Marzo-Maggio 2020

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marzo/maggio 2020

Bimestrale n. 1/2020 – anno XXIX/BO - € 2,00

Dall’opera al tango, tutte le novità del Varignana Music Festival

Pollini, Rostropovič , Richter: tre grandi maestri al cinema con Musica Insieme

YUJA WANG il pianoforte cambia pelle










SOMMARIO n. 1 marzo / maggio 2020 Editoriale

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L’intervista

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Punti di vista di Fulvia de Colle Alfasigma / Silvana Spinacci

StartUp

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MIA - Musica Insieme in Ateneo

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Musica e cinema

I ritratti di Pollini, Rostropovič, Richter

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Varignana Music Festival 2020

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Teatro Comunale di Bologna

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I luoghi della musica

Il Teatro Comunale di Modena

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Storie della musica

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Geni di famiglia: Sofia Gazzotti, Pietro Scimemi L’Orchestra del Baraccano, Anton Spronk

La VII edizione dal 2 al’11 luglio Opera 2020

Clara Schumann

I viaggi di Musica Insieme

Barcellona 23-26 aprile 2020

Sabine Meyer

Viktoria Mullova

Jérôme Correas

30 Giovanni Sollima

I concerti marzo/maggio 2020 Articoli e interviste Yuja Wang Sabine Meyer, Nils Mönkemeyer, William Youn Viktoria Mullova, Misha Mullov-Abbado Les Paladins, Sandrine Piau, Jérôme Correas Giovanni Sollima Gil Shaham, Akira Eguchi

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Per leggere

Musica in viaggio da Bologna a Leningrado

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Da ascoltare

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I cd di Sollima, Piau, Wang-Capuçon

In copertina: Yuja Wang (Foto Kirk Edwards) 8

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Gil Shaham

Anna Serova




EDITORIALE

PUNTI di vista Se la primavera è la stagione dei nuovi inizi, di quel senso di libertà che ci lascia il disgelo dell’inverno, e di una freschezza non ancora funestata dai primi calori estivi, quella di Musica Insieme sarà proprio una primavera di esperimenti, esplorazioni, visioni originali. Ad aprirla simbolicamente sarà il recital di Yuja Wang, che dopo aver travolto il mondo con i suoi funambolismi sonori decide inaspettatamente di cambiare direzione, alla ricerca di opere più introspettive, più intime: e non a caso il suo nuovo programma, che porterà in Europa a marzo, con due sole date in Italia a Milano e Bologna, includerà Secreto del compositore catalano Mompou, tratto dal suo album Impressioni intime. Quella di Yuja Wang è – con le sue parole – la scelta di “cambiare pelle”, come fanno i serpenti con il mutare delle stagioni: anziché le monumentali sonate di Liszt o Prokof’ev cui ci ha abituato, proporrà una successione di miniature, nella prima parte alternando le istantanee musicali di due autori, Chopin e Brahms, colti nelle loro pagine più rarefatte, e nella seconda volgendosi al Novecento delle sonate di Berg e Skrjabin, che si disgregano su se stesse come magmatiche colate di suoni ed emozioni. E adesso qualcosa di completamente diverso, pare dirci la Wang, perché l’evoluzione e la crescita passano attraverso l’uscita dalla famosa “comfort zone”, l’abbandono della protezione delle proprie sicurezze per avventurarci in nuovi mondi. Ed è proprio quel che fanno colleghi e colleghe di Yuja Wang, come Viktoria Mullova, che già da un paio di decenni sconfina periodicamente dai repertori consolidati per affrontare i territori che più la affascinano, e in aprile alternerà ai “classici” le armonie popolari brasiliane di samba e bossa nova, appoggiandosi ai bassi del figlio Misha Mullov-Abbado, autore a sua volta di brani jazz inediti. Questione di punti di vista: quello femminile di Sabine Meyer che si immedesima in Clara Schumann o di Sandrine Piau che dà voce alle eroine händeliane, o ancora quelli molteplici di Giovanni Sollima, che affronta la musica dalle varie

angolazioni del mondo, regalando al violoncello un patrimonio folk che non ci si aspetterebbe. Ma la ricerca di punti di vista inediti è anche inscritta nel DNA di Musica Insieme, e per questo la nostra primavera porterà tre nuove visioni: quelle dei ritratti che il regista (e violinista) francese Bruno Monsaingeon ha dedicato a tre grandi maestri di musica e di vita come Pollini, Richter e Rostropovič, legati a doppio filo a Bologna e a Musica Insieme. Tre proiezioni cinematografiche gratuite, che grazie alla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna avranno sede all’Oratorio di San Filippo Neri, non a caso

Varignana Music Festival 2019: una suggestiva immagine del Grand Opening al tramonto

divenuto negli ultimi anni un LabOratorio di nuove progettualità e sperimentazioni artistiche. Se infine non vi è punto di vista più stimolante e cangiante di quello del viaggio, che ci porterà per le ramblas di Barcellona, ad ascoltare i Wiener al Palau de la Música e ad ammirare Giselle al Liceu, da sette edizioni il nostro Varignana Music Festival mette in contatto artisti di tutto il mondo per sperimentare nuovi progetti e incontri musicali, come accadrà per l’edizione 2020. Aspettando la prossima Stagione dei Concerti. Fulvia de Colle

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L’intervista

RAGIONE

e sentimento

Silvana Spinacci, responsabile Corporate Image & Social Responsability di Alfasigma, importante sostenitrice delle attività di Musica Insieme, racconta l’impegno dell’Azienda per il benessere delle persone, fra rigore, competenza, e soprattutto passione

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Sopra: Alfagisma, l’esterno della sede di Bologna. Nella pagina accanto: un interno con le opere della raccolta d’arte corporate

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n una sala d’attesa arredata con grafiche di Joan Miró e la vista su splendide opere “giocose” di Enrico Baj, leggiamo la brochure descrittiva di Alfasigma. Non è una semplice presentazione di una mission aziendale, è qualcosa di più, e di più emozionante. Perché la parola ricorrente in questo autoritratto è “passione”: «Passione per il futuro, per la scienza, per la tecnologia, per la cura ed il benessere delle persone. In sintesi, Alfasigma è “farmaceutica per passione”». Ma è anche, come racconta ancora la sua biografia, «un’azienda culturale perché deve partire dal fatto che la dignità di una persona non riguarda solo l’essere in salute, ma riveste tutti gli aspetti della sua vita e dell’ambiente in cui vive in un’idea di benessere globale della società». Ne parliamo con la Dottoressa Silvana Spinacci, responsabile Corporate Image & Social Responsability dell’Azienda. “Farmaceutica per passione” è una bella proposizione d’intenti. «Sì, la parola passione ci piace. Ci piace che la passione ci venga riconosciuta come caratteristica anche dall’esterno. Chi impara a conoscerci trova la passione che è in noi quasi autonomamente. Quindi non abbiamo fatto altro che sintetizzare in questo pay-off ciò che le persone che incontriamo ci riconoscono come uno dei nostri caratteri essenziali. Insieme, tengo molto a sottolinearlo, alla solidità e all’affidabilità, caratteristiche queste che ci vengono ugualmente riconosciute, il che ci fa molto piacere». Del 2017 è la fusione di Alfa Wassermann con Sigma Tau, che ha dato vita appunto ad Alfa-

sigma, fra i primi cinque operatori del settore farmaceutico in Italia, ma con il cuore a Bologna: in cosa si riflette soprattutto secondo lei il legame con il nostro territorio? «È vero che il nostro cuore è fra le due Torri, perché se AL.F.A. (allora si chiamava così) nasce nel 1948 a Bologna, Sigma Tau nasce nel 1958 a Roma, ma fondata dal bolognese Claudio Cavazza. Poi sicuramente l’industria farmaceutica in generale ha bisogno di guardare all’estero. Le nostre consociate oggi sono sedici, e contiamo che continuino a crescere; quello italiano è un grande mercato, sicuramente molto importante per ciascuna delle aziende italiane, ma c’è bisogno di avere un mercato più ampio». All’interno dell’Azienda c’è una preziosa collezione d’arte, visibile negli spazi quotidianamente abitati dai dipendenti. Ci racconterebbe l’idea alla base di questa bellissima iniziativa? «Infatti, la nostra non è tanto una galleria, quanto il tentativo di rendere il luogo di lavoro un luogo che abbraccia e che coinvolge. Ritengo che se il luogo dove trascorriamo tante ore della giornata diventa anche un luogo piacevole, “bello”, il benessere aumenta. È un’idea che affonda molto indietro nel tempo, e negli anni abbiamo rimpinguato questa nostra raccolta di opere, di cui siamo abbastanza fieri: qui, nelle altre sedi italiane e anche all’estero». Molto particolare è anche l’idea di dare al packaging una veste estetica creativa e riconoscibile: ci spiegherebbe come? «Il packaging attuale nasce dall’esigenza di armo-


nizzare i due packaging preesistenti, quello di Alfa Wassermann da una parte, e quello di Sigma Tau dall’altra. La prima aveva un packaging molto rigoroso, in cui i colori istituzionali formavano qualcosa sì di piacevole, ma comunque molto lineare, e uguale per tutti i prodotti. All’opposto, il packaging Sigma Tau è sempre stato un qualcosa che variava a seconda del prodotto, con una declinazione di colori molto differenziata. Abbiamo cercato quindi di unificare in una nuova confezione il rigore di Alfa Wassermann e la fantasia che trovavamo in Sigma Tau. E lo abbiamo fatto attraverso un segno, ossia le righe che contraddistinguono la nostra immagine, dove due colori però variano. Nello scegliere come, abbiamo deciso di farci ispirare da chi i colori li usa costantemente, quindi dai massimi pittori della contemporaneità. Li abbiamo scelti ispirandoci magari a un’opera in particolare, oppure in alternativa ispirandoci ai colori che in un dato autore ricorrevano più frequentemente: abbiamo quindi diviso tutti i nostri prodotti del farmaco in “gruppi”, ognuno dei quali ha un proprio abbinamento di colori… abbiamo quindi il Morandi, il Mondrian, il Rothko, e così via». All’interno come all’esterno, la cura di Alfasigma per il benessere si traduce anche nel sostegno ad arte, cultura e musica del nostro territorio. In particolare, alle iniziative di Musica Insieme Alfasigma dà non solo un prezioso sostegno economico, ma anche di “sviluppo” del pubblico, con l’offerta di abbonamenti gratuiti

agli studenti Erasmus. Qual è la vostra politica nei confronti dei giovani? «Coinvolgendo le famiglie dei nostri dipendenti: un coinvolgimento che passa attraverso il contatto e la partecipazione diretta delle famiglie alle attività organizzate o offerte da Alfasigma. Poi i giovani hanno la possibilità di avvicinarsi in maniera specifica a questo mondo, attraverso gli stage formativi degli istituti superiori, o quelli per la prepara-

«Se il luogo dove trascorriamo tante ore della giornata diventa anche un luogo piacevole, “bello”, il benessere aumenta» zione della tesi di laurea. Inoltre ci sono momenti particolari in cui “mostriamo” dal vero come funziona la produzione del farmaco. Sono occasioni affascinanti per poter seguire e vedere passo dopo passo come si arrivi al prodotto-farmaco, che sia una compressa, uno sciroppo o una fiala-siringa. È qualcosa che fa capire meglio quello che a volte ci si immagina in modo troppo approssimativo». Quali sono i criteri premianti nel sostegno di Alfasigma alle attività musicali del territorio? «A Bologna in campo musicale c’è un’offerta non solo molto ampia, ma anche qualitativamente eccellente. Poi, com’è naturale che sia, le varie proposte si differenziano, e ognuna di esse si caratterizza in modo unico per ciò che fa. Noi ci siamo avvicinati a Musica Insieme, che ha peraltro una lunga tradizione, perché, oltre appunto all’offerta musicale in sé, ci piaceva in particolare l’attenzione, la cura speciale che offre ai suoi abbonati. Ad esempio, in concreto, il servizio di Invito alla Musica, che va a raccogliere gli abbonati in tutta la Città metropolitana, mi pare un’attenzione particolare che viene molto apprezzata. Il fatto di non dover prendere l’auto la sera per recarsi a concerto, di non dover cercare un parcheggio, ma essere accompagnati proprio “dietro l’angolo”: questo è qualcosa di bello e di unico. Poi non ho mai partecipato personalmente ai viaggi di Musica Insieme, ma so che sono organizzati in modo preciso e attento, allo scopo di integrarli con offerte musicali molto interessanti». (a cura di Fulvia de Colle)

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StartUp

GENI di famiglia

Prosegue la nostra rubrica dedicata ai talenti esordienti nel campo dell’arte, dell’impresa e non solo: per questo numero, riflettori accesi su musica e finanza

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ofia Gazzotti è una ragazza esuberante e dinamica. Contesa dalle più importanti aziende mondiali, desidera approfondire nuove culture per essere una cittadina del

mondo. Il suo entusiasmo, impegno e disponibilità ricordano quelli di sua madre Eleonora, che per lei è un grande esempio da emulare. Per la famiglia di Pietro Scimemi la musica è una condizione di

normalità e il saper suonare uno strumento un elemento imprescindibile della formazione individuale. Tra i risultati finora conseguiti si annovera il Primo Premio assoluto al Concorso “Alberghini”.

Sofia Gazzotti 25 anni, Consulente strategica c/o McKinsey. La trovate su Instagram

Come ti descriveresti? Ambiziosa, intraprendente, iperattiva e quasi mai soddisfatta: negli ultimi anni ho lavorato molto duramente per raggiungere i miei obiettivi accademici e lavorativi. Ho cambiato paese, talvolta continente, due volte all’anno per otto anni e ormai mi sento a casa un po’ ovunque. Tutto questo però, senza mai farmi mancare momenti di svago con gli amici e la mia famiglia, mia fonte di forza e allegria. Quali sono le tue passioni? Quali interessi coltivi? La mia più grande passione è viaggiare, la mia identità di oggi è il risultato di anni passati a relazionarmi con persone provenienti da culture molto diverse, provare a imparare la loro lingua e immergermi in tradizioni e abitudini culinarie molto diverse dalle mie. Parlaci del tuo iter accademico e delle tue esperienze professionali. Dopo il Liceo Galvani di Bologna sono stata selezionata per il World Bachelor in Business, corso di tripla laurea in economia aziendale che mi ha portata un anno a Milano all’Università Bocconi, due anni a Los Angeles alla University of Southern Ca-

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lifornia, e un anno alla Hong Kong University of Science and Technology. Ho successivamente iniziato la mia carriera in consulenza strategica, nel ramo Digital della società McKinsey & Company, nei loro uffici di New York e Londra. Il mio lavoro consisteva nel supportare i dirigenti di grosse società internazionali su temi di strategia digitale e innovazione, come ad esempio quello per un retailer negli Emirati Arabi. Lo scorso settembre ho iniziato un corso MBA (Master in Business Administration) a INSEAD, nel loro campus a Singapore, da dove vi scrivo oggi. Qual è la tua giornata ‘tipo’ fra studio, sport, tempo libero, amici e famiglia? Da quando ho iniziato questo corso, ogni giornata è diversa in quanto seguo una gran varietà d’iniziative extracurriculari. Tipicamente durante la settimana mi vedreste correre tra lezioni, incontri per progetti scolastici, palestra e organizzazione di eventi e attività studentesche nell’università. Nei weekend invece viaggio quanto più posso: da Singapore è facile raggiungere mete incredibili tra Malesia, Indonesia, Cambogia, Filippine...

Quali obiettivi vorresti aver raggiunto tra dieci anni? Mi piacerebbe essere a capo di un’azienda da me fondata, all’intersezione tra tecnologia e retail / moda ma a prescindere dai risultati professionali, spero tra dieci anni di potermi guardare indietro con soddisfazione e di aver saputo bilanciare gli impegni lavorativi con il tempo da dedicare a famiglia e amici. È facile perdere di vista ciò che conta quando il lavoro prende 12-16 ore al giorno. Hai un modello di riferimento? Mia mamma. Donna di successo, indipendente, brillante, dotata della capacità di fare amicizia con chiunque. L’ho vista affrontare ostacoli insormontabili nella vita, portandoli tutti sulle sue spalle, sempre con un sorriso sul viso. Diventare anche solo la metà della persona che è lei sarebbe per me motivo di grande orgoglio.


Pietro Scimemi 17 anni, violoncellista. Lo trovate su Instagram

Di certo i miei coetanei non brillano per interesse verso la musica classica, e questo è sicuramente un peccato. Ma la colpa non è da attribuire solo a loro: per poter apprezzare la classica bisogna anche che ci sia una cultura e un’educazione musicale di fondo, che vada oltre – se non proprio contro! – l’insegnamento del flauto dolce alle medie, che è l’unica formazione musicale che la scuola italiana ci offre (e ci impone!). Per diffondere un sapere musicale tra i

Foto LucaBolognese.com

La tua è una famiglia di musicisti: quanto è contato per la tua scelta di vita essere immerso nella musica sin da bambino? Parto dal presupposto che lo studio di uno strumento, specie se intrapreso sin da piccoli, è utilissimo anche per chi non ha intenzione di perseguire una carriera da musicista, in quanto aiuta a sviluppare vari ambiti della nostra intelligenza (è noto ad esempio lo stretto legame tra musica e matematica), oltre a formare le basi di un hobby a cui potrà dedicarsi con immense soddisfazioni – anche solo dal punto di vista delle relazioni personali – nel corso di tutta la vita. Per questo mi considero fortunato ad essere nato in una famiglia in cui per generazioni la musica ha avuto un ruolo importante, non necessariamente come professione, ma anche solo per diletto e condivisione della tradizione familiare. I miei primi contatti con il mondo musicale sono avvenuti in occasione di piccole feste domestiche, a cui partecipavo come mero spettatore, piene di musicisti e appassionati amici dei miei genitori, in cui si suonava musica da camera divertendosi fino a notte fonda, quando finalmente, con miliardi di note che mi giravano in testa, cadevo addormentato. Inutile dire che per un bambino di quattro-cinque anni passare il pomeriggio o la sera ad imparare a tirar fuori un suono accettabile da uno strumento come il violoncello non è necessariamente un divertimento o una festa. Ma la soddisfazione della prima volta in cui ad una di queste “feste musicali casalinghe” mi è stato chiesto di sostituire, all’ultimo momento, un violoncellista che era in ritardo, la ricordo ancora. Come pensi si possano conquistare alla musica i ragazzi della tua età, che in genere non sono certo degli assidui frequentatori di concerti?

giovani servirebbe un miglior uso dei mezzi d’informazione, come la TV o i social media. Non mi risulta ad esempio che in Italia sia stata tentata un’operazione come quella della serie televisiva americana degli Young People’s Concerts, che tanto successo ebbe negli anni Sessanta, auspice un genio come Leonard Bernstein, nella duplice veste di direttore della New York Philharmonic e impareggiabile divulgatore della storia, della struttura, dell’armonia e della bellezza dei brani eseguiti. Mirata appunto ai ragazzi di ogni età, la trasmissione ebbe il sorprendente effetto di avvicinare un’intera generazione di giovani alla musica classica.

Qual è il percorso di studi che stai facendo ora? Dopo il diploma al conservatorio, un paio d’anni fa, ho cercato di conciliare lo studio del violoncello con la scuola (sono al quarto anno di liceo classico a Padova). Ho vinto l’audizione per entrare all’Accademia “Stauffer” di Cremona e studiare con Antonio Meneses, e vado periodicamente a lezione da Paolo Bonomini (assistente del grande Jens Peter Maintz, con cui pure ho studiato). D’estate poi, appena finita la scuola, parto per i più importanti festival europei, che costituiscono una splendida occasione per conoscere posti bellissimi, stringere amicizie con altri giovani musicisti, espandere il mio repertorio e studiare con grandi maestri. Sono ancora molto indeciso sul percorso di studi che seguirò dopo il liceo: per ora cerco di “sopravvivere” e tenermi aperte il maggior numero di possibilità. Il mese prossimo per esempio – sempre che riesca a convincere i miei genitori a farmi saltare la scuola! – mi piacerebbe molto accettare l’invito della EUYO (la European Union Youth Orchestra) a cui sono stato ammesso come membro per uno “Spring Tour 2020” in giro per l’Europa. Quale sarà la tua prossima ‘sfida’? In questi ultimi mesi, grazie ad una App che permette registrazioni “simultanee” di più voci da parte di un unico esecutore, ho sperimentato l’arrangiamento e la produzione di brani interamente eseguiti da me sul violoncello. I risultati che riesco ad ottenere sono davvero incredibili (alcuni brani li ho postati anche su Instagram). La mia prossima sfida è registrare da solo un’intera opera orchestrale, per esplorare e dimostrare al pubblico ogni possibile capacità espressiva del mio strumento.

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MIA – Musica Insieme in Ateneo

INSIEME

per la musica

Si conclude a marzo la rassegna che Musica Insieme dedica agli studenti universitari, rinsaldando la collaborazione con La Soffitta e inaugurando un nuovo sodalizio con il Teatro del Baraccano

Foto Neda Navaee

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Sopra, Anton Mecht Spronk. Sotto, l’Orchestra del Baraccano

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orna anche quest’anno MIA – Musica Insieme in Ateneo, la rassegna nata dalla collaborazione tra Musica Insieme e l’Università di Bologna. Giunta alla XXIII edizione, MIA si fa ancora una volta promotrice dei più brillanti talenti delle ultime generazioni: fra gennaio e febbraio abbiamo avuto l’occasione di ascoltare giovani e straordinari interpreti come Giovanni Andrea Zanon, Leonora Armellini ed Emanuil Ivanov, ma anche di assistere al tradizionale concerto del Collegium Musicum Almae Matris. Gli ultimi due concerti della rassegna, che si concluderà a marzo, vedranno esibirsi l’Orchestra del Baraccano e il duo Spronk – Loperfido. Fondata nel 2013 da Giambattista Giocoli, direttore artistico dell’omonimo Teatro, l’Orchestra del Baraccano presenta un progetto che ripercorre il legame fra Bologna e Praga attraverso la figura di Josef Mysliveček. Noto in Italia come “il

XXIII edizione

DAMSLab /Auditorium (Piazzetta Pier Paolo Pasolini 5/b - Bologna) - ore 20.30

2020 - mercoledì 11 marzo Da Praga a Bologna

Orchestra del Baraccano Giambattista Giocoli direttore

Musiche di Janáček, Mysliveček, Martinů

In collaborazione con Teatro del Baraccano

2020 - mercoledì 25 marzo Rising Stars III

Anton Mecht Spronk violoncello Giulia Loperfido pianoforte Musiche di Brahms, Šostakovič

In collaborazione con Centro La Soffitta – Dipartimento delle Arti

Il concerto dell’11 marzo è gratuito per gli studenti e il personale docente e tecnicoamministrativo dell’Università di Bologna, su presentazione del proprio badge, mentre per tutti i cittadini il biglietto ha un costo di 7 euro. Il concerto del 25 marzo è ad ingresso gratuito per tutti, fino ad esaurimento dei posti disponibili. Ritiro biglietti: la sera del concerto dalle 19.30 nel foyer dell’Auditorium DAMSLab. Non è prevista prenotazione.

divino Boemo”, Mysliveček fu Accademico Filarmonico e proprio a Bologna incontrò il giovane Mozart, che lo considerava un importante modello. Di Mysliveček ascolteremo l’Ottetto per fiati, affiancato a Mládí di Leoš Janáček, scritto ricordando gli anni della giovinezza a Brno, mentre concluderà il programma il sontuoso Nonetto del boemo Bohuslav Martinů. Nell’appuntamento conclusivo, in collaborazione con il Centro La Soffitta del Dipartimento delle Arti, ascolteremo per la prima volta a Bologna il violoncellista olandese Anton Mecht Spronk, vincitore del Concorso internazionale “Mazzacurati” 2019, dove si è aggiudicato anche il Premio dell’Orchestra Nazionale della RAI e il Premio del pubblico. Al suo fianco la ventenne Giulia Loperfido che, forte della formazione con Bogino e Lucchesini, si perfeziona proprio in cameristica con il Trio di Parma. Nel concerto si fronteggiano due colossi del repertorio per violoncello e pianoforte: la prima delle due Sonate di Brahms e l’unica Sonata mai scritta per questo organico da Šostakovič.



Musica e cinema

APPUNTAMENTI

al buio

Musica Insieme vara una nuova iniziativa per raccontare all’Oratorio di San Filippo Neri le “vite straordinarie” di grandi musicisti – e grandi uomini – del nostro tempo. Ce ne parla la Presidente Alessandra Scardovi

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Carlo Fontana con il Ministro Dario Franceschini

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na nuova iniziativa quella che Musica Insieme desidera offrire al proprio pubblico, con l’obiettivo di valorizzare sempre di più la funzione sociale della musica e l’importanza della mediazione culturale ad opera di alcuni grandi interpreti del nostro tempo, sia come occasione di sensibilizzazione sull’importanza della musica per la crescita culturale della nostra comunità, sia per creare un’occasione di approfondimento sulle personalità di questi artisti affrontandole da una prospettiva diversa. Racconteremo quindi con “Vite straordinarie” la storia di tre grandi interpreti, il cui cammino sulla strada del successo ha incrociato le vie di Bologna e di Musica Insieme, attraverso la settima arte. Tre preziosi film documentari del regista francese Bruno Monsaingeon, su tre grandi artisti che hanno dedicato la loro vita alla musica, ma anche e soprattutto su tre grandi uomini e intellettuali il cui impegno civile e sociale ha seguito di pari passo le loro carriere per tutta la vita. Testimonianze inedite, raccolte nel corso d’interviste realizzate tra gli anni Ottanta e Novanta, a cui si sovrappongono emo-

zionanti filmati rimasti a lungo negli archivi. Le proiezioni saranno gratuite, inizieranno alle 18 e avranno luogo all’Oratorio di San Filippo Neri, messo a disposizione dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, cui va la nostra gratitudine. Si parte domenica 22 marzo con l’appuntamento dedicato a Maurizio Pollini. Il grande pianista, sin dal 1991 acclamato ospite di numerose Stagioni di Musica Insieme, si racconta per la prima volta davanti a una telecamera, ripercorrendo le tappe fondamentali della sua carriera, a partire dalla vittoria al Concorso “Chopin” nel 1960, fra momenti musicali, immagini inedite e testimonianze di artisti a lui vicini come Abbado, Nono e Boulez. Nell’appuntamento centrale di domenica 29 marzo assisteremo al ritratto di Mstislav Rostropovič, figura chiave del Novecento non solo per il suo genio musicale, ma anche per la sua lotta in favore della libertà di espressione del popolo russo e per il suo impegno civile. A riconoscimento di ciò l’Università di Bologna gli assegnò nel 2006 la laurea ad honorem in Scienze Politiche, richiamando alla memoria nella motivazione anche l’iconica immagine del suo concerto improvvisato sulle macerie del Muro di Berlino. Domenica 5 aprile sarà infine la volta di Sviatoslav Richter, uno dei massimi pianisti di tutti i tempi, la cui personalità emerge dal ritratto che Monsaingeon delinea attraverso le sue riprese, un ritratto arricchito da una serie di inediti documenti d’archivio, riscoperti solo alla fine del secolo scorso, che documentano esecuzioni entrate nella leggenda. Anche in questa occasione Bologna e Musica Insieme sono protagoniste attraverso le parole dello stesso Richter, che nel corso dell’intervista parla della nostra città, dove tenne due recital per Musica Insieme nel 1989 e nel 1992. Per introdurre il ciclo di proiezioni, ho desiderato invitare alla prima serata dedicata a Maurizio Pollini, il 22 marzo, un grande protagonista della scena culturale e caro amico di Musica Insieme: Carlo Fontana, già Sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna e del Teatro alla Scala di Milano e dal 2013 Presidente dell’Agis, che ha subito accolto l’invito con grande entusiasmo. Per questa occasione i film in lingua originale avranno per la prima volta i sottotitoli in italiano, realizzati appositamente da Musica Insieme al fine di facilitarne la fruizione. Vi aspettiamo quindi a questo nuovo appuntamento di Musica Insieme con i film di Bruno Monsaingeon, a cui spetta il merito di aver immortalato nelle sue pellicole le testimonianze di tre grandi personalità che hanno onorato la storia della Musica e, con la loro presenza, la storia di Musica Insieme e della nostra città.



Varignana Music Festival 2020

Sopra: una suggestiva immagine del Grand Opening 2019 A destra: Alessandro Carbonare, lo straordinario clarinettista ospite della VII edizione. Sotto: la pianista croata Martina Filjak, al suo debutto a Varignana

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Foto Elettra Bastoni

INCANTI

al 2 all’11 luglio 2020, la settima edizione del Varignana Music Festival ci consentirà di ascoltare interpreti straordinari e celeberrimi, ma anche di scoprirne di nuovi, sempre coniugando il momento musicale con il piacere dell’incontro – di persone, di idee – che ci accompagna nei dieci giorni del Festival. La direzione artistica di Musica Insieme e l’arte dell’accoglienza che ha fatto di Palazzo di Varignana uno dei resort più apprezzati del territorio (e non solo) promettono infatti di riconfermare la qualità assoluta del Festival, che ha già ospitato fra gli altri artisti e intellettuali come Mischa Maisky, Philippe Daverio, Natalia Gutman, il Festival Strings Lucerne, il Quartetto di Cremona. È ormai una piacevole tradizione l’appuntamento inaugurale con il Coro e Orchestra del Varignana Music Festival, che il 2 luglio nella suggestiva terrazza della Villa storica del Resort farà riecheggiare l’Italia del Belcanto, da Verdi a Rossini, Puccini e Mascagni – non senza un omaggio a Mozart, che proprio a luglio di 250 anni fa approdava a Bologna per un lungo e prolifico soggiorno “artistico”. Novità assolute fra gli altri ensemble ospiti del Festival, a partire da Tango Sonos, guidato dalla violista Anna Serova, che proporrà un programma di grande originalità in cui proprio l’opera italiana incontra il tango, con la partecipazione di due giovani danzatori come Andrea Vighi e Chiara Benati, Campioni mondiali di tango argentino. Fra gli ensemble si segnala poi un’eccellenza come la Camerata RCO della Royal Concertgebouw Orchestra di Amsterdam, e fra gli italiani il Trio di clarinetti capitanato da Alessandro Carbonare, fra i massimi solisti dello strumento, che ascolteremo anche in duo con Mariangela Vacatello. Con la pianista partenopea si segnala anche un “progetto speciale” di

L’atmosfera delle colline bolognesi, le cene al tramonto dopo il concerto, la grande musica con i grandi maestri: torna il festival che unisce Palazzo di Varignana e Musica Insieme

questa edizione: quello che la vedrà esibirsi insieme a Laura Morante, impegnata a leggere pagine del suo libro Brividi immorali, con loro anche la violinista tedesca Carolin Widmann, per un trio tutto al femminile. Un altro attore celebratissimo al cinema come a teatro, Luigi Lo Cascio, incontrerà invece il suo conterraneo Giovanni Sollima per un inedito programma di musiche e poesie siciliane. A Sollima affideremo anche la matinée finale del Festival, dove ci stupirà con le sue improvvisazioni “site specific” insieme ad Enrico Melozzi, con il quale il geniale performer e autore ha creato l’avventura musicale dei 100 Cellos. Un’altra attesa novità di questa edizione sarà la presenza della pianista croata Martina Filjak, Medaglia d’Oro al Concorso di Cleveland e fra le più entusiasmanti interpreti dell’ultima generazione, che ascolteremo in recital e in duo con Carolin Widmann.



Teatro Comunale di Bologna

UNA STAGIONE

da scoprire

Il cartellone lirico 2020 del Teatro Comunale prevede 12 appuntamenti, fra repertorio maggiore, grandi voci e regie prestigiose

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Foto Yasuko Kageyama © Teatro dell'Opera di Roma.tif

Foto RoccoCasaluci © Teatro Comunale di Bologna

opo il successo del Tristan und Isolde di Richard Wagner che ha inaugurato la stagione nell’allestimento ideato dal regista Ralf Pleger e dallo scenografo Alexander Polzin con Juraj Valčuha sul podio, seguito a febbraio dalla Madama Butterfly di Giacomo Puccini diventata tragedia contemporanea nella visione di

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MUSICA INSIEME

Damiano Michieletto e diretta da Pinchas Steinberg, il cartellone lirico 2020 del Teatro Comunale di Bologna prosegue con La cenerentola di Gioachino Rossini (18-24 marzo) nella versione popsurrealista di Emma Dante. Tra gli interpreti principali Antonino Siragusa, Nicola Alaimo, Alessandro Corbelli, Chiara Amarù e Gabriele Sagona; sul podio Yi-Chen Lin, che torna al Comunale dopo Le nozze di Figaro nel 2016. È invece affidato a Claire Gibault, nota al pubblico del teatro per aver diretto Les oiseaux de passage di Fabio Vacchi nel 2001, il melologo Eternapoli (2728 marzo) – sempre del compositore bolognese – realizzato in coproduzione con l’Arena del Sole. Rappresentato in prima assoluta al Teatro di San Carlo di Napoli nel 2018, il lavoro è ispirato al romanzo di Giuseppe Montesano Di questa vita menzognera. Protagonista l’attore pluripremiato Toni Servillo, voce narrante assieme a Imma Villa. Capolavoro comico donizettiano di freschezza e vitalità, L’elisir d’amore (4-10 aprile) è proposto nel nuovo allestimento del TCBO diretto da Jonathan Brandani con la regia di Pablo Maritano. Realizzato in coproduzione con l’Auditorio de Tenerife e il Teatro Statale dell’Opera e del Balletto di Tbilisi nell’ambito del progetto “Opera Next” e scelto dal programma di finanziamento di Creative Europe, il programma dell’Unione Europea che sostiene le industrie culturali e cinematografiche del continente, lo spettacolo vede impegnati per il settimo anno gli interpreti selezionati dalla Scuola dell’Opera del Teatro Comunale e dall’accademia di formazione Opera(e)Studio di Tenerife. Diversamente da quanto già annunciato, una nuova produzione del Comunale del melodramma verdiano Luisa Miller (15-21 aprile), in forma semiscenica, sarà firmata dall’artista della luce e progettista ravennate Mario Nanni – fondatore dell’azienda Viabizzuno – e sarà diretta da Ido Arad, al suo debutto in Italia. Nel cast solisti di fama mondiale come Gregory Kunde, Riccardo Zanellato, Martina Belli, Franco Vassallo e Myrtò Papatanasiu. Spazio poi al grande repertorio sinfonico-corale con


Teatro Comunale di Bologna Largo Respighi, 1 Mar > Ven 12 – 18, Sab 11 – 15 Tel. +39 051.529019 / Fax +39 051.529995 boxoffice@comunalebologna.it Nei giorni feriali di spettacolo, biglietti in vendita da 2 ore prima e fino a 15 minuti dopo l’inizio dello spettacolo; in quelli festivi da un’ora e mezza prima e fino a 15 minuti dopo l’inizio dello spettacolo.

nella nuova versione del regista Gabriele Lavia, che torna dopo la Salome riproposta nella precedente stagione, con la direzione di Asher Fisch impegnato nel suo secondo titolo del 2020. In scena voci di primo piano come quelle di Gregory Kunde, Franco Vassallo e Mariangela Sicilia. Chiude il cartellone la fortunata produzione di un altro classico pucciniano, La bohème (12-23 dicembre) firmata dal regista inglese Graham Vick per l’inaugurazione di stagione del Comunale nel 2018 e vincitrice del premio Abbiati come miglior spettacolo dell’anno. Affidato alla bacchetta di Francesco Ivan Ciampa – al suo debutto al Comunale – lo spettacolo vede protagonisti sul palco Benedetta Torre, Valentina Mastrangelo, Rame Lahaj e Andrea Vincenzo Bonsignore.

Sopra, La mano felice. Il castello del Principe Barbablù. Sotto, L’elisir d’amore. Nella pagina a fianco, sopra, La bohème. In basso, La Cenerentola

Foto Miguel Barreto © Auditorio de Tenerife

CONTATTI E ORARI DELLA BIGLIETTERIA

Foto Franco Lannino © Teatro Massimo di Palermo

l’oratorio Die Schöpfung (La Creazione) di Franz Joseph Haydn (23-24 aprile), diretto dal Maestro del Coro del TCBO Alberto Malazzi e interpretato da Francesca Lombardi Mazzulli, John Bellemer e Nahuel Di Pierro. Torna dopo 27 anni di assenza dal palcoscenico del Comunale l’Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea (9-17 maggio) nel nuovo allestimento del TCBO ideato da Rosetta Cucchi e diretto dal maestro israeliano Asher Fisch. Nel cast Kristine Opolais – che debutta nel ruolo del titolo e nel teatro bolognese – Roberto Aronica, Alessandro Corbelli e Veronica Simeoni. Lo spettacolo sarà ripreso da Rai Cultura che lo trasmetterà su Rai5. Il secondo titolo donizettiano di stagione, Lucrezia Borgia (16-23 giugno), è proposto nella nuova coproduzione con l’Auditorio de Tenerife, l’Ópera de Oviedo e il Teatro de la Maestranza di Siviglia firmata da Silvia Paoli e diretta dall’ucraino Andriy Yurkevich, reduce dal successo bolognese con Simon Boccanegra nel 2018. In scena artisti di rilievo quali Mirco Palazzi, Yolanda Auyanet, Stefan Pop e Cecilia Molinari. Il rapporto conflittuale fra uomo e donna è al centro dei due atti unici di Arnold Schönberg e Béla Bartók La mano felice (Die glückliche Hand) e Il castello del principe Barbablù (7-12 luglio), fusi nel nuovo progetto creativo del duo ricci/forte – impegnati per la prima volta al Comunale – con la regia di Stefano Ricci, già andato in scena al Teatro Massimo di Palermo nel 2018. Sul podio uno specialista del repertorio come Marco Angius e in scena Gabor Bretz e Atala Schöck. Il melodramma verdiano Otello (11-18 novembre) è proposto


I luoghi della musica

IL TEATRO di Modena

Foto Gilles Alonso

Ha quasi due secoli di storia il Teatro Comunale della città emiliana, intitolato a Luciano Pavarotti nel 2008 e sede di una programmazione musicale di grande pregio di Maria Pace Marzocchi

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al 1643, a Modena, gli spettacoli teatrali si svolgevano nell’antica sala di via Emilia, che rimase in funzione fino al 1859, ma poiché all’inizio degli anni Trenta dell’Ottocento le sue strutture risultavano ormai obsolete, nel 1838 il marchese Ippolito Livizzani, nella sua veste di podestà, convocò i Conservatori dell’Illustrissima Comunità proponendo la costruzione di un nuovo Teatro. L’incarico fu affidato a Francesco Vandelli, allievo di Giuseppe Maria Soli all’Accademia Atestina e architetto di corte al servizio di Francesco IV d’Austria-Este, uno dei progettisti del nuovo piano urbanistico di Modena e autore di numerose opere pubbliche tra cui il Foro Boario. Il Teatro dell’Illustrissima Comunità, “eretto per il decoro della città e per la trasmissione delle arti sceniche”, fu inaugurato il 2 ottobre 1841 con il melodramma Adelaide di Borgogna al Castello di Canossa composto per l’occasione dal direttore della musica di Corte Alessandro Gandini su libretto del poeta ducale Alessandro Malmusi, e la serata si concluse con il ballo Rebecca del coreografo Emauele Viotti. Grandi applausi anche per l’autore del sipario – che tuttora decora il boccascena – il famoso pittore Adeodato Malatesta, dal 1839 direttore dell’Accademia Atestina. Quanto al soggetto, scartati i suggerimenti dei letteSopra: la sala in stile rati modenesi che indicavano il frequentato tema del neoclassico del Teatro Parnaso, il Malatesta, in linea con il più aggiornato Comunale di Modena Romanticismo, preferì un episodio di storia della di24

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MUSICA INSIEME

nastia estense, Ercole I in visita al teatro da lui fatto costruire a Ferrara nel 1486 per la rappresentazione dei Menecmi di Plauto, tratto dalle Antichità Estensi di Ludovico Antonio Muratori. L’edificio, la cui facciata insiste su di un portico a nove arcate e si conclude con un fastigio dove è raffigurato “il Genio di Modena” dello scultore modenese Luigi Righi, attivo anche all’interno, presenta una sala ellittica in stile neoclassico a quattro ordini di palchi, e un quinto riservato al loggione, secondo la consueta tipologia del “teatro di sala” all’italiana. La volta è dipinta dai modenesi Camillo Crespolani ornatista e Luigi Manzini figurista, che al centro del soffitto ha raffigurato la Musica, la Poesia, la Tragedia, la Commedia, alternate alle immagini dei grandi musicisti del tempo, Verdi, Bellini, Donizetti e Rossini, mentre i parapetti dei palchi sono ornati da intagli, bassorilievi dorati e pitture dove i soggetti mitologici si alternano alla storia del Genio modenese. Tra i locali di servizio per le produzioni sceniche il teatro, forse unico in Italia, conserva ancora operanti le sale di scenografia e dei pittori. Il costo della fabbrica ammontò a 722.000 lire, in parte risarcito dalla cessione dei palchi a privati acquirenti, dalla vendita dei materiali di demolizione delle case che occupavano l’ampia area prescelta, e infine da un cospicuo “regalo del principe”, il duca Francesco IV, il cui casato peraltro fin dagli anni ferraresi aveva fatto della corte estense uno dei centri d’avanguardia della musica rinascimentale. Dopo lunghe interruzioni di programmazione dovute alle due guerre, negli anni Sessanta del Novecento la gestione passò al Comune della città, e dal 2002 alla Fondazione Teatro Comunale di Modena appositamente costituita. A seguito della riapertura nel 1986 del Teatro Storchi, acquisito e restaurato dal Comune e da quella data utilizzato per gli spettacoli di prosa, la stagione del Teatro Comunale di Modena – dal 2008 intitolato a Luciano Pavarotti, che lì debuttò nel maggio 1961 con Bohème – è completamente dedicata alla musica: all’opera lirica, ai concerti, ai balletti. E fra le attività didattiche il teatro conta un eccellente corso per cantanti lirici. TEATRO COMUNALE LUCIANO PAVAROTTI Modena, via del Teatro 8 www.teatrocomunalemodena.it



Storie della musica

CLARA

Schumann

Nel concerto per Musica Insieme del Trio capitanato da Sabine Meyer, il 23 marzo, risuonano le poetiche fantasie della pianista e compositrice che fu l’anima e il cuore di “casa Schumann”

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Sopra: Clara Wieck nel 1840 in un disegno di Johann Heinrich Schramm

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MUSICA INSIEME

di Brunella Torresin

ue pagine musicali, nell’opera di Clara Wieck Schumann (1819-1896), sospendono nel tempo lo sguardo di questa straordinaria figura di donna, appassionata e determinata, consapevole del proprio talento, artista celebrata e impresaria di se stessa, moglie di Robert Schumann e madre di otto figli. Sono due raccolte di Lieder, separate da una dozzina d’anni: i Sei Lieder op. 13, composti tra il 1840 e il 1843, e i Sei Lieder dalla Jucunde di Hermann Rollett, completati nel 1853. I primi anni di felicità. E l’ultimo. Clara Wieck e Robert Schumann si sposarono il 12 settembre 1840 a Schönefeld, e ci riuscirono solo grazie a un’azione legale volta a superare la fiera opposizione al matrimonio del padre di lei. Clara, nata e cresciuta in una famiglia di musicisti, enfant prodige, era pianista e compositrice di successo. Possiamo conoscerne la personalità, gli affanni e la cultura grazie alle lettere e ai diari giunti fino a noi: Claudio Bolzan ne ha curato una bellissima edizione (Clara Wieck Schumann, Lettere, diari, ricordi. Appartenere alla mia arte con anima e corpo, Zecchini Editore 2015). Sappiamo dunque dalle sue lettere che tra la fine del 1839 e i primi mesi del 1840 il conflitto con il padre l’aveva prostrata. Da Berlino, il 14 marzo, Clara aveva confessato a Robert: «Non sono più in grado di comporre; a volte questo mi rende davvero molto infelice. […] Non pensare che si tratti di pigrizia. E un Lied, poi, non ci riuscirei proprio; comporre un Lied,

comprendere totalmente un testo, per far questo ci vuole ingegno». Si sbagliava. Dopo il matrimonio ogni cosa attorno a lei riacquista luce: «Oggi inizio una nuova vita». «Le condizioni di salute di Clara sono migliorate molto», scrive Schumann. Assieme studiano e creano. Nei tre anni successivi Clara compone i Sei Lieder op. 13. Il quinto, Ich hab’ in deinem Auge, così come il terzo dell’op. 23, Geheimes Flüstern hier und dort (Secreti sussurri tutt’attorno), li si ascolterà il 23 marzo nella trascrizione pianistica di Liszt e l’esecuzione di William Youn, protagonista del concerto con la clarinettista Sabine Meyer e il violista Nils Mönkemeyer. Nel 1853, Clara aveva ricominciato a comporre dopo una pausa di sette anni. In quello stesso anno portò a termine le Variazioni su un tema di Schumann op. 20, le Tre Romanze per violino e pianoforte op. 22 e i Sei Lieder dalla Jucunde di Hermann Rollett op. 23. Il 22 giugno annota nel suo diario: «Oggi ho composto il sesto Lied di Rollett e così ho completato un quaderno di Lieder che mi fanno piacere e mi hanno procurato delle belle ore». Perché davvero «non si respira che nei suoni». È l’ultimo anno di serenità. Nel febbraio 1854 Clara scrive: «Il mio povero Robert soffre terribilmente. Il medico dice che non può fare nulla. […] Le allucinazioni uditive sono molto aumentate». Quello stesso mese, Schumann si getta nel Reno da un ponte di Düsseldorf. Lo salvano. Sarà ricoverato fino alla sua morte in una clinica a Endenich.





I viaggi di Musica Insieme

BARCELLONA 23-26 aprile 2020

Musica Insieme propone per la primavera 2020 un viaggio dal programma irrinunciabile: ascolteremo Zubin Mehta alla guida dei leggendari Wiener Philharmoniker nel capoluogo catalano, fervente centro dell’arte e della cultura

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ntusiasmante, libera, creativa: centro riconosciuto delle arti e dello spettacolo, Barcellona è stata accuratamente selezionata tra le mete dei Viaggi di Musica Insieme per la sua straordinaria offerta turistica e culturale, a partire dalla magnifica location del concerto, che si terrà sabato 25 aprile al Palau de la Música Catalana. Numerose le visite in programma, dal celebre Parc Güell, giardino concepito dal genio di Gaudí che fonde perfettamente elementi architettonici e naturali, alla Sagrada Familia, il suo capolavoro, alla montagna di Montjuic e la sua vista panoramica sulla città e sul porto, fino all’imperdibile Piazza Catalunya. Non potrà mancare naturalmente una visita alla Fundació Joan Miró, che contiene la maggiore collezione esistente del pittore catalano.

Sopra: a sinistra, la sala del Palau de la Música Catalana; a destra, veduta aerea di Barcellona con la Sagrada Familia. Sotto: Janine Jansen

Ancora una volta grazie a questo viaggio avremo la possibilità di assistere al concerto di una tra le più prestigiose orchestre al mondo, la Filarmonica di Vienna, diretta dalla celeberrima bacchetta di Zubin Mehta, con un programma incentrato sulla Sinfonia n. 7 in re minore op. 70 di Dvořák e sul Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 77 di Brahms, solista un’altra straordinaria interprete come Janine Jansen, che il pubblico di Musica Insieme ha avuto modo di applaudire a Bologna nel 2014. Il 23 aprile avremo inoltre l’opportunità di regalarci anche un incantevole balletto del grande repertorio, Giselle, rivisitato dal celebre coreografo Akram Khan ed eseguito dall’English National Ballet al Gran Teatre del Liceu. Per informazioni: Musica Insieme – Tel. 051 271932 info@musicainsiemebologna.it App MusicaInsieme


I CONCERTI marzo / maggio 2020 Venerdì 6 marzo 2020

TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Lunedì 23 marzo 2020

TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

YUJA WANG...................................................................pianoforte Galuppi, Bach, Brahms, Chopin, Skrjabin, Ravel, Berg, Mompou Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

SABINE MEYER..........................................................clarinetto NILS MÖNKEMEYER.............................................. viola WILLIAM YOUN...........................................................pianoforte Mozart, Robert e Clara Schumann Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Musica per le Scuole”

Lunedì 6 aprile 2020

TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

VIKTORIA MULLOVA.............................................violino MISHA MULLOV-ABBADO............................contrabbasso Mullov-Abbado, Chanoch, Bach, Prokof’ev, Jobim, Lenine e Falcaõ, De Freitas, McLaughlin, Schumann, De Abreu, Tradizionali Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Lunedì 20 aprile 2020

TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

LES PALADINS SANDRINE PIAU.........................................................soprano JÉRôME CORREAS.................................................clavicembalo e direttore Händel Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Musica per le Scuole”

Lunedì 4 maggio 2020

TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Lunedì 11 maggio 2020

TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

GIOVANNI SOLLIMA...............................................violoncello Padre Komitas, De Ruvo, Bach, Sollima, Bach, Corbetta, Cervantes, Tradizionali Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

GIL SHAHAM.................................................................violino AKIRA EGUCHI.............................................................pianoforte Pugnani/Kreisler, Wheeler, Dorman, Bach, Franck Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme: Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278 info@musicainsiemebologna.it - www.musicainsiemebologna.it - App MusicaInsieme


VenerdĂŹ 6 marzo 2020

ABSOLUT

piano Attraversa la storia della musica e delle forme pianistiche l’originale programma della solista cinese, fra le piÚ acclamate al mondo di Maria Chiara Mazzi


VENERDÌ 6 MARZO 2020 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI

YUJA WANG

pianoforte

Baldassare Galuppi Sonata in do maggiore Johann Sebastian Bach Toccata in do minore BWV 911 Johannes Brahms Intermezzo in la minore op. 116 n. 2 Fryderyk Chopin Mazurka in la minore op. 67 n. 4 Johannes Brahms Intermezzo in mi minore op. 119 n. 2 Fryderyk Chopin Mazurka in do diesis minore op. 30 n. 4 Johannes Brahms Intermezzo in do diesis minore op. 117 n. 3 Fryderyk Chopin Mazurka in fa maggiore op. 68 n. 3 Johannes Brahms Romanza in fa maggiore op. 118 n. 5 Aleksandr Skrjabin Sonata n. 4 in fa diesis maggiore op. 30 Maurice Ravel Une barque sur l’océan Alban Berg Sonata in si minore op. 1 Federico Mompou Secreto Aleksandr Skrjabin Sonata n. 5 op. 53

Lo sapevate che Yuja Wang sceglie cosa indossare in base al repertorio: se il brano è vivace, il vestito è più sobrio, se invece è serio, osa con i mini-dress che la contraddistinguono

Foto Julia Wesely

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eggiamo dal dizionario della lingua italiana alla voce “strumento”: oggetto o apparecchio per eseguire determinate operazioni proprie di un’arte, di un mestiere o di una tecnica. Un mezzo per un fine, artistico, scientifico o pratico, che di per sé non vale nulla e che non va confuso col fine stesso. In questa definizione sta anche lo strumento musicale, assemblaggio di legno, metallo e altri materiali, fatto con arte, perizia e pazienza, senza un valore reale che non sia la funzione per la quale è stato creato. Come, in questo caso, il pianoforte, che nonostante dimensioni, storia e fama si colloca sullo stesso piano di tutti gli altri: mezzo attraverso il quale il pensiero del compositore diventa, da astratto, concreto; idea che, dalla carta, si trasforma in emozione. La digressione spiega la varietà di un programma che ci trasporta attraverso un secolo e mezzo di musica, dalla metà Settecento delle sonate di Galuppi all’inizio del Novecento della pagina di Mompou, giocando tra le forme e gli stili, tra le strutture “storiche” e il frammento romantico, tra la musica “pura” e quella “descrittiva”, senza preclusione di luoghi, di epoche o di intenti. Dipaniamolo, allora, questo intreccio così intrigante e curioso dove, quasi come a guardia di un mondo misterioso, sta la sonata, per ricordarci (ancora una volta oltre i manuali di composizione) di come la forma consegnataci dalla storia della musica come struttura immutabile e organizzata sia invece duttile al pari di tutte le altre, pronta a mutarsi a ogni mutamento di pensiero e di estetica. Il nostro cammino parte dalla Venezia di metà Settecento e dalla linearità apollinea e insieme sensibilissima dei due tempi della Sonata in do di Galuppi, che ribadiscono, ancora una volta, quanto sia vero il detto che “semplice non vuol dire facile”. E seguendo il filo delle sonate, questo cammino ci porta nella Vienna di inizio Novecento di Berg con la sua unica Sonata op. 1 (1908), costruita su un solo movimento che sembra riproporre senza deroghe la forma tradizionale del primo tempo di sonata, tripartito e bitematico, dove l’espressionismo della scrittura non dimentica però il legame con la tradizione formale cui la scuola di Schoen-

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MUSICA INSIEME

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Venerdì 6 marzo 2020

YUJA WANG

Nata a Pechino, dove ha iniziato lo studio del pianoforte all’età di sei anni al Conservatorio Centrale di Musica, si trasferisce in Canada quattordicenne, dove è la più giovane partecipante al Morningside Music Bridge International Music Festival. Dal 2003 al 2008 si perfeziona al Curtis Institute of Music di Filadelfia. Nel 2007 subentra all’ultimo istante a Martha Argerich come solista con la Boston Symphony Orchestra, e due anni dopo firma un contratto in esclusiva con l’etichetta Deutsche Grammophon. È “Artist in Residence” presso tre delle principali istituzioni musicali al mondo: la Carnegie Hall di New York, la Wiener Konzerthaus e la Philharmonie Luxembourg. Nel 2017 la prestigiosa rivista Musical America l’ha nominata “Artist of the Year”. Nel 2019 si è esibita in duo con Gautier Capuçon ed è stata in tournée fra Los Angeles, Seoul e Tokyo con la Los Angeles Symphony Orchestra diretta da Gustavo Dudamel, interpretando in prima mondiale il nuovo Concerto di John Adams.

berg farà sempre riferimento. A completare il percorso tra le colonne della musica, approdiamo a Mosca, dove viene composta la Sonata op. 30 (1903) di Skrjabin, autore che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento rivoluziona il modo di concepire la musica trasformando la pagina di note in un messaggio che unisce misticismo e filosofia, panestetismo e sogni idealizzati, inno-

DA ASCOLTARE

Dinamica come la sua protagonista, la discografia di Yuja Wang conta una decina di cd in dieci anni, più le partecipazioni ad album come Verbier Festival – 25 Years of Excellence (Deutsche Grammophon, 2018), dove compare al fianco di “eccellenze” come Martha Argerich, Mikhail Pletnev e Daniil Trifonov; o come il “concerto di una notte d’estate” con Dudamel e i Wiener registrato nel parco del Castello di Schönbrunn (Sony, 2019). Al di là di simili – doverose, sicuramente popolari – celebrazioni, citiamo almeno quattro cd solistici, a partire dal tutto Chopin (Sonatas & Etudes) che ha inaugurato il sodalizio con DG nel 2009. Affascinante lo spunto di Transformation (2010), con le brahmsiane Variazioni su un tema di Paganini, o l’arte di tradurre un balletto sul pianoforte (Petruška di Stravinskij), e via declinando. Memorabili il Secondo di Rachmaninov con la Mahler Chamber Orchestra diretta da Abbado (2011) e, in ambito cameristico, il duo con Leonidas Kavakos nelle Sonate per violino di Brahms (2014) e l’ultimo nato, il duo con Gautier Capuçon, che recensiamo su questo numero.

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vazione musicale e formale. Due movimenti, dove per la prima volta l’autore utilizza l’armonia costruita su quarte sovrapposte, la cui atmosfera è «ondeggiante tra elevazioni mistiche in spazi di metafisica consistenza e improvvise discese in abissi infernali, popolati da creature che la fantasia del compositore immaginava, e di cui la musica tenta di restituirci l’idea» (Nicoletti). Sulla stessa lunghezza d’onda anche la Sonata op. 53 (1908) che chiude il concerto, nella quale questa concezione estetica raggiunge una compiuta formulazione che viene esplicitata da una epigrafe scritta dallo stesso Autore che collega la composizione all’inconscio: «Vi chiamo alla vita, o forze misteriose! / Annegato nelle profondità oscure / Dello spirito creativo, impaurito / Embrioni di vita, a voi porto l’audacia!». Il riferimento ad elementi extramusicali ci porta verso la seconda tappa di questo viaggio affascinante, quella sulla musica descrittiva, che riceve sublimazione nel terzo dei cinque Miroirs di Ravel (1905), Une barque sur l’océan. Musica descrittiva, cioè quella che prende ispirazione da elementi extramusicali, e qui l’impeto delle onde che sovrasta la barca e che invade il pentagramma negli arpeggi della mano sinistra viene sublimato in una ricerca musicale che supera il quadro naturalistico e fa del timbro l’obiettivo dell’intero brano. Ed è descrittivo a suo modo anche il Secreto (1912) del catalano Mompou, dove il ritmo basculante quasi di habanera esprime un mondo interiore, aprendoci al terzo e più segreto itinerario, cuore del concerto, quello nel frammento, quell’istante sublimato dal romanticismo nel quale l’idea crea ogni volta da sé la struttura adatta a contenerla senza inutili sovrastrutture. E già “pensiero che si fa musica” senza regole preordinate è la Toccata in do minore BWV 911 (1714) di Bach, che sembra svolgersi secondo i mutabili pensieri del compositore, nell’alternanza di stili e di scrittura tra momenti di libera creatività e sezioni di rigoroso contrappunto. Frammenti di ricordo sono anche le Mazurke di Chopin, a tal punto evocative da costituire addirittura l’ultimo messaggio dello sfortunato compositore sul letto di morte. Come frammenti estremi, composti tra il 1892 e il 1893, sono gli Intermezzi dalle opere 116, 117, 119 e la Romanza dall’op. 118, che Brahms definiva “ninnananne del mio dolore”, e che costituiscono l’ultima e più intima voce del musicista tedesco, non a caso alternati qui alle pagine più struggenti del musicista polacco. Insomma, siamo riusciti nel breve spazio di un concerto a compiere un viaggio altrimenti impossibile, grazie ad un “mezzo” straordinario che, fra le mani di una grande interprete, giunto all’ultima nota ha compiuto fino in fondo il proprio mestiere.



Foto Christian Ruvolo

Lunedì 23 marzo 2020

MAGIE

sonore

Affascinante il programma del Trio guidato da Sabine Meyer, dove la fantasia timbrica di Mozart fa da cornice a rare pagine musicali di “casa Schumann” di Mariateresa Storino

I

l 1840 è un anno di grazia per Robert Schumann; dopo aver condotto una lunga battaglia – anche legale – con Friedrich Wieck, padre dell’amata Clara, il compositore riesce a coronare il suo sogno d’amore e a congiungersi a colei che sente come completamento essenziale e irrinunciabile della sua personalità d’artista. È a Clara che Schumann dedica Myrthen op. 25, uno dei tanti inestimabili cicli di Lieder che costellano quell’anno miracoloso; la raccolta è il suo dono di nozze per la sua «anima, il suo cuore, la sua quiete, la sua pace», come recitano i versi di Friedrick Rückert nel Lied Widmung (Dedica) posto in apertura del ciclo. La stessa effusione di sentimenti pervade la produzione liederistica di Clara. A distanza di pochi

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mesi dal matrimonio, sul comune diario che la coppia verga di giorno in giorno per eternare ogni attimo del proprio idillio amoroso, Robert scrive del progetto di pubblicare un volume di Lieder insieme a Clara; il desiderio che la sua «Clärchen» possa dedicarsi alla composizione sembra sincero, ma ella recalcitra, si nasconde dietro ai pregiudizi dell’epoca: «Le donne non sono nate per comporre!». Le sollecitazioni di Robert non restano tuttavia lettera morta e l’8 giugno 1841, in occasione del suo genetliaco, il compositore riceve un regalo insperato: quattro Lieder su testi di Rückert, seguiti negli anni a venire da altre prove d’amore: da Ich hab’in deinem Auge op. 13 (Io vedo nei tuoi occhi, quinto numero di un ciclo di 6 Lieder) a Geheimes Flüstern hier und dort (Dolci e segreti sospiri qui


Foto Irène Zandel

LUNEDÌ 23 MARZO 2020 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI

SABINE MEYER clarinetto NILS MÖNKEMEYER viola WILLIAM YOUN pianoforte

Wolfgang Amadeus Mozart Sei Variazioni su Au bord d’une fontaine KV 360 per viola e pianoforte Robert Schumann Märchenerzählungen op. 132 per clarinetto, viola e pianoforte Phantasiestücke op. 73 per clarinetto e pianoforte Clara Schumann Ich hab’ in deinem Auge op. 13 n. 5 Geheimes Flüstern hier und dort op. 23 n. 3 trascrizioni per pianoforte di Franz Liszt Robert Schumann Widmung op. 25 n. 1 trascrizione per pianoforte di Franz Liszt Wolfgang Amadeus Mozart Trio in mi bemolle maggiore KV 498 – Kegelstatt-Trio per clarinetto, viola e pianoforte

CHE MUSICA, RAGAZZI! – III edizione Il 23 marzo alle ore 10.30 gli Artisti incontreranno all’Auditorium Manzoni gli alunni delle scuole primarie e medie. Per informazioni rivolgersi a Musica Insieme

e lì), terzo numero dei Sechs Lieder op. 23 su versi tratti dalla novella Jucunde di Hermann Rollett. Numericamente, la produzione liederistica di Clara non è paragonabile a quella di Schumann, ma, a prescindere dalla quantità, il passaggio dall’una all’altro avviene senza fratture, uniti nella condivisione che «la sola voce non possa rendere tutto». È il pianoforte che può far emergere la preziosità delle immagini poetiche, in un’unione con i versi che potrebbe svelarsi perfino senza il mezzo vocale. L’aspirazione degli Schumann troverà piena realizzazione nelle trascrizioni per pianoforte elaborate da Franz Liszt nell’arco di circa un ventennio (1848-1874): il testo non è più presente, ma ogni sua singola sfumatura echeggia costantemente nel fluire strumentale. Dal 1850 Schumann è direttore stabile a Düsseldorf; Clara si destreggia tra la famiglia, in costante aumento, e gravose tournée concertistiche a cui non può sottrarsi. Lo stato psichico di Robert è vacillante. Il precedente decennio è stato fruttuoso, con composizioni sinfoniche, concerti, musica vocale; Robert si muove ormai con sicurezza da un genere all’altro, tra forme ampie e brevi, alla ricerca di combinazioni strumentali cangianti, di effetti timbrici visionari, di armonie inconsuete, destinati ad una Hausmusik per pochi intenditori.

Phantasiestücke per clarinetto e pianoforte op. 73 è uno dei tanti esiti della produzione da camera schumanniana del 1849. Così come nelle coeve Tre Romanze per oboe e pianoforte e nei Fünf Stücke im Volkston per violoncello e pianoforte, Schumann prescrive una sostituzione ad libitum degli strumenti solistici monodici con altro strumento. Nei Phantasiestücke il clarinetto potrebbe cedere il proprio ruolo al violino o al violoncello nella conduzione di un phantasieren di hoffmanniana memoria in tre parti, in cui l’unità dell’insieme è sottesa da una rete di connessioni tematiche con esplicite reminiscenze motiviche o nascoste allusioni originate da una comune Stimmung. Al termine dell’attività compositiva, e sempre più stretto nella morsa di quella malattia mentale che di

I PROTAGONISTI

Sabine Meyer esordisce come primo clarinetto dei Berliner Philharmoniker, per dedicarsi poi con sempre maggiore intensità alla carriera solistica, che l’ha portata a calcare i palcoscenici più prestigiosi del mondo a fianco dei Wiener Philharmoniker come della Chicago Symphony Orchestra, della London Philharmonic e della NHK Symphony di Tokyo. Artista in residenza allo SchleswigHolstein Music Festival 2019, è protagonista di laboratori didattici e di progetti speciali insieme al Trio di Clarone, con cui si dedica alla riscoperta di opere raramente eseguite. Il pianista William Youn, già allievo di Menahem Pressler, si esibisce come solista al fianco della Cleveland Orchestra, dell’Orchestra del Mariinskij e della Philharmonic Orchestra di Seoul. Il violista Nils Mönkemeyer è ospite regolare del Musikverein di Vienna, del Royal Concertgebouw di Amsterdam e della Wigmore Hall di Londra.

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Lunedì 23 marzo 2020

DA ASCOLTARE Non è eccessivo affermare che Sabine Meyer abbia inciso la quasi totalità del repertorio per clarinetto solista, da camera e con orchestra. Sin da quando nel 1990 Emi Classics le ha dedicato Künstler unserer Generation (Artisti della nostra generazione), dove allineava una schiera di compositori, da Mozart a Schumann, da Poulenc a Stravinskij, la straordinaria solista tedesca è comparsa in oltre trenta titoli, uno fra tutti il cofanetto di 5 cd che Warner Classics le ha dedicato nel 2014, riassumendo incisioni che vanno dai Berliner di Abbado (il Concerto di Mozart, la Première Rhapsodie di Debussy), a un jazzistico omaggio a Benny Goodman con i Bamberger Symphoniker e Ingo Metzmacher. Ma non manca un’incisione del Mozart in programma per Musica Insieme, e con gli stessi Mönkemeyer e Youn: del 2016 è infatti Mozart with Friends (Sony Classical), che al celebre Trio dei birilli accosta anche il breve Trio dal “Quaderno di Londra” vergato nella capitale inglese a soli otto anni.

bre Trio KV 498 di Mozart (1786), noto come Kegelstatt-Trio o Trio dei Birilli poiché composto, secondo un aneddoto, durante una partita a birilli. L’influenza dell’amico clarinettista Anton Stadler nella scelta dell’organico non può essere celata, data soprattutto l’attenzione che da questo momento in poi Mozart dedicherà allo strumento a fiato (emblema ne è il Concerto per clarinetto KV 622). La scelta dei tempi risulta singolare: un Andante, che ben si confà alle tinte suadenti del clarinetto e della viola, seguito da un Menuetto con un ombroso Trio; infine un Rondò dall’inesauribile vena melodica. Ancora sulla stessa linea di Schumann, in questo caso per l’intercambiabilità dello strumento monodico, sono le Sei Variazioni su Au bord d’une fontaine KV 360 per viola (o violino) e pianoforte che Mozart compone al suo arrivo a Vienna (1781) su una chanson del XVI secolo. Le prime variazioni assegnano alla viola un ruolo subalterno, ma, dopo poche pagine, il dialogo diventa serrato e i due strumenti si rincorrono in nuove rigenerazioni del tema scaturite dall’inesauribile vena creativa di Mozart. Foto Irène Zandel

lì a poco lo getterà nell’impenetrabile oscurità della mente, Schumann evoca il mondo dei cantastorie; le Märchenerzählungen op. 132 per clarinetto, viola e pianoforte (1853), forse ispirate ai racconti di Ludwig Tieck e ai dipinti di Moritz von Schwind, “narrano” di un mondo fiabesco senza tempo e senza luogo, dall’instabilità leggiadra del primo movimento e dal carattere marziale del secondo in forma di Scherzo alla «calma e soave espressione» del terzo, fino all’animato estinguersi del quarto. L’organico prescelto da Schumann per quest’opera d’ispirazione fiabesca richiama il cele-

Lo sapevate che Sabine Meyer ha iniziato suonando prima il piano, poi il violino e l’organo, ma a otto anni ha capito che il suo vero amore era il clarinetto

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Frau Musica La celebre clarinettista tedesca racconta con semplicità e profondità quanto la musica sia per lei da sempre una “condizione naturale”, a dispetto di un ambiente a forte impronta maschile. Uno status quo che lei stessa ha contribuito a cambiare, con il suo talento e la sua passione per la scoperta del repertorio e delle più originali commistioni sonore. Suo padre suonava il clarinetto. Come è avvenuto il suo avvicinamento alla musica? «Mio padre era un musicista ed un ottimo insegnante. Aveva anche un negozio di musica dove si potevano trovare quasi tutti gli strumenti, quindi io sono cresciuta con la musica, per me era una cosa naturale, come mangiare, bere e dormire! Ho provato tutti gli strumenti a partire dal pianoforte, poi il violino, seguito dal clarinetto e dall’organo. Per anni ho suonato e studiato tutti e quattro gli strumenti, ma presto il clarinetto è diventato il mio preferito!». Ha proseguito gli studi con Hans Deinzer alla Hochschule für Musik und Theater di Hannover: quali sono gli insegnamenti che ha appreso da questo Maestro? «Hans Deinzer era un insegnante incredibile. Per lui era di fondamentale importanza non solo la tecnica della diteggiatura, ma anche il controllo dell’intonazione, il fraseggio e la cura dei colori e delle infinite sfumature timbriche del clarinetto. Il suo insegnamento mirava a fare di noi dei cantanti, ancor più che dei clarinettisti!». Herbert von Karajan l’ha fortemente voluta tra le prime parti dei Berliner Philharmoniker, sfidando la tradizionale esclusività maschile. Secondo la sua esperienza, com’è cambiata nel tempo la figura femminile in musica? «Allora quella dei Berliner Philharmoniker era un’Orchestra rigorosamente maschile. Ma i tempi sono cambiati, sempre più donne suonano nelle orchestre e come soliste. Non solo, oggigiorno le donne direttrici d’orchestra sono sempre più numerose, e protagoniste di luminose carriere. Ma non dobbiamo comunque dimenticare che nel mondo per le donne è sempre tutto più difficile che per gli uomini. Spero comunque di poter dare il mio contributo nell’incoraggiare le donne a perseguire con assiduità e coerenza la propria strada». Come è avvenuto il passaggio da prima parte di un’orchestra a solista? «In principio non volevo diventare una solista, ma dopo l’esperienza con i Berliner Philharmoniker

avevo alle spalle davvero tantissimi concerti, e ho iniziato a sentirmi un po’ stanca di suonare in orchestra, quindi ho intrapreso la carriera solistica. Poco dopo sono diventata due volte mamma, e il lavoro “free-lance” da solista si armonizzava indubbiamente meglio con la vita in famiglia. Ma adoro anche la musica da camera: ogni anno, più del 50 % dei miei concerti sono dedicati alla cameristica; inoltre sono estremamente felice di aver suonato per dieci anni nella Lucerne Festival Orchestra con Claudio Abbado, è stata una delle esperienze più belle della mia vita». A Bologna avremo occasione di ascoltare sonorità e colori davvero speciali: come descriverebbe in particolare il Kegelstatt-Trio di Mozart? «In questo Trio l’accostamento inconsueto di viola, clarinetto e pianoforte è un’invenzione di Mozart: lo scopo era suonare con il suo caro amico Anton Stadler, clarinettista, e con la sua allieva Franziska von Joaquin al pianoforte. È una meravigliosa combinazione fra lo spirito della musica da camera e i brillanti assoli dei tre strumenti». Uno sguardo speciale è riservato poi in questo programma alla “famiglia Schumann”: cosa vi ha colpito di questo straordinario sodalizio musicale? «Schumann ha seguito l’esempio di Mozart e ha composto un Trio per viola, clarinetto e pianoforte, oltre a brani straordinari di musica da camera per la viola e per il clarinetto. Sono convinta che amasse i colori particolari degli strumenti un po’ “scuri”». La mattina del 23 marzo incontrerete oltre 500 alunni delle scuole elementari e medie, curiosissimi di ascoltarvi suonare e raccontare com’è vivere “nella musica”. Quale ritiene sia la modalità più efficace per far conoscere la musica ai bambini e ai giovani in generale? «È molto importante suonare il più possibile per i bambini, proponendo naturalmente della buona musica. E loro la adorano. Ho vissuto sempre ottime esperienze quando ho suonato per i bambini: sono così liberi e spontanei che a volte ho l’impressione che siano molto più reattivi alla musica di quanto non siano gli adulti!». (a cura di Carla Demuru)

Foto Christian Ruvolo

> Intervista > Sabine Meyer



Lunedì 6 aprile 2020

ELEGANTEMENTE

“Music we love” è la parola d’ordine dell’inedito duo d’archi che esplorerà il repertorio, con un programma ricco di sottili rimandi e omaggi, da Bach al Brasile di Fabrizio Festa

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ry Barroso – compositore e giornalista – era un signore distinto dall’aria simpatica. Di quelle figure che al primo sguardo vi mettono a vostro agio. E già immaginate una conversazione sapida, gradevole, magari con qualche leggera puntura d’ironia, coerente con la scelta d’indossare occhiali rotondi – non quelli piccoli da intellettuale, quelli rotondi simpatici – e con un paio di eleganti baffetti, che ne incorniciavano il sorriso. Muore prima che la bossa nova divenga bossa nova in un Brasile dove il Carnevale di Rio era ancora quello citato da James Bond e il samba non era altro che il segno di una prestante gioia di vivere. Tant’è che gli italiani al

LUNEDÌ 6 APRILE 2020 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI

VIKTORIA MULLOVA violino MISHA MULLOV-ABBADO contrabbasso Misha Mullov-Abbado Blue Deer – Brazil Shalom Chanoch Shir Lelo Shem Trad. brasiliano Caico Johann Sebastian Bach Sonata n. 1 in si minore BWV 1001 Sergej Prokof’ev Sonata in re maggiore op. 115 Antonio Carlos Jobim Sabiá Misha Mullov-Abbado Little Astronaut – Shanti Bell Osvaldo Lenine & Dudu Falcaõ O Silencio das Estrellas Laércio de Freitas O Cabo Pitanga John McLaughlin Celestial Terrestrial Commuters (arr. Gary Husband) Robert Schumann da Kinderszenen op. 15: Träumerei Zequinha de Abreu Tico-Tico no fubá


Lunedì 6 aprile 2020

I PROTAGONISTI

Viktoria Mullova si è imposta all’attenzione internazionale vincendo il primo premio al Concorso “Jean Sibelius” nel 1980 e la Medaglia d’Oro al Concorso internazionale “Čajkovskij” nel 1982: da allora ha suonato in tutto il mondo con le più grandi orchestre. La sua inesauribile curiosità la porta ad esplorare il repertorio per violino, dal barocco (collaborando fra gli altri con The Orchestra of the Age of Enlightenment e il Giardino Armonico) alla contemporanea. Molte le sue “residenze”, fra cui il South Bank di Londra, la Konzerthaus di Vienna, l’Auditorium du Louvre di Parigi e l’Orchestra di Barcellona. Diplomato in composizione a Cambridge, Misha Mullov-Abbado ha studiato contrabbasso alla Royal Academy of Music, frequentando il master di jazz della prestigiosa accademia inglese. Talento smagliante di strumentista, arrangiatore e compositore, è stato eletto “New Generation Artist” dalla BBC Radio 3, nonché Artista dell’anno 2014 per la City of Music Foundation.

cinema lo conobbero con Piero Piccioni e le commedie di Alberto Sordi. Come sia arrivato a Barroso Misha Mullov-Abbado sarebbe una di quelle domande da fargli. Anche perché Aquarela do Brasil, universalmente nota come Brasil, è la colonna portante del trenino di Capodanno da ormai cinquant’anni. Forse di più. Negli Stati Uniti e in

DA ASCOLTARE

Due universi sonori si incontrano in questo concerto. Quello di Viktoria Mullova è segnato da una trentina di album, dove il suo virtuosismo ha immortalato per Philips Classics e Onyx capolavori come i Concerti di Vivaldi con Il Giardino Armonico, le Sonate beethoveniane con Kristian Bezuidenhout al fortepiano, o le Sonate di Bach con Ottavio Dantone. Il suo ultimo cd affronta l’integrale di Arvo Pärt con l’Estonian National Symphony Orchestra e Paavo Järvi (Onyx 2018). Il figlio Misha Mullov-Abbado ha fatto colpo sulla scena jazz nel 2015 con il suo primo cd, New Ansonia, successo doppiato nel 2017 con Cross-Platform Interchange. Mamma Viktoria comunque non è estranea alle contaminazioni, da quando nel 2000 ha firmato Through the Looking Glass, dove eseguiva world e pop music negli arrangiamenti del marito violoncellista Matthew Barley. Un’esplorazione proseguita con le reminiscenze ucraine di The Peasant Girl, e con Stradivarius in Rio (e praticamente tutti i suoi progetti il pubblico li ha potuti ascoltare ai Concerti di Musica Insieme).

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MUSICA INSIEME

Europa la portò Walt Disney nel 1942 inserendola nella colonna sonora del cartone animato Saludos Amigos. A renderla, però, famosa fu, manco a dirlo, Frank Sinatra. Correva l’anno 1957. Cioè circa vent’anni dopo quella notte di tempesta in cui Barroso aveva composto la sua più celebre canzone. Certo il samba degli anni Quaranta del secolo scorso nulla aveva a che vedere con il Brasile di oggi. Il presidente della giuria, chiamata a giudicare quali fossero i migliori samba per il Carnevale, si chiamava Heitor Villa-Lobos, a cui peraltro Aquarela do Brasil non piacque affatto. Sia come sia, Misha Mullov-Abbado non deve comunque aver faticato molto a convincere Viktoria Mullova a sposare la causa dell’omaggio al celebre compositore brasiliano. Ricordiamolo subito, Viktoria Mullova è certamente la grandissima violinista che tutti abbiamo più volte avuto modo di apprezzare a Musica Insieme; altrettanto certamente però è musicista di larghissime vedute e che spesso si è affacciata, entrandovi con la sua impeccabile autorevolezza, in mondi che fossero al di là dei confini della musica accademica. Così non si può non essere curiosi di scoprire come interpreteranno per violino e contrabbasso uno dei brani di maggior successo della Mahavishnu Orchestra. Il Long Playing s’intitola Birds of Fire (che volesse essere un omaggio a Stravinskij?), l’anno il 1973, il gruppo è una riunione di virtuosi, capitanata dal chitarrista inglese John McLaughlin. Nella band c’è un violinista: Jerry Goodman. Insieme a Jean-Luc Ponty è tra i pionieri del violino nel rock (in questo caso progressive). Il violino non era ancora quello elettrico, persino a cinque corde, che si utilizza oggi in questi contesti. Era certamente amplificato e la cassa armonica era blu (blu anche quella del violino di Ponty). Insomma, in questo caso Viktoria Mullova se la vedrà con un pezzo della storia del violino differente da quelli che è abituata a frequentare di solito, suonando la Kreutzer piuttosto che la Sonata di Franck. Quella parte della lunghissima storia del suo strumento, cioè, che ritroveremo nei pentagrammi di Johann Sebastian Bach e di Sergej Prokof’ev. E naturalmente nella trascrizione della celebre Träumerei dalle Kinderszenen di Robert Schumann. Sempre con molto Brasile intorno. Omaggiato Barroso, non si poteva non rendere un tributo ad Antonio Carlos Jobim. Dopo il samba, la bossa. Quello di Jobim non è il Brasile festante e carnascialesco, né tantomeno quello turistico che siamo abituati a vedere in tante cine-commedie più o meno legate al panettone. Sabiá è canzone inclusa in uno dei più eleganti album dell’intera storia della musica: Stone Flower, edito nel 1970.


Gli elegantissimi arrangiamenti dell’orchestra portano la firma di un altro protagonista della musica brasiliana: Eumir Deodato. Per gli appassionati di jazz, ricordiamo che il bassista è Ron Carter, tra i percussionisti troviamo Airto Moreira e il trombonista (un suono davvero morbidissimo, quello stecco che prediligeva il nostro Armando Trovajoli in quei medesimi anni) è Urbie Green. Il colore dei brani è intonato a quella intraducibile saudade che è stata l’anima di tutta la bossa nova. A proposito: il quarto brano dell’album è Brazil (Aquarela do Brasil, quella di Ary Barroso, scomparso, nel frattempo, nel 1964). La versione firmata Jobim/Deodato si dipana con un garbo e una gentilezza, che nulla hanno dei piumaggi e dei cortei del Carnevale. Insomma, Viktoria Mullova e Misha Mullov-Abbado sembrano suggerirci un percorso che va letto al di là delle apparenze. Quella di violino e contrabbasso non è certo una formazione standard nel mondo della cameristica, ma la si ritrova spesso in altri contesti (compresi il jazz e la musica popolare). E il segno che par proprio contraddistinguere l’intero programma non è quello del banale eclettismo, cui ahinoi in questi anni siamo stati fin

Lo sapevate che i primi ricordi musicali di Misha Mullov-Abbado sono distintamente legati al colosso del soul e del pop Stevie Wonder

troppo abituati. Dietro i titoli si nasconde la necessità di parlare una lingua elegante e garbata. Un testo ricco di riferimenti impliciti, che magari non varrebbe neppure la pena svelare troppo, non fosse che siamo stati sommersi da una valanga di suoni maleducati e dall’aggressività esplicita e piratesca di chi in questi ultimi dieci anni ha creduto che suonare Mozart fosse solo una questione di premere sull’acceleratore indossando sotto lo smoking d’ordinanza la scarpa da ginnastica alla moda. Il silenzio di cui possono parlarci un violino e un contrabbasso potrebbe persino essere la medicina che andiamo cercando nel mezzo di tanto fastidioso rumore.


Lunedì 20 aprile 2020

IL SEGRETO

del successo

Le più celebri eroine händeliane rivivono sulla scena di Musica Insieme grazie alla voce di Sandrine Piau e a Les Paladins, al loro debutto a Bologna di Luca Baccolini LUNEDÌ 20 APRILE 2020 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI

LES PALADINS SANDRINE PIAU soprano JÉRÔME CORREAS clavicembalo e direttore

Foto Jean-Baptiste Millot

Georg Friedrich Händel Da Ariodante: Ouverture et Marche Da Partenope: „Voglio amare insin chÊio moro‰ Da Giulio Cesare in Egitto: „Piangerò la sorte mia‰ Concerto grosso in la minore op. 6 n. 4 Da Giulio Cesare in Egitto: „Da tempeste il legno infranto‰ Da Alcina: „Ah! Mio cor, schernito sei‰ Da Rodrigo: Ouverture, Gigue, Sarabande, Matelot, Menuet, Bourrée Da Alcina: „Tornami a vagheggiar‰

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ietro le quarantotto opere di George Frideric Handel (la dicitura inglese è quella del suo autografo) si annida un irripetibile quarantennio di storia del teatro, un’industria culturale febbrile, attorno alla quale gravitano cantanti, divi, impresari, nobili, con tutte le loro rivalità artistiche e politiche. In questo circo di varia umanità lui è sempre, nel bene e nel male, l’ago della bilancia, il più amato, il più odiato, sempre il più temuto. Ma Handel, che dal 1712 si stabilisce definitivamente in Inghilterra, non sarebbe Handel senza il triennio di formazione italiana, di cui Rodrigo è la prima opera compiuta in questa lingua (Firenze, 1707). Se non è chiaro l’esatto motivo che lo attira a sud delle Alpi, è evidente tuttavia l’influenza che hanno su di lui gli incontri accumulati dalla fine del 1706 al 1710: Arcangelo Corelli, Domenico Scarlatti, Antonio Caldara, Agostino Steffani, per dire dei più noti. E quattro piazze privilegiate per ascoltare musica e proporne di nuova: Roma e Firenze, seguite da Venezia e Napoli. Dall’Italia l’onnivoro Handel trae indicazioni decisive sull’uso degli archi e della vocalità, tesse relazioni e guadagna crediti che potrà spendere quando, da produttore e impresario di se stesso, scenderà dall’Inghilterra per raccogliere i migliori cantanti su piazza (farà tappa anche a Bologna, dove nel 1729 incontrerà Owen Swiny, un influente ex manager londinese). Giovane e scafato, se incappa nel divieto (temporaneo) di scrivere opere, come accade nello Stato Pontificio, si adatta ad altri generi (ecco, per esempio, quel capolavoro sacro che è il Dixit Dominus). Dove s’imbatte in cardinali, dimentica la sua fede luterana. Dove gli si chiedono modifiche sostanziali nello stile, esegue le varianti senza batter ciglio. Esempio di musicista flessibile, quasi liquido, Handel sembra esser nato per il successo. È infaticabile: dalla prima opera, Almira (1705), all’ultima, Deidamia (1741), non passano due anni consecutivi senza che la sua creatività non partorisca un nuovo titolo. Gli anni Trenta i più prolifici, con 19 titoli. Ma poi, dal 1741, cala improvvisamente il sipario su questo prodotto culturale. E un altro si fa avanti di slancio: l’oratorio. Nei diciotto anni che ancora gli restano da vivere fino al 1759, scriverà quindici oratori, ma nessun’altra opera. Com’è possibile che l’autore di Giulio Cesare in Egitto, Alcina, Agrippina abbia potuto abbandonare il terreno così repentinamente, e senza ripensamenti? Certo l’Opera del mendicante di John Gay e Johann Christoph Pepusch (1728), uno dei successi più clamorosi del teatro inglese, segna idealmente l’inizio di un cambiamento dei gusti, a favore di contenuti meno

intellettualistici. E la surreale contesa tra la fazione “nazionalistica” della nobiltà inglese, che s’oppone all’opera italiana di Handel proprio ingaggiando, per paradosso, il miglior cantante italiano (Farinelli) e il miglior compositore italiano (Porpora), non basta a spiegare il divorzio di Handel dall’opera. Ellen Harris, professoressa di musicologia al Massachusetts Institute of Technology, vent’anni fa ha provato a Lo sapevate che a quattro dare una spiegazione setacanni Sandrine Piau si ciando i conti correnti di Handel presso la Bank of è innamorata dell’arpa, England e soprattutto i suoi suo primo strumento, investimenti nella South sentendola suonare dalla Sea Company, ed è riuscita a stabilire un nesso di causagattina Duchessa nel effetto tra il boom dell’oracelebre cartone Disney torio e la rapida risalita neGli Aristogatti gli affari del compositore. Ma bisogna fare un passo indietro. Appena arrivato in Inghilterra, Handel dimostra subito fiuto per gli affari: risulta infatti nel 1715 un suo investimento di 500 sterline (62.500 al valore attuale) in un portafoglio azionario della Compagnia dei Mari del Sud. Handel deve avere buoni informatori, o un senso degli affari straordinario, visto che poco prima del crac del 1720 – uno dei più drammatici mai accaduti nel mondo anglosassone fino al 1929 – riesce

I PROTAGONISTI

Dalla fantasia visionaria dell’ultimo capolavoro di JeanPhilippe Rameau prende il nome la compagine Les Paladins, fondata dal clavicembalista e direttore Jérôme Correas. L’ensemble francese, specializzato nel repertorio del XVII e XVIII secolo, è caratterizzato da uno stile e un suono particolari e da un’interpretazione decisamente teatrale, apprezzati nei più importanti teatri in Francia e all’estero, in particolare negli Stati Uniti, in Giappone e nei principali festival europei. E specialista riconosciuta del repertorio barocco è il soprano Sandrine Piau, già al fianco di celebri direttori come William Christie, Philippe Herreweghe, Christophe Rousset, Gustav Leonhardt. Prima cittadina francese ad aver ricevuto il premio della Handel Society di Londra, è ospite dei maggiori teatri, da Parigi a Salisburgo, e nel 2018 l’abbiamo applaudita per l’intensa interpretazione di Soeur Constance nell’allestimento di Dialogues des Carmélites di Poulenc al Teatro Comunale di Bologna.

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Lunedì 20 aprile 2020

a piazzare due terzi delle sue azioni, minimizzando così le potenziali perdite. Ma altri pericoli minacciano il suo capitale, fin lì così ben difeso. Dal 1725, quando Handel riceve già un appannaggio di 700 sterline annue dalla Royal Academy of Music per scrivere e produrre soprattutto

DA ASCOLTARE

Di lunga data la collaborazione tra Les Paladins e Sandrine Piau. Un motivo in più per selezionare, nella sconfinata discografia del soprano francese, le incisioni che la vedono al fianco dell’ensemble diretto da Jérôme Correas, a partire proprio da un programma monografico su Händel: Cantates & Duos italiens (Arion, 2001), con ben trenta arie tratte dalle opere italiane del grande compositore. A dieci anni di distanza il legame si rinsalda con Le Triomphe de l’Amour (Naïve, 2011), celebrazione del sentimento universale attraverso le arie di Lully, Charpentier e Rameau. Per chi desiderasse invece sentire Sandrine Piau cimentarsi in un repertorio diverso può essere interessante scovare il disco Americas, realizzato nel 2015 in collaborazione con Anne Gastinel e i Violoncelles de l’Orchestre National de France sulle musiche di Piazzolla e Villa-Lobos. Così come dedicato alla mélodie francese è il suo ultimo album Si j’ai aimé (Alfa, 2019), che recensiamo nella rubrica Da ascoltare di questo numero.

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opere teatrali, comincia a convertire le azioni residue dei Mari del Sud in soldi contanti (circa 2.450 sterline), necessari per fronteggiare i costi crescenti delle produzioni (comprese Ariodante e Alcina). Alla fine degli anni Trenta, il conto è quasi completamente svuotato: gli restano infatti appena 50 sterline. E finisce per prelevare pure quelle. Nulla, rispetto a quest’immagine, potrebbe fornire miglior spiegazione dell’indebolimento dell’opera italiana a Londra, la conseguenza di un apparato economicamente non più sostenibile, per colpa di cachet esorbitanti e di una concorrenza irrazionale tra le due fazioni (quella handeliana e quella anti-), destinate in breve a distruggersi a vicenda. Non è un caso che dopo Deidamia del 1741, Handel accetti di slancio un invito a Dublino, dove nel 1742 debutta Messiah, l’oratorio della svolta. La riscoperta di questo genere – snello, economico, affrancato dai capricci delle star del canto – fa decollare di nuovo le casse di Mr. Handel. Nel 1743 il compositore riapre un nuovo portafoglio azionario con la South Sea Company. Niente, da quel momento, lo fermerà: ogni anno il suo conto cresce a tre zeri. Alla sua morte, Handel lascia liquidità per 17.500 sterline, 2,2 milioni al cambio attuale. E anche un grande rimpianto: cosa avremmo ascoltato ancora, se non si fosse fermato a Deidamia?


Scoprire la propria voce Il celebre soprano francese ci porta nel suo mondo, e ci ricorda di essere sempre convinti delle proprie scelte e di battersi per i propri obiettivi: esattamente come farebbero le eroine händeliane. Quando è nata la sua passione per la musica e qual è stato il suo percorso? «Sono stata attratta dalla musica classica molto presto. I miei genitori, melomani appassionati, avevano molti dischi. Io ascoltavo rapita, specie le Passioni di Bach, con le grandi voci di allora, Christa Ludwig, Elisabeth Schwarzkopf, poi imitavo le cantanti. Vedendo il film Gli Aristogatti mi sono innamorata dell’arpa e ho iniziato a studiarla. Poi a undici anni mi hanno iscritto alla scuola di Radio France, una scuola musicale che è stata la mia fortuna. Ho partecipato a tanti spettacoli all’Opéra, da piccola mi vestivano da maschietto pestifero, per esempio nella Bohème. Ho ancora il programma con gli autografi di Placido Domingo e Mirella Freni». E il canto? «Studiavo già l’arpa seriamente, mi interessava già la musica antica. Al conservatorio un amico flautista mi parlò di William Christie e mi candidai a lavorare con lui. Da una cosa è venuta l’altra, ho scoperto la mia voce e poi tutto il resto». Cosa pensa delle eroine händeliane che interpreterà nel concerto di Bologna? Si rispecchia in una o più di esse? «Difficilmente mi identifico con un personaggio, piuttosto mi attraggono certe situazioni. Questo recital ha il pregio di creare un prisma di volti femminili differenti con diverse emozioni. Si tratta spesso di donne forti, o che nascondono la propria fragilità sotto una corazza invincibile. Oppure che hanno un’anima forte nonostante l’apparenza delicata. Partenope è una guerriera. Cleopatra, che mi piace più di tutte, usa la seduzione come arma per tentare di manovrare gli uomini che detengono le leve del potere: un personaggio femminista ante litteram, che si batte come una leonessa. Alcina invece è una maga, ma finisce sconfitta nel momento in cui si mostra innamorata, in cui accetta la propria fragilità. Però è anche una parte da cattiva, mi piace molto giocare con questo aspetto». Come si può avvicinare un pubblico di giovani alla musica barocca?

«In Francia il barocco ha un enorme successo, anche perché ci si è molto concentrati sulle messe in scena, su spettacoli fantastici. William Christie ci diceva: “siete dei missionari, dovete cantare per convincere”. Forse non c’è più bisogno di questo, ma sicuramente ci sono tante persone che ancora pensano che il teatro d’opera non sia adatto a loro, non ci provano nemmeno. Invece con gli incontri pubblici, anche nelle scuole, si può fare moltissimo. Ci si può innamorare di questa musica anche senza saperne nulla, è toccante. Ma se si conoscono i contesti, la storia – pensiamo alla vicenda umana di Händel, i fallimenti, i castrati, materiale da film! – la si può amare di più e meglio. Spiegare a tanti giovani che quella era la musica contemporanea del tempo, i divi, le pop star che scatenavano deliri. Poi naturalmente non si deve avere la pretesa di convincere tutti». Quante ore dedica allo studio? Ha qualche buon consiglio da elargire a un’aspirante cantante? «Studiare molto, lavorare con serietà è fondamentale. È l’unico rimedio per essere a posto almeno con la coscienza, poi ci sono tante variabili che non dipendono da noi, la salute, il freddo, i contrattempi improvvisi: con uno studio e una preparazione impeccabile si è già abbastanza al sicuro. L’altro punto fondamentale è essere centrati, trovare il proprio equilibrio. Un consiglio che do volentieri è di ascoltare tutti, assorbire come una spugna, ma poi decidere con la propria testa, cercando il proprio obiettivo, ma soprattutto di aver chiaro ciò che non si vuole. Pensare che l’insegnante di canto risolva tutti i problemi è ingenuo. Anzi, se si è certi delle proprie convinzioni qualche volta fa bene anche disobbedire. Una cantante molto famosa mi ascoltò in conservatorio e mi liquidò con un “continui a fare l’arpista”. Ho pensato che poteva aver ragione ma anche sbagliarsi, e ho continuato a studiare: avevo ragione io». (a cura di Riccardo Puglisi)

Foto Sandrine Expilly Naïve

> Intervista > Sandrine Piau



Lunedì 4 maggio 2020

FOLK Cello

Nel suo attesissimo recital per Musica Insieme, il violoncellista e autore siciliano porta i frutti dei suoi viaggi attraverso i tempi e i luoghi della musica popolare di Fulvia de Colle

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iovanni Sollima è senza dubbio uno degli artisti più sbalorditivi di questo tempo. Non soltanto è un violoncellista mirabolante, che ancora adolescente veniva chiamato a suonare con Claudio Abbado, Martha Argerich e Giuseppe Sinopoli. Ma c’è molto di più: per lui suonare, come racconta la sua biografia, non è un fine, ma un mezzo per comunicare con il mondo. Per Sollima suonare si trasforma quasi naturalmente in comporre: ce lo racconta lui stesso nell’intervista che ospitiamo nelle prossime pagine, a proposito del Natural Songbook, composto appunto suonando, senza scrivere una sola nota, nel puro spirito di una tradizione orale che nel suo caso verrebbe quasi da chiamare “trobadorica”. Perché Sollima con il suo strumento racconta sempre qualcosa, che siano emozioni, opere d’arte o vere e proprie storie, come quella di Spasimo, dedicato al restauro della chiesa palermitana di Santa Maria dello Spasimo, che il brano racconta ripercorrendo l’agonia dell’edificio, che nel corso del tempo ha dovuto cambiare molte volte la sua identità, da teatro a lazzaretto, albergo dei poveri, ospedale. Per Sollima poi la composizione nasce anche dal rapporto fisico, quasi carnale, con lo strumento. Lo racconta ad esempio la genesi di un altro dei suoi brani più famosi, Violoncelles, vibrez!, del 1994, che i massimi solisti al mondo, a cominciare da Yo-Yo Ma, hanno voluto nel loro repertorio. Scritto per Mario Brunello, Sollima dice di averlo concepito con in mente una fotografia che «ritraeva me e Mario durante una lezione con Antonio Janigro, il maestro con cui abbiamo studiato entrambi fino alla metà degli anni Ottanta: con un gesto forte e deciso Janigro ci esortava a fare un vibrato con i violoncelli. Lui, in realtà, ci ha insegnato “il vibrato della vita”, ci ha insegnato a tirar fuori la radice espressiva di questo strumento, ad utilizzare questo pezzo di legno per comunicare con tutto ciò che ci sta intorno. Ci diceva sempre di non essere solo dei violoncellai». Sollima è anche un vulcanico “compositore di programmi”: sempre in cammino, sempre stimolato dai suoni e dal mondo intorno a sé, lo abbiamo sentito nel

LUNEDÌ 4 MAGGIO 2020 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI

GIOVANNI SOLLIMA

violoncello

Tradizionale armeno / Padre Komitas Krunck Giulio de Ruvo Romanella, Ciaccona, Tarantella Tradizionale albanese / Arbëreshë di Sicilia Moj e Bukura More Tradizionale trentino Monsiuzam Johann Sebastian Bach Suite n. 1 in sol maggiore BWV 1007 Giovanni Sollima Jook-urr-pa Tradizionale salentino Santu Paulu Francesco Corbetta Caprice de Chaconne Giovanni Sollima Fandango (after Boccherini) Ignacio Cervantes Illusiones perdidas Giovanni Sollima Quattro pezzi da Natural Songbook: Gran Moghul – Variazioni – The lass of Peatie’s mill after Francesco Barsanti/John Gunn – Pizzica

CHE MUSICA, RAGAZZI! – III edizione Il 23 marzo alle ore 10.30 gli Artisti incontreranno all’Auditorium Manzoni gli alunni delle scuole primarie e medie. Per informazioni rivolgersi a Musica Insieme

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Lunedì 4 maggio 2020

GIOVANNI SOLLIMA

Violoncellista di fama internazionale e tra i compositori italiani più eseguiti nel mondo, Giovanni Sollima collabora con artisti del calibro di Yo-Yo Ma, Antonio Pappano, Riccardo Muti, Gidon Kremer, Viktoria Mullova, Katia e Marielle Labèque, oltre a travalicare i confini dei generi nei suoi progetti con musicisti quali Patti Smith, Stefano Bollani, Paolo Fresu ed Elisa, per citarne solo alcuni. Oltre a comporre e interpretare le colonne sonore per registi quali Peter Greenaway, John Turturro, Bob Wilson, Carlos Saura, la sua curiosità lo spinge ad esplorare sempre nuove frontiere nel campo della composizione, avvalendosi anche dell’utilizzo di strumenti antichi, orientali, elettrici e di sua invenzione. Ha suonato nel Deserto del Sahara e sott’acqua, si è cimentato con un violoncello di ghiaccio in un teatro-igloo a 3.200 metri di altitudine, e nel 2012 ha fondato insieme a Enrico Melozzi l’ensemble 100 Cellos, che riunisce violoncellisti di ogni età e parte del mondo.

2013 accostare ai Concerti di scuola napoletana con I Turchini di Antonio Florio il suo Fecit Neapolis 17., ispirato proprio da quel repertorio che metteva per la prima volta in luce il violoncello solista. E lo abbiamo visto mettere insieme per MICO – Musica Insieme Contemporanea Jimi Hendrix e Vivaldi, e via suonando… fino ad arrivare ad oggi, quando per la sua ormai ottava apparizione nei cartelloni di Musica Insieme – apparizioni sempre diverse, sempre feconde di stimoli e di emozioni – ci porta con sé nel suo viaggio intorno al mondo delle tradizioni popolari. «Direi che questo progetto forse era in fìeri da sempre, date le mie origini e l’idealizzazione – amplificata dal distacco fisico – di un’isola che

DA ASCOLTARE

Tra le numerose creazioni del violoncellista siciliano non possiamo non citare il cd Spasimo, che contiene l’omonimo brano, un intenso poema musicale pienamente rappresentativo del carattere mediterraneo delle composizioni di Giovanni Sollima. Composto nel 1995 e pubblicato da Agorà nel 2000, è uno dei lavori maggiormente eseguiti dal vivo dai più prestigiosi violoncellisti, come Mario Brunello, che lo ha presentato alla V edizione del Varignana Music Festival nel 2018. Un’altra incisione che celebra forse il più popolare progetto realizzato da Giovanni Sollima, è sicuramente 100 Cellos Live (Decca, 2018) che raccoglie tracce dei concerti realizzati tra il 2013 e il 2017 dall’ensemble creato insieme ad Enrico Melozzi, spaziando dai “classici” Bach, Händel e Beethoven al rock di David Bowie, Prince, Pink Floyd, tutti in arrangiamenti originali.

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continua a mandare segnali dal passato e dai suoi complessi strati come un pozzo senza fondo. Insomma, era inevitabile, mi sono ritrovato ancora una volta a tentare di rileggere il solco che il canto popolare ha scavato nella musica “colta”». Folk Cello insomma assembla un repertorio che va dalle tradizioni orali a brani originali di epoca barocca, come quelli del pugliese Giulio De Ruvo, che scrive i suoi lavori nell’epoca in cui proprio a Bologna il violoncello si rendeva protagonista, prima ancora che con Bach, di un repertorio solistico costruito su misura per la sua tecnica e le sue sonorità. Oltre a un corpus di sonate, De Ruvo scrive una serie di componimenti popolari come tarantelle o ciaccone (ancora un nesso col folklore: la ciaccona, seppure recuperata e “nobilitata” da molti autori, uno fra tutti Bach, è come sappiamo di origini popolari). E Sollima si diverte appunto ad intrecciare la musica di estrazione popolare con la rilettura che di essa fanno gli autori cosiddetti “colti” (compreso se stesso). E non si tratta dei ben noti interessi etnomusicologici di Bartók, Ligeti o Kodály, ma anche, andando molto più indietro nel tempo, di Bach – non a caso posto nel cuore del suo programma – o di Francesco Corbetta e Giuseppe Boccherini: e in questi ultimi due casi si tratta, come per Sollima, di autori che erano anche grandi virtuosi dei rispettivi strumenti, instancabili nel crearsi quindi un repertorio sempre nuovo. Impossibile insomma parlare di un concerto di Giovanni Sollima senza parlare di Giovanni Sollima, che di questi programmi è insieme interprete, autore e regista. E studioso: perché sin da bambino, in Sicilia, questo artista geniale ha intrapreso la raccolta di un archivio dedicato alla musica popolare che ora fra libri, appunti, registrazioni e fonti varie conta circa un milione di canti – con buona pace di Bartók! – e che nasce in qualche modo proprio dalla “sicilianità” del suo autore. «Stando in Sicilia, una terra che in qualche modo ha vissuto di tutto, tra invasioni e tracce ancora visibili, quando ero bambino praticamente viaggiavo senza spostarmi di un centimetro. A casa c’era già un archivio ben nutrito, che negli anni è diventato un programma per violoncello solo. Userò un termine un po’ abusato, ma questi programmi sono dei format, il cui contenuto può sempre cambiare, essere modificato in base agli aggiornamenti, a quello che incontro…».

Lo sapevate che Sollima ha fatto parte del progetto N-Ice Cello per la sensibilizzazione sul futuro del pianeta, tenendo una serie di concerti con un violoncello di ghiaccio


Dalla Sicilia al mondo > Intervista > Giovanni Sollima sacerdote e musicista scomparso nel 1935, ndr], che però io vado a cercare nella sua radice ancora più arcaica. Lo stesso Komitas affermava che i canti di una certa fascia del pianeta sono molto simili, quasi uguali nella loro forza e potenza naturale. E mi affascina il fatto che un canto popolare non ha mai un solo autore, ma ne ha milioni…». E i brani tratti dal suo Natural Songbook? «Sono brani che in certi casi non ho neppure messo in notazione, chi volesse suonarli dovrà impararli a orecchio – nella migliore tradizione orale! Li ho composti con un sistema completamente diverso, che non è appunto quello della notazione scritta, ma fissandoli sullo strumento, in una forma che sia al tempo stesso ferrea e libera. La notazione è appena accennata, ma il materiale si può modificare di volta in volta: insomma, sono brani originali ma di ispirazione popolare». Quest’estate sarà ospite del Varignana Music Festival, incrociando dapprima Luigi Lo Cascio per un programma dedicato alla poesia e alla musica siciliana… «La sicilianità musicale riesci a vederla anche per strada, oltre che in molti talenti e nella storia di compositori siciliani, noti e meno noti. Poi molti musicisti sono venuti in Sicilia, affascinati dal luogo e forse dal clima, rimanendone stregati e lasciando tracce dei loro componimenti in quella terra, che li provocava e li ispirava. Penso a Schumann, Fanny Mendelssohn, Wagner, Richard Strauss…». Per la matinée finale del Festival si incontrerà invece con Enrico Melozzi, co-autore con lei della folle avventura del 100 Cellos. Cosa vi inventerete per abitare la natura e il fascino di Palazzo di Varignana? «Sarà una bella sfida, mi piace farmi sorprendere da un luogo… sia io che Melozzi siamo in realtà degli improvvisatori: una volta che abbiamo preso coscienza di un posto ci lasciamo ispirare… insomma, cosa accadrà lo vedremo al momento, noi e il pubblico insieme!».

Foto Francesco Ferla

Ancora una volta Giovanni Sollima ci stupisce con il suo nuovo progetto solistico, costruito intorno a uno strumento che generalmente non associamo alla musica popolare quanto ad esempio faremmo per il violino o il clarinetto. Possiamo dire che il violoncello deve a Sollima una ricostruzione di questo repertorio? «Nonostante siano più sommerse, in realtà ci sono tracce molto forti del violoncello nella musica folk, ad esempio nelle tradizioni della Scozia del Sette-Ottocento, o nei primi Novecento in Irlanda. Possiedo immagini dei primi del Novecento in cui un violoncello montato a tre corde, denominato citarrune, ossia “chitarrone”, veniva fissato alla cintura e accompagnava feste, matrimoni, funerali… Quindi in realtà, anche se nell’immaginario gli strumenti folk più diffusi sono altri, il violoncello è uno strumento più che attivo. La storia del violoncello folk in Sicilia poi è divertente perché combacia con la caduta della nobiltà: quando molti si liberavano di effetti personali e di oggetti anche importanti, accadeva che strumenti di liuteria pregiata venissero smarriti per ricomparire nei mercatini o per le strade, rilevati da suonatori ambulanti che a loro volta li riconfiguravano e davano loro nuova vita». All’interno, anzi al centro di questo programma, c’è anche Bach… «Certo, ma di lui conosciamo bene le rielaborazioni delle danze e di tutto ciò che era “popolare” alla sua epoca; e alcune di queste danze, ad esempio nel sud della Francia, esistono ancora. Poi ci sono brani che ho arrangiato io, ma che godevano già di una propria vita nella storia di molti popoli, con varie versioni strumentali: ad esempio c’è un canto degli Arbëreshë [minoranza etno-linguistica albanese, ndr], Moj e Bukura More (O bellissima More), che è conosciuto e praticato non solo in Albania, ma anche nei numerosi insediamenti albanesi della mia regione. Nell’adattarlo al violoncello pensavo allo spirito un poco gipsy dei Balcani, quindi ho adottato tecniche quasi violinistiche. Insomma, tutto ciò che ho incontrato ho cercato di raccontarlo in questo programma, seguendo una sorta di drammaturgia. C’è anche la mia passione per l’Armenia, per cui apro con questo bellissimo canto, Krunck, salvato da Padre Komitas [affascinante figura di

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LunedĂŹ 11 maggio 2020

DEDICHE

illustri

Foto Luke Ratray

A dieci anni dal suo ultimo recital bolognese, torna a Musica Insieme il celebre violinista israelo-americano, attraversando tre secoli di repertorio con il suo Stradivari di Elisabetta Collina

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LUNEDÌ 11 MAGGIO 2020 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI

GIL SHAHAM violino AKIRA EGUCHI pianoforte

Gaetano Pugnani/Fritz Kreisler Praeludium und Allegro Scott Wheeler Sonata n. 2 – The Singing Turk Avner Dorman Sonata n. 3 – Nigunim Johann Sebastian Bach Partita n. 3 in mi maggiore BWV 1006 per violino solo César Franck Sonata in la maggiore

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randi interpreti ispirano grandi compositori: è praticamente sempre stato vero non solo nella musica operistica (quando i musicisti scrivevano per le voci alle quali l’opera era destinata, e se questo non avveniva erano le voci che dovevano “adattarsi” la parte…), ma anche nella musica strumentale. E questo da quando, a fine Seicento, inizia l’avventura della musica da camera considerata come genere “pubblico” e non più soltanto come nobile passatempo fruito direttamente dai bravi dilettanti nei palazzi nobiliari. Il primo che tiene conto delle abilità dell’interprete cui il brano è destinato è il virtuoso stesso, quasi costretto a divenire compositore perché niente di esistente è in grado di mettere in luce tutte le sue abilità. Come Kreisler, che raccoglie all’inizio del Novecento l’eredità dei grandi violinisti-compositori che dal Settecento giravano l’Europa per mostrare la loro bravura. Un riferimento non casuale, questo, alle radici del virtuosismo violinistico, che lo stesso Kreisler compie quando, in un gioco di specchi, compone pagine “nello stile di…”, come il Preludio e Allegro “alla maniera di Pugnani”. Assai più frequente, tuttavia, è però il caso in cui esiste una conoscenza diretta tra interpreti e autori, consuetudine questa che non sì è affatto affievolita nella musica del nostro tempo. Anzi, tante composizioni di autori contemporanei (pensiamo alle Sequenze di Berio) devono la loro esistenza proprio alle specifiche capacità dei dedicatari, così come avviene anche nelle due sonate che costituiscono la prima parte del programma. La Sonata n. 2 The Singing Turk del pluripremiato compositore statunitense Scott Wheeler, com-

missionata dalla violinista Sharan Leventhal e proposta per la prima volta al Conservatorio di Boston nel febbraio 2017 dai due interpreti che la eseguiranno anche in questo appuntamento bolognese, è costituita da tre movimenti dove l’autore fa esplicito riferimento al libro di Larry Wolff The Singing Turk, nel quale il musicologo ripercorre le strade della “moda turca” in musica nel Settecento. I tre tempi propongono infatti tre stili differenti e si ricollegano a tre opere settecentesche di ambientazione “turchesca”: Lo sapevate che dal 1989 Sù la sponda (dal TamerGil Shaham suona un raro lano di Händel), O vous, Stradivari “Contessa di que Mars rend invincibile (da Tre Sultani di Gilbert) e Polignac” del 1699, uno In Italia (dal Turco in Italia strumento “sperimentale” di Rossini). leggermente più snello Dalla musica operistica del XVIII secolo passiamo alla e lungo della norma, musica popolare utilizzata dalla sonorità unica come ispirazione, con la Sonata n. 3 di Avner Dorman che ci trasporta nel mondo della musica tradizionale ebraica. Composta nel 2011 e dedicata a Gil Shaham e alla sorella pianista Orli, è l’autore stesso a illustrare le radici e le basi musicali sulle quali si costruiscono i quattro movimenti, ricordando che: «Il Nigun è un concetto fondamentale della musica tradizionale ebraica. Secondo la letteratura ebraica, il Nigun è

I PROTAGONISTI

Considerato uno dei più grandi violinisti dei nostri tempi, Gil Shaham unisce in sé tecnica, calore e generosità. Inizia gli studi con Samuel Bernstein all’Accademia Rubin di Gerusalemme e debutta a soli dieci anni con la Jerusalem Symphony e la Israel Philharmonic. Nel corso della sua carriera vince numerosi premi internazionali, come l’Avery Fisher Career Grant, il Grammy e il Grand Prix du Disque. Instancabile la sua esplorazione del repertorio, da Korngold a Barber, da Britten a John Williams. Dal suo acclamato esordio all’Alice Tully Hall di New York nel 1992, Akira Eguchi si è esibito sui più importanti palchi di Stati Uniti, Europa ed Estremo Oriente. Nato nel 1963, ha conseguito una laurea in Composizione presso l’Università Nazionale delle Belle Arti e della Musica di Tokyo e un Master in pianoforte alla Juilliard School. È protagonista di una cinquantina di incisioni, anche in duo con Shaham, con cui collabora da oltre vent’anni.

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Lunedì 11 maggio 2020

DA ASCOLTARE Nella carriera di un grande interprete di solito si distinguono tre momenti: l’esordio, l’affermazione, la liberazione. Di queste transizioni, da quando Edison inventò il fonografo, la discografia è uno specchio fedele, e Gil Shaham non fa eccezione. Agli inizi, magari perché si è giovani, magari perché ce lo impone un contratto discografico con una major (Deutsche Grammophon nel caso in questione), s’incide il repertorio. Shaham affronta i grandi concerti per violino: Bruch, Mendelssohn, Paganini, Wieniawski, Čajkovskij, Sibelius. Ci sono anche le sonate importanti, a cominciare da quella di Franck. Poi un po’ alla volta si allargano gli orizzonti, compare il Novecento (Prokof’ev in testa) e finalmente, liberatisi appunto dalla necessità di avere successo, ecco che si sceglie di portare al debutto la musica dei propri, dei nostri giorni. Così nel 2019 Gil Shaham è tra i protagonisti dell’incisione delle Letters from Gettysburg di Avner Dorman per i tipi della Canary Records.

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un linguaggio universale: esso si libra al di sopra delle parole, veicolando un messaggio spirituale più profondo di quanto esse non possano fare. Il Nigun può essere anche molto breve ma, iniziando e finendo sulla stessa nota, può essere ripetuto a piacere più e più volte. In questo senso, il Nigun non ha né un inizio né una fine, ma è eterno. I Nigunim (plurale di Nigun) possono essere laici o religiosi, veloci o lenti, cantati o suonati nella più ampia varietà di occasioni sociali». Quando invece, tre secoli prima, Bach compone i Sei solo a violino senza basso tra gli anni Dieci e gli anni Venti del Settecento, ha in mente più di un destinatario. Innanzitutto se stesso, esperto violinista che come tale aveva iniziato la sua carriera musicale; poi J. Georg Pisendel, il più eminente dei violinisti tedeschi dell’epoca, conosciuto da Bach a Weimar e al quale avevano dedicato musica autori come Albinoni o Vivaldi; e infine il primo violino dell’orchestra di Köthen, Joseph Spiss, al quale destinerà anche i concerti per violino e orchestra. Con simili punti di riferimento non ci stupisce la grandezza di questi lavori e la loro distanza dalle composizioni per violino solo dell’epoca: se quelli rientravano nell’amore per la bizzarria nutrito dall’epoca barocca, questi cambiano la prospettiva, e lo spirito geometrico di Bach non si accontenta di soddisfare il gusto corrente, ma come sempre vuole racchiudere le composizioni in un progetto organico ed esemplare. Le tre Sonate recuperano il modello “antico”, mentre le tre Partite utilizzano e variano la forma della suite di danze trascendendola, come accade nella Partita n. 3, dove al monumentale e originalissimo preludio seguono cinque danze che modificano la successione abituale, fino alla giga conclusiva, la sola che invece rispetta la tradizione. Componendo la Sonata in la, Franck pensava ad Eugène Ysaÿe, il più grande virtuoso di fine Ottocento, che la eseguì per la prima volta nel 1886. Unica per questo organico nel catalogo del compositore belga, essa si colloca in una posizione particolare nella storia della sonata francese, pur partendo dalla “germanica” suddivisione in tempi: nuovissimi sono infatti il contenuto e la distribuzione del materiale tematico tra i due strumenti e l’alternanza fra aperture liriche e momenti irruenti e passionali, fra sezioni animate e tranquille, fra libertà di scrittura e strutture canoniche. Una straordinaria prismaticità, dove l’unità ideale dell’andamento rapsodico e fantastico viene garantita dalla sicurezza del ritorno dello stesso tema, a creare la massima unità nella massima fantasia.





Per leggere / di Chiara Sirk

Brian Moynahan Sinfonia di Leningrado

(Il Saggiatore, 2017)

La città era sotto l’assedio dei tedeschi e nel regime di terrore che Stalin aveva instaurato Leningrado stava morendo, di fame, di freddo, per le bombe e per le esecuzioni dei “nemici del popolo”. Šostakovič era nato a Leningrado quando ancora si chiamava San Pietroburgo. Qui, nel luglio del 1941 iniziò a comporre la sua Settima Sinfonia. Poi fu costretto a trasferirsi. La terminò a Kujbyšev e volle dedicarla alla sua città. Sabato 9 agosto 1942 la Sala concerti della Filarmonica di Leningrado era esaurita. Il pubblico si preparò ad ascoltare la Sinfonia n. 7 di Šostakovič eseguita da un centinaio di orchestrali, sopravvissuti agli stenti e all’ipotermia, diretti da Karl Eliasberg. Quando la musica terminò ci fu un profondo silenzio, poi iniziarono gli applausi, sempre più fragorosi. L’esecuzione era stata diffusa anche dagli altoparlanti collocati nelle strade, nelle piazze. Fu un momento epico. La bellezza e l’armonia per 80 minuti avevano vinto l’orrore. Ricostruisce questa storia Brian Moynahan, giornalista e scrittore inglese, nel libro Sinfonia di Leningrado (545 pagine, Il Saggiatore, 2017). Un libro da leggere, che mescola storia e musica in modo esemplare.

Paul Kildea Il pianoforte di Chopin

(Il Saggiatore, 2019)

Cosa lega Wanda Landowska, signora del clavicembalo (ormai estinto) negli anni Venti del Novecento, a Chopin? Certamente la comune origine polacca, ma non solo. C’è ben di più ed è raccontato assai bene nel volume Il pianoforte di Chopin. Alla ricerca dello strumento che ha rivoluzionato la musica (391 pagine, Il Saggiatore, 2019) scritto da Paul Kildea. La sua narrazione mescola in modo sapiente le vicende biografiche di Chopin, la società parigina dell’epoca, legando tutto questo alla carriera artistica del protagonista dell’opera. Ma c’è anche un altro protagonista nel libro: il pianoforte del compositore. Su quello strumento, un “pianino” come lo definì George Sand, a Valldemossa (Maiorca), furono composti la maggior parte dei Preludi op. 28. In quel luogo tornò nel 1911 la Landowska, cercando il pianoforte Bauza che riteneva fondamentale per comprendere la genesi e la peculiarità dei Preludi. Nel 1913 riuscì ad acquistarlo e a portarlo a Parigi. Ma la Storia precipitò nell’orrore. Nel 1940 la Gestapo entrò nella casa della musicista e confiscò tutto, compreso il pianoforte di Chopin che finì a Berlino. Una storia avventurosa e avvincente. 58

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in viaggio

Dalla Bologna del Teatro Comunale, alla Leningrado di Šostakovič, alla Parigi di Chopin. Tre storie che attraversano i secoli, confermando l’indissolubile legame tra passato e presente Un volume di un’eleganza straordinaria è quello che l’editore bolognese Scripta Maneant ha deciso di dedicare al Teatro Comunale di Bologna e che inaugura la Collezione di opere dedicate ai Grandi Teatri Lirici Italiani. Di grande formato, ma è stato stampato in tre versioni, di cui una pocket, perfetta da portare nella borsa e dal costo contenuto, è in pratica un’opera “prima”. Scripta Maneant, infatti, ha prodotto e realizzato una nuova campagna fotografica dedicata al Teatro, quale strumento di approfondimento, studio e intervento conservativo. Le nuove immagini sono anche servite per questo volume, il cui materiale storico, iconografico e documentario proviene invece direttamente dall’Archivio Storico del Comunale. Sfogliando le pagine sembra di essere nella Sala dei Bibiena, se ne percepisce la storia secolare, la cura con cui fu realizzata, si scorgono per la prima volta particolari mai notati. L’effetto è quello di “scoprire” il Teatro, anche se lo si frequenta con una certa assiduità. Se la parte visiva è quella che colpisce di primo acchito, ed è di Carlo Vannini, uno dei maggiori fotografi d’arte italiani, docente dell’Accademia di Belle Arti di Bologna (con cui ha collaborato, in veste di responsabile di produzione, Gianni Grandi), l’autore dell’opera è il musicologo Piero Mioli, bolognese, che all’insegnamento della

Storia della Musica e a numerosi ruoli accademici e istituzionali da sempre affianca una costante e ricca attività di divulgatore e conferenziere. Con la consueta perizia racconta la storia del luogo, uno dei più prestigiosi della città, nello svolgersi del tempo tra i cambiamenti della musica. Alle introduzioni istituzionali del Sindaco e Presidente della Fondazione Teatro Comunale Virginio Merola e del Sovrintendente Fulvio Macciardi, si aggiungono tre testimonianze delle emozioni interpretative che hanno vissuto sul palcoscenico di questo storico teatro il soprano Raina Kabaivanska, il direttore Daniel Oren e il baritono e registra teatrale Rolando Panerai. Ad esse si aggiunge uno scritto del giornalista Cesare Sughi. La Collezione Scripta Maneant dedicata ai Grandi Teatri Lirici Italiani proseguirà nel 2020 con l’uscita dei volumi dedicati al Teatro Regio di Parma, al Teatro dell’Opera di Roma e al Teatro San Carlo di Napoli. Il volume dedicato al Teatro Comunale di Bologna è disponibile anche nella versione a tiratura limitata di 777 esemplari numerati a mano, e contiene la riproduzione esclusiva di una serie di disegni, figurini e bozzetti storici stampati su carta speciale, direttamente provenienti dagli archivi del Teatro. Piero Mioli Teatro Comunale di Bologna

(Scripta Maneant, 2019)



Da ascoltare / di Roberta Pedrotti

NELLE LORO corde

L’ultimo album di Giovanni Sollima, le esplorazioni di Sandrine Piau intorno alla mélodie francese, il duo “d’assalto” Wang-Capuçon: tutte le passioni dei solisti di Musica Insieme

Saint-Saëns, Berlioz, Massenet, Pierné, Dubois et al.

S. Piau, Le Concert de la Loge, J. Chauvin (Alfa 2019 – 1 cd) Si j’ai aimé

La mélodie francese, come il Lied tedesco o la romanza italiana, richiama subito l’intimità del salotto, il pubblico raccolto intorno al cantante con uno strumento o piccolo ensemble. Certo, esistono arie da concerto, cantate, cicli liederistici di respiro sinfonico e hanno punte di diamante come Mahler o Richard Strauss. Meno noto è questo sviluppo nella mélodie francese, se si eccettua forse Berlioz con le sue Nuits d’été. Ci sono, però, anche pagine di Saint-Saëns, Massenet, Godard, Duparc – giusto per fare qualche nome – che meritano d’esser conosciute e rispolverate. Per fortuna, il Palazzetto Bru Zane non solo promuove e sostiene progetti di ricerca e riscoperta d’alto profilo nell’ambito della musica francese, ma sa anche intercettare la sensibilità di alcuni dei migliori interpreti per un programma scandito da ricordi, desideri e seduzioni amorose. È il caso di Sandrine Piau, nata alle porte di Parigi, nota soprattutto nell’ambito barocco, ma da sempre appassionata della musica cameristica fra XIX e XX secolo. È il caso del Concert de la Loge diretto da Julien Chauvin, che restituisce la straordinaria libertà espressiva di questa scrittura con suggestive sonorità d’epoca. César Franck, Fryderyk Chopin, Astor Piazzolla Gautier Capuçon, Yuja Wang (Warner Classics 2019 – 1 cd)

Suonano insieme da anni, ma finora non in disco, Yuja Wang e Gautier Capuçon. Star internazionali, quel disco lo fanno ora forti dell’esperienza dal vivo. Si avverte subito il temperamento teatrale, il senso drammatico che anima la loro interpretazione, fatta di accenti decisi e appassionati. La versione per violoncello di Delsart della Sonata in la maggiore di Franck permette di sottolineare ombreggiature congeniali al duo, che anche nei passi più liquidi e lirici, nei momenti di sospensione e dissolvenza, non manca di dimostrare un approccio volitivo, la predilezione per colori scuri, articolazioni nette, contrasti sbalzati in un dialogo incalzante. La Sonata di Chopin segue un percorso inverso: concepita con il violoncello, circolò anche trascritta per violino e perfino per piano solo. Dunque, si torna alle origini, in un romanticismo tormentato, notturno perché inquieto, frastagliato. La tecnica non manca a Wang e Capuçon per dipanare questa loro lettura, come si evince anche dal mordente con cui è intesa l’eleganza leggera dell’Introduction et Polonaise brillante. In un balzo oltreoceano nel XX secolo, Le Grand Tango di Piazzolla suona come un bis perfetto, danza volitiva di eros e thanatos.

Un’immagine simbolo dei 100 Cellos, l’ensemble ideato e diretto da Giovanni Sollima con Enrico Melozzi, è quella dei ragazzi in cammino con il proprio strumento. Una splendida rappresentazione della musica in viaggio per le strade del mondo, ma anche un ammiccamento inevitabile alla scena di Prendi i soldi e scappa in cui Virgil, in puro stile slapstick, tenta di suonare il suo violoncello al passo con la banda di cui fa parte. Questo album non coinvolge direttamente i 100 Cellos, ma è una sorta di taccuino di viaggio in cui non può che confluire anche quest’esperienza, in cui rispunta il giovane Virgil/Woody Allen, il violoncellista destinato a una sgangherata carriera criminale. La tredicesima traccia del cd, e nono brano del Natural Songbook, s’intitola proprio Virgil’s Cello ed è esplicitamente dedicato alla sequenza del film: i terribili primi approcci allo strumento, la testimonianza dell’insegnante (un frammento dell’audio originale è integrato nella partitura: “his cello playing was just terrible”), l’accattivante tema della banda. In un minuto e mezzo, riecheggia il gioiello comico del giovane Allen, ma anche un ironico percorso nel suono, fra volontà, esperimento, frustrazione, fino alla rassicurante melodia in marcia festosa. E, in fondo, tutto l’album è un viaggio festoso di esplorazione. La raccolta Natural Songbook vede il violoncello incontrare suoi simili o altri strumenti dando forma alle più diverse suggestioni e reminiscenze: tradizioni popolari, classiche, extraclassiche. Si intreccia anche ad altri lavori di Sollima in cui si affacciano tempi e luoghi lontani: The N-Ice Cello Concerto è nato per uno di quegli strumenti di Tim Linhart che, invece del legno, fanno cantare il ghiaccio e hanno ispirato improvvisazioni alla base del Natural Songbook, chiudendo quel cerchio di ricerche fra natura, cultura, spazio, tempo ed elementi che attraversa anche il folklore siculo di Citarruni e la Sonata 2050, proiettata da Bach e Beethoven allo spazio profondo. Giovanni Sollima Natural Songbook

(Warner Music 2019 – 1 cd) 60

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Fondazione Musica Insieme Galleria Cavour, 2 – 40124 Bologna Tel. 051 271932 – Fax 051 279278

Editore

Fulvia de Colle

Direttore responsabile Carla Demuru, Cristina Fossati, Riccardo Puglisi, Alessandra Scardovi

In redazione

Luca Baccolini, Elisabetta Collina, Fabrizio Festa, Irene Grotto, Maria Pace Marzocchi, Maria Chiara Mazzi, Roberta Pedrotti, Chiara Sirk, Mariateresa Storino, Brunella Torresin

Hanno collaborato

Kore Edizioni - Bologna

Grafica e impaginazione

Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna)

Stampa

Registrazione al Tribunale di Bologna n° 6975 del 31-01-2000

Musica Insieme ringrazia: ALFASIGMA, ARETÈ & COCCHI TECHNOLOGY, BANCA DI BOLOGNA, BANCA MEDIOLANUM, BOLOGNA PLACEMENT AGENCY, BPER BANCA, CAMST, CASETORRI, CENTRO AGRO-ALIMENTARE DI BOLOGNA, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, CONFINDUSTRIA EMILIA, COOP ALLEANZA 3.0, DATALOGIC, EMIL BANCA, EMILIANAUTO, FATRO, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI RAVENNA, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GALLERIA D’ARTE MAGGIORE G.A.M., GRAFICHE ZANINI, GRIMALDI IMMOBILIARE, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, INTESA SANPAOLO, MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, PALAZZO DI VARIGNANA, PELLICONI, PILOT, S.O.S. GRAPHICS, UNICREDIT SPA, UNIPOL GRUPPO MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO, REGIONE EMILIA-ROMAGNA, COMUNE DI BOLOGNA

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