Il Treno di Dante riprende il cammino
Licia Zuzzaro, fotografie Fabrizio LavaNella primavera 2024 riprenderanno le corse del treno nel percorso tra Firenze e Ravenna, disseminato di borghi e beni culturali.
Dopo un crescente successo di pubblico, il Treno di Dante ha dovuto, infatti, arrestarsi per ragioni di sicurezza e per le pesanti conseguenze anche sulla linea ferroviaria faentina, dell’alluvione dello scorso maggio, che ha colpito parte del territorio attraversato dal treno.
La buona notizia è che ora il convoglio storico potrà ripercorrere, se non tutto almeno una parte, del percorso che da Firenze porta a Ravenna insieme agli altri treni essenziali per i pendolari che si servono della linea faentina, interrotta nella tratta da Marradi a Faenza. Il progetto, lo ricordiamo, era stato avviato in occasione dei 700 anni dalla morte del Poeta, nel 2021, e organizzato dalla società Il Treno di Dante s.r.l., con il finanziamento della Regione Emilia-Romagna e sviluppato da Apt Servizi Emilia-Romagna, Toscana Promozione Turistica. Un itinerario ferroviario che si sviluppa su 136 chilometri e consente di scoprire, durante i week-end, le tappe intermedie di quel viaggio che collega idealmente Fi-
renze a Ravenna, città dove ha “inizio e fine” l’avventura esistenziale dell’Alighieri, attraverso l’Appennino tosco-emiliano. Il programma del viaggio giornaliero, una volta a regime, ripartirà da Firenze - Stazione di Santa Maria Novella, città dove Dante nasce nel 1265, per dirigersi verso Borgo San Lorenzo/Vicchio. Oltrepassato Crespino del Lamone il treno prosegue fino a Marradi, la cittadina celebre per la Sagra dei “marroni”. Riprende poi la corsa verso Brisighella, tra i Borghi più Belli d’Italia e Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, e siamo già in Emilia Romagna, per continuare verso Faenza e, infine, Ravenna.
Da sottolineare che il viaggiatore non è lasciato a sé stesso durante il viaggio: su
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura: ché la diritta via era smarrita.
E quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia et aspra e forte, che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte; ma, per trattar del ben ch’io vi trovai, dirò dell’altre cose ch’io v’ò scorte.
Io non so ben ridir com’io v’intrai: tant’era pien del sonno a quel punto che la verace via abandonai.
Il monumento equestre di Ferdinando I in Piazza della Santissima Annunziata a Firenze
Ma quand’i’ fui al piè d’un colle giunto, là dove terminava quella valle che m’avea di paura il cor compunto, guardai in alto, e vidi le sue spalle vestite già d’i raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogni calle.
ogni carrozza “Centoporte” un assistente di viaggio narra storia e aneddoti relativi ai luoghi che l’Alighieri frequentò durante il suo esilio. Il nostro consiglio? Prima di salire sul Treno di Dante, tornerà utile rispolverare qualche lettura sulla tormentata e straordinaria biografia del poeta. I biglietti per il Treno di Dante saranno in vendita sul sito dedicato www.iltrenodidante.it. Il biglietto consente di visitare gratuitamente alcune eccellenze del patrimonio culturale e artistico delle varie tappe, nonché di usufruire di convenzioni con ristoranti e trattorie selezionati.
Per informazioni: info@iltrenodidante.it
Borgo San Lorenzo
Francesca Piana, fotografie Fabrizio LavaPrima fermata per un museo e un grandissimo artista, il centro principale del Mugello diventa una tappa obbligatoria.
Interno del Chini Museo
Non è prevista la sosta, ma merita fermarsi a dormire a Vicchio, dove sono nati Giotto e Beato Angelico, per visitare a Borgo San Lorenzo Villa Pecori Giraldi. Qui c’è il Museo Chini (www.chinimuseo.it) che deve il nome al celebre artista e ceramista Galileo Chini e alla sua famiglia.
Il loro intervento nella decorazione della villa inizia nel 1854 per opera di Pietro Alessio, capostipite della famiglia, con la collaborazione del figlio Pio. Prosegue con Leto Chini e nel 1906-1911 con Galileo Chini. I restauri per i danni causati dal terremoto del 1919 sono stati di Tito Chini. Le decorazioni degli interni della villa sono altrettanto pregevoli capolavori ceramici esposti.
Pittore, ceramista, scenografo, illustratore, urbanista, imprenditore, Galileo è stato il più illustre dei Chini. Credeva nell’unione di arti e artigianato con una visione modernissima delle arti applicate
e della ceramica, in particolare. Nato a Firenze nel 1873, in un’Europa con nuovi linguaggi artistici come l’Art Nouveau, Galileo aveva aperto giovanissimo la sua prima manifattura, “L’Arte della Ceramica”, nel 1896. Era stato stimolato dall’acquisto della gloriosa manifattura fiorentina Ginori da parte di Richard, che aveva percepito come un’intrusione, una perdita di identità. Anche se l’acquirente non era straniero, ma milanese di origini torinesi. In seguito, a Borgo San Lorenzo, Galileo Chini fondò la manifattura “Fornaci San Lorenzo”, tuttora attiva. Eccellente ceramista, seppe rompere con la tradizione. Per lui la decorazione non era qualcosa di piatto, ma doveva prendere corpo. Così i suoi serpenti che si staccano dal vaso e diventano anse, quasi tridimensionali. Artista eclettico di rilevanza internazionale, Galileo Chini, rimasto orfano di padre molto piccolo, aveva frequentato la scuola
solo fino alla terza elementare, ma aveva un talento precoce e una forte personalità. Decorò importanti edifici pubblici e privati, partecipò alle principali esposizioni internazionali e in Italia alle Biennali di Venezia, insegnò all’Accademia di Belle Arti di Firenze, realizzò come scenografo le scene della prima “Turandot” di Puccini e molto altro. Impossible in questo spazio tracciarne una panoramica esaustiva. Si preferisce evidenziare una delle sue esperienze artistiche più forti, a Bangkok dove fu chiamato da re Rama VI del Siam
per decorare la Sala del Trono nel Palazzo Reale. La sua più straordinaria opera decorativa. La lunga permanenza a Bangkok, dal 1911 al 1914, ampliò la sua visione artistica di suggestioni esotiche. Il suo omaggio all’Oriente sono state le Terme Berzieri a Salsomaggiore, una delle maggiori realizzazioni architettoniche in ceramica, di grande complessità tecnica, condivise con l’amico architetto Ugo Giusti. Ogni elemento decorativo del palazzo termale fu realizzato e prodotto dalle Fornaci Chini di Borgo San Lorenzo.
Marroni e Raviggiolo
Danilo Poggio, fotografie Fabrizio LavaEccellenze del Mugello, con il Treno di Dante non si percorre solo la storia e la cultura dell’Italia ma se ne celebrano anche le tradizioni culinarie.
Il viaggio inizia da Firenze, culla del Rinascimento e della vita di Dante Alighieri, con piatti famosi come la bistecca alla Fiorentina, la pappa al pomodoro, la ribollita. Ma anche lo storico e prestigioso street food del territorio il lampredotto, accompagnati da pane toscano, un bicchiere di Chianti Docg oppure di Brunello di Montalcino Docg o di Nobile di Montepulciano Docg.
Proseguendo il viaggio, il panorama cambia e si raggiunge il Mugello, terra di morbidi paesaggi e di una cultura enogastronomica radicata ma non così nota. A Vaglia e Borgo San Lorenzo, il palato è deliziato dagli Zuccherini, biscottini con anice, e dal Pane del Mugello, fedele alla sua storica ricetta senza sale.
Nelle terre di Ronta e Scarperia, dove l’influenza medicea si mescola con la cucina locale, o di Vicchio (che ha dato i natali a
Giotto e Beato Angelico) si trovano produzioni coraggiose e inaspettate di Pinot Nero e di Malvasia Marradi, con i suoi Marroni del Mugello IGP, un’eredità agricola che risale all’epoca romana e si rafforza nel Medioevo, quando i castagni da frutto divennero fondamentali per l’economia locale.
Nell’arco appenninico che congiunge Toscana e Romagna, il Raviggiolo del Mugello si distingue nella tradizione casearia: un formaggio fresco, morbido, di un bianco intenso e dalla forma cilindrica, senza crosta, ricavato da latte bovino. Che s’ impone come un’eccellenza del territorio appenninico.
Il Tortello di patate mugellano è un altro fiore all’occhiello della regione, portabandiera di una variegata offerta culinaria attraverso le numerose sagre estive.
La ricchezza del suo sapore è affidata alle molte varianti domestiche e professionali, espresse attraverso ripieni e salse, come il ragù di carne, il sugo di cinghiale, il semplice pomodoro o i funghi porcini di stagione. Infine, il latte mugellano, definito “oro
bianco” della zona, è il risultato di una conduzione zootecnica d’eccellenza e di un foraggio di superiore qualità, elementi che imprimono al prodotto finale un carattere di purezza e autenticità senza pari.
Brisighella, borgo d’incanto
Enrica Simonetti, fotografie Fabrizio LavaTra sacralità e campagna ad appena 12 chilometri da Faenza, un borgo d’incanto ai piedi di tre colli, sviluppato attorno a una rocca.
Suonano le campane nel borgo medievale di Brisighella e i rintocchi paiono insinuarsi nel dedalo dei vicoli, tra le case antiche e, più in lontananza, tra le rocce, i pinnacoli e la “Via degli Asini”, un percorso coperto che diventa un viaggio nel viaggio. Siamo sulla Via Faentina e i nostri passi incrociano una Romagna del passato sconosciuta ai più.
Sembra quasi l’alter ego delle cime silenziose dell’Appennino Faentino. Perché Brisighella è un borgo del silenzio e il suo turismo slow è nell’anima della cittadella di circa 7mila abitanti, i cui tempi tranquilli sono scanditi dall’orologio della Torre.
Scesi dal Treno di Dante, il “centoporte” che da Borgo San Lorenzo ci ha portati qui, non interrompiamo le suggestioni dantesche, perché queste viuzze medievali
risalgono al Duecento e tutti raccontano del condottiero Maghinardo Pagani, citato dall’Alighieri nella Divina Commedia che qui costruì, su uno dei tre colli, la Torre fortificata ai cui piedi è sorto il borgo. La vita cittadina in questa zona è però molto antecedente. Già nel Neolitico l’intera Vallata del Lamone ospitava insediamenti e poi arrivarono anche i popoli celtici. In seguito, l’occupazione romana diede probabilmente le prime forme attuali alla città, ora bella come un dipinto, con le persiane e le case color ocra, le pietre e le rocce che si alternano agli edifici storici e alle chiese, come la Pieve del Thò o il Santuario del Monticino. Sembrano molti gli edifici di culto rispetto alla grandezza del borgo, ma Brisighella ha dato i natali a ben otto cardinali e quell’aria di sacro non l’ha mai persa. Anzi. Pure salendo per la Via degli Asini, in una sorta di antico tunnel ad arco, si ha
l’impressione della sacralità: un’architettura che lascia stupefatti e che resiste dal XII secolo, offrendo ricovero agli animali o forse permettendo quelle transumanze che oggi il turismo ripropone per i cammini a piedi. Sembra quasi d’immaginare queste carovane, quei carichi di sale che dalle Saline di Cervia dovevano arrivare a Roma. I mezzi archi di diversa larghezza si affacciano sulla città e il percorso diventa un itinerario nel tempo e nelle tradizioni. Il borgo s’inerpica verso la Torre, verso i colli, verso un cielo nitido. E il verde della campagna che è attorno ci inebria. Del resto, lo stesso nome Brisighella ha un’etimologia forse agricola: c’è chi sostiene che derivi da “brisul”, ossia briciola di terreno coltivato, chi da “brisca”, terra dei cavoli. Quale sia la provenienza di questo nome, vale la pena non dimenticarlo: Brisighella val bene una visita.
Pedalando verso Faenza
Enrica Simonetti, fotografie Fabrizio LavaTra cave di gesso e calanche un percorso favoloso, quasi una carta geografica spianata su cui andare in bicicletta.
Da Brisighella a Faenza in bicicletta
Dalle cento porte del treno alle due ruote: c’è un tratto del Treno di Dante che si può percorrere pedalando. Nell’attraversare le campagne della Romagna l’interesse naturalistico è assicurato. Ci siamo stati prima della grande alluvione e scriverne ora mette i brividi, con le immagini della catastrofe del fango ancora negli occhi. Ma serve ancor più a promuovere questi luoghi incantati nei quali il turismo non si deve fermare, anzi.
La partenza è dalla stazione di Brisighella, uno dei borghi più belli d’Italia, dove il treno storico si ferma per proseguire verso Faenza. Noi ci arriveremo sulle due ruote, lasciando quindi per un po’ di ore la tratta ferroviaria inaugurata nel 1893, sulla quale viaggia il Treno dantesco, riportando alla mente i viaggi di un tempo, negli scompartimenti chiusi, tra le panche di legno della terza classe e i velluti rossi o verdi della prima e della seconda classe.
Tirate a lucido, le carrozze d’antan fanno dell’itinerario un’esperienza unica, tanto che sembra impossibile restare seduti. Si ha voglia di camminare di vagone in vagone, evocando i tempi in cui qui viaggiavano lettere, cartoline, preziosi, merci di ogni genere.
Il viaggio continua in bicicletta e abbiamo tanta voglia di percorrere questa antica Via Faentina, raggiungendo poi il centro del borgo medievale di Brisighella, inserendo nel percorso la Via degli Asini. Un tragitto che ci fa conoscere con le due ruote questa cittadella del passato con i tre colli che ci guardano.
Da Brisighella, ci spostiamo verso Faenza e il percorso non è più cittadino: siamo
nel Parco regionale della Vena del Gesso. La meraviglia è il viaggio nel colore, tra il verde delle campagne, le coltivazioni e le cime dolci degli Appennini. Le cave di gesso mostrano la roccia sventrata e il percorso cromatico prosegue facendosi sorprendente. Qualche pedalata ancora e siamo davvero in un mondo a parte: ecco lo sguardo infinito sui calanchi, su un’Emilia Romagna che tocca il cielo con un dito, laddove le rocce salgono e poi appare piana, uguale, eterna.
Ancora qualche pedalata e il viaggiatore curioso può esultare. La strada ha qualche curva ma nessun problema, anzi è perfetta per questo tipo di escursione essendo poco trafficata. Si può scegliere “l’aiuto” di una bici elettrica o godersi la pedalata sportiva, non ci sono salite e il percorso è molto agile. Qualche sosta per una foto e... per l’ultima emozione prima di arrivare: il mare giallo, sulla nostra sinistra, alle porte di Faenza, un campo immenso di fiori di colza che ondeggia al vento e ci avvolge. Lasciamo la bicicletta e vi passiamo dentro, affiancati da quei fiori spon-
tanei, in un universo naturale che lascia senza fiato.
Da non mancare, una volta a Faenza, il Museo delle Ceramiche, il notissimo contenitore gioiello di opere di artisti di ogni epoca (persino del 4000 a.C.) e di ogni latitudine, comprese le meraviglie pugliesi di Laterza e di Grottaglie. Oltre 60mila opere, che sono un viaggio nel tempo e nella geografia del mondo (la sezione dell’Oriente e dell’antico Egitto è un’immersione); mentre nell’ala dedicata al Novecento, l’arte di maestri come Picasso, Matisse, Chagall, Legér, Dalì, Burri e Fontana diventa ceramica meravigliosa, segno di un tempo e di un’arte del colore che per fortuna non si è mai persa. E poi, un altro piccolo-grande Museo dell’Arte Neoclassica in Romagna, il favoloso Palazzo Milzetti, dove gli stucchi i saloni, le architetture di Pistocchi e Antolini, i trompe-l’oeil, le decorazioni, hanno un senso del fantastico che, quasi per incanto, ci ricollega alla pedalate tra i borghi medievali, in un mondo fatto di natura e fantasia.
L’arte ceramica di Faenza
Francesca Piana, fotografie Fabrizio LavaChi dice ceramica dice Faenza. Qui non si visita solo la più importante raccolta al mondo dedicata alla ceramica, ma anche case-museo di famosi ceramisti.
Da solo il MIC Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (www.micfaenza. org) vale il viaggio, anche per un profano, per ricchezza e magnificenza delle collezioni, dal 4000 a.C. a oggi, provenienti da tutto il pianeta. Fondatore e primo direttore del MIC è stato Gaetano Ballardini, che nel 1908 volle aprire un museo rappresentativo nel mondo, per dare rilievo all’internazionalità della ceramica. La sua visione ampia è tuttora viva anche grazie al Premio Faenza, per la ceramica contemporanea, inizialmente annuale, ora biennale, che il MIC organizza dal 1938. Una giuria internazionale sceglie cento opere da sessanta Paesi che diventano una mostra e arricchiscono la collezione permanente del museo. Al quale si accede attraverso il portale realizzato e donato da Mimmo Paladino.
Come in tutti i grandi musei, e il MIC lo è, meglio scegliere una o più sezioni da visitare piuttosto che buttarsi in un’abbuffata generica. Le ceramiche delle civiltà più antiche, quelle precolombiane, la collezione islamica, le ceramiche dell’antichità classica, quelle del vicino Oriente antico, quelle dell’Estremo Oriente. E ancora: le ceramiche faentine dal Medioevo al Barocco con la magnifica maiolica faentina rinascimentale, la ceramica italiana dal XVII al XIX secolo, il primo Novecento italiano. La collezione italiana dal secondo dopoguerra a oggi, le ceramiche europee, la scultura internazionale del XX e XXI secolo.
Si fa il giro del globo, nessuna epoca è trascurata, moltissime le culture rappresentate. Piatti, vasi, coppe, servizi da tavola,
Botteghe artigiane a Faenza
tate. Piatti, vasi, coppe, servizi da tavola, oggetti d’arredo, piastrelle, pannelli, manufatti, tanti stili e gusti, ogni sala incanta. Il mondo della ceramica viaggia in parallelo a quello dell’arte contemporanea. Da vedere le opere di Pablo Picasso ( donate dall’artista nel 1953 alla riapertura del museo, ricostruito dopo la guerra), che sperimenta la ceramica come materiale d’arte, a quelle di Marc Chagall e Henri Matisse. Come i pannelli di Gio Ponti, le opere di Arturo Martini, Galileo Chini, Enrico Baj, Lucio Fontana, Fausto Melotti, Alberto Burri, Carlo Zauli, Riccardo Gatti, Guerrino Tramonti, per citarne solo qualcuno. Da Faenza deriva anche il nome della maiolica, in francese faience, che dal tardo Cinquecento si diffuse in Europa.
Arte o artigianato? Questo a Faenza non è il dilemma. La collaborazione tra artigiani e artisti della ceramica nella cittadina romagnola è sempre stata la prassi. Merita visitare (su prenotazione) alcune case-museo di artisti. La bottega più antica è Ceramica Gatti 1928 (www.ceramicagatti.it), casa-laboratorio del ceramista e scultore Riccardo Gatti dove si esplora anche l’affascinante spazio di produzione al piano superiore. “Il MIC rappresenta tutte le ceramiche del mondo in tutte le epoche. Noi rappresentiamo un’impresa artigianale che ha avuto e ha molte connessioni con il mondo dell’arte contemporanea dagli anni Venti del Novecento a oggi” spiega Davide Servadei “La bottega è stata fondata nel 1928 dal mio prozio Riccardo Gatti. Siete a casa di Gatti artista, ma
mio padre, mio figlio e io siamo artigiani e ne abbiamo ereditato il sapere e la cultura. Gatti si è sempre circondato di artisti. Nel 1928 ha conosciuto Filippo Tommaso Marinetti ed è stato il primo ceramista in Italia a produrre ceramiche futuriste, come riconosciuto dallo stesso Marinetti. Abbiamo un servizio da caffè di Giacomo Balla. Tuttora gli artisti vivono qui con noi mentre realizzano le opere, si lavora in collaborazione, la bottega offre la propria sapienza artigianale ad artisti che si esprimono nella ceramica.”
Su prenotazione si visita anche la Fondazione Guerrino Tramonti (www.tramontiguerrino.it) con opere di grande pregio dell’intero percorso artistico del maestro faentino, pittore, scultore e ceramista. “Nasce scultore e vince il primo premio a sedici anni, poi moltissimi altri” racconta Marco Tramonti, il figlio, “era un grande sperimentatore.” Sono esposte dalle sculture degli esordi negli anni Trenta ai dischi dipinti con colori sgargianti e rivestiti con cristallina a grosso spessore; dai vasi-scultura di grès bianco degli anni Sessanta ai dipinti a olio su tavola dell’ultimo periodo di attività. “Mio padre era uno spirito libero, controcorrente, anarchico. Non aveva una precisa posizione politica. Scriveva invettive sulla ceramica sostenendo che “così rimangono”. Nell’immediato dopoguerra venne chiamato a riaprire diverse scuole d’arte italiane, aveva grandi capacità didattiche. Alla fine degli anni Sessanta interruppe l’attività di ceramista per dedicarsi alla pittura. Dipinse fino all’ultimo giorno di vita.”
Delizie di Romagna
Danilo Poggio, fotografie Fabrizio LavaVerso Ravenna: dai Curzul ai Passatelli, dalla piadina allo Squacquerone tutto è tradizione.
A Brisighella l’Olio Extra Vergine d’Oliva “Brisighella Dop” regna sovrano, come il Carciofo Moretto, prodotto unico e non modificato geneticamente, che cresce solo sui pendii soleggiati dei calanchi gessosi della zona. Qui inizia il percorso tra i vitigni della regione, con i Trebbiano di Romagna Doc e il Pagadebit Doc, un vino bianco il cui nome deriva dalla capacità di aiutare i contadini a saldare i debiti grazie alle sue abbondanti rese.
A Faenza la specialità sono i Curzul, pasta dalla forma simile a laccetti di scarpe, serviti con sugo rosso allo Scalogno di Romagna Igp, arricchito, se possibile, con carne di Mora Romagnola, pregiata razza suina autoctona. Nel cuore della Romagna, i vini simbolo sono il Sangiovese Doc e l’Albana Docg, in versione secco, dolce, passito, spumante e l’autoctono Centesimino.
A Ravenna, dove Dante concluse la “Divina Commedia” è d’obbligo gustare la Piadina Romagnola Igp, celebre street
Piatti a Villa Abbondanzi Resort a Faenza
food, servito nei chioschi e farcito con Squacquerone di Romagna Dop o salumi tipici.
La Piadina Romagnola Igp (Pieda, piè, piada, pij, pida, piadèna, piadina), è un caposaldo della gastronomia romagnola, pur essendo le sue origini avvolte nel mistero. Questo pane antico varia in consistenza, spessore e dimensioni a seconda della zona. La versione tipica a Ravenna si distingue per il maggiore spessore da quella di Rimini. La piadina si gusta piegata a metà e farcita con salumi, formaggi, verdure, o creme dolci, accompagnata da un vino rosso, come il Sangiovese.
Lo Squacquerone di Romagna Dop, noto anche come Squaquaron, è un formaggio morbido e cremoso, perfetto da spalmare sulla piadina o da utilizzare in ripieni.
Conferito con la Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.) nel 2012, ha un sapore dolce e leggermente acidulo.
Per i primi piatti, la tradizione culinaria romagnola brilla in quelli con pasta fatta in casa, come i Passatelli, minestra classica citata da Pellegrino Artusi. Preparati con un impasto di uova, formaggio, pane raffermo grattugiato e noce moscata, sono serviti in brodo di carne o pesce, oppure asciutti con tartufo o formaggio.
La tradizione si esprime anche nei secondi piatti, con carni come il castrato ai ferri e la salsiccia accompagnati da piadine o verdure crude. O pietanze di mare come pesce azzurro, brodetti e cozze, in particolare quelle di Marina di Ravenna.
Dante e Ravenna
Licia Zuzzaro, fotografie Fabrizio LavaLa chiesa di San Francesco di Ravenna e la tomba di Dante
Dante e Ravenna, dai luoghi dove il poeta è vissuto alle decorazioni dei monumenti paleocristiani che l’hanno ispirato.
Ravenna non è solo la città che ospita ben otto monumenti paleocristiani riconosciuti nel 1996 sito seriale Patrimonio dell’Unesco. Edificati nel V e VI secolo dopo Cristo, secondo alcuni studiosi, le loro decorazioni musive hanno ispirato alcune vivide rappresentazioni e descrizioni del Sommo Poeta.
Come noto, Ravenna è la città in cui Dante, invitato da Guido da Polenta, completò la Commedia con la stesura integrale della cantica del Paradiso e dove trascorse gli ultimi anni, fino alla morte nel 1321, per febbre malarica.
Oggi il visitatore può ammirare il mausoleo dedicato al Poeta, progettato nel 1782 dall’architetto Camillo Morigia: un piccolo tempio neoclassico, sulla cui architrave un cartiglio riporta “Dantis Poetae Sepulcrum”. In questo luogo di pace e riposo, ogni anno la seconda domenica di settembre si rinnova la tradizione del Comune di Firenze che provvede ad alimentare, con olio prodotto da ulivi toscani, la lampada che dall’alto veglia sulle spoglie del suo più illustre ex cittadino.
Tutta l’area medievale intorno al mauso-
leo, ribattezzata Zona del Silenzio, può essere percorsa alla ricerca di riferimenti danteschi: dalla Basilica di San Francesco, che usava frequentare Dante e dove venne celebrato il suo funerale, ai Chiostri francescani che ospitano il Museo a lui dedicato. L’ideale è visitare la zona, normalmente frequentata da gruppi piccoli e grandi di turisti, la mattina presto o nel tardo pomeriggio e incamminarsi senza
fretta, meditando sulle traversie dell’esistenza di Dante, o anche delle vicende del mondo in questi tempi travagliati. Altri luoghi simbolici importanti dell’antica capitale bizantina sono la Pineta di Classe che deve aver impressionato per la vastità Dante e la Biblioteca Classense, realizzata nel XVI secolo che, con la Raccolta Dantesca Olschki (acquistata nel 1905 dal famoso editore e libraio antiquario),
rappresenta un fondo unico per completezza sulle edizioni, traduzioni e studi danteschi.
Infine, il migliore omaggio che la città potesse rendere al Padre della lingua italiana è la “lettura perpetua” della Divina Commedia, con l’iniziativa “L’ora che volge il disìo”. Ogni giorno, eccetto il 25
dicembre, chiunque lo voglia, può leggere un canto, indicando per tempo la propria disponibilità.
Per candidarsi, consultare le indicazioni riportate sul sito web dedicato: L’ora che volge il disìo – Lettura perpetua della Commedia.
Il Treno di Dante
In viaggio con NEOS
Redazione Luisa Espanet, progetto e impaginazione Fabrizio Lava
Testi Francesca Piana, Danilo Poggio, Enrica Simonetti, Licia Zuzzaro, fotografie Fabrizio Lava
Un prodotto Neos
Giornalisti, Fotografi e Operatori Culturali di Viaggio Associati
Piazza Castello 9 20121 MILANO
neosnet.it - presidenza@neosnet.it
Indirizzi utili:
Treno di Dante | iltrenodidante.it
Da vedere
MIC Faenza | www.micfaenza.org
Borgo San Lorenzo
Brisighella
Ravenna - Basilica di San Vitale, Mausoleo di Galla Placidia, Basilica di Sant’Apollinare Nuovo
Dove mangiare
Ginepraio Agrirestoro, Vicchio info@agriturismovitanova.com
Osteria Ristorante La Baita, Faenza www.labaitaosteria.it
Ristorante Cinque Cucchiai, Faenza www.villa-abbondanzi.com
Dove dormire
Villa Campestri Olive Oil/Podere di Moiata, Vicchio | poderedimoiata.com
Villa Abbondanzi Resort, Faenza
| www.villa-abbondanzi.com
Da degustare
• Olio Extra Vergine d’Oliva “Brisighella Dop”
• Carciofo Moretto
• Trebbiano di Romagna Doc e Pagadebit Doc
• Curzul
• Scalogno di Romagna Igp
• Sangiovese Doc e l’Albana Docg e Centesimino
• Piadina Romagnola Igp
• Squacquerone di Romagna Dop,
• Passatelli
• Bistecca alla Fiorentina
• Pappa al pomodoro
• Ribollita e il lampredotto
• Chianti Docg
• Zuccherini (biscotti) e Pane del Mugello
• Marroni del Mugello IGP
• Raviggiolo del Mugello
• Tortello di patate mugellano
• Latte mugellano