Msoi thePost Numero 28

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Giulia Marzinotto, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Silvia Perino Vaiga Amministrazione e Logistica Emanuele Chieppa Redattori Benedetta Albano, Federica Allasia, Erica Ambroggio, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Giusto Amedeo Boccheni, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Stefano Bozzalla, Emiliano Caliendo, Federico Camurati, Matteo Candelari, Emanuele Chieppa, Sara Corona, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Alessandro Fornaroli, Giulia Ficuciello, Lorenzo Gilardetti, Andrea Incao, Gennaro Intocia, Michelangelo Inverso, Simone Massarenti, Andrea Mitti Ruà, Efrem Moiso, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Emanuel Pietrobon, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Simone Potè, Jessica Prieto, Fabrizio Primon, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Carolina Quaranta, Francesco Raimondi, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Fabio Saksida, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Martina Unali, Chiara Zaghi. Editing Lorenzo Aprà Copertine Mirko Banchio Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole AUSTRIA 8 giugno. L’estrema destra di Norbert Hofer ricorre alla corte costituzionale contro i risultati delle elezioni. Secondo l’FPO, infatti, sono numerosi i casi di frode che hanno “macchiato il voto”. Ricordiamo come lo scarto fra Hofer e il suo sfidante, l’ecologista Van Der Bellen, sia stato appena dello 0,6%.

IL MIGRATION COMPACT

Al vaglio della UE la proposta ‘Made in Italy’

Di Benedetta Albano

FRANCIA 6 giugno. Secondo il premier Manuel Valls i danni della piena della Senna a Parigi ammonterebbero ad una somma prossima al miliardo di euro. Il governo, per far fronte all’emergenza, ha approvato lo stanziamento di “fondi di estrema emergenza” per svariati milioni di euro, al fine di risarcire le famiglie colpite. Rimangono chiusi il museo del Louvre e il museo d’Orsais. 8 giugno. Continuano le proteste contro la Loi du Travail. I ferrovieri hanno indetto il 9° giorno di sciopero contro la riforma, mentre nei principali inceneritori intorno a Parigi continua ad oltranza la sospensione del servizio. Secondo il sindacalista Philippe Nunes “Lo sciopero è necessario, nonostante la presenza degli europei”. GERMANIA 7 giugno. Un rogo, la cui matrice è ancora ignota, ha distrutto un centro per rifugiati a Düsseldorf. I migranti, 182 in totale, sono stati portati in salvo, e si sono riscontrati solo 20 intossicati. I vigili del fuoco hanno

Il Migration compact, redatto dal Consiglio Affari Esteri e dall’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, è stato presentato alla Commissione Europa il 23 maggio, proposto dall’Italia per una politica europea comune che riesca a far fronte all’emergenza dei rifugiati. Il 7 giugno verrà presentato al Parlamento dal vice presidente dell’esecutivo Frans Timmermans e da Federica Mogherini. L’obiettivo di Bruxelles è principalmente quello di ridurre il traffico di esseri umani e aprire le porte all’immigrazione legale, nell’ottica di contrastare lo scafismo, che continua a essere il principale problema della tratta mediterranea. Si è scelto di puntare su un tipo di accordo simile a quello concluso con la Turchia, questa volta con gli Stati africani: 8 miliardi di euro per quattro anni, con già 500 milioni pronti per essere utilizzati. I finanziamenti sarebbero realizzati secondo il piano Juncker, ma si sta ancora discutendo sulla cifra definitiva. La proposta italiana, che sembra aver riscosso successo in Europa, si concentra sulla collaborazione e anche sulla possibilità che gli EU-Africa bonds facilitino

la partecipazione africana sui mercati europei. Gli Stati scelti sarebbero Giordania e Libano (Medio Oriente), Tunisia (Nord Africa), Niger, Nigeria, Somalia, Mali, Etiopia e Senegal. L’instabilità governativa della Libia dà invece luogo a molti punti interrogativi, che dovranno essere discussi qualora venga scelta come Paese collaboratore. I progetti di investimento europeo dovrebbero offrire più sicurezza e una cooperazione stabile, arrivando anche a legalizzare lo status dei migranti economici; d’altro canto i partner dovrebbero concentrarsi sui controlli delle frontiere, sulla lotta ai fenomeni di traffico di esseri umani e sulla diminuzione di partenze verso l’Europa. L’istituzione, ideata dalla Commissione, della Guardia Costiera Europea sarebbe fondamentale e dovrebbe essere attivata già entro giugno. L’Europa, più volte rimproverata per il silenzio comunitario degli ultimi mesi, sembra stia realizzando che la risposta che darà a questo interrogativo sarà fondamentale per la sua politica estera futura, specialmente nel clima di euroscetticismo e di indecisione nei Paesi portanti dell’Unione. MSOI the Post • 3


EUROPA parlato di un “rogo imponente, visibile a miglia di distanza”. Sul caso è stata aperta un’inchiesta, mentre i migranti sono stati già ricollocati in altri alloggi. ITALIA 7 giugno. Un pacco bomba è stato recapitato all’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare di Parma. Il pacco, diretto ad un collaboratore esterno all’ente, è stato recapitato all’ufficio postale preposto al controllo, il quale ha immediatamente provveduto a consegnare l’ordigno alla forze dell’ordine, che hanno proceduto alla distruzione. L’autorità anti-terrorismo ha aperto un fascicolo sul caso 8 giugno. Mered Medhanie, uno dei più potenti trafficanti di esseri umani, è stato estradato dal Sudan in Italia. Il sostituto procuratore Gerri Ferrara parla di “organizzazioni internazionali ben strutturate, che rappresentano una minaccia concreta alla sicurezza”. Negli ultimi mesi infatti è aumentato in maniera esponenziale il numero degli sbarchi. SVIZZERA 5 giugno. Il referendum circa il reddito di cittadinanza viene bocciato. Il 78% dei cittadini elvetici, chiamati ad esprimersi circa la proposta di un gruppo di cittadini indipendenti di imporre un reddito minimo di cittadinanza di 2.500 franchi (2.200 euro circa), ha risposto negativamente all’interrogazione. È stata, invece, approvata la proposta di obbligo risoluzione delle pratiche di richiesta d’asilo entro e non oltre i 140 giorni. A cura di Simone Massarenti

LIBERTÀ? GIUSTIZIA?

La Polonia alla prova della democrazia

Di Andrea Mitti Ruà Che l’Unione Europea stia attraversando un periodo di forte difficoltà è risaputo: la crisi economica prima e quella dei migranti dopo hanno eroso lo spirito europeo, evidenziando differenze sociali e culturali presenti nei diversi Stati e portando alla conseguenza estrema del rischio, incredibilmente concreto, di una fuoriuscita dall’Unione della Grecia e della Gran Bretagna. Nessuno aveva mai messo in discussione, in questi anni difficili, i principi comuni che hanno fondato l’Europa, primo su tutti la democrazia, ma tutto questo è stato stravolto quando la Commissione Europea, dopo 5 mesi di contenzioso, ha apertamente accusato il governo polacco di minare le basi della democrazia. Dopo appena 25 anni dalla transizione post-comunista e a soli 9 dall’ingresso nella UE la Polonia ha saputo varare importanti riforme, che l’hanno portata a diventare una forte economia di mercato, oltre che un membro influente nella NATO e nell’UE, un punto di riferimento per l’Europa exsovietica. Come e perché, quindi, il Paese bagnato dalla Vistola rischia all’improvviso di perdere questi risultati? Per rispondere alla domanda,

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bisogna tornare al 2015, quando Beata Szydło vince le elezioni politiche, sostenuta dal partito nazional-conservatore Libertà e Giustizia, e si insedia nell’ufficio che fino a quel momento è stato di Ewa Kopacz, esponente dei cristiano-democratici. La controversia nasce proprio nel momento in cui si scambiano i poteri, più precisamente quando si deve decidere chi eleggerà i 15 membri della Corte Costituzionale. Il Governo Szydło, infatti, non riconosce l’elezione dei giudici tenuta da Kopacz. L’elezione di due giudici si rivela poi errata, ma la neoeletta decide di non ammettere alle loro funzioni anche i restanti 13 membri, eleggendo a sua volta 5 nuovi giudici, ai quali però il presidente della Corte ha negato il diritto di insediarsi. Per superare questo stallo, Szydło decide di rinnovare radicalmente l’Organo in questione grazie alla maggioranza assoluta in Parlamento. La Corte, per tutta risposta, bolla il progetto di legge come incostituzionale, provocando le ire del governo, il quale si rifiuta di riconoscere la sentenza e spinge la Commissione Europea ad aprire un’indagine sullo stato di diritto nel Paese. Nonostante mesi di negoziati e l’intervento del Consiglio d’Europa, la situazione pare aggravarsi, dopo che i Paesi del gruppo di Visegrad e la Romania hanno espresso il loro appoggio nei confronti della Polonia. Una crisi democratica tra Stati e Unione è l’ultima cosa auspicabile in questo momento.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

KERRY E LA CINA, RELAZIONI ALL’OMBRA DELLA MURAGLIA Vecchi e nuovi attriti nelle relazioni tra USA e Cina

STATI UNITI 2 giugno. È di nuovo bufera su Donald Trump. Il presumptive nominee del GOP è al centro delle polemiche dopo aver attaccato con toni razzisti il giudice distrettuale californiano Gonzalo Curiel, impegnato nell’ambito dell’azione legale contro la Trump University. A detta di Trump, ci sarebbe un evidente conflitto tra l’incarico di Curiel e le sue origini messicane: questo a causa delle proposte anti-immigrazione che rendono il Tycoon inviso a molti oltre il confine con il Messico. La polemica non sembra comunque aver giovato al candidato repubblicano che, complici anche queste polemiche, ha perso l’endorsement del Governatore del Wisconsin Scott Walker. 7 giugno. Nell’ultimo super martedì, con il trionfo in 4 Stati su 6 – California compresa – Hillary Clinton ha intascato la vittoria delle primarie democratiche per la Corsa alla Casa Bianca 2016. “Abbiamo posto una pietra miliare nella nostra storia”, ha dichiarato Clinton, “Per la prima volta una donna è la candidata di un partito per l’elezione a Presidente degli Stati Uniti”. 7 giugno. Bernie Sanders, il rivale di Hillary Clinton già matematicamente sconfitto in queste primarie, ha annunciato che non lascerà la corsa fino all’ultimo appuntamento elettorale di martedì 14 giugno a Washington D.C. Il Senatore del Vermont ha dichiarato di voler anche incontrare

Di Alessandro Dalpasso Il segretario di Stato americano John Kerry si é recato in Cina per l’ottavo Dialogo Strategico ed Economico. Quello che avrebbe dovuto essere un meeting pacifico, utile per dare uno slancio ulteriore alle relazioni diplomatiche tra i due colossi, si è rivelato invece fonte di tensioni. Emersa dalla crisi finanziaria che ha colpito il mondo intero, la Cina, cerca spazi sempre maggiori sul piano internazionale, ma al tempo stesso si rivela insicura e fragile sul piano interno. Una combinazione che di sicuro non ha aiutato Washington e i suoi alleati a mantenere costantemente dei buoni rapporti con Pechino. Uno dei punti su cui Kerry si è maggiormente soffermato è la contesa sul Mar Cinese Meridionale. Egli ha infatti chiesto formalmente a Pechino di abbassare i toni riguardo alla rivendicazione di un gruppo di isolotti apparentemente insignificanti, ma ricchi di risorse primarie e interessati da rotte commerciali globali. I timori statunitensi, e non solo, risiedono nel fatto che se l’arbitrato internazionale attualmente in corso dovesse dare ragione alle Filippine (nell’ambito di una causa contro la militarizzazione cinese dell’area), allora la Cina potrebbe dichiarare unilateralmente una Zona di Identifica-

zione e Difesa. Non sarebbe la prima volta (è già successo nel 2013), ma si tratterebbe comunque di un atto provocatorio che minerebbe ulteriormente l’equilibrio di una zona del mondo non proprio stabile. Ulteriore motivo di tensione, strettamente legato al primo, è la volontà espressa da Kerry di far entrare l’India nel Nuclear Supply Group. Il subcontinente è visto infatti come un pericoloso rivale regionale dalla Cina e la sua ascesa a potenza nucleare preoccupa non poco il governo cinese. Causa di attrito è poi una problematica estremamente concreta: il caso dell’acciaio. Il segretario del Tesoro Americano Jack Lew, facente parte della delegazione a Pechino, ha chiesto al governo cinese di ridurre il quantitativo di acciaio emesso sul mercato negli ultimi anni. Le aziende che lo producono, infatti, sono statalizzate e sono tenute su un livello di produzione elevato per mantenere alto il PIL. Ciò ha distorto il mercato e i produttori non cinesi sono costretti a vendere a un prezzo inferiore a quello di produzione, subendo perdite enormi. Quest’ultimo esempio in particolare è significativo per comprendere quanto una reale collaborazione nel mercato globale possa contribuire ad una altrettanto reale pacificazione nell’immediato futuro. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA il presidente Obama alla Casa Bianca nel corso della settimana. Una mossa che, stando alle sue parole, sarebbe stata volta, inutilmente, a ritardare il lancio di un appoggio della Casa Bianca per la Clinton. 9 giugno. Barack Obama annuncia il suo sostengo a Hillary Clinton nella Corsa alla Casa Bianca 2016. Nella stessa giornata ha incontrato Bernie Sanders, al quale ha chiesto di collaborare con l’ex firts-lady per il bene del Partito Democratico.

CANADA 6 giugno. Il Canada avrà 3 nuove donne tra i suoi viceministri. Mentre continua l’ondata di pensionamenti di funzionari d’alto rango, il Primo Ministro Trudeau ha nominato 5 nuovi viceministri, tra cui Marta Morgan (Finanza), Manon Brassard (Tesoro) e Chantel Maheu (Consiglio privato). Sale così la quota di donne che ricoprono posizioni chiave nel paese: sintomo di una chiara scelta del governo, ampiamente impegnato nella lotta per la parità dei sessi. 8 giugno. Mentre in tutto il mondo si celebra la Giornata Mondiale degli Oceani, il colosso petrolifero Shell annuncia che rinuncerà volontariamente alle attività di trivellazione nello stretto di Lancaster, nell’Oceano Artico. Esultano gli eschimesi, che potranno espandere l’area marina protetta verso il confine che rivendicano da anni. A cura di Silvia Perino Vaiga

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UN ARCOBALENO DAVANTI AL PARLAMENTO Diritti e conquiste LGBT in Canada

Di Sofia Ercolessi Domenica 1° giugno il primo ministro canadese Justin Trudeau ha issato una bandiera arcobaleno – simbolo dei diritti di lesbiche, gay, bisex e transessuali – davanti al Parlamento. Il gesto, unico nella storia del Paese, celebra l’inizio del Pride Month, il mese dedicato alla diversità e all’identità di genere. “Questo è un grande giorno per il Canada ed è parte di una lunga serie di tappe percorse dal Paese nel corso degli anni. Non è stato facile, non è stato automatico, molte persone hanno combattuto per anni per questo giorno”, ha dichiarato Trudeau.vLa presenza di Parlamentari di tutti gli schieramenti politici gli ha fatto aggiungere che “il Canada è unito nella difesa dei diritti LGBT”. Qualche mese fa Trudeau si è assicurato un altro primato nella storia del Canada, annunciando che parteciperà alla grande Toronto Pride Parade il 3 luglio. Nessun primo ministro in carica l’aveva mai fatto. Justin Trudeau è figlio dell’ex primo ministro Pierre Trudeau, che alla fine degli anni ‘60 aveva promosso la legge che depenalizzava gli atti omosessuali tra persone di più di 21 anni. È rimasta celebre la sua dichiarazione per cui “non c’è spazio per lo Stato nelle camere da letto della Nazione”. Da allora il Canada ha fatto passi da gigante

nel riconoscere i diritti gay, anche sotto la spinta, negli anni ‘70 e ‘80, dei movimenti di protesta e del fermento sociale delle comunità omosessuali. Per anni, iniziative come la Pride Parade o la Pride Week, che rivendicavano il diritto all’espressione di un’identità gay, sono state, nei migliori casi, ignorate dalle autorità. La Pride Week di Toronto, per esempio, diventata quest’anno Pride Month, è stata riconosciuta ufficialmente dalla città solo nel 1991. In generale, negli anni ‘80 le incursioni della polizia nei luoghi di ritrovo gay erano ancora frequenti e la discriminazione culturale molto forte. L’inizio del nuovo millennio ha portato, però, una ventata di cambiamento. Nel 2005 il Canada è stato il quarto Paese al mondo a riconoscere i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Qualche anno dopo veniva sancita la possibilità di adottare bambini per le coppie omosessuali, mentre dal 2015 si può cambiare il proprio sesso sui documenti anche senza aver subito alcun intervento. Nonostante le conquiste, c’è ancora strada da fare. Di recente il governo ha proposto delle modifiche alla legge sui diritti umani e al Codice penale, per tutelare di più le comunità LGBT da discriminazioni e discorsi d’odio, di cui questi cittadini sono ancora bersaglio.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole IRAN 9 giugno. Previsto per oggi l’incontro a Teheran promosso da Hossein Dehgahn, ministro della difesa iraniano con l’omologo russo Shoigu e quello siriano Fahd Jassem al-Freij riguardo alle strategie di lotta al terrorismo nella regione. IRAQ 8 giugno. Da Baghdad il Ministero della Difesa diffonde un comunicato secondo cui l’esercito iracheno, con le forze alleate, sarebbe avanzato a sud di Falluja liberando le prime aree periferiche. La città, sotto il controllo di Daesh, ha attirato l’attenzione mediatica negli ultimi giorni per l’assedio che dura da ormai tre settimane. Se, infatti, Daesh ha ucciso i civili in fuga, come testimonia il ritrovamento di fosse comuni, il governo iracheno ha aperto un’inchiesta sul trattamento riservato dalle milizie sciite ai fuggitivi sunniti, che hanno denunciato torture e abusi. 9 giugno. Almeno 20 secondo fonti non ufficiali i morti in seguito ai due attentati avvenuti per mezzo di autobombe a Baghdad, in un area militarizzata a Taji e in quella commerciale di Jadida. Sospetti su Daesh, ma si attendono rivendicazioni. ISRAELE 9 giugno. Sparatoria la sera dell’8 giugno a Tel Aviv in tre zone diverse della città, tra le quali il mercato di Sarona. 4 israeliani hanno perso la vita e altri 5 sono rimasti feriti in occasione di quello che le autorità, dopo il summit per la sicurezza, definiscono un “attacco terroristico”. Sono stati arrestati due giovani palestinesi di Hebron, in Ci-

TERRORE ALLE PORTE DI AMMAN, CINQUE VITTIME Presunto terrorista apre il fuoco sui servizi segreti

Di Clarissa Rossetti, Corrispondente dalla Giordania Inizia tragicamente il Ramadan di quest’anno, con 5 vittime alle porte del campo profughi di Al-Baqa’a, 20 chilometri a nord di Amman, agglomerato di prefabbricati costruito nel 1968 che oltre 100.000 rifugiati palestinesi oggi chiamano casa. Alle 7 del mattino del 6 giugno qualcuno apre il fuoco sull’ufficio dei servizi segreti pubblici fuori dal campo, uccidendo 3 sottoufficiali, una guardia e un operatore del centralino. Secondo il ministro delle comunicazioni e portavoce del governo Mohammed Al-Momani si tratterebbe di un attacco di matrice terroristica e la scelta di colpire proprio nel primo giorno del mese sacro per l’Islam sarebbe un chiaro segno di sfida da parte degli estremisti. Anche il target non è casuale: l’intelligence rappresenta il fiore all’occhiello cui sinora è andato il merito di aver preservato l’incolumità del Paese in questo girone infernale chiamato Medio Oriente. Il giorno seguente il quotidiano nazionale Jordan Times diffonde la notizia dell’arresto di un sospettato. Da allora non trapela nessun dettaglio e si sa soltanto che ulteriori indagini sono in corso. Nel frattempo, mentre condan-

ne dell’attacco ed espressioni di cordoglio e solidarietà arrivano da leader e istituzioni internazionali, risulta impossibile ignorare la sottile crepa che serpeggia nella certezza che la Giordania sia ancora da considerarsi una botte di ferro. Già nel marzo di quest’anno le forze speciali giordane avevano individuato una cellula terroristica affiliata a Daesh a Irbid, nel nord del Paese, vicino al confine con la Siria. Secondo le autorità, i militanti stavano pianificando attacchi volti a colpire anche civili. L’intelligence giordana aveva, inoltre, dichiarato di aver arrestato altri sospettati in precedenza. Non è un segreto che molti locali si siano arruolati tra le file di Al-Qaeda, Al-Nusra e Daesh, e certamente una zona marginalizzata e schiacciata dalla disoccupazione come il campo di Al Baqa’a rappresenta terreno fertile per il malcontento che nutre i gruppi fondamentalisti con nuove leve. Che il regno Hashemita sia l’ennesimo tassello dell’atroce domino che ha fatto cadere, uno dopo l’altro, tutti i Paesi del Medio Oriente nella morsa del terrorismo? Se perfino i mukhabarat rivelano una qualche traccia di vulnerabilità, la minaccia che Amman ha combattuto e respinto finora potrebbe rivelarsi pericolosamente concreta adesso. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE sgiordania, ed è stata annunciata la revoca di 83.000 permessi concessi ai palestinesi in occasione del Ramadan, iniziato lunedì. Hamas non ha rivendicato l’attacco per ora, ma ha fatto sapere che i due ragazzi sono militanti legati al m Movimento.

TUTTI A RAQQA

Comincia l’offensiva alla capitale del Daesh

Di Martina Scarnato

SIRIA 6 giugno. Raid dell’esercito siriano nell’est della Siria, nei dintorni della città di Ashara, in mano a Daesh: secondo l’Osservatorio Nazionale per i Diritti Umani sarebbero 17 i civili rimasti vittime degli attacchi. 7 giugno. Raid dell’esercito siriano anche nella regione di Aleppo, che avrebbe sganciato bombe incendiarie a Hreitan, Anadan e Daret Izza: registrati danni materiali, ma non vengono riportate notizie di vittime dai reporter presenti sul posto né dall’Osservatorio nazionale. TURCHIA 8 giugno. Erdogan ha ratificato l’emendamento “anti-immunità” alla costituzione che prevede la possibilità di persecuzione nel penale per i deputati. La diretta conseguenza sarà l’apertura dei processi ai danni dei 138 parlamentari attualmente accusati, tra cui spiccano quelli dell’Hpd, partito pro-kurdo. Contestualmente è stato varato un disegno di legge che prevede il giudizio esclusivamente in tribunali militari, e solo dopo approvazione diretta del Presidente, per quanto riguarda i possibili reati commessi dai soldati impegnati in operazioni anti-terrorismo. A cura di Lorenzo Gilardetti 8 • MSOI the Post

L’Osservatorio siriano per i diritti umani (OSDH) ha reso noto che il 4 giugno l’esercito siriano è riuscito ad entrare nella provincia di Raqqa, da due anni “capitale” del Daesh. Secondo il giornale libanese “al-Akhbar”, l’operazione militare delle forze governative, appoggiate dalle milizie russe, si chiamerebbe Tutti a Raqqa. Accanto all’esercito, vi sono anche le Forze Democratiche Siriane (SDF), una coalizione di circa 20.000 ribelli guidati dai curdi e sostenuta dagli Stati Uniti, che già a fine maggio hanno cominciato ad attaccare a nord della città. Con loro combattono anche i curdi dell’YPG (Unità di protezione del popolo curdo), e l’YPJ, il braccio armato delle donne curde. La perdita di Raqqa avrebbe conseguenze devastanti per il Daesh e non solo per il valore simbolico della città. In primo luogo, la sua posizione permette il collegamento tra le principali città siriane e quelle irachene di Mosul e Baghdad. In secondo luogo, la sua localizzazione sulle sponde del fiume Eufrate è di cruciale importanza per assicurare i rifornimenti sia di uomini che di armi. La vita a Raqqa è profondamente cambiata dopo l’occupazione del Daesh, completata nel 2014. Solo poco tempo prima la

città era diventata un’icona della rivoluzione contro il regime di Al-Assad in seguito alla sua liberazione da parte del Free Syrian Army. Le persone vivevano alla “maniera occidentale”, le donne potevano scegliere se indossare il velo e potevano recarsi negli stessi locali degli uomini. Con l’arrivo del Daesh, sono state imposte le leggi della sharīʿa, che vengono applicate in modo molto rigoroso. In seguito a ciò gli insegnanti sono stati obbligati ad istituire dei corsi di “insegnamento della jihad” e a dividere gli alunni dalle alunne. Inoltre, gli jihadisti hanno decretato la segregazione delle donne e l’istituzione di una tassa per i commercianti in cambio di protezione. Un gruppo di attivisti, rischiando la vita, ha deciso di raccontare tutto ciò che succede nella città in un sito, Raqqa is being slaughtered silently, al fine di dar voce alla popolazione locale. Ogni giorno sul sito vengono denunciate decapitazioni, crocifissioni, abusi sessuali e crimini di vario genere. È proprio la situazione umanitaria che preoccupa di più, anche in vista di una futura liberazione: secondo le milizie curde (e non) è probabile che il Daesh utilizzerà i civili rimasti in città (che secondo le stime sarebbero circa 50.000) come scudi umani.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole AZERBAIJAN 3 giugno. La Corte Suprema ha deciso di rilasciare la giornalista Khadijia Ismaylova, celebre nel suo Paese per le sue inchieste sul Presidente e la sua famiglia. La giornalista azera, detenuta dal dicembre 2014, era stata condannata a 7 anni di carcere per appropriazione indebita e frode fiscale. Le maggiori ONG, tra cui Amnesty International, avevano fortemente contestato la veridicità di queste accuse.

MACEDONIA 7 giugno. Il presidente Ivanov fa marcia indietro e revoca l’amnistia concessa a 56 persone coinvolte nello scandalo delle intercettazioni, tra cui molti politici. L’amnistia aveva fatto molto discutere nel Paese, dando il via ad una serie di proteste. Il presidente aveva già fatto un parziale cambio di rotta il 27 maggio. Tuttavia, i disordini nella Repubblica proseguono e i movimenti di protesta hanno annunciato una “radicalizzazione delle azioni”. ROMANIA 5 giugno. La Romania si reca alle urne per le elezioni amministrative. Il Paese sta attraversando una grave crisi giudiziario-istituzionale che ha portato in carcere o sotto inchiesta per corruzione 51 sindaci, tra cui quello di Bucarest. Fra i candidati anche una vicepresidente del Partito Socialdemocratico (il primo partito romeno) indagata per tangenti, abuso d’ufficio e riciclaggio. Sono le prime elezioni dopo l’entrata in vigore della

LA BLACKLIST DEI REPORTER TERRORISTI Un sito web ucraino ha pubblicato migliaia di nomi e dati di giornalisti “filorussi”

Di Daniele Baldo Tantissimi reporter, da ogni parte del mondo, si sono trovati in prima linea per raccontare gli eventi dell’insurrezione separatista nell’est dell’Ucraina. Gran parte di loro, però, non si aspettava di finire in una blacklist contenente migliaia di nomi di giornalisti ritenuti “terroristi”, pubblicata da un sito nazionalista ucraino chiamato Myrotvorets (“I pacificatori”), che ha stretti legami con il governo di Kiev. La lista comprende i nomi e i dati personali di più di 5.000 reporter che hanno fatto domanda per i pass stampa per lavorare nel territorio sotto il controllo del governo di Donetsk, il nemico principale dell’Ucraina nella guerra che persiste da due anni nell’est del Paese. Aver fatto domanda per l’accreditamento dai ribelli filorussi sarebbe stato abbastanza, secondo il sito web, per etichettare i giornalisti come complici di terroristi. Il sostegno ai giornalisti da parte di politici di orientamento vario, ma non solo, non si è fatto attendere, dal momento che in alcuni casi le informazioni sensibili pubblicate contenevano addirittura gli indirizzi delle abitazioni. Un elemento, questo, che dà l’impressione di avere a che fare con una vera e

propria campagna di incitazione alla violenza nei confronti dei reporter, che già in passato ha portato ad alcuni attacchi e omicidi. Ci si potrebbe domandare il motivo di un così alto numero di giornalisti inviati nell’arco di due soli anni. La ragione sta nella strategia mediatica dei ribelli. La strategia mediatica sembra rientrare perfettamente nel ventaglio di armi utilizzate da Mosca, abile nelle cosiddette guerre ibride, che mescolano forza letale e copertura mediatica aggressiva. Circa due terzi dei reporter che sono stati accreditati, infatti, provenivano dalla Russia o dall’est Ucraina. La facilità degli ingressi ha assicurato un’ampia copertura degli attacchi da parte di Kiev, attacchi che spesso colpivano case e civili, consentendo così di screditare l’Ucraina e di riguadagnare terreno. Il presidente Poroshenko ha definito la pubblicazione “un grosso errore”, ma il ministro dell’Interno Avakov pare aver appoggiato la fuga di informazioni, senza comunque condannare il gesto. Le critiche provenienti dall’occidente non hanno scalfito Myrotvorets, che non è stato oscurato dalle autorità e ha risposto pubblicando altri nomi. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI riforma elettorale, che prevede sindaci eletti al primo turno e Presidenti dei consigli di contea eletti indirettamente. RUSSIA 8 giugno. L’artista e oppositore politico Piotr Pavlensky è stato rilasciato dal tribunale di Mosca. Accusato di aver dato fuoco all’ingresso dell’FSB (ex KGB), Pavlensky dovrà pagare una multa pari a 6.800 euro in cambio della sua libertà. Questo ennesimo gesto di protesta dell’artista dissidente è avvenuto qualche mese fa.

UCRAINA 3 giugno. Secondo le stime dell’UNHCR, ben 9.371 persone sono morte nell’Ucraina dell’est dall’inizio dei conflitti e altre 21. 532 persone sono rimaste ferite. Il dato comprende civili, truppe governative e milizie separatiste. 6 giugno. La pilota ucraina Nadya Savchenko, recentemente liberata grazie ad uno scambio di prigionieri e ora deputata alla Rada, ha visitato il centro per le operazioni militari nel Donbass. Un evento inaspettato, durante il quale Savchenko ha avuto modo di parlare con i comandanti militari e sedersi al comando di un elicottero di attacco. A cura di Giulia Bazzano

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BELGRADE WATERFRONT

Una massiccia riqualificazione urbana per far ripartire l’economia serba

Di Leonardo Scanavino A Belgrado, in Serbia, procede l’innovativo progetto Belgrade Waterfront, sebbene in merito alla realizzazione di tale opera urbanistica non vi sia consenso unanime. Il Belgrade Waterfront sorgerà in un’area di 1,8 milioni di metri quadrati, compresa tra la zona fieristica e Savamala, il quartiere centrale di Belgrado sulla riva destra della Sava, poco prima della confluenza nel Danubio. Un vasto spazio, abbandonato da tempo immemore, chiamato “l’anfiteatro della Sava” e che da decenni ormai ispira la fantasia di architetti, urbanisti e pianificatori territoriali.

se presenti, sono malfunzionanti. Negli ultimi anni le proteste dei residenti contrari al Belgrade Watefront non sono mancate: nonostante le allettanti prospettive economiche, i cittadini contestano l’assenza di un dibattito con i rappresentanti dei comitati e protestano per le modalità con le quali sono stati eseguiti gli sfratti e le conseguenti demolizioni delle strutture. Le critiche arrivano anche sul fronte dei fondi: secondo alcune fonti, la società emiratina sarebbe pronta a investire solo $ 300 milioni, a fronte di un costo totale previsto superiore di dodici volte.

L’opera urbanistica, del valore di $ 3,5 miliardi, dovrebbe essere finanziata in prevalenza dalla Eagle Hills, una società di Abu Dhabi specializzata nello sviluppo di centri urbani, e da altri capitali pubblici e privati. Nell’area dovrebbero sorgere alberghi, zone ricreative, uffici, zone commerciali (per un totale di 140.000 metri quadrati) e la punta di diamante del progetto: la Kula Beograd, un grattacelo di 200 metri che mira a essere il più alto della penisola balcanica.

Il premier Vucic aveva annunciato il progetto nella campagna elettorale del 2014, rilanciandolo in occasione delle elezioni del 2016. L’obiettivo è chiaro: far ripartire un’economia stagnante che, soprattutto a causa della crisi del 2008, sembra non vedere segnali di ripresa. La costruzione del grande complesso porterebbe a un consistente aumento dell’impiego a livello locale, che non andrebbe a esaurirsi con la fine dei lavori, ma dovrebbe sensibilmente crescere con l’avvio delle attività che sono previste all’interno degli edifici.

Questi sono i numeri della più grande riqualificazione urbana dell’area balcanica, che sembra tuttavia stonare con la reale situazione delle periferie delle principali città serbe: il degrado è dilagante e i servizi pubblici,

Le previsioni parlano di 5-7 anni per vedere il progetto ultimato, ma il dibattito a livello nazionale continua a essere intenso e l’avvio dei lavori continua a slittare per le resistenze dei comitati locali.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole CINA 6 giugno. Dopo l’Europa, anche gli USA esprimono la loro avversione al dumping, la pratica di esportazione a prezzi concorrenziali applicata dal colosso orientale, in particolare nel mercato dell’acciaio. In occasione del dialogo tra i due Paesi su sicurezza ed economia, il Segretario al Tesoro americano Jack Lew si è appellato al principio di libero mercato, segnalando come l’eccessiva produzione cinese stia danneggiando i mercati globali e il processo economico della Cina.

COREA DEL NORD 8 giugno. L’AIEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, ha rilevato, grazie a immagini satellitari che sono riprese le attività nell’impianto di arricchimento di plutonio di Yongbyong, che era stato chiuso nel 2007. Un funzionario del Dipartimento di Stato degli Usa ha espresso la sua preoccupazione per i movimenti che si stanno susseguendo nel nord della penisola coreana, dal momento che i precedenti esperimenti nucleari condotti da Jong-un erano stati preceduti da episodi del tutto analoghi a quelli attuali. FILIPPINE 5 giugno. In un discorso trasmesso in tutto il Paese in occasione della festa che celebrava la sua recente rielezione, il presidente Duterte ha rinforzato la sua politica di tolleranza zero nei confronti della criminalità. Egli si è

HANOI APRE A TOKYO

Giappone e Vietnam tratteggiano i lineamenti di una nuova alleanza

Di Gennaro Intoccia, Sezione MSOI Napoli Le rivendicazioni che la Cina accampa sul Mar Cinese del Sud suscitano preoccupazione nei leader dei Paesi del sud-est asiatico, riuniti a Singapore in occasione dell’Asia Security Forum. Il ministro della Difesa giapponese, supportato dalle dichiarazioni del segretario della Difesa americano Ashton Carter, denuncia le politiche aggressive propugnate da Pechino, giudicate non conformi al principio di libertà di navigazione sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Egli afferma, inoltre, di essere in apprensione per l’intensificarsi delle operazioni navali cinesi nella porzione di mare di pertinenza del Vietnam, punto d’intersezione cruciale delle grandi rotte commerciali in estremo oriente. Shinzo Abe, negli ultimi anni, si è impegnato a rinsaldare i rapporti diplomatici con il Vietnam. Era il 1992 quando il Giappone siglò un importante trattato commerciale con Hanoi, infrangendo l’isolamento economico e diplomatico in cui quest’ultima era stata relegata per anni. Da quello storico accordo, le relazioni bilaterali tra i due Paesi si sono mantenute pacifiche. Tokyo è inoltre il secondo

investitore straniero del Vietnam, nonché il quarto partner commerciale. Tra il 1992 e il 2012 il Giappone ha stanziato 24 miliardi di dollari di prestiti per la realizzazione di una superstrada che connette il nord e il sud del Paese. Nel 2014 il volume degli scambi tra i due Paesi ha raggiunto la cifra di otto miliardi di dollari. Il Vietnam, in forte agitazione per la considerevole presenza cinese nel Mar Cinese del Sud, ha attivato un’innovativa politica estera di soft balancing, forse convinto di poter essere colonna portante della complessa strategia di contenimento dell’ascesa di Pechino. Hanoi guarderebbe, infatti, a Tokyo come all’occasione per ergersi a partner regionale valido e affidabile. Il mese scorso il governo giapponese ha annunciato di voler fornire al Vietnam due moderne fregate per il pattugliamento marittimo. I due Paesi hanno recentemente convenuto di consentire alle navi da guerra giapponesi di attraccare alla base navale vietnamita di Cam Ranh Bay per effettuare rifornimenti di carburante e di scorte. I colloqui fra i Ministri della Difesa dei rispettivi Paesi, riuniti a Singapore, hanno ridefinito la fisionomia della nuova partnership strategica, spalleggiata dagli Stati Uniti. E proprio gli Stati Uniti, dopo le ufficiali dichiarazioni di Obama, sono sul punto di rimuovere il vetusto embargo alla vendita di attrezzature e sistemi militari ad Hanoi. MSOI the Post • 11


ORIENTE appellato ad una giustizia fai-date, invitando la folla ad intervenire contro malviventi e trafficanti di droga, pattugliando le strade, bloccando chi di sospetto e anche uccidendo, se necessario. “Se avete una pistola, avete il mio appoggio” sono state le sue parole. Questo atteggiamento intransigente è stato uno dei fattori che ha portato Duterte ad una schiacciante vittoria nelle elezioni dello scorso 9 maggio.

VERTICE CINA-USA

La Cina cerca l’intesa economica, ma gli USA sono sempre più preoccupati da Pechino

Di Tiziano Traversa

GIAPPONE 5 giugno. Decine di migliaia di persone si sono riversate nelle strade di Tokio per protestare contro le intenzioni del primo ministro Shinzo Abe, che punta a revocare l’Articolo 9 della Costituzione, garanzia della rinuncia del diritto alla guerra, come scelto dal Giappone al termine del secondo conflitto mondiale. Il Primo Ministro vorrebbe far sì che il Giappone possa provvedere alla sua difesa e a intervenire nel campo internazionale senza restrizioni esterne. TAIWAN 5 giugno. La neoeletta presidente Tsai Ing-wen ha incontrato la delegazione del Senato degli Stati Uniti per le forze armate e ha invitato gli USA a proseguire la vendita di armi al Paese, cui la Cina si è opposta per mezzo del suo ministro degli Esteri Wang Yi. La Presidente taiwanese ha inoltre espresso il suo favore alla partecipazione congiunta con Washington in vari accordi internazionali, tra cui la Trans-Pacific Partnership (TTP). A cura di Carolina Quaranta 12 • MSOI the Post

In questi giorni si è svolto in Cina l’ottavo summit del Dialogo Strategico Economico con gli USA. Sono anni che Pechino tenta di costruire un rapporto solido con Washington e durante il summit il Presidente Xi Jinping ha esortato nuovamente alla comprensione reciproca. I due Paesi sono, secondo il Premier, “alquanto disuguali”, ma ciò non deve essere motivo di incomprensioni e diffidenze reciproche: il rapporto tra le due nazioni deve essere, di conseguenza, pragmatico e funzionale. Nonostante i buoni auspici espressi dal Presidente cinese, gli Stati Uniti continuano ad avere un atteggiamento diffidente e cauto: a prova di ciò, la tensione nei confronti di Pechino non è affatto calata. Le nuove affermazioni cinesi riguardo la disputa del Mar Cinese Meridionale, le continue violazioni dei diritti umani, le stabili relazioni con Mosca e Pyongyang non fanno che alimentare preoccupazioni che mettono in dubbio la possibilità di ulteriori intese, economiche e politiche, con la potenza orientale.

I delegati americani hanno espresso la propria preoccupazione per le recenti prese di posizione sulla questione del Mar Cinese Meridionale. Il problema, che riguarda la rivendicazione della sovranità sulle isole Parcels e Spratyls, con la conseguente estensione del mare territoriale, crea contrasti per i quali non si riesce a trovare una soluzione efficace. Dopo aver dichiarato di non voler accettare alcuna sentenza dell’arbitrato internazionale, il governo cinese ha intimato di non agire in modo provocatorio. Il segretario di Stato Kerry teme che un’alleanza strategico-economica, in questo momento, possa andare a danneggiare vecchie e solide alleanze con i Paesi che sono attualmente in rotta con la Cina. Se da parte cinese una relazione amichevole sarebbe ancora auspicabile e possibile, per gli USA Pechino risulterebbe troppo sicura della propria forza e trovare compromessi diventa sempre più complicato. Nonostante da parte statunitense vi sia la volontà di cercare intesa e dialogo, l’opinione diffusa dai vertici di Washington presenti alla conferenza è quella che l’incontro di quest’anno potrebbe risultare il più controproducente di sempre.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole BURKINA FASO 4 giugno. Il Burkina Faso ha rinunciato al mandato di arresto, a causa della sua difficile applicazione, che aveva emesso l’8 gennaio nei confronti del presidente dell’Assemblea Nazionale della Costa d’Avorio Guillaume, accusato di essere coinvolto nel fallito colpo di stato nel settembre scorso. KENYA 6 giugno. La polizia ha represso una manifestazione dell’opposizione che chiede lo scioglimento della Commissione Elettorale. Sono state uccise 2 persone e ne sono state ferite 6 con colpi di arma da fuoco. La polizia, accusata da alcuni testimoni, non avrebbe risposto alla provocazione. 7 giugno. Il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, e il presidente della Somalia, Hassan Sheikh Mohamud, si sono incontrati a Nairobi per porre fine alla tensione diplomatica che si era creata nelle ultime settimane. I due Presidenti hanno preso accordi riguardo le reti di trasporto che uniscono i Paesi, la questione degli immigrati e dei rifugiati, e hanno rinnovato l’accordo di cooperazione.

NIGER E NIGERIA: UNA LOTTA COMUNE Caccia ai miliziani di Boko-Haram

Di Francesco Tosco Nella notte di venerdì 3 giugno, nel sud-est del Niger, a Bosso, città in posizione strategica, l’accampamento militare di Bosso è stato assaltato da circa un centinaio di miliziani di Boko-Haram. Come annunciato dal Ministro della Difesa del Niger, l’esercito è riuscito solo nella mattinata di sabato 4 giugno, grazie a un contrattacco, a riconquistare tutte le posizioni perse poche ore prima. Non c’è una stima precisa di quanti jihadisti abbiano perso la vita e di quanti siano riusciti a ritirarsi e fuggire.

MALAWI 7 giugno. Amnesty International ha pubblicato un rapporto sull’aumento di uccisioni e rapimenti che si sta verificando nei confronti degli albini. Il Governo sta prendendo i primi provvedimenti a riguardo con la dichiarazione di illegalità della pratica.

Tra le 32 vittime si contano due militari di nazionalità nigeriana, mentre le restanti 30 appartenevano alle forze regolari del Niger che hanno il compito di difendere la regione di confine. Questo assalto è parso alquanto inaspettato: le truppe del Niger, infatti, non subivano attacchi dal marzo scorso, quando, nella stessa regione, 6 militari avevano perso la vita in un’imboscata.

NIGER 4 giugno. Il Ministero della Difesa nigeriano ha reso noto che sono stati uccisi 30 soldati

Lo stesso giorno della riconquista jihadista di Bosso, dalla vicina Nigeria è arrivata la notizia di un’operazione militare aerea

e terrestre che ha portato alla morte di 19 miliziani di Boko-Haram, tra cui il leader dell’area, Ameer Abubakar Gana. Nei giorni precedenti l’intelligence aveva informato il governo di Lagos della presenza di jihadisti nel nord-est del Paese. L’operazione ha portato alla scoperta di una fabbrica di ordigni esplosivi improvvisati, tecnicamente chiamati IED. Inoltre, nell’accampamento sono stati rinvenuti anche quattro ordigni già fabbricati e pronti all’uso, due lanciarazzi contraerei, un RPG, fucili kalashnikov e munizioni NATO per mitragliatrice. Sono stati sequestrate anche diversi veicoli, di cui uno armato. Queste due notizie, arrivate lo stesso giorno, permettono due osservazioni. La prima è che Boko-Haram ha ancora la forza e i mezzi per colpire. In secondo luogo, pare evidente che la strategia utilizzata dalla Nigeria, affiancata dai Paesi alleati, stia avendo un buon successo militare. L’intelligence nigeriana, coaudiuvata da quella francese, inglese e americana, sta lavorando per scovare ed eliminare definitivamente la minaccia jihadista dal cuore dell’Africa. MSOI the Post • 13


AFRICA del Niger, 2 della Nigeria e ne sono stati feriti 67 durante un attacco da parte del gruppo islamista Boko Haram. Un gruppo di 100 terroristi ha preso d’assalto la postazione militare di Bosso, città del Niger. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 6 giugno. Il governo congolese ha firmato un accordo con un consorzio cinese per il finanziamento della costruzione di una centrale idroelettrica a Kinshasa. Il progetto rientra negli accordi del 2007 presi con la Cina per la cooperazione e l’investimento affinché siano realizzate nuove infrastrutture nel Paese. SOMALIA 9 giugno. La base militare etiope di Halganpresente, nei pressi di Mogadisco, è stata attaccata dal gruppo islamista Al-Shabaab. Sono stati uccisi 43 soldati.

SUDAN 8 giugno. Mered Yehdego Medhane, considerato il maggior trafficante di esseri uman i nel mondo, è stato arrestato a nella città sudanese di Khartoum ed estradato in Italia. Il fermo è stato possibile grazie alla cooperazione giudiziaria internazionale, coordinata dalla Procura di Palermo. Alcuni amici, intervistati dalla BBC, ritengono, però, che l’uomo arrestato non corrisponda al criminale ricercato. A cura di Chiara Zaghi 14 • MSOI the Post

UNA CRISI INFINITA

La pace in Burundi resta ancora un’utopia

Di Fabio Tumminello Il 26 aprile 2015 il presidente Pierre Nkurunziza annunciò una riforma costituzionale che gli permise la rielezione per il terzo mandato. Il 13 maggio il generale Godefroid Nyiombareh, concludendo due settimane di proteste e scontri, tentò un colpo di Stato che però fallì dopo appena due giorni. Un anno dopo, la situazione in Burundi, se possibile, è peggiorata. Sono quasi 500 le persone che si suppone siano state uccise per ragioni politiche: tra di loro anche il generale Karakuza, ex consigliere alla presidenza e sospettato di avere legami con le frange ribelli dell’esercito. La svolta autoritaria del governo di Nkurunziza – conscio di aver perso il favore popolare – sembra ormai irreversibile. Il Burundi si trova in una spirale di violenze continue: il conflitto tra le due opposte fazioni si fa sempre più sanguinoso e la situazione, per la popolazione civile, è quasi invivibile. Dall’inizio del conflitto sarebbero infatti più di 100.000 – anche se non ci sono dati ufficiali – i profughi che hanno tentato di fuggire, trovando rifugio nelle nazioni confinanti, in particolare Tanzania e Ruanda. Ma la fuga non sembra più essere una soluzione praticabile: recentemen-

te, proprio il governo di Kigali ha espulso quasi 1.500 immigrati irregolari; anche i campi profughi in Tanzania sono al collasso e molti, presi dalla disperazione, decidono persino di ritornare in Burundi. Questa situazione ha inasprito ulteriormente i rapporti nella regione: Nkurunziza, per esempio, ha accusato il governo ruandese di addestrare milizie irregolari a supporto dell’esercito ribelle. Ad aggravare il quadro complessivo c’è anche un altro aspetto: quello economico. Il Burundi, oltre a partire da una posizione di grave deficit, si trova ormai in una crisi irreparabile, con un tasso di disoccupazione altissimo e scarsissime prospettive di rilancio per il futuro. Le organizzazioni internazionali possono far poco di fronte ai gravi problemi causati dalla crisi e gli aiuti umanitari nell’area si stanno facendo sempre più scarsi, data la continua instabilità. La comunità internazionale, che dovrebbe farsi carico del processo di transizione e di raggiungimento della pace, per ora si limita a monitorare la situazione, senza però intervenire direttamente: solamente la Corte Penale Internazionale si è attivata, aprendo un’inchiesta sulle violenze e gli omicidi compiuti dalle forze di sicurezza di Bujumbura.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

ARGENTINA 4 giugno. Si ripete, dopo un anno, a Buenos Aires la manifestazione Ni una Menos (“Non Una di Meno”) contro la violenza sulle donne e i femminicidi.

IL RITORNO DEI FUJIMORI, ATTO FINALE Perù: Keiko perde al secondo turno delle Elezioni Generali

ski è chiamato in Perù) ha però richiesto all’Officina Nazionale dei Processi Elettorali di vigilare attentamente sullo spoglio delle schede, poiché vuole essere certo che la vittoria sia pienamente legale e senza ragionevoli dubbi (come invece era avvenuto per l’elezione di Alberto Fujimori, padre di Keiko).

Di Daniele Ruffino Mercoledì 6 giugno il Perù è stato chiamato al voto per il secondo turno delle Elezioni Generali. I due candidati alla presidenza Keiko Fujimori (Popular Force) e Pablo Pedro Kuczynski (della coalizione neo-liberale) si sono sfidati fino all’ultimo comizio e scheda pur di raggiungere la maggioranza nei voti.

BRASILE 9 giugno. Tragico incidente lungo l’autostrada Mogi-Bertioga, nell’entroterra di San Paolo: un pullman con a bordo 34 studenti universitari si schianta. Almeno 18 le vittime. 6 giugno. Ombra di tangenti sul ministro del Turismo, Henrique Eduardo Alves, il quale si trova nel mirino del procuratore generale, Rodrigo Janot. Come affermato di fronte alla Corte Suprema, Alves sarebbe coinvolto nello scandalo Petrobras, avendo ricevuto tangenti, con cui avrebbe finanziato, nel 2014, la campagna elettorale per la carica di governatore del Rio Grande do Norte.

I risultati del primo turno, svoltosi il 10 aprile, davano una preferenza del 40% per il partito di Fujimori e anche le proiezioni per la seconda votazione prevedevano la giapponese avanti di addirittura 20 punti sull’avversario. Già il giorno dopo, però, molti analisti ed esperti hanno fatto chiarezza sulla futura posizione della leader popolare, affermando che soltanto in linea teorica Fujimori era avanti a Kuczynski, ma che in realtà sarebbero stati molti di meno i peruviani che avrebbero votato al ballottaggio per la figlia del dittatore. E gli ultimi dati parlano chiaro, Fujimori non è in testa.

CUBA 5 giugno. Il presidente Raul Castro annuncia che Cuba non ritornerà più nell’Organizzazione degli Stati americani (OSA), de-

La coalizione guidata da Kuczynski ha incassato il 50,82% dei voti contro il 49,18% del Popular Force, con uno scarto di appena 200.000 voti. PpK (così Kuczyn-

Come ha fatto Kuczynski a vincere contro ogni pronostico? Il motivo è fin troppo semplice: i peruviani non hanno voluto delegare nuovamente la loro sovranità alla famiglia Fujimori (nonostante i 73 seggi su 130), preferendo il quello che per molti sarebbe ”il male minore”. Kuczynski, infatti, non è ben visto dalla popolazione, essendo un amico dell’alta finanza che per secoli ha sfruttato in maniera sconsiderata le risorse ambientali e minerarie del territorio. Questa volta, però, l’alternativa era la figlia di uno dei dittatori più spietati dell’America latina, che tanti temevano avrebbe rigettato il Paese in uno stato di repressione ed oscurantismo. La situazione attuale del Perù si prospetta quindi meno rosea di quanto possa sembrare, dato che il Popular Force ha comunque un grandissimo peso all’interno del Parlamento e la maggioranza dovrà scendere a patti con Fujimori per non lasciare l’organo legislativo e consultivo nello stallo e nell’ostruzionismo. Infine, le promesse di PpK sono tanto audaci quanto difficili da realizzare e il suo partito dovrà attuare una forte linea politica per mantenere una maggioranza e un consenso che ha la sua legittimazione in poche manciate di voti in più. MSOI the Post • 15


SUD AMERICA finito uno “strumento di dominazione imperialista”. Il Paese era stato espulso nel 1962. Si tratta si un gesto di solidarietà nei confronti del Venezuela chavista contro il quale l’OSA ha chiesto sanzioni, promettendo “La nostra più ferma solidarietà ai nostri fratelli del popolo venezuelano e al suo presidente legittimo Nicolas Maduro”.

IL BRASILE SI ACCORGE DI AVERE UN PROBLEMA CON LO STUPRO

I dati riguardanti le violenze sessuali nel Paese sono allarmanti Duarte Santos, calciatore del Boavista – che hanno deciso di postare sui social network foto e video della violenza, umiliando ulteriormente la ragazza.

Di Viola Serena Stefanello, Sezione MSOI Gorizia NICARAGUA 6 giugno. Il capo di Stato, Daniel Ortega, annuncia la candidatura alle elezioni presidenziali del 6 novembre. Scelto come candidato dal partito sandinista, Ortega cerca di ottenere il terzo mandato consecutivo, dopo la vittoria nel 2006 e nel 2011. Egli, inoltre, si dice contrario agli osservatori internazionali richiesti dall’opposizione per verificare il regolare svolgimento del voto poiché ciò si configurerebbe come un’ingerenza negli affari interni del Nicaragua. A cura di Giulia Botta

16 • MSOI the Post

Nel 2014, in Brasile sono stati denunciati 47.640 stupri. Secondo i rilevamenti dell’Istituto di Ricerca Economica Applicata (IPEA), però, nel Paese viene denunciato soltanto il 10% delle reali violenze sessuali, che si aggirerebbero piuttosto intorno alle 527.000 all’anno. L’89% di queste riguardano donne, il 70% bambine o adolescenti. È il ritratto desolante di una Nazione che non tutela i propri cittadini e sottovaluta un crimine gravissimo. Peggio: è la conseguenza di una cultura dello stupro radicata, riflessa in un altro sondaggio dell’IPEA, secondo il quale il 26% dei brasiliani ritiene che le donne che indossano abiti che lasciano alcune parti del corpo scoperte meritino di essere aggredite e il 65,1% crede che una donna che subisce violenze domestiche e nonostante ciò non lasci il compagno “ami essere picchiata”. In questo quadro si è inserito, il 21 maggio scorso, un episodio particolarmente cruento che ha fatto il giro del mondo. Una sedicenne brasiliana è stata stuprata in una favela di Rio de Janeiro da 33 uomini – tra i quali il suo ragazzo, Lucas Perdomo

Subito si è scatenata una reazione di massa tramite l’hashtag #EstuproNuncaMais, “Mai più stupro”, diventato virale sui social. Il 3 giugno, poi, in Brasile e in Argentina – un altro gigante latino-americano dove la violenza sessuale è all’ordine del giorno – sono state organizzate diverse manifestazioni di piazza, nelle quali decine di migliaia di persone hanno protestato contro la cultura dello stupro. Dilma Roussef, al momento sospesa dalla carica di Presidente, ha twittato: “Ribadisco il mio ripudio alla violenza contro le donne. Dobbiamo combattere, denunciare e punire questo crimine”. Anche la rappresentante di UN Women in Brasile, Nadine Gasman, ha chiesto “tolleranza zero” nei confronti degli aggressori, sottolineando che è centrale evitare di colpevolizzare le vittime. Il presidente ad interim Michel Temer ha annunciato la creazione di una nuova unità della Polizia Federale per combattere la violenza sulle donne. Una promessa che però potrebbe suonare vana da parte di un Capo di Stato che ha escluso totalmente dal nuovo governo le donne – per la prima volta dal 1979 – e ha eliminato il Ministero delle Donne, rimuovendo di fatto ogni possibile rappresentatività diretta di gran parte della popolazione brasiliana.


ECONOMIA WikiNomics FINANZA ISLAMICA Tra religione ed etica

LA SVIZZERA DICE NO AL REDDITO DI CITTADINANZA I cittadini elvetici si sono espressi contrari al reddito minimo garantito

Di Ivana Pesic La finanza islamica, nata negli anni Settanta del secolo scorso in Medio Oriente, sta destando crescente interesse da parte di istituzioni bancarie ed imprese occidentali. I suoi principi sono conformi ai canoni di condotta della legge islamica dettati dalla Shari’ah. Di seguito ne vengono analizzate le peculiarità più rilevanti. Di Giacomo Robasto

Proibizione dell’interesse. Il principale divieto dettato dalla Shari’ah in ambito economico-finanziario è la proibizione dell’interesse, considerato una forma di usura. Questo comporta per gli Stati islamici conseguenze quali l’impossibilità di accettare prestiti internazionali da parte di istituzioni che ne prevedono l’applicazione. Da qui la necessità di creare un organismo sovranazionale capace di cooperare allo sviluppo dei Paesi islamici necessitanti di aiuti finanziari che, nel 1973, ha portato alla fondazione dell’Islamic Development Bank. Divieto della speculazione. La speculazione è espressamente vietata dalla religione musulmana, per cui i contratti derivati o le vendite allo scoperto non sono contemplati tra gli strumenti della finanza islami-

Nonostante la Confederazione Elvetica sia una nazione prospera e di primaria importanza nel cuore dell’Europa geografica più che politica, come hanno ricordato diversi capi di Stato all’inaugurazione del nuovo traforo ferroviario del San Gottardo il 1°giugno, i suoi cittadini si sono espressi a sfavore di qualunque forma di reddito di cittadinanza. Come hanno evidenziato i risultati definitivi, infatti, oltre il 76% degli aventi diritto di voto ha rifiutato la proposta, avanzata da un gruppo parlamentare indipendente, che avrebbe previsto un reddito mensile garantito ed incondizionato di 2500 franchi svizzeri (pari a circa 2250 €) per gli adulti e di 625 franchi per bambini e adolescenti. L’obiettivo di tale misura, secondo il comitato promotore, era di “assicurare a tutta la popolazione un’esistenza dignitosa e partecipare alla vita pubblica anche senza esercitare una attività lucrativa”. Il Governo federale, che sin dalla presentazione della proposta

non ha giudicato positivamente una simile iniziativa, sia per motivi etici che economici, ha stimato che un sussidio del genere implicherebbe un costo annuale di circa 208 miliardi di franchi. Di tale somma, che per buona parte dei Paesi europei sarebbe insostenibile, circa 183 miliardi avrebbero potuto essere coperti da prestazioni della sicurezza sociale e da prelievi sui redditi da lavoro. Per i residui 25 miliardi, invece, lo Stato avrebbe ricorso per forza a un aumento delle imposte o a tagli alla spesa pubblica. Il referendum svizzero, essendo stato il primo di questo genere in Europa, ha attirato l›attenzione di non pochi Paesi europei. Se da un lato, infatti, una forma di reddito minimo garantito attenuerebbe il fenomeno dell›esclusione sociale permettendo una partecipazione più attiva alla vita pubblica dei cittadini meno abbienti, dall’altra pone un problema etico, poiché l’entità della somma minima mensile dovrebbe essere equa per non avvantaggiare troppo i cittadini meno bisognosi. Quale ricca nazione si esprimerà per prima a favore?

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ECONOMIA ca. Zakat. L’istituto della Zakat consiste nel pagamento di tasse e imposte sotto forma di beneficienza. È questo lo strumento mediante cui si realizza la redistribuzione sociale della ricchezza al fine di far sì che l’intera comunità possa trarre beneficio dall’attività imprenditoriale privata.

Condivisione dei profitti e delle perdite. Le parti contraenti di una transazione finanziaria (creditore e debitore) devono condividere sia le perdite che i profitti associati all’andamento di una attività. Investimenti etici. Sono proibiti investimenti in imprese operanti in settori quali l’alcool, la pornografia, il gioco d’azzardo, i servizi finanziari convenzionali (banche, assicurazioni, ecc.), le armi e tutte quelle aziende che hanno sopravvenienze attive da interessi bancari superiori al 5% delle entrate (a meno che non siano destinate a scopi sociali). Altre attività espressamente vietate dal Corano sono quelle legate alla clonazione, all’aborto, alla carne suina, al tabacco e al mondo dello spettacolo. Da quando sono nate, le banche islamiche sono cresciute a un tasso annuo del 15%, dimostrando di saper fronteggiare la crisi molto meglio rispetto alle cosiddette banche convenzionali. Inghilterra, Germania e Francia si sono aperte a questo mercato con risultati positivi. Una realtà cui anche l’Italia sta prestando crescente attenzione. 18 • MSOI the Post

IL MERCATO DEI “BIDONI”

Ecco dove si vendono i “limoni” più aspri di sempre

Di Martina Unali In un mercato, la disparità di informazioni fra gli operatori è sovente una peculiarità. Tale condizione è l’asimmetria informativa, principale responsabile delle distorsioni nell’allocazione delle risorse e della scarsa economicità. Le inefficienze chenederivanosonola selezione avversa e l’azzardo morale. I tratti caratteristici sono l’occultamento di informazioni o di azioni nei confronti della controparte, in una transazione commerciale. Di fatto, le parti meno informate sono indotte ad effettuare scelte errate oppure all’impossibilità di controllare il rispetto delle condizioni contrattuali. L’archetipo è la “Teoria dei bidoni”, pubblicata dal premio Nobel per l’economia del 2001 George Akerlof sul Quarterly Journal of Economics. Nel saggio “The Market for Lemons” (slang americano che significa “bidoni”), si prende ad esempio il mercato di automobili di seconda mano, analizzando gli effetti provocati dalle asimmetrie informative. Le disquisizioni, tuttavia, sono valide anche in altri campi, dall’assicurativo al creditizio. Nel modello descritto si evince come l’acquirente sia in netto svantaggio rispetto al venditore, in quanto non può, a priori, conoscere la qualità del bene. Ed ecco che entra in gioco l’asimmetria informativa:

un prodotto “inferiore” viene qualificato come “elevato”. Insomma, il venditore è un lupo travestito da agnello. I compratori, però, non sono del tutto inconsapevoli. Essi, infatti, tengono conto di questo fattore e considerano incognita la vera qualità del prodotto offerto, valutando solo quella “media”. Così facendo, i prodotti migliori sono automaticamente tagliati fuori. Il meccanismo è chiaro: se la qualità è un dato incerto, il mercato cessa di esistere. Che cosa accade nella pratica? Nel mercato sono presenti, sia auto nuove, sia usate (i cosiddetti “bidoni”). Non avendo informazioni a riguardo, se ne stima la qualità: livello medio ad un prezzo medio. Le auto migliori verranno rimosse dal mercato, non trovando un prezzo tale da giustificare la vendita e la qualità media si abbasserà. A ruota faranno lo stesso anche i proprietari di auto buone, e così via fino al collasso del mercato. Un circolo vizioso. Ma la teoria propone anche dei correttivi: garanzie, marchi, catene commerciali e licenze. E se, al contrario, fossero i consumatori a trovarsi in una posizione di vantaggio? Inutile dire che il problema non sussisterebbe, poiché i meccanismi della domanda e dell’offerta ripristinerebbero l’equilibrio. Forse è il caso di riflettere.


Per rimanere aggiornato sulle attività di MSOI Torino, visita il sito internet www.msoitorino.org, la pagina Facebook Msoi Torino o vieni a trovarci nella Main Hall del Campus Luigi Einaudi tutti i mercoledì dalle 12 alle 16.

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