Msoi thePost Numero 29

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Giulia Marzinotto, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Silvia Perino Vaiga Amministrazione e Logistica Emanuele Chieppa Redattori Benedetta Albano, Federica Allasia, Erica Ambroggio, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Giusto Amedeo Boccheni, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Stefano Bozzalla, Federico Camurati, Matteo Candelari, Emanuele Chieppa, Sara Corona, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Ilaria Di Donato, Alessandro Fornaroli, Giulia Ficuciello, Lorenzo Gilardetti, Andrea Incao, Gennaro Intocia, Michelangelo Inverso, Simone Massarenti, Andrea Mitti Ruà, Efrem Moiso, Arianna Pappalardo, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Emanuel Pietrobon, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Simone Potè, Jessica Prieto, Fabrizio Primon, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Carolina Quaranta, Francesco Raimondi, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Fabio Saksida, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Martina Unali, Chiara Zaghi. Editing Lorenzo Aprà Copertine Mirko Banchio Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole CROAZIA 14 giugno. A Zagabria si è svolto il tredicesimo Gay Pride, che ha visto la partecipazione di più di 5.000 persone in un clima pacifico e senza incidenti. Sebbene rispetto agli anni passati le tensioni siano scemate, la Croazia rimane l’unico Stato europeo ad aver limitato i diritti LGBT tramite referendum appena un anno fa. FRANCIA 13 giugno. A Magnenville, provincia di Parigi, Larossi Abballa, 25enne di origini marocchine, ha ucciso a pugnalate il vicecomandante della polizia giudiziaria di Les Mereauz, Jean-Baptiste Salvint. In seguito si è barricato in casa dell’ufficiale tenendo in ostaggio la moglie Jessica Schneider, anche lei poliziotta, e loro figlio di tre anni. La donna sarà sgozzata prima che le teste di cuoio facciano irruzione e abbattano l’attentatore. Illeso il piccolo. Su Facebook il killer ha rivendicato gli omicidi e ammesso la propria fedeltà al sedicente Stato Islamico, invitando i suoi connazionali ad emularlo. L’uomo era schedato come “S”, ovvero ad alto rischio di radicalizzazione terroristica, essendo già stato condannato a tre anni nel 2013 per l’appartenenza ad una rete di collegamento Jihadista. 14 giugno. Le manifestazioni a Parigi hanno registrato più di 75.000 manifestanti (in migliaia in piazza anche a Lione, Marsiglia, Rennes e Tolosa). Alta la tensione per gli scontri provocati dai black bloc. 15 giugno. Hollande avrebbe annunciato che il governo non autorizzerà più le manifestazioni “se non viene garantita la protezione dei beni e delle persone”. Lo riferiscono i media francesi citando il portavoce Le Foll.

LA SCOMMESSA RISCHIOSA DI CAMERON La partita sulla Brexit inciderà anche sulle sorti del premier?

Di Matteo Candelari Durante la campagna elettorale del 2015 Cameron aveva promesso che, in caso di rielezione, avrebbe indetto un referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. La speranza era quella di attirare su di sé parte dell’elettorato euroscettico che alle europee del 2014 aveva fatto dell’UKIP il primo partito d’oltremanica. Guardando i risultati delle elezioni del 2015, la scommessa pare vincente. Cameron è uno dei pochi presidenti, dal secondo dopoguerra a oggi, a essere stato riconfermato con un numero di voti maggiore rispetto a quelli presi al primo mandato. Una volta rieletto, Cameron ha negoziato una serie di richieste con l’UE, con la promessa che, nel caso tali richieste fossero state accettate, si sarebbe impegnato a fare campagna elettorale per rimanere nell’UE. I fatti sembrano avergli dato nuovamente ragione, dal momento che, secondo molti opinionisti, Cameron è riuscito a ottenere parecchie concessioni. Tuttavia, proprio dal giorno dopo l’accordo, le cose si sono complicate per l’inquilino di Downing Street. Innanzitutto, se è vero che Cameron si è fin da subito adoperato per fare campagna per il sì, non si può dire lo stesso del suo governo, né men che meno del suo partito. Il Premier ha dovuto dichiarare la neutralità del governo

sul tema, dato che ben 5 Ministri si sono schierati a favore della Brexit. All’interno dei Tory si è verificata una vera e propria spaccatura tra i filoeuropeisti, capeggiati da Cameron, e l’ala più conservatrice-tradizionalista, capeggiata dall’ex sindaco di Londra Boris Johnson, decisamente euroscettica. L’esito del referendum rischia di avere forti ripercussioni sul governo. In caso di vittoria dei sì sarebbe comunque necessario ricomporre una frattura interna che oggi pare difficilmente sanabile. In caso di vittoria dei no le conseguenze rischiano di essere molto più dolorose per Cameron. Alcuni opinionisti d’oltremanica parlano di probabili dimissioni che spianerebbero la strada all’ambizioso Johnson. Inoltre, un’eventuale uscita dall’UE spingerebbe il primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon, a chiedere un nuovo referendum per uscire dal Regno Unito e rimanere invece nell’UE. Sturgeon ha fatto capire che, in caso di Brexit, i favorevoli alla secessione avrebbero vita facile. Gli ultimi sondaggi danno esattamente un testa a testa tra favorevoli e contrari, con una partita destinata a giocarsi sul filo di lana. Come spesso accade in questi casi, saranno gli indecisi a decidere l’esito della consultazione elettorale e forse anche del governo. In molti ipotizzano che la morte di Jo Cox avrà pesanti ricadute sul voto.

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EUROPA GERMANIA 12 giugno. Il vice cancelliere Sigmar Gabriel, esponente dei socialdemocratici paragona i membri dell’AfD ai nazionalsocialisti, accusandoli di voler ricreare un clima sovversivo e reazionario a danno di migranti e musulmani. Esponenti dell’AfD erano già stati al centro di polemiche lo scorso mese, quando avevano raccomandato l’uso della forza letale contro gli immigrati irregolari. REGNO UNITO 13 giugno. L’ultimo sondaggio del centro analisi demoscopiche Yougov mostra un aumento del 7% dei favorevoli alla brexit. Ad una settimana dal referendum, un dato allarmante per l’establishment europeista. La partita si giocherà fra gli indecisi e gli astenuti che rispettivamente rappresenterebbero l’11 ed il 5%. Intanto l’appello a rimanere nell’UE arriva anche dai premi Nobel britannici, come Peter Higgs. Cameron ribadisce “Con Brexit rischio austerity”. 16 giugno. Nella cittadina di Birstall, vicino a Leeds, la 41enne Jo Cox, membro attivo del partito laburista inglese, è stata aggredita con colpi d’arma da fuoco da un 52enne alla fine di un meeting elettorale. Una volta a terra, la donna è stata ripetutamente pugnalata con un coltello da caccia. Dopo esser stara trasportata in ospedale, alle 13:48 ora locale è stato dichiarato il suo decesso a causa delle ferite riportate. La Cox era conosciuta per le sue posizioni contro la Brexit e a favore dell’integrazione dei migranti. Inoltre, la parlamentare partecipava attivamente a numerose organizzazioni umanitarie.

A cura di Fabio Saksida

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GAY PRIDE IN EUROPA

Nel mese di giugno la comunità LGTB colora le piazze europee

Di Claudia Cantone, Sezione MSOI Napoli Questa settimana le piazze di varie città europee si sono colorate di “orgoglio gay”. In migliaia hanno aderito ai Gay Pride, riempiendo le strade con musica, bandiere, parrucche, pailettes per ricordare a tutti che la comunità LGTB esiste e non smetterà mai di lottare per i propri diritti. A Roma erano circa 700.000. Lo slogan di quest’anno, l’anno in cui è stata approvata anche in Italia la legge sulle unioni civili, era “Chi non si accontenta lotta”, per lanciare al governo e al Paese intero un chiaro segnale: vogliamo di più, vogliamo uguaglianza e combatteremo finché non sarà raggiunta. Anche le strade di Atene, che ospita il Gay Pride dal 2005, si sono riempite. In Grecia la situazione non è dissimile da quella italiana: più di un anno fa il Parlamento ha deliberato sulle unioni civili, trattando temi quali convivenza, assistenza medica, eredità, ma lasciando fuori dalla legge la possibilità di adozione per le coppie gay. La comunità LGBT ha sfilato anche in Polonia, a Varsavia, dove l’omosessualità non è vista di buon occhio da quella parte della popolazione legata alle tradizioni di un radicato e forte cat-

tolicesimo. Il Gay Pride si svolge nella capitale dal 2006, dopo essere stato bandito per due anni di fila, nel 2004 e 2005, dall’allora sindaco Lech Kaczyński. La Polonia è uno dei Paesi europei più deboli sotto il profilo della protezione legale della comunità gay: non soltanto non vi è alcun tipo di riconoscimento legale per le unioni tra persone dello stesso sesso, ma nella Carta Costituzionale del Paese è espressamente scritto che l’unica unione matrimoniale legale è quella “tra uomo e donna”. Infine, per la tredicesima volta, si è svolto a Zagabria, in Croazia, il Gay Pride 2016 e per la prima volta non si sono registrati scontri nel corso della parata. Lo scorso anno i croati si espressero in un referendum (la cui affluenza fu del 38%, ma per questo tipo di consultazione non è previsto quorum) a favore della definizione di matrimonio come unione tra uomo e donna. Nonostante l’opposizione del governo e di molte associazioni, la Costituzione croata fu emendata in seguito al risultato referendario. Al momento non vi è ancora alcun tipo di regolamentazione sulle unioni civili, ma il governo Zoran Milanovic promette di approvare una legge entro l’estate, il che sarebbe sicuramente un bel traguardo per un Paese conservatore come la Croazia.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 10 giugno. Il segretario di Stato americano John Kerry accoglie, nella città di Washington, il ministro degli Esteri di Singapore Vivian Balakrishnan. Durante la conferenza stampa congiunta i due leader hanno celebrato il raggiungimento di 50 anni di relazioni diplomatiche tra le rispettive nazioni, rimarcando il potenziale strategico del Trans-Pacific Partnership (TPP).

11 giugno. Il 30enne Omar Mateen, cittadino americano di origini afgane, ha fatto irruzione durante la notte, armato di fucile semiautomatico AR-15, all’interno del Pulse, noto locale gay della città di Orlando, Florida. 49 morti e 53 le persone rimaste ferite durante l’assalto. L’uomo, morto in uno scontro a fuoco con la polizia, si è reso artefice della più grave sparatoria di massa nella storia degli States. 14 giugno. John Kerry ha visitato la città di Santo Domingo per discutere della crisi politica venezuelana durante l’Assemblea Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS). Il rappresentante statunitense si è espresso in favore del referendum revocatorio del premier richiesto dall’opposizione al governo Maduro, ricordando l’importanza degli strumenti costituzionali a disposizione del popolo

IL PROFILO DELLO SCONFITTO Perché l’influenza di Bernie Sanders andrà oltre la sconfitta nelle primarie

Di Lorenzo Bazzano Saranno la democratica Hillary Clinton e il repubblicano Donald Trump a sfidarsi per le elezioni di novembre. Bernie Sanders non è riuscito a prevalere sulla prima donna candidata Presidente nella storia degli USA, ma la sua influenza sulla politica americana potrebbe trascendere la sconfitta. Ad aprile, sulle pagine del giornale statunitense Slate, il commentatore filo-democratico Jim Newell ha tracciato un profilo dei progetti di Sanders e del suo modo di fare politica. Uno dei nodi fondamentali sarebbe stato il voler non solo risanare il sistema politico, ma anche attuare una politica inclusiva a favore della classe operaia e della classe media, le più colpite dalla crisi. Il più grande ostacolo per l’attuazione delle riforme non risiederebbe tanto nella contrapposizione, a volte esasperata, tra democratici e repubblicani, quanto nel sistema politico in sé, che tende a privilegiare gli interessi dei più ricchi, finanziatori delle campagne elettorali. La vera contrapposizione, quindi, sarebbe tra la classe più ricca e la classe più povera. Tra le riforme che Sanders aveva in mente, Jim Newell ricordava quella della sanità pubblica, l’istruzione superiore

gratuita, il salario minimo, lo smembramento dei colossi bancari e l’abbandono di un sistema energetico troppo incentrato sugli idrocarburi. A questo proposito, Sanders ha più volte denunciato come l’immobilismo sul tema del cambiamento climatico sia dovuto al fatto che molti candidati repubblicani sono finanziati dall’industria del petrolio, puntando ancora una volta il dito contro l’iniquità del sistema politico statunitense. I progetti di Sanders, comunque, si rivelavano molto spesso in contraddizione con la realtà politica. Basti pensare che il Senatore era intenzionato ad abolire i superdelegati, che considera anti-democratici, ma allo stesso tempo, in alcuni passaggi della campagna elettorale, ha sperato che fossero proprio loro a privilegiarlo nella gara con Clinton. Sanders sarebbe stato consapevole fin dall’inizio che il suo fosse un progetto di lungo periodo, che avrebbe richiesto tempo per essere approvato dagli elettori americani. Questa sarebbe una delle ragioni per cui avrebbe deciso di provarci fino in fondo, anche quando i risultati avevano già sancito la sua sconfitta. Quello che desidererebbe creare Sanders sarebbe un movimento che si consolida nel tempo; finora ha effettivamente ottenuto un buon consenso, soprattutto fra i giovani studenti.

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NORD AMERICA STRAGE DI ORLANDO: COSA DICE LA POLITICA

venezuelano e la necessità di un costante rispetto delle libertà fondamentali.

Le reazioni di Trump e Clinton

con “noti legami col terrorismo”. Il candidato repubblicano muove all’attuale amministrazione la critica di essere incapace di difendere i propri cittadini e sostiene che Hillary Clinton sia “la persona sbagliata al momento sbagliato”, troppo debole per il ruolo di Presidente.

15 giugno. Il presidente Barack Obama incontra il Dalai Lama. Il colloquio, inaccessibile alla stampa, ha fomentato immediate reazione dal fronte cinese. Pechino ha accusato il leader religioso di essere promotore del movimento separatista tibetano disapprovando il consenso all’incontro da parte degli Stati Uniti, criticati di interferire negli affari interni della politica cinese. CANADA 10 giugno. Nuova vita per le relazioni diplomatiche tra Canada e Iran. Il ministro degli Esteri canadese Stephane Dion lo ha annunciato durante un’intervista alla CBC News. I rapporti tra le due nazioni, interrotti nel 2012 dall’ex primo ministro Stephen Harper, saranno oggetto di un lungo e attento percorso diplomatico. Il riavvicinamento, come ricordato dal ministro Dion, non equivarrà in alcun modo ad un’adesione canadese alle politiche di Tehran. 13 giugno. Il canadese Robert Hall, ostaggio nelle Filippine del gruppo islamico separatista Abu Sayyaf, è stato ucciso allo scadere dell’ultimatum imposto per il pagamento del riscatto richiesto. L’uomo, prelevato da un resort turistico insieme ad altre 3 persone, era trattenuto dal 21 settembre 2015. La prima vittima del gruppo, il canadese John Ridsdel, era stata uccisa a fine aprile. Il riscatto rimane per i due ostaggi ancora in vita. A cura di Erica Ambroggio

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Di Simon Potè Domenica 12 giugno, alle 2 del mattino, il 29enne Omar Mateen è entrato in un locale gay, ha ucciso circa 50 persone e ne ha ferite altrettante, rendendosi artefice della strage di Orlando. Si tratterebbe di un “lupo solitario” attratto dalle posizioni estremiste del sedicente Stato Islamico, che non ha tardato a rivendicare la strage identificando Mateen come un proprio combattente. Sono passati solo 6 mesi dalla strage di San Bernardino, compiuta anch’essa sotto l’egida di Daesh. In tempi di campagna elettorale, la questione è stata immediatamente fatta oggetto delle dichiarazioni dei due candidati, Donald Trump e Hillary Clinton. Donald Trump ha colto l’occasione per riconfermare la sua posizione riguardo all’immigrazione, chiedendo le dimissioni di Barack Obama per il suo rifiuto di parlare di “Islam radicale”. Ha inoltre dichiarato di voler impedire l’immigrazione da parte dei musulmani, in particolare quelli originari di Paesi

Hillary Clinton, più vicina alle posizioni di Obama, sostiene che uno dei problemi maggiori sia la lobby delle armi, che impedisce, forte dell’appoggio di gran parte della popolazione e di una cultura radicata, l’approvazione di leggi che garantiscano un controllo maggiore sul possesso di armi da fuoco per autodifesa. In altre parole, il tema è quello della facilità con la quale le armi sono messe in circolazione e causano, conseguentemente, stragi su stragi. Tuttavia, Trump risponde a queste posizioni affermando che l’entità dei danni causati da Mateen sarebbe stata limitata se le persone del locale fossero state più armate. Questo è dunque uno dei terreni sul quale i due candidati si danno battaglia. In momenti come questi, dove “l’odio genera odio”, è facile che le posizioni estreme, come quelle di Trump, abbiano un vantaggio in termini elettorali. Contestualmente, come tutte le volte dopo una strage simile, le azioni dei produttori di pistole e fucili crescono: Smith & Wesson +600% e Sturm Ruger +200%. Ciò a dimostrazione che la domanda statunitense reagisce alle paure causate dagli atti terroristici con l’autodifesa. Non stupirebbe che la stessa reazione si riflettesse anche nella cabina elettorale.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole BAHRAIN 13 giugno. Nuovamente arrestato Nabeel Rajab, il presidente del Centro per i diritti umani del Bahrain e attivista, ma le accuse a suo carico non sono chiare. Rajab era già stato detenuto nel 2015 con l’accusa di aver “offeso e insultato le autorità del Paese”, ma in seguito aveva ricevuto la grazia del re. CISGIORDANIA 13 giugno. Per la prima volta il segretario della Lega Araba Nabil al-Arabi si recherà in visita ufficiale in Cisgiordania. Durante la visita è previsto che al-Arabi incontri il presidente palestinese Abu Mazen.

EGITTO 11 giugno. 7 persone sono state condannate a 8 anni di carcere per aver partecipato a proteste “non autorizzate” e aver complottato “un crimine terroristico”. I 7 erano già stati arrestati in seguito alle proteste del 27 aprile contro la decisione del governo egiziano di cedere all’Arabia Saudita due isole nel mar Rosso. IRAQ 10 giugno. Secondo una fonte irachena citata dalla tv locale al Sumaria, Abu Bakr al Baghdadi “è stato ferito in un raid della Coalizione internazionale” a ovest di Mosul. Tuttavia non vi sono conferme ufficiali. 13 giugno. Suhaib al-Rawi, governatore della provincia di Al Anbar, ha fatto sapere che

L’ASSEDIO DI FALLUJAH

I tentativi di ostacolare Daesh, funzionano?

Di Lucky Dalena Fallujah, città irachena a maggioranza sunnita non molto lontana da Baghdad, è uno dei primi bastioni dello Stato Islamico conquistato, insieme a Mossul (la seconda più grande città dell’Iraq) e altre città minori, quali Ramadi e Tikrit, nel 2014. È per questo che i jihadisti la difendono con tutte le loro forze e, dopo tre settimane dall’inizio degli scontri il 23 maggio scorso, la battaglia resta intensa, al prezzo di numerose vite di civili. Ad opporsi nello scontro sono le forze del gruppo Stato Islamico e le forze di polizia e antiterroristiche irachene, che faticano a rispondere alla guerrilla del gruppo (la miglior tecnica data la loro inferiorità numerica) senza causare la morte di numerose persone sulle strade della città. I civili, infatti, sono dei veri e propri obiettivi, considerato che non hanno alcuna via di fuga dalla città. L’esercito ha aperto recentemente dei corridoi umanitari per permettere loro la fuga e per portare aiuti, ma le popolazioni che ne beneficiano sono solo quelle della periferia, dove gli scontri sono minori. 43.000 persone sono state allontanate dall’area, secondo i dati di IOM, ma le persone più vulnerabili si trovano ancora al centro del conflitto. Il problema principale resta la

mancanza di coordinamento nell’esercito iracheno, ma secondo alcune fonti statunitensi le forze governative sarebbero riuscite a costruire un fortino nella parte sud-ovest della città, da cui potrebbe cominciare una vittoria dell’esercito contro il sedicente Stato Islamico. La decisione di prendere la città, sempre secondo alcune fonti americane, è stata difficile, controversa e successiva agli ultimi attacchi suicidi di Baghdad nelle settimane precedenti, che hanno tolto la vita a più di centocinquanta persone. Lo scontro, come la maggior parte dei conflitti in Medio Oriente, è sfociato in questioni idealistiche. Numerosi abusi e violazioni dei diritti umani sono stati registrati nell’area, quasi sempre tra gruppi di diversa confessione religiosa (al solito, musulmani sciiti contro musulmani sunniti). Sohaib al-Rawi, governatore della provincia di Anbar, ha dichiarato che lo scorso weekend 49 sunniti sono stati uccisi brutalmente dalle milizie sciite, e altri 600 sono stati costretti a lasciare la città. Lo scontro sembra ancora lontano dalla risoluzione, ma uno dei problemi principali dell’Iraq come degli altri Paesi della regione, rimane la risoluzione di queste diatribe teologiche, che ricadono quasi solamente sui civili, prima ancora che sulle istituzioni religiose che spesso si fanno portavoce dell’odio.

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MEDIO ORIENTE 49 membri di un clan sunnita sono stati uccisi dalle milizie sciite lealiste che combattono al fianco dell’esercito iracheno per riconquistare Falluja, attualmente in mano al Daesh. La stessa fonte ha aggiunto che 643 persone sarebbero scomparse. YEMEN 15 giugno. Sono almeno 48 i morti in seguito ad alcuni scontri tra i ribelli e le forze governative avvenuti attorno alla città di Taiz, a Shabwa, Jawf e nella provincia di Marib. LIBIA 11 giugno. Le forze libiche hanno annunciato di aver riconquistato il porto di Sirte, mentre la lotta per la liberazione della città continua. 13 giugno. Continuano gli scontri per la liberazione di Sirte. Il bilancio è di almeno 4 morti e 17 feriti. SIRIA 11 giugno. Al Jazeera ha riferito che il Daesh ha rivendicato gli attacchi nel distretto di Seyeda Zeinab, vicino a Damasco, nei pressi di un mausoleo sciita. Nella rivendicazione si parla di 3 esplosioni provocate da 2 kamikaze e un’autobomba. Il bilancio è di 8 morti e 13 feriti. 12 giugno. Si sono registrati 37 morti a seguito di un raid filogovernativo nella regione di Idlib. 13 giugno. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus) ha riferito che l’aviazione filogovernativa è tornata a colpire zone all’infuori del controllo di Assad, in particolare Duma, a nord-est della capitale. Il bilancio è di almeno 2 morti e numerosi feriti. A cura di Martina Scarnato 8 • MSOI the Post

TRUFFA DA 1 MILIARDO DI DOLLARI Goldman Sachs lucra sugli investimenti di Tripoli. CdA libico: “una banca di mafiosi”

Di Samantha Scarpa L’istituto finanziario Goldman Sachs è stato citato in giudizio dalla LIA, la Libyan Investment Authority, per aver causato una perdita di oltre 1,2 miliardi di dollari al fondo libico attraverso nove differenti attività di trading suggerite dal colosso americano nel 2008. La Libyan Investment Authority è il maggiore fondo di investimento libico statale, aperto nel lontano 2006 dal colonnello Gaddafi con l’intento di gestire le entrate derivanti dalla vendita di petrolio e cominciare a competere sui mercati internazionali dopo la revoca di alcune restrizioni economiche.

Yousseff Kabbaj, riuscì a costruire con il fratello del Presidente della LIA, Haitem Zarti. Con l’inserimento nel board libico di Kabbaj venne garantito ad Haitem, ancora inesperto, un tirocinio in Goldman Sachs e soggiorni lussuosi pagati dagli americani. Leggendo alcune conversazioni online, a Kabbaj era stato detto di stare “molto a Tripoli. È importante rimanere vicini ai clienti quotidianamente” E, ancora, altri documenti segnalano la Goldman Sachs definire la LIA scarsamente sofisticata e i suoi amministratori “qualcuno che vive nel mezzo del deserto coi suoi cammelli”.

Secondo Roger Masefield, avvocato per la LIA, la Goldman Sachs avrebbe approfittato dell’inesperienza ed ingenuità dello staff del fondo neo-costituito per influenzare le decisioni del CdA, a quel tempo presieduto da Mustafa Zarti. È stato stimato che, nel primo quadrimestre 2008, la LIA abbia perso tutti i suoi investimenti generati dalle attività consigliate (che coinvolgevano, tra gli alti, EDF France, UniCredit e Allianz), mentre è stato registrato un profitto di $ 200 milioni per la Goldman Sachs.

Dal canto suo, Kabbaj nega un comportamento volutamente ingannevole, sottolineando: “Ho un accordo estremamente confidenziale, ma mi aspetto che GS corregga i fatti e protegga la mia reputazione.” L’istituzione con sede a Manhattan, infatti, respinge ogni accusa, sostenendo che le perdite della LIA “siano dovute ad un’imprevista depressione finanziaria”. Inoltre, il fondo americano dichiara l’assoluta semplicità degli strumenti finanziari venduti ai libici. “Continueremo a difendere vigorosamente la nostra posizione” ha aggiunto GS in una e-mail.

Una delle prove di questa “influenza inappropriata”, come la stessa LIA la descrive, è il legame che un dirigente GS, tale

Il processo davanti alla Corte Suprema londinese è cominciato lunedì 13 giugno e si protrarrà per 7 settimane.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

LUKASHENKO IN VISITA AL VATICANO Tentativi di reintegrazione sulla scena internazionale per la Bielorussia

Di Giulia Andreose

KOSOVO 15 giugno. L’Unione Europea approva i fondi per un anno per l’istituzione della nuova corte per i crimini di guerra, la Specialist Chamber e Specialist Prosecutor’s e Offic in Kosovo. Il budget destinato è di oltre € 29 milioni e il lavoro della corte dovrebbe durare almeno fino a giugno 2017. Prima dell’inizio dei lavori manca solo più l’approvazione del Parlamento dell’Olanda, Paese in cui la corte dovrebbe essere ospitata. MACEDONIA 14 giugno. Il ministro delle finanze Zoran Stavreski ha rassegnato le proprie dimissioni martedì. Le ragioni delle dimissioni sono legate al suo stato di salute di Stavreski, il quale, anche secondo l’opinione dei medici, ha bisogno di lunghi periodi di trattamenti e recupero, che gli impediscono di ricoprire ancora la sua carica. RUSSIA 14 giugno. Dopo la partita del Campionato Europeo che ha visto impegnate sul campo la nazionale russa contro l’Inghilterra, tafferugli fra hooligans russi e tifosi inglesi hanno interessato la città di Marsiglia. La UEFA prenderà in questi giorni provvedimenti, che potrebbero prevedere anche la squalificazione della Russia,

Nella sua recente visita in Italia, il presidente bielorusso Alexander Lukashenko si è incontrato con papa Francesco. Le posizioni politiche assunte dal leader bielorusso negli ultimi vent’anni rischiano di portare il Paese all’isolamento. Da una parte, i rapporti con Mosca sono appesi a un filo, a causa del totale appoggio di Lukashenko al governo ucraino nella guerra in Crimea. Dall’altra parte, la comunità europea ritiene che il Paese non sia ancora pronto per una possibile europeizzazione (a causa dell’elevato numero di violazioni dei diritti umani) e vede il Presidente bielorusso come uno degli ultimi dittatori rimasti per via della mancanza di elezioni libere e democratiche. Il Vaticano, nonostante le problematiche dal punto di vista umanitario, ha accettato di incontrare il Presidente. Questa è stata anche l’occasione per un riavvicinamento con il mondo ortodosso, già avviato con l’incontro tra papa Francesco e il patriarca russo Kiril a Cuba. La Bielorussia ha un certo rilievo agli occhi del Vaticano, poiché, nonostante nel Paese prevalga la Chiesa ortodossa russa, più del 15% della popolazione è cattolico. Per il Papa è fondamentale poter preservare i diritti dei fe-

deli e fare in modo che non siano oggetto di discriminazioni da parte del governo: infatti Lukashenko ha garantito la salvaguardia dei diritti dei cattolici. Si può dire quindi che i rapporti intrattenuti con Minsk da parte del Vaticano siano stati a scopo umanitario. Il presidente Bielorusso, per contro, ha la necessità di migliorare l’immagine del Paese agli occhi degli altri leader europei e, dopo la visita a un’autorità morale come Papa Francesco, Lukashenko si è anche incontrato con il Presidente italiano. Altro motivo della visita è stato l’annullamento delle sanzioni UE contro la Bielorussia, che consentirebbe, per le aziende del Paese, la ripresa delle attività al di fuori dei confini. Il Presidente bielorusso ha urgenza di ripristinare i rapporti a livello internazionale con l’Unione Europea, ma il percorso non sarà né facile né breve, almeno fino a quando la Bielorussia farà ancora parte dell’Unione Economica Eurasiatica (UEE). Quando è stato chiesto dal Ministro degli Esteri bielorusso un dialogo su un possibile accordo economico, l’Unione Europea ha risposto che non è ancora il momento e che i rapporti devono svilupparsi in maniera graduale. Per questo motivo, la visita in Italia e in particolare l’incontro con il Papa potrebbero risultare per il presidente Lukashenko un’utile mossa di public relations, a cui potranno seguire altri incontri con leader europei. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI Paese ospite dei Mondiali 2018, dalla competizione. 17-18 giugno. Il premier italiano Matteo Renzi e il presidente Juncker prendono parte al Business Forum di San Pietroburgo. L’obiettivo è ristabilire relazioni stabili e durature con la Russia di Putin, a condizione del rispetto degli accordi di Minsk. SERBIA 14 giugno. Il primo ministro della Serbia, Aleksandar Vucic, eletto recentemente ed esponente della fazione più filoeuropeista del Paese, ha cancellato il viaggio che aveva programmato a Bruxelles e a Washington. La scelta di annullare gli incontri è avvenuta dopo un incontro a porte chiuse avvenuto lunedì fra il Premier e gli ambasciatori di Stati Uniti e UE. UCRAINA 10 giugno. Nadyia Savchenko, recentemente liberata, si è detta favorevole all’amnistia per i miliziani separatisti del Donbass, già prevista dagli accordi di Minsk. A cura di Elisa Todesco

POROSHENKO E PUTIN PRONTI A COLLABORARE?

Russia e Ucraina approvano una missione di peacekeeping nel Donbass, ma a quali condizioni? Non mancano, per esempio, opinioni diverse sul come la missione debba svolgersi. Per Poroshenko è necessario un esercito con grandi poteri, concentrato soprattutto al confine con la Russia. Mosca, invece, ritiene che si debba parlare di un “ampliamento” dell’attuale missione di monitoraggio già in corso nel Donbass e vorrebbe un esercito con poteri più limitati.

Di Giulia Bazzano Una missione di peacekeeping nel Donbass a cura dell’OSCE (Organization for Security and Co-operation in Europe): è questo l’obiettivo che mette d’accordo due premier agli antipodi, Petro Poroshenko e Vladimir Putin. Un punto di incontro quasi necessario per i due leader, vista la crescente tensione nella regione. Le truppe filogovernative e i separatisti continuano a violare la tregua stabilita, rivolgendosi reciproche accuse. La situazione è ancora più tesa per via dell’opinione diffusa secondo la quale i russi continuerebbero a foraggiare i ribelli. Questa parziale apertura da parte del Cremlino è principalmente dovuta a un passo indietro di Poroshenko, che ha rinunciato all’idea di un intervento dei Caschi Blu e ha ripiegato sull’OSCE, sicuramente in rapporti migliori con Mosca rispetto alle Nazioni Unite. Tuttavia, diversi ostacoli potrebbero minare la riuscita della missione.

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Gli altri ostacoli alla missione sono di carattere prevalentemente tecnico. L’OSCE, pur essendosi dotata nel 1992 degli strumenti necessari per il peacekeeping, negli ultimi 24 anni ha sempre portato avanti un’azione autonoma piuttosto limitata, facendo solo da spalla nelle varie missioni. Entrambi gli Stati vogliono la stabilità della regione, ma a quale scopo? Per molti osservatori, Putin e Poroshenko stanno guardando in due direzioni diverse. Come fine ultimo, il Presidente ucraino starebbe cercando di riportare il Donbass sotto il controllo di Kiev, un punto che non fa certamente parte dell’agenda di Mosca. Inoltre, Poroshenko non ha tenuto conto di un aspetto della missione: molto probabilmente, l’esercito dell’OSCE comprenderà al suo interno dei soldati russi. Le regioni separatiste, infatti, non si fiderebbero delle sole forze occidentali o ucraine per avviare il processo di pace, ma richiederebbero la mediazione di truppe russe. Quest’ultimo potrebbe rivelarsi un ulteriore elemento di instabilità, visto l’evidente orientamento filorusso della regione.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole CAMBOGIA 15 giugno. La corte municipale di Phom Pehn ha condannato 3 attivisti del Cambodia National Rescue Party (CNRP) a 7 anni di prigione per aver partecipato alle proteste, dopo le elezioni due anni fa, contro il Cambodian People’s Party (CPP), che con il proprio leader Hun Sen governa nel Paese da 30 anni. Il governo ha intrapreso un giro di vite contro gli oppositori, ma l’Unione Europea ha minacciato sanzioni e ha esortato a riprendere la strada del dialogo.

CINA 16 giugno. Per la quarta volta dopo la sua elezione, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha ricevuto il Dalai Lama alla Casa Bianca. La Cina ha dunque fatto sapere che questa visita mina la fiducia e il dialogo con Washington. Il portavoce del capo di Stato americano ha chiarito, dopo l’incontro, che “il Tibet è considerato dagli Stati Uniti parte integrante della Repubblica popolare cinese, e gli Stati Uniti non hanno espresso il loro sostegno all’indipendenza tibetana”. COREA DEL NORD 15 giugno. Pyongyang sta inviando i propri soldati a lavorare in cantieri edili del Medio Oriente, per conto delle ditte nordcoreane Namkang e Cholhyon. Il regime conta di poter sfruttare

PROTESTE IN PAPUA NUOVA GUINEA Gli studenti universitari contro il Primo Ministro

Di Alessandro Fornaroli Da circa 5 settimane gli studenti universitari della capitale Port Moresby hanno iniziato una protesta per ottenere una mozione di sfiducia contro il primo ministro O’Neill, sospettato di truffa e corruzione. Il leader avrebbe autorizzato transazioni illegali per diversi milioni di dollari a favore di uno studio legale. La stessa Corte Suprema della Papua Nuova Guinea lo aveva già accusato di malgoverno nel 2011, mettendo, tra l’altro, in discussione la sua nomina, occorsa in seguito all’illegittima sospensione dell’ex capo dello Stato, Michael Somare. Il movimento aveva preso il via dall’UPNG (University of Papua New Guinea) ma la sfida lanciata al governo era poi stata raccolta da altri tre atenei importanti (l’Istituto di Tecnologia di Port Moresby, il campus dell’Università di Mt. Hagen e quello di Lae, sulla costa nord). La marcia pacifica verso il Parlamento, di fronte alle porte della sede politica, si sarebbe trasformata in una vera e propria sommossa. A fomentare lo scontro sarebbe stato l’intervento della polizia che, non avvertita dei fatti, avrebbe aperto il fuoco sulla folla. A dare l’annuncio ufficiale della sparatoria è stata il ministro degli Esteri australiano, Julie Bishop,

avvertita dalla sua ambasciata. La stessa Bishop si sarebbe successivamente confrontata con l’alto commissario australiano per la Papua Nuova Guinea, Bruce Davis. Le fonti sono in forte disaccordo riguardo questi fatti. Il commissario di polizia Gari Baki afferma che non vi sarebbero morti e che i ragazzi in ospedale sarebbero tutti in condizioni stabili. Secondo l’Australian Broadcasting, invece, i morti ammonterebbero a 7 e i feriti sarebbero 4. Le forze dell’ordine, secondo le agenzie di informazione, avrebbero chiesto ai manifestanti di consegnare loro il capo dell’organizzazione studentesca Christopher Kipalan. Gli universitari, oltre a non rispettare l’ordine, avrebbero affermato di essere disposti a rinunciare al loro futuro per testimoniare quello che la popolazione pensa riguardo la gestione dello Stato. Il governatore provinciale Gary Juffa ha raccontato che la polizia era armata con fucili d’assalto e ha dichiarato che la reazione delle forze dell’ordine è stata ingiustificabile, tanto da far pensare a una transizione verso una forma di “Stato di polizia”. Juffa ha inoltre invitato il Primo Ministro a dar conto delle sue azioni e a presentarsi in tribunale per essere giudicato.

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ORIENTE le rimesse in valuta estera inviate dai soldati in madrepatria ed ha scelto personale militare per non dover pagare altri stipendi. Ai militari è stato chiesto di lasciarsi crescere i capelli e di non parlare con nessuno del regime. La Namkang avrebbe inviato 800 lavoratori in Kuwait e 750 in Qatar; su 3.200 nord coreani presenti in Kuwait il 30% sarebbe personale militare. GIAPPONE 16 giugno. Una scossa di terremoto di magnitudo 5.3 è stata registrata nella baia di Uchiura di fronte Hokkaido. Non è stato lanciato l’allarme tssunami. 15 giugno. Molte tra le maggiori aziende giapponesi hanno avvertito la Gran Bretagna che l’eventuale Brexit potrebbe condizionare gli investimenti di queste aziende nel Paese. Lo stesso primo ministro Shinzo Abe a maggio aveva esortato la Gran Bretagna a rimanere in Europa, sottolineando che le aziende giapponesi danno lavoro a circa 140.000 persone. INDIA 15 giugno. La polizia del Jammu e del Kashmir ha imposto il coprifuoco dopo la dissacrazione di un tempio Indù, avvenuta per mano di un musulmano che ha preso a sassate il tempio di Aap Shamboo, nella zona di Roop Nagar. Secondo le autorità, l’uomo, affetto da disabilità mentale, con il suo gesto avrebbe scatenato dei disordini: la comunità avrebbe fronteggiato la polizia per tutta la notte. Vittima anche il sacerdote del tempio, schiaffeggiato da un poliziotto. A cura di Emanuele C. Chieppa

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L’NSG E LA CORSA AGLI ARMAMENTI L’ingresso nell’NSG dell’India e di altri Paesi esterni all’NPT è fortemente dibattuto

Di Giulia Tempo Lo scorso 9 giugno si è tenuto a Vienna un incontro informale tra i membri dell’NSG (Nuclear Suppliers Group) con lo scopo di decidere l’estensione futura dell’organismo e di stilare un rapporto in vista dell’incontro del 24 giugno a Seoul. Uno dei punti chiave discussi a Vienna è la possibile adesione di Paesi non facenti parte dell’NPT (Non-Proliferation Treaty), il trattato internazionale che promuove l’utilizzo pacifico delle tecnologie nucleari. Tra il 1975 e il 1978 una serie di incontri tenutisi a Londra diede vita all’NSG, i cui membri (oggi 48) stabilirono le regole per l’esportazione di equipaggiamenti nucleari. Lo scopo principale ancora oggi è quello di tenere sotto controllo il commercio di strumenti e tecnologie indispensabili per la creazione di armi nucleari. Secondo l’Indian Express, l’India tenta di aderire all’NSG fin dal 2008 e dal 2010 può contare sull’approvazione di Stati Uniti e Francia. Inoltre, in seguito alle visite del primo ministro Narendra Modi, anche Messico e Svizzera hanno votato per l’ingresso dell’India, che resterà tuttavia esclusa finché non si raggiungerà il consenso generale. Gli Stati Uniti mirano a intensificare le relazioni strategiche con l’India fin dal 2005, quindi dall’epoca

della presidenza G. W. Bush. Il tentativo di dare vita a una cooperazione anche sul fronte nucleare, inoltre, risponde alla sentita esigenza di estendere il regime di non-proliferazione, benché nazioni come India, Pakistan e Israele abbiano scelto di non aderire all’NPT. Domenica 12 giugno il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Hong Lei, ha smentito che a Vienna si sia dibattuto sul potenziale ingresso dell’India nell’NSG, affermando che i membri dell’organismo non sono concordi nell’accettare Paesi non aderenti all’NPT. L’India, infatti, pur seguendo già le regole del Gruppo nel commercio con gli Stati Uniti, vede il suo ingresso nell’NSG fortemente osteggiato da Cina e Pakistan. Secondo Pechino, concedere l’adesione indiana in questi termini significherebbe far cadere ogni ostacolo all’ingresso del Pakistan, candidato ancora avversato da molti per i trascorsi traffici di tecnologie nucleari con Iran, Corea del Nord e Libia. Dal canto suo, lo stesso governo di Islamabad osteggia l’ingresso indiano, affermando che esso innescherebbe una corsa agli armamenti nucleari. Anche se l’incontro di Vienna non è stato risolutivo, l’adesione dell’India verrà riproposta a Seoul e, nel frattempo, Nuova Delhi tenterà di superare le riserve cinesi guadagnandosi il supporto di Mosca.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole GAMBIA 14 giugno. L’ispettore generale di polizia ha vietato qualsiasi festività, in particolare danze e musica, proprio nei giorni in cui la comunità musulmana si appresta ad osservare il mese di ramadan. Tale divieto è stato voluto dal Presidente Yahya Jammeh. Jammeh, salito al potere in seguito ad un colpo di Stato nel 1994 e rieletto nel 1996, ha lentamente trasformato il Paese in una nazione islamica. Secondo alcuni analisti tale trasformazione sarebbe un tentativo di ottenere appoggi economici dai Paesi arabi, fondamentali per sopperire alla perdita di aiuti occidentali.

ERITREA 13 giugno. Il fantasma del conflitto tra Eritrea ed Etiopia sembra tornare. L’Eritrea ha accusato l’Etiopia di aver lanciato degli attacchi lungo il suo confine meridionale. Dagli accordi di pace del 2000 i due Paesi vivono in una condizione sospesa tra guerra e pace. In febbraio, l’Etiopia aveva già accusato il governo eritreo di sostenere dei movimenti ribelli contro il presidente Mulatu Teshome. ETIOPIA 16 giugno.

Human

Rights

SUDAFRICA E GERMANIA: ARMI IN ARABIA SAUDITA - parte I

La Germania finanzia tramite una filiale in Sudafrica la costruzione di una fabbrica di armi in Arabia Saudita

Di Sara Corona Riyad, capitale dell’Arabia Saudita, complesso industriale militare Al-Kharj: è la sede della nuova fabbrica di armi e bombe finanziata da Sudafrica e Germania. Costruita all’inizio del 2016, la fabbrica si compone di 9 edifici nuovissimi dedicati ciascuno alla fabbricazione di un diverso prodotto. Gli armamenti fabbricati comprendono, oltre alle bombe da mortaio da 60,81 e 120 millimetri, proiettili d’artiglieria da 105 e 155 mm e bombe d’aereo da 227 a 908 chili. La fabbrica è nata dalla collaborazione tra Arabia Saudita, Sudafrica e Germania, a seguito della visita di Stato del presidente sudafricano Jacob Zuma nella penisola arabica a fine marzo 2015. L’incontro con il viceprincipe ereditario nonché ministro della Difesa saudita Mohammed bin Salman ha sancito l’iniziativa imprenditoriale congiunta. Ciò ha generato forti critiche da parte dell’opinione pubblica sudafricana, in quanto Mohammed è un finanziatore del regime egiziano di al-Sisi e intrattiene importanti accordi

con il presidente turco Erdogan. Secondo la dichiarazione del portavoce presidenziale sudafricano Bongani Majola, l’incontro ha ulteriormente rafforzato i legami economici del Sudafrica con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, in particolare nel settore agricolo e in quello delle infrastrutture. La cooperazione tra Sudafrica e Arabia Saudita finirebbe per caratterizzarsi, però, soprattutto come alleanza militare, manifestata appunto dai finanziamenti alla costruzione della fabbrica. Nel continente africano il Sudafrica è l’unico Paese ad avere un’affermata produzione di armi, che si inseriscono anche in commerci internazionali con l’Europa e gli USA. Altri Paesi, come Kenya, Nigeria, Etiopia, Sudan e Zimbabwe, hanno invece una produzione limitata a piccole industrie militari che producono soprattutto armi leggere e munizioni. Formalmente l’impianto è gestito dalla società saudita Saudi Military Industries Corp. (SAMIC), ma è stato realizzato con l’assistenza del colosso industriale tedesco Rheinmetall AG di Dusseldorf, in base a un contratto da 240 milioni di dollari. La Rheinmetall è la maggiore industria per armamenti tedesca: nata nel 1889 come rifornitrice di munizioni del Reich e poi della Wehrmacht durante il nazismo, ha più di 22.600 dipendenti, un fatturato di oltre 5 miliardi di euro nel 2015 e decine di controllate e sussidiarie nel mondo. MSOI the Post • 13


AFRICA Watch ha confermato che nelle manifestazioni antigovernative di novembre sono state uccise 400 persone. Il rapporto di 61 pagine parla di repressione violenta contro i manifestanti pacifici, cui si aggiungono decine di migliaia di arresti e casi si tortura. Questi dati sono stati contestati dal Governo, secondo cui il numero di morti si attesta a 173. NIGER 12 giugno. Dopo l’attacco di Boko Haram nella città di Bosso, il Niger deve affrontare l’inasprirsi di una grave crisi umanitaria. Migliaia di famiglie hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni nelle zone colpite dagli attentati. Molte di queste hanno trovato ospitalità presso altre famiglie o in ripari di fortuna. Secondo il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite, Fodé Ndiaye, la comunità internazionale deve farsi carico di soddisfare i bisogni primari degli sfollati. Tra questi, l’urgenza assoluta sembra essere l’accesso all’acqua potabile, divenuto ormai oggetto di conflitto tra le comunità locali. UGANDA 10 giugno. Almeno 30 persone, per la maggior parte militari dell’esercito, sono state arrestate con l’accusa di complotto contro il presidente Yoweri Museveni. Museveni è stato rieletto per la quinta volta in febbraio, nonostante le accuse di frodi massicce. Tra i nomi degli arrestati compare anche quello del deputato Michael Kabaziguruka, esponente del partito di opposizione Forum per il cambiamento democratico (FDC). A cura di Jessica Prieto

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L’ARCOBALENO AFRICANO

I diritti della comunità LGBT nel continente

Di Fabio Tumminello Il tema dei diritti degli omosessuali rappresenta ancora un tabù in quasi tutta l’Africa: in molte nazioni, infatti, l’omosessualità è considerata un vero e proprio crimine e le autorità reprimono, spesso duramente, la libertà sessuale degli individui. Nei casi più gravi, l’avere rapporti omosessuali può essere punito con la pena di morte: ciò accade in Stati come la Nigeria, dove sono tuttora molto comuni lapidazioni, frustrate e altre punizioni corporali che possono portare alla morte del condannato. Ma se, come fanno notare molte associazioni LGBT, le condanne a morte sono sempre meno frequenti, vengono invece comunemente applicate altre sanzioni, comunque gravi: ammende e multe, lavori forzati o, più frequentemente, pene detentive di durata variabile (a volte persino l’ergastolo, come in Sierra Leone o Uganda). Vi sono poi casi di legislazioni poco chiare sul tema, come quelle di Niger o Mozambico, in cui molte pene sono state progressivamente disapplicate o non esistono specifiche norme, senza che l’unione omosessuale sia espressamente legittimata o riconosciuta, ma nemmeno vietata o proibita. Unica eccezione è il Sud Africa, che, con una scelta politica in

controtendenza rispetto alla regione, prevede fin dagli anni ‘90 un riconoscimento degli omosessuali e dal 2006 il matrimonio con effetti civili. Ciò che emerge da questo quadro è una realtà frastagliata e disomogenea, in cui ogni Stato ha subito e subisce tuttora influenze diverse. Basti pensare al caso della Somalia: anche se le pene previste dal Codice Penale sarebbero “ridotte” (dai 3 mesi ai 3 anni), in molte zone gli omosessuali vengono ancora puniti con la pena di morte a causa dell’influenza della sharia. Sarebbe però sbagliato collegare la repressione nei confronti degli omosessuali unicamente alla fede islamica o a mere questioni religiose. Infatti, questo atteggiamento apertamente intollerante e ostile è condiviso da larga parte della popolazione, indipendentemente dalla fede religiosa: ciò accade in special modo nelle zone rurali e in quelle dove vige ancora una cultura tribale. L’isolamento sociale spesso rappresenta una condanna “nei fatti”, anche in luoghi in cui l’omosessualità non è espressamente vietata. Le timide reazioni della società civile, grazie anche alla spinta dei social network e alla nascita di nuove associazioni, non sembrano però essere in grado di cambiare alla radice una situazione drammatica.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole ARGENTINA 15 giugno. Secondo il Dipartimento di Statistica e Censimento, il carovita nella capitale Buenos Aires aumenta ogni anno del 44,4%. Il Dipartimento ha spiegato che la disposizione di adottare l’indice dei prezzi di Buenos Aires, considerato esplicativo della situazione nazionale, è dovuta alla riorganizzazione dell’istituto Nazionale di Statistica e Censimenti.

BRASILE 15 giugno. Continuano le tensioni tra gli indigeni Munduruku, affiancati dalla ONG Greenpeace, e il governo brasiliano. La causa del conflitto è un progetto relativo alla costruzione della diga di Sao Luiz do Tapojos che inonderà le terre abitate dagli indigeni e distruggerà una vasta zona della foresta amazzonica. COLOMBIA 15 giugno. Il presidente argentino Macri e il suo omologo colombiano Santos si sono incontrati a Bogotà al fine di trovare una soluzione per la crisi venezuelana. Entrambi i capi di Stato si sono accordati riguardo la necessità di costituire un punto d’incontro con Caracas al fine di indire un referendum revocatorio: verrà chiesto direttamente al popolo se desidera che Maduro resti al governo. Inoltre, Macri e lo stesso Maduro si sono dichiarati d’accordo circa l’obbiettivo di

I PRIMI SEI MESI DI MACRÌ Bilancio tra economia e politica estera

Di Stefano Bozzalla Cassione Durante i primi sei mesi di mandato, il neopresidente dell’Argentina Mauricio Macrì si è impegnato soprattutto a imporre una linea di condotta chiaramente opposta a quella dei suoi predecessori, la famiglia Kirchner, prima con la presidenza di Nestor e successivamente con quella della moglie Cristina. In campo economico il Presidente si è occupato di raggiungere un accordo con gli hedge fund esteri con cui il Paese era indebitato. In base a questo accordo, il governo di Macrì si impegna a ripagare il cospicuo debito: in cambio potrà accedere nuovamente al mercato internazionale e ottenere prestiti in dollari. La seconda manovra del Presidente è stata quella di abolire le tasse sull’esportazione dei principali prodotti locali (carne, grano e mais). Macrì, inoltre, ha ridato la possibilità di scambiare dollari nel Paese, limitando così il forte mercato nero che si era creato negli ultimi anni. Per supportare queste misure è stata eliminata una serie di sussidi erogati dal governo ed è stata avviata una campagna di

licenziamento degli impiegati pubblici. Tutto ciò ha provocato un aumento del costo dei trasporti e della benzina per i consumatori e una forte contestazione da parte dei sindacati nei confronti dell’esecutivo. Sul piano della politica estera si sono stati fatti passi avanti nei rapporti con gli Stati Uniti e i Paesi europei grazie all’accordo raggiunto sul rimborso degli hedge fund. Numerose visite dei presidenti Hollande, Renzi e Obama hanno ravvivato accordi commerciali e investimenti con i Paesi europei e con gli Stati Uniti divenuti complicati durante la presidenza Kirchner. All’interno dei confini del Sud America, Macrì ha per prima cosa preso le distanze dall’alleato storico dei Kirchner: il Venezuela. Ciò ha portato a migliorare i rapporti con il vicino Uruguay. L’ambizioso piano del Presidente prevede anche la “ricostruzione” del Mercosur, affossato da protezionismo e cattive relazioni diplomatiche, andando ad agire proprio su queste relazioni tra i Paesi membri. Per ottenere il suo obiettivo, Macrì si è avvalso anche dell’Alleanza del Pacifico, con l’intento di far avvicinare queste due organizzazioni e sfruttare competenze e rapporti di entrambe.

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SUD AMERICA disporre elezioni anticipate entro la fine dell’anno. PERÙ 7 giugno. Il fondatore e capo del Partito dei peruviani per il cambiamento (PPK) Pedro Pablo Kuezynski è stato eletto Presidente del Perù. Il consiglio elettorale ha proclamato la vittoria di Kuezynski con il 51, 1% dei voti contro il 49,9% conseguito dalla sfidante Keiko Fujimori. La Fujimori, figlia del dittatore Alberto, ha dichiarato la volontà di presentare una serie di ricorsi.

VENEZUELA 14 giugno. Il presidente venezuelano, Nicolas Maduro, si è dichiarato disponibile a ristabilire relazioni diplomatiche con gli USA. Il capo di Stato ha inoltre reso nota la volontà di inviare nuovamente l’ambasciatore venezuelano a Washington. La questione era stata trattata anche durante l’incontro diplomatico tra il ministro degli Esteri venezuelano Delcy Rodriguez e il suo omologo statunitense John Kerry durante un incontro a Santo Domingo. A cura di Sara Ponza

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IL NICARAGUA VERSO LE ELEZIONI NON DEMOCRATICHE

Riconfermato Daniel Ortega come candidato e negata la presenza di osservatori elettorali

Di Daniele Pennavaria Il convegno nazionale del Partito Sandinista di Liberazione Nazionale, tenutosi a Managua, capitale del Nicaragua, all’inizio del mese di giugno ha confermato la candidatura di Daniel Ortega per le presidenziali di novembre. Il leader sandinista, alla guida del governo nella seconda metà degli anni ‘80 e attualmente in carica dal 2007, cerca di garantire l’inizio del suo quarto mandato, anche impedendo l’osservazione nazionale e internazionale alle elezioni. Il Presidente ha infatti accusato le organizzazioni internazionali, in particolare i rappresentanti dell’ONU, dell’Unione Europea e dell’Organizzazione degli Stati Americani, di essere “senza vergogna” e di supportare l’imperialismo statunitense contro il Nicaragua e gli altri governi di sinistra in Centro America. Ortega ha inoltre accusato direttamente l’ambasciata spagnola di voler riunire le forze di destra del Paese contro il governo sandinista. Il quotidiano spagnolo El País definisce il Presidente nicaraguense uno “stalinista tropicale che sogna di instaurare un regime a partito unico”. Anche Somoza Mauricio Díaz, deputato del Nicaragua nel Parlamento Centroamericano, ha denunciato la commistione di interessi

personali con quelli di partito e di governo, paragonando l’esecutivo di Ortega ai regimi fascisti europei del secolo scorso. Contro il blocco delle osservazioni elettorali si sono schierati anche Oscar Arias Sánchez, premio Nobel per la pace ed ex-presidente della Costa Rica, e Laura Dogu, ambasciatrice statunitense in Nicaragua, che ha sottolineato, seppur con toni moderati, l’importanza di “elezioni libere e trasparenti”. La Delegazione dell’Unione Europea a Managua ha invece comunicato che “rispetta la decisione del governo”. Una posizione in parte discordante dalle precedenti dichiarazioni, dal momento che la stessa Commissione Elettorale organizzata dalla Delegazione aveva definito i risultati della tornata elettorale del 2011 “opachi e non verificabili”. L’opposizione, che ha fatto eco alle proteste internazionali rispetto alle osservazioni, ha ricevuto un duro colpo dalla Corte Suprema di Giustizia, che ha annullato la candidatura della socialdemocratica Violeta Granera. Il rischio concreto è che, vedendo chiuse le alternative della scelta democratica, quella che fino alle ultime elezioni è stata la minoranza ritenga le proteste e la rivolta unica alternativa, minacciando la stabilità del Paese.


ECONOMIA WikiNomics

EUROMAIDAN, EURODARKNESS

I dati fotografano il totale fallimento del putsch di Euromaidan

HE’S BACK: SOROS SCOMMETTE CONTRO LA CRESCITA ECONOMICA Cina, Brexit e tassi minimi forieri di crisi: il guru crede nell’oro

Di Edoardo Pignocco Dopo una lunga pausa, il trader-guru George Soros è tornato sulla scena dei mercati finanziari. Si ricordano, nel 1992, le scommesse contro la sterlina inglese e la lira italiana: il loro rispettivo deprezzamento ha fruttato al suo hedge fund ben oltre un miliardo di dollari di plusvalenza. Lo short selling. Speculare al ribasso sull’economia può generare enormi guadagni, ma solo non è “poco etico”, ma anche non privo di conseguenze. Lo short selling sull’Inghilterra e l’Italia, infatti, ha causato l’uscita dei rispettivi Paesi dal Sistema Monetario Europeo, con gravi effetti al loro interno. Niente di illegale, per carità. Sarebbe necessario, però, riflettere se permettere o no, con limitazioni, l’utilizzo della vendita allo scoperto sui mercati finanziari.

Una crisi imminente. Ora, Soros sembra aver individuato diversi punti di rottura nel contesto della crescita economica globale, che suggeriscono

Di Michelangelo Inverso Se qualcuno a Kiev si aspettava di sopravvivere al divorzio da Mosca, si è sbagliato di grosso. A distanza di due anni dalle sollevazioni popolari che fecero cadere il governo Yanukovych, l’Ucraina imbarazza l’UE e per le accuse di torture di massa nel Donbass, per i battaglioni neonazisti fuori dal controllo del Ministero dell’Interno e per la sua disastrata economia. I dati - impietosi - del FMI, attualmente impegnato nel salvataggio dell’Ucraina dal default, registrano che solo nel 2015, rispetto al 2014 (già anno di durissima crisi), il PIL reale è crollato del 6,5%, i consumi privati del 12% e il debito pubblico è aumentato da 70.3 a 90.8 miliardi di dollari. Il tutto accompagnato da un tasso di inflazione della Grivnia oltre il 140%. L’Ucraina è allo sbando. La perdita delle regioni dell’Est e [del]la Crimea, in cui si concentravano le più importanti risorse del Paese, lo stallo politico e militare e le contro-sanzioni russe hanno sconvolto l’economia dello Stato. Occorre precisare anzitutto che, essendo l’Ucraina indipendente solo dal 1991, questa era ed è essenzialmente parte della macchina economica russa. L’artificiosa chiusura dei rapporti con il Cremlino voluta dal go-

verno insediatosi a seguito dei fatti di Euromaidan ha fatto tracollare la base industriale del Paese. Ad esempio, le migliori industrie del Paese (belliche, aeronautiche e aerospaziali) erano tutte integrate ai rispettivi settori della Russia di cui formavano l’indotto. Oggi la leggendaria Antonov, produttrice dei migliori aereo cargo del mondo, è in fase di smantellamento. L’industria aerospaziale, non potendo più vendere alla russa Roscosmos, ha chiuso i battenti. Per quanto riguarda l’industria bellica, essendo stata parte del sistema URSS, riforniva la Russia, ma, data la crisi politica in corso con Mosca, ha perso il suo principale cliente e affronta oggi un pesantissimo ridimensionamento. Tutto questo è stato portato avanti con alacre vigore da Kiev nella prospettiva di acquisire un maggior ruolo nella UE che compensasse il peso russo, prospettiva che sembrava ricambiata da Bruxelles, ma che oggi appare sempre più lontana. E c’è chi inizia a pensare che il sacrificio economico ucraino sia stato il prezzo, imposto dagli USA in cambio del sostegno finanziario del FMI, per colpire l’industria russa. Illazioni, sicuramente, ma come disse un fine politico: “A pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. MSOI the Post • 17


ECONOMIA l’avvento di una nuova crisi. Quale occasione migliore! Il recente Brexit, secondo Soros, potrebbe causare un effetto domino che provocherebbe la perdita della tanto ricercata stabilità in chiave europea. Inoltre, la politica “accomodante” dei bassi tassi d’interesse di Fed e BCE starebbe causando un’imminente bolla, in quanto avrebbe innalzato il valore del mercato azionario. Sulla base di questo ragionamento, Soros ha infatti venduto il 37% delle azioni comprese nel paniere dell’indice Standard&Poor’s 500. La Cina. La Cina sembra aver preso il posto di Inghilterra e Italia per Soros. Non a caso, quest’ultimo ha accusato il governo cinese di aver sfruttato eccessivamente la tecnica dell’indebitamento al fine di sostenere il suo sviluppo economico a livello mondiale. Prove di ciò sarebbero il forte rallentamento a cui si sta ora assistendo e l’esaurimento delle sue riserve monetarie in valuta estera. L’oro. Contrariamente alla sua tradizionale politica ribassista, Soros punta sul rialzo dell’oro. Non solo. Il trader di origine ungherese ha anche investito nella società di produzione aurifera più grande al mondo, la Barrick Gold. Perché nell’oro? Perché il metallo giallo, in periodi di crisi, diventa un bene rifugio e, contestualmente, il suo valore si apprezza. Traendone le conclusioni, Soros è convito che la crisi scoppierà a breve. Di conseguenza, si sta preparando ad un doppio maxiprofitto: scommessa contro la crescita economica e aumento di valore dell’oro, da vendere al momento più opportuno.

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QUANDO GATES APRE IL PORTAFOGLIO SI SENTE Microsoft si fa social acquistando LinkedIn

Di Efrem Moiso Una delle più grandi transazioni nella storia dell’industria informatica e tecnologica ha avuto luogo nel weekend: Microsoft ha acquisito LinkedIn. L’azienda che fa capo nientedimeno che a Bill Gates, uno degli uomini più noti del panorama tecnologico, nonché l’uomo più ricco del mondo, ha messo le mani sul social network per 26.2 miliardi di dollari. Microsoft ha annunciato che la cultura e l’indipendenza dell’azienda del social professionale rimarranno invariati, così come l’attuale AD, Jeff Weiner. L’acquisizione amichevole, infatti, fa parte di un programma strategico orientato a far divenire LinkedIn parte integrante dell’offerta e Offic assieme a Skype, Outlook e a tutti i programmi del pacchetto che vengono utilizzati quotidianamente come Excel e Word, senza cambiamenti sostanziali. LinkedIn, che dall’acquirente è stata valutata quasi 100 volte il suo EBITDA (n.d.r., margine operativo lordo), rappresenta un avvicinamento al business collaborativo con un tocco di relazione affettiva, oltre ad essere un database utile per la conoscenza della propria clientela e potenziale fonte di risorse per una nuova applicazione dell’assistente digitale Cortana di Windows.

Le motivazioni che hanno portato alla scelta di questo investimento da record sono da ricercare nel fatto che Microsoft ha da poco lanciato il nuovo e migliorato sistema operativo Windows 10, molto business-oriented, ma poco social, e che l’azienda di Redmond fosse rimasta in disparte a osservare i colossi californiani Facebook e Google dividersi il mondo virtuale del web, mentre era alle prese con le perdite dovute ai suoi Lumia, i telefoni con Sistema Operativo Windows, mai davvero accettati da utilizzatori di smartphone e sviluppatori di app. Microsoft pianifica di pagare i 196 dollari ad azione - comprensivi di un premio per gli azionisti del 49,5% - “soprattutto con un nuovo indebitamento”, queste le parole del direttore finanziario Amy Hood. Esatto. La società, che detiene circa 100 miliardi tra denaro contante e attività equivalenti, vuole accendere un nuovo prestito. Questo perché quella montagna di denaro è detenuta all’estero, probabilmente in paradisi fiscali, e rimpatriare la cifra necessaria verrebbe a costare parecchio in termini di tassazione. Un prestito su suolo americano significherebbe evitare il dispendioso spostamento bypassando l’Agenzia delle Entrate e, allo stesso tempo, ottenere una detrazione fiscale di quasi 9 miliardi.


Per rimanere aggiornato sulle attività di MSOI Torino, visita il sito internet www.msoitorino.org, la pagina Facebook Msoi Torino o vieni a trovarci nella Main Hall del Campus Luigi Einaudi tutti i mercoledì dalle 12 alle 16.

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