MI Marzo 2019

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Bimestrale n. 1/2019 – anno XXVIII/BO - ₏ 2,00

marzo/maggio 2019

Primavera di stelle con Say, Carbonare, Apap e Rustioni

Dal Brodsky Quartet a Federico Colli, il Varignana Music Festival cresce

Radu Lupu a Bologna

per un concerto straordinario














SOMMARIO

n. 1 marzo / maggio 2019

Editoriale

Generatori di cultura

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L’intervista

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Istituzione Biblioteche / Intervista ad Anna Manfron

StartUp

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MIA – MICO

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Eventi straordinari

Radu Lupu a Bologna

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Varignana Music Festival 2019

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Teatro Comunale di Bologna

Sinfonica, Opera e Danza

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Le parole della musica

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I luoghi della musica

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I viaggi di Musica Insieme

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Tango e farfalle: Martina Santandrea, Chiara Benati, Andrea Vighi Piani d’ascolto

Concerti d’estate

Il preludio

La “violeta” della Santa

Mosca 28-31 marzo 2019 / Ravenna 5 giugno 2019

Fazil Say

Carolin Widmann

Quatuor Modigliani

Gilles Apap

I concerti marzo / maggio 2019 Articoli e interviste Fazil Say Carolin Widmann, Dénes Várjon Quatuor Modigliani, Alessandro Carbonare Gilles Apap & The Colors Of Invention Orchestra della Toscana, Edgar Moreau, Daniele Rustioni

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Per leggere

Boulez, De Martini, Bentini e Mioli

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Da ascoltare

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La Francia di Say, le Italie di ORT e Silvia Chiesa 12

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In copertina: Radu Lupu (foto di Ivan Maly)

Edgar Moreau

Federico Colli




EDITORIALE

GENERATORI di cultura il viaggio che ogni anno ci porta Che Musica Insieme non faccia ad esplorare un luogo della cul“solo musica” è ormai evidente a tura e della musica: sarà Mosca chiunque frequenti i nostri conla nostra prossima meta, con un certi: incontri con gli studenti doppio appuntamento concertidalle scuole primarie all’universtico, rispettivamente per l’inausità, conferenze e lezioni, festival gurazione del Festival internaestivi e viaggi alla scoperta delle zionale dedicato a Rostropovič e capitali della cultura… la nostra per la finale del Concorso pianilinfa vitale è il movimento, la custico “Krainev”, anche in questo riosità, il viaggio appunto. Il princaso partecipando all’emozione cipio che ci guida, insomma, è per la premiazione dei vincitori, sempre quello della scoperta, che si esibiranno con l’Orcheunito naturalmente alla conservastra Filarmonica Russa. zione e diffusione del nostro paMa per viaggiare non occortrimonio musicale: che si tratti di rerà neppure andare così lonapplaudire gli interpreti dei Con- La locandina del concerto straordinario tano, poiché il 5 giugno saremo certi 2018/19 all’Auditorium di Radu Lupu al Teatro Comunale partner di Ravenna Festival per Manzoni, viaggiando con la fantasia e il cuore sulle note di solisti acclamati un’altra inaugurazione che non esitiamo a deficome Fazil Say, Gilles Apap o Alessandro Car- nire storica: quella che vedrà incontrarsi sul bonare, o di scoprire interpreti che approdano per palco del Palazzo Mauro de André due titani la prima volta a Bologna, com’è il caso degli ar- come Riccardo Muti e Maurizio Pollini. Limitachetti di Carolin Widmann, del Quatuor Modi- tissimi i posti, ma non abbiamo certo voluto rinunciare a questa occasione così speciale. E gliani e di Edgar Moreau. Così, mentre concludiamo una stagione di grandi prima di trasferirci sui colli di Palazzo di Variincontri con i maestri, ci accingiamo ad acco- gnana per la VI edizione del nostro Festival, che gliere a Bologna un pianista leggendario come si preannuncia ricca di novità e grandi interRadu Lupu, per lui un concerto straordinario il 12 preti, presenteremo la nostra trentatreesima Staaprile in collaborazione con il Teatro Comunale, gione. Ma questa è un’altra storia… che vi raca rinsaldare e alimentare un rapporto che ci lega conteremo a breve. al Teatro della nostra città sin da quando siamo “nati”. E nel frattempo prepariamo le valigie per Fulvia de Colle

Con queste poche righe desidero ringraziare Fabrizio Festa per il lavoro svolto con passione nel suo ruolo di direttore responsabile del Magazine MI nel corso di oltre venticinque anni di attività. Grazie al suo impegno, alla sua cultura e professionalità, un semplice notiziario a compendio della Stagione di Concerti ha assunto nel tempo la dimensione di una longeva pubblicazione musicale di riconosciuto valore, di cui andiamo fieri e che ben rappresenta l’immagine della Fondazione che dirigo. Fabrizio Festa con questo numero passa il testimone della direzione del Magazine a Fulvia de Colle, con noi a Musica Insieme dal 1999, ma i nostri lettori troveranno ancora, tra le pagine della nostra rivista, le acute intuizioni di Fabrizio, in questo numero e in quelli a venire. Grazie Fabrizio! Alessandra Scardovi Presidente della Fondazione Musica Insieme

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L’intervista

VALORE

diffuso

A un anno dalla sua nomina, incontriamo il nuovo direttore dell’Istituzione Biblioteche Anna Manfron, per fare il punto su progetti e finalità della più ampia e diffusa rete di istituti culturali del Comune di Bologna

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ual è il ruolo dell’Istituzione Biblioteche in una città come Bologna? «Le finalità principali e fondanti dell’Istituzione Biblioteche sono la diffusione e l’accrescimento della conoscenza attraverso il libero e facile accesso all’informazione e alla formazione culturale: obiettivi perseguiti attraverso una molteplicità di sedi, interventi e strumenti in un sistema policentrico fortemente coordinato, in cui ogni biblioteca dell’Istituzione rappresenta un punto di accesso. Un modello funzionale di struttura centrale e contemporaneamente policentrica che risponde alla caratteristica della città contemporanea». Com’è distribuito il sistema sul territorio? «Il sistema è costituito da due biblioteche centrali (Archiginnasio e Sala Borsa), undici biblioteche decentrate ubicate nel territorio dei sei quartieri cittadini (Biblioteca di Borgo Panigale, Casa di Khaoula, Corticella, Lame-Cesare Malservisi, Natalia Ginzburg, Orlando Pezzoli, Luigi Spina, Jorge Luis Borges, Scandellara, Oriano Tassinari Clò e la multimediale Roberto Ruffilli), due istituti culturali specializzati (Centro Cabral e Casa Carducci) e due biblioteche specializzate collegate (Istituto Parri e Biblioteca Italiana delle Donne). In quest’ambito si colloca anche il nostro ruolo di capofila per la rete delle oltre cinquanta biblioteche comunali dell’area metropolitana, con le quali condividiamo progetti importanti come il prestito circolante (facciamo viaggiare i libri invece degli utenti) e la piattaforma della biblioteca digitale, che mette gratuitamente a disposizione di tutti i nostri iscritti e-book, giornali in versione web, film, musica». Come si riesce a gestire un’infrastruttura così articolata e capillare che si confronta quotidianamente con migliaia di utenti diversi?

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«Attraverso personale disponibile e preparato. È molto importante declinare correttamente, con cortesia e atteggiamento rispettoso nei confronti di tutti, la nostra funzione principale di essere strutture e professionisti a disposizione di chi è alla ricerca di risposte di qualità su richieste di ogni genere. L’Istituzione Biblioteche rappresenta un’infrastruttura sociale molto importante per il welfare culturale cittadino, uno strumento per l’inclusione sociale, per la comprensione delle diverse culture e per il rafforzamento del senso di appartenenza a una comunità».

«L’Istituzione Biblioteche promuove la lettura e la conoscenza in tutte le loro forme, così come la socializzazione e il contrasto alle povertà educative» Quali sono le novità di questo suo primo anno di mandato? «Il nostro punto di forza è soddisfare domande diverse di categorie diverse, mettendo tutti nella condizione di esercitare il proprio diritto alla conoscenza. In questo senso va la Carta dei Servizi dell’Istituzione Biblioteche che abbiamo scritto nel corso del 2018 e approvato lo scorso dicembre, nella quale vengono descritti gli standard qualitativi nell’erogazione dei servizi delle nostre quindici Biblioteche, allo scopo di facilitarne la fruizione in un’ottica di trasparenza. È un docu-


tori” e i “nuovi cittadini”, rinforzando il ruolo di presidio culturale delle biblioteche decentrate nei sei quartieri, anche per intercettare il pubblico che normalmente non frequenta le biblioteche». Patto per la lettura, di cosa si tratta, e quali le finalità e il ruolo delle biblioteche nell’ambito di questo progetto? «Bologna ha adottato il Patto per la lettura nel novembre scorso. Numerosi i soggetti – tra associazioni, cittadini, gruppi informali e soggetti imprenditoriali – che hanno aderito al percorso lanciato dal Comune di Bologna, che porterà la città a dotarsi di un piano per promuovere in modo continuativo, trasversale e strutturato la lettura e la conoscenza in tutte le loro forme, che si ritengono fattori indispensabili per la costruzione di una società più libera, consapevole e attenta alle diversità. Nell’ambito del Patto, l’Istituzione Biblioteche si impegnerà, insieme all’Assessorato alla Cultura, a coordinare un Forum cittadino per la promozione della lettura e a sostenere organizzazione e sviluppo del Patto, attraverso il quale sarà valorizzato il lavoro che l’Istituzione Biblioteche, nelle sue diverse sedi, già svolge per la promozione della lettura e della conoscenza, per la socializzazione e il contrasto alle povertà educative in rete con tutti i soggetti interessati». (a cura di Riccardo Puglisi)

Nella pagina accanto: Anna Manfron con Dario Fo in una delle sale storiche dell’Archiginnasio. Sotto: con il regista Martin Scorsese

Foto Cineteca di Bologna

mento importante, che ci impegna in un patto con la cittadinanza, rendendo espliciti diritti e doveri di tutti coloro che si rivolgono alle biblioteche». Quali sono gli obiettivi che si prefigge per il futuro? «Obiettivo dell’Istituzione è promuovere in modo continuativo, trasversale e strutturato la lettura e la conoscenza in tutte le loro forme, così come la socializzazione e il contrasto alle povertà educative in rete con tutti i soggetti attivi e competenti. Auspico che le nostre biblioteche diventino luoghi nei quali tutti i soggetti interessati collaborino alla creazione di un modello sociale, partecipando attivamente alla progettazione, allo sviluppo e alle scelte della biblioteca e della comunità, facendo delle biblioteche luoghi aperti, dove ognuno possa percepire concretamente la possibilità e il valore della partecipazione e dove la dimensione collettiva tenda a farsi cooperativa: una condivisione di spazi che si sposi con una condivisione di valori. Quindi non solo luoghi e strumenti disponibili per avere libero accesso all’informazione e alla conoscenza, ma anche luoghi dove si apprendono valori civici come l’uguaglianza che non toglie spazio all’individuo e alla diversità. La biblioteca va intesa come uno spazio unico nella città, dove cultura e tempo libero, ma soprattutto coesione sociale e educazione permanente, diano origine a tutta una serie di attività come incontri, laboratori, corsi, mostre e concerti in collaborazione con gli operatori culturali del nostro territorio». Quali progetti sono già in atto? «Abbiamo iniziato il 2 febbraio con il primo incontro del progetto Inedito. La scuola interroga la stampa che consente agli studenti degli istituti superiori bolognesi, del master in Giornalismo e del corso di Comunicazione dell’Università di confrontarsi con alcune delle più grandi firme del giornalismo italiano su alcuni temi di attualità. In cantiere per il prossimo futuro anche progetti dedicati all’editoria digitale, al fumetto e alle serie televisive. L’imminente collaborazione con Musica Insieme porterà il dialogo tra letteratura e musica dal vivo nelle nostre sedi, anche quelle più decentrate, e consentirà di avvicinare i cittadini ai giovani musicisti che la Fondazione sostiene, impegnandosi concretamente nella divulgazione della musica classica presso il grande pubblico». Quali sono le criticità da affrontare? «Ripensare alla destinazione degli spazi rinnovando arredi e attrezzature; ampliare e migliorare l’offerta dei servizi già esistenti; potenziare le politiche di inclusione delle biblioteche, rivolgendo una particolare attenzione verso i “non let-

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StartUp

TANGO e farfalle

Incontriamo i campioni mondiali di due discipline dove la musica dà corpo e cuore al movimento: la ginnastica ritmica e le danze argentine

Martina Santandrea Classe 1999, Martina Santandrea ci racconta la sua vita con le Farfalle, le straordinarie ginnaste italiane premiate agli Europei di Guadalajara e ai Mondiali di Sofia 2018. Come hai incominciato a praticare quello che è poi diventato lo sport della tua vita? Alle elementari la mia amica del cuore mi ha invitato ad accompagnarla a un corso di ginnastica a San Pietro in Casale. Poi lei ha smesso e io ho continuato, mi avevano ‘diagnosticato’ delle belle doti, così mi hanno invitato ad allenarmi a Ferrara, dove ha sede la mia società sportiva, l’Estense Putinati. Hai una giornata tipo fra studio, tempo libero, amici e famiglia? Ora viviamo undici mesi all’anno nella nuova Accademia Internazionale di Ginnastica Ritmica di Desio, dove le nostre famiglie ci vengono a trovare alla domenica, il nostro giorno di riposo, mentre noi torniamo a casa giusto per Natale, e poi tre settimane dopo i Mondiali e una a fine giugno. Io sono figlia unica, quindi è stata una bella rivoluzione, soprattutto per i miei che improvvisamente non hanno più una figlia in casa! Mi hanno sempre sostenuto tutti: era mio nonno a portarmi da San Pietro a Ferrara tutti i giorni ad allenarmi. Io l’ho vissuta naturalmente in modo positivo, perché è il sogno della mia vita che si avvera… Chi consideri il tuo modello? In generale tutte le ginnaste che mi hanno preceduto nella Nazionale di

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ginnastica ritmica, tre volte campionesse del mondo, tre Olimpiadi… da ammirare, anche perché hanno fatto questa vita per cinque anni! La nostra carriera sportiva, si sa, finisce in genere verso i 24 anni. Cosa significa per te Farfalle? Ci hanno soprannominato così per la leggerezza che ci riconoscono mentre facciamo gli esercizi, dicono che sembra che voliamo come farfalle. Nei vostri esercizi per i Mondiali 2018 risuonava Eye of the Tiger come Il lago dei cigni. Com’è il rapporto con le musiche nelle vostre performance? Il rapporto con la musica per noi è fortissimo! Anche quando sentiamo la musica dei nostri esercizi alla televisione o alla radio ci assalgono grandissime emozioni. Quando poi con questa musica hai vinto delle

medaglie, ti rimane sempre dentro… Cosa si prova a portare nel mondo la bandiera italiana? Quando saliamo sul podio e cantiamo l’inno ci viene sempre la pelle d’oca, è un’emozione indicibile. Poi quest’anno siamo riuscite davvero a far suonare l’inno in tutti i palazzetti in cui siamo state… La sede dei Mondiali 2018 era Sofia, l’unico palazzetto dove non l’avevamo ancora fatto suonare, quindi ci siamo dette: ragazze, dobbiamo farcela, e così è stato! La vostra prossima impresa? Ci siamo qualificate per le Olimpiadi, quindi il nostro percorso principale ci porterà a Tokyo 2020. Poi quest’anno molto importanti saranno i Giochi olimpici europei, che saranno a fine giugno a Minsk e i Mondiali di Baku, a settembre 2019.

Foto Simone Ferraro/FGI

Ginnasta – La trovate ai Giochi olimpici di Minsk e ai Mondiali di Baku 2019


Chiara Benati e Andrea Vighi Maestri e tecnici di danze argentine – Li trovate su www.tangofeliz.it

Esigente e precisa Chiara, puntuale e determinato Andrea, nonostante la giovane età sono campioni mondiali di tango argentino e hanno ottenuto riconoscimenti in tutto il mondo. Danzano insieme da quando avevano rispettivamente tredici e diciassette anni – da sempre sotto lo sguardo vigile della loro pecora peluche portafortuna – e insieme progettano il loro futuro professionale con la creazione di una scuola di ballo. Come è nata la vostra passione per la danza e per il tango in particolare? Chiara: A dodici anni ho iniziato a seguire delle lezioni di ballo latino americano insieme a mia madre, poi ho conosciuto Andrea, che mi ha fatto scoprire il tango, e abbiamo iniziato a ballare in coppia. Essendo molto giovane, inizialmente il tango non mi piaceva molto, ma crescendo ho capito che sarebbe stata la mia grande passione per la vita. Andrea: Ho iniziato a quattro anni, assistendo a una lezione dei miei genitori, grandi appassionati di danza latino americana. Qualche giorno dopo chiesi di “avere la ballerina come papà” e così è cominciata la mia esperienza nel mondo del ballo. Anni dopo, per caso, venne nella mia scuola un maestro di tango argentino, provai qualche passo e ne fui subito rapito. Quali riconoscimenti avete ricevuto? Siamo maestri e tecnici per le Danze Argentine della Federazione Italiana Danza Sportiva. Nel 2014 abbiamo vinto il Campionato Italiano e quello Europeo, la Coppa del Mondo e il Campionato Mondiale dell’International Dance Organization. Nel 2017 abbiamo vinto le selezioni per accedere alla semifinale del Festival Mondiale di Tango e

siamo arrivati in finale esibendoci a Buenos Aires davanti a diecimila persone. Raccontateci la vostra giornata tipo. Chiara: Frequento la facoltà di Psicologia a Cesena, quindi mi sveglio sempre molto presto per rientrare piuttosto tardi la sera e, quando abbiamo i corsi, mangio al volo e mi

reco a insegnare. Durante il weekend di solito mi alleno con Andrea, anche di domenica. Andrea: Oltre che allenarmi con Chiara e seguire privatamente alcuni allievi, alterno lo studio dell’Ingegneria Informatica con lavori a progetto presso alcune aziende del settore. Parlateci della vostra attività d’insegnamento. A Bologna teniamo regolarmente corsi di Tango, Vals e Milonga per tutti i livelli nella sede storica del Circolo la Fattoria. Abbiamo anche allievi che si sono avvicinati al mondo delle competizioni e per loro, che spesso vengono da fuori Bologna per studiare con noi, organizziamo stage e corsi privati. Da quest’anno inoltre siamo stati chiamati anche a “Il Paese dei Ballokki” di Forlì per seguire i corsi più avanzati. Quali sono i vostri hobby? Chiara: Mi piace andare al cinema e sono appassionata di make-up, quindi spesso sperimento nuove tecniche da mettere poi in pratica per gare e show. Andrea: Quando mi è possibile amo sciare e fare gite in moto sui colli bolognesi con i miei amici. Inoltre sono appassionato di tecnologia e mi diverto a sviluppare siti e applicazioni, anche per migliorare la gestione social della nostra scuola di ballo. I vostri prossimi impegni? Molte esibizioni in tutta Italia tra cui il Pasqua Tango Festival a Monticelli Terme, evento molto importante che ci vedrà nel cast della rassegna al fianco di insegnanti italiani e argentini. A luglio 2019 avremo poi la selezione europea per i prossimi campionati mondiali di Buenos Aires, incrociamo le dita!

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MIA – MICO

PIANI

d’ascolto

Proseguono le rassegne che Musica Insieme dedica alla contemporanea e agli studenti universitari, con grandi nomi e progetti originali

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Sopra: Ilia Kim. Sotto, da sinistra: Grazia Raimondi, Duo Fossi-Gaggini

rimavera di novità per il calendario di Musica Insieme. A partire da l’altro piano, questo il titolo della XIV edizione di MICO – Musica Insieme COntemporanea, che esplora le diverse prospettive dalle quali ascoltare il pianoforte oggi. Per il suo appuntamento conclusivo, MICO sposta lo sguardo sul pianoforte come strumento in grado di riassumere un’orchestra nelle venti dita di un “quattro mani”, grazie alla sua ricca estensione e alla timbrica generosa. È quanto ci propongono il 28 marzo Matteo Fossi e Marco Gaggini, protagonisti di inedite incisioni ed edizioni critiche, e interpreti di una trascrizione di Alban Berg della Kammersymphonie op. 9 di Schoenberg, che ascolteremo in prima esecuzione italiana, affiancata dalla versione a quattro mani di Petruška, firmata dallo stesso Stravinskij. Nei due appuntamenti conclusivi, la XXII edizione di MIA – Musica Insieme in Ateneo invita gli studenti universitari ad incontrare interpreti dalla carriera consolidata, com’è il caso di Grazia Raimondi (violino) e Maria Grazia Bellocchio (pianoforte), già al fianco di Pappano, Piovano, Sitkovetsky e Sollima. Insieme, il 14 marzo ci racconteranno il fascino del Novecento, affiancando due autori fra i più originali del nostro tempo, Petrassi e Kurtág, a due grandi Sonate di Brahms e di Prokof’ev, nel concerto che rinsalda la collaborazione con il Centro La Soffitta del Di-

XXII edizione

DAMSLab /Auditorium (Piazzetta Pier Paolo Pasolini 5/b - Bologna) - ore 20.30 2019 - giovedì 14 marzo Il fascino del Novecento

Grazia Raimondi violino Maria Grazia Bellocchio pianoforte

Musiche di Petrassi, Prokof’ev, Kurtág, Brahms

In collaborazione con Centro La Soffitta - Dipartimento delle Arti

Ingresso gratuito

2019 - giovedì 4 aprile Musica e pittura: visionari e simbolisti

Iilia Kim pianoforte Musiche di Rachmaninov, Liszt, Beethoven

I biglietti saranno disponibili la sera del 4 aprile dalle 19.30 nel foyer dell’Auditorium DAMSLab. Posto unico € 7. Studenti e personale docente e tecnico-amministrativo dell’Università di Bologna avranno diritto ad un biglietto gratuito su presentazione del proprio badge.

Musica Insieme COntemporanea 2019 XIV edizione

Oratorio di San Filippo Neri (Via Manzoni 5 – Bologna) - ore 20.30

2019 - giovedì 28 marzo Un’orchestra a quattro mani

Matteo Fossi e Marco Gaggini

duo pianistico Musiche di Schoenberg / Berg, Stravinskij

I biglietti saranno in vendita presso l’Oratorio di San Filippo Neri il giorno del concerto a partire dalle 19.30. Posto unico € 15. Abbonati Musica Insieme, titolari Card Musei Metropolitani e tessera dell’Istituzione Biblioteche di Bologna € 10. Studenti Università e Conservatorio, Under 30 € 5.

partimento delle Arti. A concludere la rassegna il 4 aprile sarà un’altra solista dalla straordinaria attività: la pianista coreana Ilia Kim, ospite regolare della Carnegie Hall come del Mozarteum, il cui programma riflette sulle corrispondenze fra pittura e musica, dall’Appassionata di Beethoven accostata al Macbeth illustrato da Füssli, a Rachmaninov e Liszt, accostati a Böcklin e Gericault. 20

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Eventi straordinari

RADU LUPU a Bologna

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Radu Lupu durante uno dei suoi applauditissimi recital per Musica Insieme 22

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Foto Roberto Serra

Musica Insieme, in partnership con il Teatro Comunale, ospita il 12 aprile il recital del leggendario pianista rumeno, la cui selezionatissima tournée lo vede in Italia per tre sole date

a anni Radu Lupu, interprete conosciutissimo e amato dal nostro pubblico, ci onora considerando il nostro cartellone una tappa obbligata delle sue selezionatissime tournée. Il pianista rumeno, oggi ai vertici di una carriera internazionale costellata di premi e riconoscimenti prestigiosi, da sempre rifugge i riflettori, non rilasciando interviste da anni, né licenziando registrazioni dei suoi concerti: l’occasione di ascoltarlo dal vivo è dunque tanto più straordinaria, e Musica Insieme ha voluto coglierla presentandolo in un concerto speciale che avrà luogo venerdì 12 aprile 2019 alle ore 20.30 al Teatro Comunale di Bologna, che sarà anche partner dell’iniziativa. Classe 1945, Lupu ha debuttato in pubblico all’età di dodici anni, suonando sue proprie composizioni. Tre anni dopo si trasferiva a Mosca per studiare al Conservatorio con Galina Eghyazarova e Heinrich Neuhaus. Di lì a qualche anno ha collezionato una serie impressionante di vittorie alle principali competizioni pianistiche, dal “Van Cliburn” nel 1966, all’“Enescu” nel 1967, al Concorso di Leeds nel 1969. Da allora ha calcato i palcoscenici più importanti del mondo, in recital o a fianco delle principali orchestre internazionali: i Berliner Philharmoniker, al Festival di Salisburgo, sotto la direzione di Herbert von Karajan, i Wiener Philharmoniker con Riccardo Muti, la Cleveland Orchestra, diretta da Daniel Barenboim, o ancora la Chicago Symphony Orchestra con Carlo Maria Giulini, per citarne solo alcune.

Nel corso degli anni ha ricevuto il Premio Internazionale “Arturo Bendetti Michelangeli” e ben due Premi “Abbiati”, a dimostrazione di un duraturo successo che non ha conosciuto flessioni nei decenni. Nel suo recital per Musica Insieme offrirà i capolavori di due dei compositori a lui più congeniali, Schumann e Schubert, di cui è interprete raffinatissimo e universalmente apprezzato. Del compositore tedesco interpreterà Kreisleriana op. 16, un ciclo pianistico composto nel 1838 e dedicato a Chopin. Ora febbrili, ora sognanti, gli otto brani che lo compongono si ispirano all’inquieto Kapellmeister Kreisler nato dalla penna di E.T.A. Hoffmann, in cui Schumann, sempre ossessionato dal labile confine tra genio e follia, non poteva che riconoscersi. Di Franz Schubert, invece, Radu Lupu proporrà la Sonata in si bemolle maggiore D 960, estremo frutto creativo di un genio che proprio al pianoforte ha dedicato gran parte del suo talento. Composta nel 1828 con velocità prodigiosa, insieme alle Sonate D 958 e D 959, fu eseguita dall’autore stesso in un salotto viennese il giorno dopo averla ultimata. Ebbe un successo immediato e apprezzamenti lusinghieri dalla critica ed è ancora oggi considerata dai pianisti tra le sfide più stimolanti. 2019 - venerdì 12 aprile Teatro Comunale di Bologna – ore 20.30

Radu Lupu pianoforte

Robert Schumann Kreisleriana op. 16 Franz Schubert Sonata in si bemolle maggiore D 960 I biglietti per il concerto straordinario di Radu Lupu sono in vendita a partire dal 5 marzo 2019 sul circuito Vivaticket e nei punti vendita autorizzati, e presso la Biglietteria del Teatro Comunale di Bologna (dal martedì al venerdì ore 12-18, il sabato ore 11-15). Prezzi da 10 a 60 euro. Sono previste speciali riduzioni per gli abbonati di Musica Insieme e del Teatro Comunale di Bologna.



Varignana Music Festival 2019

CONCERTI d’estate

Foto Eric Richmond

Sopra: il Coro e Orchestra del Varignana Music Festival al Grand Opening 2017. Sotto: Saleem Ashkar, il celebre pianista al suo debutto al VMF. In basso: The Brodsky Quartet, dal 1972 protagonista della scena internazionale

Foto Luidmila Jermies

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on la direzione artistica di Musica Insieme, giunge alla sua sesta edizione il Varignana Music Festival, che avrà luogo dal 4 al 13 luglio 2019 nella suggestiva sede del Palazzo di Varignana. Il VMF si è da subito imposto come una novità assoluta, primo festival estivo di musica classica nel territorio metropolitano. Dopo il successo delle precedenti edizioni, che ospitavano fra gli altri artisti e intellettuali come Mischa Maisky, Natalia Gutman, Alexander Romanovsky, il Quartetto di Cremona, Philippe Daverio, anche quest’anno si riconferma la qualità assoluta del Festival, con grandi maestri e grandi novità in cartellone. A cominciare dai pianisti, con quattro nomi illustri, come Saleem Ashkar, solista al fianco di direttori quali Mehta, Barenboim, Muti e Chailly, e Nikolay Khozyainov, ospite regolare della Carnegie Hall di New York come della Suntory Hall di Tokyo, che debutteranno al VMF e nel nostro territorio. Ben noti al nostro pubblico sono poi Federico Colli, premiato al “Mozart” di Salisburgo e al “Leeds”, e Boris Petrushansky: li ascolteremo sia in recital che al fianco del Brodsky Quartet e del Quartetto Noûs, oggi a tutti gli effetti la storia e il futuro del quartetto d’archi. Prestigiosi gli ensemble, con i cameristi del blasonato Festival Strings Lucerne, cui si aggiunge l’ormai tradizionale Grand Opening affidato alla compagine ufficiale del Coro e Orchestra del Varignana Music Festival, ospite di sedi che vanno dal Gewandhaus di Lipsia al Vati-

Foto Elettra Bastoni

Da Saleem Ashkar al Brodsky Quartet: grandi maestri e grandi novità per la VI edizione del Festival curato da Musica Insieme

cano. Del tutto inedito il trio che a Khozyainov vede affiancarsi un figlio d’arte come il clarinettista Tommaso Lonquich e la flautista Irena Kavćić, così come l’incontro, per la matinée finale del Festival, fra il violino di Gilles Apap, considerato dal grande Menuhin il proprio erede ideale, e il Quintetto d’Archi del Teatro Comunale di Bologna, composto dalle prime parti della storica Orchestra. E proprio l’arte dell’incontro, quello fra la straordinaria accoglienza di Palazzo di Varignana e l’esclusiva proposta culturale del Festival, è alla base del cartellone 2019. A Varignana gli artisti si incontrano, creano progetti inediti e nuove sinergie creative e insieme incontrano il pubblico, scambiando esperienze ed emozioni in momenti che vanno anche al di là del concerto.



Teatro Comunale di Bologna

Primavera al Comunale

Grandi solisti e bacchette di prestigio per la stagione sinfonica, capolavori del belcanto e classici del balletto per le stagioni di opera e danza

Da sinistra: Asher Fisch, la nuova Turandot e Kevin Zhu 26

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opo il successo del concerto inaugurale lo scorso 2 febbraio al Teatro Manzoni con Juraj Valčuha sul podio per la monumentale Sinfonia n. 6 “Tragica” di Gustav Mahler, la Stagione Sinfonica 2019 del Teatro Comunale di Bologna prosegue con nove appuntamenti grazie ai quali si potrà approfondire il grande repertorio classico otto-novecentesco, con concerti proposti prevalentemente nel fine settimana in orario serale e pomeridiano. Gradito ritorno, domenica 3 marzo (Teatro Comunale, ore 17.30), per la sudcoreana Shiyeon Sung che, dopo il fortunato debutto della scorsa stagione, proporrà la Sinfonia n. 8 op. 88 in sol maggiore di Antonín Dvořák e la Suite da Il mandarino meraviglioso di Béla Bartók, affiancate al Concerto n. 1 in do maggiore op. 15 per pianoforte e orchestra di Ludwig van Beethoven interpretato da Andrea Lucchesini. Segue, mercoledì 10 aprile (Teatro Comunale, ore 20.30), il doppio debutto al Comunale della giovane direttrice lituana Giedrė Šlekytė e di Kevin Zhu, nuovo talento del violino, vincitore a soli 17 anni del prestigioso Premio Paganini, con un programma interamente dedicato a Pëtr Il’ič Čajkovskij: il Concerto per violino e orchestra op. 35 in re maggiore e la Sinfonia n. 6 op. 74 in si minore “Patetica”. Secondo appuntamento mahleriano di stagione dopo l’inaugurazione, domenica 14 aprile (Teatro Comunale, ore 17.30), con Asher Fisch, grande specialista del repertorio wagneriano e romantico tedesco – di ritorno al Comunale anche con Fidelio dal 10 novembre – e le voci di Charlotte-Anne Shipley e Lioba Braun, che eseguiranno la Sinfonia n. 2 in do minore detta “Resurrezione”. Il direttore d’orchestra israeliano sarà protagonista di un ulteriore concerto sabato 26 ottobre (Teatro Comunale, ore 20.30) nel quale, insieme alla giovane formazione cameristica Ars Trio di Roma – composta da Laura Pietrocini al pianoforte, Marco Fiorentini al violino e Valeriano Taddeo al violoncello – affiancherà alla Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92 di Ludwig van Beethoven la nuova commissione del Comunale ad Alessandro Solbiati intitolata SINOPIA per or-

Foto Nik Babic

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Sinfonica

chestra e il Concerto dell’Albatro di Giorgio Federico Ghedini, ispirato a un passo di Moby Dick di Herman Melville (autore di cui ricorrono nel 2019 i duecento anni dalla nascita). Sarà un’esperienza di grande valore spirituale in un luogo carico di storia come la Basilica di San Petronio il concerto che mercoledì 17 aprile (ore 20.30) vedrà il nuovo Maestro del Coro del TCBO Alberto Malazzi alla guida dell’Orchestra e del Coro femminile del Teatro Comunale, in una selezione di capolavori sacri di grande raffinatezza che includerà gli Stabat Mater di Giuseppe Tartini e di Franz Lachner, brani a due voci di Orlando di Lasso, estratti dall’Ave Maria op. 12 di Johannes Brahms e la Messe à trois voix di André Caplet. Domenica 12 maggio (Teatro Auditorium Manzoni, ore 20.30), saranno invece le due star internazionali Mariella Devia e Gregory Kunde al centro del galà lirico dedicato al grande melodramma italiano con sinfonie e arie da Gaetano Donizetti, Vincenzo Bellini, Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Pietro Mascagni e Umberto Giordano, con la direzione di Paolo Arrivabeni. Il grande soprano italiano tornerà al Comunale dopo il successo di Norma nel 2013, mentre il tenore americano, già protagonista della tournée parigina al Théâtre des Champs-Elysées nella scorsa stagione, sarà impegnato dal 28 maggio anche in Turandot. Programma interamente francese domenica 19 maggio (Teatro Auditorium Manzoni, ore 17.30) per una presenza frequente nelle ultime stagioni al Comunale come Frédéric Chaslin che, con la partecipazione della Prima Viola dell’Orchestra Enrico Celestino, proporrà la sinfonia Harold en Italie di Hector Berlioz – di cui ricorre nel 2019 il cento-


cinquantesimo della scomparsa – accanto al Prélude à l’après-midi d’un faune di Claude Debussy e alla Sinfonia in si bemolle maggiore op. 20 di Ernest Chausson. Generazioni russe a confronto, sabato 23 novembre (Teatro Comunale, ore 20.30) con il giovane direttore Valentin Uryupin, vincitore nel 2017 del Sir Georg Solti International Conductors’ Competition di Francoforte, che proporrà la Sinfonia n. 3 in re maggiore op. 29 “Polacca” di Pëtr Il’ič Čajkovskij; al pianoforte debutterà l’ucraino Antonii Baryshevskyi, giovane talento già pluripremiato e affermato a livello internazionale, impegnato nel Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 op. 102 di Dmitrij Šostakovič e nella Fantasia slava in sol minore di Ottorino Respighi. Infine, giovedì 28 novembre (Teatro Comunale, ore 20.30), l’israeliano Dan Ettinger, direttore musicale dei Stuttgarter Philharmoniker, chiuderà il ciclo dedicato a Mahler con la Sinfonia n. 5 in do diesis minore.

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Opera e Danza

ono particolarmente ricchi di proposte, nei mesi che precedono l’estate, i cartelloni d’Opera e di Danza 2019. Il primo presenta ben quattro titoli: si parte con una nuova produzione tutta italiana del Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini (17-28 marzo) diretta da Federico Santi e con la regia di Federico Grazzini; protagonisti Antonino Siragusa, Marco Filippo Romano, Cecilia Molinari e Roberto De Candia. Accanto al Barbiere, la ripresa del Rigoletto di Giuseppe Verdi (19-30 marzo) firmato da Alessio Pizzech nel 2016, con una proposta rinnovata nei costumi dei protagonisti. La direzione sarà affidata a Matteo Beltrami, mentre sul palco nelle parti principali Alberto Gazale, Stefan Pop, Desirée Rancatore, Anastasia Boldyreva e Abramo Rosalen. Entrambi i titoli saranno proposti anche in tournée in Giappone dal 10 al 27 giugno. Lo stretto sodalizio con il Festival Verdi si rinnoverà con il terzo grande titolo verdiano della stagione: La traviata (28 aprile-8 maggio), realizzata da Andrea Bernard e inserita nella scorsa edizione della rassegna. Lo spettacolo sarà diretto da Renato Palumbo, con interpreti di ri-

lievo quali Mariangela Sicilia, Francesco Castoro e Simone Del Savio. A seguire Turandot di Giacomo Puccini (28 maggio-7 giugno), presentata nella nuova produzione di Fabio Cherstich ambientata nella Cina del futuro (2070) con i video, le scene ed i costumi del collettivo di visual artists russi AES+F, diretta da Valerio Galli. In scena grandi solisti internazionali come Hui He, Gregory Kunde, Mariangela Sicilia e In Sung Sim. Il secondo cartellone propone in primavera due titoli di estremo fascino. Il 5 e 6 aprile (ore 20.30 e ore 18.00) spazio a un grande classico ottocentesco come Il lago dei cigni di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Eseguito dal Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo di Napoli diretto da Giuseppe Picone, al suo debutto al Comunale, il balletto è proposto nella rivisitazione storica del coreografo cubano Ricardo Nuñez, che con questa produzione vinse a Venezia il premio della critica nel 1994. Sul palco la Prima ballerina del Balletto Nazionale Olandese Maia Makhateli nel doppio ruolo di OdetteOdile, ovvero il Cigno bianco e il Cigno nero, e il solista Alessandro Staiano nel ruolo del principe Sigfrido. Segue il debutto al Comunale di una delle compagnie più interessanti della danza internazionale, il Ballet Nice Méditerranée, diretto dal 2010 dal grande danzatore e coreografo Éric Vu-An, con un programma di classici del balletto moderno intitolato Trittico (11 e 12 maggio, ore 20.30 e ore 15.30), presentato per la prima volta in Italia. Stella dell’Opéra de Paris, Éric Vu-An arriva a Bologna accompagnato dalla fama di una carriera eclettica, che si estende al cinema e al teatro, con le riprese di tre lavori firmati da alcuni dei maggiori coreografi contemporanei.

CONTATTI E ORARI DELLA BIGLIETTERIA Mar > Ven 12.00 – 18.00, Sab 11.00 – 15.00 Tel. +39. 051.529019 / Fax +39. 051.529995 / boxoffice@comunalebologna.it Nei giorni feriali di spettacolo: per l’Opera e la Danza da 2 ore prima e fino a 15 minuti dopo l’inizio della recita; per la Sinfonica da 1 ora prima e fino a 15 minuti dopo l’inizio del concerto. Nei giorni festivi di spettacolo: da un’ora e mezza prima e fino a 15 minuti dopo l’inizio dell'evento. Per informazioni: www.tcbo.it


Le parole della musica

Il preludio

Giordano Montecchi ci svela la storia di questa forma che, nata nella musica liturgica e sviluppata da Bach, ha poi raggiunto vette di inarrivabile poesia

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Nella foto: Johann Sebastian Bach, manoscritto del Preludio in do maggiore dal Clavicembalo ben temperato (I Libro) 28

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MUSICA INSIEME

n chiesa, il canto liturgico, seppure crudelmente decaduto, è ancora praticato. Se è accompagnato da uno strumento – organo, armonium o anche, piaccia o no, chitarra – l’accompagnatore in genere provvede a “dare la nota”. Ecco: quella nota è quel che sopravvive di ciò che in origine era il preludio. Una nota triste, se si pensa a quanto è andato perduto per strada, lasciando quel moncherino a dirci come intonare il canto. Nato e fiorito in seno alla musica liturgica, il preludio nasce oltralpe e matura di pari passo con il prepotente affermarsi dell’organo da chiesa, soprattutto in Germania, dove Lutero e la Riforma decretano la fortuna non solo dell’organo e del canto corale, ma della musica tout court. In ambito strumentale, il primo beneficiario di questa fortuna è proprio il preludio. I primi esempi scritti sono del XV secolo, ma, all’epoca e ancor prima, più che scrivere si improvvisa. Ogni qualvolta si canta un Kirchenlied, cioè quel canto da chiesa che noi chiamiamo “Corale”, scritto o improvvisato, serve un preludio per dare l’avvio. Può essere breve, semplice, di pochi accordi. Ma volendo anche ampio, ricco di contrappunto o di virtuosismo. Più genere che forma vera e propria, il preludio, fedele alle sue origini improvvisate, conserva la sua natura libera anche nel nome, con quel florilegio di sinonimi nati con lui: “Tastar de corde”, “Intonatione”, “Intrada”, “Recercare”, “Tiento”, “Toccata”… Per un canto in re serviva un preludio in re, per uno in sol un preludio in sol, e così via, tanti quanti erano i possibili “modi” (o, dal Settecento in avanti, “tonalità”) di un canto. Da questa motivazione molto concreta nascerà poi quella consuetudine che oggi tutti riconduciamo a Bach, Chopin, Šostakovič e altri ancora: cioè la raccolta di 24 preludi in tutte le tonalità, maggiori e minori. L’apoteosi del genere fu Johann Sebastian Bach: i suoi innumerevoli “Preludi corali” per organo, i 48 preludi e fughe dei due libri del Clavicembalo ben temperato e, ancora, i preludi che aprono le Suites o che precedono le tante fughe organistiche. Quanto all’Italia, il preludio non vi ha mai messo radici solide. Uno dei pochi fu Arcangelo Corelli, che lo mise in testa a 25 sonate e 4 concerti grossi.

Ma nel paese dove la musica strumentale cedeva all’opera il termine non ha avuto molto corso. A spopolare, fino a Ottocento inoltrato, in veste di introduzione, è stata semmai la sinfonia (“Sinfonia avanti l’opera”), ossia la versione italiana dell’ouverture. Aprire un’opera con un preludio anziché una sinfonia o un’ouverture, più ingombranti e strutturate, è una scelta anticonformista, di libertà. Succede con Verdi, nelle cui opere il preludio batte la sinfonia 12 a 9. E con Wagner al quale il preludio (Vorspiel) deve pagine supreme: basta dire Tristan und Isolde o Parsifal. Come spesso accade in musica, strada facendo il preludio si liberò anche della sua funzione originaria, arrivando così ai tanti indimenticabili preludi che “non preludono”. Tuttavia, giocando con le parole, potremmo dire che i Preludi op. 28 di Chopin preludono eccome: lo testimonia, decenni dopo, la magnifica fioritura di preludi pianistici che a lui si ispira. I nomi di spicco sono Skrjabin e Rachmaninov, ma c’è un livello ancora più elevato: Claude Debussy che, con i due libri di Préludes, segna uno dei vertici insuperati del pianismo novecentesco. Nel 1894, il giovane Debussy aveva scritto anche quel Prélude à l’après-midi d’un faune che non è solo un omaggio a Mallarmé. Era un omaggio all’idea stessa del preludiare, cioè della libertà formale. Ed era anche preludio in senso letterale: preludio del suo autore, nuovo padreterno della musica; e di un secolo che avrebbe provocato un bello scompiglio, in musica e non solo.



I luoghi della musica

LA “VIOLETA” della Il Convento del Corpus Domini conserva uno degli strumenti ad arco più antichi d’Europa, appartenuto a Caterina de’ Vigri, a testimonianza della lunga tradizione della liuteria bolognese di Maria Pace Marzocchi

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ella prima sala del Museo del violino di Cremona, dedicata all’origine dello strumento, è esposta la violetta con ponticello piatto, copia dello strumento di Caterina de’ Vigri (ante 1463), realizzata dalla Scuola Internazionale di Liuteria “A. Stradivari” di Cremona; un’altra copia, del Maestro Liutaio Alessandro Urso (2015), è al Museo della Regia Accademia Filarmonica di Bologna. La violetta originale, piccolo strumento ad arco a quattro corde con due tavole armoniche ricavato da un pezzo unico di legno d’acero, è forse il più antico strumento ad arco europeo sopravvissuto pressoché integro, verosimilmente una viella o ribeca adattata a viola da braccio. Pur in assenza di documenti, la si può ipotizzare di fattura bolognese: tra Quattro e Cinquecento Bologna era infatti il principale centro di costruzione di liuti in Italia, e uno dei più importanti in Europa. È custodita assieme all’archetto in legno e osso in una teca nella Cappella di Santa Caterina nella chiesa del Convento del Corpus Domini, detto “Chiesa della Santa”. La Santa è Caterina de’ Vigri, o Caterina da Bologna, qui nata nel 1413 e qui morta nel 1463 nel Convento di clarisse da lei fondato e di cui fu badessa. Co-patrona della città, per le sue doti di pittrice e miniaturista fu proclamata Protettrice dell’Accademia Clementina. Trasferita ancora bambina a Ferrara dove il padre Giovanni de’ Vigri, patrizio ferrarese, era al servizio del marchese Niccolò III d’Este, entrò a corte come damigella di Margherita d’Este, ricevendo una raffinata educazione umanistica: lettere e latino, bella grafia, pittura, miniatura, danza e musica. Abbracciata la

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Santa

vita monastica, nel 1431 fondò il Convento del Corpus Domini di Ferrara, fino a che nel 1456 fu chiamata a Bologna dal Cardinal Bessarione per fondarvi un cenobio di clarisse, il Monastero del Corpus Domini. Il corpo incorrotto di Caterina, canonizzata nel 1722, ma venerata già in vita, è esposto ai fedeli nella sua cappella: seduta sul trono dorato, dono dei Bentivoglio, è affiancata da due angeli musici di legno dorato con lira e liuto dello scultore Giuseppe Mazza, che negli anni Ottanta del Seicento affiancò il pittore Marcantonio Franceschini nel rinnovamento della decorazione della chiesa, da cui sortì uno degli edifici più spettacolari del barocco bolognese. Purtroppo perdute le pitture della volta centrale, polverizzate dallo scoppio di una bomba nel 1943, restano quelle della cupola con l’Apoteosi di Santa Caterina, minuziosamente recuperate, e la volta della cappella, dove risuona un armonico Concerto di Angeli. Tra le reliquie, accanto alla preziosa “Violeta”, dipinti e manoscritti miniati da Caterina. Nella Basilica di San Petronio c’è una statua monumentale, Caterina Vigri con la sua viola. Fu realizzata nel 1675 nell’ambito dei lavori di rinnovamento della tribuna dell’altare maggiore e collocata, a pendant di Santa Cecilia, nella nicchia verso l’abside in contiguità dell’organo “in cornu Evangelii”. A lei è dedicato l’oratorio La Beata Caterina da Bologna tentata di solitudine musicato nel 1692 dal conte Pirro Albergati, messe cantate solenni erano celebrate dall’Accademia dei Filomusi, e tuttora in marzo si celebra l’Ottavario cui partecipano numerosi cori bolognesi. Ma l’amore per la musica di Caterina è testimoniato soprattutto dalla “Violeta” che le fu di conforto nell’ultimo anno di vita e di malattia: «In oltre fu di bisogno le si trovasse una violetta, e quella più volte sonando ella pareva tutta si dileguasse come fa cera al foco; ora cantava, ora tenea la faccia verso il cielo stando come muta…». MONASTERO DEL CORPUS DOMINI via Tagliapietre 23, Bologna



I viaggi di Musica Insieme

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VIAGGIARE PER CONCERTI Mosca

la capitale russa la meta dell’annuale viaggio di Musica Insieme, che dal 28 al 31 marzo 2019 ci accompagnerà alla scoperta di Mosca, dei suoi tesori e della sua storia, con due importanti momenti musicali: il 29 marzo assisteremo al concerto inaugurale del X International Rostropovich Festival, che avrà luogo nella Sala Grande del Conservatorio di Mosca, protagonisti l’Orchestra del Teatro Real di Madrid e la solista Leticia Moreno, impegnati in musiche di Ravel, Stravinskij e de Falla. Il giorno successivo avremo invece l’occasione di assistere alla Finale del Concorso

pianistico internazionale “Vladimir Krainev”, quando la Russian Philharmonic Orchestra accompagnerà i pianisti destinati a contendersi il podio del prestigioso premio. Sede della manifestazione sarà il recentissimo International Performing Arts Center, dove l’architettura più moderna si sposa a un’acustica avvolgente come le sue forme. Un’inaugurazione e una finale internazionali quindi, per aggiungere un ulteriore tassello ai viaggi che Musica Insieme organizza da oltre un ventennio nelle capitali più affascinanti della cultura e dell’arte, da Budapest a Lisbona, da Londra a Istanbul…

Di fianco: l’International Performing Arts Center A destra: la Piazza Rossa con la Cattedrale di San Basilio e il mausoleo di Lenin.

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Bologna e Ravenna

2019 - mercoledì 5 giugno Palazzo Mauro de André (Viale Europa, 1 – Ravenna) – ore 21

Orchestra Giovanile Luigi Cherubini Maurizio Pollini pianoforte / Riccardo Muti direttore programma da definire

Disponibilità limitata. Per informazioni e prenotazioni rivolgersi alla Fondazione Musica Insieme: 051-271932 – info@musicainsiemebologna.it

Foto Cosimo Filippini

ue lezioni di piano da non perdere, quest’anno dentro e fuori le mura. Grazie al recente accordo di collaborazione con Ravenna Festival, Musica Insieme offre al proprio pubblico l’opportunità di assistere a due grandi eventi acquistando un pacchetto che comprende il concerto di Radu Lupu al Teatro Comunale di Bologna il 12 aprile e il concerto di Riccardo Muti e Maurizio Pollini al Palazzo Mauro de Andrè di Ravenna il 5 giugno, con un servizio pullman andata e ritorno da Bologna organizzato da Musica Insieme.


I CONCERTI marzo / maggio 2019 Lunedì 4 marzo 2019

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

FAZIL SAY.........................................................................pianoforte Debussy, Say, Beethoven Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Lunedì 18 marzo 2019

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

CAROLIN WIDMANN..............................................violino DÉNES VÁRJON..........................................................pianoforte Schumann, Debussy, Veress Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

Lunedì 8 aprile 2019

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

QUATUOR MODIGLIANI ALESSANDRO CARBONARE..........................clarinetto Brahms Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Lunedì 6 maggio 2019

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

GILLES APAP & THE COLORS OF INVENTION MYRIAM LAFARGUE..................................................fisarmonica LUDOVIT KOVAC............................................................cimbalom PHILIPPE NOHARET...................................................contrabbasso GILLES APAP................................................................... violino Pugnani / Kreisler, de Falla, Ravel, de Sarasate, Ysaÿe, Mozart, Saint-Saëns, Ravel Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Lunedì 20 maggio 2019

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

ORCHESTRA DELLA TOSCANA EDGAR MOREAU.......................................................violoncello DANIELE RUSTIONI................................................direttore Bizet, Saint-Saëns, Sibelius Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme: Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278 info@musicainsiemebologna.it - www.musicainsiemebologna.it - App MusicaInsieme




Lunedì 4 marzo 2019

DA EST a Ovest

L’attesissimo recital di Fazil Say propone due opere del pianista e compositore turco, accostate a Beethoven e Debussy di Valentina De Ieso

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a Terra Nera copre tutti i nostri peccati e cura le ferite / Sta aspettando il mio arrivo a braccia aperte». Così si conclude Kara Toprak (“Terra Nera”), una lirica di Aşık Veysel, l’ultimo tassello della millenaria storia dei cantori tradizionali turchi, cui si è ispirato Fazil Say in Black Earth. La “Terra Nera” è Sivas, una città del cuore dell’Anatolia dove il cantore era nato nel 1891. Kara Toprak è un canto di nostalgia, di lontananza, di rimorso: «Ho colpito con la vanga la Terra Nera e lei mi ha dato pecore e latte. Le ho strappato la faccia e mi ha dato una rosa. Le ho donato un solo seme e mi ha donato quattro frutteti». Nell’introduzione del brano, imperniata su melodie folkloriche, Fazil Say riesce mirabilmente a riprodurre il timbro del saz, un liuto tradizionale turco, suonato con il plettro, trattenendo le corde del pianoforte con la mano sinistra. Il compositore è solito fondere insieme le sue varie esperienze musicali, quelle che vanno, appunto, dal folklore della sua terra natale alle sonorità del jazz e, naturalmente, quelle del repertorio classico, sempre mantenendo una finestra

FAZIL SAY

Foto Marco Borggreve

Da oltre venticinque anni Fazil Say incanta critica e pubblico con la sua straordinaria tecnica pianistica, unita a un’espressività che arriva dritta al cuore. Una precisa visione estetica, la raffinata sensibilità e il brillante virtuosismo permettono a Say di dominare la delicata arte dell’improvvisazione. Come compositore ha al suo attivo lavori per pianoforte solista, musica da camera e brani per orchestra; ha ricevuto commissioni fra gli altri dal Festival di Salisburgo, dalla WDR di Colonia, dal Festival dello Schleswig-Holstein e dalla Biennale di Monaco. Invitato come solista dalle più prestigiose orchestre, in ambito cameristico collabora con Patricia Kopatchinskaja, Sol Gabetta, Maxim Vengerov.

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MUSICA INSIEME

aperta sull’improvvisazione, un elemento imprescindibile di quel mondo che è tramontato con la morte di Aşık Veysel, che richiama secoli di canti del Mediterraneo, a ritroso tra cantori arabi, trovatori occitani e aedi greci. In fondo, Veysel era cieco, proprio come Demodoco, l’aedo più celebre dell’Odissea, e come la tradizione vuole fosse lo stesso Omero (letteralmente “Colui che non vede”). Yürüyen Köşk (“Il palazzo che cammina”), scritta nel 2017, è ispirata a un episodio della vita di Atatürk. Egli aveva fatto costruire una sorta di fattoria ideale, basata sulle più moderne tecnologie. Nel mezzo cresceva un platano rigogliosissimo che rischiava di danneggiare un edificio. Si racconta che, piuttosto che tagliare la pianta, Atatürk ordinò di spostare l’edificio. In quattro movimenti – Illuminazione, Lotta contro l’oscurità, Credere nella vita, Il platano – questo brano fonde tutti i colori della musica di Say, in un ideale ponte tra Oriente e Occidente.


LUNEDÌ 4 MARZO 2019 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

FAZIL SAY

pianoforte

Claude Debussy da Préludes (I libro): La Cathédrale engloutie – Minstrels La fille aux cheveux de lin La danse de Puck – Danseuses de Delphes “Les sons et les parfums tournent dans l’air du soir” Fazil Say Yürüyen Köşk op. 72 Black Earth Ludwig van Beethoven Sonata n. 29 in si bemolle maggiore op. 106 Hammerklavier

Numerosi sono i riferimenti extra-musicali anche nei Préludes di Debussy, eppure, fin dalla prima edizione, il compositore appose i titoli tra parentesi in fondo allo spartito, quasi fossero dei commenti da leggere a posteriori, come suggestioni scaturite dalla musica e non viceversa. Scritti tra il 1910 e il 1913, i Préludes, divisi in due libri, sono 24 come quelli del Clavicembalo ben temperato di Bach e come quelli di Chopin, ma non seguono nessuno schema tonale e nemmeno evitano di riproporre più volte una stessa tonalità. In Debussy è forte il richiamo all’antico: il primo Preludio, Danseuses de Delphes, richiama una colonna del santuario di Apollo a Delfi, decorata con tre figure femminili, forse tre danzatrici. Sembra quasi un prologo programmatico: la loro eterna danza circolare, ciclica e senza fine, crea un tempo sospeso, come quello che il compositore genera con la propria musica. Non solo le arti figurative, ma anche la poesia, erano il giacimento inesauribile della fantasia di Debussy: ecco dunque che “Les sons et les parfums tournent dans l’air du soir” riconduce a un verso di Harmonie du soir di Baudelaire, tratto da I fiori del male. «Suoni e profumi volteggiano nell’aria della sera: / Valzer melanconico e languida vertigine». Ancora una danza, dunque, un valzer questa volta, sulle cui ultime note, acutissime e in pianissimo, compare la dicitura “come un lontano squillo di corni”. I versi di Leconte de Lisle affiorano invece da La fille aux cheveux de lin e quelli di Shakespeare da La danse de Puck, una sorta di scena teatrale del folletto e del suo signore Oberon. La Cathédrale engloutie si ispira invece alla leggendaria isola di Ys – sommersa per colpa dell’imprudente principessa Dahut – la cui cattedrale riemerge all’alba, a perenne monito per i vivi. Le onde, le campane e un organo cantano tra le corde del pianoforte, con effetti timbrici sorprendenti. L’ultimo Preludio, Minstrels, a dispetto del nome, non ha a che fare con i menestrelli medievali, quanto con la Minstrelsy, uno

spettacolo popolare con personaggi afro-americani che aveva incuriosito Debussy, sempre affascinato dalle sonorità di mondi esotici e lontani. Priva di riferimenti extra-musicali e vero monumento alla musica pura è invece la Sonata n. 29 op. 106 che Beethoven scrisse tra il 1817 e il 1819. Come tutte le sue ultime opere è un concentrato di contenuto, superamento dei canoni, testamento spirituale e squarcio nel velo del futuro. Il nome di “Hammerklavier” (pianoforte a martelli) con cui è stata pubblicata non sembra alludere a nulla di specifico: quale delle 32 sonate non è per pianoforte? Eppure, in piena Restaurazione, un nome così tedesco non poteva che omaggiare il dedicatario, l’Arciduca Rodolfo d’Asburgo, figlio dell’Imperatore Leopoldo II. Ampia, ardua all’inverosimile per l’interprete, tanto che Beethoven scriveva all’editore: «Ecco una Sonata che darà del filo da torcere agli esecutori», l’opera 106 si apre con l’allusione ad una sorta di fanfara, cui corrisponde, nei numerosi schizzi rimasti fra le carte del compoLo sapevate che Say è sitore, la dicitura “Vivat Vivat Rodulphus”. Ogni movimento amico e vicino di casa è denso e dilatato, ma è il fidel celebre scrittore Orhan nale il grande capolavoro della Pamuk, con cui condivide Sonata: una fuga a tre voci intricatissima, perfetta nella sua l’amore per Istanbul complessa architettura, ma e numerose cene “con alcune licenze”, come ci avverte Beethoven. In quegli anni, sempre per l’Arciduca, egli stava infatti scrivendo la Missa Solemnis e dunque possiamo supporre che stesse approfondendo lo studio dello “stile severo”. È così che, ormai completamente sordo, prostrato dalla vita e spinto oltre il limite dell’estro creativo, si è affacciato sulla vertiginosa discesa nel contrappunto più astruso.

DA ASCOLTARE

Nero vestito. Tavolaccio nero di legno. Sedia nera. Raggio di luce caravaggesco, con lo sguardo rivolto appunto verso la luce, che arriva (per chi guarda) da destra. Così il pianista e compositore Fazil Say si è lasciato ritrarre per la copertina del suo recente tributo a Chopin, l’integrale dei Notturni pubblicata nel 2017 dalla Warner. Citiamo Chopin perché non è il compositore più presente nella discografia di Say, dove anzi domina Mozart, e molte sono le scelte inusuali. Tra le tante citiamo Secrets: French Songs, album sempre del 2017, questa volta per la Erato, realizzato assieme al mezzo-soprano Marianne Crebassa. Debussy, Ravel, Fauré e Duparc nella tracklist. Ancora francese (Debussy, Satie) la sua ultima fatica discografica, che il lettore troverà più avanti nella rubrica Da ascoltare.

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Foto Lennard Ruhle

Lunedì 18 marzo 2019

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con concerto

Carolin Widmann debutta a Bologna al fianco di Dénes Várjon con un programma di celebri sonate per violino e pianoforte di Maria Chiara Mazzi

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uando, a metà Settecento, i grandi violinisti iniziano a farsi applaudire in tutta Europa, le sonate per violino e tastiera diventano un curioso esempio di ossimoro musicale: la “musica da camera”, cioè la musica “da casa” privata e per dilettanti, diventa “musica da concerto”, genere pubblico per abilissimi professionisti. Le due destinazioni convivranno (fino a che esisteranno dilettanti suonatori), ma a partire dalle ultime grandi sonate di Mozart e da quelle di Beethoven, a prendersi la scena, a fianco dei grandi virtuosi che compongono per mostrare la loro abilità, cominciamo a trovare i grandi compositori. E, da Beethoven in poi, ciascuno si sentirà quasi in obbligo di avere nel proprio catalogo almeno una sonata dedicata a questo organico. Tuttavia, per una curiosa coincidenza (o per la paura del confronto?), le sonate per violino e pianoforte sono quasi sempre collocate o all’inizio o nella piena maturità della carriera compositiva: all’inizio, quando si ha la voglia (e l’incoscienza) di affrontare un genere di sicuro successo; alla fine, quando ci si sente finalmente degni di un genere con tanta storia sulle spalle. Un discorso che vale anche per i tre autori di questo programma. Ha venticinque anni l’ungherese Sándor Veress nel 1932 quando compone la sua prima Sonatina. È allievo di Bartók e Kodály, è come loro un etnomusicologo… e come loro vuole usare le proprie ricerche per modificare la musica da concerto. Così, la tradizionale forma in tre tempi alternati agogicamente viene innervata dal senso più vero della musica popolare: la lunga melopea dell’arco del movimento centrale è infatti preceduta e seguita da due movimenti brillanti dove l’impulso ritmico, l’uso percussivo della tastiera, la brillantezza e la frammentazione melodica non possono non ricordare l’atteggiamento verso il popolare dei suoi grandi maestri. Per Schumann e Debussy, invece, la sonata per violino e pianoforte è un punto di arrivo, non di partenza. Schumann recupera le forme della tradizione dopo il 1840 (dopo lunghi anni di esclusiva applicazione al pianoforte e dopo un passaggio nel Lied), non come porto sicuro dopo tanto vagare, ma per aprirsi a più ampie prospettive. Egli sente infatti che strutture “neutre” e di più vasto respiro lo aiuteranno a organizzare un pensiero che fino a quel momento si era realizzato nelle pagine aforistiche dei grandi cicli legati a riferimenti poetici e filosofici extramusicali. E dopo avere affrontato il quartetto, la sinfonia e il concerto solistico, alla fine del 1851 compone le due sonate per violino e pianoforte. Per la loro difficoltà concettuale e per la loro distanza da ciò che il pubblico si aspettava dalla musica per questo or-

LUNEDÌ 18 MARZO 2019 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

CAROLIN WIDMANN violino DÉNES VÁRJON pianoforte

Robert Schumann Sonata n. 1 in la minore op. 105 Claude Debussy Sonata in sol minore Sándor Veress Sonatina Robert Schumann Sonata n. 2 in re minore op. 121 – Grosse Sonate

ganico, esse non godettero all’epoca di grande popolarità né presso gli ascoltatori né presso gli esecutori, che preferivano pagine di sicura tradizione (come quelle di Beethoven) oppure di più estroversa spettacolarità virtuosistica. La Sonata op. 105 è la prima delle due e già l’indicazione del primo movimento “Con espressione appassionata” ne dichiara l’appartenenza ad un clima emotivo che con la compostezza classica o con il tecnicismo esibizionistico ha poco a che fare. La calda effusività del primo tema si trasforma poi nell’atmosfera sognante del secondo, mentre il grandioso Finale recupera a tratti l’idea principale del primo tempo, riproponendo quella concezione ciclica che è sigla distintiva delle grandi strutture schumanniane. «Non ero soddisfatto della prima Sonata – scrive l’autore – sicché ne ho composta un’altra che spero sia riuscita meglio». E in effetti la Grosse Sonate op. 121 supera la precedente, sia dal punto

I PROTAGONISTI

La brillante carriera di Carolin Widmann abbraccia i grandi concerti classici, nuove commissioni scritte per lei, recital e un’ampia attività nel campo della musica da camera. Nominata artista dell’anno agli “International Classical Music Awards” nel 2013, Widmann suona con compagini quali la Philharmonia Orchestra, la London Philharmonic, la TonhalleOrchester di Zurigo, collaborando con direttori come Sir Simon Rattle, Riccardo Chailly e Pablo Heras-Casado. Ospite regolare della Wigmore Hall, Widmann si esibisce spesso in duo con Dénes Várjon, la cui tecnica sensazionale e la profonda musicalità ne hanno fatto un protagonista indiscusso della scena internazionale. Eccellente solista e interprete del repertorio cameristico, collabora con artisti quali Isserlis, Zimmermann, Kavakos, Schiff, Holliger, Perényi e Bell.

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Lunedì 18 marzo 2019

di vista formale che da quello dell’elaborazione interna. La sua grandiosità drammatica è già evidente nel primo movimento, nel quale sono egualmente distanti la “musica da salotto”, la “fantasia virtuosistica da concerto” e il ricordo beethoveniano. Ci troviamo di fronte, infatti, a un itinerario del tutto nuovo che fornisce espressione concreta ad un’ansia creativa, tradotta in tensione dialettica tra due strumenti che si alternano nei continui rimandi tematici. Nello Scherzo la tensione si allenta in una vivace danza popolaresca, mentre il terzo movimento è una dolce serenata, strutturata sull’idea di un tema e variazioni. Il movimento conclusivo, quasi a chiudere il cer-

DA ASCOLTARE

Carolin Widman ha al suo attivo una discografia se non ricca nei numeri, certamente nelle scelte. Assieme a Dénes Várjon ecco l’integrale delle Sonate di Robert Schumann, pubblicata dalla ECM nel 2008. Ed è proprio l’etichetta fondata da Manfred Eicher ad accogliere la maggior parte delle incisioni della violinista tedesca. Tra queste segnaliamo Violin and Orchestra di Morton Feldman realizzata insieme all’Orchestra della Radio di Francoforte con Emilio Pomarico sul podio (2013) e un tutto Schubert, assieme ad Alexander Lonquich, registrato l’anno precedente. Tra le produzioni più interessanti, ecco Carolin Widmann con la London Philharmonic Orchestra, sul podio Vladimir Jurovskij, nell’album che la stessa LPO ha pubblicato dedicandolo alla musica del compositore britannico contemporaneo Julian Anderson (LPO-0089, 2016).

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MUSICA INSIEME

Lo sapevate che prima di affrontare lo studio di un brano contemporaneo, Carolin Widmann si prepara con un allenamento particolare: i Capricci di Paganini chio, ritorna all’idealità costruttiva del primo in una pagina grandiosamente dilatata. Anche la Sonata di Debussy è frutto tardivo: dopo una straordinaria stagione creativa, le tre sonate (oltre a questa, quella per violoncello e pianoforte e quella per flauto, viola e arpa), composte tra il 1915 e il 1917, costituiscono il suo ultimo approdo musicale, dove con la “musica pura” e il formalismo neoclassico si rinuncia al coinvolgimento emotivo e al riferimento extramusicale per trovare un rifugio razionale davanti agli orrori irrazionali della guerra. La composizione (eseguita il 5 maggio 1917 a Parigi nell’ultima apparizione pubblica del suo autore al pianoforte) è nei tre tempi tradizionali. Nel primo, due temi si incrociano e si alternano fino alla conclusione; dopo un secondo movimento dal carattere di “divertimento iberico”, il terzo è una sorta di moto perpetuo, come disse lo stesso Debussy: «gioco semplice di un tema che torna su se stesso come un serpente che si morde la coda». Quasi come la vicenda plurisecolare della sonata per violino e pianoforte…


Passione contagiosa > Intervista > Carolin Widmann delle opere. La tonalità e il timbro sono piuttosto oscuri e in un registro abbastanza grave. Queste sonate rientrano sicuramente nel mio repertorio preferito, sono così piene di fantasia, libertà, genuina espressività e autenticità... Schumann al suo meglio!». Schumann incornicerà Debussy e Veress. La Sonata del primo è universalmente conosciuta, la seconda è eseguita più raramente in Italia: come presenterebbe questo autore? «Sándor Veress è un compositore a mio avviso troppo trascurato. Amo in particolar modo la sua musica da camera e questa sonata per violino ancora di più! Spero che il pubblico italiano apprezzerà l’originalità, l’arguzia e l’energia ritmica di questo meraviglioso pezzo. In combinazione con i capolavori di Debussy e Schumann, è davvero un ulteriore gioiello». Da Schumann a Veress, il programma attraversa un ricco percorso attorno alla sonata come forma musicale: c’era un “piano” nella scelta del repertorio per questo recital? «Il mio “piano” era sicuramente quello di mostrare quanti più aspetti possibili della forma sonata, nonché del duo di violino e pianoforte. Pur provenendo geograficamente tutti dall’Europa, i linguaggi di questi tre compositori sono infatti incredibilmente diversi. Vorrei riuscire a far percepire al meglio al pubblico quanto sia ricco il patrimonio per i nostri strumenti, un universo tutto da ascoltare». (a cura di Camilla Marchioni)

Foto Lennard Ruhle

Al suo debutto a Bologna, Carolin Widmann si racconta al pubblico di Musica Insieme: da sempre impegnata nell’esplorazione del repertorio, la sua versatilità ne fa la protagonista di prime esecuzioni assolute e di incontri con le altre arti, come l’imminente progetto in collaborazione con la celebre performing artist Marina Abramović, che esplora proprio il modo di fare e ascoltare musica oggi. Dal momento che la ascolteremo per la prima volta a Bologna, siamo sicuri che il nostro pubblico sia curioso di conoscerla meglio. Come si presenterebbe? «Sono Carolin Widmann, musicista, violinista. Sono entusiasta di esibirmi a Bologna, non vedo l’ora. Di me direi che sono molto curiosa su tutto ciò che riguarda la musica, ma anche curiosa in generale… e che sono appassionatamente innamorata della mia professione: fare musica». Abbiamo già avuto il piacere di ascoltare suo fratello Jörg Widmann come clarinettista e compositore. Avete iniziato a suonare insieme? «Certamente, quando eravamo bambini mio fratello suonava il pianoforte, mentre io cantavo. Così ricreavamo insieme la Tosca o Il flauto magico. I nostri animaletti e orsacchiotti di peluche interpretavano i vari personaggi. Ad esempio, la mia pecora era la Regina della Notte!». Qual è stata la più grande sfida nella sua vita professionale? «Penso che le sfide più grandi le pongano i concerti in cui le circostanze non sono favorevoli, a causa di vari imprevisti. Quando il tuo aereo è in ritardo, o peggio il volo viene cancellato, o quando non hai abbastanza tempo per provare, per esempio. Ma a volte accadono miracoli e ne escono comunque concerti fantastici! A volte invece no, la vita è fatta così». A Bologna eseguirà due importanti Sonate di Schumann, di cui ha registrato l’integrale, ricevendo svariati premi, fra cui il Diapason d’Or. Come descriverebbe l’umore, per così dire, di queste opere del 1851? «Schumann scoprì il violino abbastanza tardi: tutte le sue composizioni per violino sono state scritte negli ultimi anni della sua vita. Penso che questo abbia avuto un’influenza sull’umore



Lunedì 8 aprile 2019

ma solo

Il Quartetto francese e il celebre clarinettista italiano si incontrano a Musica Insieme proponendo un programma tutto dedicato a Brahms di Francesco Corasaniti

QUATUOR MODIGLIANI

AMAURY COEYTAUX violino LOIC RIO violino LAURENT MARFAING viola FRANÇOIS KIEFFER violoncello

ALESSANDRO CARBONARE

clarinetto

Johannes Brahms Quartetto per archi n. 1 in do minore op. 51 n. 1 Quartetto per archi n. 2 in la minore op. 51 n. 2 Quintetto in si minore op. 115 per clarinetto e archi

Foto Luc Braquet

LIBERO

LUNEDÌ 8 APRILE 2019 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30


Lunedì 8 aprile 2019

I PROTAGONISTI Formatosi nel 2003, il Quatuor Modigliani si è guadagnato un posto tra i quartetti più ricercati nel panorama internazionale ed è ospite regolare delle sale più prestigiose, come Wigmore e Carnegie Hall, Philharmonie di Parigi, Konzerthaus di Vienna e Mozarteum di Salisburgo. Collabora con musicisti quali Sabine Meyer, Renaud Capuçon e Nicholas Angelich e dal 2014 dirige il Festival Rencontres Musicales d’Evian. Primo Clarinetto dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia dal 2003, dopo aver ricoperto il medesimo ruolo per un quindicennio all’Orchestre National de France, Alessandro Carbonare appare regolarmente al fianco di Orchestre quali Berliner Philharmoniker, Chicago Symphony e New York Philharmonic. Appassionato cultore della musica da camera, si esibisce anche con programmi jazz e klezmer collaborando fra gli altri con Paquito D’Riveira, Enrico Pieranunzi e Stefano Bollani.

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rudele detrattore, ma anche distruttore, di tante tra le proprie opere, Johannes Brahms è colpevole di aver strappato e bruciato pagine e pagine di sue composizioni di cui era insoddisfatto. Con i suoi quartetti per archi fu particolarmente accanito: ne scrisse quasi una ventina, tra conclusi e incompleti, prima di terminare i primi due considerati degni di pubblicazione, seguiti solo da un terzo esemplare tre anni dopo. Quando raggiunse questo traguardo il compositore era sulla soglia dei quarant’anni, ma i primi abbozzi del Quartetto op. 51 n. 1 risalgono ad almeno sette anni prima, quando Clara Schumann annotava nel suo diario di aver ascoltato Brahms suonare alcuni passaggi del Requiem tedesco e di un Quartetto in do minore. Fu proprio l’ascolto attento, critico, ma sempre incoraggiante di Clara ad avallare i due Quartetti op. 51, che, eseguiti per la prima volta dallo Hellmesberger Quartett, furono salutati da un caloroso, quanto imprevisto successo. In ogni caso valeva la pena di aspettare: vinto il timore di accostarsi a una delle forme più complesse del comporre, Brahms partorì un impressionante capola-


voro, tanto che nel suo celebre saggio Brahms il progressivo Schoenberg citò proprio il primo Quartetto come fulgido esempio della sua scrittura avanguardistica e gravida di futuro. Il primo movimento, un Allegro, quasi orchestrale nella sua ricchezza timbrica, svela infatti ardite soluzioni che si prendono inconsuete libertà dagli schemi dettati dalla consueta elaborazione tematica. Nel secondo movimento, la sognante Romanza, sembra addirittura di sentire il lontano richiamo di un corno, tanto forte è la ricerca del colore nelle corde degli archi. La contemplazione, comunque carica di tensione, ci porta verso l’Allegro molto moderato e comodo, che nel Trio allude a vivaci temi popolari. L’Allegro conclusivo, il movimento più complesso del Quartetto, riprende i temi dell’intera composizione, quasi come ne fosse il compendio, dove si pacificano l’irruenza del primo Allegro e la serenità della Romanza. Profondamente diverso, seppure composto parallelamente al primo, è il Quartetto in la minore op. 51 n. 2, meno intimo e intriso di simboli quasi alchemici. Il tema dell’Allegro non troppo iniziale, lunghissimo e volutamente ambiguo, prende forza nel corso del movimento, dove Brahms sembra asciugare la scrittura verso una trasparenza misteriosa. Si è più volte ipotizzato che la presenza nei temi del Quartetto delle note “A – F – A – E” (che “tradotte” dalla nomenclatura tedesca a quella latina corrispondono a “la – fa – la – mi”) alludesse al motto Frei aber einsam (Libero, ma solo), tanto caro all’amico violinista Joseph Joachim, grande sostenitore di Brahms nella sua ventennale battaglia col quartetto d’archi. Proprio per lui, vent’anni prima, il compositore, insieme a Schumamm e Albert Dietrich, aveva approntato una sonata “a sei mani” dall’allusivo titolo “F. A. E.”. «Per me F. A. E. è rimasto un simbolo, – scriveva ancora nel 1888 all’amico violinista – a dispetto di tutto, ancora da evocare»: un triste riferimento alla sua vita solitaria o al suo disperato amore per Clara Schumann? Dopo quasi vent’anni dalla pubblicazione dei Quartetti dell’opera 51, Brahms ultimò il Quintetto in si minore op. 115 per archi e clarinetto. Il compositore fino a quel momento non aveva manifestato un grande interesse per questo strumento, cui ha invece riservato pagine estremamente interessanti proprio nei suoi ultimi anni di vita. Nel 1891, ospite a Meiningen del duca Georg von Sachsen-Meiningen, aveva infatti fatto la conoscenza del virtuoso Richard von Mühlfeld, primo clarinetto dell’orchestra di corte. Proprio questo potrebbe essere il motivo della sua nuova vena creativa, scaturita oltretutto in un periodo di sterilità inventiva. In una lettera a Clara, inviata proprio in quei giorni, scriveva: «Non si può suonare il clarinetto meglio di questo Mühlfeld. […] È assolutamente il miglior fiato che io abbia mai conosciuto: ascoltarlo sa-

DA ASCOLTARE

Già interessante la discografia del quartetto francese. Nel 2006 esce per la Nascor un album variegato: l’opera 41 di Schumann, la 44 di Mendelssohn, nel mezzo la Serenata italiana di Wolf. Due anni dopo ecco il doveroso tributo a Joseph Haydn per l’austriaca Mirare, che lo bisserà nel 2014. L’anno precedente il Modigliani aveva inciso tre fra i maggiori capolavori francesi del genere: i Quartetti di Debussy e Ravel e l’op. 112 di Saint-Saëns. Altre le incisioni per la Mirare, fra cui segnaliamo nel 2015 il cd dedicato a Dvořák, Bartók e Dohányi. Quando si tratta di Alessandro Carbonare le copertine sono già oltre una ventina, fra cui quella prodotta proprio da Musica Insieme nel 2006 con una prima assoluta di Matteo D’Amico eseguita insieme al Quintetto Bibiena all’Auditorium Manzoni. Lo stesso anno nella stessa sala Carbonare registrava con la Mozart di Abbado il Concerto per clarinetto del Salisburghese, la cui edizione per Deutsche Grammophon ha vinto il Record Academy Award 2013.

rebbe per te un piacere e una Lo sapevate che gioia; ne saresti beata e, spero, il Quartetto viene la mia musica non ti disturbesoprannominato dai rebbe». E di fatto Clara non ne fu disturbata, anzi, dopo connazionali “Les Modi”, l’ascolto del Quintetto gli che in francese suona scrisse: «È un’opera meravicome “i maledetti”! gliosa, sembra quasi di esser presi per mano dal clarinetto che soffre; è molto commovente. E che musica interessante, profonda e piena di significato». Il compositore aveva concepito la presenza del clarinetto come una sorta di solista sorretto dall’ensemble strumentale: “la mia Primadonna”, come soleva definire emblematicamente Mühlfeld. Già nel primo movimento, Allegro, il timbro dolcissimo del clarinetto domina su quelli degli altri strumenti, ma diventa assoluto protagonista nell’Adagio, dove gli archi si esprimono addirittura in sordina per non sovrastarlo, in una sorta di struggente canto per un amore lontano. Segue un grazioso Andantino, subito interrotto da un Presto vivace, ricco di riferimenti al folklore magiaro, che ci conduce al Con moto finale: una ripresa del tema iniziale con variazioni che si spegne lentamente, come un doloroso commiato, ritardato il più possibile, ma ormai inevitabile. Alla prima esecuzione prese parte anche Joseph Joachim, rapito dalla bellezza di quanto Brahms gli aveva mostrato. L’opera ebbe un immediato successo. Commozione ed estasi erano le reazioni più frequenti all’ascolto delle sue struggenti e sublimi melodie, nate dalla scoperta di un timbro così languido e umano, che prima dell’incontro con Mühlfeld non aveva ancora rapito l’orecchio di Brahms. MI

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Destinato a suonare > Intervista > Alessandro Carbonare Ha incominciato a suonare il clarinetto nella banda, e oggi è uno dei più strepitosi musicisti del nostro Paese. Fare musica sin da bambini è qualcosa in cui Alessandro Carbonare crede almeno quanto Musica Insieme. Ed infatti abbiamo parlato con lui del nostro reciproco impegno per la crescita del pubblico, che è poi un accompagnare a concerto e all’amore per la musica i bambini delle elementari come gli studenti universitari. Come possiamo secondo la tua esperienza – specie in quest’era così frettolosa e spesso superficiale – conquistare alla musica i più giovani? «Io ho incominciato a fare musica a cinque anni, quando sono entrato appunto nella banda. Avevo preso a malapena una lezione di teoria e mi sono trovato lì, ma era un cosa bellissima! Pur strimpellando appena, stavo in mezzo alla gente e mi divertivo: la musica è bella quando viene condivisa, perché è chiaro che per un bambino studiare da solo è noioso,

è inevitabile. Tuttavia ai miei tempi era un po’ più comprensibile che un bimbo studiasse musica, perché non c’era altro; mi ricordo che a sei anni il clarinetto era il mio giocattolo! Adesso i bambini nascono col cellulare in mano, hanno a disposizione a velocità da iperfibra tutti i giochi e i video del mondo… non è facile far capire a un giovanissimo studente che la musica classica richiede tempo per apprenderla. Non devi solo studiare un passaggio, ma quel passaggio deve dormire di notte, poi lo riprovi un po’ la mattina dopo, poi con calma lo devi far dormire ancora… Le cose maturano, fermentano, è tutta una questione di saper gestire il tempo, e i giovani oggi non lo sanno fare, e non per colpa loro ma perché hanno tutto subito a portata di mano. Vorrei raccontare un aneddoto al proposito: Santa Cecilia a Roma ha molti abbonati, ma di età certamente non giovane. Con molti di loro ci scambiamo spesso idee circa il portare i giovani ai concerti. E loro mi dicono: “guarda che è sempre stato

«Il segreto è la passione, se ami quello che fai non sei mai stanco, hai sempre voglia di cercare…» così, anche quando noi eravamo giovani c’erano sempre i più anziani ai concerti, e noi non ci andavamo mai!”. Una volta fra l’altro la musica era un prodotto d’élite, non rientrava certo fra le priorità di chi faticava a tirare avanti; oggi per fortuna a concerto ci possiamo andare tutti anche a prezzi popolari. Questo è stato un progresso incredibile. Quindi sono ottimista sulla questione, perché credo che se si semina qualcosa fra i giovani, quel qualcosa di certo germoglierà. Bisogna avere pazienza, perché non si può certo pretendere che un ragazzo di diciotto anni che non ha musicisti in casa e non vive la classica quotidianamente adori la Nona di Beethoven, giustamente adora altro, ma ci arriverà: se i nostri saggi raccontano che è sempre stato così, io ci credo!». Un tuo insegnante di Conservatorio ti disse che eri negato per il clarinetto! Non è la prima volta che sentiamo queste esilaranti profezie… quanto hai ascoltato gli altri nella vita? 46

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«Non solo me lo disse, ma mi cacciò proprio dal Conservatorio di Brescia! Purtroppo io lo ascoltai eccome, i miei genitori mi ritirarono dal Conservatorio con l’idea che non avesse senso farmi studiare una materia nella quale non avrei avuto un futuro. Io accettai la loro decisione, e fra l’altro ebbi una crisi depressiva a tredici anni per questo. Per tirarmi su entrai a far parte degli ultras del Verona… ebbene sì, aggredii la mia depressione andando allo stadio, facevo sfondamento ogni settimana insieme a duecento tifosi del Verona e vedevo la partita gratis! Poi un bel giorno un angelo custode, il mio compaesano Bruno Righetti, che ha suonato diversi anni al San Carlo di Napoli, per caso mi sentì suonare in una banda. Perché nonostante tutto io non smisi mai di suonare: era bellissimo, incontravo la gente, vedevo le ragazzine che mi piacevano… così il mio angelo custode Bruno mi ascoltò per caso in una di queste prove e mi disse: ma lo sai che non suoni mica male? Io naturalmente gli risposi che il mio insegnante di Conservatorio non la pensava proprio così, e lui: ma lascia stare, vieni da me! E per due anni andai a lezione gratis da lui. Che mi disse: un giorno mi renderai il favore. E così è accaduto, quando vent’anni dopo venne a trovarmi a Parigi e mi chiese di aiutarlo a preparare un concerto, così gli restituii il favore… Io sono convinto che se lasci che il destino faccia il suo corso, prima o poi arriverai a fare quello che sei destinato a vivere». Dall’Orchestre National de France all’Accademia di Santa Cecilia, alla musica da camera, senza distinzione fra un trio jazz e il klezmer. Sono tanti Carbonare o si tratta di un’unica strada con tanti panorami? «Io suono il clarinetto, che è il miglior strumento al mondo, sai perché? Perché costa poco e puoi farci un sacco di stili musicali diversi. Poi sono curioso da morire, mi appassiona il klezmer, che ho voluto approfondire ispirandomi ai grandi maestri, so un poco improvvisare il jazz anche se non sono un jazzista, ma credo sia importante avere la mente aperta a 360 gradi. Il segreto è la passione, se ami quello che fai non sei mai stanco, hai sempre voglia di cercare… ora per esempio sto preparando un programma di musica brasiliana insieme a Emanuele Segre e ad un percussionista». L’ultima tua apparizione per Musica Insieme è stata strepitosa, quando con un preavviso di poche ore hai sostituito un Martin Fröst infortunato senza cambiare neppure una virgola del programma… «Sì mi ricordo… che stress! Non ho dormito due notti per preparare i pezzi. Il Primo Concerto di Weber con l’Amsterdam Sinfonietta e tre pezzi klezmer scritti appositamente per Martin Fröst, che ci improvvisava sopra, quindi c’erano tre note scritte in partitura, e tutto il resto da inventare. È stata un’ul-

teriore sfida della mia vita, sostituire un collega per il quale fra l’altro ho una stima immensa. L’ho raccolta e vinta, spero, con la mia testardaggine». Pensando al repertorio per clarinetto solista ci vengono subito in mente due nomi: Mozart e Brahms, appunto. Entrambi scrissero “su misura” per un virtuoso che conoscevano e ammi-

«Le cose fermentano: bisogna saper gestire il tempo, e i giovani oggi non lo sanno fare, non per colpa loro, ma perché hanno tutto subito a portata di mano» ravano. Cosa coglie secondo te della personalità del clarinetto il Quintetto di Brahms? «45 minuti di musica celestiale non si possono certo riassumere in poche righe. Ma posso dire che la cosa geniale di questo brano è che per la prima volta c’è un dialogo paritetico fra cinque strumenti. Ad aver scritto capolavori per il clarinetto c’è innanzitutto Weber, però nel suo Quintetto chiaramente gli archi accompagnano il clarinetto. In Mozart invece già c’è un dialogo più aperto, ma sono pur sempre il primo violino e il clarinetto ad avere le chiavi delle melodie. In Brahms ce le hanno tutti e cinque gli interpreti. In lui poi la strumentazione è molto densa, molto intensa, quindi la difficoltà sta nel far uscire le singole voci che vogliamo far sentire senza creare un mélange indistinto». Ci sono esecuzioni di questo quintetto che consiglieresti di ascoltare? «Amo moltissimo quella di Karl Leister con l’Amadeus Quartet che, pur essendo datata, perché oggi Brahms lo si suona in modo diverso, trovo perfetta dal punto di vista formale, da tenere sempre in mente quando si studia questo Quintetto. Leister, con quel suono cristallino e meraviglioso, e l’Amadeus, leggendario come lo conosciamo tutti». Il Modigliani è un quartetto francese che però guarda sin nel nome all’Italia: come vi siete conosciuti? «Molto semplicemente il violista del Quartetto suonava insieme a me nell’Orchestre National de France e sin da subito abbiamo fatto amicizia, uniti da una grande stima reciproca. Il Quartetto era ancora agli inizi a quel tempo e quando io lasciai l’Orchestra egli mi disse: vedrai che un giorno suoneremo insieme. E sono felice perché suonerò per la prima volta con il Quartetto Modigliani a Bologna». (a cura di Fulvia de Colle) MI

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Lunedì 6 maggio 2019

AL MUSICO

completo… Per la prima volta sul palcoscenico del Teatro Manzoni, Gilles Apap e The Colors of Invention propongono un programma che esplora le mille sfaccettature del grande repertorio europeo di Fabrizio Festa 48

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MUSICA INSIEME

I PROTAGONISTI

Gilles Apap si afferma nel 1985 con la vittoria al prestigioso Concorso internazionale “Yehudi Menuhin”, guadagnandosi la stima e l’affetto del grande violinista israeliano, che lo ha definito “il violinista esemplare del XXI secolo”. Dedicatario di ben tre documentari prodotti da ARTE, collabora con le principali compagini, come l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia, le Filarmoniche di Amburgo e Boston, i Berliner Symphoniker, la Israel Philharmonic Orchestra. Con il suo ensemble The Colors of Invention, di cui fanno parte Myriam Lafargue alla fisarmonica, Philippe Noharet al contrabbasso e Ludovit Kovac al cimbalom, Apap ha elettrizzato le platee di tutto il mondo proponendo eccezionali arrangiamenti del repertorio classico intrecciati a musiche della tradizione popolare di tutti i continenti.


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eclettismo non può più essere considerato una categoria idonea a valutare un artista del ventunesimo secolo. Dire di Gilles Apap che ha un atteggiamento eclettico verso la sua arte è non solo riduttivo, ma soprattutto fuorviante. L’eclettismo – così come lo si declina oggidì – è una categoria squalificata, più adatta a definire chi segue il vago ondeggiare delle mode che non piuttosto coloro i quali mostrano la necessaria, indispensabile e persino vitale curiosità che dovrebbe animare tanto gli artisti, quanto qualsiasi essere umano. Del resto, al musicista, almeno fino agli albori del Romanticismo, ovvero all’incirca fino alla metà del XVIII secolo, era richiesta una dose straordinaria di curiosità, quella indispensabile a fornirgli tutte le competenze che l’arte sua – ai tempi una scienza vera e propria – richiedeva. Facciamo un esempio. «Al musico completo… si richiede più di una conoscenza superficiale di tutti i generi del sapere umano. Infatti, egli deve essere un fisiologo, per dimostrare la creazione, la natura, la proprietà e gli effetti di un suono naturale. Un filologo, per indagare sulla sua prima invenzione, istituzione e successiva propagazione di un suono artificiale, o musicale. Un aritmetico, per essere in grado di spiegare le cause dei moti armonici coi numeri, e svelare i misteri della nuova musica algebrica. Un geometra: per dedurre, nella loro gran varietà, l’originale degli intervalli consonanti e dissonanti attraverso la divisione geometrica, algebrica e meccanica di un monocordo. Un poeta: per conformare i suoi pensieri e le parole alle leggi dei numeri precisi, e distinguere l’eufonia delle vocali e delle sillabe. Un meccanico: per conoscere la struttura squisita e la fabbrica di tutti gli strumenti musicali… Un metallista: per esplorare le differenti contemperazioni del baritono e dell’ossitono, ossia dei metalli intonati al grave o all’acuto in forma di campane intonate per i rintocchi ecc. Un anatomista: per convincere circa il modo e gli organi dell’udito. Un melotetico, per progettare un metodo dimostrativo di composizione, o disposizione di tutti i toni e le arie. E, da ultimo, egli dev’essere a tal punto un mago da eccitare lo stupore trasformando nella pratica i taumaturgici, meravigliosi segreti della musica: penso alle simpatie ed antipatie tra i suoni consonanti e dissonanti… e infine, la musica criptologica, attraverso cui le segrete idee della mente possano essere comunicate, col linguaggio dei suoni inarticolati, a un amico a grande distanza». Queste le parole di William Brouncker, matematico irlandese tra i fondatori e primo presidente della Royal Society di Londra, scritte nel presentare la sua traduzione del Compendium Musicae di Descartes. Siamo nel 1653. Non è un caso che

LUNEDÌ 6 MAGGIO 2019 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

GILLES APAP & THE COLORS OF INVENTION MYRIAM LAFARGUE fisarmonica LUDOVIT KOVAC cimbalom PHILIPPE NOHARET contrabbasso GILLES APAP violino

Gaetano Pugnani/Fritz Kreisler Praeludium und Allegro Manuel de Falla Da La vida breve: Danza Española Maurice Ravel Le Tombeau de Couperin Pablo de Sarasate Zingaresche op. 20 Eugène Ysaÿe Sonata in la minore op. 27 n. 2 Wolfgang Amadeus Mozart Adagio in mi maggiore KV 261 Rondò in do maggiore KV 373 Camille Saint-Saëns Introduction et rondo capriccioso op. 28 Maurice Ravel Tzigane, Rhapsodie de Concert

CHE MUSICA, RAGAZZI! – II edizione Il 6 maggio alle ore 10.30 gli Artisti incontreranno all’Auditorium Manzoni gli alunni delle scuole primarie e medie. Per informazioni rivolgersi a Musica Insieme

Anna Maria Lombardi lo citi nella sua ottima biografia kepleriana (Keplero. Una biografia scientifica, Codice Edizioni, Torino, 2008, p. 108), a dimostrazione di quanto la musica fosse al centro di una vastità d’interessi culturali e sociali che non potevano essere allora, e non possono essere oggi, ricondotti al mero saper suonare uno strumento. Ormai tramontata l’era del virtuosismo puro (tanto nella sua versione ascetica, quanto in quella esuberante), oggi il musicista – indipendentemente dal suo talento – si confronta con una pluralità di suggestioni, di fascinazioni e di richieste, che lo obbliga a guardarsi attorno e ad osservare con attenzione, a fondo, dentro i fenomeni, per poi intraprendere più di una strada. Gilles Apap di questa pluralità ha fatto la sua cifra stilistica, marcando la diversità che caratterizza, vivacissima, la scena musicale dei nostri giorni. Peraltro – come dimostra il programma che affronterà con il suo ensemble per Musica Insieme – tale ampiezza di vedute implica la consapevolezza delle proprie radici. Mozart, forse, non è poi così distante dalla tradizione gitana, anche nella sua versione mediata dal gusto dei Kreisler, dei Sarasate e dei Ravel. Il violino, infatti, è come fosse una chiave per aprire porte difMI

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Lunedì 6 maggio 2019

ferenti. O, se lo si preferisce, come uno scrigno contenente al suo interno gli oggetti più diversi, in numero ben maggiore di quelli che le sue dimensioni lascerebbero intuire. Gilles Apap sa che il violino non è solo uno strumento musicale: nel suo DNA si dipana la storia. Quando lo imbraccia, quando prende l’arco e lo porta alla corda, sa che quel gesto evoca, sprigiona, libera energie che non appartengono solo a questa o a quella partitura. Del resto, persino il nome del suo ensemble – The Colors of Invention – è modernissimo e al contempo profondamente radicato nella tradi-

DA ASCOLTARE

La discografia del violinista francese Gilles Apap è variegata esattamente quanto lo è la sua produzione artistica. Segno della sua indomita curiosità, spazia dai Vivaldi (Le Quattro Stagioni) ad Enescu e Bartók, passando per la musica popolare, grazie non solo al suo ensemble The Colors of Invention, ma anche alle molte e diverse collaborazioni. Tra queste segnaliamo quelle con The Transylvanian Mountain Boys (Sony Classical), dove appare in tutta la sua forza l’interesse di Apap per la musica tzigana. Naturalmente, non mancano anche le incursioni nel repertorio per violino e pianoforte, come il cd registrato nel 1999 con il pianista Eric Ferrand-N’Kaoua dove, accanto al già citato Enescu, ecco eseguite le sonate di Debussy e Ravel.

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zione. La matrice vivaldiana è evidente: Il cimento dell’armonia e dell’inventione è il titolo della celeberrima Opera 8 del veneziano, all’inizio della quale troviamo Le Quattro Stagioni, incise proprio da Apap e da questa sua compagine, naturalmente alla maniera loro (eccole online a questo indirizzo: store.cdbaby.com/cd/gillesapaptcoi). Così il violino – eccolo peraltro accanto

Lo sapevate che Apap è appassionato di surf, tanto che ha dichiarato che se non fosse diventato musicista avrebbe tentato una carriera professionale a cavallo delle onde all’antichissimo cimbalom, variante ungherese dell’ancor più antico salterio – è letteralmente, a tutti gli effetti, una porta temporale che ci permette di viaggiare avanti e indietro tra passato e presente, suggerendo insieme intrecci e sovrapposizioni, di cui i suoni musicali sono soltanto la parte fenomenica, la scintilla che li accende e li illumina. Per quanto possa apparire contraddittorio e controintuitivo, saremmo tentati di affermare che c’è più storia e più tradizione in un ensemble che suona Mozart con la fisarmonica, che non in chi lo esegue per come è scritto.


Maestro d’equilibrio > Intervista > Gilles Apap Conosciuto in tutto il mondo per le sue originali reinterpretazioni del repertorio classico, Gilles Apap ci parla della sua filosofia artistica, da sempre guidata da due principii: la ricerca della semplicità e un profondo rispetto per la partitura. The Colors of Invention è un ensemble piuttosto atipico per le sale da concerto, tuttavia parte del vostro repertorio è puramente classico. Come lo reinterpretate? «Oh beh… con molto spirito [ride]. Mantenere l’equilibrio è l’arte di ciò che chiamano “musica da camera”, l’arte di bilanciare tutto. Se c’è qualcosa che non sembra giusto, se risulta troppo pesante o troppo leggero, si riaggiusta il tiro. Partiamo da una sorta di canovaccio, un’idea di base all’interno della quale poi iniziamo ad apportare modifiche e divertirci con i ritmi e i suoni: è un vero e proprio “gioco musicale”». Il nome dell’ensemble contiene la parola “invenzione”, che già di per sé lascia presagire che qualcosa di nuovo stia succedendo. Che ruolo ha l’improvvisazione nei vostri concerti? «C’è sempre una parte di improvvisazione nei nostri concerti, è l’elemento di libertà che ci possiamo concedere. Ci prendiamo il nostro tempo per calarci nel nostro mondo e ci ascoltiamo l’un l’altro, questo è il modo in cui conduciamo il nostro gioco musicale. Di solito si vede poca improvvisazione ai concerti perché quando si interpreta musica classica tutto è già scritto. Nel repertorio barocco c’è più libertà: Le Quattro Stagioni, ad esempio, consentono di improvvisare con il ritmo, mentre Beethoven deve essere così com’è… in lui tutto è perfettamente bilanciato, come in un quadro. Improvvisarci sopra sarebbe come prendere un ritratto di Leonardo da Vinci e disegnargli un sigaro in bocca!». Il vostro concerto è anche parte di Che musica, ragazzi!, la nostra iniziativa dedicata agli studenti delle scuole elementari e medie. Come comunica con un pubblico così giovane? «Per me è solo questione di come si presenta la musica. La musica classica sembra corrispondere in qualche modo a una classe sociale: è la musica dei savants. Se vai a un concerto ti devi vestire di conseguenza. Spesso i ragazzi non ci vanno perché si sentono respinti da questo atteggiamento, ma penso che se gli si dà modo di comprendere

quello che musicalmente succede ai concerti, allora il pubblico si appassionerà. A me piace fare musica dal cuore: puoi essere giovane, pelato, peloso, vecchio, decrepito, ma se suoni musica dal cuore, con integrità e consapevolezza, le cose funzionano sempre. Qualcosa che invece nasce come un prodotto, basato solo sul business, per me è un’assurdità». Se un organizzatore deve rendere conto anche di parametri quantitativi, come le vendite, da artista come definirebbe un concerto di successo? «Quando le persone uscendo dal concerto sorridono e si sentono bene. Che siano dieci persone o mille, se la musica entra nel loro cuore e le fa sentire meglio, o interessate, o incuriosite, è un concerto di successo. Questo è tutto! È molto semplice. Non è semplice da fare, ma questo è il nostro compito di musicisti: cercare di far suonare naturale la musica. Se suona naturale, il pubblico non dovrebbe capire quante centinaia di ore ho trascorso a provare. Quando vede il mio ensemble, il pubblico vede quattro persone sul palco che si rispettano e suonano insieme da quasi vent’anni, e che godono appieno della musica: questo è il modo più naturale possibile di fare concerti. Se si prova troppo con l’idea di attirare le folle invece... Ho sentito tante cose, crossover e simili, che in verità mi disturbano un po’, sembra che abbiamo dimenticato la virtù della semplicità. Questo è il messaggio che vogliamo portare avanti: semplicità, musica e amicizia. (a cura di Camilla Marchioni)



Lunedì 20 maggio 2019

IDENTITÀ nazionale Il concerto conclusivo della XXXII stagione di Musica Insieme ospita due debutti eccellenti: il violoncellista Edgar Moreau e il direttore Daniele Rustioni di Luca Baccolini

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u Arturo Toscanini, nel 1904, a far conoscere la musica di Jean Sibelius a Bologna. Ed era anche la prima volta in cui una sua composizione (Il cigno di Tuonela) vedeva la luce in Italia. A più di centocinquant’anni dalla nascita, i pregiudizi sul massimo compositore finlandese (e forse dell’intera area scandinava) non sembrano dissipati, essenzialmente a causa dello stesso motivo che ostacolò sin da subito la comprensione, e quindi la diffusione, delle sue musiche, ovvero il presunto carattere localistico, circoscritto in una malinconia gelida, lontana dai dibattiti europei. In un’intervista concessa a chi scrive, Satu Jalas, nipote di Sibelius, per trent’anni insegnante di violino a Parma, ritraeva il nonno sotto una prospettiva decisamente sorprendente: «Al mattino la prima cosa che chiedeva era se avessimo fatto un sogno. E se rispondevamo di no, incalzava: “E che cosa avreste voluto sognare allora?”. Ci faceva ascoltare la natura, gli uccellini, gli alberi, il vento. Ci abbracciava molto. Un uomo raggiante, tutt’altro che gelido come si potrebbe pensare, immaginando la Scandinavia». Affetti familiari a parte, sarebbe opportuno cominciare a inquadrare Sibelius in una dimensione finalmente più umanizzata ed europea, cercando di coglierne le venature insospettabilmente mediterranee, che i più attenti avranno senz’altro ravvisato nel terzo movimento del Concerto per vio-

LUNEDÌ 20 MAGGIO 2019 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

George Bizet Carmen Suite per orchestra Camille Saint-Saëns Concerto n. 2 in re minore op. 119 per violoncello e orchestra Jean Sibelius Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 43

Foto Gregory Favre

ORCHESTRA DELLA TOSCANA EDGAR MOREAU violoncello DANIELE RUSTIONI direttore

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Foto Marco Borrelli

Lunedì 20 maggio 2019

Lo sapevate che l’ORT permette ad alcuni fortunati spettatori di assistere ai suoi concerti sul palco, a fianco dei musicisti, per un’esperienza di “realtà aumentata” unica

I PROTAGONISTI

Fondata a Firenze nel 1980, l’Orchestra della Toscana è specializzata nell’interpretazione del barocco e del classicismo, nonché nella musica del Novecento. Ospite delle più̀importanti società concertistiche italiane e impegnata in numerose tournée internazionali, è oggi guidata dalla direzione artistica di Giorgio Battistelli e dalla bacchetta principale di Daniele Rustioni, interprete tra i più interessanti della sua generazione e Direttore principale dell’Opéra National de Lyon dal 2016. Rustioni è stato assistente di Sir Antonio Pappano e, poco più che trentenne, ha già diretto le più prestigiose orchestre al mondo. Vincitore del “Čajkovskij” di Mosca a soli diciassette anni, il violoncellista Edgar Moreau si è esibito al fianco di musicisti del calibro di Valerij Gergiev, Gidon Kremer, András Schiff e Yuri Bashmet.

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lino, uno dei suoi capolavori più noti. Eppure anche la Seconda Sinfonia si nutre più dei nostri mari che del Baltico, non foss’altro che per il luogo in cui fu partorita, la splendida costiera del golfo del Tigullio. «Ho trovato rifugio sul Mediterraneo – scriveva Sibelius – in un giardino con rose, camelie in fiore, platani, cipressi, ulivi, palme, mandorli in fiore, aranci, limoneti, mandarini maturi sugli alberi: un paradiso terrestre! Non riuscivo a credere che la terra fosse così splendida». Il dettaglio botanico, tutto figlio di un finlandese abituato al contatto scrupoloso con la natura, non distolse l’autore da quello che stava avvenendo in patria. Siamo nel 1901 e lo scioglimento del parlamento faceva preludere all’inasprirsi del giogo russo sulla Finlandia. In questo turbinìo di sensazioni contrastanti, s’intrufolò la visione di Don Giovanni. Difficile, dalle annotazioni di Sibelius, capire se si sia trattato di un sogno ad occhi aperti o di una riflessione sulla morte a partire dalla scena del Convitato di pietra. Fatto sta che la Seconda Sinfonia attinge a queste tre fonti d’ispirazione – la natura, la patria, l’opera mozartiana – che non escludono tuttavia esiti interpretativi svariati. C’è addirittura chi ha visto un intento programmatico a “quadri”, dove il primo movimento ritrarrebbe la vita pastorale della Finlandia, il secondo la brutalità dell’occupazione straniera, il terzo l’oppressione dello spirito patriottico e il quarto la speranza gloriosa per la li-


Foto Marco Borrelli

berazione dalla tirannia. Una visione, va detto, un po’ finnico-centrica. L’Ottocento impose ai compositori il problema dell’identità, prima in accezione singola e personale, poi collettiva. I primi decenni del secolo servirono a scontornare la figura del musicista in un’accezione moderna, quasi contemporanea: ecco il profilo titanico-eroico alla Beethoven, in lotta con i propri demoni (Schumann) o con la propria famiglia (Berlioz) o contro l’ordine della società (Wagner). La seconda metà inaugurò invece il grande tema delle identità musicali nazionali, maggiormente sentito dove un movimento ancora non c’era (Russia) o dove questo si inchinava vassallo alle istanze italiane e tedesche (i paesi d’area scandinava). Non ci fu tuttavia nessun paese, dal 1850 in avanti, che potesse definirsi digiuno e distante da questo tipo di dibattito, anche senza la presenza di una scuola nazionale identificata. La Finlandia di Jean Sibelius fu uno degli ultimi paesi a entrare nel non facile processo di conciliazione tra linguaggi internazionali e linguaggi locali. La più matura Francia, invece, dovette affrontare una resa dei conti radicale negli ultimi trent’anni del XIX secolo, un processo avviato dalle rovinose conseguenze del crollo del Secondo Impero dopo la sconfitta di Sedan nella guerra franco-prussiana. Saint-Saëns, rappresentante dello spirito classico francese per chiarezza del linguaggio, senso dell’umorismo e gusto della parodia (si pensi al Carnevale degli animali...) divenne presto bersaglio di un fuoco incrociato di malintesi: tedesco per i francesi, francese per i tedeschi, e poi, dal 1900 in avanti, ormai assurto alla gloria di compositore ‘classico’, riconosciuto come strenuo detrattore dell’opera di Debussy. Il suo Secondo Concerto per violoncello, singolarmente coevo della Sinfonia n. 2 di Sibelius, riannodò nel 1902 un percorso creativo cominciato trent’anni prima col Primo Concerto. Ma SaintSaëns non s’illuse di ottenere più successo con la nuova creatura. Il motivo? «Troppo difficile», per ammissione dello stesso autore, che pur si riconosceva meglio nel Secondo, rispetto al Primo. Lo si capisce bene sin dalle prime battute, con passaggi molto complessi e veloci a doppie corde e una lunga virtuosistica cadenza. Una rarità, poterlo ascoltare dal vivo, associato per di più alla Suite orchestrale da Carmen. Che, contrariamente a quanto si possa credere, non fu adattata dal suo incompreso autore, Georges Bizet, bensì da Ernest Guiraud (1837-1892). Concerto e Suite rendono bene l’idea di quanti giardini potessero fiorire in quella Francia, sulle ceneri del Secondo Impero, e di quanta strada si debba ancora fare per visitarli tutti.

DA ASCOLTARE

Ricca e gustosa la produzione discografica dell’Orchestra della Toscana, che anche su cd si rivela tra le migliori compagini in attività. Fra le uscite più recenti, nel 2016 e nel 2018 la Sony Classical pubblica due album proprio con Daniele Rustioni sul podio: il primo tutto dedicato a Giorgio Federico Ghedini, il secondo a Goffredo Petrassi, e in uscita mentre scriviamo queste righe è un terzo cd, protagonista Alfredo Casella, a completare un’interessante trilogia sul Novecento storico italiano. Tutto focalizzato sulla musica italiana contemporanea era invece il loro cd per la VDM Records del 2011, dal titolo Play It!: Rebora, Panfili, Bussotti. Ovviamente non manca il repertorio, da Haydn a Mozart, da Vivaldi a Schubert, compresa qualche incursione nella lirica. Né mancano le collaborazioni ellittiche, come quella con Richard Galliano (1999), “Butch” Morris (ancora 1999) e Stefano Bollani (2004).

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Per leggere / di Chiara Sirk

Pierre Boulez, Jean-Pierre Changeux, Philippe Manoury I neuroni magici. Musica e cervello

(Carocci editore, 2018)

Per l’editore Carocci esce la ristampa del volume I neuroni magici. Musica e cervello, segno di un forte interesse per questo libro davvero originale. Si tratta di una conversazione tra un neurobiologo, Jean-Pierre Changeux, e un compositore, Pierre Boulez. Porta il suo contributo anche un altro compositore francese, Philippe Manoury. Le domande qui poste sono impegnative: quali sono i processi intellettuali e biologici che presiedono alla nascita di un’opera musicale? Quale relazione sussiste tra le strutture elementari del nostro cervello – le molecole, le sinapsi, i neuroni – e le attività mentali complesse, come la percezione del bello o la creazione artistica? Cos’è la musica? A prima vista potrebbe sembrare il consueto dibattito sulla nota questione se esistono o no elementi innati, ovviamente (secondo i neuroscienziati) rinvenibili nel cervello, per la percezione della musica. Ma i due protagonisti del confronto sono troppo esperti per cadere in questo schema. Nonostante l’argomento impegnativo, un tentativo di fondare una “neuroscienza dell’arte”, le 214 pagine del volume scorrono velocemente.

Piero De Martini Le case della musica

(il Saggiatore, 2018)

Piero De Martini è un quotato architetto milanese e, dal 1969, si occupa ad altissimo livello di design, ma è anche pianista e musicologo per passione. Di tanto in tanto pubblica un libro rivelativo di questo interesse. Le pubblicazioni, centellinate nel tempo, affrontano anche argomenti originali. In quest’ultima, per esempio, l’autore dà conto dei suoi viaggi spirituali nelle dimore che hanno visto nascere e crescere i più importanti compositori. Dalla casa a Eisenach di Bach a quelle di Mozart a Salisburgo e Mendelssohn a Lipsia, dalla Vienna di Schubert e Berg alla Weimar di Liszt, passando per le casette nei boschi di Mahler e le stanze che hanno visto intrecciarsi le vite di Schumann e Brahms. Tra quelle pareti si dipana la vicenda della musica europea; sotto quella tappezzeria brulica un mondo di emozioni che, secondo l’autore, nessun manuale o biografia sarebbe in grado di restituire. Mancano, curiosamente, le case dei compositori italiani, quelle ben più vicine, nella pianura padana dove Verdi nacque e si ritirò, per esempio, o Torre del Lago e le sue reminiscenze pucciniane.

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LA MUSICA è Due saggi aprono interessanti scorci sulla geografia della musica, mentre un terzo titolo affronta il rapporto tra musica e neuroscienze in un’avvincente conversazione tra specialisti Che Rossini considerasse Bologna sua patria adottiva è risaputo. Che qui abbia studiato, mosso i primi passi come musicista, abitato a lungo, anche questo è noto. Nessuno aveva però mai indagato in modo esauriente il rapporto tra il compositore e la città felsinea. Colma questa lacuna il volume a cura di Jadranka Bentini e Piero Mioli, pubblicato dall’editore Pendragon. Il volume vede la luce e festeggia i 150 anni dalla scomparsa del genio pesarese. Lo fa in modo assai solenne, raccogliendo, in 420 pagine, i contributi di numerosi studiosi. L’interesse della pubblicazione risiede non solo nel fatto che essa ripercorre i rapporti fra il compositore e la città felsinea, ma anche nell’aver inserito Rossini, prima studente, poi promettente compositore, infine affermato e acclamato, nella vita culturale e artistica della città emiliana. Si svelano rapporti, si indagano relazioni, si allarga lo sguardo a un mondo che conosciamo poco, di solito affrontato in altre branche dello studio e quindi pressoché ignoto a chi si occupa di musica. Ben vengano dunque i contributi su “La ricezione dei classici greci e latini” di Ilde Illuminati, o “Prosa e poesia dal triennio giacobino al governo provvisorio” di Andrea Campana. Questi alcuni dei saggi della seconda parte dedicata a “Lettere e teatri”. La prima affronta invece “Musica e Liceo”, indagando cantanti, insegnanti di pianoforte, e

di casa

perfino “Bellezze musicali a stampa” (Annarosa Vannoni). La terza parte si concentra su “Arti e cultura”: Andrea Emiliani, Luigi Verdi, Daniele Pascale Guidotti Magnani, Claudia Collina e Annalisa Bottacin spaziano su cinque filoni d’indagine di notevole interesse. Per esempio sul rapporto tra Rossini e le arti, o su “Raffaello, Rossini e il mito del classicismo nelle Legazioni”. La quarta parte vede i contributi di vari studiosi su “Cronaca e storia”. Giampaolo Venturi, per esempio, scrive su “Il governo tra Chiesa e Stato”, Mirtide Gabelli su “Il sentimento e l’impegno patriottico”, Maria Domenico D’Elia racconta del “Diritto all’istruzione e scuola pubblica”. Conclude il capitolo “Società e quotidianità”. Qui compare Rossini bon vivant e tutte le istituzioni che potevano stargli a cuore: dal caffè al salon, dalla buona tavola alla Società del Casino. Completa il volume l’elenco di iniziative, molte, pressoché quotidiane, dedicate all’“Inquilino di Strada Maggiore”, coordinate, ma, si potrebbe dire capitanate, dal Conservatorio “G.B. Martini”. Scorrendole ci si meraviglia di quanto sia stato fatto, grazie al coinvolgimento di numerose associazioni. Jadranka Bentini, Piero Mioli Gioachino in Bologna. Mezzo secolo di società e cultura cittadina convissuto con Rossini e la sua musica

(Edizioni Pendragon, 2018)



Da ascoltare / di Piero Mioli

ITALIE! Italie?

“Italie!” cantavano Les Troyens, non così Berlioz né Debussy. Ma se si plaude al pianismo esotico di Fazil Say, non si potrà apprezzare anche certa musica italiana d’epoca?

Goffredo Petrassi Ouverture da concerto, Ritratto di Don Chisciotte, Secondo concerto, Recréation concertante

Daniele Rustioni, Orchestra della Toscana (Sony, 2018 – 1 cd)

Era ora che la discografia ufficiale si accorgesse di colui che la storiografia ha incoronato come il maggior musicista italiano del ’900 insieme a Dallapiccola: Petrassi. E tanto meglio se, in distribuzione mondiale dalla Sony, l’iniziativa spetta alla Fondazione ORT grazie a un direttore italiano, il milanese Daniele Rustioni (1983). La scelta delle musiche non era facile perché Petrassi, scomparso quasi centenario e da tempo inattivo per la composizione, vanta comunque un catalogo di tutto rispetto quantitativo, con ampio spazio alla vocalità, al contrappunto, a un qualcosa che essendo neobarocco è anche neoclassico. Ed è stata questa la scelta: una giovanile Ouverture da concerto apre appunto a due concerti, uno breve e leggero, un altro appena un po’ più lungo ma assai più complesso (con parecchie percussioni); fra il primo e gli altri pezzi, la suite del balletto donchisciottesco che, trionfo dell’idealità e sconfitta della realtà, è il coté lirico della tragica Morte dell’aria. M. Castelnuovo-Tedesco, G.F. Malipiero, R. Malipiero

Silvia Chiesa, Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Massimiliano Caldi (Sony, 2018 – 1 cd) Cello concertos

Un piacere, ascoltare e capire: davanti alla classica maestà del concerto il Novecento sa anche arrendersi, accantonando o limitando quella brama di libertà che sembrava necessaria a ogni modernità. Niente titoli stravaganti, durate di pochi minuti, organici sempre diversi, forme imprevedibili ed effimere. Si interpelli il concerto per violoncello e orchestra: in ambito italiano, grazie a una strumentista squisita come la Chiesa, l’ha fatto l’Orchestra della RAI diretta da Caldi, trascegliendo tre concerti tripartiti giammai dimentichi del grande Sette-Ottocento classico-romantico. Ecco dunque Silvia Chiesa che cadenza Castelnuovo-Tedesco con una forza da Brahms, per accomodarsi poi in un Allegretto gentile che sta a metà fra la serenata e la pastorale. L’Allegro che segue? sarà Vivo e impetuoso, ma non ignora né l’andamento del recitativo né la brillantezza del rondò, e per il solista diventa di grande impegno. Poi Malipiero sr. è melodico ed elegante, infine Malipiero jr. è robusto e misterioso.

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Da Chopin a Debussy il passo pianistico è lunghetto, ma la compresenza, nei due cataloghi, di “studi” e “preludi” riesce ad accorciarlo. Da Debussy a Satie? Cortissimo il passo sia temporale che geografico, molto lungo quello stilistico fra il simbolismo di Claude, francese del 1862, e il sarcasmo di Erik, francese del 1866. Ma fra Mozart e Satie la lunghezza sembra incolmabile: ebbene, Fazil Say ha inciso da poco delle sonate di Mozart e adesso si presenta al suo pubblico, che magari l’ha ascoltato in quel tempio del pianismo classico-romantico che è l’opera 106 di Beethoven, con Debussy e Satie appunto. Molti “passi”, insomma, ha voluto fare: ma non impossibili a un pianista come lui che è anche compositore, a un musicista turco che suona i classici e il suo repertorio nazionale, a un interprete che suona uno spartito per filo e per segno ma quando capita improvvisa, inventa, impazza da buon cantore del popolo (suo). È possibile che questa faccia meno classica lo aiuti in Satie, il compositore più divertito e avvezzo a disturbare ogni convenzione: le sue Gnossiennes, per esempio, grondano di esotismo, e un musicista dell’Asia minore non può non trovarvisi a suo pieno agio, quasi cercandovi movenze e accenti alla Debussy. Altr’aria in costui, dove la forma inafferrabile e la scrittura evanescente non autorizzano affatto libertà esecutive: i preludi spaziano, indugiano, levitano su paesaggi terrestri e marini, spagnoli e orientali, magici e umoristici, sempre ispirandosi alle onde e al vento ma anche a una serenata “interrotta”, a una cattedrale “inabissata”, a dei fuochi d’artificio; e Fazil, che lo sa liquefare al punto giusto, il suo pianismo lo sa anche giocare, contraffare, borbottare alla maniera di Erik. E poi rubarselo: chi usa accompagnare il mezzosoprano Marianne Crebassa e il violoncellista Nicolas Altstaedt è bravissimo anche da solo a calmarsi e agitarsi, muoversi e fermarsi, quasi a temporeggiare capricciosamente. Chi sarebbe più contento di lui, Debussy o Satie? Debussy, Satie

Fazil Say (Warner Classic, 2018 – 1 cd)

Préludes (I libro), Gymnopédies & Gnossiennes



Fondazione Musica Insieme Galleria Cavour, 2 – 40124 Bologna Tel. 051 271932 – Fax 051 279278

Editore

Fulvia de Colle

Direttore responsabile Bruno Borsari, Valentina De Ieso, Fabrizio Festa, Cristina Fossati, Camilla Marchioni, Riccardo Puglisi, Alessandra Scardovi

In redazione

Luca Baccolini, Francesco Corasaniti, Maria Pace Marzocchi, Maria Chiara Mazzi, Piero Mioli, Giordano Montecchi, Chiara Sirk

Hanno collaborato

Kore Edizioni - Bologna

Grafica e impaginazione

Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna)

Stampa

Registrazione al Tribunale di Bologna n° 6975 del 31-01-2000

Musica Insieme ringrazia: ALFASIGMA, ARETÈ & COCCHI TECHNOLOGY, BANCA DI BOLOGNA, BANCA MEDIOLANUM, BPER BANCA, CAMST, CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, CENTRO AGRO-ALIMENTARE DI BOLOGNA, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, CONFINDUSTRIA EMILIA, COOP ALLEANZA 3.0, EMIL BANCA, FATRO, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI RAVENNA, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GALLERIA D’ARTE MAGGIORE G.A.M., GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, MAX INFORMATION, PALAZZO DI VARIGNANA, PELLICONI, PILOT, S.O.S. GRAPHICS, UNICREDIT SPA, UNIPOL BANCA, UNIPOL GRUPPO MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO, REGIONE EMILIA-ROMAGNA, COMUNE DI BOLOGNA

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