Fabio Braibanti, Irene Cabiati, Maria R. D’Amico, Vittorio Giannella, Gloria Vanni,
Foto di copertina
Fabrizio Lava (Isola di San Giulio, Orta)
Editoriale
L’isola che non c’è. Quella che tutti cercano, ma forse non vogliono trovarla, per non rovinare un sogno impossibile. In questo numero di Odisseo, noi ve la mostriamo, anzi ve ne mostriamo cinque, attraverso i nostri reportage. Alcune di queste isole sono davvero lontane, altre vicine ma con una vita tutta loro, particolare, che le rende distanti, quasi inarrivabili. Alcune sono più conosciute, altre totalmente sconosciute ai più. Ci sono le Azzorre, “una manciata di terre, che interrompe a sorpresa la grande distesa dell’Atlantico”, con paesaggi più vicini ai Tropici che all’Europa. Le isole Dahlak sono nel Mar Rosso, destinazione da vacanze, davanti alla costa dell’Eritrea, eppure non hanno niente di turistico. Sono lontane, lontane nel tempo.
Chiloé, nell’estremo sud del Cile, è un mondo a parte. In pieno Oceano Pacifico spesso avvolta nella nebbia, misteriosa, la si conosce più come ambientazione di romanzi che come meta sulle mappe. Le Maldive sono le isole simbolo della vacanza paradisiaca, il loro nome è noto a tutti. Ma quelle di cui parla Odisseo fanno parte di un arcipelago raggiungibile solo in barca, per chi cerca l’avventura tra strepitosi fondali e minuscoli, colorati villaggi.
E poi c’è il Lido di Venezia. A mezz’ora di vaporetto dalla città più visitata del pianeta, è fatta di silenziose stradine con ville e di lussuosi grand hotel e palazzi chiusi che improvvisamente a fine agosto e nei primi giorni di settembre si aprono e si animano per diventare il più ambito ritrovo del jet set internazionale, delle grandi star del cinema e di folle di curiosi.
Infine, anzi per iniziare, in copertina l’isola di San Giulio sul lago d’Orta, avvolta dalla leggenda del santo che sconfisse il drago e i serpenti.
Luisa Espanet Direttore Odisseo
Briciole di fuoco e vento
di Vittorio Giannella, fotografie dell’autore
A destra, monumento alle fatiche del contadino nel borgo di Vitoria.
In basso, porticciolo di Angra do Heroismo e la cattedrale.
Rocce di lava nera e una natura tropicale, con foreste lussureggianti e laghi. Sono le isole Azzorre spazzate dal vento oceanico che fa volare i pensieri.
L’aereo decolla e sorvola Lisbona, sotto di me l’ultimo scampolo di terra e poi via verso l’oceano senza fine che non ha mai fatto paura ai coraggiosi bastimenti che l’attraversarono sfidando paurose tempeste. Le Azzorre, una manciata di terra che interrompe la grande distesa d’acqua dell’Atlantico, una sorta di ponte tra il vecchio e il nuovo continente, nove isole a 1400 chilometri dalla costa del Portogallo a cui appartengono, e a 3500 chilometri da quelle del nord America. Arrivo sull’isola di Tercéira e con un taxi ad Angra do Heroismo, il capoluogo. Mi colpisce subito la bellezza del centro storico con le case colorate, addossate le une alle altre, per cui è diventata patrimonio mondiale UNESCO nel 1983. Straripa di luce, e la brezza, incanalata nelle strette viuzze, mescola gli odori di cibi, di terra e di mare. Il piccolo porto è protetto dal possente monte Brasil e dominato dalla chiesa della Misericordia, raggiungibile
con una scenografica scalinata e abbellita da una piazza con panchine, dove gli anziani passano ore intere all’ombra di ficus giganteschi. Sembrano non accorgersi del tempo che scorre, tra racconti del tempo passato o persi dietro i loro pensieri. Intorno le mura ingiallite da licheni e ingentilite da violacciocche che racchiudono il borgo, la costa, forata da numerose grotte.
Decido con Josè, la guida, di fare un giro sul monte Brasil, un panettone verde e zona di svago per gli abitanti di Angra do
Heroismo ( baia del silenzio), un luogo di silenzio dove si vedono persone venute fin lì per godersi la lettura di un libro o semplicemente per passare qualche ora spensierata. Secoli d’ isolamento e di lotte contro una natura aspra, hanno permesso agli azzorriani di trasformare le isole, da deserto vulcanico in campi fertili. Lo si vede, salendo a Serra do Cume, dove i campi ai lati della strada, verdissimi, sono delimitati da muretti a secco e vasti pascoli.
Prossima meta è Agar do Carvao, un cono vulcanico vuoto che eruttò l’ultima volta 3200 anni fa. Nella visita si racconta la storia geologica del vulcano, formatosi per un complesso fenomeno geologico e quindi con una struttura rara che la rende unica al mondo. Riprendo la strada, che continua a salire fino ai settecento metri di quota, invasa ai lati da enormi cespugli di ortensie blu. Ma è più in alto che le foreste diventano un trionfo di alberi e foglie lussureggianti radicate in quello che in principio era fuoco ardente. Trenta minuti di aereo e arrivo sull’isola di Faial e da lì a Horta, il capoluogo, senza dubbio il miglior porto dell’arcipelago, attrezzato per accogliere i coraggiosi navi-
gatori solitari che attraversano l’Atlantico, gli stessi che tengono ben viva un’usanza: dipingere un piccolo quadrato sul molo per lasciare un segno del loro passaggio. Da non perdere a Faial il museo del vulcano Capelinho, nascosto sotto terra e interessantissimo: la struttura avveniristica e le guide ben documentate scorazzano nel ventre del vulcano. Termini come ossidiane, pomici, non hanno più segreti. Alle 19,30 mi imbarco sul traghetto che da Faial porta all’isola di Pico, dominata dal vulcano omonimo di 2320 metri, la cima più alta del Portogallo. Il verde delle vigne, protette da muretti di basalto, e il mulino fanno da quinta a un paesaggio che ha convinto l’UNESCO a proteggerlo come patrimonio mondiale dell’Umanità. Parto di buon’ora per raggiungere i piccoli laghi annidati alla base del cono, a 800 metri di quota, avvolti nella nebbia. La strada, dritta come una riga sale con gradualità, tagliando in due villaggi silenziosi. In tre giorni non sono riuscito a vedere il vulcano, sempre tra le nubi. Solo in volo quando l’aereo, che mi riporta a Tercéira, buca la coltre grigia, appare in tutta la sua grandiosità. Andrà meglio la prossima volta.
Campi coltivati e protetti con muretti a secco contro il vento a Serra do Cume dal belvedere sospeso.
Dall’alto in senso orario si torna in paese con le mucche sull’isola di Pico. Terre alte sulle pendici del vulcano di Pico. Siepi di ortensie delimitano le proprietà. Fiori azzurri di Agapanthus.
Nella pagina accanto, Cantina di Madalena con i vini prodotti sull’isola di Pico. Nelle pagine precedenti, vista dalla collina di Angra do Heroismo, città principale dell’isola di Terceira, sito UNESCO. In fondo il monte Brasil.
Per saperne di più
Quando andare
Il clima delle Azzorre è oceanico con temperature miti tutto l’anno. I mesi migliori per visitarle vanno da marzo a settembre, poi diventano piovose, soprattutto le isole più occidentali.
Dove dormire
Isola di Faial, Horta, il capoluogo: Porto
Pim Azores Guest House
Isola di Terceira, Andra do Heroismo il capoluogo: Hotel Cruzeiro hotelcruzeiro.com
Dove mangiare
isola di Faial, Horta: Café Sport da Peter petercafesport.com
Isola di Terceira, Angra do Heroismo: Osteria Beira Mar, con terrazza vista mare e pesce freschissimo.
Da leggere
Antonio Tabucchi, Donna di Porto Pim, Sellerio
In alto, il borgo raccolto nelle mura di Porto Pim sull’isola di Horta, molto amato dallo scrittore Antonio Tabucchi.
Nella pagina accanto, un’usanza diffusa tra chi attraversa l’Atlantico in barca: dipingere il molo nel porticciolo di Horta appena ancorati.
Nelle pagine precedenti, la particolare grotta di scorrimento lavico Da Torres, visitabile con torce e una guida esperta a Pico.
Dahlak, un sogno sospeso
di Irene Cabiati, fotografie dell’autrice
Non ci sono alberghi nell’arcipelago delle Dahlak . I visitatori vengono ospitati in campi tendati (foto V. Meleca) per brevi soggiorni. Le piccole comunità locali si dedicano prevalentemente alla pesca e all’allevamento.
Sul Mar Rosso, davanti alla costa eritrea, c’è un arcipelago tutto da scoprire
L’approdo è una spiaggia di sabbia corallina ricamata dalle minuscole orme dei granchi su cui incombe il frenetico volo di uccelli dalle ali bianche. Non c’è altro, apparentemente, sulle isole Dahlak a poche miglia dal porto eritreo di Massawa, sul Mar Rosso.
Nel corso dei secoli la comunità che le abitava ha conosciuto commercianti e soldati, furfanti, attori famosi e prigionieri. Fino a cent’anni fa era noto come l’arcipelago delle perle dove i pescatori si tuffavano inseguendo sogni di riscatto dalla povertà, al servizio di astuti trafficanti e meta di avventurieri come Henry de Monfreid (1879-1974 )a cui Stenio Solinas dedica una biografia. Sul Mar Rosso visse una vita di azzardi come quella di condividere i costumi e la religione dei popoli indigeni. Alle Dahlak si dedicò anche alla pesca delle perle, poi preferì il traffico di armi e hashish .
Nell’arcipelago arrivarono poi scienziati e divulgatori come Cousteau e Quilici. Il giornalista Gianni Roghi, nel suo libro
Nella pagina accanto Souvenir al mercato di Asmara. Nelle pagine successive, Madote, l’soletta sovrastata dal volo degli uccelli. L’isola di Shumma e i sorprendenti fondali (foto V. Meleca).
racconta la Spedizione di ricerca italiana del 1952. Vi approdarono anche attori famosi come Philippe Leroy, il popolare amico di Sandokan e Sophia Loren nel film “Africa sotto i mari” . Ho visitato le Dahlak negli anni Settanta su un peschereccio, esplorando foreste di coralli popolate da pesci multicolori, gomitoli di sardine e acciughe fra il guizzo dei tonni e il passaggio di argentei barracuda, imperturbabili mante e gigantesche tridacne dalle labbra spudorate. Emozionante salire sul relitto dell’Urania: la nave italiana auto-affondata nel 1941. Adagiata su un fianco, da nave di trasporto delle truppe d’invasione nell’ Africa Orientale è diventata un condominio pulsante di energia animale e vegetale.
Sono tornata a Dahlak Kebir qualche anno dopo con un’amica, su un motoscafo a noleggio. Seguendo il sentiero, abbiamo sostato accanto al pozzo circondato da palme stente e poi raggiunto un villaggio di case di madrepora. Sotto una tettoia i pescatori impegnati in una partita a domino ci hanno sorriso con sorpresa e sospetto. Il caffè, servito in un alito di vento, era buono ed è stata la premessa
di un’esperienza sospesa nel tempo, indimenticabile. Di giorno, il caldo insopportabile. Di notte il cielo denso di stelle e il mare vibrante di scintille fosforescenti di plancton. Qui ho respirato il silenzio, l’inspiegabile attrazione del nulla. Ma il vuoto che si percepisce è un segnale anomalo.
Come scrive lo storico Vincenzo Meleca l’arcipelago Dahlak è un paradiso marino poco frequentato, soprattutto a causa della lunga guerra di indipendenza del popolo eritreo dall’Etiopia, della siccità e delle scelte politiche.
Poche delle 200 isole sono abitate da piccole comunità di pescatori e pastori. L’acqua è salmastra e il rifornimento della potabile arriva via mare da Massawa. Quando il clima era favorevole, i pastori della costa eritrea trasferivano su barche a motore le loro piccole mandrie a Shumma, proprio alle Dahlak. La guida di Meleca è dedicata a viaggiatori che amano mete non scontate e descrive le caratteristiche geografiche di trenta isole, i siti archeologici, i consigli per godersi lo spettacolo della vita sopra e sotto il mare e anche le ferite: guerre, isolamento, vicissitudini climatiche.
Vale la pena fermarsi per qualche giorno ad Asmara (2.363 m). La capitale eritrea è patrimonio Unesco come “esempio eccezionale di urbanistica modernista incorporato nell’identità eritrea e in un contesto africano”. Tra gli edifici più significativi (quartieri, scuole, cinema, luoghi di culto) la stazione di servizio Fiat Tagliero (1938) disegnata a forma di ae-
roplano da Giuseppe Pettazzi. Con le sue ali di 15 metri ciascuna, è considerata un capolavoro di equilibrio ed eleganza in stile futurista.
Scoprire l’Eritrea è un’esperienza utile per approfondire l’evoluzione e la storia di un popolo stupendo ingiustamente ignorato.
Per saperne di più
Come andare
Per le Dahlak si parte da Asmara e può accadere di percorrere un tratto con il treno a vapore. Afro Nine propone crociere anche individuali con accompagnatorecuoco e pernottamenti in campi tendati, afronine.it
Da leggere
Henry de Monfreid, I segreti del Mar Rosso, Magenes
Vincenzo Meleca, Arcipelago Dahlak, Greco & Greco
Gianni Roghi, Dahlak, Garzanti
Stenio Solinas, Il corsaro nero, Neri Pozza
Il gioco del calcio alla pallina in un viale di Asmara.
Chiloé: tra natura primordiale e letteratura
di Gloria Vanni, fotografie dell’autrice
Nella pagina accanto, una sala del Museo di Arte Moderna a Castro. In basso, la chiesa di Conchi. Nelle pagine seguenti, interni di Nercón, una delle sedici chiese Patrimonio Mondiale Unesco.
Nel profondo sud del mondo, affacciato sul Pacifico c’è un pezzo di Cile sconosciuto, scenario di indimenticabili romanzi.
Marcela Serrano ha ambientato “L’albergo delle donne tristi” nell’isola di Chiloé. Un romanzo dedicato alle ombre dell’anima femminile che si snocciola tra confidenze, complicità, esperienze condivise. È uno dei libri che più amo della scrittrice cilena. Sono andata sulle tracce di un immaginario albergo per donne in cerca di conforto nascosto in un arcipelago dalla bellezza primordiale.
Situato tra il 41º e il 43º parallelo di latitudine sud, è uno scenario di alte e basse maree, piogge e nebbie ovattate, cieli azzurri intrisi di spiritualità. L’Isla Grande de Chiloé dà il nome all’arcipelago, formato da un gruppo di isole affacciate sull’oceano Pacifico.
Chiloé la raggiungi in aereo, volo da Santiago de Chile a Puerto Montt, poi c’è la navigazione del canale di Chacao (mezz’ora circa) e infine l’autobus (3 ore e mezza circa) fino a Castro, la ca-
pitale fondata nel 1567, terza città più antica del Cile.
È un Cile poco conosciuto. Infatti, al di là degli spunti letterari, confermati da Isabel Allende che qui porta la travagliata protagonista del suo romanzo “Il quaderno di Maya”, devi andare a Chiloé e posso dire che ne vale la pena.
Perché il vivere lento è l’indiscusso protagonista di scenari incontaminati e remoti, dove pesca, allevamento e agricoltura scandiscono il passare del tempo. Si respira una calma carica di religioso misticismo le cui origini risalgono al Settecento. Lo testimoniano le 150 chiese di Chiloé. Sono un esempio unico in America Latina di architettura religiosa lignea e sedici di esse sono Patrimonio dell’Umanità Unesco dal 2000.
Costruite in legno di “alerce” (larice locale) da gesuiti e francescani sono il massimo della semplicità e sono sparpagliate ovunque, in città e luoghi solitari. Anche le chiese, come la maggior parte delle case, hanno tetti e pareti con tegole in legno dette “tejuelas” e assemblate con picchetti di legno. In passato erano fatte a mano, oggi molte sono in plastica. In ogni caso il risultato è un puzzle colorato di architetture senza tempo.
Ho trascorso quattro giorni girovagando da un’isola all’altra in ferry, da una chiesa all’altra e da una cittadina all’altra in auto. Ho camminato tra i banchi colorati di mercati dove la lana di pecora è protagonista di sciarpe, cappelli, guanti, calze, maglioni... Ho ammirato le chiese di Dalcahue, Quinchao, Achao, Chonchi, una più bella dell’altra. Ho vissuto tra alte e basse maree che rendono insoliti i risvegli in una casa sulle palafitte. I “palafitos” del quartiere di Gamboa sono il variopin-
to biglietto da visita di Castro con le “tejuelas” colorate riflesse nell’acqua del mare che sale e scende, ogni giorno, all’alba e al tramonto. Ho mangiato pesce, frutti di mare e patate cotti secondo l’antica tecnica del “curanto”. Cucina semplice e genuina dove i sapori del mare si mescolano a quelli della terra.
Castro va perlustrata a piedi e meritano una sosta la piazza principale e la ottocentesca chiesa di Nercón, patrimonio Unesco e monumento nazionale. Poi, il Museo di Arte Moderna (MAM) situato nel Parque Municipal de Castro: dal 1988 raccoglie e diffonde l’arte locale, è piccolo ma ben fatto. A Curaco de Vélez, isola di Quinchao, nota per ospitare il cigno dal collo nero, ho mangiato le ostriche più grandi della mia vita. A Quemchi è nato Francisco Coloane, uno dei più grandi romanzieri latinoamericani del XX secolo.
Nella “porta d’accesso” alla Patagonia cilena, Chiloé appunto, leggende e miti sono tutt’ora vivi e raccontano di barche fantasma, sirene, demoni, unicorni. Ma quattro giorni sono pochi per avventurarsi tra credenze e misteri tramandati nelle piovose notti d’interno. Devo tornare.
A destra, scorcio della natura di Castro. Nelle pagine seguenti, legno colorato e particolare delle tegole in legno di case e chiese di Chiloé e una casa su palafitte di Castro.
Per saperne di più
Fuso orario
L’Italia è 5 ore avanti rispetto al Cile. Sono 4 ore in meno rispetto all’Italia quando in Cile vige l’ora legale (da ottobre a marzo) e 6 ore in meno quando in Italia è in vigore l’ora legale.
Informazioni turistiche
Ufficio Commercio e Turismo del Cile a Milano prochile.gob.cl italia@prochile.gob.cl sernatur.cl chile.travel
Oficina de Información Turística de Ancud - Chiloé, Pudeto 341, Ancud turismoatiende@sernatur.cl
Quando andare
La primavera cilena, da settembre a novembre, e l’autunno cileno (marzo e aprile) sono le stagioni migliori per recarsi nella zona centrale del Paese e a Chiloé, “porta d’accesso” alla Patagonia cilena.
Come andare
Sky Airline conosciuta come SKY skyairline.com/es/chile
Bus Puerto Montt - Castro ETM, etm.cl
Navigazione Canale de Chachao Transmarchilay Ferries
Pargua-Chachao transmarchilay.cl
Taxi
Christian, Castro +56 9 4992 1787
Dove dormire
B&B Palafito Entre Mar y Tierra
Avenida Pedro Montt 547, Castro
tel. +56 6 5268 1810
marytierra.inn.fan
Palafito 1326 Hotel Boutique
Calle Ernesto Riquelme #1326
tel. +56 6 5253 0053
palafito1326.com
Palafito Azul Apart Hotel
Calle Ernesto Riquelme 1382, Castro
tel. +56 9 5828 4360
palafitoazul.cl/
Dove mangiare
Palafito Sabores de Mi Tierra
Pedro Montt 699, Castro tel. +56 6 5253 3592 facebook.com/cafesaboresdemitierra/ Pasticceria e caffetteria - La Pequeña Venecia
Profesor Juan Serrat 542, Castro tel. +56 9 4412 3251
Restaurante Octavio
Pedro Montt 261, Castro
tel. +56 6 5263 2855
La Terraza 1326 Restaurante Bistro
Ernesto Riquelme 1326, Castro
tel. +56 9 4235 2276
palafito1326.com/restaurante/ Ostras Los Troncos
Sector Costanera Curaco de Vélez
tel. +56 9 6848 7102
Cocinerias De Dalcahue
Pedro Montt, Dalcahue
tel. +56 87803 923
cocineriasdalcahue.blogspot.com/
Da leggere
Marcela Serrano, L’Albergo delle donne tristi, Feltrinelli
Francisco Coloane, Terra del Fuoco, Guanda
Il meglio di Francisco Coloane, Guanda
Isabel Allende, Il quaderno di Maya, Feltrinelli
Maldive avventurose
fotografie di Fabio Braibanti, testo a cura della redazione
Nella pagina accanto, un dhoni all’atollo di Suvadiva. In basso, un uomo trasporta a nuoto il legname nell’isola Nyaviyani, atollo Fuvahmulah. Tramonto a Suvadiva.
Raggiungibili solo via mare, sono tutto, anzi qualcosa di più, di quello che ci si aspetta dalle isole dei sogni.
Per chi ama il mare limpido con fondali colorati dai pesci, le spiagge di sabbia finissima, i palmizi ombreggianti. Ma anche i villaggi di pescatori con barche particolari e mercatini, dove la gente sorride, gli sguardi sono curiosi ma mai invadenti. Ma soprattutto per chi a questi elementi, rintracciabili in altre isole lontane, vuole aggiungere l’avventura. Nelle Maldive esistono ancora arcipelaghi sconosciuti ai più, perfetti per loro. Sono raggiungibili solo via mare da Malè, la capitale dell’arcipelago e anche la più piccola capitale al mondo, essendo costruita su un’isola di soli 2km di superficie. Con un safari boat, che per 14-15 giorni diventa la propria casa, da dove partire per le più incredibili esplorazioni.
Due i tour possibili. Uno verso il sud dell’arcipelago, l’altro verso il nord. Nel primo caso si raggiunge l’atollo di Huvadhoo, l’estremo sud delle Maldive, il regno delle immersioni e forse uno dei
luoghi al mondo più remoti e meno frequentati. Qui la quantità e la varietà di pesci è davvero straordinaria, oltre che per
Un dhoni ancorato a Guraidhoo.
la scarsissima frequentazione per le forti correnti che condizionano i passaggi della fauna marina. Da piccolissimi pesci di ogni tipo e tinta a squali martello e squali tigre. I fondali sono così incontaminati e le acque così popolate che quando ci si immerge si ha l’impressione di essere stati i primi a scoprirli. Non lontano c’è l’isola di Fuyahmulah, caratterizzata da scogliere coralline e acque profondissime, dove vivono pesci grandi come gli squali tigre, le mante e persino gli squali balena, rarissimi da incontrare. Le uniche barche che si avvistano sono i dhoni. Sono tipiche imbarcazioni locali usate dai pescatori, che possono navigare a motore o a vela. Queste sono di una forma particolare, quasi quadrata e in colori accesi come il rosso. Qui i pescatori mentre sistemano le reti indossano strani cappelli conici. Nei villaggi s’incontrano soprattutto le donne, sedute davanti alle loro case in gruppo. Fumano il narghilé, puliscono il riso nei grandi setacci, tagliano le foglie delle palme o lavorano al tombolo. Alcune giocano con “l’ohvalhu gondi”, uno strano piano di legno dove si inseriscono delle pedine. Il secondo tour, rivolto al nord, tocca gli atolli di Raa e di Baa. Nel primo s’incon-
tra il sito Maafaru Thila che stupisce per il contrasto tra l’incredibile silenzio terrestre e il mare dai fondali strabilianti, veri e propri giardini di corallo affollatissimi di abitanti marini: carangidi di dimensioni cospicue, temibili squali grigi e barracuda. Non lontano c’è l’atollo Baa, dichiarato riserva della Biosfera dall’Unesco, per le sue acque, paradiso della biodiversità. Hanifaru Bay è il sito più scenografico soprattutto nella stagione del plancton quando le mante si radunano qui per nutrirsi. Dharavandhoo Thila è meno spettacolare ma altrettanto ricco di sorprese, come l’avvistamento di squali nutrice, di tartarughe marine e di enormi banchi di pesci di tutti i colori. Continuando più a nord si raggiunge l’atollo di Haa, imperdibile con le sue spiagge dove ogni tramonto è un quadro, le lagune a ogni ora cambiano prendendo tutte le possibili sfumature di colore. Anche qui in un trionfo di barriere coralline la flora e la fauna marina sono ricchissime. Qui c’è anche uno dei pochi hotel dell’ arcipelago. Si chiama Barefoot ed è un boutique hotel sul mare circondato da una foresta rigogliosa preservata tranquilla e selvaggia. Piacevole sì, ma troppo fuori dal concetto di avventura.
Una donna lavora al tombolo nell’isola Villingili, atollo Suvadiva.
Nella pagina accanto, una donna fuma il narghilé nell’isola Rakeedhoo, atollo Felidhoo. In basso, dall’alto in senso orario, piccola spiaggia di Rakeedhoo, reef corallino dell’isola Ambaraa atollo Felidhoo. Una ragazza si fa la doccia con un secchio, pescatori a Suvadiva.
Per saperne di più
Quando andare
Tutto l’anno va bene. Ma per chi vuole vedere pesci particolari, ci sono momenti più adatti per ogni specie.
Come andare
Tour operator Albatros Top Boat S.r.l. albatrostopboat.com
Donna con narghilé nell’isola Hithadhoo, atollo Laacuna.
Sulla tolda della barca all’isola Maarehaa, atollo Suvadiva.
Lido di Venezia: l’isola del cinema
di Maria R. D’Amico, fotografie dell’auttrice
Nella pagina accanto la Sala Giardino costruita nel 2016 per la Mostra del Cinema.
Qui sotto lo storico Palazzo del Casinò realizzato nel 1938 in soli otto mesi.
Un luogo dove il tempo è sospeso e la fretta non esiste. Ma per dieci giorni, a fine agosto, tutto cambia.
Appena si sbarca sull’isola la prima impressione è quella di fare un viaggio a ritroso. Tutto sembra essersi fermato. La vita scorre lentamente. I negozi fanno lunghi intervalli nell’orario del pranzo, oppure chiudono mezza giornata. Quello che non si riesce a fare si può rimandare, tanto non succede niente. A fine agosto, tutto cambia. Basta prendere l’autobus a piazza Santa Maria Elisabetta e, dopo poche fermate, vicino al Casinò e al Palazzo del Cinema, si è catapultati nella frenesia e nell’eccitazione della Mostra del Cinema, che dal 1932 è il festival più antico e oggi tra i più prestigiosi del mondo. Grazie anche all’intelligente e appassionata direzione di Alberto Barbera. Che dal 2011 con il suo straordinario team riesce a superare ogni difficoltà (il Covid, gli scioperi di attori e registi di Hollywood, le turbolenze politiche) e a intercet-
tare con anticipo le nuove tendenze. Dalla selezione dei film che vinceranno gli Oscar (e li vincono sempre), al successo globale di Netflix, alla necessità irrinunciabile delle serie televisive. Fino al glamour sul red carpet, davanti alla storica Sala Grande del Palazzo del Cinema, dove quest’anno
sono tornate le star del cinema internazionale.
Pochi passi più a destra si trova il Palazzo del Casinò, realizzato in soli otto mesi nel 1938, che oggi ospita soprattutto i film dei cineasti emergenti da tutto il mondo. Al terzo piano, salendo il maestoso scalone, si arriva all’ufficio stampa, con la sala per le conferenze, decorata con mosaici e vetri artistici di Murano. E una delle più belle viste del Lido. A sinistra, guardando il Palazzo del Cinema, lungo la spiaggia del Lido di Venezia, l’Hotel Excelsior, capolavoro Belle Epoque, ideato dall’imprenditore Nicolò Spada e realizzato nel 1907 dall’architetto Giovanni Sardi. Costruito per diventare l’albergo del jet set, il più lussuoso del mondo, lo è diventato, superando anche l’ Hotel Des Bains, dove Luchino Visconti ha girato “Morte a Venezia”, da anni chiuso per ristrutturazione. Nel 1932 sulla terrazza dell’Excelsior è stata inaugurata la prima edizione della Mostra del Cinema, presieduta da Giuseppe Volpi di Misurata (quello della Coppa Volpi), presenti Greta Garbo e Clark Gable, diventando il punto di riferimento per attori, registi, produttori, paparazzi e giornalisti di gossip, fino ai giorni nostri. Si racconta che nel 1957 Maria Callas e Aristotele Onassis, entrambi sposati, furono fotografati per la prima volta insieme, complici e sorridenti, proprio sulla spiaggia davanti all’Excelsior. Nel 1958 una giovanissima Brigit-
te Bardot, arrivata all’hotel Excelsior con mille aspettative, andò su tutte le furie quando la coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile fu consegnata a Sophia Loren. Anche oggi, chi decide di fare un po’ di “celebrity watching”, può sedersi vicino alla magnifica terrazza o al mitico Blue Bar o appostarsi con nonchalance vicino agli ascensori o all’embarcadero dei taxi esclusivi dell’Excelsior e prima o poi qualcuno arriva: da Brad Pitt a George Clooney a Tim Burton o Monica Bellucci, Lady Gaga, Nicole Kidman, Angelina Jolie, la lista drll’ultima mostra è infinita.
Basta allontanarsi di qualche metro dalla Mostra del Cinema e percorrere le vie parallele per ritrovare il silenzio, la natura e l’eleganza del Lido con i canali e le ville in stile Liberty, in una cornice unica, tra arte e natura. Le principali si trovano nella zona tra Santa Maria Elisabetta, via Negroponte, via Zara, via Cipro e via Parenzo fino al Lungomare d’Annunzio. Villa Romanelli, Villa Erizzo, Villa Bianca e il Grand Hotel Ausonia e Hungaria, uno degli edifici storici più rappresentativi dell’Art Nouveau, soprattutto dopo la recente ristrutturazione. Ricoperto da 700 metri quadri di maioliche, è stato arricchito da formelle in vetro di Murano, che contribuiscono al fascino eclettico. Tanto da farlo apparire come un’opera d’arte da contemplare incantati ascoltan-
Il Palazzo del Cinema, da sempre la sede principale della Mostra. Sul red carpet davanti alla Hall, prima di entrare nella Sala Grande, le più famose star sfilano per i fotografi. Il pubblico attende per ore sotto il sole o la pioggia, lasciando gli ombrelli come segnaposto per assentarsi in qualche momento. Nelle pagine precedenti, in basso a sinistra il regista Luca Guadagnino e l’attore Daniel Craig, a destra l’attore Fabio Testi nel mitico Blue Bar dell’Hotel Excelsior.
Per saperne di più
Il lido di Venezia è un’isola lunga circa 12 chilomentri e larga da un minimo di 196 metri a un massimo di 1,7 chilometri, tra la laguna veneziana e il mare Adriatico.
Tra l’Ottocento e il Novecento, divenne il luogo di villeggiatura dell’aristocrazia europea e tappa obbligata per le lunghe vacanze dell’epoca. Oggi è la spiaggia dei veneziani chic. Si può affittare una bicicletta appena scesi dal vaporetto e percorrere le vie del lungomare Marconi fino al mercato del martedì, alle Terre Perse e poi a Malamocco, una piccola Venezia, in fondo all’isola. E ancora più avanti, oltre gli Alberoni, scoprire l’oasi naturale del WWF.
Dove mangiare
Ristorante Valentino (ristorantevalentinovenezia.it) e Ristorante Andri (ristoranteandri.eatbu.com) eleganti, ben frequentati, piuttosto costosi.
Osteria al Mercà (osteriaalmerca.it): si può mangiare all’esterno, su uno dei banchi inclinati del vecchio mercato del pesce, spendendo molto poco. Baccalà mantecato, polpette di bollito, fiori di zucca e cicchetti vari. Oppure prenotare all’interno, con ottimo servizio e proposte interessanti.
Ristorante Gran Viale (ristorantegranviale.it): a due passi dall’Embarcadero, si mangia bene, ma conviene prenotare, soprattutto durante la Mostra del Cinema. Ai Do Mati : si può arrivare quando si vuole e un posto si trova a tutte le ore. Ottime le pizze, la carne e le classiche insalatone. Gelateria Le Magiche Voglie: per concludere la serata.
Dove dormire
L’ideale è rimanere in Centro dove non c’è che l’imbarazzo della scelta, a prezzi molto inferiori rispetto a Venezia. Tutto cambia nei dieci giorni della Mostra del Cinema, dove una stanza può costare più del triplo rispetto agli altri periodi.
LA NEOS
NEOS – Giornalisti Fotografi e Operatori Culturali di Viaggio Associati - è un’associazione italiana di giornalisti e fotogiornalisti di viaggi, fondata nel 1998, con sede a Milano. Il nome è un acronimo formato dalle iniziali dei quattro punti cardinali e simboleggia il lavoro dei soci NEOS, cioè viaggiare per il mondo e descriverlo con parole e immagini. I soci della NEOS lavorano per testate italiane e straniere.
NEOS promuove una distinzione netta fra promozione e informazione, quindi l’associazione non può accettare giornalisti coinvolti in attività di PR o che lavorano per uffici stampa. In questo annuario ogni socio ha una sua scheda professionale che trovate arricchita sul sito NEOS (www.neosnews.it), strumento imprescindibile per la conoscenza di NEOS, dei suoi soci e della sua attività. Il sito contiene anche un magazine con brevi report di viaggio, tutti realizzati dai soci.