Msoi thePost Numero 30

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino

INTERVISTA a Shady Hamadi

SPECIALE BREXIT


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Giulia Marzinotto, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Silvia Perino Vaiga Amministrazione e Logistica Emanuele Chieppa Redattori Benedetta Albano, Federica Allasia, Erica Ambroggio, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Giusto Amedeo Boccheni, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Stefano Bozzalla, Emiliano Caliendo, Federico Camurati, Matteo Candelari, Emanuele Chieppa, Sara Corona, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Alessandro Fornaroli, Giulia Ficuciello, Lorenzo Gilardetti, Andrea Incao, Gennaro Intocia, Michelangelo Inverso, Simone Massarenti, Andrea Mitti Ruà, Efrem Moiso, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Emanuel Pietrobon, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Simone Potè, Jessica Prieto, Fabrizio Primon, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Carolina Quaranta, Francesco Raimondi, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Fabio Saksida, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Martina Unali, Chiara Zaghi. Editing Lorenzo Aprà Copertine Mirko Banchio Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


SPECIALE: ‘BREXIT’ THEY WANTED THEIR MONEY BACK! Vince la Brexit, Regno Unito fuori dall’Unione Europea

Di Giulia Ficuciello Nel 1973, alla guida del primo ministro Edward Heath, il Regno Unito vi fece il suo ingresso nella Comunità Economica Europea. Il primo ministro Harold Wilson, dopo una fase di rinegoziazione del trattato, nel 1975 indisse il referendum riguardo l’opportunità di restare o meno nella comunità europea. Con il 67% dei voti favorevoli alla permanenza, il Regno Unito entrò definitivamente a far parte della CEE. Dopo un periodo di conflitti tra il Regno Unito, alla guida della conservatrice Margaret Thatcher, ed i vertici della Comunità Europea, si ebbe una fase di distensione ed apertura con l’elezione del primo ministro laburista Tony Blair nel 1997. Il suo appoggio all’attacco statunitense in Iraq nel 2003 però incrinò nuovamente i rapporti con alcuni Paesi dell’ormai Unione Europea.

A partire dal 2010 ha preso avvio un’ulteriore ondata fortemente euroscettica, segnando anche l’ascesa ed il consolidamento dell’UKIP, UK independence party. Infatti, nonostante i notevoli problemi interni tra cui il rischio di una doppia recessione, il basso livello di crescita economica e l’alta disoccupazione britannica, la crisi dell’eurozona e la crisi dei migranti sono stati gli argomenti addotti dai politici britannici in favore di una Brexit. Al suo secondo mandato in qualità di Primo Ministro, il conservatore David Cameron ha deciso di rivolgersi nuovamente alla consultazione popolare per decidere se restare o meno nell’Unione Europea. Il quesito referendario del 23 giugno è stato: il Regno Unito deve restare un membro dell’Unione Europea o lasciare l’Unione Europea?

Sono due gli schieramenti che abbiamo visto contrapporsi in questi mesi: RemaIN vs. Leave, promossi, rispettivamente, da Cameron e dall’ex sindaco di Londra Boris Johnson. Dopo l’accordo raggiunto a febbraio tra Cameron e gli altri leader europei è stato rafforzato lo status MSOI the Post • 3


votato per far uscire il Regno Unito dall’Unione Europea. Farage, leader dell’UKIP, ha immediatamente chiesto le dimissioni di Cameron, il quale aveva in precedenza dichiarato che nella prospettiva di una eventuale Brexit non si sarebbe dimesso. Secondo i pronostici fatti dalla Banca d’Inghilterra aumenteranno l’inflazione e la disoccupazione e ci sarà un ulteriore deprezzamento della sterlina, che il 24 giugno ha raggiunto minimi storici dal 1985. Insomma, vi è il rischio di entrare in una fase di recesso. Accanto alle incertezze economiche vi sono altrettante incertezze socio-politiche: ai cittadini UK servirà un permesso speciale per viaggiare all’interno dell’Unione Europea? Quale sarà la normativa per i lavoratori UE che intendono trasferirsi in Regno Unito?

di “membro speciale” del Regno Unito all’interno dell’UE ed il Primo Ministro ha ufficialmente iniziato a sostenere fortemente la permanenza del Paese in UE. Cameron aveva affermato che una eventuale Brexit avrebbe minato la pace costruita in Europa negli ultimi decenni. In questo dibattito ha assunto grande rilievo anche il nuovo sindaco di Londra Sadiq Khan. Membro del partito laburista e sostenitore della permanenza del Regno Unito in Unione Europea, ha aderito all’alleanza trasversale tra partiti denominata Britain stronger in Europe dando il suo appoggio alla campagna Stay. Sul versante opposto, Johnson ha insistito molto sulla pericolosità dell’area Schengen e sulla conseguente “immigrazione incontrollata”. Ma questo ha anche un altro risvolto: molti migranti sono studenti, giovani in cerca di lavoro, tutti soggetti che dunque partecipano attivamente alla vita sociale ed economica del Paese aiutandone lo sviluppo. L’ex primo cittadino londinese , tra le numerose affermazioni, ha dichiarato al Sunday Telegraph che l’Unione Europea persegua, seppur con mezzi diversi, lo stesso obiettivo di Hitler, ossia unificare l’Europa sotto un’unica “authority”. All’alba del 24 giugno sono arrivati i risultati ufficiali: con il 51,8% dei voti a favore del Leave ed il 48,2% a favore del RemaIN, nella giornata del 23 giugno 2016 il 71% dei cittadini britannici ha 4 • MSOI the Post

A parere di molti ciò che ha penalizzato la campagna del Remain sono stati l’appoggio dell’elite finanziaria britannica e l’endorsement da parte delle stesse istituzioni europee che avrebbe generato un effetto contrario a quello voluto. Gli Stati Uniti hanno dichiarato che si è trattato di una notte drammatica per l’Europa, ma quanto drammatica ancora non lo sappiamo. Ora si rivelano profetiche le parole di Charles de Gaulle quando, opponendosi all’ingresso del Regno Unito nella CEE, disse “sarà il Regno Unito a disgregare la comunità europea”.


L’ALTRO VOLTO DELLA SIRIA INTERVISTA A SHADY HAMADI

Shady Hamadi, classe 1988, è un attivista per i diritti umani. Nato a Milano da madre italiana e padre siriano, dal 2011 si oppone al regime di Bashar Al-Assad e comincia a battersi in Italia ed in Europa per sviluppare una nuova coscienza collettiva verso il dramma siriano. Nel 2013 pubblica “La felicità araba: storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana”, a cui segue nel 2016 “Esilio dalla Siria”. Cominciamo la nostra intervista parlando dell’attivismo in Siria: Perché è un argomento così poco discusso in Occidente? Anzitutto, bisogna capire cosa si intenda per attivismo. Io non li chiamerei prettamente attivisti, ma piuttosto persone impegnate. Qui in Italia, inoltre se si dà a qualcuno dell’attivista¸ gli si toglie valore. Sembra valga di meno, non gli si dà la giusta dignità rispetto al lavoro importante che fa. Ad ogni modo, c’è una differenza profonda tra giornalismo italiano ed anglosassone (o francese) nel metodo di comprensione, analisi e studio del Medio Oriente. Anche solo il fatto che la maggior parte dei giornalisti (italiani) che si occupano di quell’area non sappiano l’arabo è un elemento fondamentale che causa l’incomprensione. La visione di cui sopra di questi attivisti fa sì che persone come Alexander Page (alias Rami Jarrah) siano considerate come persone non attendi-

bili, di parte. A me spesso accusano di essere di parte in quello che racconto, perché in qualche maniera “difendo” qualcuno e non porto la visione del regime. Questo è un argomento che secondo me tradisce una certa ipocrisia. Metteremmo sullo stesso piano le vittime di mafia e i mafiosi nella loro possibilità di parlare? Il problema è che per gli altri usiamo categorie morali che non valgono per le nostre società. In Occidente diciamo a figli siriani di vittime di tortura, ad esempio, che quello che loro dicono non è oggettivo perché hanno avuto un padre torturato. Questo è da smontare! Capitano anche che foto e video che arrivano dalla Siria –e questo è molto grave, in particolar modo in Italia- vengano pubblicati sui giornali, descrivendoli però come non attendibili perché non verificabili. La differenza con i giornali anglosassoni è che si cerca di costruire una partnership tra il giornalista e i giovani citizen journalist, i cittadini-giornalisti che sono sul campo e sopperiscono alla mancanza di inviati stranieri in quanto tu, occidentale in Siria, non puoi entrare se non sei seguito dal governo siriano. D’altra parte, se ci andassi verresti sequestrato in ogni caso. L’attività di questi citizen journalist è rivolta maggiormente verso l’interno del paese o verso una sensibilità internazionale? MSOI the Post • 5


La maggior parte di loro lavora per un’audience araba. I giornali e le radio in lingua araba servono per creare un dibattito all’interno della società.

mondo non arabofono. Rami, ad esempio, vista la sua conoscenza dell’inglese, è molto funzionale a portare le notizie sul campo in un circuito mediatico anglofono.

Per arabo intendi quindi solo la Siria o tutto il bacino Mediorientale? No, tutto il Medio Oriente. È quindi presente un coordinamento internazionale tra questi citizen journalist? No, non ci sono organizzazioni di confronto. Sicuramente ci sono meeting e conferenze interna-

E nonostante tutto riescono a spostarsi e incontrarsi fisicamente? Beh sì, sono solo alcuni che vanno. Stiamo parlando di migliaia di citizen journalist. Solo coloro che magari sono conosciuti a livello internazionale vengono poi invitati a questi meeting organizzati da associazioni come la vostra, MSOI, o per la libertà di giornalismo…

zionali dove i ragazzi si riuniscono per conoscersi e confrontarsi. Magari escono collaborazioni, ma non c’è nulla di coordinato. La situazione è talmente deteriorata, in ogni Paese -Yemen, Siria, Libia, anche in Egitto- che non c’è tempo per creare un progetto comune, perché ognuno deve fare il suo lavoro all’interno dei propri confini. Abbiamo detto che la maggior parte delle radio o dei giornali sono in lingua araba, certo, ma c’è poi una parte di citizen journalist che svolge il ruolo di traghettare queste informazioni al francese, all’inglese, magari anche all’italiano. Alcuni di loro lavorano esclusivamente per il resto del

Quali sono le personalità più importanti che svolgono queste attività? Oltre ad Alexander Page c’è Hadi Abdallah che parla soltanto arabo ed è seguitissimo sia dai siriani che più in generale dagli arabi –ha una pagina FB da 300 mila contatti.- È un attivista che riporta le notizie di ciò che avviene, certo, ma ovviamente devi sapere che segue la sua ideologia, che è un po’ radicale. Nonostante questo, però, lo ascolti, perché vedi dall’interno quello che avviene in questo tipo di brigate, ad esempio. Non puoi escluderlo per la sua ideologia. Poi c’era Rami Al Sayed, morto a Homs nel 2012, insieme a Marie

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Colvin. Anche mentre la città era sotto assedio, ha continuato a filmare ciò che avveniva. Lui è proprio l’esempio di quel paradosso della testimonianza di cui ti parlavo prima. Sappiamo, in parte grazie a lui, quello che avveniva a Homs. Lavorava assieme a tanti altri giornalisti, ma non veniva considerato; quando è morta Marie Colvin abbiamo parlato di lei ma non di Rami al Sayed, perché qui ci sono vittime di serie A e vittime di serie B. Poi c’è Razan Ghazzawi, anche lei ha raccontato la Siria.

All’interno dei confini, queste attività hanno influito sulla guerra civile? Sono riuscite a smuovere qualcosa, anche all’interno della coscienza dei cittadini? Sul secondo punto sì, molto. Questo giornalismo autoprodotto ha fatto tanto: dal 2011 ad oggi, il numero di giornali è passato da 3 testate principali – sotto controllo del regime- a decine di riviste differenti o radio. Due anni fa, c’è stato un momento di apice nell’espansione di trasmissioni radio interne ed esterne al paese che parlavano ad un’audience siriana. Trattavano, ad esempio, anche di programmi storici -per far sapere chi siamo noi- o di dibattito, tra chi la pensa in maniera radicale e chi, invece, in maniera meno radicale. Hanno fatto tanto nel senso di costruire una coscienza civile della società molto siriana. La produzione di libri riguardo alla questione siriana è esplosa anch’essa assieme alla produzione di poesie e di film, soprattutto. I film vengono realizzati in aree non sotto il controllo del governo oppure di nascosto. È un fenomeno in crescita, tant’è che hanno organizzato molti festival del cinema in Siria nei territori dell’opposizione. Penso a Bosra, dove ne hanno organizzato uno ultimamente. Questa è una bella cosa, perché metti a sedere nella stessa platea i combattenti con i civili, ed è un’occasione per guardare a chi siamo e a quello che stiamo vivendo nel paese. Questo ovviamente non viene portato alla luce con immagini. No, infatti. Puoi dirci il nome di qualche regista?

Mohammad Ali Atassi, ad esempio, ha girato Our Terrible Country. È la storia dello scrittore Yassin al-Haj Saled che racconta il suo viaggio da Damasco a Raqqa. Vedi proprio la difficoltà, seguendo questo intellettuale, nelle sfide che si trova davanti; è molto bello e toccante. Poi ne esistono molti altri, ovviamente. C’è la volontà di raccontare la nostra società a noi stessi, ma anche al di fuori. C’è l’impressione che non si conosca la società siriana, soprattutto qua in Italia. Verso dove è indirizzata questa coscienza siriana? Cosa vede di qui a pochi anni? Non c’è una risposta a questa domanda. C’è l’idea di ciò che può vedere da qui ad un mese. Spera, ad Aleppo, di migliorare la sua condizione di vita. Però pronostici non li posso più fare, e nemmeno gli altri hanno la possibilità di farlo. Possiamo sperare che la Siria di domani sia una Siria per tutti quanti i siriani dove nella migliore delle ipotesi avremo un processo di pacificazione. Però questa è solo la migliore delle ipotesi. Si crede in quello che si sta facendo a Ginevra? Personalmente io no, perché non si può fare un dialogo diplomatico e di pace continuando a bombardare le città. Uno dei maggiori sponsor, la Russia, è seriamente impegnato nelle repressioni al fianco del governo siriano ad Aleppo, a Idlib e nelle aree sotto il controllo dell’opposizione autoctono, senza colpire l’ISIS, che è funzionale a tutti i contendenti.

È forse questa sua “funzionalità” il motivo per il quale ci sono così poche testimonianze riguardo a quello che succede nei territori del gruppo Stato Islamico? Non à esattamente. Vi è veramente una difficolt nel portare fuori testimonianze. È molto più facile girare nelle aree dell’opposizione o in qualche maniera anche del governo siriano rispetto a quelle dello Stato Islamico. Questo viene fatto, MSOI the Post • 7


nei territori del califfato, da Raqqa is Being Slaughtering in Silence: è un coordinamento di attivisti a Raqqa e nei territori del califfato in Siria che sta producendo un quantitativo di documenti impressionante, portando notizie sempre fresche. Loro erano attivisti contro il governo siriano che oggi si trovano sia contro il governo che contro il califfato. Più che mai, io dico che il califfato è funzionale –anche a chi lo combatte-: la Russia, ad esempio, ha legittimato il suo intervento in Siria dicendo combattiamo l’ISIS, poi non lo combattono. Gli americani stessa cosa: bombardano allo Stato Islamico per fare “finalmente” qualcosa in Siria e il regime siriano si è riabilitato… l’Unione Europea, che non sapeva che cosa fare, ha avuto la bella idea con i suoi singoli Stati -tra cui la Francia- di bombardare il califfato, dato che non possono colpire Assad, e tutti loro hanno la coscienza apposto. Solo che a Raqqa muoiono anche i civili.

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Obiettivi nel breve tempo, soluzioni “concrete”. Ce ne sono? La cessazione dei bombardamenti. Poi, ovviamente, c’è una vita che continua. Le elezioni di sindacati di alcuni villaggi del nord della Siria sotto il controllo dell’opposizione, prima che arrivino i curdi o l’ISIS a bloccare tutto quanto. L’obiettivo a breve termine che mi sono imposto è quello di provare a continuare a chiedere la cessazione dei bombardamenti aerei sul territorio siriano che può aiutare a migliorare le condizioni di vita della gente. L’ho richiesto a livello europeo, al Parlamento. Devono fare una mozione nel quale si richieda che gli stati europei non partecipino ai bombardamenti in Siria e poi di creare un’azione diplomatica per richiedere alla Russia la cessazione dei bombardamenti aerei sul territorio siriano. Ho già provato, ma c’è poco ascolto. Ho provato tre mesi fa. Adesso, però, torno nuovamente alla carica.


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole FRANCIA 23 giugno. La Prefettura di Parigi non ha autorizzato, in seguito agli incidenti delle precedenti manifestazioni, la prossima protesta contro la riforma del lavoro. In risposta alle proteste dei sindacati il ministro dell’Interno Cazeneuve aveva cercato una soluzione con la polizia parigina per un corteo di dimensioni ridotte. Secondo la prefettura, a Parigi i manifestanti sarebbero poi stati tra i 19.000 e i 20.000. GERMANIA 23 giugno. Un uomo armato (ma secondo alcune fonti l’arma era caricata a salve o ad aria compressa) ha sparato diversi colpi in una delle sale del cinema Kinopolis di Viernheim, nei pressi di Francoforte. Non ci sono stati feriti. L’uomo è stato poi ucciso dalla teste di cuoio. Esclusa la traccia dell’attacco terroristico: il soggetto avrebbe avuto gravi patologie psichiche. ITALIA 20 giugno. Sono terminate le elezioni amministrative che hanno visto più di 1.300 comuni rinnovare le proprie cariche istituzionali. Importante vittoria per il partito euroscettico Movimento 5 stelle che è salito al governo in decine di città e ha conquistato anche due importanti centri di potere come Torino e Roma, mandando così un chiaro segnale al Partito Democratico del primo ministro Renzi. Questi, però, ha ribadito che la vera “partita” si giocherà sul referendum costituzionale di ottobre al quale lui ha legato la sua permanenza al Governo. GRAN BRETAGNA 22 giugno. A Trafalgar Square cerimonia per commemorare la morte della parlamentare laburista Joe Cox. “Da giovedì scorso

BRITAIN FIRST

Jo Cox e le ragioni del no

Di Benedetta Albano Helene Joan Cox, parlamentare laburista di 42 anni, è stata uccisa il 16 giugno 2016 da Tommy Mair, un uomo di 52 anni, al grido “Britain First!”. L’uomo ha ripetuto le stesse parole di fronte ai giudici di Westminster, che il 23 giugno decideranno la sua cauzione e attueranno il procedimento penale a suo carico. Tommy Mair, proveniente dallo stesso collegio elettorale di Jo Cox, nel West Yorkshire (precisamente Batley & Span), apparteneva con molta probabilità a un gruppo di estrema destra, lo Springbok Club, che oltre a essere fortemente antieuropeista professava valori di supremazia bianca e apartheid. A detta del fratello, l’uomo aveva anche subito ricoveri psichiatrici in passato. La Parlamentare, di posizione nettamente europeista (aveva lavorato a Bruxelles ed era attivamente coinvolta nella campagna sul fronte Bremain), era una figura di spicco anche per altre ragioni. Oltre a impegnarsi a fondo per il suo collegio elettorale, aveva lavorato per Oxfam, una delle principali associazioni per la lotta alla povertà in Inghilterra. Era anche la Presidente del Labour Women’s Network; aveva istituito un gruppo parlamentare sulla Siria,

invocando la necessità di una soluzione e soprattutto dell’accoglienza e del trattamento umano dei rifugiati. Al momento della sua morte, aveva pronto un rapporto sui dati dell’islamofobia nel Regno Unito. Il mondo politico inglese è rimasto profondamente scosso dall’accaduto. Entrambi i fronti della campagna hanno sospeso per 24 ore le proprie attività in segno di rispetto e i principali leader inglesi ed europei (Corbyn, Cameron, Juncker) hanno espresso la propria solidarietà e il proprio cordoglio per la vicenda. L’associazione Britain First si è subito dissociata dalla tragedia, ma, nonostante i cittadini britannici abbiano deciso per la Brexit, quello che è accaduto ha avuto certamente un peso sul voto, comportando una profonda riflessione sulle ragioni del no e sulle sue possibili conseguenze, specialmente nel quadro di una visione del mondo estremamente limitata, divisa fra “noi” e “loro”. Non è un caso che Mair abbia parlato di Jo Cox riferendosi a lei come “traditrice”. Jo Cox amava definirsi “uno spirito critico”: l’esatto opposto della violenza cieca e del fanatismo, due cose che purtroppo in Europa sembrano riaffiorare più spesso di quanto vorremmo ammettere.

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EUROPA io e i miei figli abbiamo discusso ogni giorno di quello che ci mancherà, dei ricordi che avremo cari. Cercheremo di non pensare alla crudeltà con cui ci è stata tolta, ma a quanto siamo stati fortunati ad averla con noi nella nostra vita per tanto tempo.” Sono state le parole del marito Brendan Cox. 23-24 giugno. La Gran Bretagna chiamata alle urne ha deciso l’uscita dall’Unione Europea, con una maggioranza del 52% che ha votato per la Brexit. Con un’affluenza del 71,8% (BBC), la più alta dal 1992, 30 milioni di cittadini hanno scelto per il futuro del loro Paese e dell’intera Europa. La sterlina ha raggiunto il minimo storico dal 1985. Le previsioni di voto erano rimaste incerte sino all’ultimo, anche se in seguito all’omicidio della parlamentare gli ultimi sondaggi indicavano il fronte del Remain in leggero vantaggio. Il presidente della Commissione Europea Juncker aveva avvertito: “Chi è fuori, è fuori. Nessun’altro compromesso è possibile”. SPAGNA 23 giugno. Si surriscalda il clima politico in Spagna a pochi giorni dalle elezioni; sono infatti state rese pubbliche delle intercettazioni telefoniche di 2 anni fa in cui l’attuale ministro dell’Interno spagnolo Jorge Fernandez Diaz conversava con il capo dell’Autorità anti frode per la Catalogna sui metodi per screditare i partiti a favore dell’indipendenza. Centinaia di manifestanti hanno sfilato in piazza a Barcellona chiedendo le dimissioni del Ministro il quale però si è difeso dicendo che “affermare che un Ministro dell’Interno cospiri contro membri del Governo catalano è assolutamente irrealistico”. A cura di Andrea Mitti Ruà 10 • MSOI the Post

PACTA SUNT SERVANDA. SÌ, MA DA TUTTI La fine della guerra fredda del terzo millennio

Di Fabio Saksida Il Consiglio Europeo ha deciso di prorogare le misure restrittive economiche nei confronti della Federazione Russa, comminate a seguito dell’annessione illegale della Crimea e di Sebastopoli. La decisione avrà effetto con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE, prevista per mercoledì 22 giugno. Il provvedimento era stato adottato contro Mosca, per il suo ruolo nel conflitto ucraino, il 31 luglio 2014, inizialmente per un anno, poi è stato confermato per 6 mesi lo scorso 22 giugno. Bruxelles chiede alla Russia maggiori sforzi per implementare gli impegni presi nell’ambito degli accordi di Minsk. Questo ulteriore rinnovo, che colpirà maggiormente i settori finanziari e petroliferi, durerà 6 mesi, fino a gennaio 2017. Il provvedimento viene definito“illogico” da Dmitry Peskov, portavoce del presidente Putin, che ritiene spetti all’Ucraina la responsabilità della sua attuazione: “Purtroppo né la Francia, né la Germania, né la Russia possono eseguire un solo punto degli accordi di Minsk. Può essere fatto solo da Kiev. Pertanto, riteniamo che le frasi sul legame tra le sanzioni e l’attuazione di Mosca degli accordi Minsk siano assolutamente illogiche”. “Le sanzioni sono l’ultimo strumento rimasto. Non esiste alternativa a questo” ribadisce invece il presidente ucraino Petro Poroshenko.

Ma anche fra i 28 le opinioni non sono unanimi. “La posizione italiana è molto semplice: le sanzioni non si rinnovano in maniera automatica, ma o c›è un giudizio su quello che sta accadendo, o diventano ordinaria amministrazione”. Così si è espresso il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che negli ultimi giorni ha partecipato a un importante incontro tenutosi a San Pietroburgo con il presidente Putin per rinnovare la collaborazione italo–russa e creare nuove opportunità d’investimento. Durante la tavola rotonda si è inoltre evidenziata la necessità di uno sforzo comune per il superamento della crisi ucraina e quindi di un riavvicinamento fra Russia e Unione europea. Riavvicinamento in cui l’Italia si propone come mediatore, avendo intenzione di chiedere all’UE una rinegoziazione delle sanzioni, che inoltre, fa notare il premier, sono reciproche: sebbene sia l’economia russa ad aver subito i danni maggiori, le perdite si sono verificate in numerosi Paesi europei, non da ultima l’Italia, che ha visto un calo di circa 3.6 miliardi nelle sue esportazioni. “Siamo pronti a recuperare i rapporti con l’UE, ma questa non può essere una strada a senso unico”. Così si è espresso il presidente Putin, insistendo sull’importanza di collaborare per riconquistare la fiducia reciproca, perché, aggiunge, “i goal non si tirano in una sola porta.”


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 20 giugno. Il presidente Barack Obama, in un discorso di commemorazione per la Giornata Mondiale del Rifugiato, ha esortato i leader del mondo ad una maggiore consapevolezza del problema e delle sofferenze ad esso legate. Il Presidente ha, inoltre, invitato gli altri Governi, ad un maggior sostegno economico delle attività umanitarie, annunciando la convocazione di un summit sull’argomento, in occasione dell’Assemblea Generale ONU di settembre. 20 giugno. La lobby delle armi sopravvive alla strage di Orlando. Il Senato americano ha respinto le proposte di legge, presentate da repubblicani e democratici, finalizzate ad intensificare la stretta sulla vendita e la detenzione delle armi. Immediata la polemica. “Si tratta di un vergognoso atto di vigliaccheria”, ha commentato Josh Earnest, il portavoce della Casa Bianca. 21 giugno. Arrestato il 20enne Michael Steven Sandford durante il comizio tenuto a Las Vegas dal candidato Donald Trump. L’uomo, di nazionalità britannica, ha tentato di sfilare la pistola di un poliziotto presente al comizio per poi puntare al miliardario sul palco. “Pianificavo l’uccisione di Donald Trump da più di un anno”, ha dichiarato Sandford. 22 giugno. Marco Rubio cambia rotta. Dopo aver manifestato pubblicamene la volontà di allontanarsi dalla politica al termine della corsa per la Casa Bianca, il candidato sconfitto ha annunciato

LA BREXIT E GLI USA

Quale futuro per la “special partnership”?

Di Alessandro Dalpas All’alba del voto del 23 giugno, che ha deciso per la Brexit, l’uscita del Regno Unito nell’Unione Europea. Donald Trump si era recato in Scozia. Il motivo della visita, ufficialmente, è stato supervisionare alcuni campi da golf di cui è proprietario, ma, sollecitato dai giornalisti, il magnate non ha fatto mistero di quello che, potendo, avrebbe votato il giorno successivo. Trump aveva infatti dichiarato al Sunday Times che sarebbe stato “più incline a lasciare [l’UE], fra gli altri motiv,i per essere meno soffocato dalla sua burocrazia”. Non c’è dubbio che qualche effetto, seppur marginale, queste dichiarazioni lo abbiano avuto. Ma quale sarà ora il rapporto tra gli Stati Uniti e il suo principale alleato sul Vecchio Continente? Cosa cambierà invece in seguito ai rischi che quest’uscita porterà in seno? Il pericolo più grande per Washington è l’effetto destabilizzatore che l’uscita potrà avere nei prossimi mesi. Se altri Stati decidessero di seguire l’esempio, l’Unione rischierebbe di collassare e conseguentemente perderebbe tutta la sua importanza economica a favore della Russia. Ciò danneggerebbe, oltre ai singoli Stati membri, gli USA, che a quel punto potrebbero essere costretti ad assistere impotenti anche a un indebolimento della NATO. In particolare, l’alle-

anza costruita con la monarchia britannica sulle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, dopo il 23 giugno, potrebbe vedere venir meno le sue basi. Le preoccupazioni più contingenti vertono invece sul piano economico e il minimo storico dal 1985 che la sterlina ha registrato il 23 giugno ne dà una buona misura. Mercoledì 22 è stata infatti convocata in via eccezionale una riunione del Financial Stability Oversight Council a cui ha partecipato anche il segretario del Tesoro Jacob Lew. Ora che i timori della Brexit si sono avverati bisogna vedere come reagiranno i mercati nel breve-medio periodo. A tal proposito, nel corso della riunione, si era deciso di studiare ogni possibile contromossa per situazioni di crisi improvvisa ed estrema (sul modello delle misure che avrebbero dovute essere prese a seguito della crisi immobiliare del 2007-2009). Vedremo in che cosa consisteranno questi provvedimenti, ma non c’è dubbio che, come sul piano politico, le relazioni commerciali subiranno un duro contraccolpo. Giganti del calibro di Ford e Goldman Sachs hanno infatti già fatto sapere che, a causa dell’abbandono del più grande mercato unico, sarebbero intenzionati a spostare quartier generale e sedi fiscali oltremanica. MSOI the Post • 11


NORD AMERICA la sua ricandidatura al Senato. “Necessaria un’azione di controllo sull’attività del prossimo Presidente”. CANADA 17 giugno. Il Canada approva la legge C-14 relativa al suicidio medicalmente assistito. La disciplina normativa sarà applicabile a tutti gli adulti la cui morte sarà “ragionevolmente prevedibile”. La ratio, ha precisato il ministro della Giustizia Jody Wilson-Raybould, “risiede nell’equilibrio tra autonomia personale e protezione dei più vulnerabili”. 20 giugno. Avvio al Canada Ukraine Business Forum di Toronto. Il primo ministro Justin Trudeau ha dichiarato di voler rafforzare le relazioni economiche con l’Ucraina, continuando a sostenerla nel conflitto che la vede contrapporsi alla potenza russa. Al termine dell’incontro, Trudeau, ha annunciato la firma di un memorandum tra i due Stati relativo al sostegno canadese nei confronti degli investimenti e delle attività di export ucraine.

21 giugno. Justin Trudeau ha confermato la sua presenza al prossimo vertice NATO l’8 e 9 luglio. Il leader canadese si recherà per l’occasione nella città di Varsavia, Polonia. Al termine del summit, Trudeau, effettuerà un’ulteriore tappa in Ucraina, l’11 ed il 12 luglio, la cui principale finalità sarà la sigla di un accordo di libero scambio commerciale tra Canada ed autorità ucraine. A cura di Erica Ambroggio 12 • MSOI the Post

ARMI O NON ARMI

La strage di Orlando riapre il dibattito al Congresso

Di Sofia Ercolessi, Sezione MSOI Gorizia Il 12 giugno Omar Mateen, una guardia giurata newyorkese di origini afgane, ha ucciso 49 persone in un locale gay di Orlando, in Florida. Mentre la prima umana reazione è di dolore e sconcerto per le vittime, la seconda dovrebbe essere tentare di capire come ciò sia potuto accadere, per evitare che simili gesti si ripetano in futuro. E questo è, oltre che umano, urgente. Negli Stati Uniti, infatti, le stragi con armi da fuoco sono aumentate negli ultimi anni: se si escludono le lotte tra gang e la violenza domestica, dal 2012 la media è una ogni due mesi. Molti degli autori, come Mateen, non hanno avuto difficoltà a procurarsi legalmente un’arma. In generale, la percentuale di morti per armi da fuoco negli USA è vistosamente sproporzionata rispetto a tutti gli altri Paesi sviluppati. Come rivelato da un sondaggio del 2007, più del 75 % dei cittadini possiede un’arma. È difficile pensare che un dato del genere non sia correlato con questi numeri. Come già accaduto in passato dopo avvenimenti simili, il dibattito si è riacceso al Congresso. Il senatore del Connecticut Chris Murphy ha tenuto la parola per ben 15 ore la settimana

scorsa, in una riuscita azione di ostruzionismo volta a portare al voto nuove misure restrittive per la compravendita di armi. Insieme ad altri senatori democratici, Murphy ha chiesto che vengano controllati identità e precedenti anche di chi compra armi da privati (ormai il 40 % dei clienti) e che venga del tutto bandito dal mercato chi si trova sull’elenco dei sospettati di terrorismo o sulla no-fly list. I repubblicani, però, ricordando il carattere inviolabile del diritto di possedere armi sancito dalla Costituzione americana, sostengono che non si possa escludere a priori nessuno. Le loro proposte puntano piuttosto a migliorare la qualità dei controlli, grazie alla collaborazione fra poteri statali e all’introduzione di tre giorni per indagare sui potenziali acquirenti, se si trovano sulla watch list dei terroristi. Proprio la divisione lungo la linea di partito dei due schieramenti ha portato, al voto di lunedì 20 giugno, al fallimento di tutte le proposte, sia dem sia rep. Un copione che si ripete ormai da tempo, subito dopo ogni grande strage. In questo quadro non si può non considerare che molti senatori hanno ricevuto o ricevono fondi da comitati di azione politica che promuovono il diritto di tenere armi: anche le lobby, in queste delicate decisioni, pare abbiano una loro parte.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole EGITTO 18 giugno. Condannati a morte in contumacia 2 giornalisti di al Jazeera nel processo per spionaggio a favore del Qatar.

I MURI INVALICABILI DI ANKARA

Uccisi mentre cercavano di valicare il confine con la Turchia: 8 morti

21 giugno. Invalidato l’accordo di delimitazione delle frontiere tra Egitto e Arabia Saudita, che prevedeva la cessione delle isole di Tiran e Sanafir a Riad. La ratifica dell’accordo aveva generato proteste in tutto il Paese. GIORDANIA 21 giugno. Esplosa autobomba al confine nord-orientale con la Siria, nei pressi del campo profughi di Rukban. Morti 5 militari. L’attentato è stato definito dalle autorità “un attacco vile”. In seguito all’accaduto, la Giordania ha chiuso i confini con Siria e Iraq, dichiarando di non voler creare nuovi campi profughi e di non voler ampliare quelli esistenti. IRAN 20 giugno. Sventato attentato contro il Paese. Gli attentatori sarebbero stati fermati dall’intelligence prima di dare il via a una serie di attacchi in tutto l’Iran. Gli attentatori sono stati definiti takfiri-wahabiti: il termine fa riferimento a terroristi sunniti, implicando la connivenza del governo saudita. IRAQ. 20 giugno. Forze lealiste irachene liberano a Falluja 354 donne yazide rapide dal gruppo IS. 22 giugno. Raid aerei su Raqqa, morti 25 civili. Nei giorni scorsi, Daesh aveva costretto le truppe governative al ritiro. ISRAELE 19 giugno. Stanziati 11 milioni di shekel (€ 16 milioni) a soste-

Di Maria Francesca Bottura Per mare dal 2004 ad oggi si è stimato abbiano perso la vita circa 10.000 migranti; uomini, donne e bambini in fuga, alla ricerca di un Paese sicuro: una questione che si fa ogni anno più seria, ma non solo sulle acque. È accaduto tutto sabato notte: erano siriani i profughi che hanno trovato la morte nei pressi della città di Jisr al-Shugour (Siria), controllata da gruppi jihadisti. L’esercito turco, al confine tra Kherbet al-Jouz (nord-est della Siria) e la provincia turca di Hatay, ha infatti aperto il fuoco contro il gruppo di profughi, uccidendone 8 membri, tra cui 4 bambini, e ferendone altrettanti. Le autorità turche hanno fatto sapere di aver avviato un’indagine, al fine di verificare le informazioni sugli spari. Da Ankara è arrivato l’ordine di rafforzare i confini del Paese,

così da fermare l’ondata di profughi in fuga. Si stimano siano 2,7 milioni i profughi che a causa della guerra in Siria sono fuggiti in Turchia. Nonostante Erdogan assicuri di rispettare la politica della “porta aperta” e di fornire a tutti i rifugiati assistenza umanitaria, si contano già 60 civili siriani uccisi sul confine. E questo solo da gennaio. Dalla capitale il portavoce del ministro degli Esteri, Tanju Bilgic, riferisce che le “norme sono state rispettate”, in quanto “le forze di sicurezza turche proteggono il confine in mezzo ai rischi posti dal conflitto in Siria, dai gruppi terroristici nella regione e dai i trafficanti di esseri uman ”. Quando il flusso era iniziato, nel 2011, c’era stata maggiore accoglienza verso i rifugiati siriani, probabilmente nella convinzione, da parte delle autorità turche, che il regime di Bashar al-Assad sarebbe presto terminato.

MSOI the Post • 13


MEDIO ORIENTE gno dei coloni in Cisgiordania. 20 giugno. In forse la messa al bando degli esperimenti nucleari. Il premier Netanyahu ha dichiarato che la ratifica del trattato dipende dagli sviluppi regionali e avverrà solo al momento opportuno.

EGITTO: LA CONDANNA ALL’EX PRESIDENTE MORSI Il ruolo della magistratura nell’Egitto post-rivoluzione

Di Arianna Pappalardo

LIBANO 19-21 giugno. La presidente della Camera, Laura Boldrini, in Libano: in programma visite al campo siriano nella valle di Bekaa e a Shemaa, sede del contingente italiano di UNIFIL, la forza ONU che presidia il confine con Israele. LIBIA 20 giugno. Esteso per un anno il mandato dell’Operazione Sophia, la missione navale lanciata lo scorso anno per combattere il traffico di esseri uman i nel Mediterraneo. Aggiunto al mandato anche l’addestramento della guardia costiera e della marina libiche. SIRIA. 22 giugno. Il presidente Assad nomina un nuovo Primo Ministro. Intanto, nelle province sotto il controllo governativo, si sono tenute le elezioni parlamentari, ritenute da opposizione e osservatori internazionali prive di valore. TURCHIA. 19 giugno. Guardie turche sparano su un gruppo di profughi siriani che cercavano di attraversare il confine tra Kherbet alJouz e la provincia turca di Hatay. Uccisi anche 4 bambini. A cura di Martina Terraglia 14 • MSOI the Post

Lo scorso 18 giugno, l’ex presidente egiziano e leader dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsi, deposto da un golpe nel 2013, è stato condannato all’ergastolo, (che in Egitto equivale a 25 anni di carcere) per spionaggio a favore del Qatar, nonché a morte, per il suo ruolo nell’evasione di massa dal carcere di Wadi el Natroun nel 2011. La Corte d’Assise del Cairo ha confermato la decisione del Gran Muftì condannando a morte anche altre 6 persone, tra cui un giornalista e l’ex direttore di al Jazeera. Le sentenze sono tuttavia appellabili alla Corte di Cassazione. Dall’inizio del regime del generale Abdel Fattah al Sisi nel giugno 2014, in Egitto vi è stato un drastico aumento della repressione dell’opposizione e della libertà della parola. L’esecutivo è ricorso a pratiche autoritarie – arresti arbitrari, torture, esecuzioni e militarizzazione del territorio – che, secondo i dati di Human rights watch, sono da definirsi senza precedenti. Il ricorso costante alla repressione degli oppositori politici legati all’organizzazione politico-religiosa dei Fratelli Musulmani, unito l’implementazione di leggi volte a limitare la partecipazione politica, hanno infranto qualsiasi speranza di quel cambiamento auspicato dalle prime elezioni

democratiche in Egitto, vinte da Mohammed Morsi, dopo la caduta di Mubarak in seguito alle rivolte del 2011. I colpi di scena della magistratura egiziana, susseguitisi durante il periodo di transizione, hanno ampiamente dimostrato come questa istituzione stia diventando sempre più politically oriented, violando esplicitamente il suo mandato. Come per le altre istituzioni dello Stato, anche il sistema giudiziario non ha subito dopo la caduta di Mubarak nessuna riforma significativa e sia i metodi con cui opera sia il suo personale sono stati plasmati da decenni di autoritarismo. Sulla base della retorica “o con noi o contro di noi”, la magistratura viene da più parti accusata di essere la longa manus del regime. La “non-indipendenza” del sistema giudiziario è riconducibile sia ad alcune caratteristiche endemiche del sistema giudiziario egiziano sia alla legislazione sulle nomine dei giudici, che permettono all’esecutivo di interferire nell’operato del potere giudiziario. Le sentenze che condannano a morte l’ex presidente Morsi e altre 6 persone sono state giudicate farsesche dalla comunità internazionale e hanno indotto un’importante riflessione sull’uso massiccio della pena di morte in Egitto.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole CROAZIA 16 giugno. Il Parlamento croato ha negato la fiducia al primo ministro Oreskovic a seguito di una spaccatura della sua coalizione. In Croazia un governo non era mai durato così poco: soli 5 mesi. In questi giorni si tenta di trovare una nuova maggioranza per la prosecuzione dell’attuale governo, ma l’ipotesi più probabile è il voto anticipato in autunno.

LA VIOLENZA DIETRO A UN PALLONE Gli scontri che hanno inaugurato Euro 2016 rientrerebbero nella “guerra ibrida” di Mosca

Di Daniele Baldo

RUSSIA 17 giugno. Putin si è espresso a favore di una missione armata dell’OSCE nel Donbass. Nel corso del Forum Economico Internazionale svoltosi a San Pietroburgo, il Presidente russo ha ribadito che l’Ucraina deve rispettare gli accordi di Minsk, concedendo inoltre una maggiore autonomia alla regione del Donbass e favorendo anche delle elezioni locali. 17 giugno. A margine del forum di San Pietroburgo, i presidenti Renzi e Putin si sono incontrati per affrontare il delicato tema delle sanzioni a Mosca. All’indomani della proroga delle misure restrittive alla Russia da parte dell’UE, il premier Renzi ha dichiarato che l’Italia chiederà a Bruxelles di non procedere ad un rinnovo automatico delle sanzioni più stringenti dal punto di vista economico. Soddisfatto l’inquilino del Cremlino: l’incontro sarebbe stato “dinamico e ricco di contenuti” chiave

Le autorità inglesi temono che dietro ai recenti scontri avvenuti in Francia tra gli hooligans russi e inglesi durante la competizione di calcio continentale Euro 2016 ci sia la mano del Cremlino. Numerosi tifosi russi, colpevoli di aver attaccato altri tifosi e di aver devastato le strade, a Marsiglia come a Lille, sono stati identificati come appartenenti ai servizi russi. Pare sempre più fondata la teoria che vede le sanzioni da parte di Putin verso la tifoseria più violenta come un elemento della cosiddetta “guerra ibrida” di Mosca, che consisterebbe nel dimostrare la forza della Russia, costruendo al contempo una narrativa nel Paese tale da far pensare a una pressione in atto dal resto del mondo. In seguito alle violenze a Marsiglia, alcuni account Twitter falsi hanno messo in piedi una versione dei fatti che presupponeva che i tifosi russi fossero stati provocati. Gli hooligans russi dietro agli attacchi di Marsiglia erano addestrati a combattere: a provarlo ci sono numerose testimonianze di poliziotti e autorità esperte di violenza nel tifo calcistico.

Un noto leader dei supporter russi, Alexander Shprygin, è stato espulso dalla Francia dopo essere stato fermato su un autobus che viaggiava verso Lille successivamente alle agitazioni di Marsiglia. Shprygin era tra i 43 tifosi arrestati che accompagnavano la delegazione russa ufficiale. Nel 2010 venne ritratto in una fotografia al fianco di Putin durante il funerale di un tifoso. Mosca ha denunciato l’arresto dei tifosi russi, accusando le autorità francesi di alimentare ulteriori sentimenti anti-Russia. Venerdì scorso Putin ha commentato le violenze durante Euro 2016 affermando: “Non so come 200 tifosi possano aver ferito alcune migliaia di tifosi inglesi”. Il premier russo sostiene di essere pronto a riparare le relazioni con l’Europa dopo i tumulti che hanno seguito la crisi ucraina. Intanto, la UEFA ha multato la Federazione calcistica russa e i tifosi di Mosca si sono guadagnati un biglietto da visita non molto invidiabile per quando, il prossimo anno, la Russia ospiterà le partite della Confederations Cup, prima di dare il via al Mondiali del 2018. MSOI the Post • 15


RUSSIA E BALCANI per la cooperazione bilaterale. 21 giugno. Gli ambasciatori dei 28 Paesi dell’UE approvano il prolungamento di 6 mesi delle sanzioni economiche contro la Russia. A seguito di tale “decisione tecnica”, la scelta formale spetterà ai Ministri e ai capi di Stato e di governo. Alla base della decisione sta il principio per il quale l’embargo finirà solo laddove l’accordo di Minsk verrà rispettato nella sua interezza. SERBIA 20 giugno. Incontro tra il primo ministro della Serbia Vucic e la presidente croata Kitarovic nella località di Subotica per firmare una dichiarazione in 6 punti sul miglioramento dei rapporti e la risoluzione delle questioni aperte tra i due Paesi. Tra i punti del documento anche la cooperazione per definire i confini e l’impegno reciproco nella ricerca dei desaparecidos.

LIBERALIZZAZIONE DEI VISTI

Ancora rinviate le decisioni su Georgia, Kosovo e Ucraina

Di Leonardo Scanavino Il cammino è lungo e pieno di ostacoli, i requisiti a volte sono rispettati solo in parte, i dubbi in Europa sono tanti: dopo il via libera della Commissione, il cammino sembra interrompersi un’altra volta. La liberalizzazione dei visti consente ai cittadini di molti Paesi esterni di accedere liberamente all’area Schengen per un numero massimo di 90 giorni in un periodo di 180. Unici requisiti: il possesso di un passaporto biometrico e la dimostrazione del possesso di mezzi di sussistenza sufficienti. Le decisioni sui tre Paesi sembrano procedere su binari paralleli quando si tratta di negoziare i requisiti per l’ottenimento della liberalizzazione, mentre i rallentamenti e le indecisioni arrivano sempre e inesorabilmente nello stesso momento. Vediamo dunque le singole situazioni.

UCRAINA 21 giugno. Il presidente ucraino Poroshenko, nel corso di un’intervista, parla dell’estensioni delle sanzioni alla Russia come l’unica via percorribile per obbligarla a rispettare gli accordi di Minsk: “dato che non è possibile ricorrere alla forza”, solo l’embargo economico può persuadere la Russia a ritirare le truppe. A cura di Ilaria Di Donato 16 • MSOI the Post

L’Ucraina ha presentato la propria domanda nel lontano ottobre 2008. Dopo un lungo cammino, è stato pubblicato un report che dava parere positivo per l’ottenimento del regime visa free per i cittadini ucraini. Il percorso è stato difficile e si è dovuto districare tra le lentezze del governo ucraino e il rigore della Commissione. La decisione finale è sembrata un atto dovuto dopo l’escalation del 2014 e le richieste all’Europa da parte dei manifestanti di Euromaidan.

Il Kosovo ha iniziato il percorso nel gennaio 2012 e, pur presentando le maggiori difficoltà iniziali, ha ottenuto il via libera dalla Commissione il 4 maggio scorso. Il caso di Pristina è il più controverso, in quanto l’indipendenza kosovara non è riconosciuta da 5 Paesi membri: Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna, la quale non riconosce nemmeno la validità dei documenti rilasciati dal Kosovo. La Georgia è il Paese che ha dato i migliori riscontri, seguendo al meglio le indicazioni di Bruxelles. Il suo percorso è iniziato nel giugno 2012 e il via libera della Commissione è arrivato lo scorso 9 marzo. I dubbi sollevati da Berlino, in questo caso, hanno rallentato il processo: in Germania provocherebbero timori le bande criminali georgiane e la possibilità che esse possano entrare liberamente nel territorio tedesco, fornendo ulteriore appoggio a quelle già presenti. Dopo il parere positivo della Commissione, la questione ora passa al Consiglio Europeo: in quella sede saranno i singoli governi a confrontarsi sui singoli casi. Inoltre Germania, Francia e Italia hanno chiesto la possibilità di interventi correttivi per la sospensione del regime privilegiato in caso di ondate migratorie impreviste, senza mettere in dubbio la concessione della liberalizzazione.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

QUALI BENEFICI DALLA COMPREHENSIVE STRATEGIC PARTNERSHIP? L’intesa strategica fra l’Australia e Singapore non è priva di rischi per Canberra

Di Gennaro Intoccia

COREA DEL NORD 22 giugno. Una fonte militare vicina a Stati Uniti e Corea del Sud ha rilevato nuove attività missilistiche nella parte nord della penisola coreana: eseguiti due lanci di missili Musudan, razzo a medio raggio sviluppato in Nord Corea. Il primo lancio, fallito, è avvenuto alle 6 del mattino, mentre un secondo tentativo, a circa due ore di distanza, sarebbe andato a buon fine: il missile ha raggiunto un’altezza di circa 1000 metri, per infrangersi poi nel mare del Giappone. L’altezza raggiunta dal missile indica un progresso rispetto agli ultimi tentativi effettuati; secondo i portavoce di Stati Uniti e Giappone, si tratterebbe soltanto di una provocazione. GIAPPONE 23 giugno. Come conseguenza del lancio di missili effettuato dalla Corea del Nord, il Consiglio dei Ministri è stato convocato dal premier Shinzo Abe affinché venga valutata un’implementazione dei sistemi di intercettazione razzi e difesa. Il paese ha inoltre sporto una protesta formale alle Nazioni Unite, come protesta alle continue violazioni del regime di Kim Jong-Un, e ha annunciato come tramite il Consiglio di Sicurezza dell’ONU continuerà a contrastare fermamente questo comportamento.

Lo scorso 6 maggio Australia e Singapore hanno siglato un vantaggioso accordo di cooperazione militare a scopo difensivo (Comprehensive Strategic Partnership), auspicato da anni dai governi dei rispettivi Paesi. A fronte dell’assertività di Pechino nel Mar Cinese Del Sud, infatti, una rinnovata alleanza diviene fondamentale. Qualcuno, all’interno del Parlamento australiano, denuncia i rischi connessi al vincolo strategico, rammentando la troppo spesso incoerente politica estera della Repubblica di Singapore. Quest’ultima dal 1965, anno in cui fu dichiarato lo stato d’indipendenza, ha a lungo curato rapporti economici con Washington. Al tramonto degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70 ospitò consiglieri dell’Israeli Armed Forces per riorganizzare l’apparato del Singapore Armed Forces, nonostante la ragguardevole presenza di musulmani nel Paese. La propensione per gli investimenti all’estero ha poi condotto Singapore a intrecciare solidi legami con la giunta militare del Myanmar. La flotta aerea beneficiò di un vantaggioso programma di addestramento con Taiwan, mentre il governo nazionale intesseva trame economiche con Pechino. Oggi, però, il rilevante afflusso

di studenti verso le università cinesi confermerebbe i timori che la classe dirigente del Paese, nel prossimo futuro, possa essere maggiormente legata a Pechino. Insomma, sembra che l’ago della bussola conduca Singapore laddove si palesino ghiotte occasioni per investimenti e sviluppo. L’Australia fu il primo Stato che riconobbe l’indipendenza del Paese, con cui da anni coltiva proficue relazioni commerciali. Spinto da Washington a cercare l’intesa strategica per arrestare l’ascesa cinese, il governo australiano ha premuto il piede sull’acceleratore. Ma Canberra guarda con circospezione alla nuova alleanza: i timori ricadono sulla potenziale infedeltà e inaffidabilità di Singapore, legata da colossali flussi di capitali finanziari a Pechino. Singapore non sembra manifestare le stesse preoccupazioni né possedere la stessa sensibilità dei suoi vigili vicini in tema di sicurezza, ma neppure sembra disposta ad assumere un atteggiamento propositivo per una mediazione. La delegazione americana, presente al Forum di Singapore delle scorse settimane, ha ribadito la necessità di una più serrata cooperazione fra i Paesi del sud est asiatico, in particolare fra Canberra e Singapore, vista l’evidente difficoltà o forse riluttanza di quest’ultima a inserirsi nell’intelaiatura strategica di contenimento dell’espansionismo cinese. MSOI the Post • 17


ORIENTE TORKHAM: PASSAGGIO A NORD-OVEST Con l’interruzione delle ostilità, il Pakistan ha riaperto il confine con l’Afghanistan.

Di Giulia Tempo

UZBEKISTAN 23 giugno. Istituita 15 anni fa, la Shanghai Cooperation Organization (SCO), organismo intergovernativo di cooperazione, prende il via oggi nella capitale uzbeka Tashkent. Per la prima volta, India e Pakistan parteciperanno al summit, un’ammissione che viene discussa dal 2009: ostile a questa espansione era soprattutto la Cina, contrastata dalla favorevole Russia, intenzionata ad aumentare l’impatto positivo del gruppo sulla scena internazionale. All’ordine del giorno la probabile futura ammissione dell’Iran nel gruppo, la questione sicurezza, alla luce degli eventi terroristici degli ultimi mesi, e un probabile accordo di cooperazione sull’energia. A cura di Carolina Quaranta

18 • MSOI the Post

Sabato 18 giugno, in mattinata, è stato riaperto il confine tra Pakistan e Afghanistan, chiuso nel punto di passaggio di Torkham in seguito ai violenti scontri avvenuti il 12 giugno e alle tensioni dei giorni successivi. La chiusura del confine ha comportato la formazione di lunghe code di camion e automobili da entrambe le parti e i due governi concordano ora sulla necessità di riprendere la circolazione regolare. Torkham è uno dei passaggi più trafficati del confine e costituisce pertanto unosnododigrandeimportanza per la rete commerciale tra i due Paesi. A partire dal 2006, tuttavia, i controlli si sono intensificati: in particolare, la polizia di confine afghana ha iniziato a chiedere i documenti a chi arriva dal Pakistan. La conflittualità tra i due Paesi è cresciuta e i governi si accusano reciprocamente di offrire riparo ai militanti di organizzazioni estremiste. Kabul accusa il Pakistan di connivenza con i movimenti insurrezionalisti di matrice talebana radicati in territorio afghano. Il governo pakistano, negando di aver garantito il proprio supporto ai militanti, nelle scorse settimane aveva manifestato l’intenzione di costruire un nuovo posto

di blocco lungo il confine per arginare i flussi di combattenti armati dall’Afghanistan. L’ambasciatore afghano a Islamabad afferma che ogni costruzione lungo il confine deve essere concordata e l’inizio dei lavori ha sancito l’apertura del fuoco da parte dello Stato confinante. Durante gli scontri sono rimaste ferite alcune decine di persone e CNN e al Jazeera hanno parlato di almeno 2 morti. La chiusura del confine è stata vista come l’unica soluzione possibile, nel tentativo di limitare la deflagrazione di un conflitto già da tempo latente. Benché il 18 giugno abbia avuto luogo la riapertura di Torkham, dopo una negoziazione durata alcuni giorni, sono state smentite le voci di presunti accordi tra i due Paesi. I controlli da parte del Pakistan, inoltre, sono divenuti più rigidi. Hussain Khil, a capo della polizia di frontiera dell’Afghanistan orientale, ha affermato che negli scorsi anni numerosi afghani attraversavano il confine per ragioni mediche, mentre ora “viene concesso l’ingresso solo a chi ha un visto e un passaporto”. Ile traffico commercial tra i due Stati è ripreso con regolarità e un ufficiale pakistano – che ha preferito non farsi identificare – ha dichiarato che è ripreso anche il lavoro di costruzione lungo il confine.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole BURKINA FASO 18 giugno. È stata annunciata la costruzione di una delle centrali solari più grandi dell’Africa sub-sahariana. L’imponente progetto sarà realizzato con fondi francesi ed europei. CONGO 21 giugno. Il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja ha condannato a 18 anni di carcere Jean Pierre Memba, ex-signore della guerra ed exvice presidente del Congo, per stupro e crimini di guerra commessi durante il golpe del generale Bozizé in Repubblica Centrafricana nel 2002. 22 giugno. ONU e USA stanno discutendo eventuali sanzioni nei confronti del governo di Joseph Kabila a causa di una deriva autoritaria e alla mancanza di regolari e periodiche elezioni. ETIOPIA 17 giugno. Human Rights Watch ha denunciato che, in poco meno di un anno, gli scontri tra governo e comunità Oromo hanno portato all’uccisione di 400 persone e all’arresto di quasi 10.000 manifestanti. GHANA 20 giugno. A conclusione del forum tra alcuni Paesi africani e la Russia, il vice-presidente del Ghana, Kwesi Amissah-Arthur, ha confermato l’impegno del suo governo nell’incrementare i rapporti con il governo di Putin, in particolare per quanto riguarda l’esportazione di petrolio. MALI 17 giugno. Beatrice Stockly, la missionaria svizzera rapita lo scorso gennaio a Timbuctù, è viva e in salute; lo dimostra un video diffuso dall’agenzia di

SUDAFRICA E GERMANIA: ARMI IN ARABIA SAUDITA - Parte II

Gli aiuti militari dei Paesi europei a regimi orientali colpevoli di ledere i diritti umani

Di Sara Corona La Rheinmetall, colosso industriale tedesco che ha finanziato la costruzione di una fabbrica di armamenti pesanti in Arabia Saudita tramite uno stabilimento dipendente in Sudafrica, gestisce anche una filiale in Italia, la RWM Italia SPA. Recentemente, con il - si suppone - tacito consenso del governo italiano, la Rheinmetall ha prodotto armi e munizioni presso lo stabilimento di Domusnovas, in Sardegna, e li ha poi inviati a Riyad. Sino a maggio di quest’anno sono stati spediti in Arabia Saudita 4.960 ordigni d’aereo con 250 kg di esplosivo ciascuno, i cui bersagli sono in Yemen, come testimoniato dalla fotografia di una bomba inesplosa sulla quale è inciso un numero di serie riconducibile alla fabbrica di Domusnovas. All’inizio del 2015 il Consiglio di Sicurezza tedesco bloccò l’invio di armamenti all’Arabia Saudita a seguito delle proteste di molti politici, che accusavano Riyad di sostenere i fondamentalismi islamici (da Al Qaeda al Daesh). Tuttavia, le esportazioni continuarono tramite la filiale italiana della Rheinmetall, nonostante la legge 185/90 proibisca che sistemi d’arma italiani siano venduti a Paesi in conflitto, che violano gravemente i diritti umani e che

rientrano tra gli High Indebted Poor Countries. Già il 23 gennaio 2014 il Consiglio Europeo aveva emanato una raccomandazione che limitava fortemente il commercio internazionale di armi: “Il principale punto di forza del trattato è costituito dall’obbligo in capo agli Stati contraenti di istituire, a livello nazionale, un sistema di controllo dei trasferimenti di armi e di valutare, prima di autorizzare un trasferimento, il rischio che le armi possano pregiudicare la pace e la sicurezza oppure possano essere utilizzate per commettere gravi violazioni [...] dei diritti umani o atti di terrorismo.” Secondo un report di Amnesty International, ben 12 Stati dell’UE continuano a violare queste raccomandazioni, intrattenendo scambi commerciali di armamenti con Paesi orientali in guerra, in particolare Egitto, Arabia Saudita, Qatar e altre petromonarchie del Golfo. Questo si sarebbe verificato soprattutto in occasione dei conflitti delle primavere arabe (2011). In Europa la Rheinmetall è solo al decimo posto nella lista dei maggiori armatori dei regimi orientali, preceduta dalla BAE Systems inglese, dalla Finmeccanica italiana e da altri concorrenti francesi e olandesi.

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AFRICA stampa Al-Akhbar. La Stockly è tenuta prigioniera dal gruppo jihadista Aqmi, attivo nel Maghreb.

TERRORE IN NIGER

Ondata di attacchi provoca devastazione e morte

17 giugno. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite ha mediato un accordo tra Mali e Mauritania per la ricollocazione di quasi 40.000 sfollati. NIGERIA 18 giugno. Uomini armati appartenenti a Boko Haram hanno assalito il villaggio di Kuda, uccidendo 24 persone. Il governo nigeriano e quello camerunese hanno intanto stipulato un accordo per il rimpatrio degli sfollati causati dagli assalti di Boko Haram nel nord del Paese. REP. CENTRAFRICANA 21 giugno. Scontri intorno a Bangui: 2 persone sono rimaste uccise e anche i convogli di Medici Senza Frontiere sono stati assaliti dal gruppo jihadista Seke.

REP. DEMOCRATICA DEL CONGO 17 giugno. Le forze di sicurezza congolesi hanno arrestato Jean-Marie Michel Mokoko, ex generale e leader dell’opposizione del governo di Sassou Nguesso, con l’accusa di aver pianificato un colpo di Stato. A cura di Fabio Tumminello 20 • MSOI the Post

Di Chiara Zaghi Il Niger in giugno è stato sottoposto a diversi attacchi terroristici ed è stato vittima ancora una volta di disordini diffusi. Lo scorso 3 giugno i militanti di Boko Haram hanno attaccato Bosso, città al confine con la Nigeria che dal 2013 ospita un grande campo profughi in cui vivono oltre 10mila persone. Durante gli scontri, che sono durati tre giorni, sono morti 32 soldati e ne sono stati feriti 67. Al termine dell’azione, le milizie hanno preso il controllo della città e, come ha riportato l’UNHCR, hanno obbligato più di 5.000 persone a fuggire. Il presidente Mahamadou Issoufou ha chiesto ufficialmente aiuto al Ciad, che ha risposto inviando circa 2.000 soldati. Giovedì 16 un gruppo di estremisti di Boko Haram ha attaccato una caserma nel sud-est del Paese, uccidendo 7 soldati, ferendone 12 e portandosi via tutte le armi. La zona è occupata da mesi da rifugiati e sfollati che sono scappati a causa delle barbarie del gruppo islamico. Lo stesso giorno sono stati ritrovati ad Assamaka, nel deserto del Sahara, al confine con l’Algeria, i corpi di 34 persone, di cui 20 bambini. Il ministro dell’Interno Bazoum Mohammed ha riferito che i

decessi sarebbero avvenuti tra il 6 e il 12 giugno. Probabilmente il gruppo voleva raggiungere la costa mediterranea e poi l’Europa, ma è stato abbandonato dai trafficanti di uomini: non conoscendo il percorso, sarebbero morti per la sete. Il Niger è diventato, per la sua posizione geografica, una delle rotte più popolari per l’emigrazione dall’Africa verso l’Europa e, secondo l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM), nel 2015 è stato percorso da circa 120.000 persone. Venerdì 17 sono state uccise 18 donne che assistevano a una cerimonia funebre nel villaggio di Kuda, nel nord-est del Paese. Le milizie radicali islamiche hanno incendiato numerose case e devastato il territorio per circa due ore. La polizia locale non ha reso noto quanti fossero gli attentatori e se siano stati presi. Il villaggio, che si trova nei pressi della foresta di Sambisa, dove il gruppo terroristico di Boko Haram si nasconde da tempo, era già stato preso d’assalto in febbraio. Il Niger si è schierato nel febbraio del 2015 con la MNJTF (Multinational Joint Task Force), forza d’intervento composta da cinque Paesi che stanno subendo le minacce del gruppo terroristico. Gli ultimi avvenimenti, però, confermano che la strada da percorrere è ancora lunga.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole BRASILE 18 giugno. Il presidente ad interim Michel Temer si difende dalle accuse di corruzione dell’ex presidente di Transpetro, Sergio Machado, definendole “menzogne”. Le accuse riguardano la richiesta di contributi finanziari, per oltre $ 400.000, per la campagna elettorale di un candidato al comune di San Paolo appartenente al partito di Temer. 17 giugno. Il governatore dello Stato di Rio de Janeiro, Francisco Dornelles dichiara lo stato di emergenza finanziaria. Si richiedono fondi federali per garantire i servizi pubblici, previsti per i Giochi Olimpici, autorizzando “misure eccezionali” per evitare il collasso completo di sicurezza, sanità, istruzione, trasporti e gestione ambientale.

COLOMBIA 22 giugno. Raggiunto un accordo bilaterale e definitivo per il cessate il fuoco tra il governo e il gruppo guerrigliero FARC, guidato daTimoleón Jiménez, a L’Avana. Passo decisivo, dopo anni di trattative, verso la negoziazione di una pace, che, secondo il presidente Manuel Santos, verrà firmata entro il 20 luglio. CUBA 21 giugno. Inaugurazione dell’Esposizione Internazionale dell’Industria Cubana: partecipano, per la prima volta, rappresentanti dell’imprenditoria nordamericana, russa e cinese, con l’obiettivo di identificare interessi comuni. Salvador Pardo Cruz, ministro

MESSICO, SPARISULLA MANIFESTAZIONE DEGLI INSEGNANTI 10 MORTI E 100 FERITI

Di Andrea Incao È tragico l’epilogo della manifestazione degli insegnanti iniziata sabato scorso nello Stato di Oaxaca, conclusasi domenica notte con l’uso di armi da fuoco da parte della polizia messicana. I manifestati avevano già denunciato nel pomeriggio la presenza di cecchini e di agenti con armi di grosso calibro. La polizia ha ammesso di aver usato armi da fuoco nella notte di domenica, ma ha accusato i maestri di aver sparato per primi, di essere “infiltrati da gruppi radicali” e che le forze dell’ordine avrebbero aperto il fuoco “solo alla fine, quando gli agenti si stavano ritirando”.”.Sarebbero numerose le fotografie e le testimonianze che hanno smontato questa versione della polizia. E’ dal 15 maggio che il sindacato Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educaciòn (CNTE) è sul piede di guerra, in difesa della scuola pubblica e contro la riforma educativa del 2013 promossa da Peña Nieto. Nonostante la linea dura scelta dalle autorità statali e federali che hanno minacciato di sostituire i docenti in lotta, in alcuni stati lo sciopero

ha interessato il 95% degli insegnanti di istituti elementari e di scuola secondaria. Vana dunque la minaccia del ministro Aurelio Nuño Mayer, che pochi giorni dopo l’inizio della protesta aveva minacciato la decurtazione dello stipendio o il licenziamento di coloro che non si fossero presentati a scuola senza giustificazione. La CNTE, cresciuta nel corso degli anni, ad oggi conta circa 200.000 iscritti in tutto il Messico, ed è uno dei sindacati latinoamericani più combattivi che sta portando avanti da anni una lotta per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della categoria. Sono centinaia gli intellettuali e i movimenti sociali del Messico che hanno sottoscritto un appello per appoggiare la rivendicazione dei maestri. Nel documento vengono sottolineati vari punti in difesa della manifestazione, tra cui la campagna di discredito preveniente da varie fonti d’informazione e la successiva, brutale repressione subita. Inoltre è ferma la condanna dei metodi utilizzati dalla polizia e del modus operandi del governo di Peña Nieto che starebbe acquisendo sempre più “le caratteristiche di uno Stato autoritario”.

MSOI the Post • 21


SUD AMERICA cubano delle Industrie, comunica il progetto di un’industria sostenibile, efficiente e competitva con la collaborazione degli altri Paesi.

LE OLIMPIADI DELLA DISUGUAGLIANZA Il popolo brasiliano nel giogo dello sfruttamento delle opere pubbliche

Di Daniele Ruffino

MESSICO 19 giugno. Scontri tra insegnanti e polizia nello stato di Oaxaca, nel Messico meridionale. Sei persone sono morte, cento rimaste ferite, tra i manifestanti e gli agenti. La riforma scolastica, che prevede test di valutazione sull’operato degli insegnati, ha acceso le proteste, poi sfociate nella violenza, in seguito all’arresto di due leader del sindacato nazionale degli insegnanti (CNTE). L’accusa è di sottrazione di fondi dalle casse del sindacato, di riciclaggio e di corruzione. VENEZUELA 22 giugno. Il Presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, incontra, a Caracas, il Sottosegretario di Stato per gli affari politici degli USA, Thomas Shannon , per discutere delle relazioni bilaterali tra i due Paesi e avanzare un dialogo “con rispetto”. Maduro, denuncia un presunto complotto internazionale contro il Paese invitando il popolo a manifestare con una marcia nazionale, contro l’interventismo dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS). A cura di Giulia Botta 22 • MSOI the Post

Il Brasile, Paese ospite per le Olimpiadi del 2016, si trova in una della situazioni politiche più delicate e controverse di tutta l’America latina: dopo il presunto golpe liberale che ha destituito la presidente Rousseff, il governo ad interim di Alexander Temer ha dovuto cercare di ricomporre un’opinione pubblica frammentata e di fermare una recessione economica senza pari. Nonostante i problemi interni, il 5 agosto Rio dovrà inaugurare la XXXIesima edizione dei Giochi olimpici, ma la situazione pare disastrosa: mancano i fondi, lo sfruttamento della manodopera dilaga, gli spazi dedicati agli stadi hanno distrutto intere aree verdi e smembrato quartieri di periferia e l’onnipresente corruzione non permette la crescita dell’occupazione e dell’economia. Pertanto, il Brasile non riuscirà a essere pronto per l’inaugurazione. A far suonare l’ultimo campanello d‘allarme, il 18 agosto, è stato proprio il governatore dello Stato di Rio, Francisco Dornelles, affermando che si è prossimi a una “calamità pubblica”, la quale richiederà “misure eccezionali” (già promesse dal governo attraverso finanziamenti federali) per evitare il collasso dei servizi pubblici essenziali.

Nel frattempo, i brasiliani continuano a morire e a essere sfruttati: più di 11 operai hanno perso la vita durante la costruzione delle strutture olimpiche, a decine sono rimasti feriti e molti sono stati assunti senza contratto. Gli ispettori del Ministero del Lavoro hanno riscontrato diverse irregolarità nella sicurezza e nelle protezioni individuali del villaggio olimpico e ciò ha portato alla chiusura di tre cantieri, rallentando ulteriormente i lavori. Il grande business derivante dalle Olimpiadi non si ferma e le speculazioni continuano. Mentre nello Stato di Rio stanno probabilmente per collassare i servizi di trasporto pubblico, a San Paolo è stata inaugurata la prima linea di trasporto aereo firmata Uber. Il progetto UberCOPTER collegherà i principali aeroporti con i più importanti alberghi della città attraverso degli elicotteri, con una tariffa media di 20 dollari per i trasporti minori. A causa dei rallentamenti intollerabili al progetto olimpico, i lavori si protraggono senza sosta giorno e notte per poter concludere in tempi record cantieri che avrebbero dovuto essere ultimati già da diversi mesi. Contro ogni pronostico ufficiale, le Olimpiadi si stanno rivelando una vera e propria spina nel fianco nel tessuto sociale e una pesante zavorra nel bilancio pubblico brasiliano.


ECONOMIA CINA IN RIPRESA?

WikiNomics

L’altra faccia della medaglia

SCANDALO DIESELGATE: VERSO UN POSSIBILE EPILOGO?

Volkswagen stanzia 10 miliardi di dollari per recuperare la fiducia della business community

Di Martina Unali Il recente evento che ha sconvolto il panorama automobilistico, nasce dal fatto che le auto Volkswagen in commercio negli Stati Uniti inquinano più di quanto dovrebbero per legge. Ma c’è di più. Ad aggravare notevolmente la situazione è stata la modifica intenzionale dell’elettronica di bordo, che, alterando le prestazioni del motore sui banchi di prova, ha permesso di eludere i test di laboratorio. Una truffa bella e buona a danno dei consumatori e non solo. La scoperta dell’inganno. Alcuni ricercatori della West Virginia University, incaricati di raccogliere dati per convincere i normatori europei ad emulare i severi standard americani sulle emissioni di ossidi di azoto, hanno rilevato valori nettamente fuori misura nelle vetture Volkswagen. Nessuno se ne era accorto prima, in quanto i test sulle emissioni venivano sempre effettuati al banco e mai su strada. L’Environmental Protection Agency, come tutti, lo ha saputo quasi per caso. E la legislazione americana, si sa, non perdona.

Di Ivana Pesic La Cina sembra finalmente vedere la fine della fase di rallentamento, ma allo stesso tempo, sul piano finanziario, le aspettative non sono delle migliori. La domanda interna continua a crescere. L’incremento più straordinario riguarda gli investimenti. Dopo il crollo del 2015, questi hanno ripreso a crescere in particolar modo nel settore immobiliare; buono anche il recupero in ambito industriale. Alla base di questa inversione di rotta c’è una forte espansione del credito dovuta al fatto che le autorità, preoccupate per l’eccessivo rallentamento precedente, hanno sollecitato le banche cinesi ad erogare prestiti, portando il Paese a registrare, a livello mondiale, la crescita del credito più rapida dallo scoppio della crisi finanziaria del 2008 ad oggi. Il credit boom viene principalmente impiegato per finanziare investimenti nei settori dell’acciaio e immobiliare, già gravati da un eccesso di capacità produttiva. Questo equivale a dire che le società che contraggono prestiti sono proprio quelle meno in grado di rimborsarli. Il FMI stima che il valore contabile dei prestiti inesigibili rischia di rappresentare un quarto del reddito nazionale. Le alternative che si presentano per capitalizzare il debito sono tre.

Le autorità potrebbero emettere obbligazioni per raccogliere i fondi necessari per ricapitalizzare le banche. Così facendo il problema del debito societario verrebbe convertito in un problema di debito pubblico, facendo ricadere l’onere finanziario sulle spalle dei contribuenti e minando la fiducia dei consumatori. In questo modo il rating del debito pubblico andrebbe a peggiorare notevolmente. In alternativa, la Banca Centrale potrebbe finanziare il risanamento fornendo credito, ma stampare moneta comporta oscillazioni nei cambi e il deprezzamento della moneta rischia di accelerare una spirale destabilizzante di fuga di capitali. L’ultima opzione è quella di temporeggiare, incoraggiare le banche a rendere “sempreverdi” i loro prestiti, rinnovandoli fino a quando il rimborso non diventa esigibile. La fantasia che le banche siano ben capitalizzate rimarrebbe in piedi, mentre i debitori che hanno bisogno di essere liquidati sopravvivrebbero grazie alla flebo dei finanziamenti bancari. Ognuna di queste “strade” comporta dei costi e dei sacrifici per il Paese, tuttavia, se nessuna di esse venisse intrapresa, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche. MSOI the Post • 23


ECONOMIA Le conseguenze. L’atteggiamento truffaldino della casa tedesca, ha prodotto molteplici esternalità ed effetti negativi: disastri ambientali, class actions, risarcimenti, costi legali, rischi reputazionali, sfiducia nell’alimentazione diesel, perdite di clienti e in Borsa. L’ammenda. Proprio qualche giorno fa, Volkswagen ha stanziato un piano di risarcimento da 10 miliardi di dollari, finalizzato a remunerare clienti e autorità. Di tale somma, 6.5 miliardi di dollari spetteranno ai proprietari delle auto ritirate, mentre i restanti 3.5 miliardi di dollari saranno destinati al governo federale americano e alle autorità californiane Epa e Carb. Questa strategia per superare il dieselgate, non ancora ufficiale ed in attesa di conferme, consente ai titolari delle vetture “incriminate” di farle riparlare o restituirle alla casa madre, terminando il leasing in anticipo. Le ultime novità. Finalmente una luce in fondo al tunnel, o quasi. Come se non bastasse, alle porte c’è una nuova inchiesta: oltre alla corresponsabilità, l’ex AD dell’azienda di Wolfsburg, Martin Winterkorn, sarebbe accusato di manipolazione del titolo e di scarsa informativa agli investitori sugli impatti del dieselgate. Il conflitto sembra ingigantirsi ogni giorno che passa. Non solo verso l’esterno, visto il malcontento dei consumatori europei e oltreoceano, ma, addirittura dall’interno: si prevede che nella prossima assemblea, gli azionisti contesteranno i manager. La diatriba è appena incominciata.

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LA CONSOB A RISCHIO CREDIBILITA’ L’eliminazione degli scenari probabilistici dai prospetti informativi indebolisce i risparmiatori

Di Giacomo Robasto L’attività della CONSOB (acronimo di Commissione nazionale per le società e la Borsa), autorità governativa che, dalla sua istituzione, nel 1974, si propone di garantire trasparenza a ed efficienz del mercato finanziario italiano, negli ultimi giorni è oggetto di un acceso confronto tra il governo, da una parte, e i risparmiatori, dall’altra. All’origine della diatriba vi è il cosiddetto “decreto salvabanche”, approvato dal governo il 22 novembre scorso, che ha salvato dalla risoluzione quattro istituti di credito italiani (Banca Etruria, Banca Marche, banca Cariferrara e Carichieti), azzerando, però, il valore di 788 milioni di azioni subordinate sottoscritte da migliaia di risparmiatori. Come ha, infatti, evidenziato la puntata di Report del 12 giugno scorso, condotta da Milena Gabanelli, tale situazione avrebbe potuto essere evitata se i prospetti informativi relativi agli investimenti in capitali azionari delle banche avessero presentato gli scenari probabilistici degli investimenti. Questi ultimi, previsti dalla CONSOB per gli investimenti in azioni solo dal 2009, rappresentano strumenti di fondamentale importanza,

poiché esprimono il livello di rischio dell’investimento in azioni, nonché le probabilità future di guadagnare o di perdere attraverso una tabella di confronto. A causa di questa lacuna nei prospetti informativi, pertanto, numerosi investitori hanno sottoscritto azioni subordinate senza essere consapevoli del reale grado di rischio dell’investimento - che nel caso delle quattro banche sopracitate era molto elevato). La trasmissione Report ha, inoltre, evidenziato come sia stato proprio il presidente della CONSOB Giuseppe Vegas, in carica dal 2010, a voler eliminare gli scenari probabilistici, mettendo a repentaglio la credibilità dell’intero sistema finanziario italiano. Nonostante la CONSOB abbia annunciato a maggio la volontà di semplificare i prospetti informativi relativi agli investimenti a beneficio degli investitori, ciò non implica che essi debbano essere privati di informazioni essenziali, come dimostra il caso esposto. Si preannunciano ora giorni complicati per la CONSOB e il suo Presidente, che ha deluso le aspettative di una gran parte di risparmiatori e non solo. Chi e come saprà riformare la CONSOB nei mesi venturi?


Per rimanere aggiornato sulle attività di MSOI Torino, visita il sito internet www.msoitorino.org, la pagina Facebook Msoi Torino o vieni a trovarci nella Main Hall del Campus Luigi Einaudi tutti i mercoledì dalle 12 alle 16. MSOI the Post • 25


26 • MSOI the Post


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