del Messico, dove il giorno successivo alla loro sparizione si sarebbe tenuto un grande raduno per ricordare il massacro degli studenti universitari del 1968. I familiari degli scomparsi hanno indetto per oggi una manifestazione. Hanno ringraziato gli esperti indipendenti e hanno accusato il governo di continuare a mentire per occultare un crimine di stato. Secondo cifre ufficiale, dal 2007 alla fine dell’anno scorso, il Messico conta un totale di 27.659 scomparsi. MSOI the Post • 15


SUD AMERICA Verde, di Cambiamento Radicale e del Partito di opposizione “Questo sarà il gabinetto della pace, del post-conflitto. E’ per questo che sarà formato da persone provenienti da tutte le regioni del paese, e appartenenti a tutte le tendenze politiche” ha spiegato Santos. Il progetto di riadattamento politico è stato ideato per gestire la situazione politica dopo l’eventuale accordo di pace con le FARC.

COSTA RICA 22 aprile. Le autorità del Costa Rica hanno bloccato una rotta migratoria prevalentemente percorsa da africani. La situazione ha portato un accumulo di persone nella città di confine di Paso Canoas. VENEZUELA 27 aprile. La carenza di elettricità ha obbligato il premier Nicolas Maduro a ridurre la settimana lavorativa a due giorni. Le misure d’emergenza hanno anche coinvolto lo spostamento di mezz’ora di fuso orario e la proclamazione del black-out di Stato. Le misure di emergenza non hanno riguardato la città di Caracas, gli ospedali e gli aeroporti. A cura di Sara Ponza

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IL CASO ROUSSEFF

Riassunto delle puntate precedenti York il 22 aprile per la seduta dell’ONU, ha denunciato il golpe politico che sta avvenendo in Brasile, ringraziando poi tutti i leader che continuano ad appoggiarla. Di Daniele Ruffino Tornata in patria, in una conferenza stampa della Camera Tutto ha avuto inizio nell’ottobre dei deputati ha dichiarato: del 2014, quando la Corte «Questo processo di messa in dei Conti Brasiliana (TCU) ha stato di accusa ha avuto inizio bocciato il bilancio di Stato come una esplicita ‘vendetta’ presentato dalla presidente politica». Rousseff. Il motivo della bocciatura è che nel documento Ma chi sono gli oppositori della figurassero € 30 miliardi presi Rousseff? “in prestito” da banche locali Primo fra tutti il Partido da grazie a decreti presidenziali, Social Democracia Brasileira senza essere stati approvati dai (PSDB), poi il Partido Trabalhista decreti parlamentari Brasileiro (PTB) previsti dalla prassi. e il PMDB (che prima ha lasciato la Oltre alla Rousseff, maggioranza e poi anche Fernando ha votato a favore), Henrique Cardoso tutti di ispirazione e il presidente centro-wliberista. uscente Lula Tra i politici, invece, avevano compiuto emerge il nome di quelle che i media Eduardo Cunha, hanno ribattezzato membro del PMDB, “pedalate fiscali” già reo di fronte al per far quadrare Supremo Tribunale i bilanci di Stato. Mai, però, Federale; inoltre, quasi il 50% il TCU aveva bocciato i piani dei deputati è indagato, molti di presentati (tranne nel 1937). questi per lo scandalo Petrobras. Perché allora solo Dilma A commento di questa Rousseff è stata messa sotto situazione, il 15 aprile il New accusa? Perché il Parlamento York Times ha scritto: «Lei non ha considerato le “pedalate ha rubato nulla, ma sta per Rousseff“ reiterate e quindi essere giudicata da una banda soggette a impeachment di ladri». presidenziale. Se il 10 e 11 maggio il Senato Domenica 17 aprile 2016 la confermerà l’impeachment, Camera dei deputati brasiliana ha sarà il vice presidente Michel quindi votato per l’impeachment Temer (membro del PMDB) della Presidente, raggiungendo ad assumere la presidenza. 367 voti favorevoli (25 più del La Rousseff, però, ha subito necessario) e 167 contrari. Il comunicato che se il voto alla Paese è caduto in una grave camera alta sarà favorevole, crisi politica. chiederà che il Brasile venga eliminato dal Mercosur La Presidente non ha esitato a (Mercado Comun del Sur). contrattaccare e, volata a New


ECONOMIA WikiNomics TRANSATLANTIC TRADE AND INVESTMENT PARTNERSHIP

1929-2008: UNA STORIA DISONESTA SECONDO CAPITOLO Come l’intreccio bancario-industriale ha portato il mondo in bancarotta due volte

Opportunità e timori

Di Michelangelo Inverso

Di Ivana Pesic L’UE è impegnata a negoziare un accordo commerciale con gli Stati Uniti, noto come TTIP. Obiettivo. L’obiettivo dichiarato del TTIP è costruire la più grande area di libero scambio al mondo attraverso l’eliminazione delle barriere, tariffarie e non, che ancora limitano i flussi commerciali tra Europa e USA. L’intesa coinvolge i 50 Stati USA e i 28 Paesi UE. Un’area che rappresenta quasi il 50% del PIL mondiale, il 30% del commercio globale e il 12,5% della popolazione. Si tratta, dunque - non fosse altro che per il suo impatto potenziale - di un trattato di importanza storica. Effetti. L’accordo interessa quattro settori (merci, servizi, investimenti e appalti pubblici), con i seguenti effetti. Eliminazione di tutti i dazi sugli scambi bilaterali di merci. Misure antidumping per evitare la vendita di prodotti sul mercato estero a prezzi inferiori rispetto a quelli applicati sul mercato di origine. Liberalizzazione dei servizi e degli appalti pubblici. Raggiungimento di un ambizioso livello di compatibilità normativa in

Il Glass Steagall Act prevedeva due diversi meccanismi per disinnescare i potenziali effetti domino legati al pericoloso intreccio bancario-industriale, che si erano concretizzati nel 1929. Il primo prevedeva la costituzione di un fondo di garanzia per i correntisti delle banche, che li avrebbe coperti per un massimo di 250mila dollari: se una banca fosse fallita i piccoli e medi risparmiatori avrebbero riavuto indietro il proprio denaro. L’altro separava nettamente le banche di deposito e prestito da quelle di investimento, che potevano emettere titoli. In questo modo, le banche non avrebbero più avuto interesse nel concedere prestiti ingenti a soggetti rischiosi. Si stabilizzava dunque l’economia, abbattendo i massimali dei profitti del settore bancario-industriale. Per merito della regolamentazione pubblica dell’economia, a metà degli anni ‘70, tutto il Primo Mondo aveva conosciuto una prosperità senza precedenti e senza crisi cicliche, come invece era avvenuto prima delle riforme economiche teorizzate da Keynes e implementate da Roosevelt. Negli anni ‘80 la musica iniziò a cambiare. Complice il rialzo del greggio e il rallentamento

generale della crescita economica, l’Occidente - primi fra tutti USA e UK - decise che era il momento di ridare slancio alla propria economia. Capitanato da Ronald Reagan e da Margaret Thatcher, iniziò il periodo della deregulation, politica di privatizzazioni volta ad azzerare il quadro normativo emerso dopo la Grande Depressione. Fu così che, nel 1997, Bill Clinton, Presidente democratico, come lo fu Roosevelt, decise di mandare in pensione la vecchia legge di separazione bancaria ritenuta ormai obsoleta per la più grande economia del mondo e oramai unico global player, essendo nel frattempo collassato lo spazio sovietico. L’anno successivo scoppiò la cosiddetta “bolla tecnologica”, che portò al default della Russia e dell’Argentina, nonché di numerose grandi corporation americane, come la Enron. Per risollevare l’economia, l’Amministrazione di George W. Bush decise di varare il poderoso “piano casa”, l’ambizioso progetto di garantire una casa di proprietà ad ogni cittadino statunitense. Le banche ovviamente approfittarono della ghiotta opportunità di facili profitti offerta loro dal governo. Ora avevano tutto il capitale dei risparmiatori per investire in mutui. Mutui molto speciali.

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ECONOMIA materia di beni e servizi, anche mediante il miglioramento della cooperazione tra autorità di regolamentazione. In caso di controversie, sarà previsto l’arbitrato internazionale Stato-imprese - il cosiddetto ISDS - strumento del diritto internazionale che consente ad un’azienda di fare causa ad uno Stato se ritiene di essere stata danneggiata (e.g., dall’introduzione di una nuova legge). Opportunità e timori. Mentre i promotori del trattato prevedono un forte incremento della crescita economica, i cittadini europei avvertono l’assenza di un’intensa campagna che informi in merito alle conseguenze sociali ed ambientali che potrebbe produrre il TTIP e nutrono una serie di timori. Le preoccupazioni maggiori vertono sull’eventuale omologazione di norme e standard, in particolare quelli alimentari: negli USA più del 90% del manzo è prodotto con ormoni e promotori della crescita bovina, le carni di pollo e tacchino vengono disinfettate ricorrendo al cloro e circa il 70% dei cibi lavorati e venduti nei supermercati contengono ingredienti OGM. Rassicurazioni. Il commissario alla salute, Vytenis Andriukaitis, ha dichiarato che “la Commissione europea non negozierà sugli standard di sicurezza del cibo”, sottolineando, inoltre, che “non c’è miglior accordo” del TTIP “se vogliamo creare più lavoro, supportare meglio il mercato, crearne di nuovi e aprire le porte allo sviluppo”.

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LA STORIA SI RIPETE: DEUTSCHE BANK È TOO BIG TO FAIL?

Deutsche Bank deve pagare per la sua politica finanziaria forsennata

Di Edoardo Pignocco Tucidide, nell’opera “La guerra del Peloponneso”, aveva già intuito come la storia fosse un susseguirsi di eventi inesorabilmente ciclici. Non sorprende, dunque, che l’economia del dopo-Lehman Brothers sia nuovamente chiamata a difendersi dall’impavida gestione del top management delle grandi banche d’affari. E che ogni volta l’impatto degenerativo di un crack bancario sia sempre più grave del precedente, a causa delle fortissime interconnessioni tra le controparti finanziarie, imprescindibili in un sistema così globalizzato. In origine, Deutsche Bank aveva un interesse marginale nel settore investimenti, ma, dalla metà degli anni Novanta, il colosso bancario volle invertire la tendenza. Nuovo obiettivo: entrare nell’élite di Wall Street. Per riuscire nell’intento, DB scelse di tenere una posizione molto aggressiva: prima, assunse gli investiment bankers più bravi dalle concorrenti, offrendo loro in cambio stipendi faraonici, poi cercò di entrare in ogni transazione finanziaria (derivati in primis) per conquistare quote di mercato. Infine, il titolo DB godeva del rating “AAA” e, di conseguenza, offriva ai clienti le sue prestazioni a prezzi molto convenienti.

DB mirava solo alla conquista del prodotto, senza conoscerne il background. Ora, il gruppo si trova con 60 mila miliardi di euro in derivati illiquidi, poco capitale rispetto alle concorrenti e un indebitamento finanziario di 25:1 rispetto al capitale. Le conseguenze? È sufficiente una perdita di valore del 4% dell’attivo per azzerare il capitale della banca tedesca. Questi dati indurrebbero a pensare ad un imminente fallimento di Deutsche Bank; non è dunque un caso che i venditori allo scoperto stiano erodendo tutto il valore del titolo. Tuttavia, ad oggi, pare utopico un suo fallimento, in quanto, essendo DB dentro a molte operazioni in tutto il mondo, si assisterebbe ad un congelamento sistemico dell’economia.

Premesso ciò, la domanda da porsi è: chi salverà Deutsche Bank? Secondo la nuova direttiva del bailin, gli azionisti, gli obbligazionisti subordinati e i correntisti con più di 100.000 euro perderanno il denaro investito. L’Unione Europea, sotto forte spinta della Germania, ha ritenuto che gli aiuti statali fossero anticoncorrenziali rispetto alla politica liberista europea, impendendo così ai singoli Stati di intervenire (le quattro banche italiane rappresentano l’esempio chiave). Ora, però, la banca da salvare è tedesca: sarà la fine del Tuttavia, questa strategia, nel lungo bail-in? periodo, si è rivelata fallimentare:


INCONTRO ‘QUEI RAGAZZI DEL CAFFÈ FIORIO’ Lorenzo Vai, ricercatore presso il Centro Studi sul Federalismo e l’Istituto Affari Internazionali. In rappresentanza del settore degli studi giurisprudenziali, erano presenti: Achille Eandi, avvocato e collaboratore per il settore legale di Caritas e Avvocati di Strada; Elisa Pavia, praticante avvocato; Irene Sacco, corporate council per Skylogic; Stefano Saluzzo, PhD Candidate in diritto internazionale and diritto UE presso l’Università di Palermo e collaboratore con l’Università di Torino.

Mercoledì 27 aprile si è svolta la seconda edizione dell’iniziativa Quei ragazzi del Caffè Fiorio, incontro tra soci ed ex soci organizzato nella storica cornice che il 17 dicembre del 1949 ospitò la fondazione della sezione torinese del Movimento Studentesco per l’Organizzazione Internazionale. Scopo dell’incontro era offrire un’occasione agli studenti di venire a contatto in maniera informale con chi si è inserito nel mondo del lavoro partendo da un curriculum studiorum affine.

sono intervenuti: Olmo Forni, project manager per la ONG inglese Disaster Waste Recovery; Kavinda Navaratne, responsabile del programma ToChina; Stefano Ruzza, professore di conflitto, sicurezza e state-building, ricercatore Twai e responsabile della summer school “Engaging Conclict”;

Unanime l’invito ad arricchire il percorso universitario, approfondendo lo studio delle lingue e approfittando di esperienze significative come gli stage o i tirocini. Vivere a pieno l’esperienza formativa partecipando alle diverse realtà dei movimenti studenteschi un’altra delle carte vincenti suggerite dagli ex soci del Movimento.

Sono intervenuti Edoardo Greppi e Alberto Oddennino, rispettivamente presidente e segretario della S.I.O.I sezione Piemonte e Valle d’Aosta, per salutare gli studenti e ringraziare gli ex membri del Movimento della loro partecipazione. Quanto all’ambito delle scienze politiche ed internazionali, Per rimanere aggiornato sulle attività di MSOI Torino, visita il sito internet www.msoitorino.org, la pagina Facebook Msoi Torino o vieni a trovarci nella Main Hall del Campus Luigi Einaudi tutti i mercoledì dalle 12 alle 16.

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