Msoi thePost Numero 26

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino

SPECIALE: LOI DU TRAVAIL


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Giulia Marzinotto, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Silvia Perino Vaiga Amministrazione e Logistica Emanuele Chieppa Redattori Benedetta Albano, Federica Allasia, Erica Ambroggio, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Giusto Amedeo Boccheni, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Stefano Bozzalla, Emiliano Caliendo, Federico Camurati, Matteo Candelari, Emanuele Chieppa, Sara Corona, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Alessandro Fornaroli, Giulia Ficuciello, Lorenzo Gilardetti, Andrea Incao, Gennaro Intocia, Michelangelo Inverso, Simone Massarenti, Andrea Mitti Ruà, Efrem Moiso, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Emanuel Pietrobon, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Simone Potè, Jessica Prieto, Fabrizio Primon, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Carolina Quaranta, Francesco Raimondi, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Fabio Saksida, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi. Editing Lorenzo Aprà Copertine Mirko Banchio Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


SPECIALE:‘LOI DU TRAVAIL’ Cronistoria di una delle leggi più contestate d’Europa

Di Jean-Marie Reure CRONOLOGIA ESSENZIALE Il 9 settembre 2015, in una fredda e piovosa giornata autunnale, viene consegnato il rapporto Combrexelle al primo ministro francese, Manuel Valls. Vi si chiede esplicitamente un cambiamento del “code du travail”, di modo da lasciare un più ampio margine di manovra agli accordi di settore e d’impresa. Questo è il più significativo di numerosi altri rapporti che evidenziano le medesime necessità. Nei primi, gelidi, giorni di gennaio la commissione presieduta da Robert Badinter redige i 61 principi fondamentali del diritto del lavoro. Il 17 gennaio, su Le Parisien, viene pubblicato una prima bozza del disegno di legge. I punti salienti: • tetti alle indennità per licenziamento ingiustificato; • introduzione di una nuova definizione del “licenziamento per ragioni economiche”; • indebolimento delle garanzie dei contratti a

tempo indeterminato; • aumento del numero massimo di ore per lavoratori a pieno titolo e apprendisti; • preferenza per accordi interni alle imprese rispetto ad accordi di settore. Nell’ormai soffocante giornata del 19 febbraio il sito change. org lancia la petizione on-line “loi travail: non merci!” firmata da esponenti di spicco del mondo sindacale, da intellettuali e studenti. (Il 25 febbraio i firmatari saranno già più di 50.000). La torrida giornata di martedi’ 23 febbraio presso la sede del sindacato CGT, 6 altre organizzazioni sindacali (CFDT, CFE-CGC, FSU, UNSA, Solidaires) firmano un testo comune, con la partecipazione delle 3 maggiori organizzazioni studentesche (UNEF, UNL, FIDL), intitolato Le droit collectif n’est pas l’ennemi de l’emploi (“Il diritto collettivo non è nemico dell’occupazione”). Il documento si schiera contro: • il tetto alle indennità per licenziamento; • la preferenza degli accordi interni all’impresa, poiché

limiterebbero il potere di contrattazione dei lavoratori. Sul web la protesta si fa sempre più virulenta. Il 25 febbraio dopo sarà Martine Aubry, nome di punta dei socialisti (il partito di maggioranza) a pubblicare su una colonna di Le Monde un articolo nel quale dichiara “Troppo è troppo! Questo progetto rovescia le basi del diritto del lavoro e da sempre più potere al padronato”. Lo stesso giorno, spinta dal crescente malumore, sarà proprio il ministro del Lavoro Myriam El Khomri a rispondere sullo stesso blog dal quale era nata la petizione contro la legge che porta il suo nome. Il 9 marzo a Parigi, Marsiglia, Tolosa, Lione, Nantes e Montpellier scendono in piazza più di 50.000 persone; numerosi licei, soprattutto della capitale, minacciano di chiudere i battenti, mentre solo a Parigi più di 100.000 persone si riversano per strada. I cortei si ripetono il 17, il 24 ed il 31 marzo che segna un picco con più di 700.000 persone; ad aprile il 9 e il 28, e ancora a maggio il 1° e il 12. MSOI the Post • 3


Il 14 marzo l’esecutivo sembra ripensare in parte alla legge, elimina alcuni punti più contestati come il tetto alle indennità, ma rimane sostanzialmente inamovibile sulla sua posizione. Valls e lo stesso Hollande la sostengono con forza. Il 31 marzo nasce anche il movimento di protesta contro la riforma, Nuit debout, piattaforma cittadina formatasi spontaneamente ed autodefinitasi spazio di dialogo e di riflessione cittadina, con l’obiettivo di promulgare alternative valide alla legge El Khomri.

continua a raccogliere consensi. Gli scontri con le forze di polizia durante questi mesi sono stati numerosi, molti anche gli arresti dei manifestanti più violenti. Alcuni episodi quali il ferimento di un giornalista e la sua mancata evacuazione hanno segnato la cronaca francese. Il tutto si aggiunge ad una Francia ancora in stato di allerta dopo gli attentati di marzo. La tensione è palpabile.

sul posto di lavoro, salvo queste confliggano con altri diritti fondamentali o con la necessità di buon funzionamento dell’impresa. Medef (Confindustria Francese, ndr) si schiera immediatamente contro il preambolo. I giuristi francesi rilevano, invece, come molti di questi punti siano ripresi dalla

Il 10 maggio l’esecutivo annuncia il ricorso all’’articolo 49 comma 3 (l’equivalente del voto di fiducia italiano). Il 25 maggio 6 raffinerie di petrolio su 8 chiudono per protesta, la Francia inizia a dare fondo alle proprie riserve (sono già stati utilizzati 3 giorni di “stock strategici” sui 115 disponibili); inoltre i terminal petroliferi del porto di Havre e del Cap d’Antifer sono entrati in sciopero, votato dal 95% dei lavoratori, lunedì 23. Il 26 maggio, in un comunicato, SNCF (compagnia ferroviaria nazionale francese) dichiara che, a seguito di una decisione del sindacato interno, ogni mercoledì e giovedì il funzionamento di alcune tratte non sarà garantito a causa di possibili scioperi. A ciò si aggiunge la chiusura per sciopero di 16 delle 19 centrali nucleari nazionali. Tuttavia, se in alcune regioni si sono verificate delle momentanee interruzioni dell’elettricità, il rischio di un black out è lontano, fa sapere il gestore EDF, poiché attualmente altre fonti di energia quali dighe, centrali idroelettriche e termiche sono usate a circa il 20% della loro capacità massima. Le proteste continuano ed il movimento Nuit Debout 4 • MSOI the Post

IL CONTENUTO RIFORMA

DELLA

La bozza del testo di legge, presentata a metà febbraio e pesantemente emendata a metà marzo, presenta alcune novità rispetto alla precedente legge sul lavoro:

1. Viene

inizialmente aggiunto un preambolo (i 61 articoli della commissione Badinter), in cui - fra i numerosi punti - si dice che libertà di pensiero e libertà religiosa devono essere garantite

costituzione e possano generare una grande confusione in materia di giurisprudenza. Il preambolo verrà dunque completamente eliminato nella seconda bozza.

2. Licenziamento

per motivi economici. La legge vigente lo definisce “atto compiuto dal datore di lavoro per motivi non inerenti alla persona, ma risultati da una soppressione o trasformazione delle mansioni del salariato o modifica di uno o più punti degli elementi


fondamentali del contratto da questi firmato”. Nella proposta di legge invece si lascerebbe meno campo alla giurisprudenza in favore di criteri più rigidi: “le imprese con meno di 11 dipendenti potranno licenziare qualora si verifichi una diminuzione della domanda o del fatturato consecutivamente per più di un trimestre (calcolato rispetto all’anno precedente) ; per le imprese fino a 49 dipendenti i trimestri saranno due; per le restanti 3.” Inoltre motivi di licenziamento economico saranno anche una perdita nello sfruttamento delle materie prime, una diminuzione significativa del capitale d’impresa o una riorganizzazione interna per la salvaguardia della competitività dell’impresa.

3. Tetto

alle indennità erogate ai dipendenti in caso di licenziamento abusivo (le barème des indemnités prud homales). Questo è uno dei punti che più ha fatto scalpore ed ha creato tensione fra le parti. L’idea iniziale era di fissare dei limiti alle indennità che i giudici di pace (prud’hommes,ndr) potevano stabilire in caso di licenziamento abusivo. L’obiettivo sarebbe stato di ridurre “l’incertezza” in questo genere di procedimenti, spesso definiti un “terno al Lotto” a causa di esiti anche molto diversi fra loro in questo genere di procedimenti. Pensato per avvantaggiare sia i lavoratori dipendenti sia i datori di lavoro, questo cambiamento era stato accolto favorevolmente da Medef, tuttavia la forte opposizione dei

sindacati (uniti su questo e pochi altri punti), e degli stessi giudici di pace che si vedevano deprivati della loro autonomia decisionale, ha fatto si che nella seconda versione della legge siano stati espunti questi limiti e trasformati in semplici indicazioni per i giudici, lasciando intatta l’autonomia del loro operato.

4. Tempi

di costrizione al lavoro. Secondo la legge vigente il datore di lavoro può, con 15 giorni di preavviso, salvo circostanze eccezionali, obbligare i propri dipendenti ad orari e tempi di lavoro diversi da quelli pattuiti, garantendo poi ore di riposo o retribuendo adeguatamente il lavoratore per il tempo effettivo della costrizione. In lege non si parla più di 15 giorni di preavviso, ma di “tempo ragionevole”. Questo punto vorrebbe facilitare la risposta dell’impresa in particolari situazioni, aumentandone la competitività 5. Durata massima giornaliera del tempo di lavoro. La durata giornaliera massima è di 12 ore in circostanze eccezionali. Questo punto non verrà modificato, a differenza di quanto

frettolose dichiarazioni lascino intendere, tuttavia si è proposta un’altra modifica del tempo di lavoro che è riportata sotto.

6. Durata

settimanale massima del tempo di lavoro. Sino ad ora il limite massimo è fissato a 60 ore settimanali, a condizione però che nell’arco di 12 settimane la media di ore

lavorate non superi le 44 settimanali. La proposta di legge vorrebbe aumentare questa media da 44 a 46. La legislazione attuale considera una settimana lavorativa standard di 35 ore, il limite massimo potrebbe arrivare a 48 nella stessa settimana, considerando, ciononostante, un tetto massimo di 46 su un periodo dodecasettimanale. Questo punto, di non facile comprensione nelle sue implicazioni, di fatto aumenterebbe il numero di ore di lavoro possibili senza però modificare le 35 ore settimanali “standard”.

7. Retribuzione

degli straordinari. Il codice del lavoro prevede una maggiorazione del 25% rispetto allo stipendio normalmente percepito per le prime 8 ore straordinarie, in MSOI the Post • 5


seguito del 50%. In lege queste maggiorazioni potranno essere riviste con un accordo in primis interno all’impresa e solo secondariamente, in caso di mancato accordo, si potrà ricorrere ad un accordo di categoria. Inoltre, la retribuzione di queste ore dovrebbe avvenire entro 3 anni, rispetto all’anno attuale. Le voci contrarie hanno sottolineato come vi sia in questo caso il rischio di una generale diminuzione

dopo un certo periodo di tempo consecutivo all’assunzione. In lege le ferie potranno essere stabilite non appena il lavoratore venga assunto.

10. Negoziazioni sindacali.

Secondo l’attuale legge le negoziazioni sindacali possono avvenire su base annuale, triennale e quinquennale. Nella nuova proposta si allungherebbero i tempi e le negoziazioni avverrebbero su base triennale, quinquennale e settennale.

referendum.

13. Accordi

per la p r e s e r v a z i o n e dell’impiego. Questo punto figura ex novo nella proposta di legge. Al fine di preservare l’impiego del lavoratore, se la remunerazione mensile non potrà essere variata, si potrà modificare quella oraria. Pertanto basterà diminuire il numero totale di ore per diminuire la retribuzione mensile.

11. Denuncia di un accordo.

Ora, alla denuncia di un accordo, vengono mantenuti tutti gli aquis individuali. In lege verrebbero mantenuti solo gli aquis pecuniari, la cui natura è di dubbia definizione.

della remunerazione delle ore straordinarie, poiché un accordo interno all’impresa per sua stessa costituzione diminuisce il potere contrattuale del lavoratore.

8. Il

forfait-giorno. Si tratterebbe di un conteggio del tempo di lavoro anziché in ore, in giorni. Si applicherebbe a quelle categorie di lavoratori in regime di flessibilità (i dirigenti, ad esempio). Secondo la legge vigente, è possibile adottare questo tipo di conteggio previo accordo di categoria. Nella nuova proposta le piccole imprese potrebbero deciderlo autonomamente, senza bisogno di accordo alcuno.

9. Ferie.

Le ferie, ora, possono essere prese solo all’“apertura dei diritti del lavoratore”, ossia

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Entrata in vigore degli accordi sindacali. Perché un accordo sindacale entri in vigore è necessario, per il momento, che questo sia firmato da un sindacato che raccolga almeno il 30% dei consensi, calcolati sulle ultime elezioni sindacali. Nella bozza di legge, perché un accordo divenga effettivo ci sarebbe bisogno della firma di un sindacato che raccolga il 50% dei lavoratori, se questo non fosse possibile, i sindacati che raccolgono fra il 30 e il 50% dei lavoratori potranno indire un

12.

EPILOGO Nonostante le dichiarazioni ufficiali del governo, che sembra volere una riforma a tutti i costi, è probabile che alcuni di questi punti saranno rivisti e modificati (lo stesso Valls ha parlato di un “margine negoziale”). Tuttavia questa proposta di legge, come risulta chiaro dagli ultimi avvenimenti, ha suscitato una reazione popolare e sindacale con pochi precedenti. Questo movimento di protesta ha di per sé incrinato l’idea secondo la quale l’epoca delle grandi contestazioni sarebbe finita. Perfino la diffusa idea della progressiva erosione del concetto di cittadinanza è stata messa in crisi, visto che dalle piazze francesi si ribadisce con foga il concetto di sovranità popolare. Al di là dell’esito che il travagliato percorso di questa legge avrà, il clima politico sta cambiando ed è sempre più distante dalle misure di austerity e flessibilità che hanno preso piede a partire dal 2008. La partecipazione francese potrebbe far riflettere gli altri Paesi membri di un’Europa sempre più debole e divisa.


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole AUSTRIA 24 maggio. Il candidato dei Verdi Van der Bellen ha vinto le elezioni presidenziali in Austria. Dopo un lungo testa a testa contro il rivale Hofer dell’estrema destra, è riuscito a prevalere con poco più di 3.000 voti derivanti dai cittadini austriaci che hanno votato dall’estero. “Da presidente mi metterò al servizio di tutti gli austriaci. Inizierò da subito a riconquistare la fiducia degli elettori di Norbert Hofer, al quale va il mio rispetto”. La sua vittoria, infatti, è stata appena del 50,3%.

BELGIO 25 maggio. Violenti scontri in piazza a Bruxelles tra manifestanti e forze dell’ordine a causa delle politiche di austerity e di riforma del settore del lavoro, applicate dal governo belga. Diversi i feriti su entrambi i lati, il tutto in un clima di tensione che non accenna a scendere in seguito agli attentati di marzo. I protestanti hanno inoltre indetto uno sciopero generale per il 24 giugno. FRANCIA 25 - 26 maggio. Continua la serie di proteste contro la riforma del lavoro; recentemente anche 19 centrali nucleari hanno indetto uno sciopero per giovedì prossimo. Il Paese, già fortemente provato da settimane di scioperi,

ELEZIONI PRESIDENZIALI AUSTRIACHE Preoccupante polarizzazione del Paese

trionfato in nove delle dieci città austriache più importanti. Dopo il testa a testa del giorno prima, è stato il voto per corrispondenza, con 800.000 votanti, a dare un colpo decisivo a queste elezioni.

Di Giulia Ficuciello Alexander Van Der Bellen e Norbert Hofer, i due candidati alle presidenziali austriache, si sono fronteggiati al ballottaggio del 22 maggio. Van Der Bellen, candidato indipendente dei Verdi, e Hofer, candidato del partito di estrema destra FPO, avevano ottenuto rispettivamente il 21,3% ed il 35,1% al primo turno, superando così i candidati dei partiti tradizionali e accedendo al ballottaggio.

Hofer, che invece ha ottenuto buoni risultati nelle zone rurali, ha subito ammesso la sconfitta ed espresso il proprio rammarico su Facebook, sostenendo che comunque l’impegno per questa campagna politica rappresenta “un investimento per il futuro”. L’affluenza alle urne del 72,7% e il record di voti espressi per posta sono stati visti come un indice del clima teso. Infatti, nonostante la vittoria dell’ecologista ed economista Van Der Bellen, è un fatto incontrovertibile che l’Austria si sia spaccata quasi a metà. Ora un austriaco su due sostiene il partito di estrema destra.

Il successo del partito FPO si è registrato contemporaneamente agli scontri nel Brennero tra no border e polizia. In effetti, punto cruciale di entrambe le campagne elettorali è stata la politica sull’immigrazione, vista però da due punti diametralmente opposti: da un lato la critica a provvedimenti considerati eccessivamente duri e dall’altro lato la proposta di maggiori restrizioni.

Secondo Gentiloni, ministro degli Esteri italiano, queste elezioni hanno lanciato un segnale importante ai partiti tradizionali austriaci: per la prima volta dal secondo dopoguerra nessuno dei due candidati al ballottaggio fa parte dei partiti socialdemocratico o conservatore. Il voto ha rappresentato quindi una sconfitta per questi due partiti, che hanno raggiunto solo l’11% al primo turno.

Dopo mesi in cui l’Unione Europea è rimasta con il fiato sospeso, nel pomeriggio del 23 maggio sono arrivati i risultati ufficiali del ballottaggio, che hanno dichiarato vincitore il verde Van Der Bellen con il 50,3% dei voti. Egli ha

Il nuovo Presidente austriaco si insedierà l’8 luglio e, cosciente della polarizzazione in atto nel Paese, ha subito dichiarato: “ci sono due metà che compongono l’Austria. Ognuna è importante quanto l’altra. Sarò al servizio di tutti”.

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EUROPA rischia ora di essere paralizzato. Dopo il settore dei trasporti e quello dei servizi, ora anche l’energia potrebbe diventare un problema. GRECIA 25 maggio. Dopo una riunione durata 11 ore l’Euroguppo ha raggiunto un accordo per quanto riguarda il problema dell’economia greca. Entro il 2050 il debito greco dovrà scendere al 100%, dal 182% attuale, e sarà alleggerito a partire dal 2018 rispetto agli attuali 245 miliardi, soluzioni prese in concerto con il Fondo Monetario Internazionale. Per attuare in maniera concreta questa massiccia revisione del debito ellenico è stato dato il via libera alla prima tranche di aiuti economici pari a 10,3 miliardi di euro. 24 maggio. È cominciato nel frattempo lo sgombero del campo profughi di Idomeni. Il centro di accoglienza al confine con la Macedonia che per diversi mesi ha ospitato più di 8000 profughi è stato svuotato da 400 agenti di polizia e diverse ruspe. Secondo Giorgos Kyritsi, portavoce del governo greco per la crisi dei rifugiati, la polizia non ha usato la forza. ITALIA 25 maggio. La Marina Militare ha tratto in salvo 562 migranti naufragati al largo delle coste libiche. Nulla da fare purtroppo per altre 5 persone rimaste vittime del barcone rovesciato. Con l’inizio della bella stagione si è registrato un aumento degli sbarchi: a Palermo sono 1.052 i profughi soccorsi, 639 invece a Crotone e Reggio Calabria. A cura di Andrea Mitti Ruà

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TRAGEDIA GRECA

Il parlamento di Atene approva nuove riforme di austerity

Di Simone Massarenti La Grecia ripiomba nel caos. La sera del 22 maggio, infatti, il governo Tsipras ha approvato un nuovo pacchetto di misure di austerità, al fine di assicurarsi la seconda tranche di aiuti del terzo piano di salvataggio, che ammonta a 5,7 miliardi di euro. Questo secondo prestito garantirebbe, entro il 1 luglio, il pagamento dello scoperto di 2,3 mld maturato negli scorsi mesi. Nonostante le resistenze del ministro delle Finanze ellenico Euclides Tsakalotos, contrario a ulteriori rincari, la coalizione, composta dal partito del premier Syriza e dai Greci Indipendenti, ha approvato con 152 voti a favore su 300 il pacchetto, che passerà a breve al vaglio dell’Eurogruppo. All’interno del partito fedele a Tsipras, però, vi è stata una voce fuori dal coro: la deputata Vasiliki Katrivanou, che tramite i social ha espresso, nelle ore successive al voto, la volontà di abbandonare lo scranno parlamentare. Le nuove misure di austerity lasciano una scia di polemiche, dato che prevedono un aumento della pressione fiscale pari all’1,7% del PIL, ossia 3 miliardi di euro. Le conseguenze di questo pacchetto di riforme sono diverse: aumento dell’IVA, delle tasse automobilistiche e

dei carburanti; aumento delle imposte su birra, sigarette e caffè; consistente aumento dell’Enfia, imposta su immobili di valore superiore ai 200 mila euro. Oltre a questi considerevoli aumenti in materia di beni e servizi acquistabili, il pacchetto prevede una “clausola di sicurezza” in base alla quale, in caso di mancato raggiungimento del 3,5% dell’avanzo-primario, la spesa pubblica vedrebbe un ulteriore taglio del 2%, con il conseguente aumento dei prezzi per il riequilibrio del mercato. Dure le critiche da parte dell’opinione pubblica, che denuncia un’ingiustizia sociale volta a favorire l’avanzata della privatizzazione. Le misure, infatti, prevedono un taglio alla previdenza sociale per gli anziani a basso reddito, nonché la cessazione delle agevolazioni fiscali per le isole. Nonostante le critiche e lo sciopero protrattosi per 48 ore, il premier Tsipras si dice soddisfatto del voto, considerando il pacchetto “fondamentale per la rinascita della Grecia”. Alle parole del premier seguono quelle del commissario europeo per gli affari esteri Pierre Moscovici, che si dichiara “soddisfatto del comportamento della Grecia, rispettosa dell’impegno preso con i creditori internazionali”.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 23 maggio. Per la prima volta un sondaggio dà Trump in vantaggio su Clinton, con il 46% contro 44% delle preferenze degli intervistati. Da segnalare che il sondaggio, realizzato da ABC News/Washington Post, ha rilevato i dati su scala nazionale, mentre alle elezioni di novembre conteranno i voti Stato per Stato. Ma a colpire è un altro dato: mai nella storia delle presidenziali americane le percezioni dei cittadini erano state tanto negative: quasi 6 intervistati su 10, infatti, hanno dichiarato di avere una cattiva impressione su entrambi i candidati.

23 maggio. È Hanoi la prima tappa del viaggio in Asia del Presidente Obama, che inaugura la sua visita con un annuncio storico: gli Stati Uniti revocano l’embargo sulla vendita di armi al Vietnam, in vigore da 50 anni. C’è grande attesa anche per il secondo grande appuntamento di questo viaggio: il 27 maggio Obama sarà infatti il primo Presidente americano a visitare Hiroshima. 25 maggio. L’osservatorio indipendente del Dipartimento di Stato ha completato l’indagine interna sulla controversa questione delle e-mail di Hillary Clinton, concludendo che l’ex

IL TRAMONTO DELL’EMBARGO

Barack Obama in visita in Vietnam scrive gli ultimi capitoli di politica estera. Di Erica Ambroggio Per la terza volta dal 1975, un Presidente degli Stati Uniti d’America in carica ha visitato il Vietnam. Barack Obama ha dato infatti avvio domenica 22 maggio al suo atteso viaggio in Asia, la cui prima destinazione vietnamita segna l’inizio di un percorso che culminerà, venerdì 27 maggio, con la visita alla città giapponese di Hiroshima. Il rafforzamento dei rapporti commerciali tra i due Paesi è stato l’argomento centrale degli incontri diplomatici fin dai primi giorni di permanenza del Presidente, ma a fare notizia, lunedì 23, è stata la dichiarazione rilasciata da Barack Obama durante una conferenza congiunta con il suo omologo vietnamita. Il Presidente americano ha, infatti, annunciato l’eliminazione dell’embargo sulla vendita delle armi al Vietnam, storico strascico che ha tallonato i rapporti tra i due Paesi per oltre 40 anni. “Siamo venuti qui come un simbolo di rinnovamento dei nostri legami e ciò non ha nulla ha a che fare con la Cina”, ha dichiarato il presidente Obama dalla città di Hanoi, sottolineando come la fine dell’embargo per il Vietnam, già parzialmente revocato nel 2014, sia solo una base di rinnovamento per una leale e stretta collaborazione economico-commerciale tra i due Paesi. Per favorire e agevolare l’attuazione dell’intesa, il Vietnam, tuttavia, dovrà

modificare la propria posizione sul fronte della salvaguardia dei diritti umani, da tempo sotto i riflettori dello sdegno mondiale e tra le priorità menzionate dal presidente Obama durante la conferenza. Nonostante la dichiarazione americana voglia scongiurare qualsivoglia collegamento a ulteriori e taciti fini, tra le righe dell’intesa la questione cinese è posta alquanto in evidenza. Durante la conferenza si è fatto diverse volte riferimento ai più che mai attuali dissidi con Pechino, ormai divenuta d’ostacolo a un’effettiva applicazione del principio di libera navigazione nelle acque del Mare Cinese Meridionale. Quindi, non sembrerebbe casuale la scelta politica americana di potenziare, se necessario, l’arsenale militare difensivo vietnamita. Immediate le reazioni dagli Stati Uniti. La voce politica impegnata nella campagna elettorale coglie l’occasione per esprimere il proprio dissenso. Esponenti repubblicani e democratici hanno messo sotto accusa la mossa presidenziale, descrivendola come una manovra politica completamente noncurante delle violazioni operate dal Vietnam ai danni delle libertà fondamentali della popolazione locale. A schierarsi sul campo delle reazioni negative troviamo, inoltre, l’ONG Human Rights Watch, che ha commentato: “Obama ha dato ad Hanoi un premio immeritato”. MSOI the Post • 9


NORD AMERICA Segretario di Stato avrebbe violato le regole, usando un account privato di posta elettronica per comunicazioni ufficiali. Il rapporto sottolinea tuttavia che responsabilità simili riguarderebbero anche quattro predecessori della Clinton. Dura, invece, la reazione dal fronte repubblicano, secondo il quale la candidata alla presidenza avrebbe esposto segreti di Stato a possibili attacchi di hackeraggio.

CANADA 23 maggio. Il primo ministro Trudeau, in Giappone per il G7, ha incontrato bilateralmente il suo omologo giapponese Shinzo Abe e, successivamente, l’Imperatore Akihito e rappresentanti dell’industria automobilistica del Paese. A fare notizia è però stata soprattutto la scelta di Trudeau di concedersi una pausa dai lavori per festeggiare l’anniversario di nozze con la moglie Sophie. Un gesto certo non privo di significato che, seppur tra le polemiche di alcuni, alimenta l’immagine umana del leader, che ha dichiarato: “si tratta di un modo per bilanciare lavoro e vita personale, una cosa che ritengo fondamentale per servire al meglio il Paese”. A cura di Silvia Perino Vaiga

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GLI LGBT E IL NORD AMERICA

I diritti degli omosessuali in Stati Uniti e Canada a confronto

Di Lorenzo Bazzano Nel giugno del 2015 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha legalizzato in tutto il Paese i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Secondo molti analisti americani, questa decisione avrebbe dovuto rappresentare la fine dei dibattitti sui diritti degli omossessuali, ma la legge ha dato nuova energia a chi è contrario. Ad aprile la giornalista Katy Steinmetz riportava, in un articolo pubblicato per il Time, il rapporto del movimento Human rights campaign, la più grande organizzazione civile statunitense in favore dei diritti di gay, lesbiche e transgender. Questo rapporto mette in luce come negli Stati Uniti, anche dopo la sentenza della Corte Suprema, siano state presentate più di 200 leggi che il movimento considera omofobe. La più discussa tra queste leggi è quella approvata a fine marzo nel North Carolina, che impone alle persone transgender di utilizzare bagni e spogliatoi che corrispondono al loro sesso di nascita, cioè al sesso biologico. Per i difensori dei diritti degli omosessuali si tratta di una forma di discriminazione. La legge ha avuto un’eco internazionale, soprattutto dopo che per protesta i Pearl Jam, Ringo Starr, Bruce Springsteen e il Cirque du Soleil hanno deciso

di annullare i loro spettacoli previsti in quello Stato. Un’altra legge controversa è la Protecting freedom of conscience from goverment discrimination act, approvata il 30 marzo in Mississippi: la legge permette alle organizzazioni religiose di non prestare servizi agli omossessuali e ai transgender. Nel testo si afferma anche che il genere è determinato alla nascita e che occorre tutelare i matrimoni fra un uomo e una donna. È bene precisare che i dibattiti riguardanti i transgender negli Stati Uniti sono molto recenti, anche all’interno degli stessi movimenti in difesa dei diritti degli omosessuali, per cui il loro riconoscimento giuridico potrebbe richiedere tempo. In Canada, invece, il presidente liberale Trudeau ha dichiarato che si impegnerà in favore di una tutela più efficace dei diritti dei transessuali, annunciando l’introduzione di una norma in tal senso. La proposta è stata presentata il 17 maggio e rientra nel più ampio Canadian Human Rights Act, risalente al 1977 e riguardante la tutela contro ogni forma di discriminazione. La legge, prima di essere approvata, dovrà passare nelle mani del Senato, per cui solo in futuro e solo in caso di approvazione sarà possibile verificarne l’effettiva applicazione e le reazioni all’interno del Paese.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole EGITTO 26 maggio. Caso EgyptAir: un’agenzia francese - ALSEAMAR - collaborerà nella ricerca e nel ripescaggio delle scatole nere dell’aereo. Nel pomeriggio il primo gruppo di inviati ha cominciato i lavori sul posto. La commissione investigativa ha inoltre specificato che, analizzando i documenti in possesso dell’aeroporto Charles De Gaulle, l’Airbus A320 non presentava alcun problema tecnico prima del decollo, escludendo perciò una possibile manomissione del motore del velivolo da terra.

ISRAELE 22 maggio. Dopo una richiesta informale da parte del primo ministro israeliano Benjamin Natanyahu, Moshe Yaalon, ministro della difesa e voce moderata del partito Likud, ha annunciato le sue dimissioni, non senza qualche risentimento. Al suo posto Avigdor Lieberman, capo del partito Yisrael Beitenu, ora sostenitore della maggioranza del governo. Il ricatto di Lieberman per l’accesso al Ministero ha particolarmente irritato Yaalon, il quale ha denunciato durante una conferenza stampa “la presenza di forze estremiste e pericolose al governo”. LIBIA 25 maggio. Un barcone a 35 miglia dalle coste libiche si è capovolto, lasciando oltre 500

LA SEDE STACCATA DI HEZBOLLAH A DAMASCO Il partito libanese con le sue milizie diventa maestro di guerra nel conflitto siriano

Di Lucky Dalena

rato a cui fare riferimento.

Sayyda Zayynab, un sobborgo sciita a sud di Damasco, è parte della regione controllata dal regime siriano. È un paese distrutto dalla guerra, dove ogni giorno muore qualcuno: un eroe, un martire per la patria, una vittima di una guerra tra fazioni. Con un po’ di immaginazione, può essere il Libano un paio di decenni fa. E, come nei sobborghi del sud libanese durante la guerra, questa situazione lascia spazio, ancora una volta, alle milizie di Hezbollah.

A Mleeta, in Libano, al museo della Resistenza (che tutti riconoscono come il museo di Hezbollah), si parla delle innovative tecniche militari delle milizie, a metà tra le tecniche di guerrilla e le classiche arti della guerra. Ecco perché, in Siria, il Partito di dio ha preso il posto di istruttore delle proprie tecniche. Alla domanda del reporter ad alcuni ufficiali di Sayyda Zayynab che chiede se le milizie di Hezbollah siano più forti dell’esercito siriano, risponde molto diplomaticamente che “sono più preparati nelle tecniche di guerriglia”. Allo stesso tempo, però, è fiducioso sul fatto che alla fine del conflitto che ancora nessuno ha dato per certa - le milizie ritorneranno in Libano lasciando in eredità solo successi militari e grandi insegnamenti nell’arte della guerrilla.

James Harkin, giornalista per Foreign Policy, racconta questa storia. Nella moschea di Zayynab (il nome della nipote del Profeta) le bandiere del regime sono state sostituite dalle bandiere giallo-verdi di Hezbollah. Gli ufficiali dell a regione dichiarano con entusiasmo che la loro lealtà va “agli sciiti e ad Hezbollah”. “Alla Siria e al suo benessere”, si correggono poi. Ma la verità è che le milizie libanesi riscuotono un grande successo. Il potere di Hezbollah, in Libano come in Siria, è dato dalla loro organizzazione. Entrati nel conflitto nel 2012, hanno avuto un ruolo cruciale nella riconquista di alcune città chiave al confine libanese. E ora, oltre al settore militare, mostrano un’organizzazione para-statale che affascina i siriani sciiti dell’area, rimasti senza un effettivo appa-

Nel frattempo però, il partito sta pagando il costo di uomini e armi, e forse una volta finito il conflitto - soprattutto in caso di vittoria - non si accontenterà di levare le tende senza avanzare nessuna pretesa grazie ai contatti e i riscontri positivi tra i locali. Per ora, però, il movimento sta cavalcando l’onda del successo, e se si chiede a un siriano sciita, seppur vicino al regime e con il cuore legato alla sua madre patria, per chi stia combattendo, con pochi dubbi la sua risposta sarà “Hezbollah”.

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MEDIO ORIENTE persone in mare aperto. Tutti i superstiti sono stati trasportati d’emergenza al porto di Palermo a bordo della nave Dattilo della Guardia Costiera italiana. La mattina del 26 maggio le autorità italiane avevano ancora difficoltà a stimare il numero esatto di vittime. Nella notte un altro naufragio a 35 miglia dalle coste libiche ha ucciso dalle 20 alle 30 persone. PAKISTAN 22 maggio. Nella cittadina di Ahmad Wal, al confine con l’Afghanistan, un drone americano ha colpito ed ucciso in un raid Mullah Akhtar Mohammad Mansour, il capo in comando del gruppo terroristico dei Talebani. “La morte di Mansour è una pietra miliare nel nostro continuo sforzo per riportare la pace e la stabilità in Afhghanistan” ha dichiarato il presidente Barack Obama, sottolineando poi come gli Stati Uniti non torneranno ad attuare operazioni quotidiane nell’area. YEMEN Dopo la denuncia di Amnesty International riguardo l’utilizzo di bombe a grappolo di fattura britannica da parte dell’Arabia Saudita nei territori yemeniti, il Ministero della Difesa inglese ha assicurato che verrà aperta un’inchiesta sulle proposizioni della ONG. “Il Regno Unito ha bloccato da molto tempo il commercio di bombe a grappolo (il cui uso è proibito dal diritto internazionale, ndr) […] il Ministero della Difesa comincerà tuttavia un’attenta indagine, forti delle rassicurazioni dell’Arabia Saudita”, ha assicurato il Ministro degli Affari Esteri Hammond. A cura di Samantha Scarpa 12 • MSOI the Post

NEL SEGNO DI ERDOGAN

Presentato il nuovo governo turco: ecco i “fedelissimi”

Di Lorenzo Gilardetti Il 5 maggio, Davutoglu, primo ministro turco e leader dell’AKP ha annunciato le sue dimissioni, “frutto di una necessità, non di una scelta”, intorno alle quali si è parlato di contrasti con Erdogan su più fronti, sempre ufficialmente smentiti. Davutoglu era stato esautorato dall’incarico di nominare i dirigenti provinciali il 29 aprile, da lungo tempo stava intrattenendo rapporti diplomatici con l’Unione Europea ed era giunto all’accordo che dovrebbe portare a una parziale risoluzione della questione migranti. Per dare il via alla liberalizzazione dei visti turistici per i cittadini turchi però, mancano ancora diversi punti in agenda, compiti che la Turchia temporeggia ad assolvere e che con il nuovo governo probabilmente verranno discussi nuovamente. Uno su tutti è la modifica della legge sul terrorismo, per la quale Erdogan ha già espresso il suo esplicito disaccordo. Da allora il partito si è riunito in assemblea il 22 maggio scorso e ha votato come segretario Binali Yldrim, che è stato incaricato pochi giorni dopo di formare il nuovo esecutivo, già riunitosi in questa settimana. Yldrim, 60 anni e fedelissimo di Erdogan, nonché cofondatore con lo stesso dell’AKP, ha portato nel nuovo governo 9 nomi nuovi, mantenendo a capo dei ministeri più rilevanti

uomini come lui, cioè molto vicini al Presidente. Nel suo primo discorso il neopremier ha focalizzato due aspetti principali: la lotta al terrorismo e l’intenzione di modificare la costituzione in direzione di un sistema presidenziale. Per quanto riguarda la lotta al terrorismo, Yldrim l’aveva collocata al primo posto già nel programma esposto per la sua candidatura all’AKP, annunciando contestualmente una visita a Diyarbakir, città curda nel sud-est del Paese dove è critico il conflitto col PKK. Più velata la volontà di intervenire sulla costituzione: “La nostra priorità è armonizzare la carta costituzionale con la situazione attuale per ciò che riguarda i legami del Presidente con il suo popolo” ha dichiarato, preparando la strada per un sistema in cui il Presidente vedrebbe poteri più ampi e diretti, ambizione mai smentita da Erdogan, che da ora ha un alleato in più contro le opposizioni del PKK, dei nazionalisti e dei repubblicani. Questi ultimi, infatti, in occasione dell’approvazione della bozza per il decreto anti-immunità hanno già votato col partito di maggioranza dimostrando un’ insolita accondiscendenza, cosa che di fatto per ora sembra andare esclusivamente a danno del partito curdo dei lavoratori (PKK).


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole BIELORUSSIA 19 maggio. Il tribunale della città di Gomel ha condannato a morte un cittadino bielorusso accusato di due stupri e due omicidi. La sentenza arriva alla vigilia della visita in Italia di Aleksandr Lukashenko, il primo viaggio istituzionale del Presidente bielorusso dopo l’alleggerimento delle sanzioni dell’UE avvenuto lo scorso anno. La Repubblica di Bielorussia rimane, al 2016, l’unico Stato dell’area geografica europea a prevedere la pena capitale come condanna massima. CROAZIA 23 maggio. Il governo di Zagabria ha annunciato che si prepara ad accogliere un primo gruppo di 50 profughi durante le prossime settimane, nella prospettiva di dare ospitalità ad un totale di 1.700 entro la fine del 2017. In tal senso è stata attivata una commissione governativa per l’integrazione dei migranti nella società croata successivamente alle procedure di ottenimento del visto. KOSOVO 17 maggio. Si è svolto senza incidenti il primo Gay Pride nella storia della Repubblica del Kosovo. L’organizzazione in gran segreto della manifestazione e la massiccia presenza di corpi di polizia lungo tutto il tragitto hanno permesso che non vi fossero scontri. L’esito della manifestazione, seppur modesto numericamente, è estremamente positivo: la presenza del presidente Hashim Thaçi e di alcuni ambasciatori (tra cui quello americano) fa ben sperare gli osservatori per i diritti umani. LETTONIA

BREXIT? NIENTE PAURA

Un’Europa senza Londra aprirebbe interessanti opportunità per Mosca

Di Daniele Baldo Nelle ultime settimane numerosi leader politici hanno promosso la campagna referendaria a sostegno di un Regno Unito ancora parte integrante dell’Unione Europea. La Brexit, però, potrebbe concretizzarsi il prossimo giugno. Il supposto interesse russo verso la prospettiva di avere un’Europa ancora più divisa è stato utilizzato nella campagna pro-UE. Guy Verhofstadt, ex premier belga, ha infatti affermato che Vladimir Putin sarebbe l’unico leader a guadagnare dalla Brexit. Anche se da Mosca non sembrano emergere, per ora, tentativi di influenzare il voto, certo è che un’Europa più debole, occupata a colmare l’uscita di scena inglese, sarebbe un partner negoziale molto più gestibile. Mentre l’Europa cercava di far fronte alla crisi dei migranti e alle minacce terroristiche, nelle dichiarazioni ufficiali di Mosca si percepiva un certo tono di compiacimento. In alcuni casi, per via dei più recenti contatti con i partiti di estrema destra europei, sembrerebbe che la Russia stia cercando di aumentare il livello di tensione. Mosca potrebbe avere reali opportunità in politica estera, nel caso in cui il Regno Unito lasciasse l’Unione. L’Europa si

troverebbe a essere più debole e meno unita circa problemi come quello ucraino, mentre l’UK, da sempre la voce più dura nei rapporti con la Russia, si troverebbe nella posizione di accettare facilmente nuove amicizie. Anche a livello interno, la Brexit potenzierebbe la propaganda del Cremlino, poiché l’ideologia europea inizierebbe a crollare e i cittadini russi si sentirebbero maggiormente protetti entro i loro confini nazionali. Non si ha certezza di quali potrebbero essere le conseguenze della Brexit nel mondo economico russo. Sembra che nessuna compagnia di Stato si sia mossa verso una campagna pro-Brexit, segno che il Cremlino non vuole agire in questo senso. Qualunque agitazione per un’uscita dalla UE del Regno Unito potrebbe, infatti, diventare controproducente. Con un’Europa arrabbiata e un Regno Unito che potrebbe decidere di abbandonarla, lasciandola di fatto con profonde fratture interne e maggiore debolezza in politica estera, la Russia resta a guardare. La neutralità di Mosca nel dibattito pubblico potrebbe celare interessi nascosti: la nascita di rapporti bilaterali con l’UK potrebbe favorire la crescita della Russia come potenza mondiale. MSOI the Post • 13


RUSSIA E BALCANI 20 maggio. Il governo di Riga ha firmato la Convenzione di Istanbul, sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne. La repubblica baltica rimaneva l’ultimo Stato dell’UE a non averla sottoscritta. MACEDONIA 21 maggio. La Corte Costituzionale macedone ha giudicato illegittime le elezioni indette per il giorno 5 giugno 2016 e ha convocato l’Assemblea Nazionale per stabilire i futuri cambiamenti. La campagna elettorale era iniziata all’insegna del boicottaggio da parte di tutte le opposizioni, dopo che il governo non aveva permesso l’attuazione delle riforme richieste dai partiti di minoranza per lo svolgimento di una consultazione equilibrata. RUSSIA 27-28 maggio. Il presidente russo Vladimir Putin è atteso in visita ad Atene. Il contenuto dei colloqui non è ancora stato reso noto, ma è molto probabile che le principali questioni trattate saranno di materia economica. 25 maggio. Gli agenti russi Alexander Alexandrov e Yevgeny Yerofeyev hanno fatto ritorno in patria. Il loro rientro è stato permesso dall’applicazione dell’accordo tra Mosca e Kiev: il governo russo ha concesso il rientro in Ucraina della pilota Savchenko. UCRAINA 24 maggio. Il segretario del Consiglio di Sicurezza di Kiev Oleksandr Turcinov riporta la notizia dell’uccisione di 7 soldati e del ferimento di altri 9. Gli scontri sono avvenuti nella regione separatista del Donbass e secondo l’esercito si tratta della perdita più ingente dall’inizio del 2016. A cura di Leonardo Scanavino 14 • MSOI the Post

COSÌ FINISCE LA “GIUNGLA” DI IDOMENI Inizia lo sgombero del campo profughi più grande di Grecia

Di Lorenzo Bardia Lo sgombero è iniziato. All’alba di martedì, le autorità greche hanno dato il via all’operazione per liberare il campo profughi più grande del Paese, Idomeni. Situato al confine tra la Grecia e la Macedonia, Idomeni è stato per diversi mesi uno dei punti chiave della rotta balcanica e rifugio per più di 8.400 persone. Il portavoce del governo ellenico per la crisi dei rifugiati, Giorgos Kyritsis, ha dichiarato che la polizia non userà la forza per lo sgombero e che i migranti del campo saranno gradualmente trasferiti verso altri centri organizzati e allestiti appositamente. I trasporti predisposti dalla polizia raggiungeranno, infatti, i centri di Cherso, Oreokastro, Lagadigkia, Diavala e altre decine di campi dislocati in tutta la Grecia per garantire ai migranti condizioni di vita migliori. Fino a ora, però, a nessun giornalista, con l’eccezione della televisione pubblica, è stato permesso l’accesso per documentare le operazioni: un incredibile numero di agenti di polizia ha, infatti, vietato l’ingresso ai non autorizzati. L’attivista di Over the Fortress Tommaso Gandini racconta

che “nemmeno ai medici è permesso entrare e non avviene la distribuzione del cibo. A breve sarà impossibile vivere qui e le persone lo sanno”. Diversi volontari hanno quindi dato luogo a una manifestazione lungo la strada, per chiedere che almeno gli operatori medici possano avere accesso al campo. Loic Jaeger, dell’organizzazione Medici Senza Frontiere, in un’intervista al Guardian ha dichiarato: “Finora la situazione è pacifica e le persone stanno accettando di essere spostate. L’evacuazione rimane ad ogni modo un fallimento per la solidarietà europea. Il punto è che i migranti di Idomeni dovrebbero essere accolti nei paesi dell’UE: ci sono solo 8.000 profughi. Perché li stiamo invece caricando su degli autobus per portarli in campi non ancora a posto in Grecia, quando l’Europa ha promesso loro di ricollocarli?” Si infrangono, almeno per il momento, i sogni per il futuro e si fa strada tra i migranti un forte senso di incertezza, alimentato dalla mancanza di informazioni e dalla sfiducia nei confronti delle istituzioni accumulatasi nei corso di questi mesi di attesa. La speranza di raggiungere il nord Europa si allontana, oggi ancora di più.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

CINA 26 maggio. Continuano le provocazioni tra Stati Uniti e Cina. Questa settimana l’esercito cinese ha dichiarato che è pronto a mandare sottomarini armati di missili nucleari nell’oceano pacifico, sostenendo che i nuovi sistemi d’arma statunitensi, come i nuovi missili supersonici e il sistema antimissile Thaad installato in Sud Corea, minerebbero la capacità di deterrenza della Cina. L’inizio di pattugliamenti di sottomarini con armamento nucleare potrebbe destabilizzare ancora di più la difficile situazione nel mar cinese meridionale, in cui continuano gli incidenti e dove solo la scorsa settimana un aereo spia statunitense era stato intercettato dai caccia di Beijing. FILIPPINE 22 maggio. Il neoletto presidente Rodrigo Duterte dovrà affrontare il difficile compito di unire il Paese. La sua campagna populista ha avuto molta presa sul popolo e già durante la sua prima conferenza stampa ha ribadito la sua linea dura verso la criminalità che sarà attuata anche grazie a un maggior uso della forza legittima e probabilmente al reinserimento della pena capitale, abbandonata ormai da più di 10 anni. In politica estera, Duterte, pur condannando l’atteggiamento della Cina nelle controversie marittime, non ha nascosto la volontà di una maggiore vicinanza con

PROTESTE A OKINAWA

Un omicidio alimenta il malcontento della popolazione locale

Di Gennaro Intoccia, Sezione MSOI Napoli Un tecnico della base militare statunitense situata sull’isola di Okinawa ha confessato di essere colpevole dell’omicidio della giovane giapponese Rina Shimabukuro e di averne occultato il cadavere. L’exMarine ha dichiarato all’organo inquirente della prefettura di aver abusato sessualmente della donna e di averla uccisa. L’accaduto irrompe violentemente nella quotidianità dei cittadini della prefettura, i quali, brandendo bandiere e striscioni, si sono dati appuntamento in gran numero alle base aerea di Kadena, prima raccogliendosi in un emblematico minuto di silenzio, poi manifestando a gran voce la loro disapprovazione. Un episodio simile si verificò nel 1995: anche allora risultarono coinvolti alcuni membri del personale militare americano di stanza a Okinawa, colpevoli del rapimento e dello stupro di una bambina di dodici anni, e anche in quell’occasione le reazioni furono clamorose e le ripercussioni sui rapporti nippostatunitensi immediate. Il delitto fomenta il malcontento della popolazione della prefettura nei confronti della presenza statunitense sull’isola. Il colpevole, Kenneth Franklin Shinzato, è soggetto alle leggi penali dello Status of Forces

Agreement. Shinzo Abe ha espresso pubblicamente il proprio sdegno e ha incontrato il governatore di Okinawa Takeshi Onaga per discutere le misure che Tokyo potrebbe adottare per venire incontro alle richieste della popolazione locale. Onaga ha chiesto che venga riconsiderato lo Status of Forces Agreeement tra Stati Uniti e Giappone, così da rimuovere finalmente gli ostacoli procedurali che hanno spesso rallentato le indagini sui militari e sul personale civile delle basi americane. Il ministro incaricata degli affari di Okinawa, Aiko Shimajiri, ha fatto propria la posizione di Onaga, ma il segretario in capo del gabinetto Yoshihide Suga ha affermato che il governo centrale non prenderà tanto in considerazione una revisione del patto, quanto piuttosto una sua più effettiva implementazione. Shinzo Abe, con la mente al G7 di Ise-Shima che si terrà tra il 26 e il 27 maggio, guarda con preoccupazione all’insorgere delle proteste. Tokyo e Okinawa sono peraltro alle prese con una controversia legale sul ricollocamento della base militare di Futenma, non distante da quella di Kadena, che il governo vorrebbe mantenere sull’isola. Con la prossima storica visita di Obama a Hiroshima può darsi che i nodi vengano al pettine. MSOI the Post • 15


ORIENTE Pechino in futuro. MYANMAR 24 maggio. L’esperimento nascente democratico del Myanmar di Aung San Suu Kyi, divenuta consigliere di Stato, è messo a dura prova dalle tensioni tra gruppi etnici e religiosi differenza. Ci sono state manifestazioni nazionaliste a Yangon nelle scorse settimane, che hanno chiesto ai diplomatici di smettere di utilizzare la parola Rohingya per descrivere i milioni di musulmani che vivono nei campi di sfollamento e nei villaggi occidentali. I nazionalisti sostengono che sono immigrati clandestini del Bangladesh. Aung San Suu Kyi ha chiesto all’ambasciatore degli Stati Uniti di non utilizzare più il termine Rohingya, ciò pone delle domande su quale sarà il futuro delle minoranze all’interno del Paese. REPUBBLICA POPOLARE CINESE (TAIWAN) 25 maggio. Lo scorso venerdì Tsai Ing-wen, la nuova Presidente ha prestato giuramento, nel suo discorso inaugurale ha esortato i suoi concittadini ad abbandonare i pregiudizi e a guardare al futuro, in chiaro atteggiamento distensivo nei confronti della Cina continentale. Ma la propaganda della Cina ha altri obbiettivi, in un articolo apparso sul giornale filo-statalista Xinhua-run è stato scritto che la nuova Presidente essendo single, non avendo una famiglia e dei bambini potrebbe assumere un comportamento più radicale. Zhang Hongzhong, professore di giornalismo all’università di Pechino ha condannato l’articolo, chiaramente maschilista, e ha sostenuto che tutto il Paese può esserne danneggiato A cura di Emanuele C. Chieppa 16 • MSOI the Post

TAIWAN FESTEGGIA LA NUOVA PRESIDENTE Pechino frena le spinte indipendentiste di Tsai Ing-wen

Di Carolina Quaranta Il 20 maggio 2016, al palazzo presidenziale di Taipei, ha prestato giuramento Tsai Ingwen, che passerà alla storia come prima Presidente donna della Repubblica di Cina, il nome esteso dello Stato de facto dell’isola di Formosa. La leader del Partito Democratico Progressista (DPP) ha vinto le elezioni presidenziali dello scorso gennaio con il 60% dei voti, sconfiggendo di misura Eric Chu Li Iun, candidato del partito avversario, il Kuomintang, che in 8 anni di governo ha promosso un progressivo riavvicinamento alle politiche di Pechino. I futuri rapporti tra Taiwan e la Cina sono stati uno dei punti focali del discorso di insediamento di Ing-wen: forte dell’appoggio della popolazione taiwanese, la Presidente ha sottolineato come tra i due Stati debba esistere un rapporto di dialogo e comunicazione, specificando però che il suo desiderio è quello di “salvaguardare la democrazia e la libertà del Paese”, portandolo gradualmente verso l’indipendenza. La posizione è nettamente contrapposta a quella di Xi Jinping, secondo il quale Taiwan sarebbe una regione della Cina continentale, fin da quando i comunisti guidati da Mao Zedong sconfissero

il nazionalista Kuomintang durante la guerra civile cinese degli anni ‘40. Va da sé, quindi, che le prospettive, per quel che riguarda i rapporti diplomatici tra le due parti, non siano esattamente rosee. Gli osservatori internazionali si aspettano che il nuovo esecutivo spinga sul riconoscimento dell’indipendenza; la Presidente ha anche affermato di puntare al raggiungimento di un più importante ruolo nel panorama internazionale, con lo scopo di risollevare la Nazione dalla recessione in cui sta cadendo. In linea con questi obiettivi è l’intenzione di rivolgere più attenzioni alle politiche lavorative giovanili e al sistema pensionistico. Nel frattempo, a Pechino è già scattata la censura informatica sulle ricerche riguardanti Tsai Ing-wen o le elezioni a Taiwan. Secondo un portavoce del Partito Comunista, il discorso della Presidente sarebbe “incompleto, in quanto non riconosce appieno il principio della One-China policy” (s’intende, per come interpretato dai cinesi). Da Pechino, inoltre, sono arrivate le minacce di interrompere il canale di comunicazione con l’isola, a meno che la nuova Presidente non riconosca la sovranità della Repubblica Popolare Cinese.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole BURUNDI 24 maggio. 4 banditi armati non identificati hanno ucciso un poliziotto e un civile a Ndava, nel centro del Paese. Probabilmente gli assalitori sono membri del gruppo di ribelli nato contro il presidente Pierre Nkurunziza in seguito al suo terzo mandato. CAPO VERDE 20 maggio. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato che il virus Zika, presente in America Latina, si è diffuso per la prima volta nel Continente africano. Si sono registrati a Capo Verde tre casi di microcefalia. GABON 24 maggio. Il presidente Ali Bongo ha inaugurato a Libreville il canale televisivo ufficiale Gabon24,chediffonderà le notizie di carattere nazionale e internazionale. Il nuovo canale sarà il mezzo con cui i prossimi candidati alle vicine elezioni potranno presentarsi alla popolazione. NIGERIA 20 maggio. Il Portavoce dell’esercito nigeriano ha annunciato che 96 donne e bambini, rapiti dal gruppo jihadista Boko Haram il 14 aprile del 2014 nella scuola di Chibok, sono stati liberati con un blitz militare. 24 maggio. Il Governo locale di Lagos ha annunciato che, a causa dei ripetuti attacchi e sabotaggi di oleodotti e gasdotti nella regione, ci sono forti difficoltà nelladistribuzionedell’acqua.LaLagos Water Corporation, la più grande società di acqua potabile dell’Africa, che rifornisce più di 12,5 milioni di persone, sta

TUTTI CONTRO KABILA

L’opposizione marcia contro il Presidente congolese

Di Jessica Prieto Il 26 maggio i principali partiti di opposizione della Repubblica Democratica del Congo sono scesi in piazza. L’obiettivo era quello di manifestare contro la sentenza della Corte Costituzionale. L’Alta corte di Kinshasa ha deciso, infatti, che l’attuale presidente Kabila potrà restare al potere oltre la scadenza del suo mandato nel caso in cui le elezioni presidenziali, previste per dicembre, venissero rinviate. Tale decisione ha aumentato la tensione nel Paese. Secondo la Corte, la motivazione della sentenza risiede nell’articolo 70 della Costituzione, in base al quale “alla fine del suo mandato il Presidente della Repubblica resta in funzione fino all’insediamento effettivo del nuovo Presidente eletto”. Tuttavia, i partiti di opposizione interpretano tale verdetto come un’ulteriore concessione alla volontà del Presidente di prolungare il suo secondo mandato. L’attuale Presidente congolese è al potere da ormai 15 anni e, se a dicembre il suo incarico dovesse essere riconfermato, il Paese rischierebbe una vera e propria guerra civile. Una guerra che, nella peggiore delle ipotesi, potrebbe espandersi in tutta la regione dei laghi, compren-

dente Burundi, Congo, Kenya, Ruanda, Tanzania e Uganda. Intanto, pochi giorni dopo l’annuncio della sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali, l’ex-governatore della provincia del Katanga, Katumbi, è stato accusato di “reclutare mercenari” ed è attualmente oggetto di un mandato di arresto. Egli non potrà quindi né viaggiare né uscire dal Paese. Katumbi era visto come favorito alle prossime elezioni e alla notizia del suo possibile arresto ha reagito affermando che si tratta di accuse infondate, miranti a estrometterlo dalla corsa alla presidenza. Si è discolpato definendosi un “uomo di pace”, che non “intende prendere le armi cinque mesi prima delle elezioni”. Ha, inoltre, aggiunto che la sua è una causa giusta e per questo è disposto a subire l’incarcerazione, con riferimento alle battaglie di Gandhi e Mandela. Nonostante Katumbi si batta per la non-violenza, nella regione sud orientale dell’Haut-Katanga, roccaforte dei suoi sostenitori, ci sono state diverse contestazioni conclusesi con scontri e lanci di lacrimogeni. La protesta popolare di giovedì potrebbe aver rappresentato il preludio di una crisi rimasta soffocata per troppo tempo.

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AFRICA cercando soluzioni alternative per alimentare gli impianti di pompaggio. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 22 maggio. Nonostante le manifestazioni popolari e la risoluzione emanata del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il presidente Joseph Kabila sembra aver deciso di far slittare le elezioni di 14-16 mesi. La posizione di Kabila secondo alcuni osservatori sarebbe anticostituzionale: egli, infatti, vuole prolungare in modo ingiustificato il suo secondo mandato, non potendosi candidare per la terza volta. SUD AFRICA 23 maggio. Il presidente Jacob Zuma è stato accusato di corruzione, traffico di armi ed evasione fiscale. Il Presidente, coinvolto in numerosi scandali dal 1990 ad oggi, ha deciso di presentare ricorso e attende il giudizio della Corte d’Appello.

ZAMBIA 24 maggio. Si è svolta a Lusaka la riunione annuale della Banca Africana di Sviluppo, nel corso della quale diversi Capi di Stato e Ministri hanno discusso riguardo l’accesso al lavoro e all’energia in correlazione alla lotta contro il cambiamento climatico. Il summit è stato decisivo per rinnovare i finanziamenti per le energie rinnovabili e l’elettrificazione del Continente. A cura di Chiara Zaghi 18 • MSOI the Post

L’UGANDA IN SILENZIO

La svolta autoritaria del presidente Museveni, tra brogli e arresti

Di Fabio Tumminello Yoweri Museveni ricopre la carica di Presidente dell’Uganda dal 1986. Ciò lo rende uno dei capi di Stato più longevi di un continente, quello africano, da sempre caratterizzato da instabilità e conflitti interni, spesso sfociati in aperta guerriglia civile. Nei 30 anni di mandato Museveni ha migliorato le condizioni di vita del popolo ugandese, ridando slancio all’economia e combattendo con efficacia le peggiori piaghe del Paese, dalle malattie – in particolare l’AIDS, diffusissimo nella regione – all’alto tasso di corruzione. Ma non sono mancate le criticità. Il governo di Museveni si è, infatti, reso protagonista di una lenta ma progressiva svolta autoritaria. Dal 2005 è stato abolito il numero massimo di mandati previsti per il Presidente della Repubblica. Inoltre, le varie tornate elettorali sono state spesso accompagnate da continue accuse di brogli da parte dell’opposizione. Non hanno fatto eccezione le elezioni che si sono tenute lo scorso 18 maggio e che hanno visto Museveni prevalere con una larga maggioranza, superiore al 60%.

Kizza Besygie, leader dell’opposizione, ha accusato i vertici del Movimento di Resistenza Nazionale (MRN), il partito di governo, di aver creato un “clima intimidatorio” e di aver volutamente ostacolato le operazioni di voto. In alcune aree del Paese - soprattutto quelle in cui l’opposizione era più sicura della vittoria - i ballottaggi sono stati caratterizzati da brogli e ritardi. Lo stesso Besygie è stato arrestato dalle forze di sicurezza ugandesi e detenuto per un breve periodo precedente alle elezioni. Inoltre, per silenziare i critici e gli oppositori, Museveni è intervenuto direttamente sui principali social network, chiudendo Facebook, Twitter e WhatsApp per quasi due giorni. Una scelta che lo ha reso il bersaglio dei principali osservatori internazionali, in particolare l’Unione Europea, che già temeva per le scorrettezze avvenute durante le elezioni. Non è la prima volta che il governo ugandese si rende protagonista di simili azioni. Amnesty International ha criticato il provvedimento di Museveni, definendo quest’atto “una plateale violazione di diritti fondamentali […]: la libertà di espressione e la libertà di essere informati”.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole ARGENTINA 25 maggio. Il ministro degli Esteri brasiliano Sierra e il suo omologo argentino hanno istituito un organismo politico attinente la cooperazione in ambito commerciale, energetico, scientifico, industriale e difensivo. I principali obbiettivi della collaborazione argentino brasiliana saranno la risoluzione della crisi socioeconomica venezuelana e il conseguimento di una maggiore indipendenza dal Mercosur.

CILE 22 maggio. In contemporanea al discorso della Nazione si sono verificate violente proteste antigovernative. “Le strategie a lungo termine richiedono che la finanza pubblica sia sana. Il populismo è l’opposto di un cambiamento serio” ha dichiarato la presidente Bachelet durante la riunione parlamentare. BOLIVIA 22 maggio. L’agenzia Prensa Latina ha reso nota l’accusa del ministro della presidenza boliviana Juan Ramon Quintana relativa all’intenzione dei media e della destra di rovesciare il governo Morales. “Un gruppo di media nazionali cercano, all’ordine del giorno, di destabilizzare il Paese” ha notificato il ministro. URUGUAY 23 maggio.

L’Uruguay,

come

OLIMPIADI DI RIO: UN PALCOSCENICO RISCHIOSO Volute da Lula per far affermare il Paese, oggi la situazione si è ribaltata

Di Andrea Incao Sembra passata un’era da quel giorno, ma risale a soli 7 anni fa l’assegnazione dei XXXI Giochi Olimpici, che premiò Rio De Janeiro e il Brasile, a discapito di super-potenze come Stati Uniti e Giappone. Questa vittoria fu figlia di una crescita economica e politica senza eguali in Sudamerica e avrebbe dovuto presentare sul palcoscenico olimpico il Paese guida dell’America Latina. Oggi, la situazione è ben lungi dall’essere quella florida di qualche anno fa e quel che fu quel gigante è solo un lontano ricordo: Michel Temer rimane sulla difensiva e si muove per evitare che l’immagine del suo Paese venga compromessa. Infatti, le prime preoccupazioni per il neo-presidente, successore di Dilma Rousseff, vengono dal fronte criminalità. Gli omicidi sono in crescita e le contromisure del governo sono state due: divieto di manifestazioni di dissenso e istituzione di una task force speciale per l’evento olimpico (85.000 professionisti: 47.599 dalla Forza Nazionale di Sicurezza, i restanti militari). “Nonostante le promesse di una città sicura per ospitare le Olimpiadi, gli omicidi a opera della polizia sono regolarmente aumentati negli ultimi anni.

Molte altre persone sono state ferite da proiettili di gomma, granate stordenti e persino armi da fuoco mentre prendevano parte alle proteste. Finora, la maggior parte degli omicidi commessi dalla polizia non è stata oggetto di indagini” ha dichiarato Atila Roque, direttore generale di Amnesty International in Brasile. Altra nota dolente arriva dall’agenzia di rating Moody’s, che affossa le speranze di ripresa economica, dichiarando in un rapporto che “l’impatto complessivo dei giochi sarà minimo per la maggior parte delle imprese e costituito da un aumento delle vendite di breve durata e benefici intangibili sul marketing exposure”. Moody’s ha infatti spiegato che qualsiasi beneficio economico da parte di aziende di ingegneria e costruzione del Brasile ha già dispiegato i suoi effetti, visto che la maggior parte dei progetti è stata completata. Infine, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha sconsigliato alle donne in stato di gravidanza di andare a Rio De Janeiro a seguire le Olimpiadi, per il rischio concreto di contrarre il virus Zika, che può causare microcefalia nei neonati. Le stime parlano di 1,5 milioni di persone infette dall’epidemia allo stadio iniziale. MSOI the Post • 19


SUD AMERICA già pianificato, ha realizzato l’obbiettivo di produrre elettricità unicamente tramite fonti rinnovabili. Il traguardo raggiunto è il risultato di un’attenta strategia energetica che ridurrà il rischio di siccità.

LA DELICATA SITUZIONE CILENA Genesi, crescita e declino del governo Bachelet

Di Daniele Ruffino

PERU 23 maggio. Il Perù, ha notificato lo stato di emergenza ambientale in 11 distretti della foresta amazzonica. Il provvedimento è dovuto allo sfruttamento illegale e arbitrario delle miniere d’oro, che ha provocato un inquinamento di mercurio sopra il livello consentito. CUBA 25 maggio. Il governo cubano ha reso nota l’intenzione di legalizzare le piccole e medie imprese e di ampliare i diritti degli imprenditori già attivi sull’isola. Nonostante il disaccordo di una parte del partito comunista cubano, il presidente cubano Raul Castro vuole incrementare l’iniziativa privata al fine di aumentare gli investimenti stranieri e regolarizzare le relazioni diplomatiche con gli USA. A cura di Sara Ponza

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L’11 marzo 2014 Michelle Bachelet veniva eletta 36° Presidente del Cile per la seconda volta, con il 61% dei voti. Il programma aveva colpito molto gli elettori: la Bachelet si candidava con una linea fortemente riformista, che verteva principalmente su tre argomenti molto sentiti dall’opinione pubblica: riforma dell’educazione pubblica, riforma tributaria e, forse la più importante, riforma costituzionale (la Costituzione attualmente in vigore è stata, infatti, emanata durante il periodo della dittatura militare). Acclamata dal popolo e stimata dai politologi, la Presidente è riuscita a far approvare la riforma tributaria già nel settembre del 2014 (nonostante fosse la più osteggiata in Parlamento), ma da quel momento in poi è iniziato un rapido e costante declino del neo governo socialista. La riforma sull’educazione si è rivelata un vero flop, poiché, pur garantendo l’istruzione superiore gratuita per tutti, essa potrà avere valore effettivo soltanto dopo il 2020: ciò ha scatenato l’ira delle associazioni studentesche e universitarie. Inoltre, le affermazioni della Bachelet sul fatto di non voler abbandonare la politica mineraria, nonostante la promessa di un sistema economico “libero dal rame”, hanno fatto storcere il naso agli

ambientalisti e ai capitalisti progressisti. Anche la riforma sulla Costituzione è stata fortemente criticata, poiché le consultazione popolari si sarebbero rivelate senza alcuna rilevanza reale. Infine, la famiglia della Bachelet, inoltre, è stata investita da uno scandalo di corruzione familiare che, unito a tutti i problemi sopra citati, ha fatto crollare al 28% l’indice di gradimento tra la popolazione. L’andamento della politica estera e di quella interna ha iniziato a essere incerto, peggiorando la situazione del governo di sinistra. Il rapporto con la Bolivia è entrato in crisi per un contenzioso territoriale e il governo ha attuato una debole e inefficace politica di avvicinamentoalMercosur(firmando il TPP nonostante gran parte dell’opinione pubblica non fosse d’accordo). Sono continue le rivolte interne e il PIL è in caduta libera per via delle politiche neoliberiste attuate dal governo Pinochet. Il 21 maggio, mentre la Presidente pronunciava il discorso alla Nazione a Valparaìso (100 km da Santiago del Cile), si sono verificati scontri e atti di violenza durante le manifestazioni pacifiche organizzate dai comitati locali. A causa di un incendio appiccato dai violenti ha perso la vita Eduardo Lara, una guardia municipale.


ECONOMIA TESLA MODEL 3

WikiNomics BAYER OFFRE MILIONI DI € L’ACQUISTO MONSANTO

Boom di preordini. Aperta la sfida al mercato di massa.

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La scalata del colosso tedesco all’azienda statunitense è ormai imminente Di Giacomo Robasto Il colosso chimico-farmaceutico tedesco Bayer ha annunciato, nei giorni scorsi, la volontà di lanciare un’offerta pubblica di acquisto (una cosiddetta OPA) all’azienda statunitense Monsanto, specializzata nella produzione di sementi, sia transgeniche sia convenzionali. L’operazione, secondo quanto sostenuto dal management tedesco a Leverkusen, ammonterebbe a circa 62 miliardi di euro, equivalenti a 122 dollari per azione, e sarebbe finalizzata alla successiva fusione.

L’OPA ha luogo quando un soggetto terzo offerente, che può’ essere una persona fisica o una società, si propone di rilevare un pacchetto azionario di un’altra società, detta società obiettivo, e può essere di diverse tipologie. OPA ostile. Si verifica quando il management della società obiettivo non è favorevole all’operazione, poiché ritiene sfavorevoli le condizioni

Di Ivana Pesic Il mercato delle auto elettriche è nel pieno della sua fase embrionale. Vi sono alcuni “pionieri” che vi si lanciano, scommettendo sul margine di guadagno che si può trarre da esso. Questo azzardo può rivelarsi un fallimento totale, oppure una miniera d’oro. Tesla ha debuttato su questo mercato con Model S e Model X, supercar elettriche alla portata di pochi, che hanno portato modesti risultati: gli investimenti sono ancora decisamente superiori rispetto ai ricavi. Per l’azienda è stato quindi inevitabile optare per un cambio di rotta. Lo scorso 31 marzo, la casa automobilistica ha annunciato la Model 3, la proposta “zero emissioni” economica che, per quanto più abbordabile, non rinuncia alle prestazioni e a tutte quelle peculiarità tecnologiche che hanno fatto del marchio statunitense un’autentica icona dell’innovazione. Leggera e compatta, la cinque porte raggiunge i 100 km/h in meno di 6 secondi, ha un’autonomia che sfiora i 350 km e il vantaggio di poter essere ricaricata da casa in soli 25 minuti. Per le tratte più estese, invece, gli automobilisti potranno usufruire della rete di Supercharger Tesla da 120 kW, in continua espansione.

Con la Model 3, la casa di Palo Alto manifesta il chiaro intento di affacciarsi al mercato di massa. Il prezzo di listino è di 35.000 $, cartellino quasi dimezzato rispetto al precedente Model S. Riduzione che può essere ulteriormente incrementata da incentivi statali (negli USA pari a 7.500 $). Nei soli primi tre giorni dall’annuncio, Tesla ha totalizzato quasi 300.000 ordini, un vero record in ambito automobilistico. Il promettente risultato ha portato l’amministratore delegato Elon Musk a dichiarare un ambizioso obiettivo vendite di 500.000 vetture entro fine 2018. Aspettativa che, però, non convince gli analisti finanziari più scettici in quanto la Model 3, secondo le previsioni più ottimistiche, sarà disponibile solo da fine 2017 negli USA e a partire dall’anno successivo in Europa. Una cosa, tuttavia, è certa: la Tesla Motors, società che negli ultimi anni ha chiuso i propri bilanci in negativo, grazie agli anticipi versati per le prenotazioni, sta drenando importanti liquidità, assistendo ad un forte rialzo delle sue azioni e portando un grande cambiamento nel campo dell’automotive: l’auto a propulsione elettrica diventa per la prima volta accessibile ad una fascia di pubblico più sensibile al prezzo. MSOI the Post • 21


ECONOMIA dell’operazione. In questo caso, la società obiettivo può chiamare in soccorso un altro soggetto, (il cosiddetto “Cavaliere bianco” o white knife) che può proporre un’offerta concorrente, oppure può aumentare il costo dell’OPA a carico dell’offerente. In questo caso, la società obiettivo cerca di convincere l’offerente a desistere dall’operazione mediante alcune opportune operazioni, quali l’aumento di capitale o acquisti di azioni proprie per sostenere la quotazione. OPA amichevole. In questo caso, il management della società’ obiettivo e’ favorevole all’operazione, poiché si presume che entrambi i soggetti coinvolti traggano benefici dall’operazione. OPA volontaria. Come nel caso di Bayer, è lo strumento che permette di scalare una società, ossia acquistarne la maggioranza delle azioni in circolazione per ottenerne il controllo. OPA obbligatoria. In alcuni stati, come l’Italia, è poi prevista un’OPA obbligatoria, nel caso in cui un soggetto intenda acquistare una partecipazione superiore al 30 % in una società. In questa ipotesi, l’obbligo di OPA riguarda la totalità dei titoli, e non implica in alcun modo che la società obiettivo sia favorevole alla successiva fusione. L’OPA, come dimostra la volontà di Bayer, è dunque un importante strumento per favorire l’espansione e l’ottimizzazione delle attività di una società, mediante una concentrazione del capitale e la riduzione dei costi derivanti da una eventuale fusione.

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L’ANSA PUNTA AD EST: C’È L’ACCORDO CON XINHUA Quando l’agenzia di stampa tricolore incontra il Paese del Dragone

Di Martina Unali La scorsa settimana è stato siglato a Roma, nella sede ANSA di Via della Dataria, l’accordo di stampo collaborativo con la cinese Xinhua. L’agenzia di stampa ufficiale cinese “Nuova Cina”, nata nel 1931, è un colosso multimediale che conta al suo interno ben 11 mila persone, con unità operative in tutto il mondo, e che, recentemente, ha festeggiato la sua veneranda età nel palazzo dell’Assemblea nazionale del popolo, in Piazza Tienanmen. In passato, erano già noti gli obiettivi strategici dell’agenzia di Pechino, rivolti alla stabilità, all’orientamento dell’opinione pubblica e allo sviluppo culturale. Da anni, infatti, la “Nuova Cina” vuole superare se stessa, tentando di modificare il flusso informativo globale, grazie alla sua autorevolezza. I benchmark sono le big del settore dell’informazione, in particolare CNN e Al Jazeera. Oltretutto, entro il 2020, si prevede un notevole aumento delle redazioni estere da parte dell’agenzia cinese. Un’altra aspirazione dell’agenzia era proprio quella di rafforzare l’immagine della Cina all’estero: detto fatto. Giusto un paio di anni fa, la Xinhua puntava ai territori dell’Africa subsahariana, lanciando il primo quotidiano su piattaforma mobile. I destinatari di un eventuale “servizio completo” avrebbero

beneficiato dell’utilizzo della tecnologia Huawei, unitamente alla rete locale africana Safaricom. Oggi, invece, si punta al Bel Paese. Secondo il direttore cinese He Ping, l’intesa strategica nasce proprio per creare un ponte Italia-Cina, finalizzato alla condivisione delle competenze nel campo dei new media. Quanto detto trova conferma anche nelle parole di Giuseppe Cerbone, AD di Ansa, il quale conferma che l’Italia nutre un forte interesse nei confronti della Cina e della diffusione delle notizie in aree di interesse comune. Bel colpo, quindi, anche per l’agenzia di stampa italiana, che trae vantaggio dalle sinergie con la sua omologa cinese, rafforzando la propria proiezione in Asia. Dopotutto, non si può far altro che notare come l’Ansa, così facendo, metta a segno un altro colpo internazionale, dal punto di vista strategico, improntato allo scambio sia informativo, sia conoscitivo. Proprio negli ultimi giorni, infatti, l’ANSA sta procedendo a lanciare il nuovo sito in spagnolo “Ansa Latina”, con produzione nella capitale argentina. E se l’Agenzia Nazionale Stampa Associata si definisce come un “elemento di informazione di tutto ciò che accade nel mondo”, allora il mondo sembra proprio essere la prossima conquista.


È GIUNTA L’ORA DI FARE NOTIZIA Ti piace scrivere? Vieni a conoscere MSOIthePost!

Lunedì 30 maggio MSOI Roma ospiterà, nella cornice esclusiva di Palazzetto Venezia, Jacopo Folco e Davide Tedesco, direttore e vicedirettore di MSOI thePost, per presentare il progetto e raccontare come nasce e cresce un giornale online. Chiara Zaghi, redattrice della sezione Africa,

riporterà la sua esperienza di giornalista. MSOI thePost è il settimanale di politica internazionale di MSOI Torino: uno spazio editoriale che affronta temi di ambito internazionalistico, ideato per offrire una visione giovane e dinamica del mondo che ci

circonda. La rivista dà libero spazio ai Soci di tutti i gruppi MSOI nazionali che desiderino contribuire con i propri articoli. I posti sono limitati e per partecipare è necessario iscriversi. Per maggiori informazioni, scrivete un messaggio alla pagina Facebook di MSOI Roma oppure una mail a msoiroma@msoi.org!

Per rimanere aggiornato sulle attività di MSOI Torino, visita il sito internet www.msoitorino.org, la pagina Facebook Msoi Torino o vieni a trovarci nella Main Hall del Campus Luigi Einaudi tutti i mercoledì dalle 12 alle 16.

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